LA LEZIONE Hegel e la storia della filosofia La storia della filosofia è un’invenzione relativamente recente, che nasce sostanzialmente con Hegel e, in particolare, con le lezioni berlinesi del decennio 18211831. Fu con il pensatore di Stoccarda che si affermò l’idea che la filosofia fosse un succedersi di autori, correnti e problemi finalisticamente orientati verso lo sviluppo (ovviamente dialettico) del progressivo chiarirsi a se stesso dello Spirito, che dalle più ingenue forme iniziali giunge a riconoscersi perfettamente proprio nel Sistema di Hegel. Dopodiché, altrettanto dialetticamente, la Filosofia (come la Storia, come l’Arte) esaurisce il suo compito. All’interno di questo disegno, l’Oriente appare più volte, con la funzione di preliminare dialettico: là si trova il germe delle forme estetiche, di quelle politiche e di quelle filosofiche, ma come astratta potenzialità. Dall’Oriente tutto prende inizio per migrare – così come i popoli “indogermanici” – verso la terra destinata a essere il luogo di sviluppo e assunzione di consapevolezza: l’Occidente, l’Europa, la Germania. Con Hegel si fissano alcuni paradigmi di un canone storiografico che sopravvive a lungo all’autore della Fenomenologia dello Spirito: i precursori preparano la strada ai successori; la Storia è lo snodarsi di una linea interpretativa che conferisce senso unitario alle diverse epoche; le vicende della disciplina (sia essa storia dell’arte o storia della letteratura o storia della filosofia ecc.) rispecchiano, riassumono e sintetizzano l’intero svolgersi della storia. Inoltre, ciò che è veramente significativo nella storia (dell’arte, della letteratura, della filosofia ecc.) è ‘occidentale’. Ritorno a Oriente Se l’Oriente è per la storiografia hegeliana o neoidealista, nella migliore delle ipotesi, una “propedeutica” – quando non addirittura esotismo o curiosità – per contrapposizione si diffonde nel XIX secolo un differente approccio: l’Oriente viene indagato perché in esso si manifesta qualcosa di ‘altro’, un modo di concepire il mondo alternativo o più autentico rispetto alla cosiddetta tradizione occidentale. Sotto questo aspetto, il recupero dell’Oriente rappresenta una flessione del più generale tentativo di ritornare alle origini, fenomeno culturale che caratterizza un certo modo di reagire al clima da “fine della storia” che apparenta l’hegelismo alla modernità industrializzata e positivista: dalla lettura delle Upanishad di Schopenhauer agli studi sul matriarcato di Bachofen, dall’esplorazione del “cuore di tenebra” nei romanzi di Conrad alla fuga a Tahiti di Gauguin c’è un Ottocento che insegue le origini e con esse un nuovo inizio. L’Oriente diventa Mito dell’Oriente, destinato poi a germinare nel secolo successivo in modi assai diversi influenzando tanto l’esoterismo cripto-nazista di inizio ‘900 quanto la ricerca di sé nell’India pop della beat generation durante gli anni ’60 e ’70. Schopenhauer e la cieca Volontà Le fonti filosofiche indiane furono essenziali per Arthur Schopenhauer. Per il filosofo di Danzica era fondamentale, infatti, l’alleanza strategica con una grande, fino ad allora ignorata tradizione di pensiero dalla quale poter attingere al fine di edificare, in luogo della concezione kantiana di una conoscenza vincolata al “qui-ed-ora” dei fenomeni, una nuova metafisica che, oltrepassando le apparenze, cogliesse l’assenza di senso della cieca Volontà. Nietzsche e il profeta Zarathustra Così anche Friedrich Nietzsche cercò nella rielaborazione del profeta iranico Zarathustra il personaggio perfetto cui far dare l’annuncio dell’Übermensch: se l’uomo europeo ottocentesco si era rappresentato con Hegel come l’ultimo uomo, quintessenza della cultura occidentale, la rivelazione del suo necessario tramonto doveva essere espressa da una figura simmetricamente opposta a quella del Cristo platonizzato della tradizione occidentale. I “periodi assiali” in Karl Jaspers La questione filosofica del significato dell’Oriente venne riproposta nel ’900 da Karl Jaspers, in Origine e senso della storia (1949), attraverso la cosiddetta teoria dei “periodi assiali”. Secondo Jaspers, in Cina, India e “Abendland” (il “Vecchio Mondo” costituito da Iran, Palestina e Grecia) il pensiero si muove in cerchie culturali separate, in maniera policentrica, dando forma, nel periodo che va dal IX al III secolo a.C., alle principali concezioni dell’uomo e della natura entro le quali si sviluppano le dottrine filosofiche e religiose. In questo modo, Jaspers si oppone all’idea di un’unica definizione di civiltà e di filosofia e riconosce la dignità di tradizioni molto diverse tra loro che richiedono di essere comprese attraverso una flessibilità intellettuale e un’apertura all’altro che rappresenta la missione da realizzare nell’attuale periodo di globalizzazione. Testi a confronto “La storia del mondo va da Oriente a Occidente, l’Europa è infatti la fine della storia del mondo, così come l’Asia ne è il principio. Benché la Terra abbia forma di sfera, tuttavia la storia non compie un cerchio intorno a essa, ma ha piuttosto un ben determinato Oriente, che è l’Asia. Qui nasce il sole esteriore, fisico, che tramonta a Occidente; ma qui nasce anche il sole interiore dell’autocoscienza” (G.W.F.Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, Berlin 1821 trad. it. Filosofia della storia, vol. I La razionalità della storia, p. 273, La Nuova Italia, Firenze 1947) “Un asse della storia universale […] dovrebbe essere situato nel periodo in cui fu generato tutto ciò che, dopo di allora, l’uomo ha potuto essere, nel punto della più straripante fecondità nel modellare l’essere umano; [… così] da dar vita a una struttura di autocomprensione per tutti i popoli. Questo asse della storia universale appare dunque situato intorno al 500 a.C., nel processo spirituale svoltosi fra l’800 e il 200 a.C. Lì si trova la più netta linea di demarcazione della storia. Allora sorse l’uomo come noi oggi lo conosciamo. A quell’epoca diamo per brevità il nome di ‘periodo assiale’” (K. Jaspers, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, Basel 1949, trad. it. Origine e senso della storia, pp.19-20, Feltrinelli, Milano 1965)