REUMATOLOGIA E ALLERGOLOGIA CARMELO MAZZEO 1 INDICE SEZIONE REUMATOLOGIA • CAPITOLO 1- ARTRITI ( artrite reumatoide dell’adulto; artrite reumatoide giovanile (Morbo di Still); spondilite anchilosante; spondiloartriti indifferenziate; artrite psoriasica; reumatismi reiteriani; artriti reattive; artriti associate ad enteropatie e malattie uro-genitali; artriti infettive) • CAPITOLO 2- CONNETTIVITI SISTEMICHE • CAPITOLO 3 - LES E SUE PRINCIPALI MANIFESTAZIONI D’ORGANO RENALE, EPATICA, CEREBRALE, ETC • CAPITOLO 4- SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI • CAPITOLO 5 - SCLERODERMIA. • CAPITOLO 6 - DERMATOMIOSITE E POLIMIOSITE MALIGNA. • CAPITOLO 7 - SINDROME DI SJOGREN • • • • • • • • • CAPITOLO 8 – VASCULITI CAPITOLO 9 - CRIOGLOBULINEMIE. CAPITOLO 10 - MALATTIA DI HORTON. CAPITOLO 11 - POLIMIALGIA REUMATICA. CAPITOLO 12 - MALATTIA DI TAKAJASU CAPITOLO 13 - LE OSTEOARTROSI GENERALIZZATE E LOCALIZZATE (SPONDILO-DISCOARTROSI); CAPITOLO 14 - ARTROPATIE DA MICROCRISTALLI (GOTTA). CAPITOLO 15 – OSTEOPOROSI CAPITOLO 16 – FIBROMIALGIA SEZIONE ALLERGOLOGIA • CAPITOLO 17 - LE IMMUNODEFICIENZE: SEMEIOTICA ,CLASSIFICAZIONE E CARATTERISTICHE CLINICHE. LE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE, SECONDARIE ED ACQUISITE. • CAPITOLO 18 - CLASSIFICAZIONE DEGLI ALLERGENI:ALLERGIA AD AEROALLERGENI • CAPITOLO 19 - ALLERGIA AL VELENO DI IMENOTTERI • CAPITOLO 20 - ALLERGIA A FARMACI • CAPITOLO 21 - ALLERGIE ALIMENTARI • CAPITOLO 22 - ALLERGIE DA CONTATTO E DERMATITE ATOPICA • CAPITOLO 23 - PRINCIPI GENERALI DI TERAPIA DELLE MALATTIE ALLERGICHE • CAPITOLO 24 – DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ • CAPITOLO 25 – ANAFILASSI • CAPITOLO 26 – DISORDINI DA MEDIATORI VASOATTIVI • CAPITOLO 27 – DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DI TIPO II • CAPITOLO 28 – DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DI TIPO III • CAPITOLO 29 – DISORDINI DI IPERSENSIBILITÀ DI TIPO IV Sezione 3 • Domande fatte agli esami Pag 4 Pag 21 Pag 22 Pag 25 Pag 27 Pag 30 Pag 33 Pag 36 Pag 45 Pag 48 Pag 51 Pag 53 pag 55 Pag 61 Pag 67 Pag 72 Pag 77 Pag 98 Pag 99 Pag 100 Pag 103 Pag 105 Pag 107 Pag 108 Pag 116 Pag 119 Pag 122 Pag 125 Pag 127 Pag 129 2 Sezione Reumatologia • • • • • • • • • • • • • • • • CAPITOLO 1- ARTRITI ( artrite reumatoide dell’adulto; artrite reumatoide giovanile (Morbo di Still); spondilite anchilosante; spondiloartriti indifferenziate; artrite psoriasica; reumatismi reiteriani; artriti reattive; artriti associate ad enteropatie e malattie urogenitali; artriti infettive) CAPITOLO 2- CONNETTIVITI SISTEMICHE CAPITOLO 3 - LES E SUE PRINCIPALI MANIFESTAZIONI D’ORGANO RENALE, EPATICA, CEREBRALE, ETC. CAPITOLO 4- SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI CAPITOLO 5 - SCLERODERMIA. CAPITOLO 6 - DERMATOMIOSITE E POLIMIOSITE MALIGNA. CAPITOLO 7 - SINDROME DI SJOGREN CAPITOLO 8 - VASCULITI CAPITOLO 9 - CRIOGLOBULINEMIE. CAPITOLO 10 - MALATTIA DI HORTON. CAPITOLO 11 - POLIMIALGIA REUMATICA. CAPITOLO 12 - MALATTIA DI TAKAJASU. CAPITOLO 13 - LE OSTEOARTROSI GENERALIZZATE E LOCALIZZATE (SPONDILODISCOARTROSI); CAPITOLO 14 - ARTROPATIE DA MICROCRISTALLI (GOTTA). CAPITOLO 15 – OSTEOPOROSI CAPITOLO 16 – FIBROMIALGIA Le altre nostre dispense: sistematica cardio-pneumo farmacologia e tossicologia oncologia can B medicina del lavoro sanità pubblica oftalmologia neurologia ginecologia geriatria pediatria can B neonatologia medicina legale Medicina interna emergenze can B 3 CAPITOLO 1 - ARTRITI ARTRITI INFETTIVE Sono delle artriti provocate dall’azione diretta del germe nell’ambiente articolare. In base al tipo di germe che le causa possiamo distinguere: • Artriti batteriche • Artriti virali • Artriti micotiche • Artriti parassitarie. Le forme batteriche anche dette settiche sono nel complesso poco frequenti ma molto importanti da riconoscere tempestivamente perché ritardare la diagnosi può comportare conseguenze gravi, e anche mortali nel 10% dei pazienti. Si distinguono in forme: • Gonococciche • Non gonococciche, che ulteriormente si distinguono in: o Forme da germi comuni o Brucellare o Da micobatteri o Da borrelie (malattia di Lyme) Le forme gonococciche sono rare in Europa e come è facilmente intuibile dall’agente casuale sono complicanze di uretriti o cerviviti gonococciche, peraltro complicanze non molto frequenti. Il debutto della complicanza è rappresentato da: o una prima fase in cui il paziente presenta: poliartralgie migranti o aggiuntive, febbre, tenosinoviti del dorso delle mani e/o dei piedi e a un esantema papulo-pustolo-vescicoloso non pruriginoso. o Una seconda fase in cui il batterio si sceglie un’articolazione che in genere è quella del ginocchio o del polso. In questa artrite infettiva se andiamo a fare la coltura capace che non troviamo nulla perché il gonococco è un batterio che nei terreni normali cresce difficilmente. Però colorando il liquido sinoviale potremo mettere in evidenza i chicchi di caffe. Inoltre potremmo servirci della PCR (biologia molecolare). Fatta la diagnosi do cefalosporina di terza generazione per 7-10 giorni. Le artriti da germi comuni sono le forme più frequenti e nella maggior parte dei casi insorgono nei bambini sotto i 3 anni e negli ultraottantenni. Altri soggetti a rischio sono i tossico-dipendenti, chi ha di per se una malattia articolare di base (artrite reumatoide, artropatia da cristalli, artrosi) o chi ha una protesi articolare. Il batterio è generalmente uno stafilococco o altri germi del complesso ACEK e può arrivare all’articolazione per via ematica, a seguito di un’endocardite settica, per contiguità da osteomielite (soprattutto nei bambini), per contiguità da infezione dei tessuti molli, oppure per inoculazione diretta. L’artrite è generalmente monoarticolare e l’articolazione colpita è in ordine decrescente di frequenza il ginocchio, l’articolazione coxo-femorale, la spalla, il polso, il gomito e la caviglia. 4 L’articolazione infetta presenta tutti i segni dell’infiammazione (calor, tumor, dolor, functio-lesa). Il sintomo sistemico più comune è la febbre alta, ma non è sempre presente. Ai fini pratici di fronte un quadro di questo tipo, che non è assolutamente specifico delle artriti settiche, il medico ha l’obbligo di considerarla l’artrite settica fino a prova contraria. Gli esami laboratoristici mettono in evidenza VES, PCR, aumentati, leucositosi. Il liquido sinoviale va fatto analizzare effettuando un prelievo rispettando rigorose regole di asepsi e possibilmente sotto guida ecografica. All’aspetto macroscopico il liquido apparirà aumentato, (generalmente in un’articolazione non dovrebbero mai esserci più di 2ml in condizioni normali), torbido e a volte francamente purulento, la cellularità generalmente nelle forme infettive supera i 50.000 elementi per centimetro cubico e di questi i neutrofili rappresentano più del 90%. Si manda un campione in microbiologia e si fa un esame colturale e se non esce niente si fa una PCR. Alla radiografia convenzionale all’inizio possiamo notare segni indiretti di flogosi dei tessuti molli, dopo circa 2-3 settimane dall’inizio del processo possiamo vedere segni di osteoporosi regionali, riduzione della rima articolare, erosioni ossee, e se è presente segni di osteomielite sottostante. Nelle infezioni protesiche possiamo vedere la presenza di uno scollamento dell’interfaccia ossoprotesi. La scintigrafia è aspecifica ma precoce. L’ecografia consente di vedere la produzione di liquido sinoviale e lo stato della capsula articolare. Nel sospetto di artrite settica ancor prima di fare tutta questa trafila di esami, ma possibilmente dopo il prelievo del liquido sinoviale, si inizia subito una terapia antibiotica ad ampio spettro che successivamente verrà modulata in base ai reperti dell’antibiogramma. La terapia medica va supportata con l’aspirazione anche quotidiana del liquido sinoviale infetto, talora con drenaggio soprattutto se c’è una concomitante osteomielite. Per evitare esiti in anchilosi l’articolazione va mobilizzata il più precocemente possibile. L’artrite brucellare rientra nelle complicanze osteoarticolari della brucellosi. Nell’adulto le localizzazioni più frequenti sono allo scheletro assile dove determina una sacro-ileite o una spondilite a decorso cronico. Le lesioni necrotico distruttive sono di solito modeste, ma possono talvolta dar luogo alla formazione di ascessi ossifluenti (pseudo Pott o anche detto pottbrucellare), in ogni caso si accompagnano a restringimento dello spazio discale. A differenza della spondilite tubercolare le aree di decalcificazione sono meno evidenti e nelle zone di erosione, per spiccata reazione osteoblastica si ha la formazione di ponti lamellari ossei. Sotto il profilo clinico la sintomatologia, che generalmente compare tardivamente, è costituita da spiccato dolore dorso lombare invalidante. All’esame radiografico l’immagine del processo osteomielitico appare, a differenza della forma tubercolare, meno decalcificata e vacuolizzata per la formazione dei ponti ossei. Fai fare al faziente una risonanza magnetica o una scintigrafia con tecnezio, consiglio del prof cascio. Nel bambino si ha invece una mono-oligoartrite a decorso acuto che interessa generalmente l’articolazione del ginocchio o della caviglia. Il laboratorio mi da comunque delle informazioni importanti se io ho il sospetto clinico per chiederle: l’icremento dell’indice anticorpale contro le brucelle. Per l’artrite da micobatteri guarda tbc di rosa. 5 Malattia di Lyme: è dovuta a borrelia burgdoferi e da noi se la possono beccare in liguria. La storia naturale della malattia si articola in una fase precoce acuta e in una fase tardiva cronica persistente. Il debutto è rappresentato dall’eritema migrante e dal linfocitoma cutis che si possono accompagnare a sintomi simil-influenzali. In una minoranza dei casi dopo la fase acuta si può avere l’interessamento di altri organi tra cui le articolazioni. A volte tra l’altro le manifestazioni articolari possono rappresentare l’esordio della malattia o perché l’eritema migrante non si sviluppa o perché non è ricordato dal paziente visto che magari sono già passati mesi. Si tratta in genere di una mono-oligoartrite asimmetrica di solito a carico di un ginocchio. Ha andamento intermittente e talora con versamenti sinoviali anche massivi che possono dar luogo a formazioni cistiche. Il liquido sinoviale è francamente infiammatorio ma non purulento. In tempi più o meno lunghi l’artrite tende a risolversi ma in una minoranza dei casi evolve in una sinovite cronica simil- reumatoide . l’andamento non deostruente e l’assenza degli indici di flogosi (VES, PCR) rappresentano due imortanti elementi per la diagnostica differenziale. Al laboratorio chiedo il titolo di anticorpi contro le borrelie. Trattamento con amoxicillina. Artriti virali: o Parvovirus B19: può indurre quadri di poliartrite simmetrica simil-reomatoide o lupus-like o Virus dell’epatite C: diverse manifestazioni cliniche, alcune simili a quelle dell’AR o HTLV-1: sinovite non distinguibile dall’artrite reumatoide o HIV: diverse manifestazioni articolari o ROSS RIVER VIRUS DISEASE: la trasmettono in australia le zanzare. Si manifesta con dolore articolare acuto che dura pochi giorni. 6 ARTRITI REATTIVE Sono artriti che compaiono dopo un episodio infettivo localizzato a distanza dall’articolazione, in genere coinvolgente in tratto genito-urinario, intestinale o la congiuntiva. Furono descritte per la prima volta da flessinger e Leroy in francia e da Reiter in germania nel 1916, ma il nome di battesimo lo diede Avonen nel 1963. Il 50% dei soggetti è HLA-B27 positivo e in molti casi sono presenti delle entesiti, sacro ileiti e uveiti (quindi rientrano nelle spondiloartriti). La patogenesi è molto discussa, in molti casi si tratta si fenomeni di cross-reattività col germe, in altri alle articolazioni possono arrivare frammenti del batterio come antigeni dell’LPS o pezzi di corredi genetici, o super-antigeni che attivano il sistema immune. In alcuni casi si è contraddetto il concetto di artrite asettica, infatti nel 1970 prima e negli anni 90 dopo è stata messa in evidenza in alcune forme di artrite rattiva la presenza della clamidia tracomatis nei sinoviociti. Enterobatteri come salmonelle e Yersinie invece non infettano i sinoviociti ma fagocitati dai macrofagi a livello intestinale possono essere trasportati da questi a livello dell’articolazione e sfruttando le molecole di HLA-b27 possono aderire alla superficie dei sinoviociti. Il ruolo dell’HLA-B27 comunque nella maggior parte delle artriti reattive è quello di presentare l’antigene in modo incongruo. In base a quanto detto eccezion fatta per la terapia delle artriti da clamidia la terapia antibiotica non ha proprio senso come terapia dell’artrite in se e per se, ma al massimo per sterilizzare il focolaio primario di infezione. L’artrite invece va curata con FANS ed eventualmente associata sulfalazina o methotrexate. Tra le artriti reattive un posto di spicco spetta alla malattia reomatica che può insorgere a seguito di faringite da streptococco beta emolitico. Il termine di malattia reomatica o reumatismo post faringite è stato utilizzato per mettere in risalto una delle manifestazioni più comuni di questa malattia meta focale che potrebbe colpire molti distretti (SNC;cuore; cute; reni;), e tra questi ha particolare predilezione per le articolazioni. Dopo l’avvento della terapia antibiotica comunque la malattia reomatica si è andata riducendo e mentre prima una faringite su mille presentava tali manifestazioni, oggi solo una su centomila nei paesi sviluppati. Generalmente dopo 2-4 settimane dalla risoluzione della faringite si presenta un’artrite febbrile a carattere migrante che interessa prevalentemente le grandi articolazioni e che nel giro di una settimana si risolve senza lasciare complicanze. Quindi il quadro articolare potremo dire è benigno, meno benigne sono le altre manifestazioni, come quelle cardiache, tanto che una frase passata alla storia recita che la malattia reomatica lecca le articolazioni e morde il cuore. Laboratorio: o VES, PCR, fibrinogeno e alfa2-globuline aumentate. o Nell’80% dei casi aumenta la TAS Generalmente radiografia e ecografia dei distretti articolari servono solo nell’ambito di diagnosi differenziali complicate. Terpia: o Preventiva con penicillina G intramuscolo per 10g o Per le lesioni articolari vanno bene i FANS, in caso di compromissione cardiaca si usano corticosteroidi a alte dosi. 7 Le artriti post-uretritiche/post dissenteriche si manifestano con un tempo di latenza di 1-4 settimane dall’infezione e i casi di artrite, uretrite (o enterite) e congiuntivite sono passati alla storia con il nome di sindrome di Reiter dal nome di chi nel 1916 li mise in evidenza per la prima volta (come sopra citato). Generalmente insorgono nei giovani adulti senza predilezione di sesso per quelle reattive a enterite, mentre con predilezione per il sesso maschile per quelle reattive a uretriti (visto che le uretriti nella donna sono rare). L’interessamento articolare può dar luogo a un quadro acuto iniziale che si risolve in poche settimane oppure che presenta andamento cronico o recidivante. In entrambi i casi possono essere presenti sintomi sistemici e extra-articolari. La froma acuta si presenta come un’oligoartrite asimmetrica che interessa le grandi articolazioni e si estende in maniera centripeta e a carattere sostitutivo partendo per esempio dall’articolazione tibio-tarsica, passando al ginocchio e poi all’anca. (un po quello che fa la malattia reomatica) Le articolazioni coinvolte presentano intensi segni di flogosi e frequentementemente sono coinvolti entesi e tendini (fascite plantare, tendinite achillea, borsite dell’anca). Il coinvolgimento extra-articolare può consistere in: cheratodermia blenorragico, congiuntivit, onicopatia, uveite. Nelle forme croniche la compromissione articolare invece che essere sostitutiva è aggiuntiva e si può compromettere anche il rachide con manifestazioni che possono richiamare quelle della spondilite anchilosante sebbene rispetto a questa le manifestazioni siano generalmente monolaterali e quindi asimmetriche. Esam strumentali: nelle frome croniche abbiamo: o Erosioni marginali della corticale dell’osso o Sindesmofiti unilaterali e asimmetrici, incompleti, sottili. (un intero plotone danese durante la seconda guerra mondiale è stato decimato dalla sindrome di reiter. Perla del professore lo gullo) 8 SPONDILOARTRITI SIERONEGATIVE Sono delle artropatie infiammatorie che interessano le entesi e la sinovia a livello della colonna e in particolare a livello sacroiliaco, pur potendo essere coinvolte anche articolazioni periferiche. Sono caratterizzate da negatività per il fattore reumatoide e per questo vengono dette “negative”. Colpiscono individui geneticamente predisposti e spesso positivi all’HLA-B27 e quindi come è facile intuire presentano aggregazione familiare che tra l’altro non necessariamente è confinata allo stesso quadro nosologico. Le principali entità cliniche sono: o La spondilite anchilosante o La spondilite psoriasica o Le artriti reattive o Le artriti enteropatiche o Le spondilartriti indifferenziate Il coinvolgimento del rachide si manifesta clinicamente con una rachialgia di cui devo sospettare l’inquadramento nell’ambito delle spondiloartriti soprattutto se sono presenti alcuni indizi: o Esordio insidioso prima dei 40 anni o Persistenza per almeno 3 mesi o Accentuazione di dolore e rigidità al mattino o dopo riposo prolungato, mentre miglioramento con esercizio fisico. Le spondilartriti indifferenziate sono forme che rientrano nei criteri generali per le spondiloartriti (criteri di ESSG o di AMOR: lombalgia infiammatoria, oligoartrite asimmetrica o prevalente agli arti inferiori, più almeno uno dei seguenti criteri: storia familiare di spondilite, psoriasi e enteropatia, psoriasi, enteropatia infiammatoria, retto colite ulcerosa o crhon, entesiti e sacroileiti) ma non soddisfano i criteri per nessun sottotipo specifico come i criteri di NewYork per la spondilite anchilosante, la presenza di psoriasi o malattia intestinale o di infezione batterica precedente. Rappresentano il 30% delle diagnosi di spondiloartrite e molti di questi casi col tempo si definiranno entro uno dei quadri clinici prima menzionati, altri invece rimarranno forme indifferenziate. 9 Spondilite anchilosante: anche detta morbo di Bechtrew è una malattia infiammatoria cronica che come suggerisce il nome colpisce primariamente lo scheletro assile conducendo alla fibrosi progressiva e all’anchilosi delle strutture coinvolte. Rappresenta il più frequente e paradigmatico tipo di spondilartriti sieronegative. EPIDEMIOLOGIA: rispecchia quella dell’HLA-B27 (HLA-B27 09, HAL-B27-06 HLAB60) con il quale è strettamente associata (95% dei casi), più frequente nei paesi scandinavi e nell’america del nord, rara in giappone e nei neri. Sono colpiti più i maschi con un rapporto che secondo alcune statistiche raggiunge il 9:1 esordendo generalmente circa intorno ai 26 anni, anche se non sono infrequenti i quadri di esordio in età più giovane, mentre sono decisamente rari quelli dopo i 45 anni. PATOGENESI: si pensa si dovuta a peptiti artritogeni derivati da antigeni batterici (forse klebsielle)presentati tramite molecole di HLA-b27 che cross-reagirebbero con strutture proprie e quindi stimolino una reazione autoimmune attivando linfociti citotossici specifici. ANATOMIA PATOLOGICA: le lesioni cominciano a carico delle entesi e delle fibrocartilagini a carico delle quali si verifica un processo erosivo che coinvolge anche le ossa ed è seguito da riparazione che esita in fibrosi, calcificazione e neoformazione di osso. Dal punto di vista istologico c’è iperplasia delle cellule dell’intima, infiltrato linfocitario e plasma cellulare diffuso con formazione di follicoli linfoidi e presenza di plasmacellule contenenti Ig comunque meno abbondanti che nell’artrite reumatoide. Il coinvolgimento del rachide è di solito di tipo ascendente cominciando con una sacro-ileite e potendo a poco a poco interessare tutto il rachide. Le entesiti sono frequenti anche in sede extrarachidea, specialmente all’esordio della malattia e le sedi più colpite sono il tallone e la fascia plantare del calcagno e altre entesi possono essere coinvolte e durante il decorso della malattia le entesiti periferiche sono di solito ricorrenti e migranti. QUADRO CLINICO: esordisce generalmente con dolore e rigidità lombosacrale con esordio insidioso più accentuata al mattino e che si allevia con il movimento. All’inizio il dolore può essere unilaterale e intermittente ma in breve tempo diviene bilaterale e si accentua la rigidità. Il dolore può venire riferito anche alla zona glutea con irradiazione alla coscia a simulare la sciatica ma non scende mai sotto il ginocchio e quindi si parla di sciatica mozza. Nella fase iniziale dolore e rigidità sono dovute alla flogosi, mentre successivamente il dolore si riduce ma la limitazione funzionale aumenta per le anchilosi. Venendo coinvolta tutta la colonna (generalmente in più di dieci anni) il paziente perde la postura normale: o iperCifosi toracica e cervicale: il paziente non riesce a guardare il cielo o Il torace è appiattito e l’addome diventa protuberante e nel complesso alterano la meccanica respiratoria perché riducono le escursioni del diaframma o Anche altre articolazioni possono essere coinvolte. È frequente un certo grado di contrattura dell’articolazione coxo-femorale o Le ginocchia vanno in flessione per mantenere l’andatura eretta. Complicanze: o Sub-lussazione atlanto-epistrofea che può essere mortale o Sindrome della cauda equina 10 o Coxite o Spondilodiscite o Fratture secondarie Interessamento extra-articolare: la più frequente è l’uveite anteriore, sempre monolaterale e con tendenza a ricorrere anche dall’altro occhio. Altre complicanze sono l’amiloidosi e una nefropatia da IgA. INDAGINI LABORATORISTICHE: o Aumento della VES non correlato all’attività della malattia o Aumento della PCR correlato all’attività della malattia o Anemia delle malattie infiammatorie croniche o Aumento delle IgA o Aumento della fosfatasi alcalina o Tipizzazione HLA INDAGINI STRUMENTALI: o RX convenzionale: 1. erosoni ossee che rendono lo spazio articolare più ampio (pseudo allargamento), 2. i margini delle vertebre risultano squadrati e rendono ragione del termine di colonna a canna di bambù 3. sindesmofiti: formazione di ponti ossei verticali tra le vertebre o la RMN pur essendo un esame di secondo livello è estremamente utile per fare diagnosi precoce dal momento che tutte le cose che ho detto sopra si verificano in fase tardiva di malattia mentre all’RX non risulta valutabile l’edema midollare osseo caratteristico delle fasi iniziali della sacro-ileite. Inoltre con la RM possiamo mettere in evidenza i diverticoli aracnoidei multipli che in passato erano visualizzabili con la mielografia metodica ormai poco utilizzata. o Ecografia per lo studio delle strutture enteso/tendinee periferiche DIAGNOSI DIFFERENZIALE: si pone con le rachialgie non infiammatorie (artrosi, ernia del disco, infettiva, neoplastica ecc), la diagnosi differenziale si basa sulle caratteristiche del dolore che qui è infiammatorio e sul quadro radiografico. Malattie che hanno un quadro radiologico simile sono: osteite addensante dell’ileo (generalmente è asintomatica), iperostosi anchilosante o malattia di forestier o iperostosi idiopatica diffusa (DISH) che mostrano scarsa componente infiammatoria e non sono associate a HLA-B27. TRATTAMENTO: o FANS e inibitori della COX2 o Terapia radiante distrettuale o Osteotomie correttive. 11 ARTRITE PSORIASICA Circa il 30% dei pazienti con psoriasi sviluppa un’artrite che viene classificata nel gruppo delle spondiloartriti o entsoatriti sieronegative. Generalmente ma non necessariamente le manifestazioni cutanee precedono l’esordio di quelle articolari, le quali possono interessare lo scheletro assiale o le articolazioni periferiche. Si è visto che i soggetti che sviluppano le artriti spesso oltre ad essere positivi per gli HLA tipici della psoriasi (B13, 17, CW6) lo sono pure per B-27 nella forma assile e per DR4 nella periferica. Dal punto di vista anatomo-patologico nelle forme assiali possiamo riconoscere due fasi a livello delle entesi: • La prima infiammatoria: prevale il riassorbimento dell’osso e l’infiltrato cellulare • La seconda: è la fase ripartiva in cui c’è la produzione di osso reattivo con formazione di sindesmofiti, anzi sarebbe più opportuno chiamarli para-sindesmofiti e a differenza dei sindesmofiti della spondilite anchilosante hanno una base di impianto maggiore. Comunque si va verso l’anchilosi della zona colpita. Nelle forme periferiche, accanto alle entesiti, è possibile riscontrare a carico delle articolazioni diartrodiali coinvolte, una sinovite che comunque non arriva alla formazione del cosiddetto panno sinoviale come nell’artrite reumatoide. Ma anche in sede periferica le erosioni sono importanti e anche qui i processi di riparazione portano all’anchilosi dell’articolazione. Dal punto di vista clinico in base ai rapporti con le manifestazioni cutanee della psoriasi distinguiamo: • L’artrite psoriasica definita • L’artrite psoriasica sine psoriasi: sarebbe una forma indefinita che coinvolge pazienti che non hanno psoriasi al momento ma che hanno anamnesi familiare positiva per psoriasi • Early psoriasis artritis: artrite di recente insorgenza in pazienti con psoriasi L’artrite psoriasica definita è stata descitta per la prima volta da Moll e Wrigt che identificarono 5 forme: • La spondite: a differenza di quella della spondilite anchilosante è spesso unilaterale e quindi asimmetrica, e i sindesmofiti che come prima precisato è meglio definire parasindesmofiti sono disposti a caso lungo la colonna. Inoltre la prevalenza dell’associazione con B-27 è meno forte che nella spondilite anchilosante • La spondilite associata a impegno periferico poliarticolare: la parte poli-articolare a volte mima le caratteristiche delle lesione dell’artrite reumatoide ma a differenza dell’AR le lesioni sono asimmetriche, non è presente in circolo il fattore reumatoide e sono presenti sparsi sindesmofiti a livello della colonna. • Mono-oligo-artrite a livello delle articolazioni interfalangee prossimali di mani e piedi e il tendine estensore determinando l’insorgenza di una dattilite che conferisce alle dita colpite il caratteristico aspetto a salsicciotto • Impegno esclusivo delle articolazioni interfalangee distali: può essere più simile all’artrosi che non all’AR. • Forma mutilante delle falangi 12 LABORATORIO: nel 50% dei pazienti si nota un incremento dei livelli di VES e PCR e spesso l’incremento dei livelli sierici di acido urico probabilmente legato all’alterato turn-over delle cellule della cute. Il fatto che l’acido urico è aumentato è un indizio per la diagnosi differenziale con l’artrite gottosa nella quale nel momento dell’episodio artritico generalmente si ha una riduzione dei livelli circolanti di acido urico. Comunque per fare dd con la gotta è utile l’esame del liquido sinoviale in cui nel caso di gotta saranno evidenti al microscopio a luce polarizzata i cristalli di acido urico. Importante è la dd anche con la sindrome di Reiter che può presentarsi con impegno cutaneo: cheratodermia blenorragico che consiste in lesioni eritemato papulose alla pianta del piede o al palmo delle mani e si può confondere con le manifestazioni della psoriasi cutanea soprattutto con quella pustolosa di barber e Hallopau. 13 ARTRITI ENTEROPATICHE Sono artropatie associate a: • Morbo di Cron e rettocolite ulcerosa • Sindrome da bypass intestinale • Celiachia Nelle MICI si osservano complicanze articolari in una percentulale variabile dal 10 al 50% e si distinguono in 3 sottogruppi: • Tipo I: artrite pauci-articolare (meno di 5 articolazioni), acuta, autolimitantesi, la cui attività va in parallelo con quella della malattia intestinale. • Tipo II: artrite che coinvolge più di 5 articolazioni, ma in maniera asimmetrica e con andamento cronico indipendente dallo stato della malattia intestinale • Tipo III: spondiloartrite talora associata ad artrite periferica. La colonna può essere coinvolta in modo diverso spaziando da una sacro-ileite asintomatica, all’INFIATORY BACK PAIN (che da porre in dd con la fibromialgia), ad una spondilita anchilosante classica. Nella sindrome del bypass intestinale, intervento utilizzato per la cura dell’obesità, si può presentare un’artrite generalmente episodica, poliarticolare, a carattere migrante che coinvolge principalmente le giunture periferiche e spesso è presente anche un interessamento cutaneo. Nella celiachia, che rientra nei grandi impostori della medicina perché frequenti sono le complicanze extra-intestinale che possono deviare il sospetto clinico dall’intestino, l’impegno articolare si presenta in circa il 30% dei pazienti. Si presenta come una oligoartrite sieronegativa che può essere pure simmetrica e interessare le piccole articolazioni in assenza però di alterazioni radiografiche. Risponde alla dieta priva di glutine. 14 ARTRITE REUMATOIDE È una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce prevalentemente le articolazioni e l’osso sub-condrale e talora associata a manifestazioni sistemiche, tra cui non ultimo è da considerare il tono dell’umore che ne risente sia per i caratteri propri della malattia che come vedremo risulta francamente invalidante sia perché i mediatori implicati nella stessa possono esercitare un ruolo diretto anche sulla sfera emotiva. Epidemiologia: Colpisce lo 0.46% della popolazione, prevalentemente il sesso femminile con rapporto di 4:1. L’età colpita è quella medio-giovanile e quindi avendo un decorso invalidante la malattia rappresenta un vero e proprio problema psicologico per il paziente che nel pieno della sua giovinezza si trova a dover fare i conti con quella che considerata nel complesso probabilmente rappresenta la malattia osteoarticolare più grave o tra le più gravi. Si è visto che la maggior parte dei pazienti presenta positività per ALA-DR4, DR-B10401, B10404, 10405, 10101, 10102. Questi alleli condividono una sequenza aminoacidica altamente conservata che prende il nome di epitopo condiviso. Oltre a questi alleli ultimamente si è riscontrata l’alterazione del PTPN22 che è un gene regolatore dell’attività T cellulare. In questo contesto genico alcuni soggetti sviluppano una patologia a carico primitivamente della sinovia che va incontro a iperplasia con cellule di tipo A, B, C a infiltrato linfomonocitario sotto forma di pseudo follicoli, pseudo granulomi, e a aumento dell’angiogenesi fino a assumere connotati similvasculitici. ESORDIO: Siccome la cosa migliore sarebbe iniziare la terapia il prima possibile, possibilmente entro i 3 mesi dall’esordio dei sintomi, per cercare di boccarne l’evoluzione, bisogna conoscere le modalità di esordio della malattia e quali sono gli elementi che devono far sorgere il sospetto al medico di base per inviare il paziente dal reumatologo. Nella maggior parte dei casi la malattia si manifesta in maniera graduale e insidiosa, con artralgie, accompagnate o meno da rigidità mattutina prolungata, cui segue nel giro di settimane o mesi la comparsa di segni di flogosi articolare che coinvolge più articolazioni contemporaneamente e in maniera simmetrica ed andamento centripeto e carattere aggiuntivo partendo generalmente dalle articolazioni interfalangee prossimali di mani e piedi e dirigendosi verso le grandi articolazioni (differenza del reumatismo articolare che ha carattere sostitutivo). Altre volte all’esordio non si presenta così ma o in maniera simil-polimialgica o in maniera palindromica cioè con episodi di mono-oligoartrite che durano 2-3 giorni per poi scomparire. STORIA NATURALE: può avere 3 tipologie di decorso: 1. Nel 10% dei casi è autolimitante e il decorso è definito MONOCICLICO. 2. Nell’80% dei casi un andamento LENTAMENT PROGRESSIVO 3. Nel 10% un andamento RAPIDAMENTE PROGRESSIVO CLINICA: 1. MANIFESTAZIONI ARTICOLARI: il sintomo predominante è il dolore infiammatorio e la rigidità articolare presente durante il riposo e al risveglio. La tumefazione (fusata e non a salsicciotto come quella dell’artrite psoriasica) delle articolazioni coinvolte è inizialmente 15 espressione di versamento articolare poi di ipertrofia sinoviale che può divenire persistente (panno sinoviale cronico) ed essere responsabile delle deformazioni articolari: • Dita ad asola: flessione della IFP ed estensione della IFD • Dita a collo di cigno: flessione della IFD ed estensione della IFP • Pollice a zeta • Deviazione ulnare delle dita detta “a colpo di vento” è tra le prime a realizzarsi e seguito della compromissione dell’articolazione metacarpo-falangea • Mano a gobba di dromedario e a gobba di cammello • Mano a benedicente per lussazione dorsale dell’estremità distale dell’ulna e rottura del tendine della mano, riducendo manualmente la lussazione si ha il segno del pianoforte. • In fase avanzata anchilosi in flessione del gomito • La compromissione della spalla si verifica negli stadi avanzati • L’interessamento della metatarso-falangea porta ad appianamento dell’arcata plantare e deformazione in valgismo dell’alluce così il piede assume la forma di un triangolo. Il coinvolgimento dei tendini flessori delle dita porta alla deformità a martello delle dita. A livello del tendine di achille si possono sviluppare i noduli reumatoidi e talvolta rotture spontanee. • L’articolazione tibiotarsica: tumefazione perimalleolare e periachillea e l’interessamento dei tendini può portare a pronazione o supinazione del piede. • Formazioni delle cisti di Bacher a livello del cavo popliteo il cui aumento pressorio può portare alla rottura nei piani faciali dei muscoli del polpaccio simulando una tromboflebite acuta. Possono essere coinvolti i legamenti laterali con deformità il valgo, o più raramente i legamenti mediali con deformità in varo. • Rachide cervicale: è raro ma quando presente grave: sub-lussazione posteriore e/o sacrale dell’articolazione atlanto/epistrofea 2. MANIFESTAZIONI EXTRA-ARTICOLARI: • Ghiandole lacrimali: eventuale sindrome sicca. • Cute: sono presenti i noduli di Meyent che sono di consistenza duro-elastica e adesi ai tessuti sottostanti. Istologicamente sono caratterizzati da una zona centrale di necrosi-fibrinoide circondata da fibroblasti e da una capsula di collagene. tendono a regredire nelle fasi di remissione dell’artrite ma paradossalmente possono esacercìbarsi con la tarapia con metotrexato. Altra manifestazione cutanea è la vasculite reumatoide che si può manifestare con: porpora,ulcere, infarti periungueali ecc. • Polmone: pleurite spesso asintomatica. Sindrome di caplan • Cuore: pericardite spesso asintomatica. Ateroscerosi accelerata con maggior rischio di infarto del miocardio. • Rene: coinvolto a seguito della terapia • Sistema nervoso: sindrome del tunnel carpale, del tunnel tarsale, polineuropatia sensitiva distale (per interessamento dei vasa vasorum), depressione. 16 • Manifestazioni ematologiche: ipersplenismo, splenomegalia, FR ad alto titolo accompagnato spesso da positività per gli ANA, macchie di iperpigmentazione della cute, configurano insieme all’artrite il quadro di sindrome di Felty che tra l’altro presnta un rischio molto elevato di linfoma non-hodkin. Laboratorio: • Aumento di VES (generalmente sopra i 28) e la PCR (generalmente sopra i 5mg/l), possono essere usate per valutare l’attività della malattia. • Emocromo: anemia, leucocitosi e trombocitosi • FR: non è specifico ma quasi sempre presente. Tra l’altro potrebbe aumantare anche in condizioni che presentano sovente dolori articolari come nell’epatite C da considerare per la dd. Comunque il fattore reumatoide assomiglia ma non è proprio uguale, è correlato all’insufficienza epatica. Falsa positività per il fattore reumatoide si può presentare anche nella TBC e nelle patologie che portano danno cellulare. Nell’AR il FR è un fattore prognostico importante perché più è elevato, più la malattia è erosiva. • Anticorpi anti-peptiti citrullinati: sono il marcatore più specifico di malattia • ANA: sono presenti in un terzo dei pazienti. Un titolo elevato deve indurre ad ipotizzare una connettivite sistemica. Esami strumentali: quello di primo livello è la radiografia con la quale nella prima settimana possiamo notare tumefazioni delle parti molli (specie se effettuati su pellicola mammografica si può rivelare agevolmente la tumefazione dei tessuti molli, ma non si riesce con questa metodica a differenziare tra distensione della capsula articolare ed edema extra-articolare per cui si ricorre subito all’ecografia e alla risonanza), leggera osteopenia periarticolare (altra differenza con l’artosi dove abbiamo osteosclerosi sub-condrale), frutto dell’espressione di RANCL dal parte dell’abbondante infiltrato infiammatorio, è anche aggravata dall’uso del cortisone in terapia) e riduzione dell’interlinea articolare (la riduzione dell’interlinea articolare è simmetrica a differenza per esempio di quanto avviene nelle artrosi), ma è improbabile trovare erosioni. Le erosioni costituiscono le più caratteristiche espressioni radiologiche dell’AR e dell’artrite psoriasica (ci sono anche nella sclerosi sistemica) ma mentre nel primo caso sono a margini netti (detti a morso di topo) nel secondo sono associati ad reazione ossea proliferativa. Tra l’altro altra differenza è la compromissione nella forma psoriasica delle falangi prossimali con formazione di noduli che hanno caratteristiche simili a quelli dell’artrosi. L’american college of reumatologi nel 1087 ha fatto dei criteri classificativi evidenziando 7 punti e dicendo che quando 4 di 7 erano presenti è molto probabile che il tizio abbia l’AR: 1. Rigidità mattutina persistente per almeno 1 ora 2. Artrite di 3 o più aree articolari per almeno 6 settimane nelle 14 aree più coinvolte dalla AR 3. Artrite dell’articolazione delle mani 4. Interessamento simmetrico delle articolazioni coinvolte 5. Segni radiografici: erosioni e osteoporosi sub-condrale 6. Fattore reumatoide sierico 7. Noduli reumatoidi 17 In realtà benché è vero che se un tizio che ha 4 di questi segni molto probabilmente ha l’AR, è altrettanto vero che nelle fasi precoci della malattia non necessariamente sono presenti 4 segni. Quindi oggi si ritiene che di fronte a un paziente che presenta: • 3 o più articolazioni tumefatte • Dolorabilità metacarpo-falanfgea o metatarso-falangea alla pressine latero-laterale (squeeze test) • Rigidità mattutina di almeno 30 secondi Bisogna farsi venire il sospetto di sta cazzo di AR. Terapia: in passato si utilizzava la chiriasi che erano Sali d’oro. Oggi si usano: • FANS e COX1e2 inibitori con le dovute precauzioni perché tossici x molti parenchimi • Corticosteroidi: sono potenzialmente in grado di ridurre il danno erosivo e strutturale ma a parte tutte le complicanze della terapia a livello osseo aggravano il quadro osteoporotico. Dosaggio massimo giornaliero di 0.1-0.2 mg/kg peso al giorno • Metotrexato e altri farmaci della famiglia dei DMARDs-SM 18 ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE Con questo termine ci si riferisce ad affezioni caratterizzate da artrite ad eziologia sconosciuta di una o più articolazioni che dura per più di 6 settimane e che insorge prima del 26 compleanno. Gli autori americani parlano di “artrite reumatoide infantile” quelli europei di “artrite cronica giovanile”. Nei paesi ad alto tenore di vita rappresentano le più importanti malattie reumatiche dell’infanzia e dell’adolescenza. Ne vengono distinte 6 forme chiamate anche categorie: • Artrite sistemica o morbo di still • Poliartrite sieropositiva per il fattore reumatoide • Poliartrite sieronegativa per il fattore reumatoide • Oligoartrite • Artrite psoriasica • Artrite correlata all’entesite. La prima forma insorge generalmente nella prima o seconda infanzia. Inizia con una febbre non preceduta da brivido, elevata fino a 40 gradi e spesso accompagnata da rash cutaneo evanescente. Il bambino presenta anche linfoadenosplenomegalia, leucocitosi neutrofila e anemia e il tutto dura per settimane o mesi configurando quella che è la sindrome di Wisler-fanconi. Successivamente subentra la compromissione articolare con le caratteristiche di una poliartrite con interessamento simmetrico delle grandi e piccole articolazioni a partire dalle interfalangee distali. Frequente è l’interessamento anche del rachide e dell’articolazione temporo-mandibolare. Nel complesso tutte queste articolazioni coinvolte obbligano il piccolo paziente ad assumere la posizione antalgica fetale. Complessivamente questo quadro prende il nome di morbo di STILL dal nome del pediatra che alla fine dell’800 lo mise in evidenza. A questo punto sono tre le possibili evoluzioni: • Decorso di tipo mono-fasico esaurendosi nell’arco di un tempo variabile da qualche mese a 2 anni • Decorso a pousses • Decorso cronico persistentemente attivo comportando a complicanze quali: nanismo stilliano, anchilosi articolari, fratture patologiche per l’osteoporosi, complicanze oculari di natura iatrogena, amiloidosi, profilo a uccello. La ricerca del fattore reumatoide è classicamente negativa. La poliartrite positiva per il fattore reumatoide è l’equivalente nell’età giovanile dell’artrite reumatoide e pure il decorso è simile. 19 ARTRITI TRANSITORIE E RICORRENTI: • Reumatismo palindromico • Idrarto intermittente: è una artrosinovite subacuta, più frequente nelle femmine, caratterizzata dalla comparsa periodica, e a intervalli sempre uguali in ciascun soggetto, di un versamento articolare che - nella maggioranza dei casi - coinvolge l'articolazione di un ginocchio. La durata di questi episodi è di circa 20 giorni, senza segni di coinvolgimento sistemico. Patologia a eziologia sconosciuta, guarisce - talora - dopo anni di recidive, intervallate da periodi di remissione di variabile durata, o può perdurare a vita, con la tipica cadenza episodica. Il trattamento, aspecifico e sintomatico, consiste in infiltrazioni di cortisonici locali in occasione di ogni acuzie, ma non previene le ricadute. • Sinovite transitoria dell’anca • Febbre mediterrane familiare. 20 CAPITOLO 2 - CONNETTIVITI Sono patologie caratterizzate da coinvolgimento sistemico cioè multi-organo, accomunate da alcune caratteristiche quali l’eziologia multifattoriale, la patogenesi autoimmune, la presenza di determinati anticorpi, la prevalenza per il sesso femminile (salvo poche eccezioni) e il decorso caratterizzato da fasi di remissione riacutizzazione. A volte possono presentare tratti sintomatologici in comune come il fenomeno di Reynauld. Il termine di connettiviti fu utilizzato per la prima volta nel 1940 da Paul Klemperer. Comprendono: • LES • Sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi • Sindromi sclerodermiche • Miositi • Sindrome di Sjogren • Sindromi da overlap o sovrapposizione per esempio o Sindrome RHUPUS (artrite reumatoide+LES) o SCLEROLUPUS (sclerodermia+LES) • Conntettiviti indifferenziate: sono connettiviti lievi che si caratterizzano per l’assenza di impegno d’organo severo (in particolare renale e neurologico) in associazione della positività confermata in almeno 2 rilevazioni a distanza di 8 settimane, degli anticorpi antinucleo. possono rappresentare la fase di esordio di altre connettiviti ma nella maggior parte dei casi rimangono tali e hanno un’ottima prognosi in termini di sopravvivenza e qualità della vita. • Policondriti recidivanti • La fascite eosinofila 21 CAPITOLO 3- LES È il prototipo delle malattie autoimmuni sistemiche. Colpisce prevalentemente le giovani donne dai 15 e i 40 anni con un rapporto F:M di 6-10:1. La prevalenza varia da 0.1 a 1 su 1000 a seconda della zona geografica essendo maggiore negli afro-caraibici e minore nei caucasici. Eziopatogenesi è multifattoriale: ambiente+genoma. Si è vista forte associazione tra LES e HLA-DR2 e HLA-DR3. Inoltre si è visto che soggetti che hanno deficit del complemento (in particolare di C4A) sono predisposti all’insorgenza del LES forse perché eliminano poco gli immunocomplessi e le cellule apoptotiche che sarebbero costantemente esposte al sistema immune. Il ruolo degli estrogeni è eclatante vista la predilezione della malattia per le donne in età fertile, ciò è dovuto al fatto che gli estrogeni stimolano il sistema immunitario. Inoltre i pazienti maschi affetti hanno spesso bassi livelli di testosterone e i pazienti con Klineferter sono più propensi a sviluppare la malattia. Ne esistono diverse forme di lupus eritematoso: o LES o Lupus associato a deficit del complemento o Lupus indotto da farmaci: da idralazina o LED o Lupus cutaneo sub-acuto o Lupus neonatale La prognosi di questa malattia si è modificata radicalmente negli ultimi 50 anni e oggi a dieci anni dalla diagnosi l’80-90% dei pazienti è vivo. Tale miglioramento è correlato da un lato alla diagnosi precoce e dall’altro alla terapia immunosoppressiva. Molti studi hanno rilevato che nei primi 5 anni le principali cause di morte dei pazienti sono costituite dall’attività della malattia e dalle infezioni secondarie all’intensa terapia immunosoppressiva. Dopo i 5 anni invece le principali cause di morte sono le patologie cardiovascolari (dovuta all’aterosclerosi accelerata in questi soggetti), i tumori e il danno renale. Il LES è caratterizzato da spiccato polimorfismo clinico. L’esordio è subdolo comprendendo a volte febbricola,astenia ed eritema cutaneo del viso. Il decorso si caratterizza per fasi di attività e fasi di remissione. Può coinvolgere diversi organi e apparati e questi possono essere coinvolti sia dall’attività della malattia sia secondariamente al trattamento. Manifestazioni costituzionali: astenia, febbre e calo ponderale più frequenti all’esordio e nelle fasi di riaccensione. Manifestazioni muco-cutanee: sono state classificate da ghillian in • Forme specifiche o Acute: rash malare detto a farfalla, spesso scatenato dall’esposizione al sole. È di breve durata (ore o quache giorno) e scompare con completa restitutio ad integrum. 22 o Subacute: si ha nella fase iniziale un piccolo elemento eritematoso che a poco a poco si accresce e ne spuntano altri che si comportano nella stessa maniere e a secondo di come si dispongono determinano le varianti: papulo-squamosa e anulare-policiclica. Si localizza al tronco e agli arti superiori, risparmiando tipicamente il volto. Si associano ai RoSSA. o Croniche: LED nelle sue varietà classica, verrucosa, tumida, erosiva, con panniculite. • Forme aspecifiche: o Vasculiti: interessa sia i piccoli vasi dermici che i più grossi localizzati nel tessuto adiposo sottocutaneo. L’interessamento delle arteriole del derma superficiale determina piccoli infarti dell’eponichio. L’interessamento delle venule post-capillari del derma superficiale si esprime con orticaria-vasculite (comparsa di pomfi per più di 48 ore con componente purpurica) e porpora palpabile. L’interessamento dei vasi più grossi determina ulcere croniche, livedo reticularis, noduli sottocutanei e gangrena periferica. o Alopecia non cicatriziale, e cicatriziale nelle forme con LED. Altra manifestazione è la LUPUS HAIR in cui in fase di riacutizzazione si possono osservare capelli sottili e indeboliti. o Alterazioni della pigmentazione o Sclerodattilia o Calcinosi cutanee Nel LES il quadro cutaneo può simulare quello della dermatomiosite dove però generalmente prevale un edema cutaneo duro con tonalità violacea. Sistema muscolo scheletrico: • Artrite simmetrica che interessa piccole articolazioni delle mani, polsi e ginocchia. A differenza dell’AR non è erosiva, non si associa alla comparsa di deformità eccezion fatta per alcuni pazienti con la cosiddetta forma di Jaccoud in cui però le deformazioni sono riducibili. • Nel 10% dei pazienti osteonecrosi della testa del femore forse dovuta ai corticosteroidi o alla vasculite. • Mialgie e debolezza muscolare soprattutto nelle riacutizzazioni e all’esordio. Rene: la classificazione dell’OMS distingue 6 tipi di nefrite lupica, la proliferativa diffusa è la più frequente e purtroppo la più grave. Sistema nervoso: in prima battuta mi soffermerei sul tono dell’umore infatti il professore lo gullo ha sottolineato come una sindrome ansioso depressiva può essere tra i quadri di esordio della malattia. Altre manifestazioni a carico del Sn possono essere cefalea, convulsioni, accidenti cerebro-vascolari. Apparato cardiovascolare: bisogna ricordare che il LES potrebbe esordire con una pericardite che tra l’altro è la più comune manifestazione cardiovascolare, a volte anche asintomatica. Altra manifestazione è l’endocardite di Libman Sacs. E poi la cosa forse più importane e che ho già accennato è l’accelerata aterosclerosi. 23 Apparato respiratorio: anche qui la prima cosa da attenzionare è la pleurite che potrebbe rappresentare un quadro di esordio. Poi altre manifestazioni sono la polmonite non infettiva, la sindrome del polmone coartato e l’embolia polmonare. Fegato: basti pensare a Waldestrom che parlò per primo di epatite autoimmune negli anni 50 associandola al LES, infatti la chiamò epatite lupica. Apparato gastrointestinale: la cosa più temibile è una vasculite intestinale. Occhio: danno retinico da essudati cotonosi. Iter diagnostico: 1. anamnesi, 2. EO, 3. dati laboratoristici: • emocromo: anemia, LEUCOPENIA, PIASTRINOPENIA. • Aumento di VES e PCR, solo quest’ultima è veramente correlata allo stato di attività della malattia • Deficit del complemento nelle forme a questo correlate • Aticorpi: o ANA: sono caratteristici ma non specifici. Gli ANA contro gli istoni e quelli a pattern punteggiato sono più frequenti in quello indotto da farmaci. o Anti dsDNAsono tra i più frequenti e specifici e tra l’altro generalmente depongono per un impegno renale e si incrementano nelle fasi di riacutizzazione o Anticorpi anti fosfolipidi o Anticorpi contro antigeni estraibili (ENA): anti antigene Sm sono rari ma hanno specificità quasi del 100%; anticorpi anti-RNP si associano alle forme con fenomeno di Reynoud; anti Ro-SSA sindrome sicca, lupus cutaneo subacuto, lupus neonatale; anti La-SSB sindrome sicca e cutaneo subacuto. 4. strumentali 5. bioptici: renale e lupus-band test. Criteri diagnostici: nel 1997 l’american college of reumatologi ha stilato una classifica di 11(come i giocatori di calcio) manifestazioni cliniche di cui se ne sono presenti 4 possiamo fare diagosi: 1. rash malare 2. fotosensibilità 3. rash discoide 4. artriti non erosive interessanti 2 o più articolazioni periferiche 5. disturbi renali 6. ulcere orali e nasofaringee di solito indolenti 7. sierositi: pleuriti e pericarditi 8. disturbi neurologici 9. disturbi ematologici 10. disturbi immunologici 11. anticorpi antinucleo 24 CAPITOLO 4- SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI Anche detta sindrome di Huges, è caratterizzata da trombosi e/o patologie della gravidanza che si manifestano in soggetti che presentano anticorpi anti-fosfolipidi circolanti. La malattia è stata evidenziata in tutte le popolazioni studiate, è più frequente nelle giovani donne ma nulla vieta che possa insorgere anche in età più avanzata. La malattia può presentarsi o in forma primitiva o secondaria ad altre patologie auto-immuni come il LES. Nella patogenesi un ruolo importante è svolto dagli anticorpi contro i fosfolipidi che però necessitano anche di altri fattori non del tutto inquadrati, ma almeno in via ipotetica potrebbero essere rappresentati da condizioni di trombofilia geneticamente determinate, disturbi metabolici, patologie infiammatorie ed infettive. Il ruolo degli aPL nella patogenesi della patologia ostetrica non si limita ai soli meccanismi trombotici, ma sicuramente interverrà anche un danno diretto alla placenta. I quadri clinici in ordine di frequenza sono rappresentati da: o trombosi venosa profonda: in realtà la trombosi potrebbe verificarsi in qualsiasi organo o apparato. Però sicuramente più frequente a livello degli arti inferiori. Manifestazioni molto più rare ma degne di nota per la gravità sono gli infarti ovarici e testicolari, necrosi prostatica e colecistite acalcolosa, rottura esofagea, pancreatite trombosa e altri ancora. o livedo-reticularis o stroke o patologia gravidica: uno o più aborti che senza causa nota si verificano dopo la 10 settimana; tre o più aborti senza causa nota che si verificano prima della decima settimana; parti prematuri. Iter diagnostico: 1. anamnesi 2. esame obiettivo 3. esami laboratoristici: è comune la piastrinopenia (nel 25% dei pazienti) generalmente non grave. Gli anticorpi antifsfolipidi rappresentano il marcher di questa forma morbosa, ma il loro rilevamento non significa necessariamente che il tizio ha la sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Inoltre bisogna precisare che non si tratta di un singolo tipo di anticorpi, ma ce ne sarebbero una caterba, alcuni meno specifici come quelli contro la cardiolipina che sono positivi nella sifilide, in alcune malattie croniche, nelle epatiti, altri più specifici come il LAC e gli anti beta2GPI. 4. esami strumentali durante le manifestazioni trombotiche. La diagnosi di APS è giustificata quando , secondo i criteri di Sidney (come quelli delle gastriti)è presente almeno un criterio clinico (trombosi o patologia della gravidanza) e la positività per almeno un tipo di anticorpo. Quest’ultimo deve risultare positivo in due o più occasioni ad almeno 12 settimane di distanza. Cenni di terapia: contrariamente alle altre malattie autoimmuni non viene trattata con immunosoppressori ma con anticoagulanti. Per la patologia della gravidanza sono stati a lungo 25 usati i corticosteroidi pur senza evidenze circa la loro utilità. Sembra invece che l’aspirinetta possa sortire buoni risultati. 26 CAPITOLO 5- SINDROMI SCLERODERMICHE Sono malattie del collagene. È caratterizzata da eccessiva formazione di tessuto connettivo fibroso ialino che causa fibrosi vascolare e peri-vascolare con danni ischemici dei tessuti colpiti. tre volte più frequenti nelle donne che negli uomini, interessano soprattutto le donne di età media (dai 20 ai 40 anni) o avanzata. L’eziopatogenesi multifattoriale: concorrono predisposizione genetica (polimorfismi genici del TGF-beta e alfa e antigeni di istocompatibilità), più fattori ambientali (infezioni da virus, esposizione al cloruro di vinile e alla silice). Entrambi sarebbero responsabili del danno ai capillari e della disregolazione del sistema immune che porterebbe a produzione di autoanticorpi e a produzione di citochine stimolanti la fibrillo genesi (anche alcuni anticorpi prodotti possono stimolarla). Ne esistono diverse forme che secondo la classificazione presente nel libro e propostaci a lezione vede: • sclerosi sistemiche • sclerodermia circoscritta: o morfea: lesione rotonda di colorito violaceo all’inizio, biancastro in seguito, circondata da un alone violaceo detto liliac ring. Il fatto che la lesione sia circoscritta alla cute non significa che necessariamente deve essere singola, infatti possono essere numerose e piccole ste morfee e si parla di forma guttata. o Sclerodermia lineare: lesione unica profonda che che lede le strutture sottostanti e in sede frontale prende il nome di EN COUPE DE SABRE cioè colpo di sciabola. • sindromi sclerodermiche da agenti ambientali e chimici • fascite diffusa con o senza eosinofilia • sindrome eosinofilia-mialgia • altre forme: scleredema acuto di Brusche (pensa al professore bruschetta), scleredema cronico, scleromixedema. La sclerosi sistemica è la forma su cui ci soffermiamo maggiormente. Se ne distinguono 2 forme: o evoluzione lenta anche detta “sclerosi cutanea limitata” (lcScS) o evoluzione rapida anche detta “sclerosi cutanea diffusa” (dcScS) Nella prima l’obiettività comincia in corrispondenza delle dita delle mani con il fenomeno di Reynoud cui segue una sclerosi che può esitare in un’impotenza funzionale. A questo si associano alterazioni a carico di altre strutture e sono state evidenziate varie sindromi come la REST (reynoud, esofagopatia, sclerosi cutanea e teleangectasie) e la CREST che differisce da quella di prima solo perché in più presenta la calcinosi. La sclerosi che inizia a livello delle dita della mano (mano ad artiglio), si estende a poco a poco negli altri distretti cutanei. Si distinguono 3 fasi evolutive dell’interessamento cutaneo: fase edematosa, fase sclerotica e fase atrofica. A livello del volto determina: scomparsa dei solchi e perdita dell’espressività (facies amimica), caratteristico naso affilato, bocca di pesce per riduzione della rima labiale (microcheilia) e conseguentemente è ridotta l’apertura della bocca (microstomia). Comunque non in tutti i pazienti si verificano questi abbondanti fenomeni sclerotici, e il 7% addirittura di sclerosi non ne presenta completamente e si parla di “sclerodermia sine scleroderma”). 27 Le teleangectasie che hanno sede soprattutto al viso, alle mani e ai piedi. Le atre manifestazioni cutanee: la melanodermia, la pseudo-vitiligo, le calcificazioni intra e sottocutanee. Nella seconda forma (evoluzione rapida) la sclerosi inizia spesso in corrispondenza del tronco e si diffonde alle cosce, alle braccia e raramente al volto e alle mani cioè questi mano a artiglio e tutte le alterazioni del viso non se le fanno. Il fenomeno di Reynoud può essere assente, mentre la compromissione degli organi interni è più estesa e grave. Il danno parenchimale interno comunque può essere presente in entrambi e i distretti più coinvolti sono: o esofago: disfagia e pirosi retro-sternale o polmoni: fibrosi interstiziale o cuore: generalmente il cuore risulta compromesso dall’ipertensione sistemica e da quella polmonare (cuore polmonare), comunque è possibile anche un quadro di fibrosi miocardica. o reni: il coinvolgimento vero e proprio si ha nelle forme a evoluzione rapida in cui si può sviluppare un’ipertensione maligna o Articolazioni: l’artropatia si manifesta nell’80-90% dei pazienti e a volte rappresenta la manifestazione di esordio. Si tratta spesso di una poliartrite con caratteristiche simili a quella dell’AR (riduzione della rima intra-articolare, erosioni, osteoporosi iuxta-articolare) solo che qui la cellularità del liquido sinoviale è così bassa (sotto i 2000/mmc) che l’artropatia non si potrebbe di regola ascrivere tra le artriti. Inoltre un reperto caratteristico è quello della acro-ostelisi delle falangi distali su base ischemica. o Muscolo: si possono realizzare tre quadri di miopatia: 1. Da disuso 2. Miopatia primitiva caratterizzata da astenia muscolare prossimale e da elevazione lieve degli enzimi muscolari. A differenza della polimiosite all’esame elettromiografico non ci sono segni di denervazione. Il quadro istologico è quello di un processo infiammatorio con infiltrazione di cellule mononucleari e processi di fibrosi. 3. Polimiosite definita in overlap. Iter diagnostico: è chiaro che di fronte a un paziente che presenta il quadro di compromissione multi organo che ho delineato non ci vuole un luminare della medicina per fare diagnosi. Ma noi la diagnosi la dobbiamo fare prima che succeda tutto questo. Il primo fenomeno come ho già detto è spesso quello di Reynoud termine con cui ci si riferisce a una condizione in cui le zone acrali, generalmente le mani ma raramente anche il naso e le orecchie vanno incontro a fenomeni ischemici a seguito di uno stimolo termico o emotivo e caratteristicamente cambiano colore nella sequenza: bianco (vasocostrizione), blu (occlusione delle venule), rosso (vasodilatazione). Il fenomeno di reynoud potrebbe essere primitivo e in quanto tale espressione solo di una esagerata risposta vasomotoria, oppure potrebbe essere secondario a un’insufficienza arteriosa delle estremità causata da diverse condizioni tra cui le connettiviti (tra cui il LES e la sclerodermia), l’aterosclerosi e il morbo di Burger, neoplasie, farmaci, patologie occupazionali. Già all’anamnesi ci dobbiamo insospettire sulla natura secondaria del fenomeno se il paziente (generalmente donna) 28 riferisce di non aver mai sofferto del fenomeno prima dei 30 anni. ma non ci dobbiamo fermare al reperto anamnestico e seguendo il concetto prima affermato, secondo cui un fenomeno di reynoud primitivo presenta vasi anatomicamente normali mentre in quello secondario i vasi non lo sono, tra i primi esami da far fare al paziente mettiamo la capillaroscopia periungueale che in un soggetto col fenomeno primitivo metterà in evidenza un letto normale con i vasi orientati a “mo di pettine” (espressione di Lo Gullo), in un soggetto con la sclerodermia invece vedremo: edema interstiziale, ectasie, megacapillari, ridotta densità vasale, neoangiogenesi. Se la neoangiogenesi è scarsa tra l’altro vuol dire che la malattia è più aggressiva. Inoltre con l’iniezione endovenosa di fluoresceina notiamo un’altra differenza: la permeabilità vascolare è aumentata perché la fluoresceina passa nell’interstizio. L’alterazione della permeabilità è tra i reperti più precoci in assoluto. Esami di laboratorio: o nelle fasi iniziali la cosa che devo chiedere sono gli anticorpi specifici (ANA specifici): • se gli ANA sono negativi chiedo pure il FR e in caso di positività di questo mi oriento per una AR • se gli ANA sono positivi vedo che tipo di ANA sono: 1. anticorpi anticentomero: mi oriento verso una forma a evoluzione lenta (lcSCS) 2. anti pm-Scl: mi oriento verso una forma con polimiosite in overlap 3. anti topo isomerasi, antiRNA polimerasi, anti fibrillarina : mi oriento per una dcScS con impegno polmonare (anti-topoisomerasi), renale (anti-RNA polimerasi), cardiaco (anti-fibrillarina) esami strumentali: mirati a evidenziare le varie compromissioni d’organo. 29 CAPIRTOLO 6 - MIOPATIE INFIAMMATORIE NON INFETTIVE Polimiosite/dermatomiosite, sono delle patologie infiammatorie non in fettive del muscolo. Rientrano nella classificazione delle connettiviti/vaculiti. E sono presenti diverse entità cliniche. Classificazione delle entità cliniche: nell’unireuma le classifica in: 1) PM dell’adulto (50% dei casi) 2) DM dell’adulto (20%) 3) DM dell’età pediatrica 4) Miosite da corpi inclusi 5) Forma associata a neoplasie maligne (10%) 6) DM amiopatica (c’è solo il rush, mentre non c’è l’interessamento muscolare) Queste varie entità possono essere sia primitive che secondarie al altre patologie di diversa natura tra cui spicca la sclerosi sistemica (overlap sindrom) Epidemiologia: sono delle malattie rare, che colpiscono di più le donne in età giovanile o in età adulta. Eziologia multifattoriale: Patogenesi: il danno tissutale sembra essere mediato da meccanismi immunologici. a) Nella Dermatomiosite i capillari sembrano essere il principale bersaglio. Il microcircolo è attaccato dagli anticorpi e dal complemento, che danno origine a focolai di necrosi miocitaria ischemica. b) La Polimiosite al contrario sembra essere provocata da un danno miocitario cellulomediato. c) La patogenesi della miosite a corpi inclusi è meno conosciuta. DERMATOMIOSITE Come indica il nome, i pazienti affetti presentano un interessamento a carattere infiammatorio della cute e del muscolo scheletrico. Cute: c’è un peculiare esantema cutaneo (rush) che può anche precedere le manifestazioni muscolari. a) Tipicamente il rush localizza a livello delle palpebre superiori (eritema eliotropico). b) tipica facies di Alabastro: cioè al volto e al collo c’è un edema duro e non compressibile. c) A livello dei polpastrelli la cute si può rompere o fissurare (mano da meccanico); d) A livello periungueale sono frequenti fenomeni di tipo vasculitico con microemorragie (lesioni puntiformi nerastre) e teleangectasie e) Sulla superficie estensoria delle metacarpo-falangee (nocche delle mani) e delle interfalangee prossimali si hanno le cosiddette papule del Gottron f) Sulla superficie estensoria delle ginocchia, dei gomiti e delle caviglie si ha il segno di Gottron; g) Nel 50% dei casi è riportato il fenomeno di Raynaud Muscolo: la debolezza muscolare si instaura lentamente, è simmetrica, è spesso accompagnata da mialgie e tipicamente colpisce il cingolo pelvico e scapolare. Di conseguenza, compiti come alzarsi dalla sedia e salire le scale diventano via via più difficoltosi. Nelle fasi più avanzate i pazienti non riescono più a vestirsi da soli e neanche a pettinarsi. 30 I movimenti più fini, controllati dai muscoli distali, sono interessati solo nelle fasi più avanzate della malattia. Sintomi sistemici: ovviamente l’astenia, perché c’è il coinvolgimento dei muscoli. Altri organi: in alcuni casi possono essere presenti manifestazioni extra muscoloari ( e già questa è una malattia sistemica) - In 1/3 dei pz si manifesta disfagia per il coinvolgimento della muscolatura orofaringea ed esofagea. Sono invece risparmiati i muscoli oculo-motori. - Polmoni: interstiziopatia ad evoluzione lenta. Inoltre possono essere colpiti i muscoli della respirazione. - Cuore: aritmie o miocardite - Tubo digerente: raramente si può avere la perforazione intestinale, imputabile alle vasculiti che possono essere responsabili di un infarto intestinale - Rene: sindrome nefritica e/o nefrosica. - Articolazioni: È raro il coinvolgimento articolare; l’artrite è solitamente non erosiva - Rispetto alla popolazione generale, i pz con DM hanno un rischio aumentato di sviluppare una neoplasia maligna (fino al 40% dei pz adulti ne è affetto!) L’evoluzione del quadro clinico è molto variabile: ci sono casi che tendono alla risoluzione spontanea, ma più spesso la malattia tende a cronicizzare, con aggravamenti. In altri casi infine l’evoluzione è rapida e drammatica verso un interessamento generalizzato della muscolatura scheletrica, compresa quella respiratoria, rendendo quindi necessarie misure terapeutiche d’emergenza. - La dermatomiosite giovanile ha un esordio simile per quanto riguarda le manifestazioni cutanee e muscolari. In questi casi c’è un + frequente interessamento del tubo intestinale con possibile perforazione e la calcinosi. POLIMIOSITE Il quadro delle manifestazioni muscolari è simile; come simili sono gli interessamenti agli altri organi. Le differenze salienti con la DM sono: 1) Assenza delle manifestazioni cutanee e 2) Incidenza principalmente nell’adulto. MIOSITE A CORPI INCLUSI A differenza delle due entità precedenti, la miosite a corpi inclusi esordisce con l’interessamento dei muscoli distali, soprattutto gli estensori del ginocchio (quadricipite) e flessori di polso e dita. Inoltre la debolezza muscolare può essere asimmetrica. Si manifesta dopo i 50 anni. Diagnosi: la diagnosi delle miositi infiammatorie non infettive si basa: 1. anamnesi e EO 2. sull’elettro-mio-grafia 3. laboratorio: livelli sierici degli enzimi muscolari come il CK-MM (creatin chinasi del muscolo) o l’LDH. Gli autoanticorpi sono dimostrabili in tutte le Miositi: gli ANA sono positivi ma aspecifici. È stata descritta una categoria ben precisa di autoanticorpi, non appartenenti alla famiglia degli ANA, che è miosite specifica di cui l’Ab più noto è l’anti Jo1. 31 4. E sulla biopsia. Per la diagnosi definitiva è necessaria la biopsia. 5. Indagare eventuali patologie neoplastiche sottostanti soprattutto nella dermatomiosite. Terapia: la terapia immunosoppressiva è efficace nella dermatomiosite e nella polimiosite. 32 CAPITOLO 7 - SINDROME DI SJOGREN La sindrome di Sjogren rientra tra le connettiviti tra l’altro è una delle più frequenti. Rapporto F:M= 9:1. Picco d’incidenza nell’età fertile (come nel LES) Definizione: malattia autoimmunitaria sistemica che colpisce principalmente le ghiandole a secrezione esocrina. I bersagli preferiti sono le ghiandole salivari (xerostomia) e le ghiandole lacrimali (xeroftalmia – cherato-congiuntivite secca), caratteristiche che giustificano la dizione “sindrome sicca”. Eziologia: al solito è multifattoriale: sono contemplati al solito - fattori genetici (HLA B8 e DR3); associazione familiare - fattori esogeni: forse infezioni virali come Epstein-Barr o virus dell’ Epatite C: - fattori ormonali: perché insorge nelle donne in età riproduttiva (come LES) Patogenesi: autoimmunitaria. Il pattern anticorpale è questo: - ANA + nella maggior parte dei pz. - gli auto anticorpi anti SS-A (Ro): quasi tutti sono positivi. Tuttavia questi sono poco specifici: pensa che circa il 40% di quelli che hanno il LES ce l’hanno positivi; - gli auto anticorpi anti SS-B (La): non sono presenti in tutti i pz cn Sjogren, ma sono più specifici: cioè non si trovano quasi mai in altre patologie - nel 60-70% c’è il fattore reumatoide La patogenesi autoimmune è testimoniata dell’anatomia patologica; microscopicamente nei tessuti colpiti c’è un infiltrato focale mononucleato (linfociti, macrofagi, plasmacellule). Classificazione: distinguiamo una forma primaria da una forma secondaria: - forma primaria: quando si presenta isolata; - Forma secondaria: quando è associata ad un’altra malattia autoimmunitaria; le associazioni più frequenti sono con: LES e sclerosi sistemica (overlap sindrom o sindromi da sovrapposizione) e con l’artrite reumatoide. Clinica: nella maggior parte dei casi il decorso della sindrome di Sjogren è benigna con lenta evoluzione nel tempo. Le manifestazioni cliniche possono essere locali (cioè ghiandolari) ed extra-ghiandolari. Coinvolgimento ghiandolare: Occhio: si ha la cherato-congiuntivite secca che produce la sensazione da corpo estraneo, bruciore, fotofobia. Il pz và dall’oculista per questi sintomi e non perché si sente l’occhio secco. Ovviamente sono dei sintomi aspecifici, cioè potrebbero essere legati a qualsivoglia patologia. Il test più usato per valutare la secrezione lacrimale è il test di Schirmer: si mette una piccola striscia di carta bibula nel canto esterno del fornice congiuntivale inferiore e la si lascia per 5 minuti. Se l’imbibizione lacrimale è <5mm il valore è patologico. Bocca: qua invece il pz avverte chiaramente la secchezza, e quindi deve bere spesso. Può riferire anche bruciore del cavo orale, lingua secca con perdita di papille gustative che comporta diminuzione del gusto (disgeusia). Inoltre il rischio di infezioni è maggiore (candidosi orale), il rischio di carie è maggiore (edentulia precoce), la deglutizione è più difficile (disfagia). 33 Ghiandole salivari: la caratteristica della flogosi è la tumefazione delle parotidi, delle gh. Sottolinguali e sottomandibolari, che caratteristicamente è episodica e ricorrente, è associata a dolore locale e può essere mono- o bi- laterale. In effetti è favorita anche la formazione di calcoli, quindi il dolore potrebbe essere anche dovuto a questo. Se la tumefazione diventa dura, cronica, non dolente, ti spaventi che gli è venuto un linfoma e gli fai gli accertamenti del caso. Esiste un test, la scialometria, che valuta il flusso salivare globale. Il povero disgraziato deve restare per 15 min con la bocca aperta e gli raccogli la saliva in una provetta. Se è <1.5 ml è patologico. Inoltre per documentare la scialo-adenite (cioè l’infiammazione della ghiandola, sono tutte prove aspecifiche, che ci dicono che c’è una compromissione della ghiandola, una sua infiammazione, non certo ci dicono questo ha la S. di Sjogren!) possiamo fare al pz la scialografia parotidea (un esame radiografico con m.d.c.) e la scintigrafia. Altre ghiandole: - del naso: rinite ed epistassi; - della trachea: xero-trachea con tosse secca - delle gh. sudoripare: prurito - della vagina: prurito, infezioni locali, dispaurenia - pancreas esocrino: malassorbimento - stomaco: meno muco gastrico quindi gastrite. Manifestazioni extra-ghiandolari: questo è dovuto sia ad un coinvolgimento: - peri-epiteliale con infiltrato analogo a quello osservato nelle ghiandole (es. interessamento epatico o nefrite interstiziale), che ad un coinvolgimento - extra-epiteliale, cioè causato dalla deposizione di IC e sono quelle prognosticamente più gravi. (es. glomerulo nefrite, neuropatia periferica, porpora). - linfoma non-Hodgkin a cellule B della zona marginale (MALT-linfoma): il rischio è 30-40 volte rispetto alla popolazione generale. La sede più colpita è quella delle ghiandole salivari Andiamo nel dettaglio: - manifestazioni sistemiche: sono frequenti: febbricola, astenia, malessere generale; - Polmoni, cuore e fegato: raramente coinvolti - Cute e microcircolo: bersaglio frequente: la lesione più classica è la porpora palpabile su base vasculitica dovuta alla deposizione di IC; il fenomeno di Raynaud è molto comune e spesso è presente all’esordio - Articolazioni: possiamo avere atralgie (anzi atro-mialgie) oppure anche franche artriti: queste possono essere transitorie/intermittenti, oppure croniche poli-articolari similreumatoidei. Tuttavia l’artrite non è mai erosiva. - Neuropatia periferica: è uno degli interessamenti più significatici. È il risultato della vasculite ed è una neuropatia neuro-sensoriale. - Rene: ci può essere una nefrite interstiziale oppure una gromerulonefrite da IC - Sangue: anemia della malattie croniche (normocromica normocicita) 34 Diagnosi: non esistono criteri diagnostici codificati. Questa dipende dal raccogliere informazioni dalla visita clinica, da quei test della salivazione e della lacrimazione visti, dalla diagnostica per immagini che ci fa vedere il coinvolgimento dei vari organi, dal laboratorio per gli anticorpi e dalla biopsia. La biopsia fornisce la maggiore specificità diagnostica, dove è presente l’infiltrato mononucleato focale. La biopsia si conduce a livello delle gh. salivari minori sul labbro inferiore. Prognosi: il decorso in genere è benigno, sebbene la presenza di patologie vasculitiche da IC possano rappresentare un elemento prognosticamente sfavorevole. Il rischio maggiore di morte è rappresentato dal linfoma. Terapia: per l’occhio dai le lacrime artificiale; per la bocca non è così semplice trovare un sostituto della saliva. Il pz deve avere un ottima igiene orale. Se ha artralgie o artiti usa i FANS. Per il trattamento delle manifestazioni extraghiandolari immunosoppressioni, ma con cautela perché c’è un rischio in più per l’insorgenza di linfomi. 35 CAPITOLO 8 – VASCULITI Infiammazione dei vasi sanguigni, spesso segmentale, che può essere generalizzata o localizzata e costituisce il processo patogenetico di base delle lesioni di varie malattie e sindromi reumatiche. Anatomia patologica La vasculite riconosce numerosi meccanismi eziologici, ma la gamma delle alterazioni istologiche è limitata. Nelle lesioni acute la componente cellulare infiammatoria è costituita prevalentemente da PMN e nelle lesioni croniche da quella linfocitaria. L'infiammazione è spesso segmentale con foci sparsi di intensa flogosi e con il resto dell'albero vascolare normale. Si possono notare gradi variabili di infiltrazione cellulare, di necrosi e di fibrosi cicatriziale in uno o più strati della parete vasale dei siti affetti. L'infiammazione della tunica media di un'arteria muscolare tende a distruggere la lamina elastica interna. L'infiammazione di qualsiasi punto della parete vascolare si risolve con la fibrosi e l'ipertrofia dell'intima. Talvolta è possibile osservare aspetti istologici caratteristici, quali p. es., numerose cellule giganti, zone non uniformi di necrosi fibrinoide, in cui sezioni complete della parete vascolare sono andate incontro a distruzione e a liquefazione. L'occlusione secondaria del lume, dovuta all'ipertrofia dell'intima e/o alla formazione di un trombo è frequente. Inoltre, una volta lesa l'integrità della parete vascolare, la fibrina e i GR possono infiltrare il tessuto connettivo circostante. Può essere interessato un vaso di qualsiasi tipo e grandezza: arterie, arteriole, vene, venule e capillari. Comunque, la maggior parte dei processi fisiopatologici può essere ascritta all'infiammazione arteriosa, che è in grado di condurre all'occlusione parziale o totale dei vasi e alla necrosi tissutale conseguente. Poiché la vasculite è spesso segmentale o focale, la biopsia di un tessuto clinicamente sospetto potrebbe non dare una diagnosi istologica definitiva. Tuttavia, la reazione fibrosa periavventiziale e dell'intima a un focolaio di intensa infiammazione della parete vasale, frequentemente si estende al di sopra e al di sotto del segmento stesso, sicché il dato istologico di una fibrosi e di un'iperplasia dell'intima o di una perivasculite, può suggerire la presenza di una zona adiacente di vasculite. Classificazione Le numerose malattie vasculitiche sono utilmente classificate in base alla grandezza e alla profondità del vaso principalmente colpito. (classificazione del 1992 delle vasculiti proposta dalla Chapel Hill Consensus Conference) VASCULITI DEI VASI DI GROSSO CALIBRO • • Arterite di Horton (arterite temporale a cellule giganti) Arterite di Takayasu VASCULITI DEI VASI DI MEDIO CALIBRO • • Panarterite nodosa Malattia di Kawasaki 36 VASCULITI DEI VASI DI PICCOLO CALIBRO • • • • • • Granulomatosi di Wegener (granulomatosi con poliangioite) Sindrome di Churg-Strauss Poliangioite microscopica (o micropoliarterite) Porpora di Schönlein-Henoch Vasculite da sindrome crioglobulinemica Angioite leucocitoclastica cutanea La profondità delle lesioni è determinata da quanto il processo si estende in direzione viscerale a partire dai tegumenti. La Tab. elenca alcuni dei disordini vasculitici in base al tipo di infiammazione e alla presentazione clinica. Malattia o Disordine Tipo di infiammazione Presentazione clinica Sindrome di Henoch- Infiammazione prevalente Porpora palpabile Schonlein, setticemia da della venula post-capillare con Pseudomonas, vasculite infiltrazione neutrofila che indotta da farmaci conduce al tipico aspetto istologico di angite leucocitoclas tica Eritema nodoso Infiammazione vascolare del Papule rosse, dolenti, pannicolo dermico profondo, profonde, indurate sulle mediata prevalentemente da braccia e sulle gambe linfociti settali perivascolari Poliarterite nodosa Infiammazione delle arterie Febbre, malessere, ulcere muscolari di medio calibro con cutanee necrotiche, perdita di caratteristiche istologiche di peso, mononeurite multipla o un infil trato pleomorfo una catastrofe vascolare transmurale, necrosi fibrinoide, distruzione della lamina elastica interna e for mazione di aneurismi postinfiammatori Arterite temporale Infiammazione largamente Grave cefalea confinata all’albero carotideo extracranico e associata con un infiltrato linfocitico e la formazione di cellule giganti aggregate intorno alla parte luminale della lamina elastica interrotta Arterite di Takayasu Infiammazione dei grandi vasi Perdita dei polsi principali con centrali (p.es. aorta e le sue o senza ipertensione da branche), mediata occlusione dell’arteria renale 37 principalmente da infiltrazione linfocitica dell’avventizia o della media e formazione di cicatrici fibrose con tendenza alla stenosi post-infiammatoria Molte altre malattie sono caratterizzate o fortemente associate a lesioni vasculitiche. Infarti reumatoidi ungueali, ulcere degli arti inferiori e le altre lesioni delle malattie reumatiche sembrano riconoscere come loro meccanismo patogenetico di base un foco centrale di vasculite. Gran parte della fisiopatologia del LES può essere addebitata alla vasculite, con o senza occlusione vascolare secondaria, che è particolarmente evidente nei "ciuffi" glomerulari renali. La polimiosite, o dermatomiosite dell'infanzia, presenta frequentemente elementi vasculitici nei muscoli e in siti extramuscolari ed extracutanei. Anche l'apparentemente lieve ed estesa proliferazione intimale delle piccole arterie che caratterizza la sclerosi sistemica, può essere un evento postinfiammatorio. Altre sindromi caratterizzate da una grave vasculite comprendono la poliarterite nodosa e la granulomatosi di Wegener. POLIARTERITE NODOSA Malattia caratterizzata da un'arterite necrotizzante segmentaria delle arterie muscolari di medio calibro, con ischemia secondaria del tessuto irrorato dai vasi colpiti. (Poliarterite; periarterite nodosa) Eziologia e anatomia patologica L'eziologia è sconosciuta, ma meccanismi immunologici sembrano essere coinvolti. Si manifesta intorno ai 40-50 anni, ma può colpire qualsiasi età. La malattia è 3 volte più frequente negli uomini che nelle donne. La varietà degli aspetti clinici e patologici della malattia depone per una patogenesi multifattoriale. Lesioni delle arterie, simili a quelle della poliarterite nodosa spontanea, si verificano in volontari iperimmunizzati, in animali affetti da malattia da siero sperimentale e in pazienti che sviluppano reazioni da ipersensibilità. Farmaci (p. es., sulfamidici, penicillina, ioduro, tiouracile, bismuto, tiazidi, guanetidina, metamfetamina), vaccini, infezioni batteriche (p. es., da streptococchi o stafilococchi) e infezioni virali (p. es., epatite da siero, influenza, HIV), sono stati indicati come possibili cause della malattia. Abitualmente, però, non può essere chiamato in causa alcun Ag predisponente. L'infiammazione segmentale necrotizzante della media e dell'avventizia caratterizza la lesione. Il processo patologico si verifica più frequentemente nei punti di biforcazione vasale, iniziando dalla media ed estendendosi all'intima e all'avventizia delle arterie di medio calibro, causando spesso la rottura della lamina elastica interna. Le lesioni possono verificarsi in tutti gli stadi di sviluppo e di guarigione. Le lesioni precoci contengono PMN e, talvolta, anche eosinofili; le lesioni più tardive contengono linfociti e plasmacellule. Nelle lesioni sono presenti depositi di immunoglobuline, di componenti del complemento e di fibrinogeno, ma il loro significato non è ancora chiarito. La proliferazione dell'intima, con trombosi e occlusione secondaria, causa infarti di organi e tessuti. 38 L'indebolimento della parete muscolare del vaso può causare piccoli aneurismi e dissezione dell'arteria. La guarigione può esitare in fibrosi nodulare dell'avventizia. L'interessamento renale, epatico, cardiaco e GI è molto frequente. Le lesioni renali sono di due tipi ben distinti: dei grandi vasi (in cui la lesione è rappresentata dall'infarto tubulare e l'insufficienza renale è rara) e microvascolare, che coinvolge anche le arteriole glomerulari afferenti (in cui la lesione è diffusa e l'insufficienza renale è frequente e si manifesta nelle prime fasi del decorso della malattia). Dei pazienti colpiti da infarto epatico massivo, il 50% è affetto da poliarterite nodosa, sebbene questa complicanza sia rara. Un lieve ingrandimento epatico e un'aumentata concentrazione sierica degli enzimi epatici generalmente sono indice di aree focali di vasculite a carico della capsula epatica. Numerose sindromi associate alla poliarterite nodosa sono state distinte dalla poliarterite nodosa tipica, sulla base di differenze patogeniche o cliniche: l'angioite da ipersensibilità; la sindrome di Chürg-Strauss (la vasculite determina coinvolgimento del polmone, eosinofilia, granulomi necrotizzanti e asma grave); la sindrome di Cogan (in cui la malattia inizia come cheratite interstiziale e infarto dell'orecchio interno); la poliarterite nodosa mesenterica pura (riconosciuta nei tossicomani che usano amfetamina EV); la sindrome di Kawasaki (sindrome dei linfonodi mucocutanei dei neonati e dei bambini, complicata dall'arterite coronarica con precoce formazione di aneurismi); l'arterite necrotizzante associata all'epatite B (sia acuta che cronica attiva). Molti pazienti con crioglobulinemia essenziale associata a vasculite dei vasi di piccolo e medio calibro (cioè, porpora palpabile, occlusione dei vasi digitali, glomerulonefrite), hanno un'infezione cronica da virus dell'epatite C. Le interrelazioni della poliarterite nodosa idiopatica con queste varie forme di arterite non sono chiare. Sintomi e segni Le manifestazioni della poliarterite nodosa possono simulare altre malattie. Il decorso può essere acuto e prolungato, caratterizzato da febbre, subacuto, con exitus dopo diversi mesi, o può essere insidioso e presentarsi come una malattia cronica debilitante. Il quadro sintomatologico dipende soprattutto dalla sede e dalla gravità dell'arterite, dall'estensione del danno circolatorio conseguente e può essere riferito a uno o più apparati. I sintomi più comuni, inizialmente, sono febbre (85%), dolore addominale (65%), neuropatie periferiche, spesso una mononeurite multipla (50%), astenia (45%) e perdita di peso (45%). Ipertensione (60%), edema (50%), oliguria e uremia (15%) possono essere presenti nel 75% dei pazienti con interessamento renale; la proteinuria e l'ematuria sono le prime manifestazioni. Il dolore addominale diffuso o localizzato, la nausea, il vomito e una diarrea sanguinolenta possono indurre a una diagnosi errata di addome acuto, sebbene l'ischemia acuta della colecisti o dell'intestino possa causare perforazione e peritonite. Può anche verificarsi emorragia del tratto GI o nello spazio retroperitoneale. Il dolore precordiale è presente nel 25% dei pazienti, anche se gli esami ECG indicano una coronaropatia nel 45% dei casi. L'interessamento del SNC si manifesta con cefalea (30%) e convulsioni (10%). Le mialgie, con aree di miosite ischemica focale e le artralgie sono comuni e può verificarsi un'artrite franca delle grandi articolazioni. Si osservano occasionalmente lesioni cutanee che comprendono porpora palpabile, noduli sottocutanei palpabili lungo il decorso dell'arteria colpita e aree irregolari di necrosi. 39 Esami di laboratorio Le anomalie più frequenti sono: leucocitosi 20000-40000 GB/ml (80% dei pazienti), proteinuria (60%) ed ematuria microscopica (40%). L'eosinofilia transitoria o permanente è rara, ma può essere riscontrata nelle forme a decorso lento o con sindrome di Churg-Strauss, con interessamento polmonare o con accessi asmatici. Trombocitosi, VES elevata e anemia dovuta a una perdita ematica o a insufficienza renale, ipoalbuminemia e aumento delle immunoglobuline sieriche, si verificano frequentemente. Gli auto-anticorpi, sebbene spesso presenti in altre collagenopatie vascolari, sono rari. Diagnosi La poliarterite nodosa deve essere considerata come possibile diagnosi, qualora siano presenti febbre inspiegabile, dolore addominale, insufficienza renale e ipertensione o quando un paziente con nefrite o un disturbo cardiaco ha sintomi inspiegabili, quali artralgia, dolore e astenia muscolari, noduli sottocutanei, eruzioni cutanee tipo porpora, dolori addominali o degli arti e ipertensione acuta. La diagnosi viene abitualmente suggerita da una confusa combinazione di elementi clinici e di laboratorio, soprattutto quando siano state escluse altre cause di malattia febbrile e multisistemica. Una malattia sistemica associata a una nevrite periferica, normalmente multipla, che interessa i tronchi nervosi maggiori (p. es., radiale, peroneo e sciatico) in maniera bilaterale, simmetrica o asimmetrica (mononeurite multipla), è anche altamente indicativa di una poliarterite. Ciascuno di questi profili clinici, specialmente in un uomo di mezza età precedentemente sano, suggerisce la possibilità di una poliarterite nodosa. Poiché non esistono test sierologici specifici, la diagnosi definitiva va confermata mediante biopsia delle lesioni tipiche e con la dimostrazione angiografica di tipici aneurismi a carico dei vasi di medio calibro. La biopsia effettuata alla cieca in tessuti non interessati dal punto di vista clinico è inutile. La biopsia può dar luogo a reperti falsamente negativi, a causa della distribuzione focale delle lesioni. Per questo motivo, la biopsia dovrebbe essere effettuata sulla pelle, sui tessuti sottocutanei o sul nervo sciatico-popliteo o sui muscoli poplitei nei punti interessati dalla malattia. L'elettromiografia e studi sulla conduzione nervosa possono essere utili per selezionare la sede del prelievo bioptico muscolare o nervoso, in assenza di elementi clinici. Non si deve effettuare la biopsia sul gastrocnemio, a meno che non sia l'unico muscolo interessato, a causa del rischio di trombosi venosa postoperatoria. La biopsia testicolare, consigliata per l'alta frequenza di lesioni microscopiche in questa sede, ha un così basso potere diagnostico che deve essere evitata se vi sono altri siti accessibili, probabilmente interessati. Può essere indicata la biopsia renale nei pazienti con segni di nefrite e quella epatica nei pazienti con test per la funzionalità epatica fortemente alterati, se i prelievi effettuati in altre sedi non hanno dato alcun contributo diagnostico. L'angiografia selettiva può evidenziare tipici aneurismi nei vasi renali, epatici e celiaci e può essere considerata di valore diagnostico, anche in assenza di elementi anatomopatologici sicuri. Prognosi Sia i casi acuti che quelli cronici, se non trattati, sono fatali perché spesso esitano in insufficienza cardiaca, renale o di altri organi vitali, con danni GI gravissimi (infarto intestinale) o con rottura degli aneurismi. Senza la terapia, soltanto il 33% dei pazienti sopravvive un anno; l'88% muore entro 5 anni. La glomerulonefrite con insufficienza renale risponde occasionalmente alla terapia, 40 ma l'anuria e l'ipertensione perdurano; l'insufficienza renale è causa di decesso nel 65% dei pazienti. Sono frequenti infezioni nosocomiali o opportunistiche potenzialmente letali. Terapia La terapia deve essere energica e diversificata. Gli agenti responsabili, compresi i farmaci, devono essere identificati ed eliminati. Alte dosi di corticosteroidi (p. es., prednisone 60 mg/die in dosi frazionate) possono prevenire l'evoluzione della malattia e sembra che inducano una remissione parziale o quasi completa in circa il 30% dei pazienti. Poiché è necessaria una terapia a lungo termine, spesso si manifestano effetti collaterali, come l'ipertensione, che può aggravare il danno renale preesistente e aumenta notevolmente il rischio di infezioni intercorrenti. Si deve ridurre la dose giornaliera di corticosteroidi quando compare un miglioramento, p. es., abbassamento della febbre e della VES, miglioramento della funzionalità cardiaca e renale, della velocità di conduzione nervosa, scomparsa delle lesioni cutanee e diminuzione del dolore. Alcune manifestazioni a lungo termine legate all'ipercorticismo possono essere minimizzate somministrando i cortisonici in dose unica la mattina, a giorni alterni, dose che può essere adeguata come terapia di mantenimento, ma è raramente utile come trattamento nelle fasi precoci. I farmaci immunosoppressori, somministrati da soli o con i corticosteroidi, vengono impiegati con qualche successo, quando i soli corticosteroidi non bastano. La ciclofosfamide alla dose di 23 mg/kg/die PO, può essere somministrata nei pazienti che non rispondono ai cortisonici nelle prime settimane di terapia o nei casi in cui sono necessari dosi altissime di steroidi per controllare la malattia (la maggior parte dei pazienti è compresa in questi criteri). La dose del farmaco deve essere tale da mantenere la conta dei GB periferici fra 2000 e 3500 gm/l. Altre misure basate su problemi specifici comprendono una terapia antiipertensiva, un attento regime idrico, la cura dell'insufficienza renale e le trasfusioni di sangue. L'intervento chirurgico è necessario, se l'interessamento GI comporta l'invaginazione o la trombosi dell'arteria mesenterica e l'infarto intestinale o viscerale. I primi dati sull'uso del gamma-interferon in pazienti con vasculite associata a epatite B o C si sono dimostrati promettenti e trial di nuovi farmaci antivirali sono stati annunciati per le vasculiti associate a epatite B e C. GRANULOMATOSI DI WEGENER Malattia poco comune che di solito inizia come un'infiammazione localizzata, granulomatosa, delle mucose del tratto respiratorio superiore o inferiore e che può evolvere in una vasculite granulomatosa necrotizzante generalizzata e in una glomerulonefrite. Sommario Eziologia L'eziologia è sconosciuta. Anche se la malattia è simile a un processo infettivo, l'agente causale non è stato isolato. In base alle alterazioni tissutali istologiche caratteristiche, l'ipersensibilità è stata proposta come fattore patogenetico della malattia che può comparire ad ogni età. Il rapporto maschi:femmine è 2:1. Anatomia patologica 41 La biopsia della mucosa del materiale flogistico granulare del naso e del nasofaringe, evidenzia un tessuto granulomatoso contenente cellule epitelioidi, cellule di Langhans e cellule giganti da corpo estraneo insieme a un rilevante danno vascolare, necrosi tissutale con stravaso di GR e numerosi GB in vari stadi di necrosi cellulare. Le biopsie polmonari e cutanee mostrano essudati perivascolari infiammatori e depositi di fibrina nelle piccole arterie, nei capillari e nelle venule; la biopsia renale mostra una glomerulonefrite focale e segmentale di vario grado, occasionalmente accompagnata da una vasculite necrotizzante. Studi immunoistochimici della biopsia renale evidenziano estesi depositi di fibrina nei vasi sanguigni e nei glomeruli; questi ultimi suggeriscono una parziale attivazione di un fattore della coagulazione (il fattore di Hageman). Immunocomplessi precipitati da C1q scompaiono con la somministrazione di ciclofosfamide e prednisone. Densi depositi sottoepiteliali, che indicano la presenza di immunocomplessi, sono rilevabili al microscopio elettronico, dal lato epiteliale della membrana basale. L'immunofluorescenza evidenzia, in alcuni casi, depositi sparsi di complemento e di IgG. Sintomi, segni ed esami di laboratorio L'esordio può essere insidioso o acuto e possono trascorrere anni prima che la malattia si manifesti pienamente. I primi sintomi si riferiscono spesso al tratto respiratorio superiore e comprendono rinorrea emorragica acuta, sinusite a carico dei seni paranasali, ulcerazioni della mucosa nasale (con conseguente infezione batterica secondaria) e otite media sierosa o purulenta con perdita dell'udito, tosse, emottisi e pleurite. Il paziente presenta generalmente un processo granulomatoso del naso, spesso confuso con una sinusite cronica. La mucosa nasale ha un aspetto granulomatoso, rosso, è friabile e sanguina facilmente. Si possono verificare episodi di perforazione nasale. Altri sintomi iniziali comprendono febbre, malessere, anoressia, perdita di peso, poliartrite migrante, lesioni cutanee e manifestazioni oculari con ostruzione del dotto nasolacrimale, granulomi retrobulbari con proptosi ed episclerite. Si possono inoltre verificare una condrite dell'orecchio, un IMA secondario a vasculite, una meningite asettica nonché granulomi incurabili del SNC. Alla fine, può svilupparsi una fase vascolare disseminata, con lesioni cutanee infiammatorie necrotizzanti, infiltrati polmonari con successiva cavitazione, con vasculite diffusa leucocitoclastica e glomerulonefrite focale, che può evolvere in una glomerulonefrite generalizzata con formazione di semilune, con conseguente ipertensione e uremia. Occasionalmente la malattia è limitata al solo polmone. Il coinvolgimento renale è patognomonico della malattia generalizzata; l'analisi delle urine evidenzia proteinuria, ematuria e cilindri ematici. Il danno renale è inevitabile, senza un'immediata terapia adatta. I livelli sierici del complemento sono normali o elevati. La VES è elevata; è presente leucocitosi. Può essere presente anemia grave. Gli Ac antinucleari e le cellule LE sono assenti. Alti titoli di Ac contro il citoplasma dei neutrofili (ANCA) sono quasi sempre presenti e possono fungere da marcatori relativamente specifici e sensibili per la diagnosi della malattia e talora per seguire il corso della malattia. Una ulteriore differenziazione degli ANCA associati alla granulomatosi di Wegener, rivela una predominante reazione in vitro con la proteinasi E (C-ANCA) con il 97% di specificità per la malattia. In pazienti con una predominanza di IgA-C-ANCA, le emorragie polmonari intraalveolari si presentano con maggior facilità. 42 Diagnosi La granulomatosi di Wegener viene diagnosticata in base a elementi clinici, sierologici e anatomopatologici caratteristici. La biopsia renale determina l'entità delle lesioni renali. Talvolta, una biopsia polmonare a cielo aperto di una lesione solida o escavata permette la diagnosi. Raggruppamenti compatti di cellule atipiche possono essere presenti nell'espettorato dei pazienti con interessamento polmonare. La diagnosi differenziale comprende la poliarterite nodosa, la fase vascolare renale della endocardite batterica subacuta, il LES, la glomerulonefrite, rapidamente o lentamente progressiva e il granuloma letale della linea mediana (un tipo di linfoma). La poliarterite nodosa sarà esclusa mediante la biopsia cutanea e per la diversa localizzazione delle lesioni vascolari. L'eosinofilia, che non è un elemento caratteristico della granulomatosi di Wegener, è spesso presente nella sindrome di Churg-Strauss nella quale manca l'infiammazione granulomatosa nasale e polmonare. Le colture ematiche caratteristiche e i soffi cardiaci sono presenti nell'endocardite batterica subacuta. In caso di LES, sono presenti nel siero gli Ac antinucleari e le cellule LE; i livelli ematici del complemento sono bassi. Nel granuloma letale della linea mediana, l'infiammazione granulomatosa vasculitica è assente. Gli ANCA che reagiscono soprattutto con la mieloperossidasi (P-ANCA) sono correlati ad altre malattie, compresi alcuni tipi di vasculite necrotizzante, specialmente una forma di poliarterite nodosa che causa emorragie intraalveolari e glomerulonefrite con semilune. Questa forma deve essere distinta dalla granulomatosi di Wegener (C-ANCA con specificità per la proteinasi E) e dalla sindrome di Goodpasture (con anticorpi antimembrana basale glomerulare). Prognosi e terapia La sindrome completa, di solito, progredisce rapidamente sino all'insufficienza renale, una volta che sia iniziata la fase vascolare diffusa. I pazienti affetti da una malattia limitata, possono presentare soltanto lesioni nasali e polmonari, con poco o nessun interessamento sistemico. Le manifestazioni polmonari possono migliorare o peggiorare spontaneamente. La prognosi per questa malattia, in passato fatale, è stata sensibilmente migliorata con l'uso di agenti immunosoppressori citotossici. La diagnosi precoce e la terapia sono cruciali, poiché un'alta percentuale di remissioni è ora possibile e le complicanze renali critiche possono essere evitate o ridotte. La ciclofosfamide è il farmaco di scelta (1-2 mg/ kg/die PO con idratazione orale o una singola dose iniziale somministrata in bolo EV una volta q 2-3 sett.). I corticosteroidi, in grado di ridurre l'edema legato alla vasculite, possono essere somministrati simultaneamente (prednisone alla dose di 1 mg/kg/die PO). Dopo 2-3 mesi si può gradualmente ridurre la dose del prednisone, fino a quando il paziente viene mantenuto soltanto con la ciclofosfamide PO (sembrano essere meno efficaci dosi a lungo termine EV). Questo farmaco deve essere somministrato almeno per un intero anno dopo la remissione clinica della malattia. La dose quindi viene ridotta gradualmente di 25 mg q 2-3 mesi. L'azatioprina è meno efficace, ma può essere usata in alternativa o in associazione alla ciclofosfamide per i pazienti che non tollerano quest'ultimo farmaco. Comunque, la terapia "pulsatile" con metotrexato a dosi di 20-30 mg/sett. PO, sembra essere una migliore alternativa. La profilassi a lungo termine con trimetoprim/sulfametossazolo PO (da 160/800 mg a 480/2400 mg/die), sembra essere molto efficace per le lesioni del tratto respiratorio superiore e può essere sufficiente quale unico trattamento a lungo termine una volta che tutti i sintomi 43 sistemici siano scomparsi dopo trattamento con ciclofosfamide e corticosteroidi. Talvolta, l'anemia associata può essere così grave da richiedere trasfusioni. Con la terapia si possono ottenere remissioni complete a lungo termine, anche negli stadi avanzati di malattia. Il trapianto di rene si è dimostrato utile nell'insufficienza renale, sebbene sia stato descritto in letteratura il caso di un paziente che ha subìto un trapianto di rene da cadavere nel quale il rene trapiantato ha sviluppato tipiche lesioni renali della granulomatosi di Wegener. Un'aumentata incidenza dopo molti anni di tumori solidi può essere indice di un uso di alte dosi di ciclofosfamide. L'elevata incidenza di cancro della vescica molti anni dopo la sospensione della terapia è una conseguenza temibile della cistite emorragica associata alla escrezione di prodotti di degradazione della ciclofosfamide, spesso non alleviata dal notevole flusso urinario mantenuto nelle fasi iniziali della terapia. 44 CAPITOLO 9 - CRIOGLOBULINEMIE Con il termine crioglobulinemie si definiscono alcune affezioni conseguenti all’abnorme aumento nel siero del paziente di crioglobuline, cioè proteine che presentano una solubilità dipendente dalla temperatura. Tali crioglobuline precipitano o gelificano al di sotto di 37°C e a pH intorno a 7. A basse concentrazioni precipitano solo intorno a 4°C. Cmq a tutte le concentrazioni ritornano in soluzione riscaldando il siero a 37°C. La presenza di crioglobuline nel siero è stata dimostrata in molte malattie: si parla di crioglobulinemie secondarie. Per contro, quando non è possibile dimostrare l’associazione con un’altra malattia viene usata la definizione di crioglobulinemia idiopatica. Questa colpisce prevalentemente soggetti di sesso femminile con età media intorno ai 50 anni. In base alla composizione del crioprecipitato, la crioglobulinemia si classifica in: a) Crioglobulinemia singola o di tipo I: composta da una sola Ig monoclonale; è spesso secondaria a mieloma multiplo o a macroglobulinemia di Waldenstrom. b) Crioglobulinemia mista, di tipo II e III: è un immuno-complesso composto da 2 Ig di cui una IgG costituisce l’autoantigene e ed una IgM l’autoanticorpo, con attività di fattore reumatoide monoclonale (tipo II) o policlonale (tipo III). Le crioglobulinemie miste possono essere riscontrate in corso di molte malattie infettive in genere croniche (SOPRATTUTTO NELLE EPATITI DA HCV), malattie autoimmuni e connettiviti e patologie neoplastiche. Quando non è associata a nessuna malattia parliamo di crioglobulinemia mista essenziale (CME). Non tutti i pazienti con CME sono sintomatici, ma la maggior parte si. I termini CME e vasculite crioglobulinemica si riferiscono alla stessa malattia. VASCULITE CRIOGLOBULINEMICA È una vasculite sistemica coinvolgente i piccoli vasi (arteriole, capillari e venule). Epidemiologia: è la vasculite sistemica più frequente in Italia. Siamo cmq sempre nel contesto delle vasculiti dei piccoli vasi, che sono malattie rare. Patogenesi: è dovuto alla deposizione di IC (reazione da ipersensibilità di tipo III). È accertato che >90% dei casi la CME si associa ad infezione cronica da HCV. Tale virus, oltre a partecipare alla composizione delle crioglobuline, è responsabile della proliferazione dei linfociti B; quest’ultimo è il disordine autoimmune-linfoproliferatrivo sottostante la malattia. CLINICA: la triade clinica è : 45 - porpora, astenia, artalgie. Inoltre ci sono - manifestazioni cutanee: porpora, ulcere agli arti inferiori, fenomeno di Raynaud impegno multi organo. Nel dettaglio - - porpora palpabile, è una lesione caratteristica (si può fare praticamente diagnosi con essa più la presenza di crioglobuline nel siero). È localizzata elettivamente agli arti inferiori ed è pruriginosa. Ha carattere intermittente, manifestandosi a poussées della durata di 3-10 gg che residuano in una iperpigmentazione diffusa e duratura, specie a livello degli arti inferiori. (a calzino). Artralgie: hanno carattere di intermittenza e simmetria, ma non sono migranti. Si localizzano soprattutto alle mani e alle ginocchia. vari organi: - - Neuropatie periferiche sensitivo (parestesie)-motorie, complicano spesso la CME, compromettendo seriamente la qualità della vita dei pz. visto che risponde poco alla terapia. Epatite (epatite cronica attiva da HCV) e glomerulonefrite membrano-proliferartiva (fino all’IRC) sono le manifestazioni più frequenti. Epatocarcinoma o linfoma non-Hodgkin a cellule B (dovuta la linfotropismo dell’HCV) sono presenti fino al 10% dei pz. Quindi la CME deve essere considerata come una condizione pre-neoplastica. Diagnosi: la diagnosi si basa sulla classica triade clinica (porpora, artralgie, astenia) alla quale fanno seguito i segni relativi all’interessamento di altri organi ed apparati, soprattutto quello renale, e sulla dimostrazione della crioglobulinemia nel siero. Si effettua il prelievo con siringa riscaldata a 37°C e si lascia coagulare alla stessa temperatura; il siero ottenuto dopo centrifugazione vene posto in frigo a 2-4°C per alcuni gg per permettere la crioprecipitazione. Prognosi: la CME ha un decorso cronico. La sopravvivenza media si aggira intorno agli 8-10 anni. La morte sopraggiunge per infezioni intercorrenti (tali pz sono più esposti alla infezioni, anche perché fanno cortisonici) o per complicanze dell’ipertensione arteriosa che fa seguito alla nefropatia (scompenso o complicanze vascolari). Ma secondo me se questo ha l’epatite C se ne và per la cirrosi o per l’epatocarcinoma. Terapia: evitare l’esposizione alle basse temperature, coprirsi bene durante i mesi invernali e limitare la stazione eretta che, se protratta, favorisce la comparsa delle gittate purpuriche. 46 Tra le misura farmacologiche ricordiamo i corticosteroidi. 47 CAPITOLO 10 – ARTERITE DI HORTON È un’arterite classificata secondo la classificazione di chapell Hill nelle vasculiti granulomatose delle arterie di grosso e medio calibro e coinvolge prevalentemente le arterie carotidi, le arterie vertebrali, le arterie succlavie o ascellari e l’aorta. Si associa nella metà dei casi alla POLIMIALGIA REOMATICA. È la vasculite più frequente negli anziani. Ogni anno in america 2 ultracinquantenni su 10.000 se la fanno. Da noi soltano un ultracinquantenne. Eziologia: ignota. Esiste una predisposizione genetica con alleli DR4 (come il LES). Patogenesi: immunoreazione di tipo IV di Gell e Coombs. Tre varianti cliniche della malattia: • Arterite cranica: la forma classica e la più frequente, coinvolge spesso la temporale e viene anche chiamata ARTERITE DI HORTON. (Horton nel 1930 vide che l’arterite poteva presentarsi anche senza polimialgia reomatica) o Manifestazioni sistemiche: malessere, astenia, artralgia, febbricola, anemia infiammatoria o Manifestazioni locali: 1. Cefalea: è la manifestazione più frequente e si manifesta in sede occipitale o temporale oppure può essere mal localizzata. A volte è monolaterale, altre bilaterale. Il dolore può essere acuto, trafittivo e pulsante, oppure cronico e lieve. Può coesistere dolorabilità alla palpazione dell’arteria temporale, che appare ispessita e con ridotta pulsatilità e a volte sono presenti anche formazioni nodulari lungo il suo decorso. A volte sono visibili arrossamento e necrosi sovrastante. 2. Claudicatio masticatoria e raramente deglutitoria. 3. Impegno oculare per coinvolgimento delle arterie oftalmiche e ciliari posteriori. Può essere preannunciato da amaurosi fugace, perdita del visus monolaterale e raramente diplopia. È importante conoscere sta cazzo di vasculite perché se non si interviene subito la cecità diventa irreversibile nell’arco dei primi giorni. L’esame del fondo dell’occhio mette in evidenza un disco pallido ed edematoso talora con emorragie sparse in sede peripapillare. • Aortite clinicamente manifesta con impegno anche delle succlavie: (15%) sono colpiti soggetti in genere più giovani, intorno ai 65 anni. rispetto agli altri vasi l’aorta più che a stenosi va incontro ad aneurismi, anche dopo molto tempo. La sindrome clinica è quella “dell’arco aortico” con: 1. Polso asimmetrico 2. Cluadicatio degli arti superiori 3. Parestesie 4. Raramente lesioni necrotiche. La metà di questi pazienti mostra una negatività per la biopsia dell’arteria temporale, ma se positiva è tipica un’iperespressione tissutale di IL-2. 48 SINDROME INFIAMMATORIA SISTEMICA CON ARTERITE. Si presenta clinicamente con importanti manifestazioni costituzionali quali: 1. Importante scadimento generale (forma cachettica) 2. Febbre elevata 3. Sudorazioni notturne 4. Anemia infiammatoria severa. Reperti laboratoristici: o Aumento di VES, PCR, fibrinogeno. Comunque non esistono marker laboratoristici e anticorpali specifici di malattia. A fini di ricerca si dosa l’IL-6, ma solo a fini di ricerca. Biopsia dell’arteria temporale: andrebbe sempre eseguita nel sospetto di CGA, essendo tra l’altro una procedura scevra di rischi. Il frammento bioptico in presenza di dolore o altra obiettività temporale deve essere lungo dai 3 ai 5 cm, in presenza di dolore o obiettività temporale può essere anche di 2 cm. In ogni caso deve essere analizzato in sezioni seriate poiché l’interessamento può essere focale. Se presente obiettività in sede occipitale, può essere biopsata anche l’arteria occipitale. Comunque nel sospetto di arterite gicìganto cellulare si inizia subito la terapia steroidea anche prima della biopsia, però l’importante è che questa venga eseguita entro due settimane dall’inizio della terapia altrimenti rischiamo di non vedere una minchia. Il reperto bioptico classico è quella di un’arterite granulomatosa in cui le lesioni si trovano particolarmente a livello della metà interna della media e della membrana elastica interna che tra l’altro risulta frammentata. C’è un infiltrato di cellule mononucleate e si vedono delle cellule giganti multinucleate. La cosa più importante comunque è che non c’è mai nella maniera più assoluta necrosi fibrinoide e questo è un elemento utile per la diagnosi differenziale con altre vasculiti sistemiche che possono intaccare la temporale. Le arterie comunque a seguito delle lesioni vanno incontro a una riparazione fibrotica che ne riduce il lume. Esami strumentali: radiografia e ecografia per vedere l’aorta addominale come minchia è combinata. (utili anche nel follow-up. Diagnosi: non ci sono dei sicuri criteri diagnostici e a volte vengono usati per orientarsi dei criteri classificativi che però non sono né tanto specifici né tanto sensibili: o Età>50 o VES>50mm/ora o Cefalea ex-novo o localizzata in sede mai prima riferita o Dolorablità o ridotta pulsazione dell’arteria temporale non correlata all’aterosclerosi o Biopsia dell’arteria temporale positiva Se sono presenti 3 su 5 di questi criteri possiamo classificare la malattia come CGA ma dobbiamo sospettarla prima anche se non ne sono presenti 3. Diagnosi differenziale: o Nella perdita del visus con 1. Neurite ottica 2. Trombosi venosa o arteriosa che può essere per cazzi suoi o nella sindrome da anticorpi antifosfolipidi. o Nei pazienti con aortite con: 1. Takayasu che tende a colpire donne sotto i 40 anni • 49 Terapia: va iniziata entro 24 ore dalla perdita del visus. Si interviene con 1mg/Kg/die di prednisone: la risposta è in genere rapida. La malattia può spegnersi in 1-2 anni così come può riacutizzarsi ogni volta che riduciamo le dosi di steroide. 50 CAPITOLO 11 - POLIMIALGIA REUMATICA È una malattia infiammatoria dell’età avanzata caratterizzata da dolore al cingolo scapolare, al cingolo pelvico e al collo. STORIA: o 1888 BRUCE la chiamò GOTTA SENILE o 1890 HUNTINSON vide che ci poteva essere coinvolgimento dell’arteria temporale o 1930 HORTON disse che l’arterite poteva essere anche singola e non associata alla polimialgia reumatica o 1957 BARBER propose il termine di POLIMIALGIA REUMATICA o 1963 BAGRATUM disse qualche altra minchiata. È una delle poche patologie reumatologiche dalle quali si può guarire soprattutto se la diagnosi viene fatta precocemente e se viene somministrata una terapia adeguata. La parte pericolosa della polimialgia reumatica infatti non è la polimialgia in senso stretto ma l’associazione spesso con l’arterite giganto-cellulare (vedi sopra) e l’associazione con alcune neoplasie (polimialgia reumatica secondaria) dell’ovaio, stomaco e rene e in questi casi la prognosi è in relazione al tumore e non alla polimialgia reumatica. Epidemiologia: eccezionale sotto i 50 anni, prevale nel sesso femminile, è più frequente nei paesi scandinavi che non da noi. Da questo dato geografico si è ipotizzata la relazione con fattori genetici e si è visto che spesso c’è positività per l’HLA DRB1*04 e DRB1*01. Inoltre si è visto che chi presenta alterazioni delle ICAM presenta un rischio maggiore di recidiva. QUADRO CLINICO: dolore a insorgenza improvvisa inizialmente unilaterale, ma in breve tempo simmetrico con importante limitazione funzionale a livello di: o Cingolo scapolare nel 90% dei casi o Cingolo pelvico nel 50% dei casi o Collo nel 50% dei casi. Caratteristica è un prolungata rigidità mattutina. Ci può essere anche un interessamento articolare periferico con edema improntabile del dorso delle mani e dei piedi (vedi RS3PE). In un terzo dei casi sono presenti sintomi sistemici: febbre, anoressia, malessere, perdita di peso. Può essere presente l’arterite giganto-cellulare (guarda quadro clinico). LABORATORIO: o Aumento di VES spesso sopra 40-50 e PCR. Aumenta l’indice di KAZ: (VES+1/2 dopo un’ora)/2 o Anemia da malattie croniche o Non ci sono anticorpi specifici. Se presenti FR e ANA non escludono la diagnosi perché possono essere presenti a prescindere nei soggetti anziani. o Il dosaggio dell’IL-6 forse un giorno entrerà negli esami strumentali, per ora si usa solo nell’ambito della ricerca. 51 ESAMI STRUMENTALI: non sono di solito necessari per fare diagnosi comunque scintigrafia, ecografia e RM evidenziano una sinovite. L’anatomopatologo ci direbbe che si tratta di una flogosi modesta che interessa le articolazioni e le strutture periarticolari con infiltrato infiammatorio aspecifico costituito da macrofagi e linfociti T. DIAGNOSI: esistono i criteri diagnostici di BIRD, CHAUNG e HEALEY che sostanzialmente guardano tutti la stessa cosa: o Età sopra i 60 anni o VES sopra i 40 o Dolore o Rigidità mattutina o Risposta miracolosa alla terapia steroidea o Esclusione di altre malattie reumatiche e di neoplasie Diagnosi differenziale: o ARTRITE REOMATOIDE: inizierebbe dalle piccole articolazioni delle mani in maniera simmetrica. Inoltre l’aumento degli indici di flogosi sarebbe modesto. L’artrite tenderebbe a essere erosiva e la remissione della sintomatologia dopo i il cortisone non così miracolosa. ci potrebbero essere anticorpi aCCP. o MIOPATIA: gli enzimi muscolari sarebbero alti, e la biopsia muscolare metterebbe in evidenza la miosite. o LES: l’interessamento articolare sarebbe diverso e più modesto. Ci potrebbe essere un coinvolgimento viscerale (pleurite, pericardite), gli indici di flogosi non sarebbero così aumentati, ci sarebbe leucopenia e anticorpi specifici. o Fibromialgia: ci sarebbe dolorabilità dei tender point e normalità degli indici flogistici. Terapia: Lazzaro alzati e cammina. Dai 4 ai 15mg/die, generalmente 8 sono sufficienti. Lo steroide viene poi gradualmente ridotto e benché non esistano linee guida specifiche generalmente si continua per 2 anni. SINDROME RS3PE: è un’artrite sieronegativa a inizio acuto, caratterizzata da edema improntabile a mani e piedi. Consiste in una tenosinovite più importante a livello degli estensori. Si risolve generalmente con basse dosi di cortisone. 52 CAPITOLO 12 – ARTERITE DI TAKAYASU Per arterite di Takayasu chiamata anche la malattia senza polso, in campo medico, vasculite a carattere granulomatoso dei grandi rami arteriosi. L'infiammazione interessa l'aorta, le sue maggiori diramazioni e l'arteria polmonare.Ne esistono 5 tipi diversi a seconda del tratto aortico interessato. Colpisce prevalentemente le giovani donne asiatiche di età inferiore ai 40 anni.Spesso si riconosce la presenza della malattia soltanto durante l'autopsia, (in Giappone durante l'esame si riscontra l'arterite un caso ogni 3.000). Il primo caso di tale arterite è stato descritto nel 1908 dal medico Mikito Takayasu. I sintomi che si manifestano sono di origine infiammatoria e ischemica. Si riscontrano febbre, artrite, artralgie, linfoadenopatia,dolore toracico e addominale. Il nome di "malattia senza polso" lo si deve al fatto che durante l'esame obiettivo i polsi arteriosi delle estremità superiori possono anche risultare assenti[4] a causa dell'obliterazione dei vasi dell'arco aortico, uno dei quali si dirama dando l'arteria radiale. Inoltre si può assistere ad un interessamento cardiaco con manifesta insufficienza aortica. Si riscontra in laboratorio un marcato aumento degli indici aspecifici di flogosi come la VES. L'esame diagnostico maggiormente utile risulta l'angiografia. n letteratura si è osservata una coesistenza della malattia di Crohn, che fa sospettare di avere in comune la stessa patogenesi ancora sconosciuta nel caso dell'arterite. Terapie L'obiettivo del trattamento è quello di fermare l’infiammazione delle arterie e ciò è generalmente possibile utilizzando alte dosi di farmaci immunosoppressori. Quasi la metà delle persone con tale arterite trae benefici con i corticosteroidi (esempio il prednisone). Dopo una buona risposta iniziale, la malattia può tuttavia riaccendersi e molti pazienti devono assumere cortisone a lungo per evitare la progressione del danno e controllare i sintomi più disturbanti come la febbre, la stanchezza, i dolori. Quando il cortisone da solo non basta, si aggiungono ad esso farmaci detti citotossici/immunosoppressori. Nei periodi di quiescenza possono essere eseguiti interventi per la correzione delle anomalie vascolari permanenti nei pazienti a rischio per lesioni d'organo. La rivascolarizzazione può essere chirurgica o condotta con tecniche di angioplastica intraluminale percutanea. Una particolare indicazione al trattamento è rappresentata dalla presenza di ipertensione nefrovascolare. Un'adeguata terapia immunosoppressiva e la correzione selettiva dei danni vascolari hanno molto migliorato negli ultimi anni la prognosi della malattia di Takayasu. Attualmente si stanno ottenendo ottimi risultati con l'assunzione di micofenolato mofetile, farmaco già utilizzato per la prevenzione del rigetto nei trapianti d'organo. 53 Generalmente la prognosi è buona con bassa mortalità. 54 CAPITOPLO 13 - ARTROSI Definizione: è un’artropatia degenerativa cronica a carattere lentamente evolutivo. Le prime manifestazioni di questa malattia sono state dimostrate anche nei neonati, quindi con molta probabilità le alterazioni possono iniziare nelle ultime fasi della gestazione con alterazioni degenerative a carico della cartilagine articolare che chiaramente aumenta nel corso degli anni fino al coinvolgimento oltre la cartilagine delle altre strutture che compongono le articolazioni. Ma non tutte le articolazioni sono colpite da questa patologia, solo le articolazioni dotate di membrana sinoviale, cioè le articolazioni diartrodiali anche dette diartrosi che sono delle articolazioni per contiguità in cui i capi ossei sono rivestiti da cartilagine e separati da uno spazio anatomico talora virtuale denominato cavo articolare. In base alla forma vengono distinte in: • artrodie in cui il movimento avviene solo in un piano dello spazio; es le articolazioni posteriori della colonna vertebrale e quelle del carpo (ad eccezione grande osso e scafoide e tra grande osso e semilunare) e del tarso (ad eccezione di quella tra calcagno e scafoide) • enartrosi: le superfici articolari hanno forma di sfera rispettivamente cava e piena e consentono movimenti in tutte le direzioni dello spazio (es. scapolo-omerale e coxofemorale) • condiloartrosi hanno superfici ellittiche rispettivamente cave e piene (es: articolazione temporomandibolare • articolazione a sella: es trapezio-metacarpale • ginglimi o parallelo (es: articolazione atlo-epistrofica) o angolare o troclea EPIDEMIOLOGIA: L’artrosi è la malattia articolare più comune dell’anziano ed è causa importante di disabilità quindi è una malattia sociale. Più dell’80% delle 55enni ha segni radiografici di atrosi, ma ne soffre “solo” il 30% e il 20% degli affetti, ha un’importante disabilità. Il 30% della popolazione italiana tra i 65 e i 74 anni soffre di artrosi questa percentuale sale all’85% negli ultra 75enni. Le donne sono più colpite perché dopo la menopausa con la riduzione degli estrogeni perdono la protezione sulle cartilagine articolari. Sedi colpite in ordine decrescente: 1. Ginocchio (gonartrosi) 2. Mano: le articolazioni più frequentemente coinvolte sono la interfalangea distale, interfalangea prossimale e trapezio-metacarpale, mentre le articolazioni metecarpofalangee quasi sempre affette in corso di artrite reumatoide sono generalmente risparmiate dall’artrosi. 3. Anca (coxartrosi) 4. Poi ci sarebbe anche il rachide con spondiloartrosi e atrosi interapofisarie. 55 Fattori di rischio non modificabili: - età (avanzata), - sesso (femminile): la gonartrosi ha una prevalenza doppia nelle donne. Le differenze però si appianano nell’ambito delle coxartrosi. Sembra che gli estrogeni hanno un’azione condrotrofica diretta o mediata dalla modulazione della produzione/risposta alle citochine. Inoltre hanno azione sull’osso sub condrale aumentandone rigidità e vascolarizzazione. - razza (bianca), - corredo genetico: in passato si riteneva che la familiarità fosse importante solo per l’artrosi nodosa della mano, poiché lo sviluppo dei cosiddetti noduli di Heberden risultava prediligere soggetti di sesso femminile della stessa famiglia (sterne 1941). Poi si è visto che in realtà la familiarità è importante anche nelle altre artrosi. Si stanno studiando i geni di suscettibilità alla patologia ma ancora se ne conoscono pochi come: o COL2A1 rilevato in un gruppo tribale della Micronesia affetto da artrosi precoce, brachidattilia, platispondilia(scissione congenita di un corpo vertebrale), e displasie articolari o Alterazioni del cromosoma 13q nella displasia acetabolare familiare o HFE nell’emocromatosi è stata rilevata un’artrosi della caviglia. o Asporina: proteina che inibisce il TGF (by bagnato). - Riduzione della propriocezione: noi siamo portati ad utilizzare quest’articolazione sempre di più, senza accorgerci che questa articolazione ci fa male (artropatia di Charcot, tabe dorsale e diabete mellito) Fattori di rischio modificabili: - Sovrappeso, soprattutto agisce per motivi meccanici, ma anche per motivi metabolici. È stata dimostrata un’alta correlazione tra obesità e artrosi del ginocchio, dell’anca e stranamente anche della mano e ciò è dovuto al fatto che l’obesità incrementa i livelli di leptina che incrementano i livelli di IL-1 interleuchina chiamata in causa anche in corso di artrite reumatoide. - alterazione della forma articolare: è quella che si può sviluppare in seguito ad osteocondrosi o in seguito a fratture articolari, poiché modificano la forma della superficie articolare. L’artrosi sarà tanto più grave quanto meno perfetta è stata la riduzione della frattura. - Alterazione dell’asse meccanico di un’articolazione: es ginocchio varo (artosi del compartimento interno o mediale) o valgo (esterno o laterale). - Traumatologia e stress articolari ripetuti: può avvenire in alcune attività lavorative o sportive (pensa all’uso dei martelli pneumatici che è responsabile di necrosi secondarie che spesso portano all’osteocondrosi del semilunare carpale (m. di Kienbock). - Assetto ormonale: eccesso GH - Metabolismo: alterazione bilancio Ca/P - Alterato trofismo delle cartilagini articolare - Artriti: quando vi è un’infezione articolare e non si è riusciti a guarirla nelle 2 fasi, per cui si è verificata un’alterazione della forma della superficie articolare come conseguenza di questo processo infettivo, si determina un’artrosi secondaria. 56 - Emartri recidivanti: la cartilagine articolare viene distrutta: questo può avvenire nell’artropatia emofilica. CLASSIFICAZIONE - Primaria: concorrono solo fattori generali Secondaria: concorrono anche fattori secondari locali EZIOPATOGENESI Come disse Moschovitz è il risultato di eventi meccanici e biologici che destabilizzano l’equilibrio tra sintesi e degradazione dei condrociti, della matrice extracellulare ed osso sub-condrale. Quindi in parole povere a livello della cartilagine ialina prevalgono i processi catabolici su quelli anabolici. A livello dell’osso sub-condrale prevalgono i processi di sintesi su quelli degradativi. A livello della membrana sinoviale prevalgono i processi infiammatori su quelli anti-infiamatori (l’infiammazione comunque è esclusivamente locale e non sistemica infatti la VES è normalissima). A livello della cartilagine articolare sembra che il momento patogenetico iniziale sia rappresentato dalla perdita delle interazioni condrocita/matrice garantite dalle beta-integrine che in condizioni fisiologiche regolano il normale rimodellamento tissutale. Ciò comporta in una prima fase un aumento dell’attività sintetica e proliferativa dei condrociti, successivamente si verifica un incremento del turn-over della cartilagine per una preponderanza delle metallo proteinasi(MMP) di cui le collagenasi degradano il collagene nativo, le stromelisine i proteoglicani e le gelatinasi il collagene denaturato. ANATOMIA PATOLOGICA L’artrosi comporta una modificazione profonda delle strutture articolari. La cartilagine è la prima struttura ad essere colpita, poi l’osso su-condrale e in fine la membrana sinoviale. Aspetti Macroscopici: Quando è normale, la cartilagine ha un aspetto bianco azzurrognolo (traslucido); quando è patologica è giallastra, ruvida: si sono determinate delle alterazioni a carico della superficie articolare. La cartilagine si assottiglia e si fissura potendosi anche ulcerare mettendo a nudo l’osso subcondrale L’osso sub condrale in alcun punti si presenta più spesso (sclerotico), in altri punti presenta delle cavità o geodi. Ci sono alterazioni della normale morfologia articolare o per crolli e/o per la comparsa degli osteofiti. Gli osteofiti sono protuberanze ossee che possono essere o marginali (ai limiti della cartilagine articolare) o di avanzamento (si frappongono all’interno della articolazione, fra la cartilagine di un versante articolare e quello dell’osso di provenienza). Per esempio nell’anca ci sono osteofiti che partono dalla testa del femore e vanno a ricoprire una parte della testa del femore che è andata in contro a distruzione che si frappongono così tra l’acetabolo e il femore. Aspetti microscopici (NON li chiede): Quando avviene il dissolvimento della sostanza fondamentale della cartilagine, la scomparsa dei proteoglicani, dei glicosaminoglicani e così via, allora compaiono, vengono smascherate, le fibre collagene, al microscopio ottico che assumono questa distribuzione arciforme (ad arco) che invece 57 non è visibile in una cartilagine sana. Questi “archi sono stati descritti per la prima volta dal russo Benninkov. CLINICA Segni e Sintomi: - Dolore locale ad una articolazione. Ha delle precise caratteristiche: si presenta in tre tempi. Al mattino, quando si alza dal letto, l’articolazione è rigida, non riesce a muoverla, poi dopo col movimento inizia la sua giornata ed il dolore diminuisce; poi la sera , quando è stanco il dolore ritorna. - La limitazione della funzione: è dovuta al dolore; alla contrattura muscolare antalgica; è mantenuta dalla deformità dei capi articolari; e a lungo andare dall’ispessimento e dalla rigidità della capsula. Quindi teoricamente dovreste conoscere la funzione di tutte le articolazioni. Perché ad esempio, dovreste sapere che l’articolazione del ginocchio và da 0° che è la max estensione, fino a 130°/140° che è la max flessione. - Atteggiamenti viziosi (by morlacchi) Precisazioni (per reumato): il dolore artrosico non è generato assolutamente dalla distruzione della cartilagine articolare, essendo questa priva di terminazioni sensitive, bensì origina dall’infiammazione della sinovia e dal coinvolgimento di tendini, legamenti, muscoli e ossa. Questo spiega il perché l’artrosi inizialmente, quando cioè la compromissione della membrana sinoviale è scarsa, è asintomatica nonostante le lesioni cartilaginee possano essere in stato avanzato. Il dolore è definito meccanico perché compare o si accentua con il carico articolare, e scompare durante le ore notturne o col riposo a differenza di quanto si osserva nelle artropatie infiammatorie. La mattina il paziente è rigido per una ventina di minuti ma in ogni caso la rigidità è certamente più breve rispetto a quella dei pazienti con artrite. EO: o All’ispezione l’articolazione può apparire tumefatta e fuoriasse. o Alla palpazione: la cute non presenta variazioni di temperatura, e le tumefazioni presentano una consistenza dura, ossea, e non sono riducibili e sono espressione dello svasamento della porzione epifisaria e della formazione degli osteofiti marginali. o Mobilitando l’articolazione si possono rilevare degli scrosci prodotti dallo sfregamento dei capi articolari e inoltre è sempre presente una riduzione del fisiologico movimento dell’articolazione Reperti particolari: o Nell’artrosi nodosa della mano si vedono i noduli di Heberden e di Bouchart rispettivamente a livello delle articolazioni interfalangee distali e prossimali. L’artrite nodosa della mano si caratterizza per una spiccata componente algica nelle fasi iniziali, mentre nelle fasi tardive il dolore regredisce e permangono le deformità. Non c’è limitazione funzionale. 58 o Nell’artrosi dell’articolazione trapezio-metacarpale anche detta rizoartrosi si ha dolore e progressiva riduzione della funzionalità articolare per sub-lussazione dei capi articolari con perdita dei movimenti di opposizione del pollice. o Una variante particolarmente rara dell’artrosi della mano è “l’artrosi erosiva” in cui c’è elevata componente flogistica, intenso dolore e rapida evoluzione destruente (dd con artrite reumatoide e artrite psoriasica). o La gonartrosi: si caratterizza per la presenza di un dolore che all’esordio viene avvertito nel discendere le scale; i movimenti di flesso estensione sono limitati e vi possono essere deformità in valgismo e varismo. o La coxartrosi: causa un dolore che si irradia alla faccia anteriore della coscia e al ginocchio mentendo a volte un impegno articolare del ginocchio; il movimento precocemente compromesso è quello di extra-rotazione. DIAGNOSI: o ANAMNESI o ESAME OBIETTIVO o ESAMI LABORATORISTICI: gli esami bioumorali e laboratoristici risultano nella norma, fatta eccezione per i pochissimi casi di artrosi con elevata componente flogistica che mostrano un modesto incremento della VES. o DIAGNOSTICA PER IMMAGINI all’RX convenzionale: o 1.a fase = l’articolazione è normale; non si vede niente, a meno chè non vediate un’alterazione dell’asse di carico, come un varismo o un valgismo , quella è sempre una condizione predisponente. o poi restringimento della rima articolare: tipicamente asimmetrica per assottigliamento della cartilagine di incrostazione nelle zone di maggior carico. ad esempio nel ginocchio varo la rima articolare è più ristretta medialmente e più larga lateralmente, nel ginocchio valgo il contrario. o poi comparsa di sclerosi dell’osso sub condrale e geofiti. o poi comparsa di geodi ed osteofiti. o Nelle fasi più tardive si possono evidenziare sub-lussazioni e grossolane alterazioni morfologiche e l’artosi viene detta deformante. Studio mediante ultrasonografia: o Iperplasia della membrana sinoviale o Incremento del liquido sinoviale Risonanza magnetica con gadolinio: o Evidenza stato strutturale e di idratazione della matrice cartilaginea consentendo il rilievo delle fasi precoci delle alterazioni artrosiche. TERAPIA La velocità dell’evoluzione può essere influenzata dalla terapia. 59 Medica: nelle prime fasi deve essere medica (FANS E COX2inibitori) per ridurre il dolore, con associazione di esercizio fisico-riabilitativo. Obiettivo: - Potenziare la muscolatura: questo è il 1° obiettivo da raggiungere. Dei muscoli validi aiutano le articolazioni nello svolgimento delle loro azioni. Mentre dei muscoli deboli determinano un sovraccarico della funzione articolare. - Preservare la massa ossea - Correggere gli assi errati: es. varismo - Ridurre la carenza di estrogeni - Dieta: ricca di vitamine C e D Chirurgica: se ciò non basta si passa alla chirurgia con interventi che sono conservativi come le osteotomie, che ricostituiscono gli assi di carico normali, oppure sostitutivi come le protesi. 60 CAPITOLO 14 - GOTTA Si tratta di una malattia cronica che deriva della deposizione di cristalli di urato monosodico nelle articolazioni e nei tessuti extra-articolari . La gotta colpisce l’1-2% della popolazione adulta nei paesi sviluppati, rappresentando la più frequente forma di artrite infiammatoria negli uomini e la sua prevalenza è in aumento negli ultimi decenni. Essa si manifesta solitamente con attacchi ricorrenti di artrite acuta, che in alcuni casi può cronicizzare, con comparsa di tofi e nefropatia cronica. Dal punto di vista fisiopatologico è presente un’alterazione del metabolismo purinico che determina una condizione di iperuricemia cronica, che costituisce il più importante fattore di rischio per la gotta, anche se la maggior parte dei soggetti iperuricemici rimangono asintomatici per tutta la vita. Fisiopatologia L’acido urico rappresenta il prodotto finale del metabolismo delle purine endogene ed alimentari. L’acido urico è un acido debole con un pKa (ovvero il valore di pH a cui la concentrazione di acido urico e di urato risultano in equilibrio) pari a 5,75. Al pH fisiologico di 7,4, nel compartimento extracellulare, il 98% dell’acido urico si trova nella forma ionizzata di urato, e data l’elevata concentrazione di sodio extracellulare, l’urato si presenta in prevalenza come urato monosodico, con un limite inferiore di solubilità pari a 6 mg/dl (360 μmol/l). Quando la concentrazione di urato supera questo valore, aumenta il rischio di formazione di cristalli e della loro precipitazione. Nelle urine invece l’urato viene convertito in acido urico a bassa solubilità. La dieta contiene di solito piccole quantità di acido urico, per cui quello presente nell’organismo viene prodotto soprattutto nel fegato e, in misura minore, nel piccolo intestino. La produzione dipende dal bilancio tra l’assunzione di purine, la sintesi de-novo nelle cellule, il riutilizzo e l’azione della xantino-ossidasi, l’enzima che catalizza l’ossidazione dell’ipoxantina in xantina e di questa in acido urico. La familiarità gioca un ruolo importante nella determinazione della concentrazione sierica di acido urico, essendo responsabile di circa il 60% della variabilità individuale. Diverse patologie, come i disordini mieloproliferativi e linfoproliferativi, la psoriasi e l’anemia emolitica sono associate ad un aumentato turnover degli acidi nucleici, con conseguente iperuricemia. L’escrezione giornaliera degli acidi urici avviene per un terzo nel tratto gastroenterico e per due terzi a livello renale. Circa il 90% della quantità giornaliera di acido urico filtrato dai reni viene riassorbito a livello del tubulo prossimale, attraverso specifici trasportatori di anioni, tra cui URAT1, che rappresenta un importante target terapeutico in quanto viene inibito dal benzbromarone, dal probenecid, dal losartan e dal sulfinpirazone. Le alterazioni dell’escrezione renale di acido urico rappresentano la causa dell’iperuricemia nel 90% degli individui. I soggetti con sovrapproduzione di acido urico costituiscono meno del 10% dei pazienti con gotta. La formazione di cristalli di monourato di sodio nei tessuti è dovuta a diversi fattori, soprattutto alla concentrazione locale di urati, la cui solubilità nel liquido articolare dipende dal livello di idratazione, dalla temperatura, dal pH, dalla concentrazione dei cationi e dalla presenza delle proteine della matrice extracellulare, come i proteoglicani, il collagene e il 61 condroitinsolfato. Ciò spiega perché la gotta si manifesta soprattutto a livello della prima articolazione metatarso-falangea, che è collocata in periferia e presenta una temperatura più bassa, e delle articolazioni affette da artrosi, per il ridotto contenuto di collagene e proteoglicani. Inoltre gli attacchi dolorosi sono prevalentemente notturni, a causa della disidratazione intraarticolare. I cristalli di monourato di sodio costituiscono degli stimoli pro infiammatori che possono iniziare e sostenere un’intensa risposta infiammatoria, in quanto spesso vengono fagocitati da monociti che scatenano il rilascio di sostanze, tra cui l’interleuchina mediatore centrale dell’infiammazione nella gotta acuta e possibile target terapeutico. La gotta inoltre risulta associata all’uso di diversi farmaci, come diuretici, aspirina a basse dosi e alcuni immunosoppressori usati nei trapianti d’organo, es. tacrolimus e ciclosporina. I diuretici costituiscono una delle principali cause di iperuricemia, mediante una combinazione di deplezione del volume e diminuzione della secrezione tubulare di acido urico. L’aspirina ha un effetto dose dipendente: a basse dosi (< 1 g/ die), causa ritenzione di acidi urici mentre ad alte dosi (> 3 g/die) è un farmaco uricosurico. Numerosi altri farmaci aumentano la concentrazione sierica di acido urico: etambutolo, pirazinamide, alcuni chemioterapici, etanolo, levodopa, ribavirina, interferone, teriparatide. I farmaci che invece la riducono sono: acido ascorbico, benzbromarone, calcitonina, citrati, estrogeni, fenofibrati, losartan, probenecid, sulfinpirazone. Quadro clinico La storia naturale della gotta è tipicamente composta da tre periodi: 1. l’iperuricemia asintomatica, 2. la fase degli attacchi acuti di gotta con intervalli asintomatici 3. l’artrite gottosa cronica. L’iperuricemia cronica, definita da un valore di acido urico superiore a 7 mg/dl negli uomini e a 6 mg/dl nelle donne, è il principale fattore di rischio per la gotta e il rischio è direttamente proporzionale alla concentrazione di urati. Artrite acuta: è una mono artrite quindi colpisce quasi sempre una sola articolazione che nella maggior parte dei casi è la meta-tarso falangea dell’alluce (podagra), altre volte il ginocchio o le piccole articolazioni delle mani (chiragra). Quando l’articolazione coinvolta è quella metatarso-flangea le manifestazioni sono così tipiche che già con l’anamnesi e l’EO si può quasi fare diagnosi: 1. Tipicamente L’attacco insorge di notte in maniera violenta e brusca raggiungendo l’acme in meno di 24 ore 2. Dolor: vivace, lacerante accompagnato a condizione di iperestesia tale da rendere insopportabile anche il contatto col lenzuolo 3. Calor 4. Tumor: marcato e si estende oltre il territorio articolare e rende la cute tesa, lucente 5. Rubor: a volte c’è proprio uno stravaso ematico con un quadro purpurico o con petecchie 6. La crisi di gotta tende a risolversi anche spontaneamente in un periodo di tempo compreso tra 5 e 10 giorni, comunque non più di 2 settimane. 7. Dopo l’accesso gottoso è tipica una desquamazione furfuracea della cute con il prurito. 62 Durante la crisi gottosa ci possono essere sintomi sistemici: cefalea, febbre preceduta da brivido che può arrivare anche a 39°C. VES sopra i 60, uricemia bassa. Cellule del liquido sinoviale da 5000 a 30.000 generalmente, altre volte può superare i 100.000. al microscopio a luce polarizzata vedo i cristalli a forma di ago. La buona risposta dell’attacco acuto alla colchicina può servire come criterio ex adiuvanti bus. La prima crisi gottosa raramente è poliarticolare inizialmente ma lo può divenire alle crisi succesive con interessamento migrante o aggiuntivo di più articolazioni. Inoltre gli attacchi gottosi successivi sono più frequenti ma generalmente anche più attenuati. Nelle altre sedi questi caratteri eclatanti possono mancare per esempio nel ginocchio l’esordio può non essere brusco, il dolore essere più lieve tanto da consentire la deambulazione, e il rossore può mancare tanto che il tumor può sembrare la un banale idrarto da osteoartrosi. Altra variante è l’artrite gottosa pseudo-flemmonosa che è clinicamente simile a quella settica. Rispetto alla crisi classica l’attacco può durare anche 2 mesi portando all’anchilosi dell’articolazione GOTTA CRONICA: • Depositi tofacei periarticolari • Gotta viscerale • Artropatia uratica Hanno in comune la deposizione di urato monopodico a formare ammassi di cristalli contro cui si crea un granuloma da corpo estraneo che nel complesso prende il nome di tofo. Le sedi più frequenti sono le strutture peri-articolari e le articolazioni. La cute che ricopre i tofi superficiali può avere un aspetto normale oppure può lasciare intravedere il materiale biancastro di cui il tofo è formato e si può ulcerare spontaneamente o in seguito a traumi anche lievi. I tofi superficiali hanno aspetto di nodosità, consistenza dura, mobili o aderenti ai piani sottostanti. Ai piedi si localizzano principalmente a livello della base dell’alluce, al dorso e nella compagine del tendine d’Achille. Sono frequenti anche alle mani e si differenziano da quelli di Heberden dell’artrosi nodosa per l’aspetto più irregolare e per la localizzazione al dorso piuttosto che ai lati delle articolazioni e per la colorazione della pelle sovrastante biancastra. I tofi delle ginocchia sono molto rari. Artropatia uratica cronica: • ulcerazioni della cartilagine articolare, • osteofitosi marginele particolarmente esuberanti e che contengono al loro interno zone escavate e geodiche • lesioni geodiche irregolari, ovalari, sferiche alcune altre con contorno policiclico e nelle porzioni marginali sembrano erosioni. flogosi della sinovia. Terapia Gli obiettivi principali del trattamento della gotta consistono nella risoluzione dell’attacco acuto, nella prevenzione dell’insorgenza di nuovi attacchi, nella risoluzione dei tofi ed infine nell’identificazione e gestione delle comorbilità. Attacco gottoso acuto: 63 Il principale obiettivo terapeutico negli attacchi acuti consiste nella riduzione del dolore e nella risoluzione dell’infiammazione. Oltre al riposo e all’applicazione di ghiaccio, la terapia per gli attacchi acuti classicamente è basata su farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS). Le linee guida britanniche suggeriscono l’utilizzo dei FANS a dosi piene se non vi sono controindicazioni per 1 o 2 settimane. Una valida alternativa, raccomandata dall’EULAR è la prescrizione di colchicina a bassi dosaggi, fino ad un massimo di tre compresse da 0,5 mg al giorno, mentre in passato veniva somministrata a dosaggi maggiori. La colchicina viene attualmente considerata come un trattamento di seconda scelta a causa del suo basso indice terapeutico, visto che molti pazienti sviluppano effetti avversi gastrointestinali ancor prima di trarne beneficio. Tale farmaco viene utilizzato nei pazienti con storia di scompenso cardiaco, ulcera peptica, insufficienza renale moderata, intolleranza ai FANS o in terapia con anticoagulanti orali. La colchicina non dovrebbe essere utilizzata in caso di insufficienza renale severa (clea-rance della creatinina inferiore a 30 ml/min) o malattia epatica, inoltre va ricordato l’aumentato rischio di miopatia correlata alla colchicina. Recentemente anche i corticosteroidi hanno dimostrato di essere efficaci nel trattare l’attacco acuto. Nei pazienti geriatrici nei quali non è opportuna la somministrazione di FANS o colchicina, la somministrazione orale di prednisone (30-50 mg/die) rappresenta una valida alternativa terapeutica, scalando le dosi nell’arco di 7-10 giorni. I farmaci corticosteroidei possono essere utilizzati anche per via intramuscolare o intra-articolare. L’iniezione intra-articolare di corticosteroidi a lunga durata d’azione risulta efficace nell’alleviare il dolore nei pazienti con patologia mono-articolare che non possono tollerare altri farmaci di prima linea. Terapia ipouricemizzante per la prevenzione di nuovi attacchi acuti La terapia ipouricemizzante è indicata in quei pazienti con attacchi di gotta ricorrenti, artropatia gottosa cronica, presenza di tofi o litiasi renale, con l’obiettivo di prevenire la formazione di nuovi cristalli e dissolvere quelli già presenti, mediante la riduzione dei livelli di uricemia al di sotto del limite di saturazione, pari a 6 mg/dl (360 μmol/L) . Dal punto di vista pratico è opportuno, quando possibile, modificare la terapia farmacologica del paziente, in particolare nei pazienti ipertesi con storia di almeno un episodio gottoso acuto dovrebbe essere interrotta la terapia con diuretici. In questi casi, il losartan potrebbe essere una valida alternativa terapeutica, poiché inibisce il riassorbimento tubulare di urati, agendo come un uricosurico. Anche i fibrati hanno azione uricosurica. Lo scopo della terapia ipouricemizzanti è quello di mantenere la concentrazione di urati inferiore al punto di saturazione per l’urato monosodico. Le attuali linee guida raccomandano la riduzione al di sotto di 6 mg/dl, con un range ideale tra 5 e 6 mg/dl. Nei pazienti con grave artropatia tofacea sono raccomandati valori di uricemia tra i 3 e i 5 mg/dl. 64 Prima di intraprendere tale terapia vanno comunque considerati gli effetti avversi, in quanto la gotta non è sempre una malattia progressiva e tale terapia non è raccomandata dopo un solo attacco acuto. Tale terapia dovrebbe essere iniziata 1-2 settimane dopo la risoluzione dell’infiammazione poiché una terapia iniziata in corrispondenza dell’attacco acuto lo potrebbe aggravare o causare nuovi attacchi acuti, indotti dal rilascio di urati dai depositi di cristalli intra-articolari, a causa del gradiente di concentrazione che si viene a creare tra i tessuti ed il plasma. Per tale motivo la prevenzione degli attacchi acuti è raccomandata durante i primi 3-6 mesi di terapia ipouricemizzante mediante la somministrazione di colchicina 1 mg/die, ridotta a 0,5 mg nei pazienti con insufficienza renale, o di basse dosi di FANS. La terapia ipouricemizzante dovrebbe essere continuata per un tempo indefinito, poiché la gotta si può ripresentare dopo l’interruzione del trattamento. Gli eventuali attacchi acuti in corso di terapia cronica dovrebbero essere trattati senza interrompere la terapia ipouricemizzante. Per la riduzione dei livelli di acido urico sono disponibili diverse classi di farmaci: • farmaci uricosurici (probenecid, benzbromarone e sulfinpirazone), • inibitori della xantina-ossidasi che bloccano la formazione di acido urico (allopurinolo e febuxostat), • uricasi sintetica, enzima che degrada gli urati ad allantoina (rasburicasi). I farmaci uricosurici agiscono primariamente inibendo il riassorbimento a livello del tubulo prossimale di anioni urici, così da favorire l’escrezione renale di acidi urici, con rapida riduzione dell’uricemia e della dimensione dei tofi. Il probenecid e il benzbromarone sono farmaci molto efficaci ma non disponibili in Italia. Il sulfinpirazone è invece disponibile ma deve essere utilizzato al di fuori dell’indicazione presente in scheda tecnica, che è quella del trattamento degli stati tromboembolici legati ad un’alterazione dei parametri piastrinici. Visti i limiti e la non disponibilità in numerosi paesi, tra cui l’Italia, dei principali farmaci uricosurici, l’approccio di prima linea per ridurre l’acido urico sierico consiste nell’inibizione della xantinoossidasi mediante l’allopurinolo, approvato dalla FDA fino ad un dosaggio di 800 mg/die. Secondo le linee guida EULAR va somministrato nei pazienti con conservata funzionalità renale a dosi iniziali di 100 mg/die, aumentandole ogni 2-4 settimane di 100 mg fino a raggiungere il target di concentrazione di acido urico ≤ 6 mg/dl. Tuttavia nella pratica clinica, il 50% dei pazienti non raggiunge un’adeguata riduzione dell’uricemia in corso di trattamento con tale farmaco 37, che viene spesso somministrato a dosaggi non superiori ai 300 mg/die. Le linee guida FDA e le più recenti dell’EULAR suggeriscono di incrementare i dosaggi nei pazienti che lo tollerano. Nei pazienti con insufficienza renale è invece opportuno utilizzare posologie ridotte per diminuire il rischio di tossicità. In circa il 20% dei pazienti che assumono allopurinolo si manifestano effetti collaterali, con interruzione del trattamento nel 5% dei casi. 65 I più comuni effetti avversi comprendono disturbi gastrointestinali (dolori addominali, diarrea, nausea e vomito) e rash cutanei, che si verificano in circa il 2% dei pazienti; inoltre si possono osservare anche febbre, aumento delle transaminasi, epatiti, ittero colestatico, mucositi, vasculiti, ematuria, alopecia, tossicità midollare con leucopenia e trombocitopenia e, molto raramente, disturbi a carico del sistema nervoso centrale con crisi comiziali. Invece nello 0,1-0,4% dei soggetti compare una sindrome da ipersensibilità, che si manifesta con febbre, rash cutaneo, eosinofilia, epatite ed insufficienza renale, è più frequente in chi è già affetto da compromissione della funzione renale o assume tiazidici, e può risultare fatale in circa il 25% dei casi. Non sono rare le interazioni con altri farmaci, tra cui risultano potenzialmente pericolose quelle con il warfarin e con l’azatioprina. 66 CAPITOLO 15 – OSTEOPOROSI Definizione di osteoporosi: Per osteoporosi si intende una porosi dell’osso. Condizione in cui si ha una riduzione della massa ossea pur conservandone i normali rapporti tra contenuto minerale e matrice organica (a differenza della osteomalacia in cui si determina una perdita solo della componente minerale). Tale condizione che determina una riduzione della resistenza e dunque una maggiore fragilità dell’osso. Nella osteoporosi le modificazioni strutturali che si vengono a determinare, coinvolgono sia il tessuto osseo corticale che il tessuto osseo trabecolare ma generalmente la parte di osso trasecolare è quella che viene interessata più precocemente e ciò spiega il perché prima si presentano le fratture di polso e vertebre, ossa a prevalente componente trabecolare, e poi quelle del femore. EPIDEMIOLOGIA: è la più frequente patologia metabolica dell’osso. La sua incidenza aumenta con l’età sino ad interessare la maggior parte della popolazione ultraottantenne. È più frequente nelle donne che non negli uomini e secondo stime recenti si ritiene che in Italia ci sono 3,5 milioni di donne e 1 milione di uomini affetti da osteoporosi. L’osteoporosi maschile è più rara perché il picco di massa ossea è più alto del 30% circa e perché viene a mancare il ruolo della deplezione estrogenica. CLASSIFICAZIONE: - primaria ( o idiopatica) (80%) -secondaria Osteoporosi primaria: può essere ulteriormente distinta in • Osteoporosi primitiva giovanile • Osteoporosi idiopatica dell’adulto • Osteoporosi post-menopausale • Osteoporosi senile Le ultime due forme sono certamente le più comuni e più che come due processi indipendenti vanno considerati come due momenti diversi di un unico processo di involuzione dello scheletro. Fisiologicamente il picco di massa ossa trasecolare viene raggiunto ai 30 anni età mentre quello corticale ai 35 anni età, per poi ridursi in maniera progressiva generalmente di 0,3% all’anno, ma in misura dipendente da fattori costituzionali, dal picco raggiunto, dal tipo di alimentazione e dall’eventuale attività sportiva. -Post menopausale: dopo la menopausa e per dieci anni successivi,la perdita ossea può giungere fino al 3% annuo rispetto al 0,3% della decade precedente; queste modificazioni sono correlate con la riduzione degli estrogeni, ormoni che modulano il riassorbimento osseo,inibendo l’azione degli osteoclasti (una riduzione degli estrogeni può determinare dunque una minore inibizione degli osteoclasti). Ne deriva un incremento del flusso di calcio dal compartimento scheletrico ai liquidi extracellulari, che determina inibizione della secrezione di PTH e a cascata della produzione di vitamina D con conseguente: • Riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio • Aumentodell’escrezione renale di calcio. 67 -Senile: dopo i 60 anni,in entrambi i sessi si può giungere ad una perdita di massa ossea dello 0,5% annuo dovuta: 1) riduzione dell’assorbimento del calcio,riduzione dei livelli di vitamina D, riduzione della esposizione al sole. Ciò comporta che la calcemia sarà bassa e conseguentemente si incrementeranno i valori di PTH. Ciò comporterà: 2) aumento dei processi del rimaneggiamento osseo Quindi la differenza biochimica tra osteoporosi di tipo post-menopausale e senile consiste nel fatto che i livelli di PTH sono ridotti nel primo caso e aumentati nel secondo. Osteoporosi secondaria: l’osteoporosi è secondaria ad altre condizioni; tra queste: Terapia con cortisonici, Cushing, osteogenesi imperfetta, gastrectomia parziale, malassorbimento, epatopatie croniche, trattamento con eparina, iperparatiroidismo, ipertiroidismo, artrite reumatoide, acromegalia, rachitismo, diabete, malattia di Paget, osteoporosi da disuso. FATTORI DI RISCHIO: ereditarietà, menopausa precoce, alcolismo, tabagismo, annessiectomia in età fertile, razza caucasica CLINICA: i pazienti con osteoporosi non complicata sono prevalentemente asintomatici; il primo sintomo è il dolore a seguito delle fratture sine trauma a livello toracico o lombare,con irradiazione anteriore a cintura, contrattura dei muscoli paravertebrali. Inoltre i crolli e deformazioni delle vertebre comporteranno una riduzione dell’altezza del soggetto. Il rachide viene interessato da una tipica deformazione in “cifosi dorsale a grande arco”, mentre lo spazio a disposizione dei visceri addominali si riduce a seguito dell’altezza dei corpi vertebrali, determinando una spinta verso l’alto del diaframma e alterando la meccanica respiratoria, alterando l’angolo costo vertebrale e quindi determinando un incremento del diametro trasversale del torace con conseguente enfisema senile. Inoltre le coste nei casi più gravi potrebbero raggiungere la cresta iliaca aggiungendo un’ulteriore causa del dolore scheletrico. Altre fratture patologiche sono quelle del polso (frattura di colles: frattura della parte distale del radio in cui il frammento inferiore è dislocato posteriormente) e del collo del femore. (nell’osteoporosi le fratture vertebrali sono sempre amieliche). DIAGNOSI: - Anamnesi -esame obiettivo: la semeiotica clinica della frattura vertebrale in fase acuta si basa sulla vivace dolorabilità alla percussione sull’apofisi spinosa della vertebra interessata. - diagnostica per immagini: 1) Rx standard: significativo solo se perdita della massa ossea > 30% Con l’RX potremo vedere una riduzione della definizione della linea endostale, un’assottigliamento della corticale che però appare maggiormente definita perché si evince meglio visto il contrasto con la spugnosa, anchessa rarefatta. Nel complesso si realizza il disegno traoppo bello di stuart. Tramite l’Rx a livello di alcuni distretti potremo prendere in considerazione: 68 L’indice di Norbim che consiste nel rapportare lo spessore corticale con quello trasecolare del secondo metacarpo. • L’indice di Saville che guarda le vertebre: 1. Vertebra normale 2. Vertebra con segno del bordo 3. Vertebra con aspetto pseudo angiomatoso (a palizzata) 4. Vertebra biconcava 5. Vertebra con radiopacità dei tessuti molli • Indice di Singh e di Jamaria • Morfometria per valutare se c’è o meno frattura vertebrale: si prendono i diametri anteriore medio e posteriore delle vertebre da D4 a L4 e se questi diamtri differiscono per più del 10% si parla di frattura vertebrale. 2)MOC condotta nelle sedi del polso,del collo del femore,della colonna vertebrale La metodica viene detta “densitometrica a raggi X (DXA)” e sfrutta una duplice emissione di raggi X. Con questa possiamo ottenere dei dati importanti: • BMC: contenuto minerale dell’osso • BMD: densità minerale ossea valutata rapportando il BMC con l’area di proiezione del segmento osseo esaminato e si misura in g/cm2. Se volessimo ricavare il BMD in relazione al volume dovremmo ricorrere a metodiche che riescono a calcolare il volume come la TAC, ma nella pratica clinica si utilizza il valore rapportato alla superficie perché è maggiormente correlato al rischio di fratture. In base al BMD distinguiamo: 1. Soggetti normali: quando il T score è compreso tra +2,5 e -1 DS 2. Soggetti con osteopenia: T score compreso tra -1 e -2,5 DS 3. Soggetti con osteoporosi: Tscore sotto -2,5 DS 4. Soggetti con osteoporosi conclamata: Tscore sotto-2,5 e fratture patologiche 3)morfometria (studia lo spessore dell’osso corticale e può essere eseguita anche nelle radiografie convenzionali con indice di Norbim basato sulla misurazione della corticale del secondo metacarpo) Considerando il 2° metacarpo, con l’età il diametro aumenta progressivamente per supplire da un punto di vista meccanico la riduzione della massa (legge di Wolff). • 4) un’indagine di secondo livello è la scintigrafia con metil-difosfonato marcato con tecnezio 99. C’è un’iperfissazione del tracciante nelle osteoporosi a turnover elevato. 5) altro esame di secondo livello è la biopsia che si esegue nei casi dubbi di diagnosi differenziale tra osteoporosi e osteomalacia. - esami di laboratorio (aumento della fosfatasi alcalina quando ci sono le fratture patologiche,aumento idrossiprolinuria, bilancio del calcio negativo all’inizio della patologia). Comunque gli indici di laboratorio sono poco sensibili. Prevenzione: La prevenzione dell’osteoporosi comincia fin dall’infanzia ma gli obiettivi e gli strumenti variano a seconda delle età 69 • • • • Nel bambino e nell’adolescente l’obiettivo è quello di ottimizzare il capitale osseo in via di acquisizione . Nell’adulto si cerca di preservare questo capitale. Nell’anziano bisogna prima di tutto prevenire le cadute.Le persone anziane fragili cadono più frequentemente ma meno violentemente, di solito in casa. Il medico dovrà: 1. Dosaggio di farmaci ipotensivi. 2. Preferire gli psicotropi a emivita breve. 3. Evitare i miorilassanti e gli analgesici narcotici. 4. Correzione delle turbe dell’acuità visiva. 5. Sconsigliare di bere la sera per ridurre le minzioni notturne. 6. Valutare: equilibrio, cammino, stato muscolare e articolare, stato cognitivo e psicologico. attività fisica: 1. prima della pubertà aiuta a raggiungere un picco di massa ossea più elevato (studio fatto su giocatori di tennis) 2. l’osso maturo guadagna anche dell’esercizio fisico 3. nell’età avanzata l’esercizio fisico determina un minimo guadagno osseo, ma rallenta la perdita ossea infatti si è visto che donne di 60 anni che corrono regolarmente da 10 anni hanno una densità ossea più elevata e una perdita d’osso rallentata rispetto a coetanee che non fanno attività fisica. L’adattamento osseo alle sollecitazioni è locale e interessa solo le ossa caricate: 1. L’esercizio negli atleti che praticano sport asimmetrici comporta una massa ossea dell’arto superiore nettamente a vantaggio del lato dominante 2. La densità ossea dello scheletro portante dei corridori è aumentata, ma non quella degli avambracci Le esperienze su animali dimostrano che i carichi applicati in modo intermittente sono più osteogenetici dei carichi continui e che la loro intensità è più importante del numero di ripetizioni effettuate infatti sembra effettivamente che gli sport di resistenza siano meno osteogenetici degli sport che impongono sforzi intensi ma di breve durata. Il cammino a velocità moderata ha poco o nessun effetto sulla densità ossea lombare o femorale salvo a livello del calcagno. Per aumentare l’impatto osseo bisogna camminare velocemente e se possibile correre. Il beneficio osseo ottenuto sottoponendo gli adulti ad un allenamento fisico sfuma progressivamente dopo la sua sospensione e il guadagno osseo lombare ottenuto con un’attività in carico di due anni si annulla dopo 13 mesi dalla fine di questo Nell’età post menopausale l’attività fisica è modulata secondo le possibilità del soggetto ma dovrebbe prevedere esercizi per il potenziamento del: 1. Pronatore quadrato (polso) 2. Ileo psoas 70 3. Esercizi di abduzione delle cosce in decubito laterale 4. Esercizi isometrici per gli addominali • estrogeni (se c’è riduzione degli estrogeni), • dieta opportunamente ricca di calcio TERAPIA: calcitonina (non più in commercio), estrogeni, corretto apporto di calcio e vitamina D, uso di difosfonati che inibiscono il riassorbimento osseo, teraparatide (paratormone) che ad alte dosi determina perdita di calcio,ma a basse dosi e somministrandolo in maniera giornaliera stimola l’assorbimento di calcio. La terapia con paratormone dura 18 mesi in maniera continuativa. ranelato di stronzio (potenzia l’attività degli osteoblasti ma può anche avere controindicazioni importanti) 71 CAPITOLO 16 - FIBROMIALGIA La fibromialgia, meglio definita come sindrome fibromialgica è una forma di dolore muscoloscheletrico diffuso, associato a - astenia, - rigidità muscolare prevalentemente assiale e - presenza di punti di dolorabilità specifici (tender points), sintomi a cui possono eventualmente associarsi: alterazioni del sonno, ansia/depressione, sindrome del colon irritabile, cefalea, dismenorrea, ecc., in assenza di alterazioni emato-chimiche o strumentali. Il termine fibromialgia evidenzia il fatto che il dolore è localizzato sia a livello muscolare che nelle strutture connettivali/fibrose (tendini e legamenti). È un termine più corretto di quello usato in precedenza, cioè fibrosite, poiché non si possono evidenziare alterazioni infiammatorie a carico delle strutture interessate. Classificazione: c’è una forma primitiva, ed una forma secondaria: la forma secondaria, è secondaria ad altre malattie reumatiche, endocrine (soprattutto tiroide), metaboliche, infettive, traumi. Epidemiologia: è una malattia difficile da diagnosticare e da inquadrare per le difficoltà classificative. Ma in linea di massima si ritiene che la Fibromialgia sia molto più diffusa di quanto si pensi, potendosi collocare al 3.o posto in quanto a diffusione tra le malattie reumatiche. Le donne sono molto più colpite degli uomini (9:1) con 2 picchi di incidenza: 25-35 aa e 45-55 aa (peri-menopausale). Tuttavia ne possono essere colpiti tutti, maschi e femmine, bambini ed anziani. Si è vista una certa prevalenza in alcune popolazioni, ma questa più che a fattori genetici, potrebbe essere dovuta a fattori socio-culturali. Infatti fattori di rischio per l’insorgenza della patologia sono: basso reddito, ansia/depressione, attività lavorative. Questo a testimonianza di un “habitus” psicologico nell’insorgenza della malattia. Eziopatogenesi: è un manicomio, qua nessuno sa il motivo ed incomincia a sparare delle associazioni assurde fondate su una mazza. (!!!) ma che vi costava scrivere eziopatogenesi multifattoriale, che non è intimamente conosciuta?? Invece no avere rotto le scatole per 3 pagine! A prescindere dai fattori eziologici vi sarebbe una risposta del SNC e del SNA (autonomo) che comporterebbe una generalizzata riduzione della soglia nocicettiva e l’attivazione del sistema di adattamento allo stress. Detto molto banalmente c’è una disfunzione del sistema nocicettivo. Varie teorie: a) Questa inappropriata risposta allo stress, sarebbe dovuta ad alterati meccanismi di feedback ipotalamo-ipofisi-surrene (Teoria neuroendocrina). Ciò è dimostrato da: - alti livelli plasmatici di cortisolo e ACTH 72 - ridotta risposta al test ad desametasone - alterazione della secrezione pulsatile al GH. ma queste cose potrebbero essere dovute (secondo me) al fatto che in questi pazienti il sonno è disturbato. E quindi c’è una regolazione dei cicli circadiani alterati. b) Alcuni autori infatti pensano che la presenza di alterazioni del sonno non-REM (in particolar modo stadi III e IV) potrebbe essere un elemento causale. A qualche povera cavia umana gli hanno privato la fase 4 del sonno e gli è venuta una sintomatologia simil-fibromialgica. Inoltre questi hanno durante le fasi di sonno rem delle onde alfa. c) Ipotesi centrale. Si è visto che nei pz fibromialgici, ci sono minori concentrazioni plasmatiche della serotonina e se gli dai farmaci che bloccano il recettore della serotonina (5-HT3) o i farmaci che bloccano il reuptake della serotonina il paziente và meglio. Quindi la compromissione del sistema di modulazione del dolore potrebbe essere di origine centrale. d) Ipotesi dell’habitus psicologico: questa è fondata sull’associazione dell’andamento del dolore con la sindrome ansioso depressiva. Si è parlato di personalità “fibrositica”, cioè i pazienti sono “pain-prone” inclini alla sofferenza, all’atteggiamento perfezionistico. Ma in definitiva le caratteristiche principali della malattia sono indipendenti dal dolore pure potendo influenzare la severità della stessa. e) Ipotesi immunologiche: hanno dati risultati contrastanti. f) Qualcno pensa ad un danno organico. In effetti ci sono delle alterazioni microscopiche, ma sono aspecifiche. E qualcun altro dice che tali alterazioni sono dovute ad un alterato ciclo contrazione/rilassamento (dimostrato nei pz fibromialgici) che potrebbe compromettere la microcircolazione locale. È difficile risalire ad un evento scatenante. Qualora sia possibile questo potrebbe essere un trauma fisico e psicologico oppure malattia febbrile. Di notevole interesse è l’associazione con le malattie infettive. In particolar modo con la borreliosi di Lyme e con l’HIV. Ma in definitiva l’agente eziologico non lo si conosce e neanche la patogenesi. CLINICA La diagnosi di fibromialgia è clinica, visto che non esistono indagini di laboratorio o strumentali utili. C’è da sottolineare che prima di arrivare alla diagnosi il paziente percorre una vera odissea medica. La malattia decorre in fasi di settimane o mesi, alternando a periodi di remissione parziale o totale a periodi di ricomparsa della sintomatologia. È quasi sempre presente una andamento stagionale, cm intensificazione dei sintomi durante l’inverno. Il sintomo cardine è il dolore, descritto per lo più come diffuso. Esso non risponde bene ai FANS e viene esacerbato all’esposizione agli stress ambientali (freddo o umido) o anche agli stress psicologici. Dolore diffuso vuol dire che è riferito ad entrambi gli emisomi, al di sopra ed al di sotto della cintura. Inoltre deve essere presente dolore di tipo assiale Poi c’è la rigidità, (nel 75% dei pz) che è maggiore al risveglio e tende anch’essa a peggiorare in relazione alle condizioni climatiche. 73 All’esame clinico ricercare: 1. La tensione muscolare eccessiva 2. I tender points 3. Altre cose Vediamo nel dettaglio: 1. La tensione muscolare eccessiva, và ricercata soprattutto: ai muscoli del collo, allo sternocleido-mastoideoai muscoli para-vertebrali 2. I tender points, sono i punti di elettiva dolorabilità: sono più evidenti a livello delle prominenze ossee, dei punti di transizione fra muscolo e tendine, dei legamenti. La caratteristica è che la pressione dei tender point induce dolore solo nel punto dove è stata esercitata; questa è la differenza con i trigger point (punti grilletto) che nelle sindromi miofasciali: la pressione di questi ultimi provoca la comparsa di dolore riferito ed irradiato. la pressione si conduce su tali punti con intensità di 4kg (cioè la pressione necessaria per far sbiancare il letto ungueale) i tender point sono molteplici: quelli da testare per i criteri classificativi dell’ACR sono 18: (bilaterali) - Inserzione sub-occipitale del trapezio - Fascio medio del muscolo trapezio - Muscolo sovraspinato - Parte inferiore dello sterno-cleido-mastoideo - 2.a giunzione costo-condrale - epicondilo - quadrante supero-esterno della regione glutea - regione retro-trocanterica - area mediale del ginocchio sopra la linea articolare si pone diagnosi se almeno 11 di questi sono positivi. In realtà non tutti i pazienti li soddisfano, ecco perchè questi sono criteri classificativi e non criteri diagnostici. 3. Altre cose: - Valutare la personalità della paziente, se ha ansia/depressione, che qualità di vita conduce - Chiedere se soffre di altre malattie reumatiche - Di malattie endocrinologiche (tiroide) - Se recentemente ha subito traumi, fisici psichici - Se ha avuto malattie infettive (borelliosi di Lyme) o HIV - Se soffre della sindrome del colon irritabile o di cefalea muscolo-tensiva (che spesso sono associate alla fibromialgia) - Se soffre di disturbi del sonno: soprattutto se ha difficoltà ad addormentarsi e se lamenta solo un sonno leggero e non ristoratore. - Spesso ci sono sintomatologie dermatologiche: secchezza cutanea e prurito - Nel 10% dei pz c’è il f. di Raynaud e la xerostomia. Terapia 74 L’approccio al paziente fibromialgico è una delle sfide più ardue per il reumatologo; tenuto conto della plurifattorialità della FM le terapie utilizzate sono farmacologiche e non-farmacologiche. Di sicuro quello che è importante è una buona compliance del soggetto. A) Approccio Farmacologico: - FANS: poco utili - Mio-rilassanti: più utili - Farmaci anti-depressivi, quali gli inibitori del reuptake della serotonna - Integratori: melatonina (per dormire meglio), magnesio, ecc. - Anestetici locali sui tender points B) Approccio non farmacologico: - Attività aerobica perché presenta effetti diretti sui muscoli aumentando il trofismo, la vascolarizzazione e la nocicezione periferica ed effetti indiretti sul dolore, sulla psiche e sul sonno. - Fisio-chinesi-terapia - Metodiche cognitivo-compartimentali. - Tecniche di rilassamento - Oggi si ricorre sempre di più alle terapie alternative come l’omeopatia, tecniche orientali (yoga), ecc.. 75 Sezione Allergologia • CAPITOLO 17 - Le immunodeficienze: Semeiotica, classificazione e caratteristiche cliniche. Le immunodeficienze primitive, secondarie ed acquisite. • CAPITOLO 18 - Classificazione degli allergeni:allergia ad aeroallergeni, • CAPITOLO 19 - allergia al veleno di imenotteri, • CAPITOLO 20 - allergia a farmaci, • CAPITOLO 21 - allergie alimentari, • CAPITOLO 22 - allergie da contatto e dermatite atopica • CAPITOLO 23 - Principi generali di terapia delle malattie allergiche 76 CAPITOLO 17 - MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA Gruppo di condizioni eterogenee causate da uno o più difetti a carico del sistema immunitario e caratterizzate clinicamente da un aumento della suscettibilità alle infezioni con conseguente stato di malattia grave, acuta, ricorrente o cronica. Una patologia da immunodeficienza va sospettata in ogni individuo che contragga infezioni insolitamente frequenti, gravi e resistenti alla terapia; prive di un intervallo asintomatico; sostenute da microrganismi inusuali; oppure che presentino complicanze gravi o inaspettate. Dal momento che i disordini da immunodeficienza sono relativamente poco comuni, in prima istanza vanno prese in considerazione altre condizioni che predispongono alle infezioni ricorrenti. Se queste patologie possono essere escluse, si deve sospettare un difetto delle difese immunitarie. Tipo di disordine Condizioni Disordini circolatori e sistemici Anemia falciforme, diabete mellito, nefrosi, vene varicose, cardiopatie congenite Disordini ostruttivi Stenosi ureterale o uretrale, asma bronchiale, bronchiettasie, rinite allergica, ostruzione delle tube di Eustachio, fibrosi cistica Alterazioni dei tegumenti Eczema, ustioni, fratture craniche, anomalie del seno mediano, alterazioni ciliari Immunodeficienze secondarie Malnutrizione, prematurità, linfomi, splenectomia, uremia, terapia immunosoppressiva, enteropatia protidodisperdente, malattie virali croniche Immunodeficienze primarie Agammaglobulinemia legata al cromosoma X, sindrome di Di George, malattia granulomato sa cronica, deficit di C3 Fattori microbiologici inusuali Crescita eccessiva da antibiotici, infezioni croniche da micror ganismi resistenti, reinfezioni continue (contaminazione dell’acqua, contagio, contaminazione di apparecchi da inalazione) Corpi estranei Shunt ventricolari, cateteri venosi centrali, valvole cardiache artificiali, cateteri urinari, aspirazione di corpi estranei IMMUNODEFICIENZE PRIMARIE E SECONDARIE Le immunodeficienze possono essere primarie o secondarie. Le immunodeficienze primarie vengono classificate in quattro gruppi principali sulla base della componente del sistema immunitario che risulta compromessa: cellule B, cellule T, cellule fagocitarie o complemento. 77 Sono state descritte più di 70 immunodeficienze primitive e nell'ambito di ciascuna di esse può essere presente una notevole eterogeneità. I difetti delle cellule T comprendono diversi disordini con alterazioni concomitanti anche a carico delle cellule B (della produzione di anticorpi), fenomeno comprensibile dal momento che sia le cellule B sia quelle T originano da una cellula staminale primitiva comune e che le cellule T influenzano la funzione delle cellule B. Le malattie dei fagociti comprendono le condizioni in cui l'alterazione primitiva è a carico della motilità cellulare (chemiotassi) e quelle in cui tale alterazione è a carico dell'attività microbicida. Tra le immunodeficienze primarie, predominano i difetti delle cellule B o della produzione anticorpale; il deficit selettivo di IgA (solitamente asintomatico) può essere presente in un individuo su 400. Escludendo il deficit asintomatico di IgA, i difetti delle cellule B costituiscono il 50% delle immunodeficienze primarie; i deficit delle cellule T, circa il 30%; i deficit della fagocitosi, il 18%; e i difetti del complemento, il 2%. Si calcola che l'incidenza cumulativa delle immunodeficienze primarie sintomatiche sia di 1/10000; negli USA, si verificano circa 400 nuovi casi l'anno. Dal momento che molte immunodeficienze primarie sono ereditarie o congenite, esse esordiscono nei lattanti e nei bambini; circa l'80% degli individui affetti ha meno di 20 anni e, poiché molte sindromi presentano un'ereditarietà legata al cromosoma X, il 70% di esse colpisce i maschi. Le immunodeficienze secondarie consistono in un deterioramento del sistema immunitario dovuto all'insorgenza di una patologia in un individuo precedentemente sano. Il danno è spesso reversibile se la condizione o la malattia sottostante si risolve. Le immunodeficienze secondarie sono di gran lunga più frequenti di quelle primarie e si manifestano in molti pazienti ospedalizzati. Praticamente tutte le malattie gravi di lunga durata interferiscono in qualche misura con il sistema immunitario. Eziologia Le immunodeficienze non hanno una causa univoca, sebbene spesso vi sia implicato un difetto a carico di un singolo gene. Il difetto può portare alla mancanza di un enzima (p. es. deficit di adenosina deaminasi), alla mancanza di una proteina (p. es. deficit di componenti del complemento) o a un arresto di sviluppo in un particolare stadio differenziativo (p. es. arresto allo stadio di cellula pre-B nell'agammaglobulinemia legata al cromosoma X). In molte delle immunodeficienze primitive è stata identificata la localizzazione cromosomica dei geni difettosi. In talune patologie possono essere coinvolti fattori che agiscono durante la vita intrauterina (p. es. l'alcolismo materno in alcuni casi di sindrome di Di George); in altre, può avere un ruolo l'assunzione di farmaci (p. es. la fenitoina nel deficit di IgA). Nella maggior parte delle affezioni, l'esatta alterazione biologica è sconosciuta. Sintomi e segni La maggior parte delle manifestazioni cliniche delle immunodeficienze è dovuta alle frequenti infezioni, che solitamente esordiscono come infezioni respiratorie ricorrenti. (Tuttavia, molti lattanti immunologicamente normali contraggono da sei a otto infezioni respiratorie l'anno, soprattutto se esposti al contagio da parte di fratelli maggiori o di altri bambini.) In seguito, la 78 maggior parte dei pazienti con immunodeficienza finisce con il contrarre una o più infezioni batteriche gravi che persistono, recidivano o portano a complicanze; p. es. la sinusite, l'otite cronica e la bronchite fanno spesso seguito a episodi ripetuti di faringite o di infezione delle vie respiratorie superiori. La bronchite può progredire fino alla polmonite, alle bronchiettasie e all'insufficienza respiratoria, che rappresenta la causa di morte più frequente. Possono verificarsi infezioni sostenute da germi opportunisti (p. es. Pneumocystis carinii o cytomegalovirus), soprattutto nei pazienti affetti da deficit delle cellule T. Frequenti sono anche le infezioni della cute e delle mucose. Una candidosi orale refrattaria può essere il primo segno di un'immunodeficienza a carico delle cellule T. Si osservano anche ulcere orali e periodontiti, soprattutto nei deficit granulocitari. In molti adulti affetti da deficit anticorpali si manifesta una congiuntivite. Il pioderma, le verruche gravi, l'alopecia, gli eczemi e le teleangectasie sono di riscontro comune. Sintomi frequenti comprendono la diarrea, il malassorbimento e i difetti di crescita. La diarrea di solito è di tipo non infettivo, ma può essere dovuta a Giardia lamblia, rotavirus, cytomegalovirus o Cryptosporidium. In alcuni pazienti la diarrea può essere di tipo essudativo, con perdita di proteine sieriche e di linfociti. Manifestazioni meno comuni di immunodeficienza comprendono alterazioni ematologiche (anemia emolitica autoimmune, leucopenia, trombocitopenia), fenomeni autoimmunitari (vasculite, artrite, endocrinopatie) e alterazioni a carico del SNC (encefalite cronica, rallentamento dello sviluppo, convulsioni). Diagnosi È importante che venga raccolta l'anamnesi familiare. Se vi è una storia di decessi precoci, malattie analoghe a quella del paziente, patologie autoimmuni, allergie, neoplasie maligne troppo precoci o consanguineità, la stesura di un albero genealogico potrà essere d'aiuto nell'identificazione di una trasmissione ereditaria. Si dovrà rilevare la presenza di una storia di reazioni avverse alle immunizzazioni o alle infezioni virali, così come di pregressi interventi chirurgici (p. es. splenectomia, tonsillectomia, adenoidectomia), di terapie radianti sul timo o sul rinofaringe, e di precedenti terapie antibiotiche e immunoglobuliniche (IG) e della loro apparente efficacia clinica. Il tipo di infezione può dare indicazioni sulla natura dell'immunodeficienza. Nelle immunodeficienze anticorpali (B-cellulari) si osservano infezioni sostenute dai principali germi gram + (pneumococchi, streptococchi). Infezioni gravi sostenute da virus, funghi e altri microrganismi opportunisti sono di riscontro comune nelle immunodeficienze cellulari (T-cellulari). Nelle immunodeficienze a carico dei fagociti sono frequenti le infezioni ricorrenti da stafilococchi e da germi gram-. Le infezioni ricorrenti da Neisseria sono caratteristiche dei pazienti con diversi deficit a carico dei componenti del complemento. Talune infezioni opportunistiche (p. es. da P. carinii, Cryptosporidium o Toxoplasma) possono verificarsi in diverse forme di immunodeficienza. Anche l'età di esordio può essere d'aiuto per la diagnosi; i lattanti con meno di 6 mesi solitamente sono affetti da deficit delle cellule T. Tuttavia, un esordio di malattia intorno ai 6 mesi di età, quando gli anticorpi materni ricevuti per via transplacentare sono scomparsi, è indicativo di un deficit congenito della secrezione anticorpale. 79 All'esame obiettivo, i pazienti affetti da immunodeficienza hanno spesso l'aspetto di malati cronici, con pallore, malessere generale, malnutrizione e distensione addominale. Sulla cute possono comparire eruzioni maculari, vescicole, pioderma, eczemi, petecchie, alopecia o teleangectasie. La congiuntivite è frequente, specialmente negli adulti. I linfonodi cervicali e il tessuto adenoideo e tonsillare sono caratteristicamente assenti nelle immunodeficienze a carico delle cellule B o T, nonostante un'anamnesi positiva per infezioni faringee ricorrenti. Questo reperto può essere confermato con una rx laterale del faringe, che può mostrare l'assenza del tessuto adenoideo. Occasionalmente, i linfonodi sono ingranditi e suppurati. Le membrane timpaniche presentano spesso cicatrici o perforazioni. Le narici possono essere escoriate e ricoperte di croste, indizi suggestivi di secrezione nasale purulenta. Può essere presente stillicidio nasale posteriore e diminuzione del riflesso faringeo. Spesso è presente tosse cronica. È frequente il reperto di rantoli, specialmente negli adulti con immunodeficienza. Il fegato e la milza sono frequentemente ingranditi. La massa muscolare e i depositi adiposi delle natiche sono diminuiti. Nei lattanti, possono essere presenti escoriazioni perianali conseguenti alla diarrea cronica. L'esame neurologico può mettere in evidenza un ritardo nelle fasi dell'accrescimento oppure atassia. In un certo numero di sindromi da immunodeficienza, la presenza di una caratteristica costellazione di reperti obiettivi consente di porre una diagnosi clinica presuntiva: neonati affetti da sindrome di Di George che presentano infezioni, tetania, facies caratteristica e cardiopatie congenite; ragazzi con sindrome di Wiskott-Aldrich che presentano infezioni da piogeni, eczemi e manifestazioni emorragiche; bambini con atassia-teleangectasia che presentano infezioni senopolmonari ricorrenti, atassia e teleangectasie; ragazze con i capelli rossi affette dalla variante di Job della sindrome da iper-IgE che presentano pelle chiara, eczemi e infezioni stafilococciche ricorrenti. Indagini di laboratorio In tutti i casi di immunodeficienza, è necessario eseguire indagini selezionate per confermare o stabilire la diagnosi; spesso sono necessari test avanzati per sottoclassificare la malattia, condizione indispensabile per impostare una terapia razionale. Le indagini di screening possono essere eseguite nella maggior parte dei laboratori e degli ospedali e i test avanzati possono essere svolti nella maggioranza dei grandi ospedali, mentre i test specialistici sono disponibili soltanto nei laboratori o negli ospedali dotati di sofisticate attrezzature immunologiche. Quando si sospetta un'immunodeficienza, le analisi di screening raccomandate comprendono un emocromo completo con formula leucocitaria e conta piastrinica; la determinazione dei livelli plasmatici di IgG, IgM e IgA; la valutazione della funzione anticorpale; la ricerca clinica e laboratoristica dell'eventuale stato infettivo. L'emocromo stabilisce se è presente anemia, trombocitopenia, neutropenia o leucocitosi. Va considerato con attenzione il numero totale dei linfociti; una linfopenia (< 1500/ml) è indicativa di un'immunodeficienza T-cellulare. Lo striscio di sangue periferico va esaminato alla ricerca dei corpi di Howell-Jolly e di altre forme eritrocitarie inusuali indicative di asplenia o di iposplenismo. I granulociti possono presentare anomalie morfologiche (p. es. i granuli della sindrome di ChédiakHigashi). 80 Nonostante nella valutazione iniziale sia compresa anche la determinazione dei livelli delle immunoglobuline (Ig), in un primo momento i livelli di IgD e di IgE non vengono misurati. I livelli delle Ig vanno interpretati con cautela, a causa delle notevoli variazioni che si osservano con l'età; tutti i lattanti tra i 2 e i 6 mesi sono ipogammaglobulinemici rispetto ai valori di riferimento dell'adulto. Di conseguenza, i livelli vanno confrontati con quelli degli individui normali di pari età. In generale, si considerano normali i livelli di Ig compresi entro 2 deviazioni standard dalla media per ciascuna età. Un livello di Ig totali (IgG + IgM + IgA) > 600 mg/dl o un livello di IgG > 400 mg/dl, in presenza di normalità dei test funzionali anticorpali di screening, esclude la presenza di un deficit della produzione anticorpale. Un livello di Ig totali < 200 mg/dl è solitamente indice di un deficit anticorpale significativo. Livelli intermedi (cioè livelli di IgG compresi tra 200 e 400 mg/dl o livelli di Ig totali compresi tra 400 e 600 mg/dl) non sono dirimenti e devono essere messi in relazione con i test anticorpali funzionali. Per la valutazione iniziale è raccomandata anche l'esecuzione dei test anticorpali di screening. La funzione delle IgM viene valutata per mezzo dei titoli delle isoagglutinine (anti-A e/o anti-B). Tutti i pazienti, tranne i lattanti più piccoli di 6 mesi e i soggetti di gruppo sanguigno AB, possiedono anticorpi naturali a un titolo di 1:8 (anti-A) o 1:4 (anti-B) o superiore. Gli anticorpi diretti contro questi antigeni e contro taluni polisaccaridi batterici sono selettivamente diminuiti in determinati disordini (p. es. la sindrome di Wiskott-Aldrich, il deficit di IgG2). Nei pazienti immunizzati, i titoli degli anticorpi diretti contro gli antigeni dell'Haemophilus influenzae di tipo B, dell'epatite B, del virus del morbillo, del tetano o della difterite possono essere utilizzati per valutare la funzione delle IgG. Un'adeguata risposta anticorpale a uno o più di questi antigeni depone contro la presenza di un deficit della secrezione degli anticorpi. In ultimo, la valutazione iniziale deve comprendere la ricerca di uno stato infettivo cronico. LaVES è spesso elevata, solitamente in maniera proporzionale al grado dell'infezione. Vanno eseguiti appropriati esami radiologici (torace, seni paranasali) e colturali. Se i risultati di tutte queste indagini di primo livello sono normali, solitamente si può escludere la presenza di un'immunodeficienza (e particolarmente di un deficit anticorpale). Tuttavia, se si documenta la presenza di un'infezione cronica, se l'anamnesi appare insolitamente sospetta o se i risultati dei test di screening sono positivi, si deve procedere all'esecuzione dei test avanzati. Test per i deficit delle cellule B (anticorpali): se i livelli delle Ig sono molto bassi (livelli totali < 200 mg/dl), la diagnosi di deficit della produzione anticorpale è certa e procedure ulteriori divengono indicate soltanto per definire con precisione la patologia e identificare la presenza di altri difetti immunologici. Se i livelli delle Ig e i titoli anticorpali preesistenti sono bassi ma non nulli, bisogna procedere alla valutazione delle risposte anticorpali nei confronti di uno o più antigeni standardizzati. I titoli anticorpali vengono misurati prima e da 3 a 4 settimane dopo l'immunizzazione con vaccini costituiti da tossoide tetanico o H. influenzae di tipo B (per valutare la responsività agli antigeni proteici), oppure dopo immunizzazione con vaccino pneumococcico o meningococcico (per valutare la responsività agli antigeni polisaccaridici). Una risposta inadeguata (aumento del titolo inferiore a quattro volte il valore di base) è indicativa di un deficit anticorpale, indipendentemente dai livelli delle Ig. 81 Se i livelli delle Ig sono bassi, si esegue la conta delle cellule B valutando con la citometria a flusso la percentuale di linfociti che reagisce con anticorpi marcati con fluoresceina diretti contro antigeni specifici delle cellule B (p. es. CD19, CD20). Normalmente, risulta positivo per la presenza di Ig di membrana il 10-20% dei linfociti del sangue periferico (cellule B). In seguito, va eseguito il dosaggio dei livelli sierici delle sottoclassi delle IgG e dei livelli di IgD e IgE. I livelli della sottoclasse IgG1 (come quelli delle IgG) dipendono strettamente dall'età. In generale, dopo i 2 anni di età, per porre la diagnosi di deficit di una delle sottoclassi delle IgG devono essere presenti livelli di IgG1 < 250 mg/dl, di IgG2 < 50 mg/dl, di IgG3 < 25 mg/dl o livelli indosabili di IgG4. Livelli di IgD e IgE sia elevati sia bassi sono comuni nelle sindromi da deficit anticorpali parziali. I livelli delle IgE sono elevati nei disordini della chemiotassi, nelle immunodeficienze Tcellulari parziali, nelle malattie allergiche e nelle parassitosi. I deficit isolati di IgG4, IgD e IgE sono privi di importanza clinica. Altre indagini di laboratorio per i deficit delle cellule B divengono indicate in circostanze particolari. Di fronte a una linfoadenopatia, è indicata l'esecuzione di una biopsia linfonodale (talvolta preceduta da immunizzazione nell'estremità adiacente) per escludere la presenza di un tumore maligno o di un'infezione. La determinazione delle sottoclassi delle IgG è indicata se i livelli di IgG sono normali o quasi normali ma la funzione anticorpale risulta ridotta. Possono essere presenti deficit selettivi a carico di una delle quattro sottoclassi. Se esiste il sospetto di un rapido catabolismo delle IgG o di una loro perdita attraverso la cute o il tratto GI, può essere indicato uno studio della sopravvivenza delle IgG. Se il paziente presenta livelli di IgG bassi, viene somministrata un'alta dose di immunoglobuline EV e vengono misurati quotidianamente i livelli delle IgG per determinarne l'emivita. Se le eventuali infezioni locali sono gravi, si possono misurare i livelli delle Ig nelle secrezioni (p. es. lacrime o saliva). Per individuare la posizione esatta del blocco sintetico, vengono valutate la sintesi di IgG in vitro e la risposta anticorpale nei confronti di antigeni particolari (p. es. l'antigene del fago fX o l'emocianina del molluscoMegathura crenulata). Nelle malattie in cui il difetto genetico è stato identificato, il gene mutante o il prodotto del gene mutante può essere individuato (p. es. il gene Btk [della tirosin chinasi di Bruton] nell'agammaglobulinemia legata al cromosoma X) mediante test di laboratorio particolari. Test per i deficit delle cellule T: una linfopenia marcata e persistente suggerisce la presenza di un'immunodeficienza a carico delle cellule T; tuttavia, la linfopenia non è sempre presente. Una rx del torace è un utile test di screening nei lattanti; l'assenza dell'ombra timica nel periodo neonatale è un elemento indicativo di un deficit T-cellulare, specialmente se la rx viene eseguita prima che abbiano luogo infezioni o altri insulti che possono provocare la riduzione di volume del timo. I test cutanei di ipersensibilità ritardata sono indagini di screening preziose dopo i due anni di età. Vengono utilizzati i seguenti antigeni: parotite, Candida (1:100), tossoide tetanico fluido (1:10) e Trichophyton. Praticamente tutti gli adulti e la maggior parte dei lattanti e dei bambini immunizzati reagisce a uno o più di questi antigeni con la comparsa di eritema e indurimento (> 5 mm) a 48 h. La presenza di positività a uno o più dei test cutanei ritardati è generalmente indicativa di un sistema T-cellulare integro. 82 Il più utile fra i test avanzati per la valutazione dell'immunodeficienza cellulare è la conta delle cellule T e delle sottopopolazioni T-linfocitarie (helper/inducer e suppressor/citotossiche), eseguito di solito mediante citometria a flusso con l'impiego di anticorpi monoclonali di topo specifici per le cellule T. Il numero totale delle cellule T viene determinato utilizzando un anticorpo diretto contro un antigene comune a tutte le cellule T (p. es. anti-CD3, anti-CD2); le cellule T helper/inducer vengono misurate impiegando un anticorpo anti-CD4 e le cellule suppressor/citotossiche vengono misurate per mezzo di un anticorpo anti-CD8. (In generale questi test hanno soppiantato le tecniche di rosettamento su GR di pecora per la conta delle cellule T.) Un numero di cellule T helper (CD4) < 500 cellule/ml è fortemente indicativo di un'immunodeficienza T-cellulare e un numero di CD4 < 200 cellule/ml indica una grave immunodeficienza a carico delle cellule T. Il rapporto tra cellule CD4/CD8 (helper/suppressor) deve essere > 1,0; l'inversione di questo rapporto suggerisce anch'essa la presenza di un'immunodeficienza T-cellulare (p. es. nella AIDS la diminuzione del rapporto CD4/CD8 è segno di una compromissione immunologica progressiva). Sono disponibili anche anticorpi monoclonali per l'identificazione delle cellule attivate (CD25), delle cellule natural killer (CD16 e CD56) e degli antigeni (CD1) delle cellule T immature (timociti). Un altro utile test avanzato misura la capacità dei linfociti del paziente di proliferare e di ingrandirsi (trasformarsi) quando vengono coltivati in presenza di mitogeni (p. es. fitoemoagglutinina, concanavalina A), di GB allogenici irradiati (nella reazione leucocitaria mista) o di antigeni con i quali il paziente sia venuto a contatto in precedenza. Sotto l'effetto di questi stimoli, i linfociti normali vanno incontro a una rapida divisione cellulare, che può essere rilevata con metodi morfologici o mediante la captazione di timidina radioattiva all'interno delle cellule in divisione. La proliferazione viene di solito espressa come un indice, costituito dal rapporto tra la conta/min delle cellule stimolate e la conta/min di un numero equivalente di cellule non stimolate. I pazienti affetti da immunodeficienza T-cellulare presentano risposte proliferative ridotte o nulle in proporzione al grado di deficit immunitario. Le risposte proliferative ai mitogeni (i quali attivano tutte le cellule) sono molto più elevate (indice di stimolazione fra 50 e 100) rispetto alla risposta agli antigeni o alle cellule allogeniche (indice di stimolazione fra 3 e 30). Test speciali offrono la possibilità di valutare anche la produzione di linfochine dopo stimolazione con mitogeni o antigeni. Nonostante esistano più di 30 linfochine, vengono valutati per lo più l'interferon g, l'interleuchina 2, l'interleuchina 4 e il tumor necrosis factor a. Determinati pazienti presentano risposte proliferative adeguate ma una produzione di linfochine insufficiente (p. es. deficit del fattore di inibizione della migrazione nella candidosi mucocutanea cronica). Altri test valutano la funzione citotossica. Le diverse forme di citotossicità (natural killer, anticorpodipendente o delle cellule T citotossiche) vengono misurate utilizzando diverse cellule tumorali o cellule bersaglio infettate da virus. I deficit della citotossicità sono presenti in vario grado nelle immunodeficienze cellulari. In alcune forme di immunodeficienza combinata sono carenti gli enzimi della via metabolica delle purine (adenosina deaminasi, nucleoside fosforilasi), che possono essere determinati con l'impiego dei GR. È possibile misurare i livelli di diversi ormoni timici (timosina, fattore timico sierico); essi risultano bassi in alcune forme di immunodeficienza cellulare. La tipizzazione HLA può essere di valido aiuto per valutare la presenza di due popolazioni 83 diverse di cellule (chimerismo) e per escludere deficit a carico degli antigeni HLA (sindrome del linfocita nudo). La determinazione dell'integrità del recettore delle cellule T e della via di trasduzione del segnale ha consentito l'identificazione di alcuni difetti dell'attivazione delle cellule T e permette la loro valutazione. Test per i deficit delle cellule fagocitarie: un approfondimento in questo senso è indicato quando un paziente con una storia clinica indicativa di immunodeficienza possiede un'immunità umorale e cellulare normale. La mancata formazione di pus nella sede di un'infiammazione e un ritardo nel distacco del cordone ombelicale accompagnato da leucocitosi marcata sono indizi che suggeriscono un difetto della chemiotassi. Oltre all'emocromo, la valutazione iniziale deve comprendere una determinazione dei livelli di IgE, che risultano elevati in molti disordini della chemiotassi, e un test di riduzione del colorante nitroblu di tetrazolio (NBT) per la malattia granulomatosa cronica, la più comune fra le alterazioni della fagocitosi. Il test al NBT è basato sull'aumento dell'attività metabolica dei granulociti durante la fagocitosi e il killing, che provoca la riduzione del NBT incolore con formazione di formazan blu. Questo cambiamento di colore, assente nella malattia granulomatosa cronica, può essere valutato visivamente, microscopicamente o con la spettrofotometria. Il primo test specifico è costituito dalla colorazione dei granulociti per la mieloperossidasi, la fosfatasi alcalina o l'esterasi. La negatività della colorazione per questi enzimi va approfondita con l'esecuzione di indagini quantitative. In seguito, si può valutare la motilità cellulare con la tecnica della finestra cutanea di Rebuck, nella quale si esegue con un bisturi un'abrasione superficiale della cute che viene quindi ricoperta con un vetrino coprioggetti; esso viene rimosso e sostituito a intervalli regolari e colorato per l'osservazione delle cellule in migrazione. Un afflusso iniziale di PMN deve essere rilevabile entro le prime 2 h ed essere poi sostituito dall'arrivo di monociti entro 24 h. L'esistenza di un'alterazione della chemiotassi può essere confermata mediante un test in vitro nel quale viene misurata la migrazione dei granulociti o dei monociti con l'impiego di una speciale camera chemiotattica (di Boyden) o di una piastra di agaroso; viene valutato il movimento cellulare in direzione di una sostanza chemioattraente (p. es. lo zymosan opsonizzato). Successivamente viene valutata la funzione fagocitaria misurando la captazione di particelle di lattice o di batteri da parte di granulociti o di monociti isolati. Viene poi indagata l'attività microbicida mescolando in siero fresco i granulociti del paziente con un numero conosciuto di batteri vivi, ed eseguendo poi determinazioni batteriche quantitative seriate in un arco di tempo di 2 h. Altri test specializzati definiscono meglio i difetti della fagocitosi: test di mobilizzazione granulocitaria dopo somministrazione di corticosteroidi, adrenalina o endotossine; determinazioni quantitative degli enzimi granulocitari (mieloperossidasi, G6PD, ecc.); ricerca dei prodotti ossidanti granulocitari (perossido di idrogeno, ione superossido); test per la determinazione di proteine granulocitarie specifiche (glicoproteine di adesione al CR3 [CD11], componenti della nicotinamide adenin dinucleotide fosfato ossidasi). Questi ultimi consentono di distinguere le quattro forme genetiche della malattia granulomatosa cronica. 84 Test per i deficit del complemento: la presenza di un'alterazione a carico del complemento viene valutata inizialmente misurando l'attività complementare totale del siero (CH50) e i livelli sierici di C3 e C4. Il riscontro di bassi livelli di uno qualunque di questi parametri deve essere seguito dalla titolazione della via classica e della via alternativa del complemento e dal dosaggio dei singoli componenti complementari. Il deficit di componenti della via classica è associato anche con la patologia renale immunitaria, con le reazioni tipo malattia da siero o con le infezioni acute. Per misurare i componenti complementari si utilizzano antisieri mono-specifici o GR sensibilizzati e soluzioni che contengono tutti i componenti tranne quello da determinare. Sono disponibili antisieri anche per la determinazione delle proteine regolatrici del complemento. Il deficit di C1-inibitore è alla base dell'edema angioneurotico ereditario e il deficit di fattore I (C3inibitore) è associato al deficit di C3 con ipercatabolismo del C3. Per valutare la funzione del complemento in modo indiretto si possono impiegare i test di attività opsoninica, chemiotattica o battericida del siero. La prevenzione delle immunodeficienze primarie è limitata alla consulenza genetica, quando sia nota la presenza di forme a trasmissione ereditaria conosciuta. La diagnosi prenatale su cellule amniotiche in coltura o su sangue fetale è possibile soltanto per alcuni di questi disordini, tra i quali l'agammaglobulinemia legata al cromosoma X, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la maggior parte delle forme di immunodeficienza combinata grave, il deficit di adenosina deaminasi e la malattia granulomatosa cronica. Per escludere la presenza di malattie legate al cromosoma X si può ricorrere anche alla determinazione del sesso fetale. In un certo numero di questi disordini si può identificare un'ereditarietà di tipo eterozigote. Prognosi La maggior parte delle immunodeficienze primitive ha un'origine genetica e dura per tutta la vita. La prognosi è quanto mai variabile, ma alcune immunodeficienze possono essere curate con il trapianto di cellule staminali. La maggioranza dei pazienti affetti da immunodeficienze anticorpali o da un deficit del complemento ha una prognosi favorevole con un'aspettativa di vita pressoché normale, a patto che venga identificata precocemente, sia trattata con regolarità e non sia affetta da malattie croniche concomitanti (p. es. una patologia polmonare). Altri pazienti con immunodeficienza, p. es. quelli con disordini della fagocitosi, con disordini combinati o con alterazioni della produzione anticorpale affetti da infezioni croniche, hanno una prognosi meno buona riguardo all'aspettativa di vita; la maggior parte è cronicamente malata e necessita di un trattamento intensivo (p. es. IGEV, antibiotici, drenaggio posturale, interventi chirurgici, ecc.). Alcuni pazienti con immunodeficienza hanno una prognosi quoad vitam decisamente sfavorevole (quelli affetti da atassia-teleangectasia, quelli con immunodeficienza combinata grave che non sono stati sottoposti a trapianto). Due istituzioni che si occupano di immunodeficienze per il sostegno e l'informazione dei pazienti e per la ricerca, sono la Jeffrey Modell Foundation (001-800-JEFF-844) e la Immune Deficiency Foundation (001-800-296-4433). Terapia La gestione complessiva dei pazienti affetti da immunodeficienza richiede una quantità di cure straordinaria per mantenere uno stato di salute e di nutrizione ottimali, trattare le infezioni, 85 prevenire i problemi psicologici legati alla malattia e sostenere i costi. I pazienti devono essere protetti dalle occasioni evitabili di esposizione alle infezioni, devono dormire nel loro letto personale e avere preferibilmente camere riservate. Se vi è evidenza di qualche attività anticorpale, si devono somministrare loro regolarmente vaccini preparati con microrganismi uccisi. L'apparato dentario deve essere sempre mantenuto in buone condizioni. Gli antibiotici sono farmaci salvavita per il trattamento delle infezioni; la scelta e il dosaggio sono identici a quelli impiegati normalmente. Tuttavia, poiché i pazienti con immunodeficienza possono soccombere rapidamente alle infezioni, la febbre o altri segni di infezione vanno sempre interpretati come secondari a infezione batterica e la terapia antibiotica va intrapresa senza esitazioni. Prima di iniziare la terapia a pieno regime, vanno eseguiti un tampone faringeo, una emocoltura o eventuali altri esami colturali; essi risultano particolarmente utili in seguito, qualora l'infezione non dovesse rispondere all'antibiotico iniziale e qualora il microrganismo infettante appartenga a una specie non comune. La somministrazione continua di antibiotici a scopo profilattico è spesso di giovamento, in particolare quando esiste il rischio di infezioni improvvise a decorso rapidamente progressivo (p. es. nella sindrome di Wiskott-Aldrich o nelle sindromi aspleniche), quando altre forme di terapia immunitaria non sono disponibili (p. es. nei deficit della fagocitosi) o non sono sufficienti (p. es. nelle infezioni ricorrenti in corso di agammaglobulinemia nonostante la terapia immunoglobulinica) e quando esiste un rischio elevato di contrarre un'infezione specifica (p. es.P. carinii nei deficit dell'immunità cellulare). Gli antivirali, comprese l'amantadina o la rimantadina per l'influenza, l'acyclovir per le infezioni erpetiche (incluse quelle da virus della varicella-zoster) e la ribavirina per il virus respiratorio sinciziale, possono risultare farmaci salvavita nei pazienti con immunodeficienza affetti da infezioni virali. Le immunoglobuline (IG) costituiscono una terapia sostitutiva efficace nella maggior parte delle forme di deficit anticorpale. Si tratta di una soluzione di IgG al 16,5%, con quantità minime di IgM e di IgA, per uso IM o SC, oppure di una soluzione dal 3 al 12% per infusione EV (IGEV). La dose d'attacco abituale è di 200 mg/kg (1,4 ml/kg della preparazione al 16,5% o 400 mg/ kg [8 ml/kg]di una preparazione al 5%) somministrati in 2 o 3 dosi nell'arco di 2-5 giorni, seguita da una dose mensile di 100 mg/kg (0,7 ml/kg della soluzione al 16,5% o 200 mg/kg [4 ml/kg]della soluzione al 5%). Dosi inferiori non sono efficaci. Poiché una dose di IgG di 100 mg/kg innalza i livelli sierici depressi di IgG soltanto di circa 100 mg/dl, alcuni pazienti necessitano di dosi maggiori o più frequenti. La massima dose IM somministrabile in una singola sede è di 10 ml negli adulti e di 5 ml nei bambini; pertanto possono essere necessarie più iniezioni in sedi differenti. Alte dosi di IGEV (da 400 a 800 mg/kg al mese) possono essere somministrate e sono di effettivo giovamento in alcuni pazienti con deficit anticorpale che non rispondono bene alle dosi convenzionali, specialmente quelli affetti da pneumopatie croniche. Lo scopo della somministrazione di IGEV ad alte dosi è quello di mantenere i livelli delle IgG entro i valori normali (cioè > 500 mg/dl). Per la terapia con IG ad alte dosi (cioè > 400 mg/kg al mese) sono state impiegate anche le infusioni SC lente di IG o le IGEV al 10% somministrate a intervalli settimanali. Come alternativa alle IG è stato utilizzato il plasma, ma a causa del rischio di trasmissione di malattie, esso raramente trova indicazione. Il plasma contiene numerosi fattori oltre alle Ig ed è 86 risultato prezioso nei pazienti affetti da enteropatia protido-disperdente, deficit del complemento e diarrea refrattaria. Plasma privo di IgA è stato impiegato con successo nei pazienti con fenomeni di ipersensibilità acuta alle IgA contenute nelle preparazioni di IG. Altre terapie, comprendenti i farmaci immunostimolanti (levamisolo, isoprinosina), le terapie biologiche (transfer factor, interleuchine, interferoni) e gli ormoni (ormoni timici), si sono dimostrate di valore limitato nel trattamento delle immunodeficienze cellulari o fagocitarie. Alcuni pazienti con deficit di adenosina deaminasi hanno tratto beneficio dalla terapia sostitutiva enzimatica con adenosina deaminasi bovina coniugata con glicole polietilenico (PolyEthylene Glycol-Adenosine DeAminase, PEG-ADA). Il trapianto di cellule staminali, solitamente ottenuto con un trapianto di midollo osseo, è spesso in grado di ottenere la correzione completa dell'immunodeficienza. Nell'immunodeficienza combinata grave e nelle sue varianti, il trapianto di midollo osseo da un fratello donatore HLAidentico appaiato con coltura leucocitaria mista ha consentito il ripristino delle funzioni immunitarie in più di 300 casi. Nei pazienti con immunità cellulare integra o solo parzialmente compromessa (p. es. nella sindrome di Wiskott-Aldrich) si deve praticare un'immunosoppressione preventiva per garantire l'attecchimento del trapianto. Quando non è disponibile un fratello donatore HLA-identico, si può utilizzare il midollo osseo aploidentico (emiappaiato) prelevato da uno dei genitori. In tali circostanze, prima dell'impianto bisogna eliminare dal midollo del genitore le cellule T mature, che provocherebbero una malattia del trapianto contro l'ospite. Ciò si può ottenere mediante la rimozione con agglutinazione in lecitina di soia o con l'impiego di anticorpi monoclonali diretti contro le cellule T. In alternativa, può essere utilizzato midollo osseo proveniente da un individuo compatibile ma non imparentato identificato attraverso l'International Bone Marrow Transplant Registry. Come fonte di cellule staminali può essere utilizzato anche il sangue del cordone ombelicale di un fratello HLA-appaiato oppure sangue di cordone HLA-compatibile proveniente da una banca ematologica. Queste procedure specialistiche sono disponibili soltanto in un ristretto numero di centri. Occasionalmente hanno avuto successo i trapianti di timo fetale, di timo neonatale in coltura, di cellule epiteliali timiche e di fegato fetalee particolarmente i trapianti di timo fetale nella sindrome di Di George. Precauzioni: ai pazienti con immunodeficienze a carico delle cellule B o T non devono essere somministrati vaccini preparati con microrganismi vivi (p. es. poliovirus, morbillo, parotite, rosolia, BCG) a causa del rischio di sviluppare una malattia indotta dal vaccino e i membri della famiglia non devono essere sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica con virus vivo. I pazienti con deficit dell'immunità cellulare non devono ricevere emoderivati freschi che possono contenere linfociti integri, a causa del rischio di una reazione del trapianto contro l'ospite; di conseguenza, il sangue intero o le sue frazioni (p. es. GR, piastrine, granulociti e plasma) devono essere irradiati (dai 15 ai 30 Gy) prima di essere infusi. I pazienti devono inoltre ricevere emoderivati provenienti da donatori sieronegativi per cytomegalovirus. Nei pazienti affetti da deficit selettivo di IgA va solitamente evitata la somministrazione di IG o di plasma, perché anticorpi anti-IgA possono svilupparsi o provocare reazioni avverse. I pazienti con splenomegalia devono evitare di praticare sport di contatto fisico. I pazienti trombocitopenici devono evitare le iniezioni IM (p. es. di IG). È 87 opportuno somministrare antibiotici in concomitanza con interventi chirurgici o procedure odontoiatriche. IPOGAMMAGLOBULINEMIA TRANSITORIA DELL'INFANZIA Deficit anticorpale autolimitantesi che colpisce entrambi i sessi, con esordio dai 3 ai 6 mesi di età, che solitamente persiste da 6 a 18 mesi. Talvolta vi si associa un aumento della frequenza di infezioni. Questo disordine deriva da un ritardo nell'inizio della sintesi anticorpale, nonostante la presenza di un numero normale di cellule B. Le cellule T helper possono essere diminuite. I lattanti prematuri sono particolarmente a rischio, a causa dei più bassi livelli di IgG transplacentari di cui sono dotati alla nascita. La malattia non ha carattere familiare. Terapia Nonostante i bassi livelli di IgG (livelli totali < 400 mg/dl), molti di questi lattanti non necessitano di IG, in particolare se esiste qualche evidenza di funzione anticorpale, se i livelli di IgG sono in aumento e se le infezioni sono assenti o banali. I pazienti che necessitano di IG devono ricevere dosi terapeutiche piene per 3-6 mesi, con controlli frequenti dei livelli di IgG. In occasione di ogni episodio infettivo è indicata la terapia antibiotica. La prognosi ai fini del recupero completo è eccellente. I neonati con meno di 32 settimane di età gestazionale e/o un peso alla nascita < 1500 g hanno livelli di IgG così prevedibilmente bassi che sono state impiegate le IGEV per il trattamento delle sospette sepsi batteriche e per la prevenzione delle infezioni batteriche nei primi mesi di vita. DEFICIT SELETTIVO DI IgA Assenza o marcata riduzione (< 5 mg/dl) delle IgA sieriche, con livelli normali delle altre Ig e immunità cellulare integra. Il deficit selettivo di IgA è la più comune (e la più lieve) delle immunodeficienze, manifestandosi con una frequenza di 1/400 persone. Esso è di solito sporadico, ma occasionalmente si presenta in forma familiare. Può presentarsi in seguito a terapia con fenitoina e in individui con alterazioni a carico del cromosoma 18. Può presentarsi inoltre nei parenti dei pazienti affetti da immunodeficienza comune variabile (v. oltre). La maggior parte dei pazienti è asintomatica e il difetto viene scoperto casualmente. Altri presentano infezioni respiratorie ricorrenti, diarrea cronica, allergie o malattie autoimmuni. I pazienti con deficit di IgA non hanno IgA nelle loro secrezioni, ma possono compensare con la secrezione di altre Ig. Questi pazienti possono sviluppare anticorpi anti-IgA in conseguenza dell'esposizione alle IgA contenute nei preparati di plasma o di IG; questi anticorpi possono provocare reazioni anafilattiche in occasione di somministrazioni successive di IG o di sangue.Alcuni pazienti con deficit di IgA presentano un deficit associato della sottoclasse IgG2; molti di tali pazienti contraggono infezioni ricorrenti. Terapia Nella maggior parte dei casi la terapia non è necessaria. È raccomandabile che i pazienti abbiano indosso un braccialetto con una targhetta informativa in modo da prevenire la somministrazione 88 involontaria di plasma o di IG con conseguente sensibilizzazione o reazione. Nei soggetti con infezioni respiratorie persistenti è necessaria la somministrazione continua di antibiotici. La terapia sostitutiva con IgA non è attualmente disponibile. Le iniezioni di IG o le infusioni di IGEV sono in genere controindicate, anche se ad alcuni pazienti con deficit di IgA associato a deficit di sottoclassi delle IgG sono state somministrate IG con buoni risultati. Alcuni pazienti affetti da deficit di IgA vanno incontro a remissione spontanea. AGAMMAGLOBULINEMIA LEGATA AL CROMOSOMA X (Agammaglobulinemia di Bruton; agammaglobulinemia congenita) Panipogammaglobulinemia dei lattanti maschi caratterizzata da livelli di IgG < 100 mg/dl e livelli delle altre Ig bassi o nulli, cellule B scarse o assenti, immunità cellulare integra ed esordio delle infezioni qualche tempo dopo il sesto mese di vita, epoca in cui scompaiono gli anticorpi di origine materna. Questi lattanti contraggono infezioni piogeniche ricorrenti a carico dei polmoni, dei seni paranasali e delle ossa, sostenute da microrganismi come lo pneumococco, l'haemophilus e lo streptococco. Essi sono anche predisposti all'infezione da poliovirus indotta dal vaccino e all'encefalite cronica da echovirus. Alcuni lattanti hanno un'artrite che scompare con la terapia con IG. L'ereditarietà legata al cromosoma X viene dimostrata nel 20% circa dei casi. Un difetto a carico del gene per la Btk (tirosin chinasi di Bruton) localizzato nella regione Xq22 impedisce la differenziazione delle cellule pre-B in cellule B. In ciascun membro della famiglia si osservano diverse varianti del gene difettoso. Terapia È essenziale la somministrazione per tutta la vita di IG IM o EV alle più basse dosi in grado di prevenire le infezioni ricorrenti. In occasione di ogni episodio infettivo è di vitale importanza l'immediata e idonea istituzione di una terapia antibiotica; talvolta è indicata la somministrazione continua di antibiotici. Nonostante queste misure, molti pazienti sviluppano sinusiti persistenti, bronchiti e bronchiettasie. Vi è un aumento della suscettibilità allo sviluppo di neoplasie maligne. IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE (Agammaglobulinemia acquisita) Disordine eterogeneo che colpisce in uguale misura entrambi i sessi, caratterizzato dalla comparsa di infezioni batteriche ricorrenti, solitamente nel corso del 2o o 3o decennio di vita, conseguenti a una marcata riduzione dei livelli anticorpali. Il carattere distintivo tra l'immunodeficienza comune variabile e l'agammaglobulinemia legata al cromosoma X è costituito dalla presenza di un numero normale di cellule B. L'immunità cellulare è solitamente integra, ma in alcuni pazienti può essere compromessa; in altri, sono descritte alterazioni immunoregolatorie a carico delle cellule T. In questi pazienti e nei loro familiari sono comuni i disordini autoimmunitari, compresi il morbo di Addison, la tiroidite e l'AR. Talvolta sono presenti diarrea, malassorbimento e iperplasia linfoide nodulare del tratto GI. Spesso si sviluppano bronchiettasie. Carcinomi e linfomi si manifestano nel 10% dei pazienti. I meccanismi immunologici sono diversi; p. es. un'eccessiva attività T suppressor, una scarsa attività T helper, difetti intrinseci della funzione delle cellule B e la presenza di autoanticorpi diretti contro le 89 cellule B o T. Come avviene nella agammaglobulinemia legata al cromosoma X, è indispensabile la terapia con IG per tutta la vita e devono essere impiegati gli antibiotici per trattare ogni episodio infettivo. IMMUNODEFICIENZA CON IPER-IgM Immunodeficienza congenita, solitamente legata al cromosoma X, caratterizzata da livelli elevati di IgM, livelli diminuiti di IgG e di IgA, neutropenia intermittente, numero normale di cellule B e suscettibilità alle infezioni. Possono essere presenti linfoadenopatie e fenomeni autoimmunitari (p. es. anemia emolitica Coombs-positiva). La suscettibilità ai principali patogeni gram + e alle infezioni opportunistiche (compresi Pneumocystis carinii e Cryptosporidium) è aumentata. La maggior parte dei pazienti (> 70%) sviluppa un'epatopatia cronica entro i 30 anni. Il difetto immunologico alla base della forma legata al cromosoma X è un deficit della gp39 delle cellule T, il ligando del CD40 presente sulle cellule B che induce lo switch isotipico da IgM a IgA, IgG e IgE. Il gene mutato è stato identificato nella regione Xq27. Terapia Il trattamento è analogo a quello per l'agammaglobulinemia legata al cromosoma X. Per la neutropenia può essere impiegato il fattore stimolante le colonie dei granulociti. In alcuni casi ha avuto successo il trapianto di cellule staminali. DEFICIT DELLE SOTTOCLASSI DELLE IgG Deficit anticorpale associato a un'aumentata suscettibilità alle infezioni e a livelli assenti o marcatamente ridotti (maggiore di 2 deviazioni standard al disotto della media per l'età) di una o due sottoclassi delle IgG, ma con livelli normali o aumentati delle altre sottoclassi. La maggior parte dei pazienti ha livelli totali di IgG e degli altri anticorpi normali o quasi normali, ma presenta una diminuita responsività anticorpale a determinati antigeni. Sono state descritte infezioni respiratorie croniche o ricorrenti, otite media, pneumopatie croniche e meningiti ricorrenti. Dal momento che le IgG1 costituiscono il 70% delle IgG totali, un deficit isolato di IgG1 si associa a panipogammaglobulinemia e non viene considerato come un deficit di una sottoclasse. Il deficit combinato o selettivo di IgG2 o di IgG3, con o senza deficit di IgG4, è il più comune deficit a carico delle sottoclassi. I pazienti con deficit di IgG2 (selettivo o combinato con deficit di un'altra sottoclasse) presentano spesso risposte anticorpali deboli nei confronti degli antigeni polisaccaridici e/o un deficit associato di IgA (< 5mg/dl). Il deficit isolato di IgG4 asintomatico è presente in un gran numero di individui. Nei bambini piccoli i deficit delle sottoclassi possono essere transitori e scomparire con la crescita. Sono stati descritti alcuni pazienti con alterata capacità di risposta ai polisaccaridi ma con livelli normali delle sottoclassi di IgG. Terapia I pazienti con deficit accertati di sottoclassi delle IgG si possono giovare delle IG (v. Terapia, sotto Agammaglobulinemia legata al cromosoma X, sopra). SINDROME DI GEORGE (Ipoplasia timica; sindrome della terza e quarta tasca faringea) 90 Immunodeficienza congenita caratterizzata anatomopatologicamente dall'assenza o dall'ipoplasia del timo e delle ghiandole paratiroidi e immunologicamente da un'immunodeficienza parziale o completa a carico delle cellule T, ma con immunità B-cellulare normale o quasi normale. I lattanti colpiti presentano impianto basso delle orecchie, schisi facciali della linea mediana, ipoplasia e retrazione della mandibola, ipertelorismo, accorciamento del filtro nasale e cardiopatie congenite. Entro le prime 24 o 48 h di vita compare tetania. Entrambi i sessi vengono colpiti in uguale misura e i casi familiari sono rari. Nel 90% dei casi possono essere dimostrate anomalie a carico del cromosoma 22q (p. es. delezione o monosomia). Sembra che si verifichi un'interruzione dello sviluppo normale delle strutture della tasca faringea intorno all'8a settimana di gestazione. Le infezioni ricorrenti cominciano a presentarsi poco dopo la nascita. Il grado di immunodeficienza varia notevolmente da un paziente all'altro e talvolta la funzione delle cellule T migliora spontaneamente, specie nei pazienti con cellule CD4 > 400/ml. Terapia è stato eseguito con buoni risultati il trapianto di midollo osseo e sono stati ottenuti alcuni successi con il trapianto di timo fetale. La prognosi finale è spesso determinata dalla gravità delle malformazioni cardiache. Un deficit parziale è compatibile con una sopravvivenza prolungata. CANDIDOSI MUCOCUTANEA CRONICA Immunodeficienza di tipo cellulare caratterizzata da infezioni persistenti da Candida a carico delle mucose, del cuoio capelluto, della cute e delle unghie e spesso associata a un'endocrinopatia, specialmente all'ipoparatiroidismo e all'iposurrenalismo. L'esordio può avvenire nel periodo neonatale con la comparsa di un mughetto persistente, oppure può essere differito fino all'età adulta avanzata. Questo disordine è leggermente più frequente nel sesso femminile. La malattia ha gravità molto variabile, dal coinvolgimento di un solo elemento ungueale fino all'interessamento generalizzato delle mucose, della cute e dei capelli e alla presenza di lesioni granulari sfiguranti del volto e del cuoio capelluto. Non si manifesta candidosi sistemica né aumentata suscettibilità ad altre infezioni. Ne esistono diverse forme cliniche, compresa una forma autosomica recessiva associata a ipoparatiroidismo e morbo di Addison (sindromeCandida-endocrinopatia). I reperti immunologici caratteristici sono l'anergia cutanea alla Candida, l'assenza di risposte proliferative nei confronti degli antigeni della Candida (ma con normali risposte proliferative ai mitogeni) e buone risposte anticorpali nei confronti dellaCandida e di altri antigeni. In alcuni casi si osservano reperti associati come alopecia, bronchiettasie, displasie dentarie, epatite e deficit di biotina con deficit enzimatico di carbossilasi. Terapia La terapia consiste nell'impiego di farmaci antifungini per via topica (nistatina, clotrimazolo) o sistemica (ketoconazolo, fluconazolo, amfotericina B. Talora le unghie colpite devono essere rimosse chirurgicamente. L'immunoterapia con transfer factor, epitelio timico, ormoni timici o linfociti immuni non dà benefici permanenti. Il trapianto di midollo osseo ha avuto successo in un solo caso. IMMUNODEFICIENZA COMBINATA Gruppo di disordini caratterizzati da un deficit congenito e solitamente ereditario a carico sia del sistema cellulare B sia di quello T, da aplasia linfoide e da displasia timica. 91 Le immunodeficienze combinate comprendono l'immunodeficienza combinata grave, l'agammaglobulinemia di tipo svizzero, l'immunodeficienza combinata con deficit di adenosina deaminasi o di nucleoside fosforilasi e l'immunodeficienza combinata con immunoglobuline (sindrome di Nezelof). La maggior parte dei pazienti presenta un esordio precoce delle infezioni (entro il 3o mese di vita), con candidosi orale, polmonite e diarrea. In assenza di terapia, la maggioranza muore prima dei 2 anni di età. La maggior parte dei pazienti presenta un marcato deficit delle cellule B e delle Ig. I seguenti reperti sono caratteristici: linfopenia, numero di cellule T ridotto o nullo, scarsa risposta proliferativa ai mitogeni, anergia cutanea, assenza dell'ombra timica e diminuzione del tessuto linfoide. Sono comuni le polmoniti da P. carinii e altre infezioni opportunistiche. Esistono diverse varianti di questa patologia. Nel 67% dei casi può essere dimostrata una trasmissione ereditaria legata al cromosoma X o di tipo autosomico recessivo. La maggior parte dei pazienti con ereditarietà legata al cromosoma X ha un'immunodeficienza combinata grave legata al cromosoma X, dovuta a mutazioni a carico della catena g del recettore per l'IL-2. Questa catena è un componente dei recettori per altre citochine (IL-4, IL-7, IL-9, IL-13, IL-15), il che probabilmente spiega la gravità della malattia. Circa la metà dei pazienti con ereditarietà autosomica recessiva è affetta da un deficit di adenosina deaminasi (ADA), un enzima della via di "salvataggio" delle purine che converte l'adenosina e la deossiadenosina rispettivamente in inosina e deossiinosina. Il deficit di ADA provoca l'accumulo di elevate quantità di deossiadenosina trifosfato (dATP), il quale inibisce la sintesi del DNA. I pazienti affetti da deficit di ADA possono essere normali alla nascita, ma sviluppano un deficit immunologico progressivo man mano che il dATP si accumula. Nellasindrome di Nezelof (immunodeficienza combinata con Ig) esiste un marcato deficit dell'immunità cellulare, con livelli di Ig normali, quasi normali o elevati ma con una scarsa funzionalità anticorpale. Altri lattanti presentano lesioni cutanee simili a quelle della malattia di Letterer-Siwe, linfoadenopatia ed epatosplenomegalia, e alcuni possono avere una malattia da trapianto contro l'ospite dovuta ai linfociti materni o a precedenti trasfusioni di sangue. Altre varianti comprendono i deficit di citochine (deficit di IL-1, deficit di IL-2, deficit citochinici multipli), i difetti strutturali del recettore delle cellule T, i difetti di trasduzione del segnale, l'assenza degli antigeni HLA di classe I e/o di classe II (sindrome del linfocita nudo), il nanismo ad arti corti, l'ipoplasia della cartilagine e dei capelli con immunodeficienza e l'immunodeficienza combinata con eosinofilia (sindrome di Omenn). Terapia La terapia con IG e antibiotici (compresa la profilassi per P. carinii) trova indicazione ma non è curativa. Il trattamento di elezione per tutte le varianti è costituito dal trapianto di cellule staminali. I pazienti con deficit di ADA sono stati trattati con successo con glicole polietilenico coniugato con ADA bovina (PEG-ADA). I pazienti con deficit di IL-2 sono stati trattati con IL-2 umana ricombinante. Nel deficit di ADA è stata utilizzata con qualche buon risultato la terapia genica. SINDROME DI WISCKOTT-ALDRICH 92 Disordine recessivo legato al cromosoma X che colpisce i lattanti di sesso maschile, caratterizzato da eczema, trombocitopenia e infezioni ricorrenti. Le prime manifestazioni sono spesso di tipo emorragico (di solito diarrea ematica), seguite poi da infezioni respiratorie ricorrenti. Nei pazienti più grandi di 10 anni che sopravvivono, sono frequenti (10%) i tumori maligni (in particolare il linfoma e la leucemia linfoblastica acuta). I deficit immunologici caratteristici comprendono scarse risposte anticorpali agli antigeni polisaccaridici, anergia cutanea, deficit parziale delle cellule T, alti livelli di IgE e IgA, bassi livelli di IgM e ipercatabolismo delle IgG ma livelli di IgG normali. A causa del deficit combinato sia a carico della funzione B sia di quella T, si manifestano infezioni sostenute da batteri piogeni, virus, funghi e P. carinii. Dal punto di vista ematologico, questi pazienti hanno piastrine piccole e un aumento della distruzione splenica delle piastrine stesse; di conseguenza, la splenectomia può ridurre la trombocitopenia. Il difetto genico è stato localizzato nella regione Xp11. Prognosi e terapia In assenza di trapianto, la maggior parte dei pazienti muore entro i 15 anni di età; tuttavia, i pazienti con le forme incomplete della malattia possono sopravvivere fino all'età adulta. La terapia prevede la splenectomia, la somministrazione continua di antibiotici, la somministrazione di IGEV (non IM, per il rischio di emorragie) e il trapianto di midollo osseo. ATASSIA-TELEANGECTASIA Disordine multisistemico progressivo a trasmissione autosomica recessiva caratterizzato da atassia cerebellare, teleangectasia congiuntivale e cutanea, infezioni senopolmonari ricorrenti e deficit immunitario di vario grado. Sia i sintomi neurologici sia i segni di immunodeficienza hanno un esordio variabile. L'atassia si manifesta abitualmente nel periodo in cui i bambini cominciano a camminare, ma può ritardare la sua comparsa fino ai 4 anni. La sua progressione conduce a una grave invalidità. L'eloquio diviene impastato, compaiono movimenti coreoatetoidi e oftalmoplegia e la debolezza muscolare progredisce di solito fino all'atrofia. Può manifestarsi un ritardo mentale progressivo. Le teleangectasie si manifestano tra 1 e 6 anni di età, in modo più evidente sulla congiuntiva bulbare, sulle orecchie, sulle fosse antecubitali e poplitee e ai lati del naso. Le infezioni senopolmonari ricorrenti, conseguenza dei deficit immunologici, portano allo sviluppo di polmoniti ricorrenti, bronchiettasie e pneumopatie croniche di tipo ostruttivo e restrittivo. Possono verificarsi alterazioni endocrine, comprendenti la disgenesia gonadica, l'atrofia testicolare e una rara forma di diabete mellito caratterizzata da iperglicemia marcata, resistenza alla chetosi e notevole risposta insulinica plasmatica al glucoso o alla tolbutamide. La malattia è associata a un'alta incidenza di neoplasie maligne (specialmente leucemie e tumori cerebrali e gastrici) e a un incremento delle rotture cromosomiche, probabilmente indizio di un difetto di riparazione del DNA. Sono state identificate anomalie genetiche. I pazienti sono spesso privi di IgA e di IgE e presentano anergia cutanea e deficit progressivo dell'immunità cellulare. L'a2fetoproteina sierica è generalmente elevata. Terapia 93 La terapia dell'immunodeficienza con antibiotici o IG è di una certa utilità, ma non esiste un trattamento efficace per le alterazioni a carico del SNC. Il decorso è conseguentemente caratterizzato da un progressivo deterioramento neurologico con coreoatetosi, astenia muscolare, demenza e morte, solitamente entro i 30 anni. SINDROME LINFOPROLIFERATIVA LEGATA AL CROMOSOMA X Immunodeficienza primitiva caratterizzata dalla suscettibilità selettiva alle infezioni da virus di Epstein-Barr (EBV). Nonostante alcuni pazienti (il 10%) abbiano un'ipogammaglobulinemia congenita, la maggioranza è del tutto normale fino a quando non si verifica un'infezione da EBV. L'infezione da EBV può sfociare in una grave mononucleosi infettiva progressiva con insufficienza epatica, una sindrome linfoproliferativa della linea cellulare B, un'anemia aplastica e un'ipogammaglobulinemia. Circa il 75% dei pazienti muore entro i 10 anni di età. I pazienti affetti hanno ipogammaglobulinemia, diminuzione delle risposte anticorpali (specialmente agli antigeni nucleari del EBV), scarse risposte proliferative ai mitogeni, diminuzione della funzione delle cellule natural killer e diminuzione delle cellule T con inversione del rapporto CD4:CD8. Può essere eseguita la diagnosi genetica per mezzo della lunghezza dei frammenti di restrizione del DNA, con la dimostrazione di un polimorfismo genico nel locus XLP (Xq25-26) identico a quello di un membro della famiglia affetto o portatore. In alcuni casi il trapianto di midollo osseo è risolutivo. L'acyclovir e le IGEV per la prevenzione dell'infezione da EBV sono inefficaci. SINDROME DA IPER-IgE (Sindrome di Job-Buckley) Sindrome da immunodeficienza caratterizzata da infezioni stafilococciche ricorrenti, soprattutto della cute, e da livelli di IgE marcatamente elevati. Alcuni pazienti mostrano un'ereditarietà di tipo autosomico dominante. Le infezioni stafilococciche possono riguardare la cute, i polmoni, le articolazioni e altre sedi. Alcuni pazienti hanno tratti somatici grossolani; altri hanno carnagione chiara e capelli rossi. Sono comuni l'osteopenia e le fratture ricorrenti. Molti soggetti presentano difetti della chemiotassi dei neutrofili. Tutti hanno livelli di IgE notevolmente elevati (> 1000 UI/ml [> 2400 mg/l]). Talvolta sono presenti manifestazioni allergiche (p. es. eczema, rinite e asma). Altre caratteristiche comprendono lievi difetti dell'immunità B- e T-cellulare ed eosinofilia ematica e tissutale. Il difetto di base potrebbe risiedere in un'anomalia immunoregolatoria a carico delle cellule T. Il trattamento consiste nella somministrazione intermittente o continua di antibiotici. Il trimetoprim-sulfametossazolo è particolarmente efficace per la profilassi. MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA Disordine ereditario della funzione battericida dei GB caratterizzato da lesioni granulomatose diffuse della cute, dei polmoni e dei linfonodi, ipergammaglobulinemia, anemia, leucocitosi e difetto dell'eliminazione di alcuni batteri e funghi. 94 I pazienti sono per lo più maschi con ereditarietà di tipo recessivo legata al cromosoma X; alcuni pazienti di entrambi i sessi presentano un'ereditarietà autosomica recessiva. I GB non producono perossido di idrogeno, ione superossido e altre specie attivate dell'O2 a causa di un difetto di attività della nicotinamide adenin dinucleotide fosfato (NADPH) ossidasi. Le quattro componenti strutturali della NADPH ossidasi sono due subunità di membrana (la gp91 phox e la p22 phox) del citocromo b558 e due subunità proteiche citosoliche (la p47 phox e la p67 phox). Nella variante legata al cromosoma X (57% dei casi), il gene mutato riguarda la gp91 phox e nelle tre forme autosomiche recessive il gene mutato riguarda la p47 phox (33% dei casi), la p22 phox (5%) o la p67 phox (5%). Sintomi, segni e diagnosi La malattia esordisce di solito nella prima infanzia, ma in alcuni pazienti può tardare fino alla pubertà. Il quadro clinico è caratterizzato da infezioni ricorrenti sostenute da microrganismi produttori di catalasi, p. es. Staphylococcus aureus, Serratia, Escherichia coli ePseudomonas, i quali normalmente non provocano granulomi, ma che a causa del difetto dei meccanismi battericidi riescono a sopravvivere all'interno delle cellule. Le caratteristiche cliniche comprendono linfoadeniti suppurative, epatosplenomegalia, polmonite e segni ematologici di infezione cronica. Si possono manifestare anche rinite persistente, dermatite, diarrea, ascessi perianali, stomatite, osteomielite, ascessi cerebrali, lesioni ostruttive del tratto GI e GU (per formazione di granulomi) e ritardo di crescita. La diagnosi di laboratorio si pone in base alla ridotta capacità di riduzione del colorante nitroblu di tetrazolio (NBT) da parte dei granulociti, oppure con l'identificazione di un deficit della funzione battericida. Terapia La terapia consiste nella somministrazione continua o intermittente di antibiotici. Anche il trapianto di midollo osseo è stato efficace. È in via di sperimentazione la terapia con interferone. DEFICIT DI ADESIVITA' LEUCOCITARIA (Deficit di MAC-1/LFA-1/CR3) Disordine autosomico recessivo della funzione leucocitaria caratterizzato da infezioni necrotiche ricorrenti o progressive dei tessuti molli, periodontiti, scarsa capacità di cicatrizzazione delle ferite, leucocitosi e ritardato distacco (più di 3 settimane) del cordone ombelicale. I lattanti gravemente colpiti presentano infezioni multiple a decorso rapidamente e progressivamente ingravescente, con exitus entro i 5 anni. I pazienti affetti da una forma clinica più moderata presentano un decorso meno grave e sopravvivono fino all'età giovanile; la gravità è correlata con il grado di deficit delle glicoproteine di adesione situate sulla superficie dei GB, le quali facilitano le interazioni cellulari, la motilità cellulare e le interazioni con i componenti del complemento. Di conseguenza, i loro granulociti (e linfociti) non mostrano una buona attività chemiotattica, un buono svolgimento delle reazioni citotossiche, né una valida fagocitosi nei confronti dei batteri. La diagnosi si pone mettendo in evidenza l'assenza o la notevole diminuzione di questi antigeni sulla superficie dei GB, grazie all'impiego di anticorpi monoclonali (p. es. anti-CD11 o anti-CD18 per la LFA-1) e della citometria a flusso. 95 Terapia La terapia consiste nell'energica (spesso continua) somministrazione di antibiotici. La terapia con interferong riduce la gravità e la frequenza delle infezioni, probabilmente incrementando l'attività antimicrobica non ossidativa. La dose usuale è di 50 mg/m2 somministrati SC per 3 volte alla settimana. In diversi pazienti è risultato efficace il trapianto di cellule staminali. SINDROMI DA DEFICIT SPLENICO Suscettibilità alle infezioni dovuta a splenectomia, ad assenza congenita della milza o ad asplenia funzionale provocata dalla trombosi dei vasi splenici (anemia a cellule falciformi) o da malattie infiltrative (tesaurismosi). La milza è uno degli organi principali per la funzione fagocitaria, appartenente al sistema reticoloendoteliale (sistema dei fagociti mononucleati) il quale è deputato alla cattura dei microrganismi circolanti. La milza è anche una delle sedi principali della sintesi degli anticorpi. I pazienti asplenici, e in particolare i bambini piccoli, sono suscettibili allo sviluppo di infezioni batteriche a decorso rapidamente progressivo sostenute da Haemophilus influenzae, Escherichia coli, pneumococchi e streptococchi, nonché, più di rado, ad altre infezioni. A questi pazienti deve essere somministrata a scopo profilattico una copertura antibiotica continua almeno durante i primi 2 o 3 anni di vita e in seguito essi devono assumere antibiotici fin dall'esordio di ogni episodio febbrile e in occasione di ogni intervento chirurgico. Essi devono inoltre essere vaccinati contro lo pneumococco, il meningococcico e l'Haemophilus. Con tale terapia, la prognosi è buona. IMMUNODEFICIENZE DA PROTIDO-DISPERSIONE Perdita di proteine sieriche che conduce a un deficit anticorpale secondario con ipogammaglobulinemia di notevole entità. L'ipogammaglobulinemia può essere dovuta alla perdita di proteine sieriche attraverso il rene (sindrome nefrosica), la cute (ustioni o dermatiti gravi) o il tratto GI (enteropatia protidodisperdente, linfangectasia intestinale). Contemporaneamente si ha perdita di albumina e di altre proteine sieriche. Nei disordini protido-disperdenti GI può verificarsi anche perdita di linfociti, che porta a linfopenia e deficit dell'immunità cellulare. Questi pazienti sono suscettibili alle infezioni sostenute dai principali microrganismi gram +, ma poiché si verifica un aumento compensatorio della produzione di anticorpi le infezioni possono essere relativamente poco frequenti, nonostante la gravità della ipogammaglobulinemia. La correzione della patologia di base risolve l'immunodeficienza. Quando ciò non è possibile, si può ottenere un parziale beneficio con la somministrazione di trigliceridi a catena intermedia, che in questi disordini riducono la perdita di Ig e di linfociti dal tratto GI. IMMUNODEFICIENZA DOVUTA A MALNUTRIZIONE La malnutrizione con deficit immunitario e infezioni costituisce la principale causa di morte neonatale e infantile nel mondo. Quando la malnutrizione è abbastanza grave da ridurre il peso corporeo a < 80% del peso ideale medio, si cominciano a notare i primi deterioramenti della funzione immunitaria; quando la crescita è < 70% della media attesa, di solito si verifica una grave compromissione della funzione immunitaria. La maggior parte di questi pazienti (eccetto quelli 96 affetti da anoressia nervosa) risulta straordinariamente suscettibile alle infezioni respiratorie, alle malattie virali e alle gastroenteriti. Queste infezioni aumentano le richieste metaboliche e riducono l'appetito, portando a una malnutrizione e a un'immunodeficienza sempre più gravi. Il difetto immunologico è costituito principalmente da un deficit dell'immunità cellulare con anergia cutanea, ridotto numero di cellule T, scarse risposte proliferative ai mitogeni e agli antigeni e deficit della produzione di linfochine (interferone) e dell'attività citotossica. I livelli di anticorpi secretori possono essere diminuiti, ma le Ig sieriche sono solitamente normali o aumentate, soprattutto le IgE. Il grado della compromissione immunitaria dipende dalla gravità e dalla durata della malnutrizione e dalle patologie sottostanti (p. es. infezioni e altri deficit nutrizionali). Con il ripristino di uno stato nutrizionale adeguato, il deficit immunologico regredisce rapidamente. 97 CAPITOLO 18 – ALLERGENI Gli allergeni sono sostanze che in alcuni soggetti, definiti atopici, sono in grado di determinare una produzione di anticorpi specifici di classe IgE. La maggior parte degli allergeni sono proteine o glicoproteine. Alcune sostanze possono comportarsi da allergeni se accoppiati a una molecola carrier e vengono definiti antigeni incompleti o apteni. La maggior parte degli allergeni vengono introdotti per via inalatoria, altri per via alimentare e altri ancora per via parenterale (allergeni da iniezione). Pollini: i pazienti con allergia al polline rappresentano in genere disturbi limitati al periodo di pollinazione che si accentuano nei giorni fortemente soleggiati e ventosi • Graminacee: tra questi più usati sono lolium perenne il cui allergene maggiore è Lol p1. Altri importanti sono il Lol p2 e il Lol p3 • Artemisia vulgaris • Parietaria giudaica • Olivo • Betulla • cipresso Spore fungine: i sintomi si accentuano nei periodi umidi e piovosi • Alternaria alternata • Aspergillusa fumigatus Derivati ectodermici di animali: l’allergia di gran lunga più importante è quella legata al gatto i cui derivati epidermici presentano Feld1. Le particelle risultano molto piccole e leggere per cui l’allergene spesso si trova in ambienti dove non è presente il gatto. Gli allergeni derivati dal cavallo sono meno frequentemente responsabili di allergia, ma quando lo sono le manifestazioni possono essere gravi. Gli allergeni del coniglio costituiscono un problema solo per gli allevatori. Acari della polvere: i più comuni acari della polvere sono dermatofagoides pteronissimus e farinae. Un metodo molto semplice per determinare la presenza di agari della polvere in un ambiente è quello di misurare i contenuti di guanina negli ambienti che sono abbondanti nelle feci degli acari. Le allergie hanno carattere continuo e si accentuano nei periodi caldo-umidi quando sti acari proliferano alla grande. Invece è un’allergia quasi del tutto assente alle alte altitudini. Allergeni degli imenotteri: allergeni alimentari: reattività crociata: • Noci mele pere ciliegie pesche: betulle • Sedano e verdure: graminacee • Banane, kiwi, castagne: latex (hev-b1) 98 CAPITOLO 19 – ALLERGIA AL VELENO DI IMENOTTERI Con il temine di allergia al veleno di insetti si intendono delle reazioni IgE mediate che si verificano in alcuni soggetti in conseguenza della puntura di alcune classi di insetti. Quella più chiamata in causa è la classe degli imenotteri a cui appartengono le vespe, le api e i calabroni. Quindi queste reazioni non sono dovute all’azione diretta del veleno dell’insetto, altrimenti si verificherebbero in tutta la popolazione, ma alla risposta anomala di alcuni individui che producono a seguito della sensibilizzazione una maggiore quantità di IgE per esempio contro la fosfolipasi presente nel veleno, o contro la mellitina, o contro la fosfatasi acida. La sensibilizzazione può realizzarsi a qualsiasi età, anche con una sola puntura. Bisogna precisare comunque che i veleni di tali insetti non presentano cross reattività antigenica, vale a dire che chi è allergico al veleno delle vespe non necessariamente lo è per quello dei calabroni o delle api. Inoltre in realtà i veleni di insetti evocano in tutte le persone delle risposte anticorpali, però nella maggior parte della popolazione sono di tipo IgG e tra l’altro la risposta è limitata nel tempo, dal momento che la memoria contro queste sostanze viene persa nell’arco di pochi mesi. Le IgE che pure si formano sono ridotte rispetto alle IgG e anche queste possono persistere per poco tempo. Nei soggetti allergici invece prevale la formazione di IgE e queste possono rimanere anche per ANNI. L’allergia al veleno di imenotteri è una condizione molto comune della popolazione e si stima che almeno il 4% ne sia affetto, sono interessate tutte le fasce d’età però si è visto che i bambini generalmente tendono a sviluppare reazioni meno gravi rispetto agli adulti. A proposito proprio delle manifestazioni cliniche esistono manifestazioni locali e sistemiche. Quelle locali generalmente si esplicano nell’arco di ore (24-48) in cui si realizzano dei pomfi o eritemi nella zona della puntura, il tutto si può accompagnare a una linfangite satellite dolorosa. Quelle sistemiche invece si realizzano nell’arco di secondi-minuti e sono quelle che dobbiamo conoscere meglio perché possono portare a morte il soggetto. Si manifestano con il quadro dell’anafilassi. Diagnosi: anamnesi, test cutanei, RAST TERAPIA: questi soggetti dovrebbero tenere sempre con loro una siringa di adrenalina autoiniettabile. Dovrebbero evitare l’utilizzo di profumi che attirano gli imenotteri e i vestiti particolarmente colorati. Eventualmente bisogna essere pronti a fare una tracheotomia. Basandosi sul concetto che gli apicoltori sono protetti dalle forme allergiche dal fatto che i ripetuti contatti potenziano la risposta con IgG, sono stati create delle immunoterapie specifiche con veleni purificati. Questi non sono indicati nei bambini in cui si determinano nella maggior parte dei casi solo risposte locali, ma solo negli adulti a rischio. Vanno effettuati in centri specializzati perché soprattutto nelle fasi iniziali delle terapia il soggetto potrebbe andare incontro nel 10% dei casi a reazioni sistemiche. Va ricordato che comunque essendo la risposta G limitata nel tempo, la protezione viene persa dopo pochi mesi dalla fine della terapia. 99 CAPITOLO 20 – ALLERGIA A FARMACI PATOLOGIA DA FARMACI: Moser le definì “le malattie del progresso medico”. Sono dovute all’effetto nocivo prevedibile o imprevedibile provocato da dosi terapeutiche o da sovradosaggio. La loro esistenza dovrebbe far riflettere sull’utilizzo dei farmaci che come li definì volter sono sostanze che si conoscono poco e si introducono in organismi che si conoscono ancor meno. Possono manifestazioni cliniche molto varie che capaci di mimare altre patologie e quindi rientrano nel novero delle GRANDI IMITATRICI. Ciò può mettere in difficoltà il medico e mette in evidenza l’importanza dell’anamnesi farmacologica. Un esempio potrebbe essere la COINcIDENTAL REACTION che si potrebbe verificare in un bambino che cova in incubazione una malattia esantematica, e nel periodo prodromico gli somministriamo dei farmaci, successivamente l’eruzione esantematica fa venire il dubbio: si tratta di una patologia esantematica o di una patologia cutanea da farmaci? Dal punto di vista patogenetico le patologie da farmeci possono essere classificate in due tipi: TIPO A e TIPO B. TIPO A: “A” sta per AUMENTATA risposta. Sono correlate al tipo di farmaco, e in quanto tali in parte prevedibili e dose dipendente. Presentano alta morbilità ma fortunatamente bassa mortalità. Possono essere dovute a 1. effetto COLLATERALE del farmaco che può essere fototossico(tetracicline, amiodarone),alopecia(trattamenti chemioterapici), dermatite acneiche (androgeni, contraccettivi orali, progestinici, cortisonici) , cloasma gravidico (estrogeni). 2. effetto SECONDARIO all’utilizzo del farmaco, come vaginiti e balano postiti da candita dopo un prolungato uso di antibiotici. 3. Da INTERAZIONE, farmaci che interagiscono tra loro possono aumentare ed esaltare il loro potere, fino ad arrivare al sinergismo. 4. Da sovradosaggio: insulina (lipodistrofia diabetica), cortisonici (a lungo termine determina atrofia). 5. AUMENTO O AGGRAVAMENTO di malattie preesistenti. Esempio sono: la porfirie cutanea tarda che peggiora a seguito dell’utilizzo di antidepressivi a base di Sali di litio. Dermatite erpetiforme di during, in seguito all’assunzione di potassio con pach test. 6. DA ACCUMULO DEL FARMACO: argirosi. 7. DA ATTIVITA’ PRINCIPALE: do l’antibiotico, si ha la disruzione dei bateri e liberazione di LPS che determina il fenomeno di HEXAIMER. Si verifica per esempio nel trattamento della sifilide, dove infatti è consigliabile iniziare con basse dosi di penicillina associate a cortisonici. TIPO B: dove “B” sta per BIZZARRA risposta al farmaco. Infatti le manifestazioni in questo caso dipendono dalla reattività dell’individuo. Purtroppo sono inevitabili e imprevedibili. Non dipendono dalla dose del farmaco, e sono associati a bassa morbilità e alta mortalità. Possono conseguire a una patogenesi: 100 1. IMMUNOLOGICA • TIPO I: IgE mediata. Orticaria e angioedema, a forme importanti di edema della glottide e shock. (l’adrenalina potenzia gli effetti allergizzanti). Le reazioni IgE mediate agli antibiotici beta lattamici costituiscono il prototipo delle reazioni allergiche ai farmaci. Dopo l’iniziale esposizione all’antibiotico segue un periodo di latenza di circa 10-20 giorni in cui si ha la formazione delle IgE. Nel caso di un successivo contatto si ha la reazione immediata. Comunque i beta lattamici riescono a determinare anche manifestazioni di tipo 4.anche i mio-rilassanti possono determinare delle manifestazioni allergiche visto che in alcuni pazienti sono stati ritrovati anticorpi contro Sali d’ammonio quaternario. • TIPOII: citotossiche citolitiche. Es: anemie emolitiche, trombocitopenie, granulocitopenie • TIPO III: immunocomplessi. Es: esantemi e vasculiti • TIPO IV: cellulo-mediato. È alla base della dermatite allergica da contatto. 2. EXTRAIMMUNOLOGICA: • Deficit di colinesterasi (anestetici) • Deficit di glucosio-6-fosfato idrogenasi (antimalarici) • Aumentata acetilazione (epatite tossica da isoniazide) • Ridotta acetilazione (LES da idralazina) • Istaminoliberazione (azione farmacodinamica) • Amplificazione del sistema delle chinine • Attivazione complemento (insulina) • Alterato metabolismo dell’acido arachidonico (aspirina) sindrome di vidal. • Meccanismi combinati Anche i plasma expander se infusi troppo velocemente possono determinare delle manifestazioni pseudo allergiche. Importante è anche il ferro somministrato per via parenterale. 3. PATOGENESI AUTOIMMUNE: • Produzione di anticorpi anti idiotipo-SH (contenuti in molti integratori e farmaci) che cross reagiscono con determinanti antigenici del cheratinocita. • La vaccinazione contro l’HBV in soggetti predisposti ha fatto emergere casi di lupus. Dal punto di vista clinico possiamo distinguere: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. prurito e bruciore (sono le manifestazioni più frequenti) SOA (pennicilline, acido acetil salicilico, ACE inibitori, mezzi di contrasto Eritemi: sono molto frequenti. Eritrodermia: sulfamidici, Sali d’oro, FANS Manifestazioni a tipo Eritema nodoso: estro progestinici Eruzioni lupus-like (vedi esempio nella patogenesi) Eruzioni vegetanti: ioderma e bromoderma. 101 8. Eritema fisso da farmaci: è una lesione che tende a ripresentarsi sempre nella stessa sede e che tende a riacutizzarsi in caso di riassunzione del farmaco. In questa lesione c’è una componente cellulo mediata infatti in un esperimento hanno trapiantato la zona dell’eritema fosso in un’altra parte del corpo, e l’eritema rispuntava nella parte trapiantata. 9. Sindrome di Lyell: lyell che per primo la descrisse notò la somiglianza con le scottature e per questo la chiamò scalded skin sindrom o sindrome delle 3 S. è una sindrome bollosa . La rotture delle bolle determina l’aspetto della cute simile a quello di un grande ustionato (segno della tenda). L’epidermide può andare in necrosi, e se questa è totale si parla di TEN. 10. ERITEMA POLIMORFO: si chiama così perché la morfologia dell’eritema può essere diversa da caso a caso, ma comunque sono sempre presenti lesioni a coccarda che furono descritte per la prima volta da bateman che le chiamò herpes Hiris. Correlato a FANS, SULFAMAZONE e altri. Ce ne sono due varianti: • Eritema polimorfo minor: non si estende alle mucose e ha scarso interessamento sistemico. Si ipotizza una eziologia virale da herpes virus infatti si parla di eritema polimorfo post erpetico. È caratterizzato da insorgenza improvvisa in sede acroposta di elementi eritemato-papulosi o vescicolosi di grandezza variabile. • Eritema polimorfo maior: anche chiamato ectodermosi pluriorifiziale di stevenjonson. È costante il coinvolgimento delle mucose e l’interessamento sistemico con febbre, astenia, artromialgie e cefalea. La lesione più frequente è rappresentata da bolle Protocollo di premedicazione per esame con mezzo di contrasto: uso di deltacortene 13 ore prima, 7 ore prima, 1 ora prima a dosi di 50 mg. Se c’è un’emergenza si fanno 200 mg di cortisone più. 102 CAPITOLO 21 – ALLERGIA ALIMENTARE Allergia alimentare. Rientra nell’ambito delle IPERATTIVITA’ cioè reazioni non voltute e non prevedibili che seguono l’introduzione di alimenti. Le iperattività si dividono in: o reazioni immunologiche: sono dosi indipendenti 1. IgE mediate: allergie 2. Non IgE mediate: esempi sono la celiachia e la SNAS o Reazioni non immunologiche: • intolleranze: sono dosi dipendenti. L’esempio classico è il deficit di lattasi • reazioni tossiche: 1. sindromi pseudo allergiche: solfiti, giallo di idralazina, vaniglina, pomodori 2. sindrome sgombro ide, pesce zzurro, pomodoro, salmone, crostacei, formaggio fermentato, fragole. 3. cioccolato ha tanta tirmanina In genere gli alimenti con proprietà allergiche contengono glicoproteine che non si modificano ne con la cottura ne con l’azione dei succhi gastrici ne con l’azione delle proteasi. I più importanti sono: proteine del latte, uovo, arachidi, soia, pesce e gamberetti. Manifestazioni cliniche: o gastrointestinali: nausea, vomito, dolori addominali, flautulenza e diarrea dopo 30-120 minuti dall’ingestione dell’alimento. I casi più rari sono rappresentati da sangue occulto nelle feci, malassorbimento, enteropatia proteino-disperdente, gastroenterite eosinofila o cute: orticaria angioedema e aggravamento della dermatite atopica, dermatite erpetiforme o apparato respiratorio: rinite, asma nei bambini, negli adulti non si sa se possono essere correlate. L’emosiderosi indotta da alimenti: sindrome di Heiner appare spesso associata all’intolleranza al latte. • Manifestazioni neuropsichiche: si pensa che certe forme di emicranie e epilessie possano essere il risultato di allergie alimetari. Diagnosi: • Prich test • Prick by prick • Ricerca di IgE con rist • Dieta di eliminazione • Test di provocazione orale Nell’intolleranza: • Breath test • Test con lo xilosio 103 • Test al lattosio 104 CAPITOLO 22 – ALLERGIA DA CONTATTO E DERMATITE ATOPICA DERMATITE ATOPICA La dermatite atopica è una malattia che rientra nell’ambito dell’atopia “condizione di iprereattività” a vari stimoli , viene classificata come eczema endogeno. È considerata il risultato di rezioni di tipo I e di tipo IV e generalmente si accompagna a valori elevati in circolo di IgE. Colpisce il 10% della popolazione infantile, mentre meno frequente nell’adulto. Predilige il sesso femminile. La familiarità è importante anche se ancora non sono stati trovati dei geni specifici. Esistono fattori eziologici e aggravanti che possono essere schematizzati in: • Allergeni inalanti: in passato si credeva che non ci fosse alcuna relazione con gli inalanti, ma poi si scoprì che la relazione c’era e tra gli inalanti più coinvolti abbiamo le feci di dermatofagoides pteronissimus. Inoltre si è visto che questi allergeni svolgono il loro effetto anche tramite il passaggio trascutaneo. • Allergeni alimentari: uova, latte, frumento, pesce. Le lesioni compaiono o si accentuano 1520 minuti dopo l’ingestione per poi peggiorare nelle seguenti 8-24 ore. • Intolleranza ad alimenti • Stress psicoemotivi: è stata documentata l’importanza di neuro peptidi in particolare nella genesi del prurito. Inoltre le lesioni si possono aggravare dall’infezione dello stafilococco aureo. Istologicamente le lesioni tipiche sono rappresentate da: • Acantosi • Essudato intercellulare • Infiltrato infiammatorio Le manifestazioni cliniche variano a seconda dell’età del soggeto: • Fase del lattante: lesioni eritemato-vescicolo crostose con risparmio delle aree periorifiziali • Fase dell’infanzia: lesioni anche nelle aree peri-orifiziali, ma soprattutto al volto, nuca, collo, polsi mani, caviglie piedi • Fase dell’adulto: cute secca e ittiosi forme. Comunque la DA ha una tendenza alla risoluzione spontanea entro la pubertà in buona parte dei casi e negli altri invece si risolve prima dei 40 anni. l’80 % degli affetti però presenta contemporaneamente rinite allergica e/o asma allergico. Per la diagnosi si seguono i criteri di Hanifin e Rajka che distinsero: • Criteri minori: pitiriasi alba e segno di Hertoghe cioè assottiagliamanto o assenza del sopracciglio laterale. • Criteri maggiori: prurito, localizzazione delle lesioni, anamnesi familiare positiva e xerosi cutanea. Importanti sono le prove allergologiche cutanee (pach test) Si ricorre inoltre alla determinazione del RAST. Diagnosi differenziale: scabbia, dermatite seborroica, DAC, psoriasi. 105 DC la dermatite da contatto è un processo infiammatorio della cute che può avere evoluzione acuta, sub-acuta e cronica. Clinicamente è caratterizzata da lesioni eritemato-vescicolari essudanti (a seguito dei processi di spongiosi a livello istologico) che talvolta evolvono verso la lichenificazione. Di dermatite da contatto se ne riconoscono 2 meccanismi patogenetici: • Irritativo • Allergico Quella allergica riconosce come meccanismo patogenetico l’ipersensibilità ritardata (tipoIV),necessita quindi di una sensibilizzazione che può richiedere anni di tempo o un minimo di 5 giorni, e di un secondo contatto in cui si presentano le manifestazioni cliniche nell’arco di 24-48 ore. La fase acuta inizia con prurito ed eritema, successivamente compaiono vescicole che poi si rompono mettendo in evidenza dei pozzetti siero-gementi di devrgie. Nella fase sub-acuta si formano le croste, ed eventualmente nella fase cronica si ha una lichenificazione. I principali le allergeni sono: • Cromo nei muratori • Il nichel. Il nichel può determinare anche una sindrome sistemica (SNAS). • La difenilendianolamina nei coloranti: parrucchier, tinture.. Diagnosi: • Anamnesi • EO • Pach test: l’esame testante prevede l’impiego di un supporto (pach) su cui viene apposto l’aptene e il tutto è fissato con un cerotto ipoallergico. L’apparato testante va preferibilmente posizionato sulla parte superiore del dorso evitando la zona del rachide, dopo eventuale rasatura per conferire maggiore aderenza e sgrassando la cute con etanolo. Di norma per il test viene usata una serie preordinata di allergeni. L’attuale serie standard consta di 25 allergeni ed è stata consigliata dalla SIDAPA società italiana dermatologica allergologica professionale ambientale. In aggiunta si possono testare altre serie standard come la serie per parrucchieri, per panettieri , pasticceri, dentisti e così via. In commercio ci sono anche i true test o rapid test i cui vantaggi sono rappresentati dalla rapidità di esecuzione dalla minor necessità di personale qualificato, gli svantaggi sono soprattutto relativi ai costi che sono elevati. Abitualmente il tempo di esposizione è di circa 48 ore trascorse le quali si effettua la rimozione del pach. La lettura invece si fa dopo 72 ore. • Open test: si usa per composti d’uso lavorativo • Test d’uso • Potho pach test Differenze con la dermatite da contatto: • Prurito presente nella DAC e non nella DIC • Bruciore presente nella DIC e non nella DAC • Lesioni estese oltre il territorio a contatto nella DAC e non nella DIC 106 CAPITOLO 23 – PRINCIPI DI IMMUNOTERAPIA L’immunoterapia nasce per ridurre le reazioni allergiche a agenti inalanti, alimentarie e veleno di imenotteri. Meccanismi: • Swich Th2-Th1: il vaccino fa aumentare i Th1 a discapito dei Th2 • Aumento Treg: le cellule dendritiche stimolate a far differenziare le cellule T in reg È un vero e proprio vaccino. Non dobbiamo fare confusione tra vaccino e omeoterapia. Nell’omeopatia vera il principio attivo viene diluito o addirittura eliminato e la soluzione che ne deriva agisce in virtù del “ricordo chimico”. Oggi invece i vaccini contengono l’allergene e lo scopo è quello di far sviluppare tolleranza. Si cerca di incrementare i livelli di IL-12 e 18 che aumentano lo swich dei Th1. Inoltre si cerca di incrementare i livelli di IL-10. L’IL-10 fa aumentare le Treg, blocca il segnale del costimolo alle Th2 diminuendone quindi l’azione. Il costimolo è ridotto anche perché le Treg producendo FOX P3 stimolando la CTLA-4 blocca CD28 che una molecola importante per il costimolo. I Treg hanno un ruolo importante anche nella gravidanza in cui tramite la produzione di IL-35 riducono i Th17; sono importanti anche perché la loro corretta funzione è alla fase del rispetto del self. Nonostante questo i vaccini non vengono fatti nelle malattia autoimmuni perché questi delineati non sono gli unici sistemi. 107 CAPITOLO 24 - DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ L'ipersensibilità si riferisce a processi patologici che derivano da interazioni immunologicamente specifiche tra antigeni (esogeni o endogeni) e anticorpi umorali o linfociti sensibilizzati. Questa definizione esclude le patologie per le quali la dimostrata presenza di anticorpi non riveste alcun significato fisiopatologico conosciuto (p. es. gli anticorpi contro il tessuto cardiaco che si riscontrano dopo interventi di cardiochirurgia o infarto del miocardio), anche se la loro presenza può avere valore diagnostico. Ogni classificazione dell'ipersensibilità sarà sempre una semplificazione. Alcune sono basate sul tempo necessario afinché i sintomi o la positività dei test cutanei facciano la loro comparsa dopo l'esposizione a un antigene (p. es. ipersensibilità immediata e ritardata), sul tipo di antigene coinvolto (p. es. reazioni da farmaci) o sulla natura del coinvolgimento d'organo. In aggiunta, le classificazioni non tengono in considerazione il fatto che possono avere luogo simultaneamente più tipi di risposta immunitaria o che più di un tipo di esse può essere necessario per produrre un danno immunologico. La classificazione di Gell e Coombs Questa classificazione delle reazioni di ipersensibilità, che ne prevede quattro tipi, viene impiegata diffusamente nonostante le sue limitazioni, perché è tuttora la più soddisfacente. Le reazioni di tipo I sono reazioni in cui gli antigeni (allergeni) si combinano con anticorpi specifici della classe IgE che si trovano legati a recettori di membrana sulle mast-cellule tissutali e sui basofili ematici. La reazione antigene-anticorpo provoca il rapido rilascio di potenti mediatori vasoattivi e infiammatori, i quali possono essere preformati (p. es. istamina, triptasi) o sintetizzati de novo a partire dai lipidi di membrana (p. es. leucotrieni e prostaglandine). Nel volgere di alcune ore, le mast-cellule e i basofili rilasciano anche citochine proinfiammatorie (p. es. interleuchina 4 e interleuchina 13). Questi mediatori provocano vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, ipersecrezione ghiandolare, contrazione della muscolatura liscia e infiltrazione tissutale da parte di eosinofili e altre cellule infiammatorie. Le reazioni di tipo II sono reazioni citotossiche che avvengono quando un anticorpo reagisce con le componenti antigeniche di una cellula o di elementi tissutali, oppure con un antigene o un aptene che si trovi legato a una cellula o un tessuto. La reazione antigene-anticorpo può attivare alcune cellule citotossiche (cellule T killer o macrofagi) per dare luogo alla citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente. Essa comprende solitamente l'attivazione del complemento e può provocare l'adesione opsoninica mediante il rivestimento della cellula con l'anticorpo; la reazione procede con l'attivazione dei componenti del complemento per mezzo del C3 (con conseguente fagocitosi della cellula) o con l'attivazione di tutto il sistema complementare con conseguente citolisi o danno tissutale. Le reazioni di tipo III sono reazioni da immunocomplessi (IC) dovute al deposito a livello dei vasi o dei tessuti di IC antigene-anticorpo solubili circolanti. Gli IC attivano il complemento e innescano così una sequenza di eventi che conduce alla migrazione di cellule polimorfonucleate e al rilascio di enzimi proteolitici lisosomiali e di fattori di permeabilità nei tessuti, producendo in questo modo una reazione infiammatoria acuta. Le conseguenze della formazione di IC dipendono in parte dalla proporzione relativa di antigene e di anticorpo nell'IC. In presenza di un eccesso di anticorpo, gli IC 108 precipitano rapidamente nel punto in cui è localizzato l'antigene (p. es. all'interno delle articolazioni nell'AR) oppure vengono fagocitati dai macrofagi evitando così di produrre danno. In presenza di un lieve eccesso di antigene, gli IC tendono a essere più solubili e possono causare reazioni sistemiche in seguito alla deposizione in diversi tessuti. Le reazioni di tipo IV sono reazioni di ipersensibilità cellulare, cellulo-mediata, ritardata o di tipo tubercolinico prodotte da linfociti T sensibilizzati in seguito al contatto con un antigene specifico. Gli anticorpi circolanti non vi sono implicati, né sono necessari perché si sviluppi il danno tissutale. La trasmissione dell'ipersensibilità ritardata dagli individui sensibilizzati a quelli non sensibilizzati può avvenire attraverso i linfociti del sangue periferico, ma non attraverso il siero. I linfociti T sensibilizzati che sono stati innescati o attivati dal contatto con un antigene specifico possono provocare il danno immunologico mediante un effetto tossico diretto o attraverso la liberazione di sostanze solubili (linfochine). Nelle colture tissutali, dopo la sensibilizzazione i linfociti T attivati distruggono le cellule bersaglio per contatto diretto. Le citochine liberate dai linfociti T attivati comprendono diversi fattori che influenzano l'attività dei macrofagi, dei neutrofili e delle cellule killer linfoidi. DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I I disordini compresi nell'ambito delle reazioni di ipersensibilità di tipo I sono le malattie atopiche (rinite allergica, congiuntivite allergica, dermatite atopica e asma allergico [estrinseco) e alcuni casi di orticaria e di reazioni GI ad alimenti e di anafilassi sistemica. L'incidenza dell'asma è aumentata in modo considerevole, nonostante le cause siano in gran parte sconosciute. Recentemente è stato osservato un notevole aumento delle reazioni di tipo I in relazione all'esposizione a proteine idrosolubili contenute nei prodotti in lattice (p. es. guanti di gomma, paradenti, preservativi, cannule per l'assistenza respiratoria, cateteri ed estremità di clisteri con cuffie in lattice gonfiabili), particolarmente tra il personale medico e i pazienti esposti al lattice e tra i bambini con spina bifida e difetti di sviluppo dell'apparato urogenitale. Reazioni comuni al lattice sono l'orticaria, l'angioedema, la congiuntivite, la rinite, il broncospasmo e l'anafilassi. Di norma, i pazienti con malattie atopiche (compresa la dermatite atopica) hanno una predisposizione ereditaria a sviluppare ipersensibilità mediata da anticorpi IgE nei confronti di sostanze inalate e ingerite (allergeni) che risultano innocue nelle persone non atopiche. Tranne nel caso della dermatite atopica, l'ipersensibilità è solitamente mediata da anticorpi della classe IgE. Nonostante le allergie alimentari mediate da IgE possano essere corresponsabili della sintomatologia della dermatite atopica nei lattanti e nei bambini piccoli, questa affezione è largamente indipendente da fattori allergici nei bambini più grandi e negli adulti, anche se la maggior parte dei pazienti continua a presentare allergie specifiche. Diagnosi Anamnesi: un esame retrospettivo dei sintomi, delle loro relazioni con l'ambiente e con le variazioni di stagione e di circostanze, del loro decorso clinico e dell'eventuale familiarità per problemi analoghi dovrebbe fornire informazioni sufficienti per classificare la malattia come una forma atopica. L'anamnesi ha maggior valore dei test di laboratorio per determinare se un paziente è allergico e il paziente non deve essere sottoposto in maniera estensiva all'esecuzione di 109 test cutanei a meno che non esista una ragionevole evidenza clinica di atopia. L'età di esordio può essere un indizio importante (p. es. l'asma infantile è più probabilmente legato ad allergia di quanto non sia l'asma che insorge dopo i 30 anni). Indicativi sono anche i sintomi stagionali (p. es. correlati con specifiche stagioni di impollinazione) o quelli che compaiono dopo il contatto con animali, fieno o polveri, o che si manifestano in ambienti particolari (p. es. a casa). Vanno presi in considerazione gli effetti di fattori contribuenti (p. es. il fumo di tabacco e altri agenti inquinanti, l'aria fredda, l'attività fisica, l'alcol, taluni farmaci e le situazioni stressanti). Test non specifici: un aumento del numero degli eosinofili nel sangue e nelle secrezioni è spesso associato con le malattie atopiche, specialmente l'asma e la dermatite atopica. Nella dermatite atopica, i livelli sierici di IgE sono elevati e aumentano ulteriormente nel corso delle esacerbazioni e diminuiscono durante i periodi di remissione. Nonostante siano solitamente elevate, le concentrazioni sieriche di IgE non sono utili dal punto di vista diagnostico nell'asma atopico e nella rinite allergica. Occasionalmente, livelli di IgE molto elevati possono aiutare a confermare la diagnosi di aspergillosi polmonare allergica o di sindrome da iper-IgE. Test specifici: i test specifici vengono impiegati per confermare l'esistenza di ipersensibilità a un particolare allergene o gruppo di allergeni. Itest cutanei sono il metodo più conveniente per confermare la presenza di un'ipersensibilità specifica. Essi devono essere selettivi e il loro impiego deve essere basato sugli indizi forniti dall'anamnesi. Le soluzioni impiegate per i test sono ottenute da estratti di materiali inalati, ingeriti o iniettati (p. es. pollini di alberi, graminacee ed erbe trasportati dal vento; acari della polvere; forfore e secrezioni di animali; veleni di insetti; cibi; e penicillina e suoi derivati). Fino a non molto tempo fa, pochi estratti allergenici erano standardizzati e la loro potenza era assai variabile. Molti estratti di impiego comune sono adesso standardizzati. Per l'esecuzione del prick test (test della puntura), che si effettua di solito per primo, viene posta sulla cute una goccia di un estratto allergenico diluito; la cute viene poi punteggiata o forata passando attraverso l'estratto, solitamente premendo su di essa con l'estremità di uno specillo o di un ago 27 tenuta inclinata con un angolo di 20°, finché la punta non vi penetra liberamente. Per l'esecuzione del test intradermico viene iniettata (usando una siringa da 0,5 o 1 ml e un ago corto 27) la quantità di estratto sterile diluito sufficiente per produrre una vescicola di 1-2 mm. Ogni serie di test cutanei deve comprendere l'impiego del solo diluente come controllo negativo e dell'istamina (10 mg/ml della soluzione base per il prick test o 0,1 mg/ml per il test intradermico) come controllo positivo. Un test cutaneo viene considerato positivo se provoca entro 15 min una reazione eritemato-pomfoide con presenza di un pomfo di diametro almeno 5 mm più grande del controllo. Il prick test cutaneo è solitamente sufficiente per individuare un'ipersensibilità nei confronti della maggior parte degli allergeni. Il test intradermico, più sensibile, può essere quindi adoperato per saggiare allergeni inalatori sospetti che hanno prodotto un prick test negativo o di dubbia interpretazione. Per le allergie agli alimenti, il prick test da solo è diagnostico. I test intradermici per gli alimenti hanno un'alta probabilità di provocare reazioni positive senza significato clinico, come è stato dimostrato dai test di provocazione in doppio cieco per via orale. Quando è impossibile eseguire i test cutanei diretti per la presenza di una dermatite generalizzata, di un dermografismo estremo o dell'incapacità del paziente a collaborare o a interrompere il test 110 assumendo antiistaminici, si può eseguire un test di radioallergoassorbimento (RadioAllergoSorbent Test, RAST). Il RAST rileva la presenza di IgE sieriche specifiche per l'allergene saggiato. Un allergene noto, sotto forma di un coniugato insolubile polimero-allergene, viene miscelato con il siero da saggiare. Tutte le IgE specifiche per l'allergene presenti nel siero si legheranno al coniugato. La quantità di IgE specifiche per l'allergene presenti nel sangue del paziente viene determinata aggiungendo alla miscela un anticorpo anti-IgE marcato con 125I e misurando la quota di radioattività captata dal coniugato. Il rilascio leucocitario di istamina, un test in vitro, rivela la presenza di IgE specifiche per l'allergene sui basofili sensibilizzati misurando la liberazione di istamina indotta dall'allergene da parte dei GB del paziente. Questo prezioso strumento di indagine ha consentito di comprendere i meccanismi della risposta allergica; come il RAST, esso non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive e in ambito clinico viene utilizzato raramente, se non mai. Quando un test cutaneo positivo solleva un dubbio sul ruolo svolto da un particolare allergene nell'insorgenza della sintomatologia, si può eseguire un test di provocazione. L'allergene può essere instillato negli occhi, applicato nelle cavità nasali o fatto inalare per farlo giungere ai polmoni. Il test oftalmico non offre alcun vantaggio rispetto ai test cutanei e viene impiegato raramente. Il test di provocazione nasale, eseguito solo occasionalmente, è principalmente uno strumento di ricerca. Il test di provocazione bronchiale, anch'esso fondamentalmente uno strumento di ricerca, viene impiegato talvolta quando il significato clinico di un test cutaneo positivo è poco chiaro o quando non sono disponibili i reagenti per i test cutanei atti a dimostrare che i sintomi sono dovuti a sostanze cui un paziente è esposto (p. es. nell'asma occupazionale). I test di provocazione orale devono essere impiegati quando si sospetta che una sintomatologia che si presenta con regolarità sia correlata all'alimentazione, perché la positività dei test cutanei non è necessariamente significativa dal punto di vista clinico. La negatività di un test cutaneo eseguito con una preparazione antigenica affidabile, tuttavia, esclude la possibilità che la sintomatologia clinica sia dovuta a quell'alimento. I test di provocazione rappresentano l'unica maniera per saggiare gli additivi alimentari. (v. oltre per le diete di eliminazione e i test di provocazione.) Test con efficacia non provata: non esiste alcuna prova a sostegno dell'impiego dei test di provocazione cutanei o sublinguali o dei test di tossicità leucocitaria per la diagnosi delle allergie. Terapia Allontanamento: la terapia migliore consiste nell'eliminare l'allergene. Ciò può richiedere un cambiamento di alimentazione, di occupazione o di residenza; la sospensione di un farmaco; o l'allontanamento di un animale domestico. Alcuni locali, privi di allergeni (p. es., ragweed), sono una sorta di rifugio per le persone affette dalla malattia. Quando non è possibile evitare completamente il contatto con l'allergene (come nel caso della polvere domestica), si può ridurre l'esposizione rimuovendo gli arredi che raccolgono la polvere, i tappeti e i tendaggi; utilizzando coperture di plastica sui materassi e i cuscini; lavando e spolverando spesso; riducendo il livello di umidità degli ambienti; installando un impianto di filtrazione dell'aria ad alta efficienza. Gli acaricidi non si sono dimostrati clinicamente utili. Immunoterapia allergenica: quando non è possibile evitare del tutto o controllare a sufficienza il contatto con un allergene e la terapia medica non è in grado di alleviare i sintomi della malattia atopica, si può tentare l'immunoterapia allergenica (chiamata 111 ancheiposensibilizzazione o desensibilizzazione) mediante l'iniezione sottocutanea di un estratto dell'allergene in dosi progressivamente crescenti. Possono verificarsi diversi effetti, anche se nessun test è correlato in maniera assoluta con il miglioramento clinico. Il titolo degli anticorpi bloccanti (neutralizzanti) IgG aumenta proporzionalmente alla dose somministrata. Talvolta, specialmente quando possono essere tollerate alte dosi di un estratto di polline, il livello sierico degli anticorpi IgE specifici diminuisce significativamente. Può essere diminuita anche la capacità di risposta dei linfociti (proliferazione) all'antigene. I risultati più soddisfacenti si ottengono quando le iniezioni vengono proseguite per tutto l'anno. A seconda del grado di sensibilità, la dose di partenza è compresa tra 0,1 e 1,0 unità biologicamente attive (Biologically Active Units, BAU) per gli allergeni standardizzati dalla FDA. La dose viene aumentata una o due volte a settimana a una quantità al doppio della dose precedente fino a raggiungere la massima concentrazione tollerata (p. es., per gli estratti di polline standardizzati, la dose di mantenimento va da 1000 a 4000 BAU). Una volta raggiunta, la dose massima può essere mantenuta con somministrazioni ogni 4-6 settimane per tutto l'anno; anche nelle allergie stagionali il trattamento continuativo è più efficace rispetto ai metodi prestagionali o costagionali. I principali allergeni usati per la desensibilizzazione sono quelli che in genere non possono essere allontanati completamente: pollini, acari della polvere, muffe e veleno di imenotteri. I veleni di insetto sono standardizzati in base al peso; una dose iniziale tipica è 0,01 g; la dose di mantenimento abituale varia da 100 a 200 g. La desensibilizzazione alla forfora degli animali viene solitamente riservata ai soggetti che non possono evitare l'esposizione (p. es. veterinari e addetti ai laboratori), ma ci sono scarse prove che essa sia utile. La desensibilizzazione agli alimenti non è necessaria. I metodi di desensibilizzazione alla penicillina e al siero eterologo sono descritti nella Ipersensibilità ai farmaci, oltre. Reazioni avverse: i pazienti sono spesso estremamente sensibili, specialmente agli allergeni dei pollini e se si somministra loro una dose eccessiva possono verificarsi reazioni variabili da una leggera tosse o starnutazione fino all'orticaria generalizzata, all'asma grave, allo shock anafilattico e, molto raramente, alla morte. Per prevenire tali reazioni bisogna osservare le seguenti precauzioni: aumentare la dose per piccoli incrementi, ripetere la stessa dose (o anche diminuirla) se la reazione locale indotta dall'iniezione precedente è ampia ( 2,5 cm di diametro) e ridurre la dose quando si usa un estratto nuovo. Spesso è buona norma ridurre la dose degli estratti di polline durante la stagione dell'impollinazione. L'iniezione IM ed EV deve essere evitata. Nonostante tutte le precauzioni, talvolta si verificano ugualmente reazioni sfavorevoli. Dal momento che le reazioni gravi, pericolose per la vita (anafilassi) si sviluppano di solito entro 30 min, i pazienti devono restare in osservazione per questo lasso di tempo. I segni di una reazione imminente possono essere gli starnuti, la tosse, un senso di costrizione toracica o un rossore generalizzato, i formicolii e il prurito. Maggiori dettagli sulla sintomatologia e il trattamento sono esposti sotto Anafilassi, oltre. Antiistaminici: l'alleviamento dei sintomi con la terapia farmacologica non va trascurato, finché il paziente è in via di valutazione e sono in via di elaborazione strategie di controllo o di trattamento più specifiche. L'uso di antiistaminici, simpaticomimetici, cromoglicato e glucocorticoidi per le singole malattie è descritto oltre. In generale, l'impiego precoce dei glucocorticoidi è giustificato nelle condizioni potenzialmente invalidanti autolimitantisi e di durata relativamente breve 112 (attacchi stagionali di asma; pneumopatia infiltrativa; dermatite da contatto grave), mentre un impiego prudente dei glucocorticoidi può essere necessario qualora altre misure terapeutiche si rivelino insufficienti a mantenere sotto controllo una condizione cronica. Le differenze farmacologiche tra i vari antiistaminici si manifestano per lo più nei loro effetti sedativi e antiemetici e in altri effetti a livello del SNC, come pure nelle loro proprietà anticolinergiche, antiserotoniniche e anestetiche locali. Gli antiistaminici con effetti anticolinergici costituiscono un problema specialmente nell'anziano. Gli antiistaminici sono utili nel trattamento dei sintomi delle allergie, comprendenti la febbre da fieno stagionale, la rinite allergica e la congiuntivite. Sono moderatamente efficaci nella rinite vasomotoria. L'orticaria acuta e cronica e alcune dermatosi allergiche pruriginose rispondono bene. Essi sono utili anche nel trattamento delle reazioni da incompatibilità trasfusionale di minore gravità e delle reazioni sistemiche ai mezzi di contrasto radiografici iniettati EV. Essi sono di limitata utilità nella terapia del raffreddore comune, ma grazie ai loro effetti anticolinergici (v. oltre) possono ridurre la rinorrea. L'istamina è distribuita ampiamente nei tessuti dei mammiferi. Nell'uomo le concentrazioni più elevate si osservano nella cute, nei polmoni e nella mucosa GI. Essa è presente principalmente nei granuli intracellulari delle mast-cellule, ma ne esiste anche un'importante quota extramastocitaria nella mucosa gastrica, e quantità più piccole nel cervello, nel cuore e in altri organi. La liberazione di istamina dai granuli di deposito delle mast-cellule può essere innescata da un insulto tissutale di tipo fisico, da diverse sostanze chimiche (compresi gli irritanti tissutali, gli oppiacei e gli agenti tensioattivi) e, meccanismo di gran lunga predominante, dalle interazioni antigene-anticorpo. La funzione omeostatica specifica dell'istamina non è ancora stata chiarita. Le sue azioni, che nell'uomo si esplicano soprattutto a livello del sistema cardiovascolare, della muscolatura liscia extravascolare e delle ghiandole esocrine, sembrano essere mediate da due recettori diversi: H1 e H2. Questo capitolo tratterà dei recettori H1 e dei loro antagonisti (anti-H1). A livello del sistema cardiovascolare, l'istamina è un potente vasodilatatore arteriolare che può provocare un esteso sequestro ematico periferico e ipotensione. Essa aumenta inoltre la permeabilità capillare deformando il rivestimento endoteliale delle venule postcapillari, con dilatazione degli spazi intercellulari endoteliali ed esposizione della superficie della membrana basale. Questa azione accelera la fuoriuscita di plasma e di proteine plasmatiche dal letto vascolare e, insieme alla dilatazione arteriolare e capillare, può causare uno shock circolatorio. L'istamina dilata anche i vasi cerebrali, fenomeno che può avere un ruolo nella cefalea vasomotoria. La risposta tripla è mediata dalla liberazione locale intracutanea di istamina, che causa eritema locale da vasodilatazione, formazione di un pomfo dovuto a edema locale per aumento della permeabilità capillare e arrossamento secondario a un meccanismo neuronale riflesso che produce un'area circostante di vasodilatazione arteriolare. In altri distretti muscolari lisci, l'istamina può indurre una grave broncocostrizione e stimola la motilità GI. A livello delle ghiandole esocrine, essa aumenta la secrezione delle ghiandole salivari e bronchiali; a livello delle ghiandole endocrine, stimola il rilascio di catecolamine dalle cellule cromaffini del surrene, effetto che sembra essere mediato anch'esso dai recettori H1. A livello delle terminazioni nervose sensitive, l'instillazione locale di istamina può provocare intenso prurito. 113 Antagonisti H1: gli antiistaminici convenzionali possiedono una catena laterale etilaminica sostituita (simile a quella dell'istamina) legata a uno o più gruppi ciclici. La somiglianza tra la porzione etilaminica della istamina e la struttura etilaminica sostituita degli anti-H1 suggerisce che questa configurazione molecolare sia importante per le interazioni con il recettore. Gli antiH1 sembrano agire per inibizione competitiva; essi non alterano in maniera significativa la produzione o il metabolismo dell'istamina. Gli anti-H1, somministrati per via orale o rettale, sono generalmente ben assorbiti dal tratto GI. L'azione ha inizio di solito entro 15-30 min e raggiunge l'effetto massimo in 1 h; la durata d'azione è solitamente di 3-6 h, ma alcuni antagonisti agiscono considerevolmente più a lungo. Gli effetti antiistaminici degli anti-H1 si evidenziano soltanto in presenza di un aumento di attività dell'istamina. Essi contrastano gli effetti dell'istamina sulla muscolatura liscia GI, ma nell'uomo la reazione allergica a livello della muscolatura liscia bronchiale non dipende principalmente dal rilascio di istamina e non risponde in maniera efficace ai soli antiistaminici. Gli anti-H1 bloccano efficacemente l'aumento della permeabilità capillare e la stimolazione nervosa sensitiva indotti dall'istamina, inibendo così la formazione dell'edema, l'arrossamento, il prurito, la starnutazione e la secrezione mucosa. Tuttavia, questi farmaci sono soltanto parzialmente efficaci nel far regredire la vasodilatazione e l'ipotensione indotte dall'istamina. Altri effetti clinici diversi dall'azione antagonista sull'istamina vengono discussi più avanti. La Tab. 148-1 illustra sinteticamente il dosaggio, la via e la frequenza di somministrazione di alcuni anti-H1 di comune impiego. È possibile che la somministrazione nei bambini debba essere più frequente rispetto a quella negli adulti, a causa dell'emivita più breve degli antiistaminici (con le eccezioni riportate in tabella). Questi farmaci sono tutti antagonisti dei recettori H1; le loro differenze farmacologiche risiedono principalmente nel tipo e nell'intensità dei loro effetti secondari. Poiché molti anti-H1 causano depressione del SNC e sonnolenza, essi talvolta vengono utilizzati come sedativi e ipnotici. Tuttavia, le alchilamine e i nuovi farmaci privi di effetto sedativo (astemizolo, cetirizina e loratadina) sono utili quando non si desidera indurre sedazione. D'altro canto, essi sono notevolmente più costosi e alcuni sono responsabili di interazioni farmacologiche pericolose (v. oltre). Le etanolamine deprimono in modo significativo il SNC; sebbene siano meno potenti e affidabili dei barbiturici e di altri sedativi a effetto centrale, esse sono utili come sedativi e ipnotici ma possiedono spiccate proprietà anticolinergiche, pertanto possono risultare scarsamente tollerati dagli anziani. Le etilendiamine inducono una depressione del SNC di grado minore, ma hanno maggiori effetti collaterali GI, rispetto alle etanolamine. Il derivato etanolaminico difenidramina e il suo sale cloroteofillinico dimenidrinato, l'analogo fenotiazinico prometazina e le piperazine (ciclizina e meclizina) vengono tutti utilizzati per prevenire o trattare le chinetosi e per alleviare la nausea e le vertigini legate alla labirintite. La ciclizina, l'idrossizina e la meclizina sono state sospettate di essere teratogene negli animali e probabilmente non devono essere somministrate durante la gravidanza. Gli anti-H1 fenotiazinici e la prometazina in particolare, sono utili come sedativi e risultano efficaci per la terapia sintomatica della nausea legata alla radioterapia e ad alcuni farmaci antitumorali; per quest'ultimo impiego essi sono meno efficaci della proclorperazina e della clorpromazina. 114 La maggior parte degli anti-H1 possiede una certa azione anticolinergica che può rendere conto della modesta attività antiparkinsoniana esplicata a livello centrale e dell'alleviamento sintomatico della rinorrea in corso di infezioni delle vie aeree superiori esercitata a livello periferico. In associazione con gli anestetici locali, alcuni anti-H1 sono stati impiegati per applicazioni topiche sulla cute sotto forma di creme e lozioni per ridurre il prurito. Tuttavia l'applicazione topica degli antiistaminici etilendiaminici comporta un rischio considerevole di sensibilizzazione farmacologica; essi non sono più approvati per questo tipo di impiego. Gli effetti collaterali indesiderabili e la tossicità degli anti-H1 sono molto rari; essi comprendono: anoressia, nausea, vomito, stipsi, diarrea, dolenzia epigastrica, riduzione dell'attenzione, riduzione della capacità di concentrazione, sonnolenza e debolezza muscolare. Alterazioni della crasi ematica (p. es. leucopenia, agranulocitosi, trombocitopenia e anemia emolitica) si manifestano raramente. Il sovradosaggio è accompagnato dalla comparsa di effetti anticolinergici: secchezza delle fauci, palpitazioni, senso di costrizione toracica, ritenzione urinaria, disturbi visivi, convulsioni, allucinazioni e, in seguito, depressione respiratoria, febbre, ipotensione e midriasi. Essi sono spesso un problema soprattutto negli anziani. Gli antiistaminici non sedativi astemizolo e cetirizina non devono essere somministrati insieme agli antibiotici della classe dei macrolidi, perché inibiscono il loro metabolismo. Alcuni di questi farmaci sono aritmogeni (non la loratadina e la fexofenadina). Infine, tutti tranne la loratadina presentano un rischio di categoria C durante la gravidanza. Gli inibitori dei leucotrieni hanno un effetto antagonista a livello dei recettori per i leucotrieni D oppure inibiscono la sintesi dei leucotrieni, impedendo il broncospasmo. Essi hanno effetti clinici favorevoli, ma il loro ruolo nella terapia dell'asma non è ancora stabilito. 115 CAPITOLO 25 - ANAFILASSI Reazione sistemica acuta, spesso a decorso esplosivo, mediata da IgE, che si verifica in un individuo precedentemente sensibilizzato il quale venga a contatto con l'antigene sensibilizzante. L'anafilassi ha luogo quando l'antigene (proteine, polisaccaridi o apteni coniugati con proteine carrier) raggiunge il torrente circolatorio. Gli antigeni più comunemente responsabili sono gli enzimi introdotti per via parenterale, gli emoderivati, gli antibiotici -lattamici e molti altri farmaci, gli allergeni usati per l'immunoterapia allergenica (desensibilizzazione) e il veleno degli insetti. I bloccanti, anche sotto forma di collirio, possono aggravare le reazioni anafilattiche. L'anafilassi può essere aggravata o anche provocata de novo dall'esercizio fisico e alcuni pazienti accusano sintomi ricorrenti senza una ragione identificabile. Quando l'antigene reagisce con le IgE presenti sulla superficie dei basofili e delle mast-cellule, vengono sintetizzati o rilasciati istamina, leucotrieni e altri mediatori. Questi mediatori provocano la contrazione della muscolatura liscia (responsabile della dispnea e della sintomatologia GI) e la vasodilatazione che caratterizzano l'anafilassi. La vasodilatazione e la fuoriuscita di plasma nei tessuti sono responsabili dell'orticaria e dell'angioedema e provocano una riduzione del volume plasmatico efficace, che rappresenta la causa principale dello shock. Il liquido penetra anche negli alveoli polmonari e può provocare edema polmonare. Può anche verificarsi un angioedema ostruttivo delle vie aeree superiori. Se la reazione è prolungata, possono svilupparsi aritmie e shock cardiogeno. Le reazioni anafilattoidi sono clinicamente simili all'anafilassi, ma possono verificarsi già dopo la prima iniezione di taluni farmaci (polimixina, pentamidina, oppioidi) e mezzi di contrasto. Esse hanno alla base un meccanismo tossico-idiosincrasico dose-dipendente, più che un meccanismo mediato immunologicamente. L'aspirina e altri FANS possono provocare reazioni nei pazienti suscettibili. Sintomi e segni La sintomatologia è variabile e raramente un singolo paziente sviluppa il quadro clinico completo. Tipicamente, nel volgere di 1-15 min (ma raramente anche dopo 2 h) il paziente comincia a sentirsi irrequieto, diventa agitato e arrossato e lamenta palpitazioni, parestesie, prurito, pulsazioni auricolari, tosse, starnutazione, orticaria e angioedema, oltre a difficoltà di respirazione dovuta a edema laringeo o a broncospasmo. Nausea, vomito, dolore addominale e diarrea sono meno comuni. Entro i successivi 1-2 min può manifestarsi uno shock e il paziente può avere convulsioni, perdere il controllo degli sfinteri, divenire areattivo e morire. Può verificarsi un collasso cardiocircolatorio primitivo in assenza di sintomatologia respiratoria. Gli episodi ricorrenti di anafilassi che si presentano nello stesso individuo sono solitamente caratterizzati dai medesimi sintomi. Profilassi I pazienti con il più alto rischio di anafilassi da farmaci sono coloro che in precedenza hanno già avuto reazioni al medesimo farmaco, ma la morte per anafilassi può aver luogo anche senza questi precedenti. Poiché il rischio di una reazione a un antisiero eterologo è elevato, è tassativo eseguire di routine un test cutaneo prima di somministrare il siero e può essere necessario adottare misure profilattiche. L'esecuzione sistematica di un test cutaneo prima di intraprendere altri tipi di terapie 116 farmacologiche non è praticabile né attendibile, con l'eccezione forse della terapia penicillinica (i test sono trattati sotto la voce Meccanismi dell'ipersensibilità ai farmaci, oltre). L'immunoterapia (desensibilizzazione) a lungo termine è efficace e adeguata a prevenire l'anafilassi dovuta a punture di insetti, ma è stata tentata raramente nei pazienti con una storia di anafilassi da farmaci o da siero. Al contrario, se la terapia con un farmaco o con un siero è indispensabile, si deve eseguire la desensibilizzazione rapida in condizioni controllate. A un paziente che ha avuto in precedenza una reazione anafilattoide a un mezzo di contrasto radiografico, si può somministrare nuovamente il mezzo con ragionevole sicurezza (se il suo impiego è essenziale) dopo un pretrattamento costituito da 50 mg di prednisone PO q 6 h per 3 dosi, 50 mg di difenidramina PO 1 h prima e 25 mg di efedrina (se non è controindicata) PO 1 h prima dell'esecuzione dell'esame, negli adulti. L'impiego di mezzi di contrasto isosmotici è da preferire come misura precauzionale aggiuntiva. Terapia È imperativo trattare immediatamente il paziente con adrenalina. L'adrenalina è un antagonista degli effetti dei mediatori chimici a livello della muscolatura liscia, dei vasi sanguigni e di altri tessuti. Per le reazioni lievi (p. es. prurito generalizzato, orticaria, angioedema, lieve difficoltà di respirazione, nausea e vomito) si devono somministrare SC 0,01 ml/kg di adrenalina in soluzione acquosa 1:1000 (la dose usuale per gli adulti è compresa tra 0,3 e 0,5 ml). Se la reazione anafilattica è stata provocata da un antigene iniettato in un arto, bisogna applicare un laccio emostatico a monte della sede di iniezione e iniettare inoltre la metà della suddetta dose di adrenalina nella stessa sede, in modo da ridurre l'assorbimento sistemico dell'antigene. Può rendersi necessaria una seconda iniezione sottocutanea di adrenalina. Dopo la risoluzione della sintomatologia, va somministrato un antiistaminico orale per 24 h. Per le reazioni di maggiore gravità, con angioedema massivo ma senza segni di interessamento cardiovascolare, ai pazienti adulti bisogna somministrare 50-100 mg di difenidramina EV in aggiunta alla terapia suddetta, per prevenire l'edema laringeo e bloccare l'effetto dell'ulteriore rilascio di istamina. Quando l'edema risponde alla terapia, si possono somministrare 0,005 ml/ kg SC di adrenalina ad azione prolungata in sospensione acquosa 1:200 (dose massima, 0,15 ml) per il suo effetto perdurante 6-8 h; per le successive 24 h deve essere somministrato un antiistaminico orale. Per le reazioni asmatiche che non rispondono all'adrenalina, bisogna avviare l'infusione di liquidi EV e (se il paziente non è già sotto teofillina) si possono somministrare 5 mg/kg di teofillina EV nell'arco di 10-30 min, seguiti da 0,5 mg/kg/ h, più o meno, per mantenere un livello ematico di teofillina di 10-20 g/ml (tra 55 e 110 mol/l). Può diventare necessaria l'intubazione endotracheale o la tracheostomia, con somministrazione di O2 a 4-6 l/min. Le reazioni più gravi solitamente coinvolgono il sistema cardiovascolare, provocando ipotensione grave e collasso vasomotorio. Si devono infondere rapidamente liquidi EV e porre il paziente in posizione supina con le gambe sollevate. Va somministrata adrenalina (1:100000) per infusione EV lenta (5-10 g/min) sotto stretta osservazione per rilevare la comparsa di effetti collaterali, come cefalea, tremori, nausea e aritmie. La grave ipotensione di base può essere dovuta a vasodilatazione, ipovolemia da perdita di liquidi, insufficienza miocardica (raramente) oppure a 117 una combinazione di tali cause. Ogni tipo di reazione prevede un trattamento specifico e spesso la terapia di una di esse aggrava le altre. La terapia adeguata può essere scelta opportunamente se si possono misurare la pressione venosa centrale (Central Venous Pressure, CVP) e la pressione atriale sinistra. Una CVP bassa e una pressione atriale sinistra normale indicano una vasodilatazione periferica e/o un'ipovolemia. La vasodilatazione dovrebbe rispondere all'adrenalina (che inoltre ritarderà la perdita dei liquidi intravascolari). L'ipovolemia è di solito la causa principale dell'ipotensione. La CVP e la pressione atriale sinistra sono entrambe basse e bisogna somministrare grandi volumi di soluzione fisiologica, controllando la PA finché la CVP non ritorna normale. Raramente sono necessari i plasma-expander colloidali (p. es. il destrano). Soltanto se la reintegrazione dei liquidi non ripristina una PA normale, bisogna avviare con cautela una terapia con farmaci vasopressori (p. es. dopamina, noradrenalina). Si può verificare un arresto cardiaco, che richiede la rianimazione immediata. Ulteriori terapie dipendono dal quadro ECG. Quando tutte le misure suddette sono state istituite, si può somministrare difenidramina (5075 mg EV in infusione lenta in 3 min) per il trattamento dell'orticaria, dell'asma, dell'edema laringeo o dell'ipotensione a esordio ritardato. Le eventuali complicanze (p. es. infarto miocardico, edema cerebrale) vanno sempre ricercate e trattate nella maniera opportuna. I pazienti con reazioni gravi devono rimanere sotto osservazione in ospedale per 24 h dopo la risoluzione del quadro, nel caso si verificassero ricadute. I soggetti che hanno avuto una reazione anafilattica alla puntura di un insetto devono portare sempre con sé una siringa preriempita di adrenalina pronta per l'uso, in modo da potersi trattare rapidamente da soli in caso di reazioni future. Essi vanno indirizzati all'esecuzione dell'immunoterapia (desensibilizzazione) con il veleno dell'insetto. 118 CAPITOLO 26 - DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI Disordini con manifestazioni cliniche legate all'azione di mediatori vasoattivi derivati dalle mastcellule o da altre fonti (anche se un meccanismo immunologico mediato da IgE o di altro tipo può non esserne coinvolto). Orticaria e angioedema (Orticaria; orticaria gigante; edema angioneurotico) L'orticaria consiste in un'eruzione pomfoide ed eritematosa locale a carico del derma superficiale. L'angioedema è un gonfiore localizzato più profondamente, dovuto alla presenza di aree edematose nel derma profondo e nel tessuto sottocutaneo e può interessare anche le mucose. Sommario: L'orticaria consiste in un'eruzione pomfoide ed eritematosa locale a carico del derma superficiale. L'angioedema è un gonfiore localizzato più profondamente, dovuto alla presenza di aree edematose nel derma profondo e nel tessuto sottocutaneo e può interessare anche le mucose. Eziologia L'orticaria e l'angioedema acuti sono essenzialmente fenomeni di anafilassi limitati alla cute e ai tessuti sottocutanei e possono essere dovuti ad allergia a farmaci, punture o morsi di insetti, iniezioni desensibilizzanti o ingestione di taluni alimenti (specialmente uova, crostacei o noci). Alcune reazioni si verificano in modo esplosivo dopo l'ingestione di quantità minime della sostanza responsabile. Altre (p. es. le reazioni alle fragole) possono verificarsi soltanto dopo un eccesso alimentare e probabilmente sono il risultato di una liberazione diretta (tossica) del mediatore. L'orticaria può accompagnare o addirittura essere il sintomo di esordio di diverse infezioni virali, comprese l'epatite, la mononucleosi infettiva e la rosolia. Alcune reazioni acute sono inspiegabili, anche quando hanno carattere ricorrente. Se l'angioedema acuto è ricorrente, progressivo, doloroso più che pruriginoso e non associato a orticaria, va preso in considerazione un deficit enzimatico ereditario. L'orticaria e l'angioedema cronici che durano più di 6 settimane sono più difficili da spiegare e soltanto in casi eccezionali è possibile individuare una causa specifica. Le reazioni sono raramente mediate da IgE. Occasionalmente ne è responsabile l'ingestione cronica di un farmaco o di una sostanza chimica insospettata; p. es. la penicillina contenuta nel latte; l'uso di farmaci da banco; i conservanti o altri additivi alimentari. Bisogna escludere la presenza di una malattia cronica sottostante (LES, policitemia vera, linfomi o infezioni). Sebbene ne sia spesso sospettato il coinvolgimento, fattori psicogeni verificabili vengono identificati raramente. L'orticaria provocata da agenti fisici viene trattata sotto la voce Allergia ad agenti fisici, oltre. Alcuni pazienti con orticaria intrattabile risultano affetti da malattie tiroidee. A volte l'orticaria può essere il primo segno o il solo segno visibile di una vasculite cutanea. Sintomi e segni Nell'orticaria il prurito (generalmente il sintomo di esordio) è seguito dopo breve tempo dalla comparsa di pomfi che possono rimanere di piccole dimensioni (da 1 a 5 mm) o ingrandirsi. Quelli più grandi tendono a schiarirsi al centro e si possono notare all'inizio come grossi anelli (> 20 cm di diametro) di eritema ed edema. Di solito, gruppi di lesioni urticarioidi compaiono e poi si risolvono; un tipo di lesione può rimanere in un punto per diverse ore e poi scomparire per 119 riapparire altrove. Se una lesione persiste per almeno 24 h, bisogna pensare alla possibilità di una vasculite. L'angioedema è caratterizzato da un gonfiore più diffuso e dolente a carico del tessuto sottocutaneo lasso, del dorso delle mani o dei piedi, delle palpebre, delle labbra, dei genitali e delle mucose. L'edema delle vie aeree superiori può provocare difficoltà respiratoria e lo stridore può essere confuso con l'asma. Diagnosi La causa dell'orticaria acuta o dell'angioedema acuto è di solito evidente. Anche in caso contrario, l'esecuzione di test diagnostici è di rado necessaria, a causa della natura autolimitantesi e non ricorrente di queste reazioni. Nell'orticaria cronica va esclusa la presenza di una malattia cronica sottostante, conducendo scrupolosamente l'anamnesi e l'esame obiettivo ed eseguendo i test di screening di routine. L'eosinofilia è rara nell'orticaria. Altre indagini (p. es. la ricerca di uova e parassiti nelle feci, il dosaggio del complemento sierico e degli anticorpi antinucleari e le radiografie dei seni paranasali e delle arcate dentarie) non sono di alcuna utilità se non vengono suggeriti da indicazioni cliniche supplementari. Terapia Dal momento che l'orticaria acuta generalmente regredisce entro 1-7 giorni, la terapia è soprattutto sintomatica. Se la causa non è evidente, tutti i farmaci non necessari devono essere sospesi finché la reazione non sia scomparsa. I sintomi possono essere solitamente alleviati da un antiistaminico orale, come la difenidramina 50-100 mg q 4 h, l'idrossizina 25-100 mg bid o la ciproeptadina 4-8 mg q 4 h. Se essi dovessero causare sonnolenza (che compare in una minoranza di pazienti), deve essere impiegato uno degli antiistaminici non sedativi (v. sopra). In caso di reazioni più gravi, specialmente se associate ad angioedema, può essere necessario un glucocorticoide (p. es. prednisone 30-40 mg/die PO). I glucocorticoidi per uso topico sono privi di efficacia. Per l'angioedema faringeo o laringeo acuto il farmaco di primo impiego deve essere l'adrenalina 1:1000, 0,3 ml SC. A essa si può aggiungere una terapia locale; p. es. un agente adrenergico nebulizzato e un antiistaminico EV (p. es. difenidramina 50-100 mg). Questa terapia previene abitualmente l'ostruzione delle vie aeree, ma è possibile che si renda necessaria l'intubazione o l'esecuzione di una tracheostomia con somministrazione di O2. Nell'orticaria cronica in circa la metà dei casi si osserva la remissione spontanea nell'arco di due anni. Il controllo dello stress aiuta spesso a ridurre la frequenza e la gravità degli episodi. Taluni farmaci (p. es. l'aspirina) possono aggravare la sintomatologia, così come l'alcol, il caffè e il fumo di tabacco; in questo caso, tali sostanze devono essere evitate. Quando l'orticaria è provocata dall'aspirina, bisogna ricercare la presenza di ipersensibilità ai FANS e alla tartrazina (un additivo colorante per alimenti e farmaci). Gli antiistaminici orali con effetto sedativo sono solitamente efficaci (p. es., per gli adulti, idrossizina 25-50 mg bid o ciproeptadina 4-8 mg q 4-8 h; per i bambini, idrossizina 2 mg/kg/die frazionati q 6-8 h e ciproeptadina 0,25-0,5 mg/kg/die frazionati q 8-12 h). Per alcuni pazienti adulti, la doxepina 25-50 mg bid può risultare il farmaco più efficace. Spesso vengono aggiunti antagonisti H2 (come la ranitidina 150 mg bid). Prima di ricorrere ai glucocorticoidi, i quali rischiano di dover essere somministrati indefinitamente, bisogna fare un tentativo con tutte le misure terapeutiche ragionevoli. 120 Edema angioneurotico ereditario Forma di angioedema trasmessa come carattere autosomico dominante e associata a un deficit di inibitore sierico del primo componente del complemento attivato. Eziologia Nell'85% dei casi il deficit è dovuto alla mancanza dell'inibitore della C1 esterasi; nel 15% è dovuto alla presenza di inibitore della C1 esterasi non funzionante. Un'anamnesi familiare positiva è la regola, ma esistono alcune eccezioni. L'edema è tipicamente unifocale, indurito, doloroso più che pruriginoso e non è accompagnato da orticaria. Gli attacchi vengono spesso precipitati da traumi o malattie virali e vengono aggravati dagli stress emotivi. È frequente il coinvolgimento GI, con nausea, vomito, coliche e perfino segni di ostruzione intestinale. La malattia può provocare un'ostruzione fatale delle vie aeree superiori. Diagnosi La diagnosi può essere posta misurando il C4, che risulta basso anche tra un attacco e l'altro, oppure più specificamente dimostrando il deficit del C1-inibitore mediante l'immunodiffusione e, se essa risultasse inaspettatamente normale, con un test funzionale. Una forma acquisita di deficit di C1-inibitore secondaria a malattie neoplastiche, come i linfomi, viene distinta in base ai bassi livelli di C1 e ai livelli di C4 diminuiti. Profilassi Per la profilassi a breve termine dei pazienti mai trattati in precedenza (come prima di una procedura odontoiatrica, di un'endoscopia o di un intervento chirurgico) si possono somministrare 2 U di plasma fresco congelato. Sebbene in linea teorica la presenza nel plasma di un substrato del complemento possa provocare un attacco, ciò non si è osservato nei pazienti asintomatici. Di recente, una frazione parzialmente purificata di inibitore della C1 esterasi ottenuta da campioni multipli di plasma si è dimostrata sicura ed efficace per la profilassi, ma non è ancora disponibile per l'impiego su vasta scala. Se c'è il tempo necessario, il paziente deve essere trattato per 3-5 gg con un androgeno (v. oltre). Per la profilassi a lungo termine sono efficaci gli androgeni. Si deve impiegare uno degli androgeni cosiddetti attenuati. Il trattamento viene cominciato con stanozololo 2 mg PO tid o danazolo 200 mg PO tid. Lo stanozololo è più economico. Una volta raggiunto il controllo della sintomatologia, il dosaggio deve essere ridotto il più possibile, allo scopo di limitare i costi e, nelle donne, di ridurre al minimo gli effetti collaterali virilizzanti. Questi farmaci, oltre a essere efficaci, si sono anche dimostrati in grado di incrementare i bassi livelli di inibitore della C1 esterasi e di C4 verso valori normali. Terapia L'edema progredisce finché i componenti complementari non sono stati consumati. Gli attacchi acuti che minacciano di provocare ostruzione respiratoria devono quindi essere trattati prontamente ripristinando la pervietà delle vie aeree. L'uso di plasma fresco congelato è controverso. Bisogna somministrare adrenalina, un antiistaminico e un glucocorticoide, ma non esiste la dimostrazione che questi farmaci siano efficaci. 121 CAPITOLO 27 - DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO II Esempi di danno cellulare in cui un anticorpo reagisce con le componenti antigeniche di una cellula sono le anemie emolitiche Coombs-positive, la porpora trombocitopenica indotta da anticorpi, la leucopenia, il pemfigo, il pemfigoide, la sindrome di Goodpasture e l'anemia perniciosa. Queste reazioni si presentano nei pazienti che ricevono trasfusioni incompatibili, nella malattia emolitica del neonato e nella trombocitopenia neonatale e possono svolgere un ruolo anche nelle malattie da ipersensibilità a carattere sistemico (p. es. il LES). Per una descrizione delle conseguenze sul rene, v. Cap. 231. Il meccanismo del danno cellulare viene esemplificato nel modo migliore dagli effetti sui GR. Nelle anemie emolitiche i GR vengono distrutti per emolisi intravascolare o per fagocitosi macrofagica, soprattutto all'interno della milza. Studi in vitro hanno dimostrato che in presenza del sistema complementare alcuni anticorpi leganti il complemento (p. es. gli anticorpi dei gruppi sanguigni anti-A e anti-B) provocano una rapida emolisi; altri (p. es. gli anticorpi anti-LE) provocano una lisi cellulare lenta; altri ancora non danneggiano le cellule in modo diretto, ma ne causano l'adesione e la distruzione da parte dei fagociti. Al contrario, gli anticorpi anti-Rh sui GR non attivano il complemento e distruggono le cellule soprattutto per fagocitosi extravascolare. Esempi in cui l'antigene è un componente tissutale sono rappresentati dal rigetto acuto precoce (iperacuto) di un rene trapiantato, il quale è dovuto alla presenza di anticorpi contro l'endotelio vascolare e la sindrome di Goodpasture, dovuta alla reazione degli anticorpi con la membrana basale dell'endotelio glomerulare e alveolare. Nella sindrome di Goodpasture sperimentale il complemento è un mediatore importante del danno, ma nel rigetto acuto precoce dei trapianti il suo ruolo non è stato chiaramente determinato. Esempi di reazioni dovute al legame di apteni con cellule o tessuti comprendono molte delle reazioni di ipersensibilità ai farmaci (p. es. l'anemia emolitica indotta dalla penicillina). Le reazioni di ipersensibilità anti-recettore alterano le funzioni cellulari a seguito del legame dell'anticorpo ai recettori di membrana. In molte malattie (p. es. la miastenia gravis, il morbo di Graves, il diabete insulino-resistente) sono stati descritti anticorpi diretti contro recettori delle membrane cellulari. In modelli animali di miastenia gravis, la produzione di anticorpi ottenuta con l'immunizzazione contro il recettore per l'acetilcolina ha provocato la tipica affaticabilità e debolezza muscolare osservata nell'uomo. Questo anticorpo è dimostrabile nel siero e sulle membrane delle cellule muscolari anche nell'uomo. Inoltre, quando il siero o la sua frazione IgG provenienti da pazienti affetti da miastenia gravis vengono trasfusi in primati non umani, si produce una sindrome miastenica autolimitantesi. Questi anticorpi impediscono il legame dell'acetilcolina endogena con il suo recettore, inibendo così l'attivazione muscolare. In alcuni pazienti diabetici con resistenza all'insulina di grado estremo è stata dimostrata la presenza di anticorpi contro i recettori per l'insulina, i quali pertanto impediscono il legame dell'insulina con il suo recettore. Nei pazienti affetti da morbo di Graves è stato identificato un anticorpo contro il recettore per l'ormone tireo-stimolante (Thyroid-Stimulating Hormone, TSH) che simula l'effetto del TSH sul suo recettore, provocando un ipertiroidismo. Le reazioni di citotossicità mediata da anticorpi si verificano quando una cellula ricoperta di anticorpi viene danneggiata dalle cellule killer. Sono disponibili tecniche di laboratorio per la 122 determinazione delle sottopopolazioni di cellule B e T dei linfociti circolanti. Un'altra sottopopolazione non possiede marker cellulari B né T; queste cellule sono chiamate cellule null e comprendono le cellule killer e natural killer. Le cellule killer si legano alle cellule ricoperte da IgG per mezzo dei loro recettori per l'Fc e sono in grado di distruggere la cellula bersaglio. Le cellule natural killer non necessitano del rivestimento anticorpale della cellula per il suo riconoscimento e possono indurre la lisi di cellule tumorali, cellule infettate da virus e cellule fetali. Questi meccanismi sono stati dimostrati in modelli animali e in studi di ipersensibilità in vitro, ma il loro ruolo nella patologia umana non è stato ancora stabilito. Diagnosi I test per confermare l'esistenza di questo meccanismo di danno immunologico comprendono la ricerca della presenza di anticorpo o complemento su una cellula o un tessuto, oppure la ricerca della presenza nel siero di anticorpi contro un antigene della superficie cellulare, un antigene tissutale, un recettore o un antigene estraneo (esogeno). Nonostante il complemento sia spesso necessario per indurre il danno cellulare di tipo II e la sua presenza possa essere rivelata sulle cellule o sui tessuti, l'attività emolitica complementare totale del siero non è diminuita, come avviene spesso nelle reazioni di ipersensibilità da immunocomplessi (IC) (di tipo III; v. oltre). Il test dell'antiglobulina (di Coombs) diretto e il test diretto delle anti-globuline non-g rivelano rispettivamente la presenza di anticorpi e di complemento sui GR. Questi test utilizzano antisieri di coniglio, uno contro le immunoglobuline (Ig) e l'altro contro il complemento. Quando questi reagenti vengono miscelati con GR rivestiti da Ig o da complemento, ha luogo l'agglutinazione. Gli anticorpi eluiti da queste cellule mostrano sia specificità per gli antigeni dei gruppi sanguigni dei GR sia la capacità di fissare il complemento, dimostrando così di essere veri e propri autoanticorpi e di essere responsabili della presenza del complemento sui GR nel test diretto non g-globulinico. Il test dell'antiglobulina indiretto rivela la presenza di un anticorpo circolante contro gli antigeni dei GR. Il siero del paziente viene incubato con GR dello stesso gruppo sanguigno (per evitare risultati falsi positivi dovuti a incompatibilità); su questi GR si esegue poi il test dell'antiglobulina. L'agglutinazione conferma la presenza di anticorpi circolanti contro gli antigeni dei GR. Nell'anemia emolitica indotta dalla penicillina, il paziente ha un test di Coombs diretto positivo durante la somministrazione di penicillina, ma ha un test dell'antiglobulina indiretto negativo se si utilizzano GR dello stesso tipo di quelli del paziente. Il siero del paziente, tuttavia, agglutinerà i GR nel test indiretto se essi vengono ricoperti con penicillina. La microscopia a fluorescenza viene usata per lo più per rivelare la presenza di Ig o di complemento nei tessuti (mediante la tecnica diretta) e può anche essere utilizzata per determinare la specificità di un anticorpo circolante (mediante la tecnica indiretta). Nell'immunofluorescenza diretta, un anticorpo di origine animale specifico per le Ig o il complemento dell'uomo viene marcato con un colorante fluorescente (solitamente fluoresceina) e poi stratificato sul tessuto. Quando si esamina il tessuto al microscopio a fluorescenza, una tipica colorazione fluorescente (verde per la fluoresceina) indica la presenza di Ig o di complemento umani nel tessuto. L'immunofluorescenza diretta può essere usata anche per rivelare la presenza di altre proteine sieriche, di componenti tissutali o di antigeni esogeni, purché sia possibile produrre anticorpi animali specifici diretti contro di essi. La tecnica di per sé non indica la presenza 123 di un antigene citospecifico, a meno che l'anticorpo non possa essere eluito dal tessuto e possa essere determinata la sua specificità per gli antigeni tissutali. Nella sindrome di Goodpasture il pattern dell'immunofluorescenza appare come una fluorescenza lineare lungo la membrana basale renale e polmonare. Quando l'anticorpo viene eluito dal rene di un paziente con sindrome di Goodpasture e stratificato su un rene o un polmone normali, esso si lega alla membrana basale e determina lo stesso pattern di fluorescenza lineare se saggiato con anticorpi contro le g-globuline umane marcati con fluoresceina (immunofluorescenza indiretta). Nel pemfigo, l'immunofluorescenza diretta rivela la presenza di anticorpi diretti contro un antigene presente nel cemento intercellulare dello strato delle cellule spinose; nel pemfigoide, di anticorpi diretti contro un antigene della membrana basale. In entrambe le malattie, l'anticorpo sierico si può identificare con la tecnica dell'immunofluorescenza indiretta. Questa tecnica di immunofluorescenza viene usata per rivelare la presenza di anticorpi tessuto-specifici circolanti in molte altre malattie; p. es. anticorpi anti-tiroide nelle tiroiditi e anticorpi anti-nucleo e anticitoplasma nel LES. Esistono in commercio kit per l'esecuzione di test anti-recettoriali per rivelare la presenza di anticorpi diretti contro i recettori per l'acetilcolina, ma i test per i recettori insulinici e quelli tiroidei non sono ancora disponibili. Non esistono situazioni cliniche nelle quali sia necessario eseguire il test di citotossicità anticorpo-dipendente. 124 CAPITOLO 28 - DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO III Condizioni nelle quali gli immunocomplessi (IC) sembrano avere un ruolo patogenetico sono la malattia da siero dovuta al siero eterologo, a farmaci o ad antigeni della epatite virale; il LES; l'AR; la poliarterite; la crioglobulinemia; la polmonite da ipersensibilità; l'aspergillosi broncopolmonare; la glomerulonefrite acuta; la glomerulonefrite membranoproliferativa cronica; e la malattia renale associata. Nell'aspergillosi broncopolmonare, nella malattia da siero indotta da farmaci o siero e in alcune forme di malattia renale, si ritiene che una reazione mediata da IgE preceda la reazione di tipo III. I modelli animali standard delle reazioni di tipo III sono la reazione di Arthus locale e la malattia da siero sperimentale. Nella reazione di Arthus (tipicamente una reazione cutanea locale) gli animali vengono prima iperimmunizzati per indurre la produzione di grandi quantità di anticorpi IgG circolanti e poi viene loro somministrata una piccola quantità di antigene per via intradermica. L'antigene precipita in presenza dell'eccesso di IgG e attiva il complemento, cosicché compare rapidamente (entro 4-6 h) una lesione locale altamente infiammatoria, edematosa e dolorosa che può progredire fino alla formazione di un ascesso sterile contenente molte cellule polimorfonucleate e in seguito fino alla necrosi del tessuto. Microscopicamente si può osservare una vasculite necrotizzante con occlusione dei lumi arteriolari. La reazione non è preceduta da un periodo di latenza, perché l'anticorpo è già presente. Nella malattia da siero sperimentale viene iniettato un notevole quantitativo di antigene in un animale non immunizzato. Dopo un periodo di latenza, vengono prodotti anticorpi; quando gli anticorpi raggiungono una concentrazione critica (nell'uomo, in 10-14 giorni), si formano complessi antigene-anticorpo che si depositano nei vasi di tipo endoteliale, dove provocano un danno vascolare diffuso caratterizzato dalla presenza di leucociti polimorfonucleati. Quando compare la vasculite si può evidenziare un calo del complemento sierico e nelle aree colpite si possono rinvenire antigeni, anticorpi e complemento. I complessi antigene-anticorpo, tuttavia, non sono in grado di provocare il danno di per sé, ma richiedono piuttosto la presenza di un aumento della permeabilità vascolare, come si verifica nelle reazioni mediate da IgE (di tipo I) e quando viene attivato il complemento, per aumentare il deposito vascolare degli IC. Diagnosi Le reazioni di tipo III possono essere sospettate in patologia umana quando compare una vasculite. Nella poliarterite, la presenza di vasculite è l'unica evidenza clinica a sostegno del possibile ruolo degli IC. Un'ulteriore conferma si può ottenere con i test di immunofluorescenza diretta (come descritto precedentemente), che possono indicare la presenza di antigene, di immunoglobuline (Ig) e di complemento nella sede della vasculite. Negli studi sperimentali, la microscopia a fluorescenza mostra depositi granulari grossolani (a grosse zolle) lungo la membrana basale quando i glomeruli animali vengono colorati per rivelare presenza di Ig e di complemento. Una distribuzione simile si può osservare nelle malattie renali umane dovute a reazioni di tipo III. È possibile usare anche la microscopia elettronica per rivelare depositi elettrondensi (simili a quelli osservati nella malattia da siero sperimentale) che si ritiene siano i complessi antigene-anticorpo. Raramente, nel tessuto infiammato si può rivelare la presenza sia dell'antigene sia dell'anticorpo per mezzo dell'immunofluorescenza, come è stato 125 dimostrato nella nefropatia del LES e nelle lesioni vasculitiche della malattia da siero dovuta ad antigeni dell'epatite. Una reazione di tipo III è ulteriormente rivelata dalla dimostrazione della presenza di anticorpi circolanti nei confronti di antigeni quali il siero di cavallo, gli antigeni dell'epatite, il DNA, le IgG alterate (fattore reumatoide) e alcune muffe. Nel LES, per esempio, durante le esacerbarzioni della nefropatia si verifica un aumento degli anticorpi contro il DNA nativo non denaturato a doppio filamento e una diminuzione del complemento sierico. Se l'antigene è sconosciuto, si possono misurare i livelli del complemento sierico totale e dei suoi componenti precoci (C1, C4 o C2); la diminuzione dei loro livelli indica un'attivazione del complemento attraverso la via classica e quindi la presenza di una reazione di tipo III. Nell'aspergillosi polmonare allergica, un test cutaneo intradermico con antigene di Aspergillus può provocare una reazione eritemato-pomfoide mediata da IgE seguita da una reazione simile a quella di Arthus. Fino a non molto tempo fa, gli IC venivano ricercati nel siero con la crioprecipitazione (sfruttando la proprietà di alcuni complessi di precipitare alle basse temperature). Attrezzature sofisticate possono rivelare anche la presenza di complessi solubili mediante ultracentrifugazione analitica e centrifugazione in gradiente di densità di saccaroso. Attualmente, vengono impiegati diversi test per la ricerca degli IC circolanti i quali si basano sulla capacità dei complessi di reagire con componenti complementari (p. es., test di legame con il C1q) e sulla loro capacità di inibire la reazione tra il fattore reumatoide monoclonale e le IgG. Test diagnostici come il test delle cellule di Raji si basano sull'interazione degli IC contenenti frazioni del complemento con recettori cellulari (p. es. un recettore per il C3 presente sulle cellule di Raji). Nonostante ne siano disponibili ancora altri, i test appena ricordati sono quelli usati più comunemente. Non esiste un singolo test in grado di identificare tutti gli IC e il loro impiego nella pratica clinica è limitato al monitoraggio dell'attività di alcune malattie. 126 CAPITOPLO 29 - DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO IV Alcune condizioni cliniche nelle quali si ritiene che abbiano un ruolo di rilievo le reazioni di tipo IV sono la dermatite da contatto, la polmonite da ipersensibilità, il rigetto degli allotrapianti, i granulomi dovuti a organismi intracellulari, alcune forme di ipersensibilità ai farmaci, la tiroidite e l'encefalomielite conseguente a vaccinazione antirabbica. Per le ultime due patologie la dimostrazione è basata su modelli sperimentali e in patologia umana si basa sulla comparsa di linfociti nell'essudato infiammatorio della tiroide e del cervello. Diagnosi Una reazione di tipo IV può essere sospettata quando una reazione infiammatoria risulta caratterizzata istologicamente da linfociti e macrofagi perivascolari. I test cutanei di ipersensibilità ritardata e i patch test sono i metodi più facilmente disponibili per la valutazione dell'ipersensibilità ritardata. Per evitare l'esacerbazione di una dermatite da contatto, i patch test vengono eseguiti dopo che essa si è risolta. L'allergene sospetto (in concentrazioni idonee) viene applicato sulla cute al di sotto di un cerotto adesivo non assorbente e lasciato in sede per 48 h. Se si manifesta bruciore o prurito prima di questo termine, il cerotto viene rimosso. Un test positivo consiste nella comparsa di eritema con un certo indurimento e, talvolta, nella formazione di vescicole. Poiché alcune reazioni non compaiono fin dopo la rimozione dei cerotti, le sedi vengono nuovamente ispezionate a 72 e a 96 h. 127 Sezione 3 DOMANDE FATTE AGLI ESAMI REUMATOLOGIA • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • polimiosite fibromialgia sindrome da anticorpi antifosfolipidi sclerodermia artrite reumatoide e artrite psoriasica,differenze entesospondiloartriti diagnosi spondilite in fase iniziale classificazione spondiloartriti spondiloartrite psoriasica differenze oligoartrite infettiva,reattiva, psoriasica aspetti extrarticolari dell' artrite reumatoide differenza fibromialgia fibromiosite osteoporosi diagnosi differenziale crollo vertebrale nell' artrosi e nell' ernia al disco vasculiti ,classsificazione polimialgia differenza spondilite spondilosi manifestazioni extrarticolari delle spondiloartriti les connettivite indifferenziata differenza artrite infettiva e reattiva forme reattive spondiloartrite artrosi gotta crioglobulinemia Artrite psoriasica (segni, sintomi, diagnosi differenziale, durata rigidità mattutina) Artrite reumatoide Fattore reumatoide nella diagnosi dell’ AR Spondilite anchilosante Classificazione delle enteso-spondilo-artriti ( diagnosi differenziale con artrite reumatoide) LES Rilievi anamnestici e obiettivi che servono a fare diagnosi di vasculite Malattie sistemiche autoimmuni 128 • • • Patologia del ginocchio (monoartrite) Artriti reattive – diagnosi differenziale con artrosi Prognosi artrite reattiva Vasculiti ALLERGOLOGIA,IMMUNUNOLOGIA CLINICA • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • dermatite da contatto immunoreazioni di tipo 2,3,4 Lesioni tipiche dell’orticaria deficit selettivo di Ig A shock anafilattico angioedema pseudoallergia allergeni terapie iposensibilizzanti prick e patck test reazioni avverse ai farmaci orticaria immunodeficienze di 1,2 tipo e diagnostica differenza allergia intolleranza differenze ipersensibilita' allergica,non allergica allergia agli imenotteri allergopatie respiratorie rinite allergica Immuodeficienze secondarie crossreattivita' pollini e alimenti allergie alimentari Classificazione delle reazioni di ipersensibilità e caratteristiche Reazioni di ipersensibilità di tipo 4 (dermatite da contatto) Asma allergico, Asma bronchiale (allergeni perenni e stagionali) Immunodeficienze primitive Orticaria (dermatite atopica) Tipi di orticaria Deficit del complemento : il sistema del complemento è costituito da circa 20 glicoproteine plasmatiche e in particolare vengono distinti 9 componenti numerati da c1 a c9 e in più abbiamo i corrispettivi inibitori e attivatori. Nell’uomo deficit genetici sono stati descritti per tutti i componenti e generalmente vengono tarasmessi con modalità autosomica recessiva eccezion fatta per il deficit di properdina che viene trasmesso con modalità legata al sesso. I deficit delle componenti iniziali (c1, c2, c4) causa aumentata incidenza di malattia da immunocomplessi e autoimmuni come il LES e aumentata incidenza di infezioni da piogeni. Il deficit di C3 e dei suoi fattori di controllo provocano infezioni recidivanti da 129 piogeni e in alcuni casi glomerulo nefrite. Il deficit dei fattori che da c5 a c9 causano un deficit dell’azione litica del complemento e favorisce le infezioni da neisseria così come del resto avviene lo stesso nel deficit di properdina. Il deficit di C1inibitore causa l’angioedema ereditario. Quest’ultimo è l’unico deficit che si può curare tramite somministrazione endovenosa di preparati purificati di C1INH utile nel trattamento delle crisi, mentre la terapia con androgeni di sintesi è risultata utile per prevenire le crisi. Shock anafilattico. 130