Libretto Album dal Fronte PD

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LA GUERRA E LA MEMORIA
Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra a fianco di Inghilterra e Francia contro Austria e
Germania. Il conflitto era iniziato il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Austria alla
Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo il 28
giugno 1914.
Le prime operazioni militari videro la rapida avanzata dell'esercito tedesco in Belgio, Lussemburgo
e nel nord della Francia, azione fermata però dagli anglo-francesi con la prima battaglia della Marna
nel settembre 1914.
Con il contemporaneo attacco dei russi da est, il conflitto degenerò in una logorante guerra di
trincea che si replicò su tutti i fronti fino al termine delle ostilità. Diverse altre nazioni si
schierarono contro gli Imperi centrali, spesso non entrando nel conflitto armato, ma fornendo
importanti aiuti economici.
La guerra si concluse definitivamente l'11 novembre 1918 quando, prima l’Austria, poi la Germania
firmarono l'armistizio imposto dagli Alleati. I maggiori imperi esistenti al mondo, tedesco, austroungarico, ottomano e russo si estinsero, generando diversi stati nazionali che ridisegnarono
completamente la geografia politica dell'Europa e di altri continenti.
70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa). Circa 10
milioni caddero sui campi di battaglia e circa 7 milioni furono le vittime civili, non solo per gli
effetti diretti della guerra ma anche per le conseguenti carestie ed epidemie.
A dare le dimensioni di una tragedia epocale, si aggiunsero quasi 8 milioni di dispersi e più di 22
milioni di feriti. Tra gli italiani si contarono 650.000
militari morti e circa 600.000 civili.
L'Album di Arturo De Sanctis è uno spaccato di
questi tragici avvenimenti in uno dei tanti fronti
della Grande Guerra: quello dolomitico dell'Alto
Cordevole. Un fronte di montagna dove l’obiettivo
ambizioso e assurdo dei generali era quello di
valicare rapidamente i passi alpini, per avanzare poi
lungo le vallate e, addirittura, verso Vienna!
Ma il confine italo-austriaco, che correva per 370
chilometri lungo l’arco alpino, costituiva un nemico
infido e implacabile di rocce e ghiacci. Così si
sparse solo sangue e morte e il fronte fu
abbandonato dopo 2 anni senza nessuna conquista.
L’Album fu ideato da Arturo come un progetto di
ricordi personali di un giovane ufficiale chiamato ad una "impresa" che tutti ritenevano di breve
durata. Non fu così e le 210 pagine arrivano oggi a noi come testimonianza viva dei 2 anni di guerra
vissuti da Arturo. In essa, i toni tragici e freddi della storia ufficiale sono smorzati dal racconto per
immagini di giornate di normale quotidianità che quelle giovani generazioni cercavano di vivere in
quei tragici luoghi, inconsapevoli dei loro destini.
La vastissima raccolta di fotografie (550), di disegni originali (40), di decorazioni su ogni pagina
dell’Album e i moltissimi documenti raccolti, quasi tutti prodotti in contemporanea con gli
avvenimenti vissuti, costituiscono un opera di valore storico, artistico e umano e, grazie alla grande
attenzione usata nei 100 anni per la loro conservazione, diventa oggi un grande contributo alla
memoria collettiva.
(Andrea Morelli - Settembre 2015)
ARTURO DE SANCTIS - BIOGRAFIA BREVE
Arturo De Sanctis nasce a Teramo il 6 novembre
1889, ultimo dei nove figli di Carlo (1845 -1903). Si
laurea in Giurisprudenza a Roma alla fine del 1912.
Dopo la laurea frequenta il Corso Ufficiali alla Scuola
Militare di Modena e, nominato
Sottotenente a
novembre 1915 (foto a sinistra), dopo l'entrata in guerra
dell'Italia, è inviato al Fronte Dolomitico dell'Alto
Cordevole in forza all’81° Reggimento di Fanteria
Brigata Torino.
Qui gli vengono assegnati compiti di istruttore presso il
Comando di Reggimento e, a gennaio 1917 riceve la
nomina a Tenente e successivamente a comandante di
Compagnia.
Al fronte Arturo De Sanctis si distingue per numerosi
atti di coraggio. Riceve un encomio solenne "per aver
recuperato cadaveri di soldati caduti presso i reticolati
nemici". Gli viene conferita la medaglia d’argento
perché: “In occasione di un violento attacco del nemico,
benché contuso in più parti, col proprio contegno fermo
e sereno, animava i dipendenti a respingere l'avversario
con tenacia e vigorosa lotta corpo a corpo e volgerlo in
fuga infliggendogli notevoli perdite".
Dall' agosto 1917 la Brigata Torino viene trasferita sul
fronte dell'Isonzo dove, tre giorni dopo la disfatta
italiana di Caporetto, il 27 ottobre 1917, Arturo De
Sanctis è ferito al braccio sinistro nel Vallone del Grillo
(Volkovniak). Per il suo comportamento riceverà la
medaglia di bronzo perchè: “Per quattro giorni di
seguito, sotto il violento bombardamento nemico, fu volontario e valido collaboratore del Comando.
Ferito, lasciava il suo posto solo quando le sofferenze della ferita glie lo imposero”.
Con il ferimento termina il periodo in guerra di Arturo De Sanctis. Viene curato in vari ospedali
fino a giungere a quello anglo-americano del Celio a Roma. Qui, il 7 novembre 1918, riceve la
nomina a Capitano.
Dal 19 marzo 1922 viene posto in congedo illimitato dalle Forze Armate.
Arturo De Sanctis si trasferisce a Milano dove sposa Gina Ceppi e lavora come conslente legale
della RAS. A Milano incontra e frequenterà di nuovo Armando Pomi, il suo "sergente-disegnatore",
con cui ha condiviso gli anni della guerra. Pomi, diventato famoso illustratore pubblicitario,
completerà le decorazioni dell'Album voluto da Arturo alla partenza per il fronte e già in parte da lui
illustrato nei momenti di pausa dalle battaglie.
Nonostante la lontananza, Arturo De Sanctis torna frequentemente nella sua amata Spoltore dove,
alla fine degli anni '50, pensionato, vi si stabilisce definitivamente fino alla morte avvenuta il 14
maggio 1964.
L'ALBUM DI ARTURO DE SANCTIS
L'Album è stato realizzato da Arturo De
Sanctis di Spoltore come suo ricordo
personale della Grande Guerra del '15-'18. Fu
arruolato come ufficiale nell'81° Reggimento
della Brigata Torino destinata al fronte
dolomitico dell'Alto Cordevole da maggio
1915 e, da agosto 1917, sul fronte dell'Isonzo
dove venne ferito. Arturo De Sanctis fu
decorato con medaglia d'Argento e di Bronzo.
Rilegato in pelle con i simboli della famiglia
De Sanctis, l'Album è costituito da 210 pagine, quasi tutte con decorazioni che contornano le 535
fotografie realizzate al fronte. La grande quantità di foto presenti fa senza dubbio ritenere che
l'autore, o meglio, gli autori, fossero militari del reparto di osservatori di cui facevano parte anche
fotografi e disegnatori (spesso erano la stessa persona). I primi fotografavano il territorio da ogni
posizione e angolazione. I disegnatori, "copiando" da queste immagini, realizzavano la grafica
secondo le esigenze dei comandi.
L'Album esprime molto chiaramente queste modalità operative. Infatti, delle 535 foto contenute (per
la maggior parte di paesaggio) solo una minima parte possono essere ritenuti scatti personali di
Arturo De Sanctis. È invece più probabile che, avendo lui avuto compiti nei comandi per tutto il
periodo di guerra, abbia avuto la possibilità (e il permesso) di raccoglierle o di farne stampare copie
personali. Questo è confermato dalla scoperta che anche nell'Album del sottotenente Giuseppe
Vantini (presente al fronte con De Sanctis in forza all'81°) sono state ritrovate foto identiche
provenienti dallo stesso negativo.
L'album ha alcuni aspetti che ne contraddistinguono la preziosità e lo differenziano da tanti altri
realizzati dai partecipanti alla Grande Guerra. Per gran parte è stato redatto "in contemporanea con
la successione degli avvenimenti": quindi al fronte.Nelle pagine dell'Album le fotografie sono tutte
contornate da disegni e 40 di esse sono costituite da disegni originali ad acquarello, china e matita,
realizzati per la maggior parte da Armando Pomi, un "sergente-pittore" dell'81° e alcuni da Achille
Ferraro (disegni delle armi). De Sanctis e Pomi, dopo la guerra, si frequentarono di nuovo a Milano
(entrambi nella città per lavoro) e qui, Pomi, diventato famoso illustratore pubblicitario, completò le
decorazioni dell'Album. Alcune furono anche realizzate dal fratello del De Sanctis, Italo e da
Giuseppe D’Albenzio (noti pittori della prima metà del Novecento di Spoltore).
Nell'Album sono presenti diversi formati di stampa fotografica, motivo dell'esistenza di vari tipi di
apparecchi fotografici compresi quelli a lastre. Se Arturo De Sanctis aveva con se una fotocamera
personale, poteva essere una Kodak Vest Pocket, nel formato 6,5 x 4.
L’Album voluto da Arturo De Sanctis come documento di ricordi personali, arriva oggi a noi come
testimonianza viva dei suoi 2 anni di guerra fino al suo ferimento sul fronte dell'Isonzo, il 27 ottobre
1917. Una particolarità riguarda il fatto che ci sono solo scatti del fronte dolomitico che viene
abbandonato il 26 agosto del 1917 dalla Brigata Torino destinata al fronte dell’Isonzo dove le truppe
italiane erano in grave difficoltà. Segnale forse che la necessità di fotografare, che era stata
indispensabile nel fronte montano, veniva meno e, in ogni caso, impegni più gravosi e rischiosi si
prevedevano per l’81°.
(AM)
GUERRA 1914/1918 – CRONOLOGIA ESSENZIALE
ANNO 1914
28 Giugno
23 Luglio
24 Luglio
27 Luglio
28 Luglio
31 Luglio
1 Agosto
IN EUROPA E NEL MONDO
4 Agosto
23 Agosto
27 - 30 Agosto
9 -10
Settembre
5 -12
Settembre
1 Settembre
ANNO 1915
Febbraio
SUL FRONTE DOLOMITICO
L'arciduca d'Austria
Francesco Ferdinando viene
assassinato a Sarajevo con
la moglie Sofia dagli
studenti serbi Gabrinovich e
Princip.
L'Austria-Ungheria invia un
ultimatum alla Serbia.
Inizio della mobilitazione
russa.
Risposta parziale della
Serbia all'ultimatum
austriaco.
Inizio delle operazioni di
guerra contro Serbia da
parte dell'Austria.
Mobilitazione generale in
Austria e in Germania.
La Germania dichiara
guerra alla Russia.
2 Agosto
3 Agosto
IN ITALIA
L’Italia dichiara la sua
neutralità.
La Germania dichiara
guerra alla Francia e invade
il Belgio.
L'Inghilterra dichiara guerra
alla Germania, aver violato
la neutralità del Belgio
Il Giappone dichiara guerra
alla Germania.
Battaglia di Tannenberg. I
Russi sono sconfitti da
Hindenburg.
Battaglia dei Laghi Masuri. I
Russi sono di nuovo battuti
da Hindenburg e si ritirano
dalla Prussia orientale.
Battaglia della Marna: i
Francesi arrestano
l'avanzata dei Tedeschi in
Francia. Inizio della « guerra
di posizione ».
La Turchia entra in guerra a
fianco de Imperi Centrali.
IN EUROPA E NEL MONDO
I Russi battuti di nuovo ai
Laghi Masuri.
IN ITALIA
SUL FRONTE DOLOMITICO
26 Aprile
Patto di Londra tra
l'Italia e gli Alleati.
L'Italia denuncia il
Trattato della Triplice
Alleanza.
4 Maggio
Maggio
I Russi sconfitti dagli
Austriaci a Gorlice in Galizia.
24 Maggio
L'Italia entra in guerra
contro l'Austria.
3 Giugno
La Brigata Torino si schiera nella
regione dell’Alto Cordevole a
sostegno dell’azione svolta degli
alpini contro il Sasso di Stria.
Conquista della Forcella del Col
dei Bos, e Cima Bos.
Occupazione del gruppo del
Cristallo.
Attacchi disastrosi nella zona di
Cima Falzàrego, Forcella
Travenànzes, Foràme, Costabella.
7-11 Luglio
30 Luglio
Agosto
Agosto
10 Agosto
Novembre
ANNO 1916
Febbraio –
Aprile
Fallimento del tentativo
degli Alleati di forzare i
Dardanelli.
La Bulgaria entra in guerra
a fianco degli Imperi
Centrali.
La Serbia viene invasa dagli
Austriaci e dai Bulgari.
Salvataggio dell'esercito
serbo a Corfù effettuato
dalla flotta italiana.
IN EUROPA E NEL MONDO
Vana offensiva tedesca
contro Parigi e Verdun
lanciala dal generale
Falkenhayn.
IN ITALIA
17 Aprile
31 Maggio
Maggio –
Giugno
19 Giugno
11 Luglio
SUL FRONTE DOLOMITICO
Mina italiana sul Col di Lana:
galleria lunga 105 m., 90 m. di
profondità, caricata con 524 Kg
di gelatina esplosiva.
Battaglia navale dello
Jutland tra Inglesi e
Tedeschi.
Offensiva austriaca
sull'Altipiano dei Selle
Comuni («Strafexpedition»,
cioè Spedizione punitiva).
Inizio del ministero di
unione nazionale
presieduto da Paolo
Boselli
Alle 3,30 la mina, 35 tonnellate di
esplosivo, fanno saltare in aria la
sella del Castelletto, mentre il Re
e il gen. Cadorna assistono dalle
Cinque Torri; 150 austriaci
muoiono nello scoppio.
6–9
Agosto
27 Agosto
Conquista del Sabotino
e presa di Gorizia.
La Romania entra in guerra
a fianco degli Alleati.
28 Agosto
Dichiarazione di guerra
dell'Italia alla Germania
Settembre
ANNO 1917
Invasione della Romania
IN EUROPA E NEL MONDO
Gennaio
Tentativi dell'Imperatore
d'Austria Carlo per
una pace separala.
Inizio della Rivoluzione
russa. Abdicazione dello Zar
Nicola II.
Febbraio
Giugno
Gli Stati Uniti dichiarano
guerra alla Germania per
l'intensificarsi della guerra
sottomarina
La Grecia dichiara guerra
alla Germania. La battaglia
della Bainsizza
Agosto
Vano tentativo di
mediazione fra i
contendenti del
pontefice Benedetto
XV.
La Brigata Torino si sposta al
fronte del basso Isonzo.
26 Agosto
24 Ottobre
28 Ottobre
9 Novembre
17 novembre
(ottobre nel
calendario
russo)
ANNO 1918
SUL FRONTE DOLOMITICO
Convegno francoanglo-italiano di San
Giovanni di Mariana.
Aprile
6 Aprile
IN ITALIA
Disfatta di Caporetto.
Le linee italiane
'arretrano sul fronte
del Piave. Ministero di
unione nazionale
presieduto da V. E.
Orlando.
Gli italiani lasciano Cortina.
Battaglia del Grappa
«Rivoluzione di ottobre» ed
instaurazione del regime
bolscevico in Russia
IN EUROPA E NEL MONDO
IN ITALIA
SUL FRONTE DOLOMITICO
3 Marzo
Marzo-maggio
13 – 24
Giugno
7 Luglio
Settembre
24 Ottobre
Trattato di Brest-Litovsk tra
i Russi e i Tedeschi.
Sfondamento delle linee
inglesi e francesi ad Arras e
in Fiandra e ultime grandi
offensive tedesche
Battaglia del Piave.
Patto di Corfù tra Serbi,
Croati e Sloveni per la
costituzione dello Stato
Jugoslavo.
Resa della Bulgaria.
Battaglia di Vittorio
Veneto: l'esercito
austriaco viene
definitivamente
annientato.
25 Ottobre
In Ampezzo inizia la ritirata
austriaca; segue il caos di
migliaia di militari in fuga, laceri
ed affamati.
31 ottobre
4 Novembre
Resa della Turchia.
11 Novembre
Capitolazione della
Germania
Costituzione dello stato
autonomo jugoslavo.
1 Dicembre
10 sett 1919
Armistizio di Villa
Giusti tra l'Italia e
l'Austria.
Trattato di St. Germain
Dolomiti del Tirolo occidentale
entrano nel Regno d'Italia.
LA GRANDE GUERRA NELLE DOLOMITI
Disegno del Serg. Armando Pomi del Fronte dell'Alto Cordevole (dall'Album)
Nel 1511 l’imperatore Massimiliano aveva inglobato la tutela del Tirolo. Su entrambi i versanti di una
possente catena montuosa, le Alpi, vigilava da secoli un popolo di montagna che, oltre a tutto, parlava tre
lingue diverse.
Il regno asburgico si era formato più per fortunata coincidenza, tramite matrimoni ed eredità, ovvero grazie a
circostanze felici malgrado tante guerre sfortunate e perse. E per questo non dava mai origine ad una
comunità unitaria. Nel frattempo la Lombardia (1859) e il Veneto (1866) vengono persi dal regno asburgico
a favore dell’Italia, a quel tempo in sempre più rapida espansione, anche se vaste aree come Trieste, Gorizia
e anche il Trentino restano sotto il dominio austriaco.
Nel 1882, tuttavia, l’Italia si allea militarmente con Austria e Germania, dando vita alla Triplice Alleanza,
contro le altre potenze, Francia, Russia e Gran Bretagna. Eppure c’è fermento, clero e uomini influenti si
battono schierandosi a fianco dei ribelli. Pressappoco nello stesso periodo, in Trentino vedono la luce due
personalità carismatiche destinate ad influenzare in maniera decisiva il futuro destino non solo della regione,
bensì di tutta l’Europa: Cesare Battisti (1875-1916) e Alcide De Gasperi (1881-1954).
Entrambi studiano in Austria, parlano perfettamente il tedesco, lottano affinché l’imperatore Francesco
Giuseppe I accolga l’istanza di un’università in lingua italiana, divengono editori di testate giornalistiche ed
entrambi si candidano come deputati al Parlamento di Vienna. Poi scoppia la Prima Guerra Mondiale.
Battisti combatte in prima linea a fianco dell’Italia, De Gasperi si dichiara neutrale. Battisti viene fatto
prigioniero e liquidato in maniera umiliante, Alcide De Gasperi, invece, viene imprigionato sotto Mussolini,
sorge nuovamente come una cometa dopo la Seconda Guerra, viene eletto Presidente del Consiglio italiano
e, più tardi, sarà uno dei grandi promotori dell’Europa unita.
La guerra era scoppiata perché voluta da tutte le parti e per le più svariate ragioni, e per tutti non doveva
durare più di una settimana, al massimo fino al Natale 1914.
Il 28 giugno 1914, il nazionalista serbo Gavrilo Princip assassina il successore al trono austriaco Francesco
Ferdinando e la consorte. Seguirà un ultimatum inadempibile che segnerà l’inizio di quella che sarebbe
risultata, sino a quel momento, la più grande guerra territoriale mai vista al mondo.
In un primo momento l’Italia si tiene fuori dal conflitto, anche se non aspettava altro che poter riscattare
secoli di umiliazioni. Poi infine, nel maggio del 1915, fu concepito qualcosa destinato a entrare nella storia
bellica: la guerra di montagna. Obiettivo dell’Italia in effetti era quello di valicare rapidamente i passi alpini,
per avanzare poi in direzione di Vienna lungo le vallate.
Le cose però andarono in modo del tutto diverso da come chiunque si sarebbe aspettato.
Divenne una guerra in solitudine, e fu un “fronte tra rocce e ghiacci”.
Il confine italo-austriaco correva per 370 chilometri lungo l’arco alpino. Le sue montagne costituivano un
baluardo naturale nel quale, accanto alle due parti belligeranti fece presto la sua comparsa un comune
nemico, infido e implacabile: la natura.
Una fatale esitazione da parte dell’Italia, dovuta forse al fatto di essere entrata in guerra in modo affrettato e
avventato nel maggio del 1915, fece subito sfumare l’occasione di travolgere, contando sul fattore sorpresa,
le truppe austriache non ancora organizzate e sfondarne le linee attraverso una valle o uno dei valichi meno
elevati. Un tattica questa messa in pratica con successo dagli austriaci a Caporetto nell’autunno del 1917,
quando travolsero le difese italiane ormai allo stremo nella valle dell’Isonzo.
Questo diede tempo agli Standschützen tirolesi di organizzarsi, iniziando a occupare, grazie alla loro ottima
conoscenza del territorio, le cime e le linee strategicamente più favorevoli e, dall’oggi al domani gli
Austriaci disposero di 50.000 uomini in armi. Lungo tutta la linea del fronte, si trovava una nutrita serie di
roccaforti e fortini, in parte obsoleti, che dovevano servire a bloccare eventuali attacchi da parte italiana.
Senza immaginare ciò a cui andavano incontro, i belligeranti presero ad affrontarsi in infruttuosi e logoranti
combattimenti di portata locale.
Chi attaccava erano gli italiani, con l’obiettivo di travolgere gli austriaci. Un compito ingrato, che costituiva
uno svantaggio per le truppe italiane, per lo più composte da soldati reclutati alla rinfusa tra braccianti e
servi agricoli. Non che alpini o bersaglieri fossero degli avversari di poco conto, anzi. Essi cercarono di
compensare la scarsa conoscenza del territorio sia con l’ardimento sia gettando nella mischia un maggior
numero di soldati, il che ebbe come conseguenza che le vittime da parte italiana furono molto più numerose
di quelle della parte avversa.
Cortina d’Ampezzo, la capitale“ delle Dolomiti, in una vallata considerata indifendibile, fu dagli austriaci
lasciata senza colpo ferire agli italiani. Un regalo che scatenò un’incontenibile euforia nelle truppe italiane
entrate in città, rendendole ancora più certe della vittoria. Purtroppo l’atroce disillusione non tardò ad
arrivare e la guerra di movimento si trasformò in logorante guerra di posizione.
Questa guerra tra i monti viene ricordata per le molte ardite imprese che vi furono compiute e per le molte
mine di galleria fatte brillare come quella sul Col di Lana, il 17 aprile del 1916, quando la sua sommità fu
fatta saltare in aria dallo scoppio di due mine, poste sotto la vetta in una galleria scavata dalle truppe italiane.
E naturalmente anche per l’inverno del 1915-1916, in cui le valanghe fecero migliaia di vittime tra i soldati.
La Marmolada divenne famosa. Dopo aspri combattimenti con molte perdite l’ingegnere e alpinista
austriaco Leo Handl ebbe la geniale idea di realizzare nel ghiaccio un sistema di gallerie. Ma in nessun caso
gli italiani riuscirono a sfondare il fronte nemico.
Dagli altopiani dei Sette Comuni, che ha come capoluogo Asiago, partì, nella primavera del 1916, la
cosiddetta “Strafexpedition” (spedizione punitiva) che aveva lo scopo era di sfondare il fronte in Valsugana
per penetrare da lì in profondità nel territorio italiano. Era la rappresaglia austriaca contro l’«alleato
traditore». La spedizione punitiva si concluse senza clamore nel giugno del 1916 perché le truppe austriache
servivano più urgentemente altrove.
Il 10 giugno del 1917 gli italiani con 1.500 pezzi d’artiglieria attaccarono l’Ortigara, sull’altopiano dei Sette
Comuni, senza però riuscire a sfondare le linee avversarie.
Il Monte Corno invece, nella zona di Rovereto, raggiunse una triste notorietà nel luglio del 1916 perché vi fu
fatto prigioniero, Cesare Battisti, figura simbolo dell’irredentismo trentino. Dopo la cattura fu processato e
condannato a morte per alto tradimento dagli austriaci e il 13 luglio del 1916 fu impiccato nel Castello del
Buon Consiglio. Gli italiani ne fecero subito un martire, per gli austriaci invece era un sabotatore.
Una cima del Pasubio, da dove si poteva si poteva dominare la valle dell’Adige da Trento sino a Verona, fu
fatta saltare in aria nel 1917 da una mina austriaca, nella più sconvolgente esplosione di tutta la guerra di
montagna, in cui trovarono la morte 2000 soldati.
Già agli inizi di novembre del 1917 contingenti di battaglieri alpini e bersaglieri, in ritirata dal fronte
dolomitico, presero posizione sul Monte Grappa e, nonostante i ripetuti assalti delle truppe austriache gli
italiani risposero con inaspettati attacchi a sorpresa. se stessi.
La disfatta di Caporetto mise in ginocchio l’Italia, le sue truppe si ritirarono alla cieca, lasciando sul terreno
enormi quantità di materiale bellico. Il Capo di Stato Maggiore, generale Luigi Cadorna, in preda a dubbi e
timori esitò troppo a ordinare l’avanzata e venne sostituito dal più determinato generale Armando Diaz, l’8
novembre del 1917.
Le tremende, ostili vette erano ormai lontane e la guerra continuò su un terreno pianeggiante, più congegnale
agli italiani. Nell’ottobre del 1918 l’Italia, grazie alla collaborazione e al sostegno inglese e francese, si
prepara allo scontro decisivo. L’esercito austriaco è con le spalle al muro, allo stremo delle forze e l’Austria
chiede un armistizio. L’Italia si dichiara disposta ad accettare un armistizio che entrerà in vigore a partire
dalle 15.00 del 4 novembre. Migliaia di soldati austriaci in ritirata vengono fatti prigionieri. L’Impero
asburgico va in pezzi, nasce un nuovo ordine mondiale, che lascerà insoluti molti problemi, portando in sé
già il germe della II Guerra Mondiale.
Col Trattato di Pace di St. Germain del 1919, le Dolomiti del Tirolo occidentale entrano a far parte dello
Stato Italiano.
Tratto da“Uomini in guerra” di Michael Wachtler, “La Grande Guerra” di Michael Wachtler e – GüntherObwegs,
“Guerra, morte e dolore” di Michael Wachtler, Paolo Giacomel eGüntherObwegs
STORIA DELL'81° REGGIMENTO BRIGATA TORINO
NELLA GRANDE GUERRA (8 MAGGIO 1915 - 4 NOVEMBRE 1918)
La Brigata Torino, parte da Roma (sede della Brigata), l'8 maggio 1915 al comando del Generale
Giuseppe Ferrari. Arriva a Conegliano per dirigersi sul Fronte dell'Alto Cordevole
IL FRONTE VERTICALE
All'inizio delle ostilità gli austriaci
adottarono la strategia di arretrare sulle
vette più alte, lasciando le valli antistanti.
Così, gli italiani passarono indisturbati il
confine a Selva di Cadore ed entrarono
facilmente
a
Cortina,
considerata
indifendibile dagli austriaci che invece
avevano attestato le loro difese lungo i
crinali delle vette.
Per la prima volta i contendenti si
trovarono a dover affrontare una guerra ad
alta quota, con insidie, ostacoli naturali e
temperature rigide di cui gli austriaci erano
senza dubbio più esperti.
I comandi
italiani, accampati "in basso", erano “visti
ma non vedevano”. Si rese così
indispensabile avere la rappresentazione
verticale del fronte costituito dalle alte
pareti dolomitiche che si dovevano
affrontare.
Il compito di queste
raffigurazioni era affidato a reparti di
osservatori di cui facevano parte anche
fotografi e disegnatori (in molti casi erano
la stessa persona). I primi fotografavano il
territorio da ogni posizione e angolazione.
Sviluppavano i negativi presso il posto
organizzato nelle retrovie e, in fase di
stampa erano anche abili a comporre delle
panoramiche, attaccando più foto in modo
da
riprodurre
il
paesaggio
con
un'angolazione molto ampia. I disegnatori,
"copiando"
da
queste
immagini,
realizzavano la grafica secondo le esigenze
dei comandi.
I soldati italiani, fino al loro ritiro dal
fronte, non videro mai “cosa c’era
dall’altra parte”.
Il numero incredibile di foto scattate di
quelle vette dimostra l’ossessione che si
era creata.
a ricostruzione fotografica attuale dello
scenario del Fronte di Valparola, rende
l'idea di come l'orografia delle stesse
montagne dolomitiche fosse "nemica" per gli italiani e "alleata" per gli austriaci. Una guerra assurda. Un
fronte che per gli italiani si estendeva in altezza, non in lunghezza. Davanti ai soldati, accampati a quota
1700 metri nel bosco del Castello di Buchenstein, la maggior parte dei quali non aveva mai visto quel tipo di
asperità, si ergeva, solo a pochi chilometri di distanza, una "grande muraglia" alta fino a 2400 metri. Vette e
passi che non avrebbero mai superato tanto più se le immaginiamo, come lo sono e lo erano d'inverno, con
metri e metri di ghiaccio. Per questo la guerra dolomitica fu chiamata “Guerra Bianca”.
(AM)
LA MINA DEL COL DI LANA
Nel fronte dell'Alto Cordevole, dove ha operato il sottotenente Arturo De Sanctis, la tenuta del Col
di Lana era al centro delle attenzioni strategiche dei contendenti. La sua sommità era ritenuto una
straordinaria postazione per l'artiglieria da dove si potevano controllare gli spostamenti italiani
lungo la valle Cordevole e la strada delle Dolomiti fino ad Alleghe.
Le battaglie per la conquista della cima iniziarono già dal luglio 1915 quando la fanteria italiana si
impadronì di alcune trincee austriache. Le successive offensive con vari capovolgimenti di fronte e,
purtroppo tantissimi morti, si susseguirono freneticamente fino al vano attacco italiano del 16
dicembre. Da parte italiana si rinunciò ad altri assalti per non esporre le truppe ad un inutile
massacro. Così si pensò di agire con una mina da far esplodere in fondo ad una galleria che doveva
arrivare fin sotto le trincee austriache. Lo scavo iniziò a fine dicembre 2016 e raggiunse i 90
metri.
Alle 23,35 del 17 aprile 1916,
l'esplosione di 3.500 kg di carica
squarciò la cima del Col di Lana. Fu
uno degli episodi salienti che costò
più vittime di tutto il fronte
dolomitico. Si parla di più di 6.000
italiani e almeno 2.000 austriaci
morti, a cui vanno aggiunti i
moltissimi dispersi e le migliaia di
feriti, spesso mutilati in modo
crudele. Se si pensa che tutto questo
avvenne per la conquista di poche
centinaia di metri di creste rocciose
si comprende in pieno la tragica
assurdità di questa guerra. In effetti,
la funzione strategica del Col di Lana
fu sopravvalutato in alternativa al
suo aggiramento dalle vaste praterie circostanti e l'accanimento per la sua conquista richiese un
impegno di uomini e mezzi sconosciuti in altri settori del fronte dolomitico.
Così Arturo De Sanctis descrive in una lettera al fratello Italo, allora sindaco di Spoltore,
pubblicata dal Corriere Abruzzese del 7 maggio 1916:
«... Sorgeva la luna nuova quando il telefono portatile squilla: metto il microfono all'orecchio. E' il
Comando che ordina: - Fanteria avanza nascostamente. A mezzanotte il cocuzzolo di Col di Lana,
minato dai nostri, salterà. Dopo rapido bombardamento le fanterie correranno all'assalto per la
conquista della cima e del retrostante monte Sief. All'erta! Impedire aggiramento nemico: fare le
segnalazioni del caso all'artiglieria!
Dò le ultime disposizioni: il momento è critico: sono solo nella posizione più avanzata con
cinquanta uomini. Coraggio!... Mancano pochi minuti a mezzanotte: coll'orologio in una mano, la
pistola Verry per le segnalazioni luminose nell'altra; gli occhi fissi sul cocuzzolo, tranquillo, di Col
di Lana.
Ecco: il terremoto! un vulcano sulla cima fatale: una vampata che sale alle stelle: una nuvola nera di
terra e di fumo: scoppi di depositi dei munizioni; gallerie e trincee in aria; urla formidabili dei feriti
terrorizzati... Una scena dantescamente infernale!... Ma viene peggio: come gragnuola, una tempesta
fitta, lacerante, insistente di proiettili di ogni calibro si abbatte sul monte: è inutile ogni scampo: chi
può fuggire corre verso di noi implorando: ma un'intiera ecatombe è sacrificata sul picco elevato al
mostro della guerra! Dio mio che visione! Che tragico spettacolo! Non posso chiudere gli occhi
perché rivedo sempre tanto orrore. Fu tale la sorpresa e lo spavento nemico che non fecero, non
tentarono nulla: rimasero tutti impietriti: quella non era guerra, era finimondo!
Sul sepolcreto della vetta non fu piantato il tricolore, poiché la moderna guerra è priva dell’antica
poesia che concedeva così potente fascino al brano di stoffa sventolante ai venti ma ora sulla cima
incontestabilmente conquistata vigilano le estreme avanzate vedette italiche.
Il giorno dopo i nemici si riscossero, ma furono facilmente ricacciati: ora si effettuerà tutta una serie
di operazioni per la sistemazione del nuova fronte. Avremo successi brillanti.... »
Buchenstein Maggio 1916.
A distanza di dieci giorni Arturo scrive ancora:
«Il capitano volle affidarmi un incarico di fiducia: mi mandò a rinforzare un posto avanzato, che
doveva essere un forte punto d'appoggio per l'obbiettivo propostosi dall' ... (81°)* fanteria e mi
ordinò di assumere il comando del posto stesso benché vi fosse sul luogo un ufficiale più anziano...
Quando al mattino venne l'ordine di ritirata per le truppe operanti, io con i miei uomini rimasi al
posto avanzato per proteggere la ritirata d'un battaglione del suddetto reggimento. Seguì una notte
tempestosa! L'azione era costata qualche perdita. Venuto il cambio, invece di tornare subito
indietro, credetti mio dovere andare in traccia dei feriti: sventuratamente non trovai... che cadaveri,
che raccolsi.
La sera il capitano, informato per telefono dei fatti, mi fece trovare la seguente proposta di
ricompensa al valore, così redatta: «... Medaglia d'argento - Sottotenente De Sanctis Arturo - Dando
prova di alto sentimento di cameratismo e di coraggio, approfittando di un momento di nebbia, di
pieno giorno, usciva dalla linea dei nostri e si spingeva con altri tre militari fino a pochi passi dei
reticolati nemici, che
conosceva fortemente
protetti
da
due
mitragliatrici per far
raccogliere e trasportare
ai nostri avamposti i
cadaveri di due militari
caduti la sera innanzi
nonché fucili ed altro
materiale.»
IL FRONTE
Il paesaggio
Quando alla fine di maggio del 1915 gli italiani arrivarono in prossimità delle linee di confine,
gli austriaci li lasciarono entrare nelle vallate portando la loro linea difensiva sui picchi
dolomitici del Col di Lana, Sief, Settsas, Sasso di Stria, Averau.
Luigi Barzini, famoso giornalista, percorreva i fronti della guerra per il Corriere della Sera e
così descriveva quei luoghi:
"A mano a mano che, isolatamente, salivamo le ultime rampe del passo dell'Averau,
scoprivamo alla nostra sinistra l'angusta e vicina valle di Andraz, al di la della quale il famoso
Col di Lana pareva salire con noi, oltre il costone dell'Averau, mostrandoci prima la sua cima
nuda, poi le sue falde boscose, poi i suoi declivi più bassi immersi nell'ombra.
Sul Col di Lana il combattimento è continuo e se ne può capire la ragione. Esso fronteggia la
valle e la domina. Appena il viaggiatore arriva a quel delizioso laghetto che il Cordevole forma
vicino al villaggio di Alleghe, nello sfondo, simmetricamente fra le due verdi pareti laterali
della valle, si vede profilarsi il cono quasi regolare di un monte che ha l'aria di chiudere il
passo. È il Col di Lana che sorge alla confluenza del Cordevole e dell'Andraz dove, quasi
rasentando la frontiera, passa la famosa strada delle Dolomiti, un'opera gigantesca costata
all'Austria delle somme colossali. Il Col di Lana, dominando tutta la valle superiore del
Cordevole, è anche un posto di osservazione eccellente che piomba il suo sguardo nelle nostre
retrovie".
Gli accampamenti
Gli italiani piazzarono i loro accampamenti di retrovia lungo la stretta vallata del fiume,
Cordevole dove passava anche la Strada delle Dolomiti. Le postazioni di prima linea erano
invece situate nei pressi di Andraz, nel bosco del Castello di Buchenstein, proprio sotto le vette
dolomitiche dove gli austriaci avevano sistemato le loro postazioni.
Si dovevano costruire baraccamenti di
legno, aprire camminamenti, stendere
chilometri di cavo telefonico, collocare
matasse di filo spinato sui cavalli di frisia,
rinforzare con pietre e sacchetti di sabbia le
trincee.
Le postazioni erano spesso arrampicate
sulla roccia, costruite a volta su pareti
strapiombanti
e
raggiungibili
solo
attraverso esili scalette di legno o di ferro
esposte nel vuoto. Spesso le postazioni
crescevano fino a diventare piccoli villaggi.
Quello costruito dagli Alpini su una cengia, a metà della parete sud del Piccolo Lagazuoi, era
completo con cucine e lavatoi e servito da una teleferica. Sopra, sulla sommità, c’erano le
postazioni austriache che invano cercarono di scacciare gli italiani.
I soldati necessitavano ogni giorno di viveri, di materiali per la costruzione di baracche e di
ricoveri, di combustibile per scaldarsi e illuminare, di munizioni. Capitò in molti casi,
d’inverno, che qualche avamposto in quota fosse irraggiungibile per settimane.
Vita in trincea
Vivere sotto la terra era l'unica possibilità di sopravvivenza per i soldati al fronte. Con la loro
paletta, scavavano un fossato nel suolo per proteggersi dal fuoco del nemico. Sulla linea del
fronte, le trincee erano costruite a zig-zag, con i vari camminamenti che erano trincee
comunicanti. Il soldato ci viveva per un lungo periodo, in condizioni disumane.
Erano strette, esposte al vento , al
gelo e alla pioggia che s'infiltrava
dappertutto. Le gallerie erano fredde
ma più riparate. Durante la stagione
delle piogge, i soldati affondavano nel
fango che penetrava nei loro vestiti
irrigiditi dallo sporcizia e poi, la fame,
il gelo, le valanghe, l’umidità, la
dissenteria. Non potevano lavarsi,
radersi, vivevano con i pidocchi e
coabitavano con i ratti., attratti
dall'alimentazione, dai rifiuti e spesso
dai cadaveri. Sovente regnava un
odore terribile. Le scarse notizie sulle
operazioni non possono dare un’idea degli attacchi all’arma bianca, delle notti di vedetta
solitaria a quasi 3000 m d’inverno a 30 gradi sotto zero nella tormenta, dell’angoscia fra la
pioggia delle granate durante un bombardamento, della insostenibile attesa prima dello
scoppio delle mine sotto la propria caverna.
I soldati erano a pezzi. Ad ogni offensiva, si partiva all'assalto con la speranza che fosse
l'ultimo. Si accorgevano di essere condotti verso dei cruenti massacri, con rare possibilità di
ritorno. Gli ufficiali spesso, erano coscienti a mandare ad un inutile massacro le loro truppe e
per chi si rifiutava di obbedire al comando veniva fucilato.
Per gli Stati Maggiori, era un segno di diserzione. In realtà, i soldati si rifiutavano di essere
considerati come carne da macello per i loro ufficiali. Per questo ci furono anche molti casi di
suicidio fra gli ufficiali.
Nelle retrovie
Il rancio era un assillo per i soldati e ne scrivevano in continuazione sui loro diari e nelle
lettere a casa. Si lamentavano perchè era scarso e di pessima qualità e perchè arrivava
avariato. Generalmente erano zuppe di verdure o di riso accompagnati da fagioli, pastasciutta,
patate, raramente carne. La zuppa era un piatto unico e sempre la stessa. La preparazione
avveniva nelle cucine da campo situate alle spalle delle linee arretrate.
Non sempre calda, la zuppa era portata dagli uomini di corvée,
che percorrevano le trincee incurvati sotto il peso delle
marmitte. Quando l'approvvigionamento caldo non era
possibile, il soldato aveva dei viveri di riserva che portava
sempre con sé: sardine in scatola, biscotti quadrati duri come la
pietra, sacchetti di zucchero, pacchetti di potage condensati e
tavolette di caffé. Per accompagnare la zuppa, il soldato aveva
del pane e del vino con il quale riempiva la sua boraccia.
Fortunatamente, ogni tanto, arrivavano i pacchi dal paese,
spesso con salsiccia, prosciutto, formaggio, marmellata che
subito si suddividevano fra tutti i compagni.
L’unico momento in cui nelle trincee si poteva mangiare in
modo decente, era in occasione di festività e, purtroppo, prima
di un’offensiva, quando era necessario produrre uno sforzo
superiore e si rischiava davvero la vita. Vino, grappa e
“cordiale”, erano in abbondanza. L’alcool serviva a stordire e
spingere i soldati all’assalto con l’incoscienza che da lucidi non avrebbero avuto.
Non solo guerra
Nell'attesa del combattimento, i soldati si distraevano col bricolage, incidevano i metalli,
scolpivano il legno, disegnavano.
Il momento migliore era la distribuzione della posta. La lettera era l'unico legame con la vita
normale. Il soldato reclamava alla sua famiglia
quello che gli mancava, per non morire di
freddo e di fame. L’arrivo di pacchi-dono, le
serate di allegria trascorse in trincea con la
fisarmonica, il violino o la tromba per suonare e
cantare in compagnia allontanavano i pensieri
più tristi.
Dal 1916, con la costruzione delle teleferiche, i
ricoveri in baracca ed in caverna divennero
migliori, i rifornimenti regolari e più
abbondanti; gli attacchi meno frequenti e sulle
Dolomiti si stava meglio che non nell’inferno
del Carso o su altri fronti.
C’era la Messa al campo e il Cappellano militare
trasmetteva il suo messaggio religioso. Si stringevano nuove amicizie e i feriti e i prigionieri
furono trattati con umanità, anche se nemici.
Durante i lunghi periodi di relativa calma avvennero, e nemmeno tanto raramente, episodi di
pace separata ad insaputa degli alti ufficiali, fra le trincee spesso vicinissime. I nemici, che
talvolta si conoscevano da prima della guerra, padri di famiglia, consci di essere entrambi
vittime di una tragedia più grande di loro, non si odiavano e si mettevano d’accordo di non
sparasi a vicenda; facevano conversazione, si scambiavano pane contro tabacco, caffè contro
grappa e facevano persino legna in comune per potersi scaldare d’inverno oppure giocavano a
carte passando da una baracca all’altra come buoni vicini di casa.
Da un Fronte all'Altro
L'81° Reggimento della Brigata Torino, di cui faceva parte Arturo De Sanctis era compresa
nella IV Armata (Armata del Cadore) assieme ad altre truppe presenti nella zona del Castello
di Buchenstein, con le quali alternavano periodi di permanenza in prima linea a brevi periodi
di riposo nelle retrovie accampate tra Selva
di Cadore e Caprile, in territorio italiano.
Erano quindi frequenti i trasferimenti, gli
spostamenti tra i vari fronti e i rifornimenti
tra le retrovie e le prime linee.
All'inizio della guerra i rifornimenti erano
affidati agli animali e soldati anziani e
persino
alle
donne.
Gli
austriaci
impiegarono
prigionieri di guerra ma
d'inverno diventò quasi impossibile portare
armi uomini e mezzi in quota a causa del
maltempo e della neve. Per questo si
cominciò a costruire impianti a fune come le teleferiche. Nel periodo di guerra solo gli
austriaci ne realizzarono per 700 km.
In quota c’erano anche i cannoni da piazzare. Furono portati a mano a prezzo di fatiche
indicibili e, talvolta, di perdita di vite umane.
Le armi
La Grande Guerra rappresentò l primo conflitto moderno dell’era contemporanea. Per la
prima volta furono usate le tute mimetiche, gli elmetti d’acciaio, sempre più necessari per
ripararsi dal fuoco nemico. Fecero la loro comparsa mitragliatrici, cannoni a lungo calibro, gas
asfissianti, lanciafiamme.
Il progresso tecnico si vide chiaramente nelle
mitragliatrici che avevano una capacità di fuoco di 400600 proiettili al minuto, contro i 2 colpi al minuto
sparati dai vecchi fucili. E con le mitragliatrici e i
cannoni apparvero, già nei primi mesi di conflitto, aerei
e dirigibili, lanciafiamme e, purtroppo gas asfissianti e
bombe chimiche.
Il terribile Ypres fu sperimentato per la prima volta dai
tedeschi sul fronte del Carso. La nube tossica non era
abbastanza letale da uccidere subito. Provocava ustioni
ed emorragie respiratorie e i soldati agonizzanti
venivano finiti dal nemico a colpi di mazza ferrata. Disumano!
L’impossibilità reciproca, per gli opposti schieramenti, di fronteggiare tali devastanti nuovi
armamenti stabilizzò i fronti, dopo le prime offensive, introducendo la logorante guerra di
posizione.
I bombardamenti
Dopo i pochi scontri delle prime settimane
di guerra, la valle del Cordevole si trovò ad
essere divisa dalla linea del fronte,
imperniata sul Col di Lana. Alcuni villaggi
erano stati rasi al suolo o incendiati dagli
austriaci perchè gli italiani non potessero
usare gli edifici, specialmente i campanili.
Il fattore tempo giocava a favore degli
austriaci che ebbero il tempo di organizzare
le difese. Gli italiani iniziarono ad attaccare
il 7 di luglio ma i primi assalti alle
postazioni del Col di Lana rivelarono quanto
fossero avvantaggiati gli austriaci dalla conformazione del terreno e quale prezzo di perdite
umane si dovesse pagare per avanzare solo di qualche metro.
Così i ripetuti attacchi e le conseguenti perdite, contro gli sbarramenti inespugnabili, avevano
già provocato un fiume di sangue.. Per questo, il monte prese il nome di "Col del Sangue".
I caduti
Aldilà della trincee, il paesaggio era
sconvolto dalle granate. I corpi che
non erano stati soccorsi, erano stesi al
suolo, spesso assai lontani dai posti di
medicazione, talvolta abbandonati al
loro destino per impossibilità di
raggiungerli o perché non visti.
Non
pochi
soffrirono
pene
inimmaginabili anche per giorni interi
prima di morire, come risulta da
racconti raccapriccianti.
Gli orrori delle mutilazioni subite dai
propri soldati, dalla carneficina inutile
per l’assalto fallito, il senso di colpa
dopo decimazioni di ammutinati,
seppur eseguite per ordini superiori,
provocarono specie fra gli ufficiali italiani, più sensibili, parecchi suicidi.
Molto numerosi furono i casi di pazzia fra i soldati più labili, dopo un corpo a corpo o un
massacrante martellamento d’artiglieria, o per il lungo isolamento. Lo testimoniano pagine
drammatiche di ex combattenti. La maggior parte non perì in combattimento, ma per le ferite
riportate, per congelamenti, per valanghe, per malattie contratte nelle trincee e caverne, per
gli stenti. L'inverno tra il 1916 e il 1917, fu tra i più freddi e nevosi del secolo e la neve
raggiunse nelle alte quote anche gli 8-10 metri.
Circa 60mila uomini, tra italiani ed austriaci furono uccisi da valanghe e frane e 40mila
morirono per assideramento, spossatezza e malattie dovute al freddo.
Molte salme furono recuperate solo in primavera, col disgelo.
(AM)
I morti per combattimento furono 50mila.
Soldati
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
Giuseppe Ungaretti
Veglia
Fratelli
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
Che mi
corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
Giuseppe Ungaretti
Un'intera nottata
buttato vicino
ad un compagno
massacrato
con la bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore.
non sono mai stato
tanto attaccato alla vita
Giuseppe Ungaretti
INCONTRARSI DOPO 100 ANNI
Il 25 dicembre del 1916 gli ufficiali dell'81° della Bridata Torino si
riunirono per un saluto di Natale. Il Cappellano celebrò la messa e, al
termine, il Sottotenente Arturo De Sanctis, al quale non mancava mai in
queste occasioni un foglio di carta da disegno per aggiungere un
avvenimento da ricordare per il suo Album, chiese a tutti firmare.
Firmò anche Giuseppe Vantini (foto a destra), un Sottotenente che in
quell'anno aveva compiuto i 20 anni, più giovane di Arturo che ne aveva
27. I due avevano avuto sicuramente occasioni di frequentarsi in quanto
ambedue avevano un ruolo nel Comando della Brigata.
Dopo quel Natale, Arturo racconta con le immagini nel suo Album i
durissimi mesi dell' inverno seguente: cadaveri di uomini ed animali
seppelliti da valanghe e tunnel scavati nella neve ma non manca qualche
immagine sorridente sui campi di neve. Giuseppe, più descrittivo nei suoi
ricordi, racconta di gelo, ghiaccio, tormente, della pagnotta durissima, di
scatolette di carne gelate degli indumenti.
Per gli uomini della Brigata Torino tutto trascorse nella relativa calma fino ad agosto del '17 quando i
comandi centrali diedero disposizioni di abbandonare l'Alto Cordevole per il Fronte del Carso. Dopo un
periodo di addestramento, il 17 ottobre, la Brigata prende posizione lungo la linea Vipacco-Volkovnjak.
Questi percorsi e questa località finale sono ricordati sia da Arturo che da Giuseppe nelle loro
testimonianze, quindi ambedue vissero i momenti tragici di Caporetto di una settimana dopo, il 24
ottobre.Tre giorni dopo la guerra di Arturo si concluse. Svolgeva il compito di ufficiale osservatore nei
pressi del Vallone del Grillo a Volkovnjak, il punto più avanzato dello schieramento italiano, quando,
colpito da proiettili shrapnel riportò la frattura del braccio sinistro e fu portato all'ospedale militare di
Mestre. La guerra di Giuseppe invece continua ancora per 1 anno. Nei suoi documenti, conservati fino ad
oggi dai familiari, ci sono dettagliati rapporti, diari e resoconti che descrivono gli avvenimenti. Vivrà
l'umiliante ritirata fino alla linea del Piave e poi il crescendo del riscatto italiano, dalla battaglia del solstizio
del giugno-luglio 1918 fino alla conclusione che lo vedrà, negli ultimi 2
mesi sulle Alpi Giudicarie dove rimane fino al 6 novembre 1918.
Arturo De Sanctis e Giuseppe Vantini, per una miracolosa coincidenza di
ricordi, si sono dati appuntamento qui, ormai a 100 anni da quel Natale del
'16 perche hanno ancora la loro storia da raccontare e la raccontano ancora
oggi con 2 fotografie ritrovate nei loro Album dei ricordi. Perfettamente
identiche: sovrapponibili. Sullo sfondo la muraglia dolomitica del Settsas
che il loro 81° non riuscì mai a superare. Un ricordo in comune. Una stampa
uguale che proviene dallo stesso negativo di una macchina fotografica che
non sappiamo di chi. Forse di una terza persona, di un fotografo militare ma,
in ogni caso, legata a questa immagine, come alla firma del Natale del '16 e
ancora, un'altra immagine nell'Album di Arturo con i 2 in una foto ricordo
di gruppo. Segno di una conoscenza e una frequentazione non certo
occasionali.
Le storie di Arturo e
Giuseppe, messe
assieme, come gli
elementi di un puzzle, si incastrano e completano la
storia di 3 anni di guerra "raccontati da chi la vissuta e
subita", come quella di tanti altri della loro
generazione. Una storia che ci siamo lasciati alle spalle
troppo presto e che Arturo e Giuseppe, icontratisi di
nuovo dopo 100 anni, vogliono ancora raccontare.
(AM)
ARMANDO POMI, IL DISEGNATORE DELL'ALBUM
Armando Pomi, il principale esecutore dei disegni e delle decorazioni
dell'Album di Arturo De Sanctis, nasce nel 1895 a Filottrano, vicino Jesi,
in provincia di Ancona.
A 14 anni, rimasto orfano della madre, dopo un breve soggiorno a
Roma, si trasferisce a Milano dove frequenta la Scuola Superiore di'Arte
applicata all'Industria. All'entrata in guerra dell'Italia, a maggio 1915,
viene arruolato all'81° Reggimento della Brigata Torino con destinazione
nell'Alto Cordevole, fronte dolomitico. Col grado di Sergente ha il
compito di disegnare la cartografia militare dei territori del fronte. Al
fronte conosce Arturo De Sanctis col quale intreccia un rapporto
amichevole e inizia a produrre per il suo Album i primi disegni. Questa
amicizia, probabilmente, nasce per la passione alla pittura di Arturo De
Sanctis originata dal fatto che, il fratello Italo, era un noto pittore
abruzzese, allievo di Francesco Paolo Michetti.
Agli inizi degli anni '20 la sua attività artistica si indirizza alla grafica ubblicitaria e all'illustrazione, un
settore che offriva molte possibilità di lavoro con la rinascita dell'industria italiana dopo la crisi postbellica.
A Milano, sede delle più importanti industrie nazionali e delle rappresentanze di quelle europee, lavora per
la pubblicità della Sitmar (Società Italiana per i Servizi Marittimi), la Thermogene (prodotti chimici e
farmaceutici) ed in particolare per la Bayer (Aspirina), Magnesia San Pellegrino, Persil , Liebig, Carlo Erba,
e tante altre aziende importanti. Come illustratore lavora anche per alcune riviste come la famosa “Grandi
firme” di Mondadori diretta da Pittigrilli.
A Milano, Armando Pomi, incontra di nuovo il suo compagno d'arme Arturo De Sanctis con il quale stringe
un profondo e lungo rapporto di amicizia. La loro frequentazione consentirà a Pomi di completare le
decorazioni dell'Album dell'amico Arturo il quale gli commissionerà un grande quadro ad olio per un
ritratto della moglie Gina. Pomi lo completerà nel 1936 e, oggi è conservato nella casa di Spoltore.
Armando Pomi morirà prematuramente a 55 anni a gennaio 1950.
(AM)
RESTAURO DIGITALE DELL'ALBUM
L'Album è realizzato con copertina in pelle e fogli di cartoncino sui quali sono state incollate le
foto. La rilegatura dell'album è molto robusta e, sebbene ben conservato nei suoi quasi 100 anni di
vita, ha subito un logorio da invecchiamento. Polvere, umidità, escursioni termiche, hanno agito in
particolare sulle foto che sono state attaccate dal retro dalla colla e dagli acidi della carta.
Il restauro dell'album originale è risultato praticamente impossibile per foto e disegni (questi ultimi
però ben conservati) ma si è potuta fare solo qualche reincollagio dei fogli.
Si è deciso quindi un piano di riproduzione digitale dell'Album. Si è preferita la scansione rispetto
alla riproduzione fotografica perchè era la modalità che consentiva una maggiore definizione dei
particolari, soprattutto delle foto. Per questo tipo di operazione, la maneggevolezza dell'album sul
piano dello scanner è stata molto difficoltosa a causa della pesantezza e per evitare danneggiamenti.
Per ogni pagina sono stati eseguiti 3 tipi di scansione.
La prima, sulla base dei cartoncini di vario colore su cui sono attaccate le foto. è stata campionata
un'area libera di ogni tipo di pagina (colori e tramature) riproducendo poi la pagina a grandezza
originale. Sono state quindi eseguite le scansioni sul disegno decorativo (2 scansioni per pagina)
ricomponendo in postproduzione i 2 pezzi. Il file della pagina grafica ottenuta è stata poi restaurata
e ricollocata sulla base di ogni tipo di cartoncino.
Il terzo tipo di scansione, quello più importante, è stato dedicato alle fotografie. Si è operato con
scansione singola di ogni foto in modo da poter controllare prima dell'acquisizione, la curva tipica
della gamma tonale residua (fase 1 sotto). Quindi, già in fase di scansione si è potuta modificare la
curva recuperando i toni neri e grigi intermedi mancanti (fase 2 sotto).
La maggior delle foto aveva subito un viraggio chimico-fisico sul colore seppia (come è naturale
dopo quasi 100 anni) per cui, nella maggior parte dei casi si riscontrava una notevole mancanza di
neri con uno spostamento della gamma tonale verso i toni chiari (immagini poco decifrabili).
Il file-foto cosi ottenuto è stato
poi trattato in post-produzione
solo per la riconversione in
bianco e nero e per la definitiva
messa a punto della gamma
tonale, in particolare delle
tonalità di grigio. Macchie,
graffi e altri difetti di questo tipo
non sono stati modificati allo
scopo di lasciare il "segno del
tempo" su ogni foto. Si è
completata quindi la procedura
ricollocando i 535 file-foto sulle
210 file-pagina rispettando
esattamente la disposizione e le
sequenze che De Sanctis aveva
dato nell'Album.
A fianco si possono confrontare
immagini e grafici della
condizione di partenza e del
(AM)
risultato.
RINGRAZIAMENTI
La mostra Album dal Fronte ha ottenuto la concessione del Logo ufficiale della Presidenza del
Consiglio per le celebrazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale.
È stata organizzata dall’Associazione La Centenaria di Spoltore. Un ringraziamento va ad Arturo
Lenarduzzi, propietario dell'Album, per la disponibilità dimostrata mettendo a disposizione
l'Album, alla Fondazione Pescarabruzzo che con il suo contributo ha reso possibile la
realizzazione della mostra, al Museo della III Armata e all'Associazione Balbino Del Nunzio per
avere ospitato e organizzato la mostra a Padova e ai patrocinanti: Università di Padova, Regione
Abruzzo, Provincia di Pescara, Comune di Spoltore, MiBact - Polo Museale dell’Abruzzo,
Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi, Museo Grande Guerra “Tre Sassi” di Valparola
(Cortina d’Ampezzo).
Si ringraziano inoltre tutti coloro che in qualsiasi forma hanno contribuito alla realizzazione della
mostra: Nicola Mattoscio, Mafalda Misticoni e collaboratori, Franz Pozzi Brunner, Paolo
Muzi, Enzo Pace, Lisa Bregantin, Italo Vantini, Filippo Crispo, Francesco Mutignani,
Giustino Pace.
Andrea Morelli
[email protected]
329 8731714
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