ESOFAGITE DA FARMACI

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N. 74
15 novembre 1999
ESOFAGITE DA FARMACI
L’esofagite è un effetto iatrogeno riconosciuto come tale a partire dagli anni ‘70, quando il miglioramento delle
tecniche endoscopiche ha consentito di rilevare lesioni prima non evidenziabili. La prevalenza dell’esofagite indotta da
farmaci non è nota: spesso, infatti, non viene riferita al medico o il medico stesso non la comunica all’autorità sanitaria;
con ogni probabilità si tratta di un evento avverso sottostimato. I dati disponibili pervengono dalle segnalazioni dei casi
raccolti nel corso degli ultimi 30 anni e pubblicati sulla letteratura medica internazionale.
I sintomi più comuni dell’esofagite sono dolore retrosternale, disfagia e odinofagia (difficoltà e dolore nella
deglutizione) che il paziente può riportare come sensazione di corpo estraneo “incollato” alla gola; le complicanze
(stenosi e sanguinamento) sono rare. I sintomi, che tendono a comparire in modo acuto dopo l’ingestione della
compressa o della capsula, nella maggior parte dei casi si risolvono entro 7-10 giorni dalla sospensione del farmaco. Il
trattamento è sintomatico (sucralfato, antiacidi, H2-antagonisti). La sede in cui il danno si manifesta con maggiore
frequenza è la zona mediana dell’esofago, dove l’arco aortico esercita una compressione esterna e dove vi è una
diminuzione fisiologica dell’ampiezza delle onde peristaltiche che rallenta il transito esofageo.
Il danno sembra derivare dal contatto prolungato di elevate concentrazioni del farmaco incriminato con la mucosa e
dipende dall’integrità strutturale e funzionale dell’esofago. Il meccanismo che ne è alla base non è chiaramente
accertato, ma è indubbio che le proprietà chimico-fisiche del farmaco giocano un ruolo determinante. I farmaci più
spesso implicati nell’induzione del danno esofageo (doxiciclina e ferro solfato), dissolvendosi, formano soluzioni
fortemente acide (pH < 3) e corrosive (da qui l’efficacia degli antiacidi), mentre per altri (es. potassio cloruro) viene
chiamata in causa l’iperosmolarità della soluzione cui danno luogo. L’entità del danno sembra essere direttamente
proporzionale al tempo che il farmaco impiega a transitare attraverso l’esofago. Influiscono sulla velocità di transito: la
posizione al momento dell’assunzione (supina piuttosto che eretta), il quantitativo di liquidi con cui il farmaco viene
ingerito (meno liquidi si introducono più aumentano i rischi, in questo senso le formulazioni effervescenti che si
assumono già liquide potrebbero rappresentare un vantaggio) e il momento dell’assunzione [la sera prima di andare a
letto anziché di giorno; durante il sonno si verifica infatti una riduzione fisiologica sia della peristalsi che della
salivazione (la saliva, ricca di bicarbonati è in grado di diluire e neutralizzare l’eventuale soluzione acida formatasi)].
La forma farmaceutica e il tipo di preparazione hanno una importanza secondaria: le capsule di gelatina, in virtù della
maggiore igroscopicità presentano una adesività superiore alle compresse in caso di ridotta assunzione di liquidi; le
formulazioni “retard” risultano più ulcerogene di quelle tradizionali in caso di rallentato transito esofageo in quanto
contengono maggiori quantitativi di farmaco; le dimensioni delle compresse o delle capsule non sembrano invece
importanti.
I farmaci più frequentemente associati all’insorgenza di esofagiti sono, in ordine decrescente, le tetracicline
[doxiciclina (es. Bassado), tetraciclina (es. Ambramicina) e minociclina (Minocin)], responsabili di più della metà dei
casi sinora riportati; l’emepronio bromuro (Detrulisin, non più in commercio in Italia), il cloruro di potassio (es. Kclretard), la chinidina (es. Longachin,, Naticardina, Ritmocor), l’aspirina e altri FANS, il ferro solfato (es. Ferro-grad).
Singole segnalazioni riguardano la clindamicina (Dalacin-C), la lincomicina (Lincocin), la teofillina (es. Diffumal,
Theo-dur) e l’acido ascorbico (es. Cebion, Redoxon).
Caso alendronato. I dati di sorveglianza post-marketing confermano la particolare propensione dell’alendronato
(Adronat, Alendros, Dronal, Fosamax) a provocare danni esofagei con ulcere ed erosioni. La frequenza e la gravità di
tali eventi hanno imposto l’estensione delle controindicazioni all’uso del farmaco ai pazienti con patologie dell’esofago
che ritardano lo svuotamento (es. stenosi e acalasia) e a quelli allettati, incapaci di stare a busto eretto per almeno 30
minuti.
I pazienti più a rischio di esofagite sono gli anziani [con l’età avanzata spesso si associano aterosclerosi dell’aorta o
aumento del volume del cuore (cardiomegalia) che vanno a comprimere l’esofago e una ridotta produzione di saliva
con conseguente minore lubrificazione esofagea], i diabetici (per la diminuita motilità esofagea e le neuropatie) e gli
alcolisti (a causa delle disfunzioni motorie esofagee e delle neuropatie)
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I consigli che vanno dati ai pazienti sono semplici: assumere i farmaci incriminati possibilmente di giorno,
compatibilmente con la terapia, o comunque un’ora prima di andare a letto stando eretti per almeno 30 minuti, con
molta acqua (un bicchiere pieno), evitando gli alcolici (l’alcool, oltre a irritare la mucosa esofagea, riduce la peristalsi e
la pressione dello sfintere esofageo inferiore).
Nella definizione di esofagite da farmaci può rientrare in senso lato anche l’esofagite da reflusso laddove la diminuita
continenza dello sfintere esofageo inferiore sia ascrivibile a farmaci. In questi casi l’irritazione esofagea è provocata dal
reflusso, dallo stomaco nell’esofago, di acido cloridrico, bile e altri fluidi irritanti. Farmaci che riducono il tono dello
sfintere esofageo sono, ad esempio, gli anticolinergici [atropina, flavossato (Genurin), ossibutinina (Ditropan)], le
benzodiazepine e i calcio-antagonisti.
Bibliografia. Bott S et al. Medication-induced esophageal injury. Am J Gastroenterol 1987; 82:758 - Eng J. Drug-induced
esophagitis. Am J Gastroenterol 1991; 86: 1127 - Minocha A et al. Pill-esophagitis caused by nonsteroidal antiinflammatory drugs.
Am J Gastroenterol 1991; 86:1086 - Castell DO. Pill-esophagitis: the case of alendronate. N Engl J Med 1996;335:1058.
Fuori uno (astemizolo), dentro l’altro (terfenadina)!
Nel mese di giugno la Janssen ha deciso di ritirare spontaneamente dal mercato l’astemizolo (Hismanal). Dal momento
della sua commercializzazione, avvenuta nel 1988, è risultata sempre più evidente la potenziale cardiotossicità di questo
antistaminico, sia quando assunto da solo, sia, soprattutto, quando associato ad altri farmaci; l’elenco di questi farmaci
si è via via allungato nel tempo, tanto da richiedere svariati aggiornamenti del foglietto illustrativo.
Per un antistaminico che viene tolto dal commercio un altro fa la sua ricomparsa dopo un provvedimento di ritiro
temporaneo e non definitivo come sarebbe stato auspicabile: si tratta della terfenadina (ex Teldane, ora Allerzil). Le
interazioni pericolose e gli effetti indesiderati a carico del cuore della terfenadina sono simili a quelli dell’astemizolo ed
è utile ricordarli, affinché possano essere ben presenti al momento della dispensazione. A livello cardiaco i due farmaci
sono responsabili della comparsa di aritmie ventricolari. Fra queste una, potenzialmente fatale, chiamata “torsione di
punta”, è dovuta ad un blocco dei canali del potassio che interferisce con la ripolarizzazione del cuore (allungamento
dell’intervallo QT). Di norma associate ad un sovradosaggio dei due antistaminici, queste aritmie possono però
comparire anche a dosaggi terapeutici in soggetti predisposti, come ad esempio nei pazienti con preesistenti disturbi
del ritmo cardiaco o con insufficienza epatica. Elevati livelli plasmatici si raggiungono anche in caso di
somministrazione contemporanea di farmaci che inibiscono il metabolismo epatico, come gli antimicotici azolici (es.
ketoconazolo, itraconazolo, miconazolo), i macrolidi (es. ertromicina, claritromicina, josamicina, troleandomicina), gli
inibitori del reuptake della serotonina (es. fluvoxamina e sertralina) e gli inibitori delle proteasi (es. indinavir, ritonavir
e saquinavir). Va anche evitata l’associazione con farmaci potenzialmente aritmogeni quali gli antidepressivi triciclici,
gli antipsicotici, la cisapride, gli antiaritmici (amiodarone, sotalolo, disopiramide) e con diuretici che inducono
ipokaliemia. La terfenadina non va inoltre assunta con succo di pompelmo che contiene naringina, una sostanza che ne
riduce la metabolizzazione epatica.
Alla luce di questi dati, ben si comprendono le ragioni del ritiro dell’astemizolo mentre stupisce la riammissione in
commercio della terfenadina, soprattutto in considerazione del fatto che si tratta di un farmaco destinato al trattamento
di patologie minori (es. riniti allergiche) per le quali esistono alternative altrettanto efficaci e più sicure. Numerose
segnalazioni stanno inoltre a testimoniare come, nonostante queste interazioni siano note da tempo e siano riportate nel
foglietto illustrativo, la comparsa di aritmie rimanga comunque frequente. Il farmacista non dovrà perciò tralasciare
nessuna occasione per ricordare a medici e pazienti queste eventualità.
Bibliografia Astemizole and terfenadine. Martindale. The Extra Pharmacopoeia 1999; pag. 402; 418 - The long overdue
withdrawal of the dangerous antihistamine astemizole from the market. Worst Pill, Best Pill 1999; 5: 57 - Ritiro dal commercio della
terfenadina. ISF 1997; 21: 70.
A cura della dott.ssa Zanfi D., Farmacie Comunali Riunite, Reggio Emilia.
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