Iniziamo la nostra meditazione sui Segni di speranza nella Chiesa con il Vangelo
secondo Matteo (14,22-33).
Dal Vangelo secondo Matteo (14,22-33),
Subito dopo (la moltiplicazione dei pani) Gesù ordinò ai discepoli di salire sulla
barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.
Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava
ancora solo lassù.
La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa
del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul
mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un
fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio,
sono io, non abbiate paura».
Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli
disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e
andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad
affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli
disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si
prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
Parola del Signore.
Eccellenza Reverendissima, Carissimi confratelli,
Quando mi è stato proposto di animare il ritiro del clero, ho avuto paura e
ho esitato ad accettare. Dopo averci pensato e pregato, ho accettato l’invito, ma ho
chiesto di pregare per me, perché sono consapevole dei miei limiti, ma anche della
grazia di Dio che accompagna il ministero di ogni sacerdote. Il tema che mi è stato
proposto per la meditazione odierna riguarda “I segni di speranza nella Chiesa”.
Essendo tantissimi, questi segni della speranza, ho pensato di fare una meditazione
secondo il tipo di Chiesa che ci metteremo avanti. Dalla Chiesa Universale che ho
chiamato La Chiesa che prega e medita la Parola di Cristo in comunione con Pietro;
ci sposteremo verso la Chiesa di Cristo in Africa e in Ruanda, che sarà chiamata La
Chiesa che soffre e muore per risorgere con Cristo; e infine ci soffermeremo sui
segni della speranza nella Chiesa reatina che ho chiamato La Chiesa che cammina e
si rinnova nella fedeltà a Cristo.
I segni di speranza nella Chiesa sono quella voce di Cristo che tranquillizza
prima gli apostoli in balia del mare agitato, poi chiama Pietro incoraggiandolo anche
lui a camminare sul mare. Segni di speranza nella Chiesa sono quella la mano che
afferra il discepolo impaurito non soltanto dalla violenza dei venti contrari, ma anche
dal fatto che, sfidando l’impossibile, non crede ai suoi occhi, e comincia ad
affondare. Sperimentiamo la presenza dei segni della speranza nella Chiesa, quando,
avvolti dall’occhio del ciclone, cominciamo a farci tante domande magari a
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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rimproverarci sulle nostre imprudenze nel volere seguire fino in fondo Il Maestro.
Karol Woytla nel suo dramma giovanile la Bottega dell’orefice scriveva: “Non c’è
speranza senza paura e paura senza speranza”. Guardando a Lui, meditando la sua
Parola, sentendo la sua potente mano che ci afferra, si realizza di nuovo nella nostra
vita la promessa dell’Angelo a Maria: “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37). Proprio
nulla resiste all’amore di Dio. Quel prepotente dominio del male nel cuore di alcuni
eventi drammatici della nostra storia; quelle persecuzioni cruenti che spogliano gli
uomini e le donne dalla loro dignità oppure quelle armi ultra sofisticate che
minacciano di spazzare via l’umanità, non avranno mai la meglio. L’ultima parola
accompagnerà quella Mano Potente che ci afferrerà sempre, e fissando il suo sguardo
rassicurante nei nostri occhi impauriti ci chiederà: “ Uomo di poca fede, perché hai
dubitato” ?
Una delle preghiere che accompagnavano la liturgia eucaristica in cui
ebbe luogo la consegna del Liber sinodalis Sabato 25 febbraio in Cattedrale aveva
come ritornello: “Getta le retti”. Pur sapendo che siamo fragili e che la nostra fede è
debole, Il Signore ci invita non soltanto a gettare le reti nel mare del mondo, ma a
buttarci fiduciosi nel cammino sul mare, confidando nella sua Parola e nella sua
rassicurante mano. Camminare sul mare è un grosso rischio che ogni vero credente in
Cristo deve correre, senza puntare gli occhi sui pericoli, ma fortemente convinto che
mai il Signore lo lascerà affondare senza intervenire: “Le tue mani, Signore, sono
talvolta mani di gioia e talora mani di dolore. Ma sempre mani d’amore” (D.
Bonhoeffer).
Nella sua ultima lettera ai suoi amici di Roma, pubblicato dal giornale
Avvenire di (Domenica 05 marzo 2006, pp.6-7), don Andrea Santoro scrive: “ (….) è
giusto lodare Dio quando c’è il sereno, e non soltanto invocare il sole quando c’è la
pioggia. Inoltre, è giusto vedere il filo d’erba verde anche quando stiamo
attraversando una steppa. (…) Il regno dei cieli non è forse simile a un granellino di
senape, il più piccolo di tutti i semi? Lo getti e poi lo lasci fare… E non è forse vero
che “se ami conosci Dio” e lo fai conoscere e se non ami, (…) non sei nulla ma solo
un tamburo che rimbomba? (…) La mente sia aperta a capire, l’anima ad amare, la
volontà a dire ‘sì’ alla chiamata. Aperti anche quando il Signore ci guida sulle strade
di dolore e ci fa assaporare più la steppa che i fili d’erba. Il dolore vissuto con
abbandono e la steppa attraversata con amore diventa cattedra di sapienza, fonte di
ricchezza, grembo di fecondità”.
Mi auguro che il Signore, attraverso questi segni di speranza, ci
incoraggi ad aprire gli occhi della nostra mente, per discernere i fili d’erba nella
steppa, l’acqua fresca che sgorga dalla roccia nel deserto del nostro vagare
quotidiano, il virgulto che spunta dal tronco sterile dei nostri propositi ed affanni.
Con la sua mano tesa a noi per afferrarci, quando rischiamo di affondare nella melma
del nostro pessimismo, Cristo ci aiuti ad approfondire la nostra amicizia con Lui, e
con queste semplici ed umili meditazioni, riempia il serbatoio della nostra speranza.
a) Segni nella Chiesa che prega e medita la Parola di Cristo in comunione con Pietro
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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La traccia di riflessione in vista del Convegno di Verona mette
in evidenza i venti contrari che agitano il mare del nostro mondo che sta sotto
l’influsso della cosiddetta “modernità liquida” : “Nel tramonto di un epoca segnata
da forti conflittualità ideologiche, emerge un quadro antropologico inedito, segnato
da forti ambivalenze e da una esperienza frammentata e dispersa. Nulla appare
veramente stabile, solido, definitivo. Privi di radici, rischiamo di smarrire anche il
futuro. Il dominante “sentimento di fluidità” è causa di disorientamento, incertezza,
stanchezza, e talvolta persino di smarrimento e disperazione.” (TRV n.1).
Nel documento programmatico “Comunicare il Vangelo in un
mondo che cambia” i nostri Vescovi, pur dichiarandosi araldi della Speranza, non
nascondono l’insicurezza che si impadronisce di alcuni ambienti ecclesiastici
soprattutto quando si tratta di parlare della vita eterna : “A tutti vogliamo recare una
parola di speranza. Non è cosa facile oggi la speranza. Non ci aiuta il suo
progressivo ridimensionamento: è offuscato, se non addirittura scomparso dalla
nostra cultura, l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una sua direzione,
che sia incamminata verso una pienezza di vita che va al di là di essa. Tale eclissi si
manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiastici, se è vero che a fatica si trovano
le parole per parlare delle ultime realtà e della vita eterna” (n.2).
Il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes, ha chiamato i
credenti ad imparare a leggere i segni dei tempi nella loro integralità: sia quelli
negativi sia quelli positivi. Giovanni XXIII, nel suo celebre discorso di apertura del
Concilio, ha usato parole forti e sempre capaci di scuotere. La lettura della realtà non
deve per niente al mondo lasciarsi sequestrare dai segni negativi: "A noi sembra di
dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti,
quasi che incombesse la fine del mondo. Nel presente momento storico, la
provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che per opera
dagli uomini e al di là della loro aspettativa si volgono verso il compimento di
disegni superiori e inattesi; e tutto – anche le umane avversità – dispone per il
maggior bene della chiesa" (Discorso inaugurale nn.40,41-42). In termini molto vivi,
anche la GS richiama alla chiesa il compito di leggere i segni dei tempi alla luce del
Vangelo: “E’ dovere permanente della chiesa di scrutare i segni dei tempi e di
interpretarli alla luce del vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna
generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della
vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto” (Gs, 4)
Il documento magisteriale recente che più ampiamente si è
occupato dei segni della speranza è l’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in
Europa (2003) che evoca il “vangelo della speranza” per il futuro dell'Europa.
L’Esortazione apostolica riprende le linee portanti del Sinodo dei Vescovi Europei,
tenutosi a Roma nel 99 ( dal primo al 23 ottobre 1999, e avente come tema “Gesù
Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa”), indetto dal
Papa Giovanni Paolo II, in preparazione del Grande Giubileo del 2000, con il tema
"Sfide e segni di speranza per la Chiesa in Europa". Qui si delineano le ombre e le
luci della situazione attuale, proprio in riferimento alla speranza. Le Chiese in
Europa, sottolinea il documento, sono "spesso tentate da un offuscamento della
speranza". "Il tempo che stiamo vivendo appare come una stagione di smarrimento.
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza e non pochi
cristiani condividono questi stati d'animo" (EE 7). "Numerosi sono i segnali
preoccupanti", tra cui "lo smarrimento della memoria e dell'eredità cristiane,
accompagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso,
per cui molti europei danno l'impressione di vivere senza retroterra spirituale e come
degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia" (EE 7).
Con questo segno preoccupante il Papa Giovanni Paolo II intendeva ribadire le
"radici cristiane dell'Europa". Il rischio è che il cristianesimo resti un semplice
"vestigio del passato" e non plasmi più la vita d'oggi.
Un secondo segnale di offuscamento della speranza è la "paura
nell'affrontare il futuro". Un terzo aspetto in questo processo di obnubilamento della
speranza è "la diffusa frammentazione dell'esistenza; il quarto aspetto è il
"crescente affievolirsi della solidarietà inter-personale...” Dopo aver rilevato i segni
oggettivi di quest'offuscamento della speranza, il Pontefice individua il motivo
fondamentale, nell'allontanamento dalla fede in Cristo: "Alla radice dello
smarrimento della speranza sta il tentativo di far prevalere un'antropologia senza
Dio e senza Cristo. Questo tipo di pensiero ha portato a considerare l'uomo come « il
centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio
e dimenticando che non è l'uomo che fa Dio ma Dio che fa l'uomo. L'aver
dimenticato Dio ha portato ad abbandonare l'uomo » [Sinodo dei Vescovi, 1999]"
(EE 9). "La cultura europea - continua Giovanni Paolo II - dà l'impressione di una
«apostasia silenziosa» da parte dell'uomo sazio che vive come se Dio non esistesse".
Dopo un quadro così preoccupante, il Papa Giovanni Paolo II mette in
rilievo i "segni di speranza" presenti in Europa, affermando : "Sarebbe ingiusto non
cogliere i segni dell'influsso del Vangelo di Cristo nella vita delle società" (EE 11). Il
Papa Giovanni Paolo II enumera quattro "segni di speranza". "Il recupero della
libertà della Chiesa nell'Est europeo”; "l’accresciuta presa di coscienza della
missione, propria di tutti i battezzati; "l'aumentata presenza della donna nelle
strutture e negli ambiti della comunità cristiana".
Infine il documento attira l'attenzione su quattro segni emersi nella vita
propriamente ecclesiale. I testimoni e i martiri, vissuti nell'ultimo secolo,..; la
santità di molti uomini e donne del nostro tempo. Dice il Papa: "Non solo di quanti
sono stati proclamati ufficialmente tali dalla Chiesa, ma anche di coloro che, con
semplicità e nella quotidianità dell'esistenza, hanno dato testimonianza della loro
fedeltà a Cristo. Come non pensare agli innumerevoli figli della Chiesa che, lungo la
storia del Continente europeo, hanno vissuto una santità generosa ed autentica nel
nascondimento della vita familiare, professionale e sociale?(…) Il Signore Gesù lo
aveva promesso: “Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più
grandi, perché io vado al Padre” (Gv 14,12). I Santi sono la prova vivente del
compiersi di questa promessa, e incoraggiano a credere che ciò è possibile anche
nelle ore più difficili della storia ». ". (EE 14). La parrocchia, i movimenti e le
comunità ecclesiali; e infine il cammino ecumenico nella prospettiva della verità,
della carità e della riconciliazione (EE 17).
Senza soffermarci sulla carrellata dei santi, dei martiri, dei Padri della
Chiesa ed altri testimoni intrepidi di Cristo risorto che costellano la Storia della
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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Chiesa, senza insistere sui tanti avvenimenti che sono veri e propri segni di speranza
nella Chiesa, mettiamo in rilievo due eminentissime figure di testimoni, che hanno
spinto ultimamente tanti autorevoli scrittori di grande spessore spirituale e culturale
ad affermare che siamo davvero una generazione di privilegiati. Anche se la nostra
epoca è stata negativamente segnata da innominabili sofferenze, causate da orrende
tragedie tra cui i vari genocidi, i campi di sterminio, l’affacciarsi sulla scena mondiale
di un integralismo musulmano fanatico e terrorista, malgrado tutto, il novecento
passerà nella storia della Chiesa come uno dei periodi in cui sono vissuti dei giganti
della spiritualità e della mistica, ma anche delle grandi stelle per la riflessione
teologica.
Non a caso, il giornalista e teologo americano George Weigel, in un
libro ultra documentato, intitolato Testimone della speranza. La vita di Giovanni
Paolo II, protagonista del secolo (Oscar Saggi Mondatori, Milano 1999) chiama
Giovanni Paolo II “il Testimone della speranza”. Non voglio dilungarmi sulle varie
testimonianze sul suo conto, ma vorrei semplicemente far notare che tutti coloro che
hanno strettamente collaborato con lui affermano che era un uomo la cui vita era
diventata preghiera, era “un mistico con un cuore da bambino”. Il suo Segretario
Monsignor Stanislao Djiwisz ha rivelato che “tutti quelli che lo incontravano, si
sentivano investiti di una grande luce”. L’ampia fecondità del suo ministero
apostolico da Niegowick a Roma è conosciuta da Dio solo. Credo che ne vediamo e
ne sentiamo soltanto una minima parte. Oltre al suo apostolato mondiale conosciuto
da tutti, Govanni P. II è stato eletto dal settimanale Time di New York come l’uomo
dell’anno 1994 perché , scriveva questo settimanale, : “Le sue idee sono diverse da
quelle della maggior parte dei mortali. Sono più grandi”.
L’anno del Santo Rosario e l’anno dell’Eucaristia che ha promulgato
hanno lasciato nelle comunità che li hanno vissuti spiritualmente ed intensamente una
scia luminosa. Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae e nell’enciclica
Ecclesia de Eucharestia, il Papa Giovanni Paolo II ha svelato che l’affidarsi alla
Madonna pregando il Santo Rosario, il seguire l’esempio dei Santi che hanno sostato
a lungo dinnanzi a Gesù Sacramentato, l’hanno aiutato tanto nel suo ministero
apostolico. La sempre fresca consacrazione a Maria con l’indimenticabile Totus tuus,
la contemplazione di Gesù Sacramentato come centro della vita cristiana
costituiscono dei segni eclatanti di speranza per la Chiesa Universale, e sono parte
integrante del suo intimo testamento spirituale. Saranno sempre uno scudo contro gli
a volte affascinanti ma spesso violenti e micidiali assalti demoniaci.
Un certo Domenico del Rio, nel suo libro Karol il Grande, ha colto di
Giovanni Paolo II un aspetto fondamentale della sua preghiera, che ha chiamato il
“mettersi in Dio”. Andando a trovare il suo amico Domenico del Rio, all’Ospedale
Gemelli, qualche giorno prima della sua morte, Luigi Accattoli rapporta della loro
ultima conversazione quanto segue: « Alla domanda: Vuoi dire qualcosa a qualcuno?
Ha risposto: “Al papa! Vorrei fare sapere al papa che lo ringrazio, vedi tu se puoi
farglielo sapere. Che lo ringrazio con umiltà, per l’aiuto che mi ha dato a credere. Io
avevo tanti dubbi e tanta difficoltà a credere. Mi è stata di aiuto la forza della sua
fede. Vedendo che credeva con tanta forza, allora anch’io un poco mi facevo forza.
Questo aiuto l’avevo a vederlo pregare, quando si mette in Dio e si vede che questo
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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mettersi in Dio lo salva da tutto. (…) Ho cercato di fare come lui. I dubbi non li ho
superati, ma non li ho più considerati. E come se li avessi chiusi in un sacco e li
avessi lasciati mettendomi in Dio, come ho imparato a fare dal papa. Di questo lo
ringrazio. Da nessuno mi è venuto tanto aiuto“ » : L. ACCATTOLI, Prefazione a D.
DEL RIO, Karol il Grande, Edizioni Paoline, Milano 2003, pp.9-10).
Un altro segno della speranza per la Chiesa universale è l’indubitabile
continuità tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, chiamato dallo stesso Giovanni
Paolo II, “amico fidato”. Dopo aver annoverato Ratzinger tra gli ecclesiastici tedeschi
“di eccezionale preparazione teologica”, nel suo libro, Alzatevi e andiamo, il Papa
Giovanni Paolo II scrive: “Rendo grazie a Dio per la presenza e l’aiuto del cardinale
Ratzinger, che è un amico fidato” (Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!, Arnoldo
Mondatori Editore, Milano 2004, p.127). C’ una chiara continuità per quanto riguarda
l’amore profondo e sincero per Cristo e per la sua Chiesa, comunità chiamata
incessantemente alla comunione; la promozione di una fede adulta e matura;
l’ineffabile, rasserenante
e contagiosa gioia che scaturisce dalla piena
consapevolezza che tutto sta nelle mani sicure di Dio; la lotta contro il relativismo
che è un vero tarlo per la fede e per il pensiero positivo illuminato da Cristo ; tutti
leitmotiv negli scritti e nelle dichiarazioni dell’attuale Pontefice.
Quella voce rassicurante di Gesù ai suoi discepoli impauriti: “Coraggio
sono io”; quella parola potente ed autorevole di Gesù a Pietro: “Vieni”, quella mano
forte che riporta Pietro sul mare dove rischiava di annegare riecheggiano ancora più
forti che mai nei rispettivi programmi dei due Sommi Pontefici. Nella Lettera
apostolica Novo millennio ineunte, al termine del Grande Giubileo dell'anno duemila,
il Papa Giovanni Paolo II, riferendosi alla nuova evangelizzazione, scrive: “ Non si
tratta, allora, di inventare un « nuovo programma». Il programma c'è già: è quello di
sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima
analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita
trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme
celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche
se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione
efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio” (n.29).
Nel suo primo messaggio al termine della concelebrazione eucaristica
con i Cardinali elettori nella Cappella Sistina, Mercoledì, 20 aprile 2005, il Papa
Benedetto XVI, diceva: “ La Chiesa di oggi deve ravvivare in se stessa la
consapevolezza del compito di riproporre al mondo la voce di Colui che ha detto: "Io
sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita" (Gv 8,12). Nell’intraprendere il suo ministero il nuovo Papa sa che suo
compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di
Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo”. Durante la Santa Messa in cui gli fu
imposto il pallio e consegnato l’anello del pescatore per l’inizio del ministero petrino
del vescovo di Roma, in Piazza San Pietro, Domenica, 24 aprile 2005 ribadiva: “Il
mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non
perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della
parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli
stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”.
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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Due Sommi Pontefici che si presentano alla Chiesa come umili
strumenti nelle mani di Cristo, due segni di speranza nella Chiesa, che ricordano le
testimonianze di altre vite consumate per il Vangelo, e che gridano a squarciagola che
Cristo deve essere amato sopra ogni cosa, soprattutto nei più piccoli, nei più poveri e
negli ultimi. Prima di passare all’Africa, permettetemi di riscaldarci l’anima
evocando due figure emblematiche, segni splendenti di Cristo in mezzo ai dimenticati
della storia, due veri e propri commenti viventi ed autorevoli dell’enciclica Deus
caritas est di Benedetto XVI. Si tratta di Don Luigi di Liegro, il parroco della Roma
degli immigrati, degli zingari, dei poveri, dei barboni, dei ragazzi sbandati ma anche
dei laici cristiani che cercavano ardentemente di vivere una vita cristiana matura alla
luce del Vangelo e del Concilio Vaticano II. Figlio di un emigrato, quest’uomo di Dio
che non ha dimenticato le sue umili origini, ha dato corpo e sangue, anima e cervello
alla carità cristiana. Diceva: “La solidarietà, come la carità, prima di essere un
dovere sono uno stato di fatto, una constatazione. Significa sentirsi legati a qualcuno,
condividere la sua sorte, mettersi nei suoi pani, compatire, cioè “patire con”…(…)
Solidarietà significa promuovere la dignità e i diritti dei poveri, a rischio di
condividere con loro l’indegnità cui vengono costretti”.
La seconda figura è quella di chi si è definita una “matita nelle mani di
Gesù”, Madre Teresa di Calcutta. Giulio Andreotti affermava, in una intervista
televisiva, che stando vicino a lei, la si sentiva come una vera centrale elettrica. Lei
che affermava : «Una volta che t’innamori di Gesù, ogni altra cosa segue e in un
certo senso diventa facile», ha gridato al mondo consumistico che “Non si vive di
solo supermercato”. Ecco perché sfidando ogni logica di ordinaria quotidianità
umana, questa piccola Suora, armata dal solo amore di Cristo, e dalla sua
predilezione per i più piccoli ed i più poveri, ha creduto in Colui che promette un
mondo totalmente altro, dove non contano i petrodollari o le monete d’oro, le vesti
eleganti o gli unguenti raffinatissimi, ma la sola bellezza dell’anima, promessa di
risurrezione per ogni corpo, anche quello più deformato e deturpato, che rivestirà con
dignità la bellezza del volto di Dio. Ecco perché avranno sempre sapore epocale e
profetico le parole scolpite sulla porta della Casa dei bambini abbandonati di
Calcutta: “Trova il tempo di pensare, trova il tempo di pregare, trova il tempo di
ridere”.
B- UNA CHIESA CHE SOFFRE E MUORE PER RISORGERE CON CRISTO
Il Professore Monsignor Lanza, l’ultimo predicatore del nostro ritiro
mensile, diceva che ciò che non è reso pubblico dai mezzi di comunicazione sociale
non esiste. Questo è un principio validissimo in un contesto socioculturale fortemente
influenzato dall’”essere est percipi” della filosofia fenomenologica. Dal punto di
vista dei poveri, una tale esistenza, una tale visibilità conta poco. Giacché in
televisione o sui mezzi di comunicazione sociale, questi poveri non ci saranno mai. A
stretto contatto con loro, guardando la cosiddetta realtà pubblicata con i loro occhi, si
nota che non tutto ciò che viene alla conoscenza di tutti, perché pubblicato, viene
capito fino in fondo. Viviamo un tale vertiginoso susseguirsi di notizie che non
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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abbiamo un minimo momento di riflettere e tirare le somme. Questo modo di vivere
superficialmente gli eventi della vita ha fatto concludere ad uno scrittore ed aviatore
francese, Antoine de Saint Exupéry, che un conto è vedere con gli occhi, un altro è
vedere con il cuore. Scriveva in un suo libricino provocatorio intitolato Il Piccolo
Principe : “Non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.
Nel paese dove sono nato, il Ruanda, c’è un detto che afferma: “ Certe realtà della
vita si vedono soltanto con gli occhi che hanno pianto”. Vorrei parlarvi adesso di una
realtà forse poco conosciuta o conosciuta male, ma che fa parte di quella economia
sommersa della grazia divina. Una realtà poco visibile, ma che offre tanta materia per
la riflessione e per l’approfondimento spirituale. Vorrei parlarvi adesso dei segni di
speranza nella Chiesa dei poveri e degli ultimi, Chiesa che vive i suoi patimenti del
Venerdì Santo, sperimentando continuamente quella mano potente di Cristo che
afferra, e la sua rassicurante voce che rimprovera affettuosamente: “Uomo di poca
fede, perché hai dubitato”?
Nel suo incontro con il clero romano Giovedì 02 marzo 2006, il Papa
Benedetto XVI diceva: « Il continente africano è la grande speranza della Chiesa”
denunciando gli abusi del colonialismo che continuano in Africa con i conflitti dovuti
agli interessi delle grande potenze : “Ho ricevuto, in questi ultimi mesi, una grande
parte dei vescovi africani in visita ad limina. E’ stato molto edificante per me e
riconfortante di vedere dei vescovi di alto livello teologico e culturale, dei vescovi
pieni di zelo, che sono realmente animati dalla gioia e dalla fede. Sappiamo che
questa Chiesa è nelle buone mani, ma che malgrado tutto soffre perché le nazioni
non sono ancora formate.. Ancora e sempre dalla parte delle grande potenze,
l’Africa continua ad essere oggetto degli abusi, e dei numerosi conflitti non
avrebbero assunto questa forma se dietro non ci fossero degli interessi delle grande
potenze. (…) Così ho visto come la Chiesa, in tutta questa confusione, con la sua
unità cattolica, è grande fattore di unità nella dispersione. In numerose situazioni
(…) la Chiesa è rimasta l’unica realtà che funziona e dona assistenza necessaria,
garantisce la coesistenza, e aiuta a ritrovare la possibilità di(….) vivere insieme, di
ricostruire dopo le distruzioni, la comunione, e dopo l’esplosione dell’odio, lo spirito
di riconciliazione. (…) Vorrei, con le mie parole, dire che l’Africa è un continente di
grande speranza, di grande fede, di realtà ecclesiali commoventi, di sacerdoti e
vescovi pieni di zelo(…)”. (cfr. Zenit servizio francese del 09 marzo 2006 ZF06030901).
Questo continente, considerato da alcune ipotesi archeologiche ed
antropologiche, la culla dell’umanità, ha dato tanti di quei testimoni della speranza
umana e cristiana poco conosciuti, ma che sono per tante generazioni dei veri fari,
ancora luminosi, in mezzo alle pazzie delle guerre teleguidate e telecomandate; in
mezzo alle tante difficoltà legate non alla povertà, che è un punto di arrivo, ma alla
depredazione delle ricchezze naturali, ed alla pauperizzazione materiale ed
antropologica del continente, come lo affermava il gesuita Engelbert Mveng. Questo
mare burrascoso in cui è agitata la barca di Pietro ha nomi particolari che riprende
l’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa” che scrive Papa Giovanni
Paolo II, per la Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000.
In quell’enciclica, il Sommo Pontefice afferma : “Dopo aver sottolineato,
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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giustamente, che l'Africa è un immenso continente con situazioni molto diverse e che
occorre per questo evitare di generalizzare sia nel valutare problemi che nel
suggerire soluzioni, l'Assemblea sinodale ha dovuto con dolore rilevare: « Una
situazione comune è, senza dubbio, il fatto che l'Africa sia piena di problemi: in
quasi tutte le nostre nazioni c'è una miseria spaventosa, cattiva amministrazione
delle scarse risorse disponibili, instabilità politica e disorientamento sociale. Il
risultato è sotto i nostri occhi: squallore, guerre, disperazione. In un mondo
controllato dalle nazioni ricche e potenti, l'Africa è praticamente divenuta
un'appendice senza importanza, spesso dimenticata e trascurata da tutti (49)
Per molti Padri sinodali l'Africa di oggi può essere paragonata a
quell'uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico; egli cadde nelle mani dei
briganti che lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto
(cfr Lc 10, 30-37). L'Africa è un continente in cui innumerevoli esseri umani —
uomini e donne, bambini e giovani — sono distesi, in qualche modo, sul bordo della
strada, malati, feriti, impotenti, emarginati e abbandonati». (nn.40-41).
Solo la Chiesa in Africa può tirare il continente fuori dalla profonda
prostrazione: “Ma qual è la situazione reale d'insieme del continente africano oggi,
specialmente dal punto di vista della missione evangelizzatrice della Chiesa? I Padri
sinodali, in proposito, si sono posti innanzitutto una domanda: « In un continente
saturo di cattive notizie, in che modo il messaggio cristiano costituisce una "buona
novella" per il nostro popolo? In mezzo ad una disperazione che invade ogni cosa,
dove sono la speranza e l'ottimismo che il Vangelo reca con sé? L'evangelizzazione
promuove molti di quei valori essenziali che tanto mancano al nostro continente:
speranza, pace, gioia, armonia, amore e unità ».
Il Papa Giovanni Paolo II ed il Papa Benedetto XVI hanno fatto una
chiara rilettura della situazione socioeconomica in cui opera la Chiesa in Africa. Le
recenti pubblicazioni sugli abusi delle grandi potenze su questo martoriato continente
danno ragione ai due Sommi Pontefici. Due autori recenti hanno rilevato con tanti
documenti alla mano gli interessi egoistici delle grande potenze. Si tratta di un libro
pubblicato da Minimum Fax a Roma l’anno scorso, scritto da John Perkins,
“Confessioni di un sicario dell’economia”, la cui recensione è stata pubblicata dalla
Stampa del 07 gennaio 2006. L’autore è stato formato dalla National Security Agency
(Servizio Segreto USA) che racconta come per quaranta anni abbia lavorato per il
governo americano con l’esplicita missione di rovinare i paesi del terzo mondo e
renderli indipendenti da Washington…”. Un altro libro pubblicato in francese, dal
giornalista camerunese Charles Onana, nelle edizioni Duboiris a Parigi nel 2005 con
il titolo “I segreti della giustizia internazionale” mette a nudo i retroscena della
cosiddetta Giustizia internazionale, che non è altro che la giustizia dei vincitori: un
modo civile e raffinato di eliminare in modo presentabile per l’opinione pubblica le
classi dirigenti politiche, militari e religiose dei paesi del terzo e quarto mondo.
Nel mio paese il Ruanda, in modo particolare, la guerra scoppiata il 1°
ottobre 1990, ha riorientato l’evangelizzazione. La Chiesa cattolica era allora
impegnata come le altre chiese sorelle dell’Africa verso la ricerca di un linguaggio
adatto per la trasmissione del messaggio evangelico. Incoraggiata dal Papa Paolo VI
che nella sua visita a Kampala nel 1969 diceva: “ Voi potete formulare il
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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cattolicesimo in termini assolutamente appropriati alla vostra cultura e portare alla
Chiesa Cattolica contributi preziosi ed originali (…) di cui, in questo momento
storico, ha particolarmente bisogno”; e Giovanni Paolo II che nel 1980 disse ai
vescovi del Kenya: “Non solo il cristianesimo ma Cristo stesso, nelle sue membra in
Africa, è Africano”, la Chiesa di Cristo in Ruanda ha investito le sue energie nella
ruandisazione della Chiesa, e nella inculturazione del messaggio con una bella e
ricca ricerca sulle usanze del passato atte ad esprimere l’anima ruandese. La guerra
con le sue distruzioni, le sue morti e le sue spietate vendette hanno spinto la Chiesa a
porre l’accento sulla incarnazione del messaggio evangelico nel contesto del
momento. Finché la Chiesa cattolica si è piegata su se stessa, la gente l’ha sentita
lontana e ha vissuto superficialmente la sua fede in Cristo. E’ quando la Chiesa ha
macinato, insieme alla povera gente, agli ultimi e a tutti gli spogliati dalla dignità il
grano del dolore; quando ha consumato il pane nero e amaro della sofferenza ingiusta
ed ingiustificata, è diventata segno inequivocabile e credibile della salvezza in Cristo.
Quattro vescovi, centinaia di sacerdoti, religiosi, missionari, frati e laici
hanno perso la loro vita condividendo fino in fondo la sorte tragica di un popolo
affamato dalla guerra e senza fissa dimora. Ma spesso sono state le uccisioni mirate e
sistematiche dei vescovi e dei sacerdoti a svegliare una certa opinione pubblica, ed a
svelare il disegno macabro che animava i vincitori di decapitare la Chiesa Cattolica,
di umiliarla e di farla tacere per sempre. Nella Chiesa perseguitata e minacciata di
annegare, abbiamo contemplato Cristo che “ è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di
lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un
gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.” (Isaia 53, 5-8). Chi ha ucciso gli esponenti della Chiesa
Cattolica sapeva cosa rappresentavano vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose per la
sensibilità del popolo. Ma ora, questa Chiesa, aggrappandosi alla mano tesa di Cristo
è più fiorente che mai, e vede realizzarsi ogni giorno la promessa di Cristo cioè che
“le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).
Un vescovo, dei missionari, dei sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi
laici consacrati hanno condiviso con gli innocenti le sofferenze di una prigionia
ingiusta, ed alcuni sono tutt’ora in galera, e sotto processi, alla mercé di tutti coloro
che considerano la Chiesa una realtà da distruggere. “Tutto concorre al bene di
coloro che amano Dio” (Rm 8,28), scrive San Paolo. La guerra con le sue
conseguenze hanno spogliato la Chiesa Cattolica in Ruanda del segno del potere e
l’hanno rivestita del potere dei segni. Quando hanno fondato la Prima Università
Nazionale del mio paese, i Domenicani le hanno assegnato come motto: “Illuminatio
et Salus Popoli”. Questo motto è tornato al suo vero posto, alla Chiesa cattolica, che è
diventata davvero Illuminatio et Salus popoli.
Ci sono voluti un po’ più di tempo, tanti morti, tante lacrime e tante
sofferenze perché la Chiesa potesse capire e fare capire al mondo che il problema di
etnia è stato un pretesto per eliminare i testimoni del vangelo che davano fastidio.
Oggi come oggi, sono i missionari che attestano a chi vuole vedere e capire, che
finché la Chiesa predicherà in giustizia e verità Cristo morto e risorto, sarà sempre
segno di contraddizione, perché metterà a nudo i pensieri di molti cuori. Sarà anche
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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Segno di speranza per tante persone, e una spada dei poteri secolari stabiliti,
inevitabilmente le trafiggerà l’anima. Scriveva il filosofo francese Maurice MerlauPonty, nel suo libro Sens et non sens (Paris 1967, p.363) : “ Il cristiano è un elemento
di disturbo nei confronti del potere stabilito, giacché è sempre altrove e non si può
mai essere sicuri di lui. Ma per la stessa ragione egli disturba anche i rivoluzionari i
quali non lo sentono mai totalmente con loro”.
Le apparizioni della Madonna, le prime in assoluto nella lunga storia del
continente africano, ebbero luogo in Ruanda a partire dal 28 novembre 1981, nove
anni prima che scoppiasse la guerra. Riconosciute dalle autorità gerarchiche nell’anno
2001, ora aiutano la Chiesa a rileggere la Parola di Dio con occhi nuovi. Anche se
prevedeva fiumi di sangue, violenze inaudite e vendette inumane, la Madonna ha
promesso, tramite i veggenti, che chi si sarebbe rifugiato sotto il suo manto materno,
sarebbe stato protetto. Ancora una volta, ecco la mano tesa di Cristo, a una Chiesa in
balia delle onde che minacciano di seppellirla, nella loro furia. La Chiesa di Cristo in
Ruanda, malgrado tutte le interdizioni e le ritorsioni del potere politico, ha stabilito e
celebrato una solennità per la Madre del Verbo, ove si è cantato con tanta
convinzione e con tanta devozione, riprendendo le parole del prefazio della Messa
mariale, “ Ora risplende sul nostro cammino, segno di consolazione e di sicura
speranza”.
Per concludere questo capitolo, la Chiesa di Cristo in Africa in genere ed
in Ruanda in particolare sperimentano dei momenti bui, affrontano anche mari
burrascosi, ma il Signore non ha mai fatto mancare loro la rasserenante gioia della
sua Pasqua. E’ uno dei rari continenti in cui le liturgie domenicali hanno un sapore
davvero festivo. I loro canti, scolpiti dal dolore e dalla troppa sofferenza, espressioni
di una illimitata fiducia in Colui che risuscita i morti e rimette in piedi gli storpi,
vanno dritto al cuore. Sono ineguagliabili espressioni di liberazione, come i gospels o
i negrospirituals che stanno piano piano conquistando anche alcune fredde liturgie
delle Chiese europee. Perché sono contagiose di gioia pasquale. Infinita. Padre
Cantalamessa aveva detto che si evangelizza meglio con la gioia. E San Vincenzo de
Paoli aveva detto che i poveri sono i nostri maestri. Lasciamoci dunque evangelizzare
dalla intramontabile gioia genuina dei poveri…
C. LA CHIESA CHE CAMMINA E SI RINNOVA NELLA FEDELTÀ A CRISTO.
Veniamo adesso a noi. Ritorniamo a Rieti, nella Chiesa reatina. Il profeta
Geremia afferma che l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo
sostegno sarà come un tamerisco nella steppa, che non vede il bene quando viene (Gr
17,5). Nella fase pre- sinodale abbiamo fatto una seria ed inedita autocritica.
Abbiamo descritto per lungo e per largo tutto quello che non andava. E’ ora di vedere
ciò che va, ciò che è andato bene, ed impegnarci perché, con la benedizione del
Signore, le cose vadano meglio. Indubbiamente il grande segno della speranza che
Cristo ha messo nelle nostre mani è il Sinodo diocesano. Ma prima di parlarne,
vorrei attirare la nostra attenzione su tanti segni che rischiano di passare in secondo
piano, ma che hanno preceduto e preparato anche da molto lontano questo Sinodo,
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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l’hanno accompagnato e di sicuro alcuni lo traghetteranno fino al porto che Cristo
vorrà per la sua Chiesa reatina.
E’ ovvio che tra i segni della speranza nella Chiesa reatina, non possiamo
non evocare i santi fondatori della nostra Chiesa. Sono personalmente grato a coloro
che hanno preparato le litanie dei Santi che abbiamo cantato nella cerimonia per
l’apertura delle assemblee sinodali. In queste litanie, un posto particolare è stato
riservato ai Santi della nostra terra. Insieme al Venerabile Massimo Rinaldi, mi piace
riportare alla nostra memoria i santi vescovi della nostra Diocesi, tanti sacerdoti che
ci hanno preceduto nella Casa del Padre e hanno lasciato il profumo di santità nelle
Parrocchie ove sono vissuti. Ricercatori inarrestabili del Regno di Dio e della sua
giustizia, uomini della contemplazione e della liberazione in Cristo, hanno condiviso
e lottato con gli ultimi della terra, si sono calati nelle paludi dell’esistere umano,
mettendo le loro mani nel fango e nel sangue, spianando in nome del Vangelo
d’amore montagne di odio, di violenza, di pregiudizi, di razzismi, di egoismi, di
abuso di potere, senza mai smettere di desiderare nel più profondo dei loro cuori che
vengano la terra nuova ed i cieli nuovi. La lettera agli Ebrei afferma: “Ricordatevi dei
vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente
l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e
sempre” (Eb 13, 7-8). Non faccio i nomi per paura di sentirmi rimproverare di
essermi dimenticato di qualcuno. Penso ai tanti religiosi e religiose, laici consacrati
ed operatori pastorali che hanno propagato il Vangelo di Cristo con impegno e grande
sacrificio nella nostra Diocesi. Anche loro, sono segni di speranza nella nostra
Chiesa.
Segni di speranza sono i nostri confratelli anziani. Vorrei ricordare qui
con venerazione il loro passato. La maggior parte di loro hanno iniziato il loro
ministero in situazioni difficili di povertà, di disagi della guerra, e di precarietà della
vita. Gli altri hanno compiuto i loro studi nei seminari durante la guerra ed hanno
rischiato la loro vita pur di portare a termine la loro missione di consacrazione a Dio.
Hanno sofferto le cose umane e le cose divine. Sono stati dei dottori per lenire il
dolore profondo dell’anima, hanno fatto dei loro cuori un pronto soccorso spirituale
per tutti i disperati, i dimenticati e gli abbandonati. Si sono fatti “venditori a prezzo
zero” della speranza, sfidando l’impossibile, per traghettare la nostra gente verso lidi
migliori. Sono stati garanti del vero senso della vita, veri araldi di giustizia, di libertà
e di pace, pompieri nei momenti critici della storia del nostro paese. Teniamoceli
stretti: sono una fonte ricca di saggezza e di esperienza umane e cristiane. Finché il
Buon Dio ce li concede, godiamoceli. Un celebre egittologo ed antropologo africano,
Cheik Anta Diop affermava: “Un anziano che scompare è come una biblioteca che
brucia”. A loro auguriamo di cuore una lunghissima vita e tanta santità!
Segni di speranza nella Chiesa, siamo noi sacerdoti, con le nostre grandi
e piccoli difficoltà di ogni giorno, con le nostre solitudini ed incomprensioni, con i
nostri scoraggiamenti quando ci rendiamo conto che rischiamo di non arrivare a capo
a tutti gli impegni che ci affida il Signore. Mandando gli auguri di Natale ai suoi
sacerdoti, Don Tonino Bello sottolineava a proposito: “ So quanta fatica fate e quante
incomprensioni accumulate. Però voglio anche esortarvi a non “mitizzare” i sacrifici
che fate: molti di essi appartengono alla fatica di vivere e di essere uomini, non a
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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quella di essere “presbiteri”. Le incomprensioni, le sofferenze, la solitudine… sono
pane nero di quasi tutti i mortali, e noi che ci sforziamo di condividere la vita degli
uomini non possiamo pretendere franchigie doganali per i bagagli della nostra
esistenza personale” (A. BELLO, Epistolario minimo. Lettere dalla ferialità, Ed.
Insieme, Terlizzi (Ba), 2005, p.82).
Permettetemi, Eccellenza Reverendissima e carissimi confratelli, di
citarvi ciò che ha scritto ultimamente Don Antonio Mazzi, nella sua finestrella sul
mensile Jesus, in un intervento che ha intitolato Le tenebre non ci copriranno fino a
che ci saranno i don Andrea: “Nei giorni scorsi sono saliti agli onori delle cronache
(si dice così) due casi di preti antagonisti. Padre Fedele Bisceglie, quasi linciato in
diretta per le sue vicende un po’ losche, e don Andrea Santoro, ucciso a Trebisonda
in Turchia, mentre stava pregando, quasi beatificato in diretta. Due preti, due storie,
due situazioni opposte che ci obbligano alla riflessione. Vivere da preti non è facile
né ieri né oggi: oltre la fatica del testimoniare l‘aldilà, monta l’enorme fatica del
testimoniare soprattutto l’aldiquà. Perché i preti non sono persone normali. (…) C’è
chi pensa che il mondo sia più libero se ha meno preti che disturbano la coscienza e
meno vescovi che ricordano l’importanza dei sacramenti e dei precetti della Chiesa.
Il mondo fa di tutto perché il prete assomigli a padre Fedele, ma poi è il primo che si
straccia le vesti appena le infedeltà si consumano. Io credo che se nel mondo
scomparissero i preti succederebbe quello che è successo un venerdì di qualche anno
fa alle tre del pomeriggio: cadrebbero sinistre tenebre! E spaventoso pensare che
alle tre del pomeriggio di un giorno qualsiasi possano cadere le tenebre sul mondo.
Spero però che, anche se questo accadesse, tutti noi dovremmo rimanere convinti che
al massimo dureranno tre giorni! Perché vinceranno i don Andrea” (Jesus n.3
(Marzo 2006- Anno XXVIII) p.9).
I religiosi e le religiose, i sacerdoti forestieri e stranieri, missionari nativi
di Rieti sono segni di speranza per la nostra Chiesa. Hanno imparentato questa Chiesa
con tutto il mondo, facendole rivivere il profumo della fratellanza cristiana che
animava la Chiesa primitiva, e faceva esultare l’autore dell’Epistola a Diogneta: “ I
cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri
uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né
conducono un genere di vita speciale. (...) Vivendo in città greche e barbare, come a
ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel
resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale.
Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da
tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria
è straniera” (Lettera a Diogneta, V, 1-5). Chi ama profondamente Cristo e la sua
Chiesa di Rieti, ve l’assicuro, non si sente e non si sentirà mai forestiero o straniero.
I nostri laici consacrati, gli operatori pastorali e tutte le persone di
buona volontà che cercano Cristo con cuore retto e sincero, sono anche loro segni di
speranza nella Chiesa reatina. Li abbiamo visti e sentiti i nostri laici, i nostri operatori
pastorali, durante i lavori nelle diverse commissioni e nelle assemblee sinodali. Il loro
profondo amore per la nostra Chiesa, il loro desiderio di dare un solido contributo al
suo futuro, il loro impegno ad informarsi ed a formarsi sono chiaramente apparsi agli
occhi di noi tutti.
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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Tanti poi sono i segni di speranza con i quali la nostra Chiesa diocesana
esprime la vicinanza e la condivisione con i membri sofferenti di Cristo, oltre la
Caritas diocesana e qualche Casa famiglia. La nostra Scuola di formazione teologicopastorale, segno di speranza nella nostra Chiesa, sta diventando un vero laboratorio di
ricerca teologica e spirituale, uno stimolo per la riflessione, un luogo di produzione
delle idee innovative. Sarà a colpo sicuro un antidoto contro il tarlo della ripetizione
dell’identico e quello della pigrizia spirituale. I nostri operatori pastorali che la
frequentano hanno sete e fame spirituali. Sono da incoraggiare.
Qualche anno fa, il vescovo ha invitato sacerdoti, religiosi e laici ad
entrare nel monastero invisibile con l’impegno di pregare per le vocazioni. Abbiamo
visto sorgere sul nostro territorio la Fraternità monastica della Trasfigurazione. Le
nostre liturgie stanno traendo grande beneficio della preghiera dei Padri, acquistando
quella intensità e bellezza delle liturgie monacali. E’ un segno di speranza nella
nostra Chiesa. Sulla porta della cappella di una comunità sacerdotale del mio paese
era scritto: “Più un anima investe nella preghiera, più riceve nell’azione”. Lo
scrittore Alberto Moravia, nella sua raccolta L’uomo come fine affermava: “Per
ritrovare un’ idea dell’uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini
ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione è la diga che fa risalire
l’acqua nel bacino. Essa permette agli uomini di accumulare di nuovo l’energia di
cui l’azione li ha privati”. ai suoi I nostri ritiri annuali, molto partecipati soprattutto
dai giovani sacerdoti e le giornate di fraternità sacerdotali sono altrettanto segni di
speranza ….
Veniamo al Sinodo diocesano. Lanciare l’idea del Sinodo diocesano è
stato per il vescovo un invito rivolto alla Chiesa reatina perché si svegli e si rimetta in
cammino seguendo il risuscitato sulle strade del mondo, sfidando con l’aiuto di Cristo
i venti contrari . Sulla pergamena consegnata ai Sinodali nella liturgia conclusiva era
scritto: “(…) affido a tutti voi, Sacerdoti, Religiosi, Religiose, Diaconi e Laici, il
compito – gravoso ed esaltante – di accogliere, condividere e rendere operative le
conclusioni del Sinodo”. Ho sottolineato le parole compito gravoso ed esaltante.
Svegliarci ed incoraggiarci a questo compito è dovere del vescovo. Condividendo il
suo ministero, anche noi possiamo riprendere le sue parole per il gregge a noi
affidato: “Non vi devo lasciare dormire. So che lo fareste volentieri ma non posso
proprio concedervelo. In questo senso la Chiesa deve alzare l’indice e dare fastidio.
Tuttavia si deve percepire con chiarezza che essa non vuole tormentare gli uomini,
ma che è animata dall’inquietudine del bene. Non devo lasciarvi dormire perché il
sonno sarebbe mortale. Nell’esercizio di questa autorità, essa deve assumere la
sofferenza di Cristo. Ciò che rende credibile Cristo, diciamolo in modo puramente
umano, è proprio la sua sofferenza. E questo è anche ciò che rende credibile la
Chiesa. Perciò essa acquista credibilità soprattutto quando ha martiri e confessori,
la perde quando si adagia” come dichiarava il cardinale Ratzinger nel libro-intervista
Il sale della terra. (J. RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa
cattolica nel XXI secolo. Un colloquio con Peter Seewald, Edizioni san PaoloMilano
29005, p.221).
E’ come se, con il Sinodo, segno di speranza nella nostra Chiesa, il
vescovo ci ricordasse le parole di San Paolo a Timoteo: “Figliolo, (…) insieme con
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon sodato di Cristo Gesù” (
2 Tm 2,3). Perché queste riforme, questo rinnovamento non saranno indolori. “Se il
chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore, produce
molto frutto” (Gv 12,24), ci dice in questo momento il Signore. Dobbiamo essere
intimamente e fermamente convinti che verso quelle riforme e quel rinnovamento
fortemente auspicati il Sinodo non ci andrà da solo. Ha bisogno delle nostre mani, dei
nostri piedi, del nostro cervello, della nostra anima, del nostro corpo e del nostro
sangue. Si sangue, carissimi confratelli, perché se dobbiamo rinnovarci interiormente
per primi dando l’esempio agli altri, dobbiamo accettare di morire a noi stessi, alle
nostre convinzioni che vanno nella direzione opposta a quella del Sinodo: “ (….) chi
ricopre un ministero dovrebbe prendersi la responsabilità di non annunciare e
produrre se stesso, bensì, mettendosi da parte, essere solo un tra mite di Dio per gli
altri. Dovrebbe essere innanzitutto uno che obbedisce e non cercare di dire anzitutto
la sua, ma chiedersi che cosa dice Cristo e quale è la nostra fede, per poi
sottomettersi ad essa” (J. RATZINGER, Il sale della terra, p.220). Mi sorprendo a
pensare al Sinodo come quel “giogo dolce e leggero” (Mt 11,30) da portare insieme,
quando spiego ai fidanzati che cosa significa il giogo matrimoniale. Mutatis mutandis
le parole che accompagnano il rito della consegna della candela durante la
celebrazione del sacramento del battesimo: “Ricevete la luce di Cristo, a voi genitori,
padrino e madrina è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete
alimentare”.
Per tenere sempre viva questa fiamma sinodale, dobbiamo essere
convinti che è solo partecipando alla sofferenza di Cristo, che il Sinodo acquisterà
maggiore fecondità al servizio del Vangelo. Non è un problema di autolesionismo né
di ricerca di logoranti sensi di colpa. Ma si tratta di una sofferenza che scatta
automaticamente quando il Vangelo è preso sul serio. San Paolo l’ha capito dopo
tanta fatica e tante lacrime nel suo ministero apostolico e l’ha espresso con la parola
greca thlipsis che si riferisce alle sofferenze apostoliche. All’inizio della sua
missione, quando qualcosa non riusciva o andava male, San Paolo pensava che fosse
colpa sua. E cercava subito di rimediare, di riparare magari andando a predicare in
un’altra città. Poi, più avanti negli anni, ha capito che ci possono essere cose che non
riescono, non a causa dei propri limiti, ma come un mistero di partecipazione alla
sofferenza di Cristo, la quale era senza causa da parte sua.
C’è nella sofferenza apostolica un mistero non spiegabile di
conformazione alla passione gratuita di Gesù. «Oderunt me gratis» (Sal 68,5), dice il
salmo. Mi hanno odiato senza motivo. Non avevano nessuna ragione per odiare Gesù.
Anche nella nostra esperienza di sacerdoti ci è capitato forse qualcosa di analogo a
ciò che avvenne a san Paolo. All’inizio, davanti a qualcosa che non andava, abbiamo
pensato che forse facendo le cose in un'altra maniera o preparandoci meglio prima di
affrontare qualche impegno particolare, le cose sarebbero andate diversamente. Ma
alla fine ci rendiamo conto che i nostri propri limiti ed i nostri numerosi peccati, che
pure hanno il loro effetto, non bastano a spiegare tutto. E’ che punto di vista
spirituale, niente è meccanico, niente è scontato. Commentando il Salmo 68,
soprattutto quell’”odio gratuito a Cristo” che si ripercuote sui suoi discepoli, il
Cardinale Godfried Danneels, Arcivescovo di Mechelen-Brussel, afferma: “(…)
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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credo che se anche dal Papa all’ultimo fedele fossimo tutti santi, se la nostra
testimonianza fosse limpida e la nostra missione meritevole, non è detto che tutta la
gente verrebbe per questo ad affollarsi impaziente alle porte delle nostre chiese, per
entrare. Forse ci odierebbero di più. Come hanno odiato Lui, senza motivo”.
Dobbiamo fare nostro quel principio di inappaggamento spirituale,
quella santa inquietudine di cui parlava l’allora Cardinale Ratzinger, il cor inquietum
del teologo Jurgen Moltman. Chi prenderà sul serio il Sinodo, come segno di
speranza nella nostra Chiesa, non si accontenterà mai del presente sempre parziale e
imperfetto. Contesterà tutte i tentativi che intendono stagnarsi nello statu quo, sarà
sempre una spina dolorosamente conficcata nel fianco della storia che tenta di
fermarsi e di anchilosarsi, anticiperà nell’oggi il futuro atteso e desiderato: « La fede,
quando si esplica nella speranza, non rende l’uomo tranquillo ma inquieto, non
paziente ma impaziente. Essa non placa il cor inquietum, ma è essa stessa questo cor
inquietum nell’uomo. Chi spera in Cristo non si adatta alla realtà così com’è, ma
comincia a soffrirne e a contraddirla. Pace con Dio significa discordia con il mondo,
poiché il pungolo del futuro promesso incide inesorabilmente nella carne di ogni
incompiuta realtà presente. Se avessimo davanti agli occhi solo ciò che vediamo,
accetteremmo serenamente o di malumore le cose come stanno. Ma il fatto che non ci
adattiamo e che non si stabilisca nessuna serena armonia tra noi e la realtà, è frutto
della inestinguibile speranza », scriveva il teologo Jurgen Moltmann ( Jurgen
Moltamnn, Teologia della speranza, Ricerche sui fondamenti e suelle implicazione di
una escatologia cristiana, Editrice Queriniana, Brescia 20027, p.15).
Maggiore consapevolezza, grande chiarezza sugli obiettivi da
raggiungere, cocciutaggine nel portare avanti la missione evangelizzatrice illuminato
dal Sinodo è sì un compito gravoso ed esaltante, come scrive il vescovo, ma questo
significa, per chi ne sarà fortemente e intimamente convinto, notti oscure, fiumi di
lacrime, sofferenze, a volte sentimenti di impotenza, qualche persecuzione raffinata e
subdola ma saranno il caro prezzo da pagare per rendere il Sinodo davvero strumento
efficace al servizio del vangelo e segno di speranza nella nostra Chiesa. Sarà il prezzo
da pagare per passare da una pastorale indolore e asservita al popolo, ad una pastorale
incisiva e feconda, a servizio di Cristo e della sua Chiesa. Ma chi riceverà con amore
e fede questo gravoso ed esaltante impegno vedrà dinnanzi a sé, la mano di Cristo:
Come cantano i miei ragazzi dell’Oratorio:
E ti rialzerà, ti solleverà
su ali d’aquila, ti reggerà
sulla brezza dell’alba
ti farà brillar come il sole,
così nelle sue mani vivrai.
CONCLUSIONE
Senza pretendere a essere esauriente sui segni della speranza nella
Chiesa, ho cercato di mettere in rilievo la presenza di quella mano di Cristo tesa ad
una Chiesa che cammina sul mare burrascoso del mondo. Mi auguro che per
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa
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discernere tanti altri segni che il Signore semina sul nostro percorso, sappiamo
ritagliarci cinque tipi di tempi, per ampliare il programma scolpito sulla Casa dei
bambini abbandonati di Calcutta. . Cerchiamo e troviamo ad ogni costi il tempo per
pregare, il tempo per meditare la Parola di Dio, il tempo per leggere, il tempo per
pensare, e il tempo per condividere la nostra fede con i confratelli e con il Popolo di
Dio che ci è stato affidato. Riconquistiamo il nostro ruolo come ministri della
Speranza. Come scriveva il vescovo Don Tonino Bello, essere segno della speranza
nella Chiesa non significa “portare i cristiani in sagrestia, perché diventino
consumatori dei beni religiosi senza stimolazioni per una presenza socioculturale nel
mondo. Qui si tratta di fare dei cristiani veri, capaci di discernere i valori, di
motivare la vita, di progettare l’esistenza, di denunciare i meccanismi perversi del
mondo, di collaborare nella costruzione della società, di portare nella sfera politica
la carica di liberazione propria del Vangelo, di stare veramente dalla parte degli
ultimi, di evangelizzare la cultura, il lavoro, il tempo libero.
L’integrazione tra fede e vita si limita spesso a contenere le prevaricazioni
dei comportamenti etici e a non sporgersi pericolosamente dai balconi della
sagrestia.
Dovremo essere più audaci come chiesa. Il Signore ci ha messo sulla bocca
parole roventi: ma noi spesso le annacquiamo col nostro buon senso. Ci ha costituiti
sentinelle del mattino: annunciatori cioè dei cieli nuovi e delle terre nuove che
irrompono; e invece annunciamo cose scontate, che non danno brividi, che non
provocano rinnovamento. E’ necessario che ci riprendiamo, (…) , il nostro ruolo di
ministri della speranza. E che si parli con la forza provocatoria del Vangelo”. (Don
Tonino BELLO, Catechesi. La buona notizia che ci scoppia dentro, Edizioni
Messaggero di Padova, Padova 2005, pp.85-86).
Grazie.
Don Jean Baptiste Sano
Monteleone Sabino (RI)
RITIRO DEL CLERO DEL 16 MARZO 2006 – Segni di speranza nella chiesa