Embeddedness e nuova sociologia economica: da Granovetter a

Embeddedness e nuova
sociologia economica: da
Granovetter a Polanyi e
Mauss.
LAVILLE Jean-Louis (1998). « Embeddedness e nuova sociologia economica: da
Granovetter a Polanyi e Mauss », Sociologia del lavoro, supplemento al n. 93, pp. 103-118.
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Embeddedness e nuova sociologia economica: da
Granovetter a Polanyi e Mauss*
di Jean-Louis Laville
In seguito ai lavori di Granovetter, la nozione di encastrernent si è imposta come centrale nella nuova sociologia economica (Steiner, 2002). Riconoscendo l'importanza e nello stesso tempo la polisemia di tale concetta,
questo intervento si propone di ripercorrere il dibattito tra Granovetter e
Polanyi. A questo scopo, una prima parte è dedicata a ricordare le due definizioni del concetto, rispettivamente reticolare e politica, espresse dai due
autori. La loro differenza, ma anche la loro possibile complementarità ormai riconosciuta da Granovetter (2000), dipende dal fatto che, in Polanyi,
l'analisi istituzionale non si riduce allo studio della cristallizzazione delle
reti di rapporti personali; essa include anche un approccio storico il cui valore euristico è stato sottolineato, per esempio, da Le Goff (1986: 19-20).
Ricollegato alla modernità democratica, il modo di procedere di Polanyi
permette di mettere in evidenza un duplice movimento che caratterizza i
rapporti tra economia e società, le cui linee generali sono sintetizzate nella
seconda parte di questo intervento. Se si adotta una lettura di questo tipo,
la convergenza tra Polanyi e Mauss emerge allora in un approccio pluralista all'economia, presentato nella terza parte di questo intervento. Secondo
l'ipotesi avanzata invece nella sua quarta parte, una lettura di questo tipo
suggerisce di sostituire il riferimento a una "grande trasformazione" con
un interrogativo sul tenore dei mutamenti istituzionali che potrebbero favorire la pluralità dell'economia, o in altre parole partecipare al suo réencastrernent democratico.
*. Traduzione dal francese di Cristiana Querzè.
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1. La definizione di encastrement: il dibattito tra Granovetter e
Polanyi
Per rompere con una concezione dell'azione economica atomizzata,
Granovetter sviluppa il concetto di encastrement prendendolo a prestito da
Polanyi (1983). Egli afferma così che l'azione economica è erzcastré all'intemo di reti di rapporti personali. Un encastrement reticolare di questo tipo
(Steiner, op. cit.) sfocia nella costruzione sociale delle istituzioni, come
dimostra la genesi dell'industria elettrica americana (Mac Guire, Granovetter, Schwartz, 1993). All'origine di tale costruzione esistono varie possibilità storiche, mentre la forma finale che essa assume è il risultato della cristallizzazione di determinati rapporti personali specifici. Se tale industria
può sembrarci oggi assai stabile e del tutto "naturale", la sua storia dimostra invece che essa avrebbe potuto svilupparsi nella prospettiva di configurazioni istituzionali diverse. In altre parole, l'istituzione nella sua forma
attuale non si spiega in termini di efficienza; vanno invece presi in considerazione altri fattori, in particolare le reti di rapporti personali da cui dipendono le soluzioni effettivamente adottate. L'analisi di tali reti può dunque essere utilizzata al fine di individuare i fattori esplicativi della formazione istituzionale, poiché per Granovetter le istituzioni possono essere definite come "reti sociali fisse".
Questo modo di considerare le istituzioni a partire dalla ricostruzione
delle condizioni di aggregazione delle azioni individuali, tuttavia, è stato
ritenuto uno dei limiti dell'approccio di Granovetter dai rappresentanti di
un'altra tradizione sociologica che presuppone l'esistenza di rapporti sociali che precedono, o addirittura determinano, le interazioni tra gli attori
sociali. Secondo questa teoria, un rapporto sociale può prevalere senza che
ne siano identificabili le interazioni: la dimensione strutturale dei rapporti
sociali possiede qualità che non sono riconducibili a relazioni personali di
qualsiasi tipo (Bourdieu, 1997; Wacquant, 1992). Nell'introduzione alla
traduzione dei suoi saggi scritta per i lettori francesi, Granovetter (op. cit.)
ritorna su questo argomento ammettendo che la sociologia economica anglofona dimostra una certa propensione a trascurare le forze culturali e politiche che vanno al di là delle reti. Egli vi individua una possibile complementarità con una sociologia economica francofona, influenzata da Polanyi, più incline a prendere in esame queste dimensioni. L'identificazione
di questi due registri produce un chiarimento che elimina le ambiguità legate al concetto di encastremerzt
Per Polanyi l'economia comprende l'insieme delle attività che derivano
dalla dipendenza dell'uomo nei confronti della natura e dei suoi simili. E-
gli descrive l'encastremerzt come l'incorporazione dell'economia così definita all'interno di regole sociali, culturali e politiche che governano determinate forme di produzione e di circolazione dei beni e dei servizi. Secondo Granovetter, invece, l'encastrement definisce l'incorporazione delle
azioni economiche all'intemo di reti sociali, che egli decide di circoscrivere a partire dai rapporti personali e dalle loro strutture. Si tratta della puntellatura che sostiene determinate reti sociali, che può, per esempio, spiegare l'itinerario seguito da alcune imprese nel loro sviluppo, o determinate
scelte tecniche che rimandano a rapporti di fiducia tra responsabili d'impresa ed esperti. Ciò non esclude che tali percorsi siano comunque finalizzati a un'economia commerciale. Granovetter si propone dunque di spiegare determinate traiettorie di istituzioni appartenenti all'economia commerciale, cosa che differisce dal progetto di Polanyi, incentrato invece sull'esplicitazione della dinamica del mercato e sull'analisi delle sue conseguenze sulla democrazia.
Da questa scomposizione del concetto globale di encastrement' deriva
la possibilità di utilizzarne le varie accezioni ai fini di una sociologia
dell'economia contemporanea. Tali accezioni del concetto di encastrement
non sono da intendersi come opposte, ma vanno invece considerate nella
loro complementarità, come sottolinea Granovetter (op. cit.: 39) invitando
a minimizzare le critiche rivolte al Polanyi "polemico" e riconoscendo il
contributo del Polanyi "analitico".
L'economia di mercato può essere studiata integrandone gli ambiti relazionali e istituzionali senza i quali essa non potrebbe aver luogo. Determinanti per comprendere alcuni mercati quali quello del lavoro, le reti relazionali - come nel già citato caso dell'industria elettrica - possono contribuire a spiegare alcune strategie d'impresa. Le scelte d'investimento guidate da una logica di rendimento del capitale sono talmente aperte che esistono casi in cui le decisioni delle imprese possono essere comprese
soltanto attraverso la mediazione delle reti di rapporti interpersonali,
spiegando così in parte le scelte effettivamente operate.
I1 quadro analitico di Polanyi non implica la negazione del fatto che le
relazioni commerciali siano sostenute da reti di rapporti personali. Ciò non
1. Alain Caillé aveva già messo in evidenza "l'indeterminatezza del concetto di encastrernent", distinguendone casi dall'aspetto estremamente variabile. All'approccio di Granovetter, che dimostra come i fattori economici siano sostenuti da reti di rapporti interpersonali, è possibile aggiungere le analisi in basi alle quali i fattori economici sarebbero in-
corporati all'interno della cultura (Weber, d'Iribame), della società globale (Polanyi), dello
Stato e della politica (scuola della regulation), oppure dell'economia stessa (scuola delle
convenzioni). Da parte sua, l'autore tenta di definire il proprio concetto di encastrenlent
all'interno della politica, cf. Caillé (1993: 251-252).
toglie che il concetto di encastrement sul quale egli insiste deriva dai limiti
imposti alla logica del mercato dalla comunità dei cittadini. Quando egli
concepisce l'economia come un processo istituzionalizzato, mostra quanto
l'acquisizione di un'autonomia da parte dell'attività economica sia un progetto politico che può essere confrontato con altre scelte. Al di là degli
scritti sull'encastrernent dal punto di vista storico (Steiner, 2002), egli avanza dunque l'ipotesi di un encastrernent di tipo politico, spiegando in
parte le forme assunte dalle attività definite economiche all'interno di una
società. Al di là delle forme sostenute da contatti interpersonali, la maggior
parte dei mercati esistenti è inquadrata all'interno di istituzioni che elaborano in particolare regole sociali o ambientali. L'intreccio fia mercati e istituzioni può essere ricollocato all'interno della tensione storica tra
deregulation e regulation, costitutiva dell'economia di mercato nella modernità democratica.
2. L'economia nella modernità democratica: il contributo di Polanyi
Per situare questa specificità dell'economia di mercato all'interno della
società contemporanea, Polanyi promuove vari studi antropologici che lo
portano a riflettere sulla definizione di economia. A suo parere il termine
economico, comunemente utilizzato per indicare un determinato tipo di attività umana, oscilla tra due poli di significato che nulla hanno a che vedere tra loro. I1 primo significato, quello formale, deriva dal carattere logico
della relazione tra fini e mezzi, come nei termini economizzare ed economo: la definizione di economico in relazione alla scarsità proviene da questo significato formale. I1 secondo significato, quello sostantivo, sottolinea
il fatto elementare che gli uomini non possono sopravvivere in assenza di
relazioni reciproche ed in mancanza di un ambiente naturale in grado di
fornire loro i mezzi di sussistenza necessari: da ciò deriva la definizione
sostantiva di economico. I1 suo significato sostantivo deriva dal fatto che
gli uomini, per quanto riguarda la loro sussistenza, dipendono evidentemente dalla natura e dagli altri uomini. Tale distinzione tra una definizione
di economico in relazione alla scarsità e una in relazione ai rapporti tra gli
uomini e tra questi e il loro ambiente si rifà all'edizione postuma delle opere di Menger, iniziatore dell'economia neoclassica, il quale individua due
direzioni complementari dell'economia; la prima è fondata sulla necessità
di economizzare per rispondere a un'insufficienza di mezzi, mentre l'altra,
che egli definisce direzione "tecnico-economica", deriva dalle esigenze fi-
organizzazioni, che non riconoscono soluzioni alternative al mercato, considerato principio primario.
Secondo Malthus, tuttavia, la convenzione in base alla quale il prezzo
misura l'utilità è valida soltanto a condizione di separare gli oggetti materiali, il cui aumento o la cui diminuzione possono essere soggetti a una valutazione e che per questo dipendono dall'economia, dagli oggetti immateriali che non rientrerebbero nel campo dell'economia. Come osserva Perret
(1999: 253), "l'espansione degli scambi monetari al di fuori del campo
dell'acquisizione di oggetti materiali indebolisce la pretesa, da parte della
scienza economica, di essere la scienza positiva dell'utilità". L'autonomia
dell'economia era giustificata dal fatto che essa poteva essere considerata
come infrastruttura della società in grado di regolamentarne la vita materiale e i mezzi di sussistenza; di conseguenza essa è rimessa in discussione
quando la distinzione rispetto alle sovrastrutture si fa confusa "poiché la
crescita economica procede invadendo le sovrastrutture, in particolar modo
i mondi dell'informazione, della comunicazione, della cultura" (Roustang,
2002: 11).
L 'identzjicazione del mercato con un meucato in grado di autoregolarsi
costituisce il secondo punto. Le ipotesi razionaliste e atomiste sul comportamento umano autorizzano lo studio dell'economia a partire da un metodo
deduttivo che procede per aggregazione grazie al mercato dei comportamenti individuali, senza considerare il quadro istituzionale in cui essi
prendono forma. Considerare il mercato come un meccanismo in grado di
autoregolarsi, vale a dire come un meccanismo di rapporto tra domanda e
offerta in base ai prezzi, porta a passare sotto silenzio i mutamenti istituzionali necessari perché ciò avvenga e a dimenticare le strutture istituzionali che lo rendono possibile. Ora, l'elemento d'integrazione rappresentato
dal prezzo trova origine soltanto in atti aleatori di scambio e dipende da un
processo istituzionalizzato, il che equivale a dire che esso è socialmente
organizzato.
Si può poi aggiungere un terzo punto che deriva logicamente dai primi
due: l'ident$cazione dell'impresa moderna con l'impresa capitalista. In
un'economia capitalista fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, la creazione di beni presuppone un possibile profitto da parte dei detentori di capitali. L'impresa è una "unità economica di profitto orientata
in funzione delle possibilità offerte dalle operazioni commerciali allo scopo di trarre beneficio dallo scambio"; "la valutazione del capitale costituisce dunque il fondamento della forma razionale dell'economia lucrativa",
poiché permette di calcolare se esiste un surplus "in relazione al valore
stimabile in denaro dei mezzi investiti nell'impresa" (Weber, 1991: 14-15).
I1 riconoscimento della società per azioni rende possibile un'inedita concentrazione di capitali poiché i diritti di proprietà possono essere scambiati
senza che i loro detentori abbiano bisogno di conoscersi, mentre la mediazione della borsa garantisce parallelamente una liquidità ai loro beni. "Nella misura in cui la valutazione del capitale è divenuta universale, esso costituisce ormai - insieme alle possibilità offerte dalle operazioni cornrnerciali - sia l'orizzonte dello scambio che quello della produzione di merci"
(ibid.).
L'economia affrontata come combinazione tra un mercato in grado di
autoregolarsi e la società di capitali produce infine un ulteriore sviluppo: il
progetto di una società radicata nel meccanismo della propria economia.
L'economia di mercato, quando non conosce limiti, sfocia nella società di
mercato, in cui il mercato ingloba ed è sufficiente a organizzare la società
stessa, mentre la ricerca dell'interesse privato realizza il bene pubblico
senza passare attraverso la discussione politica. L'affermarsi dell'utopia di
un mercato in grado di autoregolarsi differenzia la modernità democratica
dalle altre società umane in cui sono esistiti elementi di mercato senza che
si manifestasse la volontà di strutturarli in un sistema autonomo.
Ma il progetto della società di mercato si è rivelato impossibile da realizzare, poiché la società stessa ha reagito a questa prospettiva facendo ricorso a risposte specifiche per ognuno dei tre punti precedentemente ricordati.
Contro la riduzione dell'economia al mercato si ricorre al principio
della redistribuzione. Accanto all'economia di mercato esiste un altro polo
costitutivo della modernità democratica, quello dell'economia non di mercato, cioè di un'economia in cui la ripartizione dei beni e dei servizi è affidata alla redistribuzione. L'economia di mercato non è riuscita a realizzare
quella promessa di armonia sociale di cui si era fatta portatrice. Al contrario, con l'emergere della questione sociale, si fa strada la necessità di promuovere istituzioni in grado di contrastarne gli effetti pertubatori. Si ricorre quindi a un principio economico diverso dal mercato, quello della redistribuzione, attraverso un intervento pubblico che sancisce la nascita dello
Stato sociale; esso conferisce ai cittadini diritti individuali in virtù dei quali
essi possono beneficiare di un'assicurazione che copre i rischi sociali o di
un'assistenza che costituisce un'ultima risorsa per i più svantaggiati. I1
servizio pubblico coincide così con una somministrazione di beni o una
prestazione di servizi che possiedono una dimensione di redistribuzione
(dai ricchi ai poveri, dagli occupati ai disoccupati...) e le cui regole sono
stabilite da un'autorità pubblica sottoposta al controllo democratico.
siologiche della produzione, indipendentemente dall'abbondanza o dall'insufficienza dei mezzi. Queste due direzioni verso le quali può tendere
l'economia umana possiedono "origini essenzialmente diverse", ma sono
"entrambe primarie ed elementari" (Menger, 1923: 77). Questa considerazione era stata dimenticata e non risulta citata in alcuna presentazione
dell'economia neoclassica, poiché i risultati della teoria dei prezzi di Menger avevano incoraggiato, da parte dei suoi successori, una riduzione al
semplice significato formale della discussione, favorita anche dall'assenza
di una traduzione in inglese dell'edizione postuma delle opere di Menger2.
Polanyi suggerisce che questa limitazione nel campo del pensiero economico ha comportato una rottura totale tra l'economico e l'effettivo, come
anche l'affermarsi di economisti interessati soprattutto a una riflessione epistemologica sulla loro scienza (Bartoli, 1977; Maréchal, 2001; Passet,
1996; Perroux, 1970).
A partire dalla distinzione tra il significato formale e quello sostantivo
di economia, è possibile procedere a un'analisi dei fenomeni economici inerenti alla modernità democratica. Basandosi sulla congruenza tra progetto democratico ed economia di mercato espressa nelle dottrine utilitaristiche, la concezione formale struttura le rappresentazioni dell'economia intomo a tre punti.
L 'acquisizione di autonomia della sfera economica assimilata al merca-'
to costituisce il primo punto. L'occultamento del significato sostantivo
dell'economia sfocia nella confusione tra economia ed economia di mercato come esito di un lungo "ripiegamento" le cui tappe sono descritte da
Passet, dai fisiocrati ai neoclassici (Passet, op. cit.: 31-37). I1 concetto di
economia viene elaborato dai fisiocrati nel momento in cui il mercato si
costituisce in qualità di meccanismo di rapporto tra domanda ed offerta in
base ai prezzi; ma tanto in Quesnay quanto in Smith, fondatore della scuola classica, se l'economia di mercato viene affrontata come il corso naturale degli eventi, la sfera economica non è separata dal resto della società.
Con il passaggio alla scuola neoclassica, invece, nella quale i fondamenti
del valore sono legati alla sua utilità-scarsità, un'economia pura può essere
definita come la teoria della determinazione dei prezzi in un ipotetico regime di libera concorrenza assoluta dalla quale siano esclusi i fenomeni estranei al mercato; a meno di spiegarli come insuccessi del mercato stesso,
come faranno in seguito l'economia neo-istituzionale o l'economia delle
2. Come ricorda Polanyi, Hayek, definendone il manoscritto "frammentario e disordinato", intraprende una manovra editoriale tesa a screditarlo, giustificandone così la mancata
traduzione.
Contro la confusione tra mercato e mercato in grado di autoregolarsi,
si opera un accantonamento del mercato attraverso il suo inquadramento
istituzionale. Se esiste una tendenza tipica della modernità tesa al désencastrement del mercato, essa è stata contrastata da interventi il cui scopo era
quello di "socializzare" il mercato, cioè inserirlo in un insieme di regole
elaborate a partire da un processo di discussione politica. Storicamente, la
spinta verso I'instaurazione di un mercato in grado di autoregolarsi ha prodotto la creazione di istituzioni di controllo (Verley, 1999: 66-69). In altre
parole, la tensione tra désencastrement ed encastrement può essere considerata costitutiva dell'economia di mercato moderna. "La maggior parte
dei mercati oggi esistenti consiste prima di tutto in un insieme di regole, di
istituzioni, di reti che inquadrano e controllano la formazione e l'incontro
della domanda e dell'offerta". Ma tali istituzioni sono a loro volta messe in
discussione da una tendenza alla deregulation che sollecita "un allineamento di questi mercati diversificati rispetto a una norma ideale e impersonale
di mercato concorrenziale perfetto, cioè la desocializzazione dei mercati"
(Gadrey, 1999).
A tutto ciò bisogna aggiungere i tentativi di fondare imprese non capitaliste dando loro diritto di cittadinanza. I1 modello di base dell'impresa nella teoria economica neoclassica è quello in cui i diritti di proprietà sono detenuti dagli investitori. In questo quadro, l'obiettivo dell'impresa si riduce
alla massimizzazione del profitto, cioè all'accumulo di capitale finanziario.
I1 fattore lavoro è subordinato a questa logica di accumulo. Di fronte a
questo modello largamente dominante nella teoria economica, alcune analisi hanno dimostrato la diversità delle forme di proprietà, vale a dire la
diversità delle persone che possono detenere i diritti di proprietà e quindi
gli obiettivi di un'impresa. Le finalità di un'impresa dipendono dalla configurazione dei diritti di proprietà, cioè delle parti riceventi detentrici di tali diritti, poiché esse determinano gli obiettivi dell'impresa (Milgrom, Roberts, 1992: 790). Contrariamente a quanto avviene nelle imprese capitaliste, alcune imprese non sono detenute dagli investitori, ma da altri tipi di
parti riceventi e, di conseguenza, i loro obiettivi si differenziano dall'accumulo di capitale. Come sottolineano Hansmann (1996) o Gui (1991), le varie forme potenziali di proprietà corrispondono ad altrettanti tipi di parti riceventi3: tra queste, oltre agli investitori, figurano i lavoratori, i consumatori, i donatori... Le organizzazioni nelle quali i proprietari non sono gli investitori sono state oggetto di numerosi studi. La letteratura sull'autoge3. Per parti riceventi (in inglese stakeholders) si intendono "i gruppi di persone aventi un
interesse diretto nel fatto che l'impresa porti a termine operazioni proficue e durature"
(Milgrom e Roberts, 1992: 790).
stione ha preso in esame le imprese organizzate dai lavoratori. L'analisi
del mondo delle cooperative ha ugualmente messo in evidenza, a fianco
delle imprese in mano ai lavoratori, quelle controllate dai consumatori o
dai fornitori. Nella valutazione dell'attività economica sono così valorizzati altri criteri rispetto alla redditività del capitale finanziario: per esempio
l'accesso a un approvvigionamento, la qualità della prestazione di un servizio (Rose-Ackermann, 1986). I1 ricorso a un'azione economica di questo
tipo rimanda pure a una reciprocità in cui "il legame prevalere sul bene",
piuttosto che a una massimizzazione dell'interesse individuale.
Le reazioni nei confronti dell'utopia della società di mercato sono quindi state diverse: il ricorso ad altri principi economici, la creazione di istituzioni di controllo atte a stabilire regole per quanto riguarda la sfera del
mercato, il ricorso a forme di proprietà diverse dal capitalismo. Molti autori sono entrati in polemica con Polanyi per quanto riguarda la datazione di
una fase storica della società di mercato. Ma il messaggio essenziale che
possiamo ricavare da Polanyi risiede altrove, cioè nell'identzficazione di un
duplice movimento che caratterizza l'economia nella modernità democratica: un primo movimento esprime la tendenza al désencastrement di una
economia limitata a un mercato in grado di autoregolarsi e a un'unica
forma d'impresa; a tutto ciò corrisponde un secondo movimento il quale
esprime una tendenza opposta verso il réencastrement democratico dell'economia attraverso un approccio pluralista.
In questo senso il problema delle relazioni tra economia e democrazia
non può essere considerato secondario e Polanyi ne propone una problematizzazione che prosegue le ricerche dei fondatori della sociologia economica sui rapporti tra economia e società. La sua originalità, in particolar
modo, può essere sintetizzata nei seguenti punti.
Nelle società pre-capitaliste i mercati sono limitati, mentre la maggior
parte dei fenomeni economici che possiamo isolare sono soggetti ad un inserimento all'interno di norme e istituzioni preesistenti da cui essi prendono forma. L'economia moderna si distingue per la sua tendenza al désencastrement. Ma, come abbiamo visto, questa tendenza risulta perturbante
nei confronti della società e produce una reazione da parte di quest'ultima;
tale reazione comporta alcune forme di réencastrement. I mercati reali cedono a forme di encastrement reticolari e istituzionali. I1 progresso del
mercato, inoltre, non decreta la scomparsa di forme di economia basate
sulla redistribuzione e sulla reciprocità. Redistribuzione e reciprocità persistono all'intemo di economie moderne in cui la redistribuzione pubblica
testimonia, nella sua stessa concezione, un encastrement dell'economia
nella politica e in cui il mantenimento di relazioni di reciprocità esprime
parallelamente un encastrement dell'economia nella cultura. I1 désencastrement dell'economia è quindi soltanto tendenziale, mentre numerose relazioni di mercato, così come l'esistenza di poli non di mercato e non monetari dell'economia, attestano la persistenza di molteplici forme di encastrement. Di conseguenza, nonostante l'impatto del progetto di una società
di mercato, nelle società contemporanee l'encastrement politico dell'economia non è scomparso e può quindi essere analizzato. Esso trova espressione, fra l'altro, nei diritti sociali e in disposizioni legislative e regolamentari quali le istanze di negoziazione collettiva. Vari autori, tra cui Zukin e
Di Maggio (1990), hanno d'altra parte insistito su questo concetto di encastrement politico, criticando il ribaltamento della nozione di encastrement
sulle reti sociali.
Per Polanyi l'autonomia del mercato è un'utopia liberale che viene periodicamente riattualizzata e contrastata dalla creazione di istituzioni di
controllo. Alle spinte deregolatrici corrispondono iniziative sociali che circoscrivono il funzionamento dell'economia all'interno di regole che garantiscono il rispetto dell'ambito democratico. I1 discorso di Polanyi è incentrato sul tema dell'encastrement politico e privilegia lo studio dell'inserimento dell'economia in un quadro politico. Un orientamento di questo tipo
non implica comunque una mancanza di interesse per la comprensione delle attività economiche sostenute da reti sociali. Al contrario, in questa prospettiva teorica, la sociologia economica non si riduce a una sociologia dei
mercati, ma può essere intesa come prospettiva sociologica applicata a
un'economia pluralista del mercato; un'economia, cioè, che non si limita
unicamente all'economia di mercato e in cui il mercato non è soltanto
quello in grado di autoregolarsi.
Nell'anlbito di una riflessione di questo tipo, la scissione in seno alla
sociologia tra i "critici moralizzatori" del mercato e gli analisti dell'encastrement del mercato, auspicata per esempio da Zelizer (1992) o Le Velly
(2002), perde la propria ragione di esistere. Se il riferimento alla società di
mercato consiste in un'ideologia che nega l'encastrernent del mercato pur
plasmando e influenzando l'economia "anziché osservarne il funzionamento" (Callon, 1998: 2), la pregnanza di questo assunto porta a coniugare,
senza opporli, lo studio delle varie forme di encastreme~ztdel mercato e
quello del ricorso ad altri principi economici.
Contrariamente a quanto sostengono alcuni autori, si può essere
d'accordo con Caillé (1982-1983) sul fatto di non distinguere tra dinamiche di mercato e di capitalismo nelle società contemporanee. I1 mercato in
grado di autoregolarsi e la proprietà privata dei mezzi di produzione sono
principi economici di circolazione e di produzione dei beni articolati in ba-
se a un medesimo riferimento e volti alla massimizzazione del profitto. La
produzione orientata al profitto e lo scambio commerciale, quando escono
dall'ambito dei "principi generali di comportamento" di cui fanno parte,
finiscono per destabilizzare la società, come già aveva compreso Aristotele
mettendo in guardia i suoi contemporanei contro l'influsso della crematistica.
Allo stesso modo anche le differenze introdotte da Braudel (1980) tra
economia di base, mercato e capitalismo possono essere relativizzate. Oltre
al fatto di separare mercato e capitalismo, esse stabiliscono una gerarchia
tra le varie categorie economiche, mentre le diverse forme di integrazione
(mercato, redistribuzione, reciprocità) implicano soltanto una distinzione
tipologica e si prestano a un'analisi degli equilibri tra le forme stesse e il
loro intrecciarsi a seconda delle società.
3. Le convergenze tra Polanyi e Mauss
Valendosi di una varietà di motivazioni umane e di una possibile definizione sostantiva dell'economia, Polanyi sottolinea la pluralità dei principi
economici e la dimensione istituzionalizzata del mercato.
Un suo accostamento a Mauss è possibile poiché quest'ultimo riconosce
la pluralità delle forme di proprietà e insiste sul fatto che l'organizzazione
economica è un insieme di economie spesso opposte (Mauss, 1997) create
da istituzioni sociali evolutive. "La proprietà, il diritto, l'organizzazione
operaia sono fatti sociali, reali, che corrispondono alla reale struttura della
società. Ma non si tratta di fatti materiali; essi non esistono al di fuori degli
individui e delle società che li creano e li fanno vivere, che li vivono. Essi
esistono soltanto nel pensiero di uomini organizzati in una società. Si tratta
di fatti psichici. I fatti economici, a loro volta, sono fatti sociali (moneta,
valore, ecc...), quindi fatti psichici, esattamente come gli altri fatti sociali a
essi connessi, che essi condizionano e che li condizionano, per esempio il
diritto di proprietà" (Mauss, op. cit.: 76). Se la proprietà individuale può
essere chiamata in causa soltanto limitando la libertà, a questa possono essere aggiunte "una proprietà nazionale e delle proprietà collettive sopra, a
fianco e sotto le altre forme di proprietà e di economia" (ibid.: 265).
Non esiste un unico modo di organizzazione dell'economia che rappresenti l'espressione di un ordine naturale, ma vi è un insieme di forme di
produzione e di ripartizione coesistenti. "Non esistono società esclusivamente capitaliste. Esistono soltanto società che possiedono un regime o
piuttosto - cosa ancor più complessa - sistemi di regime più o meno arbi-
trariamente definiti dalla predominanza di uno o dell'altro di tali sistemi o
istituzioni". Per Mauss le rappresentazioni individuali producono azioni e
pratiche sociali che le istituzioni normalizzano attraverso la politica definendo l'ambito all'interno del quale tali pratiche possono avere luogo, influenzando così di rimando le rappresentazioni. Le istituzioni sono mutevoli perché sono convenzioni sociali che esprimono e nello stesso tempo
delimitano il campo del possibile; il loro studio può permettere di acquisire
"la coscienza precisa dei fatti e la comprensione, se non la certezza, delle
loro leggi"; esso contribuisce così a un distacco dalla "metafisica" di cui
sono impregnati "i termini in ismo" come capitalismo. Affermare l'esistenza di una società capitalista dipende dal fatto di supporre una coordinazione perfetta delle rappresentazioni individuali, mentre in realtà esiste soltanto una dominante capitalista, poiché "un sistema economico si compone di
meccanismi istituzionali contraddittori, irriconducibili gli uni agli altri".
Un altro punto di convergenza tra Mauss e Polanyi consiste nella loro
comune critica all'interesse materiale come unica motivazione individuale
nella sfera economica. Mentre Mauss (1923) ha un'intuizione decisiva
supponendo che gli scambi economici derivino dall'atto del dono, inestricabile cornrnistione tra interesse e disinteresse, Polanyi insiste sulla limitazione dell'atto razionale all'atto razionale finalizzato come logica conseguenza della definizione formale di economia. Secondo quanto egli afferma, "il solipsismo economico" consiste nel considerare naturale l'atto razionale finalizzato, producendo una dissoluzione delle questioni politiche
nel paradigma dell'interesse: poiché le motivazioni umane sono state scisse in "materiali" e "ideali", le motivazioni materiali sono le uniche a intervenire nell'attività economica. Eppure, se l'individuo è soggetto non soltanto all'atto razionale, inteso come atto strumentale o strategico guidato
dall'interesse, ma anche all'atto "ragionevole", il quale implica considerazioni morali e un sentimento di giustizia, o addirittura un'inevitabile soggettività, allora l'atto sociale, compresa l'azione economica in quanto sua
modalità, può dipendere da differenti principi di legittimità. Vengono così
chiamati in causa i presupposti atomisti che presiedono alla concezione del
soggetto considerato come agente in una assiomatica del contratto. Su questo piano ritroviamo dunque le scelte della teoria delle convenzioni.
Come è avvenuto anche nel caso di Mauss, le teorie di Polanyi sono state utilizzate soprattutto per quanto riguarda le società tradizionali, ma è
possibile affermare che esse si rivelano utili ad analizzare anche la situazione attuale. I1 contributo di Polanyi e di Mauss può essere interpretato
come la disponibilità di una serie di analisi che permettono di comprendere
il carattere pluralista dell'economia reale attraverso la dimostrazione della
esistenza di una varietà di principi economici di ripartizione e di produzione e parallelamente attraverso l'attenzione riservata alle forme di inquadramento istituzionale del mercato. Il riferimento a un'economia pluralista
presenta il vantaggio di rispettare i fatti e può contribuire a evidenziare
tanto le complementarità quanto le tensioni e i conflitti tra poli economici
opposti.
4. Verso una nuova concezione dei mutamenti sociali?
L'estensione del mercato "ha incontrato un movimento di opposizione
che controlla tale espansione in determinate direzioni per proteggere la società" (Polanyi, 1983: 179). Da qui, secondo Polanyi, doveva avere origine
il passaggio a "una grande trasformazione" che avrebbe liberato la società
dalle minacce impostele dal liberismo economico. Ma, come ricorda Dumont (1983), nei regimi fascisti e comunisti questo tentativo è sfociato
nell'abolizione della libertà e nel dominio dell'oppressione. La coesistenza
di libertà e uguaglianza non è stata assicurata da una grande trasformazione, ma da una "soluzione priva di una formula precisa" in cui gli effetti del
mercato venivano corretti dall'intervento dello Stato. In questa sua affermazione Dumont sottovaluta la coerenza delle società industriali "fordiste"
e "assistenzialistiche" nelle quali le regole sociali si imponevano sull'economia di mercato attraverso la legislazione e la negoziazione collettiva e
nelle quali era allo stesso tempo organizzato un vasto insieme redistributivo di economia non di mercato le cui regole erano stabilite dallo Stato sociale. Tuttavia l'autore rileva giustamente il carattere reversibile di tale
compromesso di cui la "mondializzazione" ha scalzato i fondamenti, esonerando il mercato da determinate regole sociali percepite come rigidità e
delegittimando l'economia non di mercato, assimilata ad un'escrescenza
burocratica.
I1 problema posto è, quindi, quello di individuare istituzioni che siano in
grado di assicurare la pluralità dell'economia per inserirla in un ambito
democratico, fattore che la logica del profitto materiale mette a rischio
quando diviene unica e senza limiti. La risposta a questo problema può essere individuata soltanto a partire da creazioni istituzionali ancorate alle
pratiche sociali; sono infatti queste ultime che possono indicare la strada
da percorrere per un reinserimento dell'economia all'intemo di norme democratiche. I1 ritorno a precedenti compromessi è destinato al fallimento e
la riflessione sulla coesistenza di uguaglianza e libertà, che rimane il punto
cruciale della democrazia in una società complessa, può progredire soltan-
to tenendo conto delle reazioni provenienti dalla società. E qui troviamo un
altro punto d'incontro tra Mauss e Polanyi: è necessario ricorrere alle pratiche sociali per testimoniarne l'esistenza e analizzarle, o in altre parole
partire dal "movimento economico dal basso" e non da un progetto di riforma sociale "dall'alto". Si tratta dell'espressione di una nuova concezione dei mutamenti sociali, mutamenti che "non esigono affatto alternative
rivoluzionarie e radicali, scelte brutali tra due forme di società contrapposte", ma che "avvengono e avverranno attraverso processi di costruzione di
nuovi gruppi e istituzioni a fianco e al di sopra di quelli esistenti" (Mauss,
op. cit.: 265).
Per concludere, come Granovetter possiamo dire di preferire il Polanyi
"analitico" al Polanyi "polemico". Nonostante la forza delle dinamiche del
mercato e del capitalismo nella società contemporanea, l'economia reale
non si limita a questo. In altri termini, il mercato in grado di autoregolarsi
o la società di mercato sono prospettive, piuttosto che realtà dell'economia
osservabili in un determinato periodo storico. Ecco perché il concetto di
"grande trasformazione", con tutto ciò di ineluttabile che esso comporta,
può essere sostituito dallo studio delle tensioni ricorrenti tra economia e
democrazia. La sfera economica e quella politica non sono tra loro confuse
né separate e lo studio delle costruzioni istituzionali attraverso le quali è
avvenuta la loro articolazione può costituire uno dei temi della nuova sociologia economica.
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