Mercoledì di Cultura e Formazione con Linguaggio Filmico La partecipazione è aperta a tutti e approfondisce i temi del Corso di Animazione e Cooperazione Missionaria. Mercoledì 12 dicembre Aula 24 Ore 13.00 – 15.00 Water un film di Deepa Mehta La regista indiana Deepa Mehta nel suo film Water descrive la vicenda delle vedove nella società indiana del 1938, periodo nel quale l’India era una colonia inglese, ma è già influenzata dall'accresciuta popolarità del Mahatma Gandhi che ispira il movimento anticoloniale.. Il film è un capolavoro, presenta la realtà con un’ottima coreografia e offre un buon argomento alla nostra riflessione. Il tutto porta a sentire vivo il dolore e la condizione subita dalle donne in un ambiente dove spiritualità, legge e società non ascoltano il loro grido. Il conflitto si rende evidente tra grandi pensieri e ignoranza, religione e legge. La vita della nostra regista oggi è a rischio perché ha il coraggio di presentare realtà drammatiche come questa. Questo film non è stato accettato dai fondamentalisti indù e così la regista è stata costretta a spostare il set in Srilanka. Il film presenta le vedove Hindu che vivono nella città sacra ‘Banares’, oggi Varanasi, vicino al fiume ‘Gange’ che per gli Hindu è sacro e nel quale ciascuno fa il bagno per la remissione dei peccati. Un buon numero di scene sono profondamente commoventi e fortemente drammatiche; le musiche e la cinematografia impressionanti. Il titolo, Water, è metaforicamente il più adatto al film. L’Induismo considera l’acqua come il dono del creatore all’umanità. Le immagini dell’acqua tornano spesso in tutto il contesto del film attraverso la pioggia e il fiume che costituiscono lo sfondo della narrazione centrale del film e nella sua tragica conclusione. Le vedove sono donne condannate per la sola colpa di avere il marito defunto. Un marito che molte volte non veniva conosciuto nemmeno dalle spose a causa della giovanissima età nella quale venivano sposate. Nella religione Indù, il matrimonio è un sacramento e il suo legame dura sette vite. Secondo la tradizione della società di allora in alcune zone dell’India le vedove indù avevano tre scelte: 1. Sposarsi il fratello più giovane del marito defunto. 2. Gettarsi sulla pira funebre del marito defunto (nel funerale il corpo si mette nel fuoco e le ceneri rimaste vengono immerse nella fiume per la purificazione). 3. Condurre una vita segregata dal mondo (mettono vestiti bianchi, tagliano capelli e alcune abitano in comunità di vedove sostenute dal tempio o dai ricchi). La storia comincia quando all’età di otto anni Chuyia (Sarla) è vittima di un matrimonio tra bambini estesamente praticato nell’India del tempo. Suo marito, più vecchio di 50 anni, muore, ma la piccola non ricorda neanche di essersi sposata eppure si ritrova a vivere in un ashram di vedove. Turbata e sconcertata, Chuyia porta nella vita delle altre vedove del decrepito ashram la sua giovane vitalità dove una vecchia e corrotta vedova, Madhumati, domina l'ashram e fuma marijuana. Per sostenere l'ashram fa prostituire la bella giovane vedova Kalyani i cui capelli non sono stati rasi per renderla attraente ai clienti. Le altre figure chiave dell'ashram sono una donna anziana nota come ‘zia’ che diviene il conforto di Chuyia e Shakuntala che è come una madre per lei. Quando un bel giovane laureato in legge, Narayan aiuta Chuyia ad prendere il cucciolo di Kalyani, si innamora di lei. Il loro amore minaccia le dinamiche tradizionali nell'ashram. Narayan è un oppositore delle oppressioni di casta e un sostenitore di Mahatama Ghandi e della sua “resistenza passiva e pacifica”. Profondamente innamorato, rifiuta l’oppressione delle vedove e chiede a Kalyani di sposarlo. Madhumati è irritata e cerca di impedire il loro matrimonio imprigionandola nell'ashram. Kalyani frattanto scopre che il padre di Narayan è stato uno dei suoi clienti e la trama ha una svolta tragica. Le scena finale del film coinvolge Gandhi che offre il suo appoggio e segna la fine del colonialismo, la revisione del sistema delle caste e di altre forme di oppressione economica e sociale. Ma le regole prevalenti della società indiana prediligono ancora la prevalenza dell’uomo sulla donna. Oggi certamente la tradizione di sposare i bambini e il sistema di ‘Sati’ sono proibite dalla legge, però le condizioni delle vedove sono ancora molto delicate e non sono accettate dalla società. Perciò ancora si ha bisogno di intervenire con l’educazione e l’evangelizzazione nella scuola. Varanasi prima chiamava Banares. Un paese detta Sacra perché il fiume Ganga si scorre e anche una città di studiosi religiosi induisti, ritualisti e fundamentalisti praticante di l’induismo.