MOTHER INDIA SCHOOL India, Goa, Asven aprile 2009 UNA VITA DI CARTAPESTA foto e testo di Gaia Champa Reale La loro è una storia di dignità e poesia. Vishwadhara, una giovane vedova e le sue due figlie, Vijaya e Wishweta. Tre donne che vivono in India, Goa, più precisamente ad Asven, una località piena di resort sulla spiaggia e turisti. La piccola casa con l'insegna Coco Art non passa inosservata, così diversa dal contesto in cui si trova: piccola, dipinta d'azzurro e circondata da alberi, ha un telefono grande e rosso fiammante posto sul muretto che da sulla strada. Appena arrivo, entro nel piccolo cortile, le scarpe sulle scale e una stella disegnata con il gesso a protezione della casa, entro dentro e sulle pareti tante facce di coloratissimi Ganesh, Shiva e maschere scaccia-demoni, fra i volti spicca la foto di un uomo incorniciata da fiori freschi. E' Vishwanath Shetgaoinkar, marito di Vishwadhara, morto quattro anni fa per un'allergia alle polveri che usava per dipingere i quadri e lavorare il gesso per creare le maschere delle divinità induiste. Era un artista e casa sua è ancora aperta a tutti coloro che incuriositi entrano per comprare o semplicemente guardare la magia di cui sono ricchi gli indiani, la loro capacità di vivere la vita come un gioco, di portare nella realtà le loro paure e i loro desideri. Per ogni esigenza c'è una divinità. A Parvati si chiede salute e longevità, a Ganesh ricchezza e prosperità, Lakshmi è la dea dell'abbondanza, Hanumman il dio del vento e così via. In un angolo a sinistra della stanza la vespa di Vishwanath è ancora lì, coperta da un telo di plastica verde e in fondo a destra l'unico divano della casa. Vishwadhara mi ha sentita arrivare e subito mi ha accolta con una tazza di chai bollente, parla solo l'hindi e qualche parola d'inglese insegnatale dalle figlie che lo studiano a scuola. Mi dice di seguirla, passo attraverso un piccolo corridoio, due piccole e rotonde borse di corda intrecciata sono appese al muro di fianco alle divise della scuola, Vishwadhara m'informa che Vijaya e Wishweta sono andate di mattina presto al tempio, come ogni domenica. Entro in cucina, è una stanza spoglia, le pareti in muratura grigia assorbono tutta la luce che entra dai due lucernai sul tetto e in fondo a sinistra una doccia. Vishwadhara ha appena finito di pulire il pesce e sui fornelli una padella di olio caldo per friggere e una pentola di riso stanno bollendo. Mi racconta che la doccia è stata comprata solo un anno fa, dopo essere riuscita a mettere da parte un po' di soldi della vendita delle mschere. All'improvviso un'ondata di “halò, halò” mi chiama fuori dalla porta ed eccole arrivare, Wishweta e Vijaya, dodici e tredici anni, capelli corti e occhi svegli. Sono un po' intimidite dalla mia presenza e allo stesso tempo incuriosite, mi portano in camera da letto, l'unica della casa, un letto a una piazza e mezza in cui dormono tutt'e tre, a sinistra un armadio di legno, un televisore in cui trasmettono soap opere indiane e a destra mensole con i libri di scuola. E' sempre qui che mangiano e studiano. L'intimità della casa è tutta racchiusa in quest'unica stanzetta, resa già preziosa dai dipinti sul muro fatti dal papà. Pian piano entro nel ritmo della loro giornata. Mentre mangiamo insieme riso, chili e pesce fritto, Vishwadhara, che preferisce mangiare dopo da sola, mi racconta che è riuscita ad imparare dal marito a fare le maschere colorate e che grazie a questo è riuscita a sollevarsi dalla condizione a cui era stata destinata, una vedova. La situazione delle vedove oggi è migliorata ma in India esistono ancora degli ashram in cui vivono vedove ghettizzate e isolate dalla popolazione. La patria podestà dopo il matrimonio passa dal padre al marito e se questi muore la donna non può risposarsi, perde di valore e rispetto nella comunità e molte di loro, consapevoli di questo, preferivano, in passato, morire con il marito piuttosto che vivere da vedove dopo la sua morte. Per Vishwadhara e le sue figlie è stato diverso, porta ancora il bindi nero sulla fronte ma ha smesso di portare il sari bianco, entrambi simboli dello stato di vedova. La sua maggiore paura è legata alle figlie, crede che diventate grandi possano dimenticarsi di lei e non volerle più bene. Mi dice anche di avere un aiuto dal governo, 1000 Rs al mese, pari a 16 euro ma non bastano per vivere, allora con orgoglio mi mostra il telefono rosso appoggiato sul muro del recinto di casa che da sulla strada. Mi dice che era un regalo di una sua sorella e che lei si è ingegnata per poterne ricavare un profitto. Così ha deciso di farne un telefono di uso pubblico in cambio di soldi. Per tutti coloro che abbiano bisogno di chiamare ci sarà sempre un telefono rosso sgargiante a disposizione e maschere di cartapesta per sognare. 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14