FARMACOLOGIA Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACOCINETICA V IE DI SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI 1. Vie di somministrazione enterali dei farmaci La farmacocinetica è quella parte della farmacologia che studia i meccanismi di: 1. 2. 3. 4. Assorbimento: modalità in cui il farmaco entra nell’organismo. Distribuzione: eventuale fuoriuscita del sangue dal torrente ematico e distribuzione nei compartimenti dell’organismo. Metabolismo: il farmaco viene metabolizzato e modificato da organi specifici quali fegato, rene e altri tessuti grazie a processi di biotrasformazione. Eliminazione: modalit{ con cui il farmaco lascia l’organismo. La via di somministrazione di un farmaco può essere di 2 tipi: ENTERALE o PARENTERALE. Di questi è possibile utilizzare sia vie NATURALI che ARTIFICIALI. Le vie enterali sono tutte naturali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 VIA ORALE È la via più complessa e prevede un assorbimento LENTO e IRREGOLARE. Ciò significa che il passaggio del farmaco nel sangue è piuttosto lento a causa della necessità di attraversare tutto il tratto gastro-enterico per poi giungere alla mucosa duodenale che ha la massima capacità assorbente. Alcuni farmaci vengono assorbiti anche in piccole quantità dalla mucosa gastrica. Inoltre il farmaco viene spesso somministrato sotto forma di capsula e di conseguenza deve attraversare anche il processo di disintegrazione, oltre a quelli di solubilizzazione ed assorbimento. Viene definito irregolare in quanto non è possibile stabilire con esattezza l’entit{ delle concentrazioni plasmatiche visto che esistono diversi fattori interferenti. Fattori fisico-chimici: salificazione, solvatazione, polimorfismo… Fattori di formulazione: soluzioni, sospensioni, capsule, compresse, compresse protette e preparazioni a cessione ritardata. È evidente che un farmaco dato in soluzione ha una cinetica più rapida visto che salta il passaggio della disintegrazione della capsula. Esistono formulazioni capsulate per evitare sia la liberazione a livello gastrico che induce danni, sia la distruzione del principio da parte dei succhi gastrici.. Fattori fisiologici: ripienezza gastrica (dopo un pasto abbondante il tempo di svuotamento gastrico aumenta e il farmaco può essere esposto alle sostanze lesive gastriche che lo rendono inutilizzabile), motilità intestinale (una motilità eccessiva come nel caso della diarrea porta ad un’incapacit{ dell’utilizzo del farmaco che viene eliminato senza essere assorbito. Caso opposto della scarsa motilità in cui il farmaco resta per troppo tempo nel tubo digerente e può causare danni), natura dei cibi ingeriti, vascolarizzazione (dove ci sono più vasi maggiore sar{ l’assorbimento), secrezioni intestinali, circolo enteroepatico (ricircolo del farmaco una volta metabolizzato dal fegato verso l’intestino attraverso la bile e nuovamente assorbito), effetto di primo passaggio (evento che si verifica per il trasporto del farmaco assorbito verso il fegato tramite il circolo portale e qui avviene una immediata modifica di parte del farmaco assorbito che viene modificato. Anche la parete dell’intestino stesso contribuisce all’effetto di primo passaggio visto che sulla mucosa sono concentrati enzimi chiave nel metabolismo dei farmaci). Fattori clinici: interventi chirurgici (come resezioni intestinali che tolgono parte del tubo digerente dall’assorbimento del farmaco), malattie infiammatorie croniche intestinali, interazioni farmacologiche (come uso di antiacidi per problemi gastrici). VIA SUBLINGUALE Si tratta di una modalità più rapida rispetto alla via orale in quanto il farmaco viene a contatto con la mucosa sublinguale ed entra direttamente nel circolo capillare penetrando nel sistema venoso. In questo modo si hanno vantaggi come l’eliminazione dell’effetto di primo passaggio visto che vengono bypassati sia il filtro epatico che intestinale e in più si evita che i succhi gastrici degradino il farmaco. Non può essere usato nei casi di : - Farmaco non assorbito dalla mucosa orale - Farmaco che non si scioglie rapidamente in bocca - Farmaco irritante o dal sapore molto sgradevole Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 VIA RETTALE Modalità di assorbimento lento e irregolare a causa di diversi fattori come lo stato di riempimento dell’ampolla rettale, la superficie di assorbimento limitata e la possibile irritabilità della mucosa rettale a contatto con certe sostanze. In parte viene saltato il filtro epatico e i fenomeni di biotrasformazione visto che circa il 50% del retto vede un drenaggio venoso da parte del plesso emorroidario che sfocia nella cava inferiore. Può essere utile nei casi di farmaci antiemetici. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 2. Vie di somministrazione parenterali dei farmaci Vengono utilizzate queste vie quando il farmaco è scarsamente assorbito dal tratto gastrointestinale o per farmaci come l’insulina che sono altamente instabili nell’apparato digerente. VIE NATURALI VIA TOPICA (CUTE INTEGRA E MUCOSE) Questa modalità naturale determina un assorbimento nel complesso lento e irregolare. Per quanto riguarda la cute lo strato corneo è una barriera difficile da superare per il farmaco e di conseguenza impiegherà più tempo riuscendo maggiormente a penetrare nelle zone in cui ci sono continuità sottocutanee come gli sbocchi delle ghiandole sebacee e sudoripare e i bulbi piliferi. L’assorbimento può essere favorito da: - Utilizzo di mezzi oleosi - Riscaldamento della cute - Bendaggio occlusivo - Massaggio - Ionoforesi. Un esempio è il clotrimazolo utilizzato topicamente per la cura delle dermatofitosi. Per quanto riguarda le mucose l’assorbimento è maggiore e in genere viene utilizzata questa via quando si vogliono avere effetti localizzati, in alcuni casi tuttavia l’assorbimento è così consistente che si sviluppano anche effetti sistemici. Anche qui l’assorbimento può essere modificato cambiando la forma farmaceutica. Un esempio è l’atropina utilizzata in oculistica per dilatare la pupilla. VIA INALATORIA Questa metodica naturale è utilizzata soprattutto per le patologie polmonari e bronchiali in cui c’è necessit{ di raggiungimento di massima concentrazione del farmaco nella zona interessata. Può essere suddivisa in 2 categorie in base al tipo di formulazione farmaceutica: 1) Gassoso: assorbimento molto rapido (quasi come la via endovenosa) grazie all’ampia superficie alveolare di scambio con capacità delle particelle di entrare direttamente in circolo. L’assorbimento è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas nell’alveolo. 2) Aerosol: l’assorbimento è in genere rapido, anche se può modificarsi in base alla dimensione delle particelle. Infatti le particelle troppo piccole vengono eliminate con l’espirazione, quelle troppo grandi si bloccano. VIA NASALE Modalità raramente usata che può essere utile per somministrare desmopressina nei pazienti con diabete insipido, calcitonina contro l’osteoporosi e con il farmaco d’abuso cocaina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 VIE ARTIFICIALI VIA ENDOVENOSA (EV) Modalità di somministrazione più utilizzata e più efficace sicuramente a breve termine. Il farmaco viene iniettato nel torrente venoso e raggiunge subito la concentrazione efficace, viene saltato il passaggio dell’assorbimento. In più si possono monitorare accuratamente i livelli circolanti di farmaco. Viene usata quando il farmaco è irritante per i tessuti e quando è necessario somministrare grandi quantità di liquidi. Chiaramente però ci sono dei possibili effetti collaterali come l’infezione (dovuta all’ingresso di batteri nel sito di iniezione), tromboflebiti, embolia, reazioni anafilattiche ed emolisi (dovuta al passaggio troppo veloce di concentrazioni di farmaco al plasma e ai tessuti). VIA INTRAMUSCOLARE (IM) Questa metodica viene usata se il farmaco è irritante per i tessuti, se l’iniezione è dolorosa. Infatti in genere l’assorbimento è rapido, ma dipende comunque dalla solubilità del farmaco nel LEC e dal flusso ematico locale. È infatti importante che il farmaco sia idrosolubile per permettere una diffusione ottimale nel liquido interstiziale. L’assorbimento può essere accelerato attraverso massaggi o riscaldamento della zona, oppure può essere anche ritardato ad esempio somministrando al paziente dei vasocostrittori per mantenere il farmaco in sede per più tempo ed evitare la distribuzione. C’è il rischio di creare ematomi, ascessi sterili, necrosi ed eventualmente lesione di tronchi nervosi. VIA SOTTOCUTANEA Stesse caratteristiche dell’intramuscolare con assorbimento leggermente più lento. È utile per avere un assorbimento lento e prolungato. Tipico esempio di utilizzo in campo dentario con somministrazione di lidocaina (anestetico) preceduto da adrenalina con lo scopo di mantenere più a lungo il farmaco nel sito (vasocostrizione). Altri esempi sono le pompe programmabili ad erogazione di insulina o le capsule di levonorgestrel. Presenta gli stessi rischi della via IM. VIA ENDOARTERIOSA Utilizzata soprattutto in chemioterapia. È molto pericolosa perché viene bypassato il filtro polmonare e secondariamente per il possibile spasmo muscolare della parete arteriosa sollecitata dall’ago. Ha anche scopi diagnostici. VIA ENDOCAVITARIA Via utilizzata per raggiungere un sito altrimenti irragiungibile ad esempio via intratecale o intraventricolare (amfotericina per curare la meningite). Anche intravitreale e intraarticolare. VIA TRANSDERMICA Utilizzata attraverso posizionamento di specifici cerotti che rilasciano in modo lento e prolungato il farmaco a livello dermico. Tipico esempio della nitroglicerina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 A SSORBIMENTO E DISTRIBUZIONE DEI FARMACI NELL ’ ORGANISMO 3. Passaggio dei farmaci attraverso le membrane cellulari I farmaci una volta entrati nell’organismo devono essere in grado di penetrare all’interno del torrente ematico e/o nei compartimenti organici. Per fare ciò devono essere assorbiti. L’assorbimento per via endovenosa è totale, quindi dipende dalla via di somministrazione. In ogni caso il farmaco si trova a dover oltrepassare le membrane cellulari. Le modalità di passaggio del farmaco attraverso le membrane biologiche sono 5: 1. Diffusione semplice 2. Filtrazione 3. Diffusione facilitata 4. Trasporto attivo 5. Endocitosi DIFFUSIONE SEMPLICE Si tratta del metodo più usato dalle particelle liposolubili che possono normalmente attraversare la membrana cellulare seguendo un gradiente di concentrazione. Il meccanismo non è saturabile e non è selettivo. È vantaggioso che il peso molecolare sia ridotto in modo da favorire il passaggio a parità di liposolubilità. Segue la legge di Fick (la diffusione è direttamente proporzionale alla differenza di concentrazione e alla superficie di separazione, è invece inversamente proporzionale allo spessore della parete). FILTRAZIONE Si tratta del passaggio delle molecole idrosolubili attraverso le membrane. Esse sono trasportate tramite dei canali ionici appropriati che effettuano il passaggio delle molecole secondo gradiente di concentrazione, ma anche elettrico ed eventualmente idrostatico e/o oncotico. Questa modalità vede la presenza di specie ioniche (elettroliti deboli) classificate come acidi e basi deboli. Infatti molti farmaci sono presenti in tali forme e il loro stato determina la possibilità del passaggio attraverso le membrane. Infatti solo le forme indissociate possono attraversare le barriere biologiche. I farmaci acidi (HA) liberano un H+ provocando la formazione di un anione carico (A-) per formare: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 HA ↔ H++AAnche le basi deboli (BH+) possono liberare H+; tuttavia la forma protonata di un farmaco basico di solito è carica e la perdita di un protone induce la formazione della base indissociata (B): BH ↔ H+ + B Pertanto solo le forme HA e B saranno liposolubili e potranno passare attraverso la membrana. Il rapporto tra le varie forme in un ambiente specifico è determinato da: - pH della soluzione - pKa dell’acido o della base. (Il pKa è la misura della forza di attrazione del protone verso la molecola, gli acidi forti liberano subito il protone in soln ed hanno un pKa molto basso, gli acidi deboli invece trattengono con più forza il protone ed hanno un pKa più alto. Le basi funzionano in modo inverso per cui la base forte avrà una forza di attrazione protonica maggiore ed avrà pKa alto, la base debole ha pKa basso perché tende più facilmente a liberare il protone e a trasformarsi nella sua forma indissociata). Pertanto il pH, il pKa e le concentrazioni relative delle specie elettrolitiche possono essere messe in relazione attraverso la equazione di Henderson-Hasselbalch che afferma che: pH = pKa + log (specie non protonata / specie protonata) Per un acido: pH = pKa + log (A- / HA) Per una base: pH = pKa + log (B / BH+) Di conseguenza per avere la concentrazione della specie dissociata e indissociata si utilizza questa equazione e il risultato sarà quindi dato in base logaritmica da (pH – pKa). In questo modo è possibile sapere se in quel luogo il farmaco potrà attraversare le membrane o se sarà in prevalenza ionizzato e quindi non efficace. Se pH = pKa significa che la forma indissociata e quella ionizzata sono equivalenti. Si raggiunge l’equilibrio di distribuzione quando la forma permeabile del farmaco raggiunge un’uguale concentrazione in tutti i comparti dell’organismo. Al variare del pH dei vari ambienti la forma indissociata resterà pressochè uguale, mentre la forma ionizzata subirà drastiche variazioni in base al pH. Pertanto si può dimostrare che gli acidi deboli tendono a restare indissociati a pH basso mentre si dissociano a pH basico liberando il protone. È il caso dell’aspirina che per quanto detto sopra risulta maggiormente permeabile a livello della mucosa gastrica. Le basi deboli come la peptidina tendono a liberare il protone in ambiente basico e di conseguenza proprio in abiente basico ci sarà prevalenza della base indissociata (B) e quindi maggior permeabilità. È il caso della peptidina che quindi verrà maggiormente assorbita nel duodeno a contatto con i bicarbonati della bile e del secreto pancreatico. - Quando pH < pKa e perciò (pH – pKa) < 0 prevalgono le forme protonate HA e BH+ - Quando pH > pKa e perciò (pH – pKa) > 0 prevalgono le forme deprotonate A- e B I Trasportatori sono di 2 tipi: 1. Trasportatori selettivi: specifici per peptidi, aminoacidi e zuccheri. In alcuni casi si possono verificare dei fenomeni di competizione con i cibi (es L-DOPA). 2. Trasportatori scarsamente selettivi: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ABC: sfruttano l’energia proveniente dall’idrolisi di una molecola di ATP e fanno parte quindi dei trasporti attivi effettuati contro gradiente di concentrazione (es. glicoproteina P e proteine associate alla resistenza multifarmaco) SLC: utilizzano l’energia elettrochimica generata da gradienti ionici e responsabili del trasporto passivo facilitato. DIFFUSIONE FACILITATA Avviene attraverso la membrana fosfolipidica secondo gradiente di concentrazione ma non è strettamente regolata da esso. Si avvale di trasportatori proteici o carrier che permettono il passaggio di certe sostanze. È un meccanismo saturabile, selettivo e antagonizzabile. TRASPORTO ATTIVO Trasporto contro gradiente di concentrazione che richiede la presenza di trasportatori selettivi, antagonizzabili e saturabili. ENDOCITOSI Permette il passaggio di molecole anche molto voluminose ma solo se presenti recettori specifici per proteine di trasporto. Esistono poi diversi fattori fisici che influenzano l’assorbimento e sono: 1. Flusso sanguigno nel sito di assorbimento: maggiore è l’afflusso ematico e maggiore sarà la capacità di passaggio del farmaco in circolo. Questo è uno dei parametri che permettono una prevalenza dell’assorbimento intestinale rispetto a quello gastrico visto che il primo è molto più vascolarizzato. 2. Superficie totale disponibile per l’assorbimento: maggiore nell’intestino e determina un’ulteriore capacit{ assorbitiva. 3. Tempo di contatto con la superficie di assorbimento: se qualcosa determina un transito molto veloce non è possibile l’assorbimento adeguato del farmaco, viceversa qualsiasi elemento che ostacola il passaggio dallo stomaco all’intestino compromette l’assorbimento. La stimolazione parasimpatica aumenta il transito e quella simpatica lo riduce, così come un pasto abbondante. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 4. La distribuzione dei farmaci nell’organismo La distribuzione di un farmaco è quel processo che consente alle molecole del farmaco di passare dal torrente ematico ad uno dei compartimenti liquidi dell’individuo come il liquido extracellulare o il liquido intracellulare (acqua corporea totale). È un passaggio fondamentale che permette il contatto del farmaco con le strutture cellulari bersaglio. La distribuzione iniziale del farmaco non corrisponde necessariamente a quella finale e inoltre il farmaco può distribuirsi preferenzialmente in un dato distretto dell’organismo ed esercitarvi un effetto farmacologico, tossico o neutro. Questo processo dipende da: - Caratteristiche fisico-chimiche del farmaco: idrofilia / idrofobia - Caratteristiche dei tessuti: flusso ematico, permeabilità capillare, grado di legame con le proteine plasmatiche, massa, presenza di proteine di trasporto - Caratteristiche del paziente: variabili fisiologiche / patologiche. STRUTTURA DEL FARMACO È evidente che il farmaco liposolubile riesce ad attraversare senza problemi la parete capillare passando tramite l’endotelio e la membrana basale. Il farmaco idrosolubile ha una capacità di diffusione molto più limitata e anche una velocità ridotta a causa dell’impossibilit{ di attraversare lo strato lipidico delle membrane, per questo il passaggio può avvenire solo in presenza di pertugi o fenestrature di endotelio e membrana basale. Quindi la struttura del farmaco è responsabile della permeabilità capillare, insieme chiaramente alla struttura del capillare stesso. FLUSSO EMATICO La gittata cardiaca distribuisce quantità non equivalenti di sangue in tutti i distretti. Tipicamente la distribuzione all’encefalo, al rene e al fegato è molto maggiore che al tessuto muscolare ed adiposo. Per questo il passaggio di un farmaco nel tessuto adiposo o in un muscolo sarà molto più lento rispetto ad un farmaco diretto al cervello. In questo contesto può avvenire anche il fenomeno della REDISTRIBUZIONE cioè il fatto che inizialmente il farmaco si distribuisce velocemente nella sede molto vascolarizzata, poi si disribuisce progressivamente alle altre zone meno vascolarizzate e determina una caduta delle concentrazioni utili nel primo sito per avere l’effetto farmacologico. È il caso dell’ipnosi immediata e breve da tiopental. PERMEABILITA’ CAPILLARE I capillari sono dotati di un endotelio che poggia su una lamina basale. La struttura è diversa in base ai vari distretti anatomici, infatti i capillari della milza e del fegato possiedono ampie fenestrature endoteliali che espongono la membrana basale al flusso capillare direttamente e per le molecole liposolubili è possibile instaurare velocemente una condizione di equilibrio. I capillari cerebrali invece sono dotati della barriera emato-encefalica che consta di capillari formati da cellule endoteliali ravvicinate e strette tra loro da giunzioni serrate non penetrabili. Le molecole idrosolubili devono avere un trasportatore specifico altrimenti restano nel capillare, le molecole liposolubili passano scindendosi nelle membrane endoteliali. Durante meningite la barriera diventa più lassa e i farmaci possono passare raggiungendo così concentrazioni significative. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 GRADO DI LEGAME CON LE PROTEINE PLASMATICHE I farmaci hanno la capacità di legarsi reversibilmente alle proteine plasmatiche ed in particolare: - Albumina: proteina principale. Soprattutto per le molecole acide e idrofobe. Può essere un legame a bassa capacità (1 molecola per 1 albumina) o alta capacità (varie molecole per 1 albumina). - Glicoproteina acida α1: in misura molto minore. Lega soprattutto le molecole basiche Soltanto la quota libera è in grado di dare l’effetto farmacologico, quella legata è inattiva. Il complesso farmaco + proteina è detto complesso farmacoproteico. La quantità assoluta di farmaco legato è funzione della concentrazione, tuttavia la percentuale di farmaco legato è costante per ciascun composto. In alcuni casi la proteina che lega il farmaco può fungere da serbatoio, ad esempio se la quantità di farmaco libero decresce (per escrezione o metabolismo) le proteine liberano la quota associata. IL VOLUME DI DISTRIBUZIONE Il volume di distribuzione è un volume ideale di liquido in cui il farmaco è disperso e in specifico si definisce come il volume in cui il farmaco sarebbe distribuito se si trovasse ovunque in una concentrazione uguale a quella plasmatica. Il farmaco si distribuisce all’interno di compartimenti acquosi dell’organismo: - Compartimento plasmatico: farmaco che non riesce ad oltrepassare l’endotelio e resta tutto nel torrente ematico, in tal caso il volume di distribuzione è il 6% del peso corporeo che per un uomo di 70 Kg significa 4 L. In genere si tratta di farmaci ad alto PM o che si legano fortemente alle proteine plasmatiche (es eparina). - Compartimento extracellulare: farmaco liposolubile che oltrepassa la parete capillare ed entra nel LEC distribuendosi, in tal caso il volume rappresenta il 20% dell’organismo e quindi 10 L. Si tratta di farmaci idrofili a basso PM (es aminoglicosidi). - Acqua corporea totale: può accadere che il farmaco abbia la capacità di attraversare le membrane cellulari e diffondersi all’interno delle cellule occupando il LIC e distribuendosi perciò uniformemente in tutti i liquidi corporei. In tal caso sarebbe del 60% corrispondente a 42 L. Si tratta di farmaci liposolubili e a basso PM, tipico esempio è l’etanolo. I farmaci si distribuiscono però in diversi compartimenti e non in uno specifico, tranne certe eccezioni, si definisce pertanto Vd il volume di distribuzione apparente di un farmaco. Come si calcola Vd? 1) Distribuzione in assenza di eliminazione: caso ipotetico in cui si suppone che il farmaco resti sempre nell’organismo e non venga eliminato. Dopo una breve fase di discesa della concentrazione sierica per distribuzione si ha un plateau mantenuto costante. C = D / Vd cioè la concentrazione del farmaco nel comparto vascolare è data dal rapporto tra la quantità di farmaco immessa nel corpo e il volume di distribuzione. Pertanto il Vd = D / C cioè mg / mg/L e quindi L. 2) Distribuzione in presenza di eliminazione: caso fisiologico standard in cui la concentrazione plasmatica ha una fase ripida di discesa per la distribuzione e poi segue una fase di discesa più lenta fino all’esaurimento che rappresenta il Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 passaggio del farmaco verso i sistemi di metabolismo (fegato) ed eliminazione (rene, intestino). Per la maggior parte dei farmaci si ha una velocità di eliminazione proporzionale alla concentrazione del farmaco (visto che la maggior parte dei farmaci ha cinetica di ordine 1 e i sistemi non sono saturati). 3) Distribuzione istantanea: caso ipotetico in cui tutta la distribuzione del farmaco è completa al momento dell’infusione, viene definita C0 la concentrazione del farmaco che si avrebbe nel plasma se la distribuzione fosse avvenuta immdiatamente. 4) Distribuzione non uniforme tra i compartimenti: è il caso normale visto che i compartimenti non sono del tutto omogenei tra di loro ed è normale che ci siano disuguaglianze nella distribuzione. In ogni caso il Vd è utile per determinare clinicamente la quantità di un farmaco necessario per avere una determinata concentrazione plasmatica e per fare ciò è necessario tenere in considerazione Vd. Per ottenere la quantità adeguata si calcola la dose di carico (D) come prodotto tra Vd e C clinicamente efficace. D = Vd x C Il Vd molto elevato è indice di un sequestro in un terzo luogo, ad esempio un farmaco che viene trattenuto eccessivamente nel liquido intracellulare. Il Vd elevato determina anche un allungamento del t1/2 che rappresenta il tempo di dimezzamento del farmaco. È evidente che se Vd è grande la massima parte del farmaco è situata nei compartimenti extra-vascolari e l’unica via per eliminare il farmaco è portarlo col torrente ematico al fegato o al rene e di conseguenza se questo si riduce anche il t1/2 si allungherà. - Il Vd della clorochina è elevatissimo e ciò si giustifica col fatto che è un farmaco strettamente intracellulare che si lega a componenti cellulari o a seguito di un meccanismo di trasporto attivo all’interno della cellula. L’aspirina ha un Vd abbastanza basso e con ciò si intende una distribuzione prevalentemente plasmatica. Per raggiungere il SNC i farmaci possono attraversare la barriera emato-encefalica capillare costituita dalle giunzioni serrate endoteliali, dalla membrana basale continua e dai manicotti gliali attorno ai vasi, oppure possono passare dai plessi corioidei attraverso un’infusione intra-liquorale (in ogni caso anche qui devono oltrepassare la BEE). La placenta è una barriera biologica che il farmaco attraversa con molta facilità per diffusione semplice. Per questo motivo il feto è estremamente esposto ai farmaci assunti dalla madre. I parametri che influenzano la distribuzione placentare sono: - Caratteristiche fisico-chimiche del farmaco - Legame a sieroproteine - Flusso ematico placentare - Biotrasformazione placentare - Grado di maturazione della placenta (è massimamente suscettibile nel primo e ultimo trimestre di gravidanza). L’equilibrio è molto lento e si stabilisce in circa 40 minuti, se il farmaco è dato molto velocemente può non dare problemi al feto. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 C LEARANCE DEI FARMACI : BIOTRASFORMAZIONE ED ESCREZIONE 5. Biotrasformazione dei farmaci Per biotrasformazione si intende un processo che trasforma il farmaco in una molecola più idrosolubile in modo tale da consentire la sua eliminazione attraverso il tubulo renale. Infatti le molecole liposolubili una volta giunte all’interno del tubulo prossimale sono in grado di retrodiffondere superando la parete tubulare. Questo processo avviene principalmente nel fegato che è l’organo chiave per la biotrasformazione, tuttavia esistono anche altri siti meno rilevanti come la placenta e l’intestino. Esistono diversi e possibilità di risultati a seguito del metabolismo di un farmaco: Farmaco attivo diventa INATTIVO = quadro seguito dalla maggioranza dei farmaci Farmaco attivo resta ATTIVO = caso dell’eroina che viene convertita in morfina Farmaco inattivo (PRO-FARMACO) diventa attivo = caso di alcuni farmaci come cortisone, prednisone, ciclofosfamide e azatioprina. Farmaco attivo diventa TOSSICO = caso del paracetamolo o dei sulfamidici Le reazioni di biotrasformazione si dividono in 2 categorie: Reazioni di FASE 1: queste reazioni comprendono idrolisi, ossidazione, riduzione, idrossilazione, dealchilazione che trasformano il farmaco in un metaboita più idrosolubile smascherando o creando dei gruppi funzionali polari come –OH, - SH2, NH2. Reazioni di FASE 2: reazioni principalmente di coniugazione con molecole che si legano ai gruppi polari creati precedentemente con la funzione sempre di rendere il metabolita più solubile. In genere il principale elemento utilizzato è l’acido glucuronico (glucurono-coniugazione), ma si possono anche usare l’acido solforico, l’acido acetico o un aminoacido. Il risultato in genere è un composto inattivo, tranne il caso della morfina glucuronata che è molto più potente dela forma base. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Esistono comunque dei casi in cui il farmaco che ha subito una reazione di fase 1 possiede dei gruppi polari a sufficienza da renderlo idrosolubile e questo permette di saltare la fase 2 e passare direttamente nei reni. Esistono anche eccezioni per cui il farmaco salta entrambe le reazioni in quanto già idrofilo. Ci sono anche alcuni casi in cui le fasi vengono invertite, tipicamente il caso del’isoniazide che prima viene acetilata (fase 2) e poi idrolizzata (fase1). I sistemi enzimatici deputati alla biotrasformazione sono diversi e si possono suddividere in - Enzimi microsomiali che catalizzano principalmente reazioni di ossidazione o di coniugazione e il ruolo cardine dell’operazione è a carico del citocromo P-450 (CYP) che è un complesso multienzimatico costituito da un gruppo eme centrale e concentrato massimamente negli epatociti. - Enzimi non microsomiali che catalizzano alcune idrolisi e coniugazioni. Alcuni di questi enzimi sono controllati geneticamente e in alcuni individui mutazioni geniche o polimorfismi possono compromettere la funzione dell’enzima sia in positivo che in negativo. Esistono diverse sostanze in grado di fungere da INDUTTORI enzimatici o INIBITORI (competitivi o non competitivi). INDUTTORI ENZIMATICI: - Fenobarbital e rifampicina determinano un’aumentata attivit{ (conseguente alla aumentata sintesi di un isoenzima) dell’isoenzima CYP2C9/10 e di conseguenza un aumentato metabolismo del Warfarin, fenitoina e ibuprofene. Inoltre la rifampicina causa una riduzione dell’efficacia dell’inibitore della proteasi dell’HIV a causa di un suo aumentato metabolismo. - Fenitoina determina un aumentato metabolismo di cortisolo, desametasone, digitossina e teofillina. - Griseofulvina determina un aumentato metabolismo del warfarin. INIBITORI ENZIMATICI - Ketoconazolo: inibitore non competitivo che blocca il metabolismo della ciclosporina - Omeprazolo: inibitore non competitivo che blocca 3 isoenzimi fondamentali per il metabolismo del warfarin con possibili conseguenze emorragiche - Allopurinolo, cloramfenicolo, isoniazide: inibitori del metabolismo di tolbutamide e dicumarolo. - Eritromicina - Ritonavir - Succo di pompelmo Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 REAZIONI DI OSSIDAZIONE Sono svolte da enzimi microsomiali (ossidasi a funzione mista o monossigenasi) o non microsomiali anche se in modo molto meno rilevante (ADH, xantino-ossidasi…) Tra gli enzimi microsomiali le più importanti ossidasi a funzione mista sono il CYP e la citocromoreduttasi. Il CYP prevede l’utilizzo di NADPH, H+ e ossigeno per trasformare il farmaco in un processo ossido-reduttivo con liberazione di NADP+ e H2O. Il sistema CYP possiede diversi isoenzimi che sono specifici per il metabolismo di certe sostanze (sia endogene che esogene). I principali isoenzimi sono 6: - CYP3A4: responsabile del metabolismo della maggior parte dei farmaci, per questa isoforma non è stato identificato nessun polimorfismo genico particolare. Quantità consistenti di questa forma sono presenti nella mucosa intestinale e pertanto contribuiscono all’effetto di primo passaggio anche nell’intestino stesso. - CYP2D6: enzima sottoposto a polimorfismi genici che in alcuni casi possono non permettere un’efficacia farmaceutica (ad esempio la codeina deve essere O-demetilata per essere attiva e i portatori di questo polimorfismo non traggono beneficio dall’oppioide). - CYP2C9/10 - CYP2C19 - CYP2E1 - CYP1A2 REAZIONI DI CONIUGAZIONE Generalmente si parla di glucurono-coniugazione che rende il farmaco più solubile. Inoltre il complesso coniugato viene immesso nella bile e a livello intestinale il legame è idrolizzato dalle beta-glucuronidasi tornando libero. In genere il risultato della coniugazione è sempre un composto inattivo, tranne il caso della morfina. I neonati sono carenti di questo enzima e pertanto sono più esposti agli effetti tossici di certi farmaci che non vengono eliminati adeguatamente. (Si evidenzia normalmente la carenza di questo enzima a causa dell’ittero fisiologico del neonato che non permette un’eliminazione completa della bilirubina). Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 6. Eliminazione dei farmaci Le vie di eliminazione di un farmaco sono diverse ma solo alcune rivestono un ruolo fondamentale: 1. Urina 2. Feci 3. Aria espirata 4. Latte / Sudore L’urina è il principale mezzo di eliminazione dei metaboliti farmacologici modificati dal fegato e si parla quindi di clearance renale. Le feci sono interessate dall’eliminazione del farmaco sia durante i normali processi di assorbimento, sia all’arrivo della bile che contiene metaboliti farmacologici che in parte possono essere riassorbiti entrando nel circolo entero-epatico, in parte vengono espulsi con le feci. L’aria espirata contribuisce in maniera molto modesta all’eliminazione del farmaco e dipende dagli scambi gassosi polmonari in cui penetrano anche piccole molecole di farmaco, soprattutto quelle assunte per via inalatoria. In quantità piccolissime la madre che allatta può liberare il farmaco dalle secrezioni lattee; oppure possono essere liberate con il sudore. CLEARANCE EPATICA DI UN FARMACO Viene definita clearance epatica (Cle) di un farmaco il volume di plasma completamente depurato da un farmaco nell’unit{ di tempo attraverso il passaggio nel filtro epatico. L’eliminazione avviene attraverso la bile (trasporto attivo mediato da specifici trasportatori) o attraverso la biotrasformazione che forma un composto modificato. Cle = Fe x Ee Fe = flusso ematico al fegato Ee = estrazione epatica, cioè (Ca – Cv) / Ca. Il rapporto di estrazione si effettua guardando le concentrazioni in arteria epatica e in vene epatiche, in tal modo 0 < Ee < 1 con valore 1 che rappresenta la massima quota di estrazione. Se l’estrazione è molto elevata il fattore limitante sar{ il flusso ematico al fegato che in alcuni casi patologici può essere compromesso (es scompenso cardiaco). (Clearance epatica flusso dipendente) Se invece l’estrazione è bassa il fattore limitante per la clearance è la quantit{ di farmaco circolante (clearance epatica capacità dipendente). CLEARANCE RENALE DI UN FARMACO Viene definita come il volume di plasma completamente depurato da un farmaco nell’unit{ di tempo grazie ai processi di escrezione renale: 1. Filtrazione glomerulare: fase iniziale in cui il farmaco idrosolubile viene filtrato dal glomerulo ed entra nello spazio di Bowmann, è uno step indipendente dal pH e dalla liposolubilità. VFG = 125 mL/min. 2. Secrezione tubulare: processo di trasporto attivo in cui il farmaco che non è stato filtrato passa all’arteriola efferente che si distribuisce nella rete peritubulare e determina una secrezione attiva del farmaco nel tubulo tramite 2 sistemi: uno per gli anioni (acidi deboli) e uno per i cationi (basi deboli). Sono sistemi poco specifici e possono entrare in competizione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 3. Riassorbimento tubulare: processo passivo in cui i metaboliti liposolubili sono maggiormente concentrati nel tubulo e passano per gradiente di concentrazione nell’interstizio retrodiffondendo. Questo passaggio viene evitato grazie ai processi di biotrasformazione epatica, ma anche grazie a interventi come l’acidificazione dell’urina. Infatti per certi farmaci basi deboli viene dato un acidificante in modo che il farmaco venga protonato e quindi resti nel tubulo. Viceversa per farmaci acidi come sovradosaggop di fenobarbital viene dato bicarbonato in modo da alcalinizzare le urine e far deprotonare l’acido aumentando la sua clearance. CLEARANCE TOTALE DI UN FARMACO La clearance totale di un farmaco è data dalla somma delle varie clearance a carico dei vari organi: Cltot = Cl epatica + Cl renale + Cl polmonare + Cl altri organi. È impossibile riuscire a calcolare la clearance dei vari organi ma è possibile effettuare un’ipotetica rilevazione allo stato stazionario sfruttando il volume di distribuzione. Ammettendo che la maggior parte dei farmaci abbia una cinetica di prim’ordine e che quindi la concentrazione del farmaco diminuisca in modo esponenziale con il tempo si può utilizzare l’equazione seguente: CL tot = Ke x Vd dove Ke è definita la costante di velocit{ di prim’ordine per l’eliminazione del farmaco da tutto l’organismo. CL tot = (0,623 / t1/2) x Vd Viene definita in questo modo come la frazione del volume di distribuzione che può essere purificata nell’unit{ di tempo da quel farmaco. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 7. Parametri farmacocinetici: biodisponibilità, legame alle proteine plasmatiche, volume di distribuzione BIODISPONIBILITA’ Si definisce biodisponibilità la frazione (F) del farmaco somministrata per qualsiasi via che raggiunge la circolazione sistemica in una forma chimicamente non modificata. Per rilevare la biodisponibilità di un farmaco per una certa via di somministrazione è opportuno ricavare il grafico concentrazione plasmatica-tempo sovrapponendo la curva della somministrazione endovenosa con quella della via da esaminare. Infatti per definizione si considera del 100% la biodisponibilità del farmaco per via endovenosa visto che viene direttamente immesso nel circolo. L’area sotto la curva (AUC) definisce l’entit{ dell’assorbimento del farmaco. La biodisponibilità di una via (ad esempio orale) viene rilevata come: ( AUC os / AUC ev ) x 100 Per esempio il diazepam ha una biodisponibilità orale del 100% ciò significa che tutto il farmaco assunto per via orale entra nel circolo sanguigno. La morfina invece ha una biodisponibilità orale molto bassa. Fattori che influenzano la biodisponibilità: Metabolismo epatico di primo passaggio: se sottoposto a biotrasformazione istantanea la frazione che passerà immodificata al circolo sarà inferiore. È il caso del propranololo e della lidocaina. Solubilità del farmaco: se il farmaco è idrosolubile non potrà attraversare le membrane e quindi avrà biodisp bassa, paradossalmente anche un farmaco eccessivamente liposolubile non potrà avere biodisp alta perché non riuscirà a diffondere nei compartimenti acquosi. Instabilità chimica: alcuni farmaci come la penicillina G sono instabili a pH gastrico e altri come insulina vengono degradati dagli enzimi litici. Natura della preparazione farmaceutica: dimensione particelle, forma salina, polimorfismo dei cristalli, presenza di eccipienti. LEGAME ALLE PROTEINE PLASMATICHE I farmaci hanno la capacità di legarsi reversibilmente alle proteine plasmatiche ed in particolare: - Albumina: proteina principale. Soprattutto per le molecole acide e idrofobe. Può essere un legame a bassa capacità (1 molecola per 1 albumina) o alta capacità (varie molecole per 1 albumina). - Glicoproteina acida α1: in misura molto minore. Lega soprattutto le molecole basiche Soltanto la quota libera è in grado di dare l’effetto farmacologico, quella legata è inattiva. Il complesso farmaco + proteina è detto complesso farmacoproteico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 La quantità assoluta di farmaco legato è funzione della concentrazione, tuttavia la percentuale di farmaco legato è costante per ciascun composto. In alcuni casi la proteina che lega il farmaco può fungere da serbatoio, ad esempio se la quantità di farmaco libero decresce (per escrezione o metabolismo) le proteine liberano la quota associata. Esistono condizioni in cui può avvenire uno spiazzamento dei siti di legame dell’albumina da parte di un farmaco ad alta affinit{. I farmaci ad alta affinit{ per l’albumina si dividono in 2 classi: 1. Classe 1: la dose clinicamente utilizzata del farmaco permette un rapporto dose/capacit{ basso per cui tutto il farmaco è legato ai siti dell’albumina e molti siti di legame sono liberi. 2. Classe 2: la dose è maggiore della disponibilità dei siti per cui il rapporto dose/ capacità è elevato e il farmaco si troverà libero visto che i siti sono tutti occupati. Quando un farmaco di classe 2 come un sulfamidico viene dato in un paziente che assume un farmaco di classe 1 come la tolbutamide si verifica uno spiazzamento dei siti di legame per la tolbutamide che diventa massimamente in forma libera e le ripercussioni sulle concentrazioni plasmatiche e i conseguenti effetti farmacologici dipendono dal volume di distribuzione e dall’indice terapeutico del farmaco. Se il Vd è elevato il farmaco libero si distribuirà velocemente e la concentrazione plasmatica non varierà di molto; se invece il Vd è basso si avranno aumenti di concentrazioni plasmatiche che possono essere dannosi nel caso in cui l’indice terapeutico sia basso. VOLUME DI DISTRIBUZIONE (VEDI TESINA N 4) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 C INETICA DEI FARMACI PER SOMMINISTRAZIONE SINGOLA E RIPETUTA 8. Parametri farmacocinetici: clearance e T1/2. La cinetica di primo ordine e di ordine zero CLEARANCE TOTALE DI UN FARMACO La clearance totale di un farmaco è data dalla somma delle varie clearance a carico dei vari organi: Cltot = Cl epatica + Cl renale + Cl polmonare + Cl altri organi. È impossibile riuscire a calcolare la clearance dei vari organi ma è possibile effettuare un’ipotetica rilevazione allo stato stazionario sfruttando il volume di distribuzione. Ammettendo che la maggior parte dei farmaci abbia una cinetica di prim’ordine e che quindi la concentrazione del farmaco diminuisca in modo esponenziale con il tempo si può utilizzare l’equazione seguente: CL tot = Ke x Vd dove Ke è definita la costante di velocit{ di prim’ordine per l’eliminazione del farmaco da tutto l’organismo. CL tot = (0,623 / t1/2) x Vd (0,623 rappresenta il ln 0,5) Viene definita in questo modo come la frazione del volume di distribuzione che può essere purificata nell’unit{ di tempo da quel farmaco. La Clt e il Vd sono variabili indipendenti L’emivita è una variabile dipendente Vi possono essere dunque situazioni patologiche in cui varia solo il Vd o solo la Clt e dunque anche il t1/2, altre nelle quali le variazioni di Vd e Clt sono tali da non modificare il t1/2. Il Vd varia, per un farmaco idrosolubile, in pz ascitici mentre per un farmaco liposolubile varia in pz obesi. La clearance nei pz con IR e insufficienza epatica ed inoltre è molto differente da composto a composto. L’escrezione urinaria rappresenta una quota importante della clearance. La digossina è un glicoside cardiocinetico che viene escreto per il 60% per via renale e il suo grafico di clearance è lineare con quello della clearance della creatinina, dunque la quota di escrezione renale è importante. Con l’et{ la filtrazione tende a ridursi e così anche la filtrazione dei farmaci, stessa questione per i nefropatici. L’assunzione di un farmaco per via orale ha una cinetica diversa che per via endovenosa e la concentrazione plasmatica del farmaco risulta per via orale come la sommatoria dei vari processi contemporanei di assorbimento, distribuzione ed escrezione, mentre per la via endovenosa si ha una curva che decresce linearmente coerente con l’escrezione progressiva del farmaco (ed eventualmente una breve prima fase di distribuzione se non si considera C0) TEMPO DI DIMEZZAMENTO (O EMIVITA O T1/2) Viene considerato il tempo necessario per passare da una concentrazione plasmatica C di un farmaco ad una concentrazione C ½. Considerando la cinetica di primo ordine la concentrazione del farmaco diminuisce esponenzialmente col tempo e questo può essere usato per ricavare matematicamente T1/2: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 T1/2 = ln 0,5 / Ke Visto che la Clearance totale è data da Ke x Vd l’equazione può essere riarrangiata in questo modo: T1/2 = 0,693 Vd / CL Il tempo di dimezzamento di un farmaco aumenta in certe condizioni: - Riduzione del flusso plasmatico renale o epatico (insufficienza cardiaca, shock cardiogeno, emorragia) - Diminuzione del rapporto di estrazione (insufficienza renale) - Diminuzione del metabolismo (quando un altro farmaco inibisce la sua biotrasformazione o nell’insufficienza epatica). CINETICA DI PRIMO ORDINE E DI ORDINE ZERO La cinetica di primo ordine è quella modalità con cui la concentrazione del farmaco diminuisce dall’organismo seguita dalla maggior parte dei farmaci. Viene definita come la scomparsa di un farmaco dall’organismo in una percentuale costante nell’unit{ di tempo. Pertanto il T1/2 non varia benchè possano variare le concentrazioni. Infatti l’organismo si adatta alla bioescrezione in base alla quantit{ di farmaco all’interno del corpo, se è presente farmaco in eccesso ne verrà eliminato di più, altrimenti se è in difetto di meno. Ciò che rimane costante è la frazione o percentuale del farmaco eliminata nell’unit{ di tempo. Dal grafico è possibile vedere che ad ogni ora la concentrazione del farmaco si riduce di metà. Attraverso valutazioni matematiche è stato possibile ottenere che il 93,75% del farmaco scompare dall’organismo dopo un tempo pari a 4 emivite plasmatiche. La cinetica di ordine zero viene seguita da certi farmaci che hanno un comportamento per cui in ogni unità di tempo scompare dall’organismo la stessa quantità di farmaco. Si tratta quindi di una situazione in cui il T1/2 non è uguale ma varia in base alle quantità del farmaco. Questo avviene in quanto i meccanismi di biotrasformazione risultano saturati e ad ogni incremento di dose del farmaco aumenta la concentrazione plasmatica. Questa cinetica è seguita da alcuni farmaci con cinetica di prim’ordine ma che se somministrati oltre una certa quota non permettono l’adattamento dell’organismo e si ha una saturazione degli enzimi, assumendo così una cinetica di ordine zero. La fenitoina segue questo modello ma anche dicumarolo, aspirina, propranololo, etanolo. In questo caso il tempo di dimezzamento è una variabile dipendente dalla dose. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 9. Parametri farmacocinetici: Tmax, Cmax, AUC. La bioequivalenza. I farmaci generici In un grafico che mette in relazione la concentrazione plasmatica del farmaco con il tempo è possibile individuare determinati parametri farmacocinetici utili per documentare clinicamente la massima concentrazione di un farmaco raggiunta a seguito della somministrazione di una certa dose, il tempo in cui viene raggiunta la concentrazione massima e l’area sotto la curva che indica l’entit{ dell’assorbimento del farmaco. Questi 3 parametri sono indicati con: C max: massima concentrazione plasmatica raggiunta dal farmaco T max: tempo necessario per raggiungere la concentrazione massima AUC: area sotto la curva che mostra l’entit{ dell’assorbimento e viene utilizzata per mettere a confronto la biodisponibilità endovenosa con la biodisponibilità tramite altre vie di somministrazione. BIOEQUIVALENZA Due preparazioni farmaceutiche chimicamente equivalenti (cioè che contengono lo stesso farmaco alle stesse dosi) si dicono bioequivalenti quando i rispettivi valori di C max, T max e AUC sono uguali. Il nuovo farmaco deve stare in un range di equivalenza che va dall’80% al 125%. FARMACO GENERICO Si tratta di un farmaco che imita il prodotto originale senza la protezione brevettuale (che dura circa 20 anni). Alla scadenza del brevetto qualsiasi impresa può fabbricare questo farmaco a costo che sia BIOEQUIVALENTE all’originale e per rispettare ciò deve avere i valori di C max, T max e AUC compresi in un range del valore iniziale dall’80% al 125%. Due farmaci bioequivalenti tuttavia possono non essere equivalenti terapeutici visto che per avere l’equivalenza terapeutica i 2 farmaci devono avere efficacia e sicurezza sovrapponibili. L’efficacia dipende da C max e T max. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 10. Andamento della concentrazione di un farmaco dopo somministrazione singola o ripetuta CINETICA DELL’INFUSIONE EV La farmacocinetica si occupa di studiare la cinetica del farmaco a livello quantitativo nel tempo studiando la concentrazione plasmatica e la quantit{ totale del farmaco nell’organismo somministrato per le principali vie, ossia l’infusione endovenosa continua e i regimi per via orale o endovenosa a dose fissa / intervallo di tempo fisso. Se un farmaco segue una cinetica di primo ordine impiega circa 4 volte il tempo di dimezzamento per scomparire quasi completamente dall’organismo. Se la dose successiva del farmaco viene data ad un intervallo di tempo maggiore di 4 volte l’emivita plasmatica il farmaco precedente è gi{ stato eliminato. Al contrario se la somministrazione avviene in un intervallo di tempo minore che le 4 emivite plasmatiche la nuova dose andrà ad accumularsi alla dose precedentemente presente e non ancora smaltita e pertanto si genererà un accumulo. La somministrazione di dosi successive e ravvicinate porterà ad un incremento asintotico della concentrazione plasmatica del farmaco fino al raggiungimento di un punto in cui il sistema riesce a bilanciare efficacemente la dose nuova eliminando una quantità uguale di farmaco già presente. Si generà così uno STATO STAZIONARIO che resta tale fino al termine della somministrazione prolungata del farmaco. Il tempo previsto per raggiungere lo stato stazionario assumendo che si tratti di una cinetica di primo ordine è uguale a circa 4 emivite plasmatiche. L’emivit{ è una variabile indipendente e non varia al variare della dose. La concentrazione dello stato stazionario invece varia in base alla dose ma l’aumento di dose non determina un aumento della rapidit{ di raggiungimento dello stato stazionario. La velocità di eliminazione del farmaco si misura come Cltot x C. Css (concentrazione allo stato stazionario) = R0 (velocità di infusione) / Cltot Quindi la concentrazione è proporzionale alla velocità di infusione mentre è inversamente proporzionale alla clearance. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Il tempo impiegato per raggiungere lo SS è uguale a 4 emivite plasmatiche, ed è lo stesso tempo necessario affinchè il farmaco una volta sospesa la somministrazione venga del tutto eliminato dal corpo. La concentrazione allo stato stazionario è direttamente proporzionale alla velocità di infusione. L’emivita plasmatica non dipende dalla dose perché si tratta di una cinetica di ordine 1 La velocità con cui si raggiunge lo stato stazionario non è influenzata dalla velocità di infusione del farmaco. La Css = R0 / CL La dose di carico è una dose singola di farmaco che viene somministrata prima di un’infusione volta al mantenimento dello SS ma che da sola non è accettabile per raggiungere la concentrazione adeguata. Può essere calcolata come Vd x C plasmatica allo stato stazionario desiderata. CINETICA DEI REGIMI A DOSE FISSA / INTERVALLO DI TEMPO FISSO Iniezione endovenosa singola Supponendo che il farmaco si distribuisca rapidamente in un singolo compartimento si ha una progressiva diminuzione esponenziale della concentrazione del farmaco nel plasma in 4 volte T1/2 non dipendente dalla dose. Iniezioni endovenose multiple Dando delle dosi ravvicinate e multiple si verifica nella grafico della concentrazione plasmatica in relazione al tempo una serie di oscillazioni progressive (la cui ampiezza è proporzionale alla quantità e alla frequenza delle somministrazioni) attorno a una concentrazione progressivamente maggiore fino ad arrivare a oscillazioni tutte attorno allo stesso valore di concentrazione che rappresenta lo stato stazionario medio. Tuttavia sia la concentrazione allo SS sia la sua velocità di raggiungimento non sono influenzate dalla frequenza del dosaggio. L’ampiezza delle oscillazioni è tollerata se il picco alto non causa effetti tossici e se il picco basso ha ancora un margine di efficacia terapeutica. Farmaci somministrati per via orale Questi farmaci possono essere assorbiti lentamente e pertanto la concentrazione dello stato stazionario oscilla in base alla velocità di assorbimento e alla velocità di eliminazione. Per determinare la concentrazione allo stato stazionario di un farmaco assunto per via orale si fa l’equazione seguente: Css = (F x D) / (Cl x T) F = biodisponibilità (frazione assorbita) D = dose Cl = clearance T = intervallo di dosaggio Dose di mantenimento = dose da somministrare per mantenere lo stato stazionario e quindi l’efficacia terapeutica. D = (Css x Cl x T) / F Nella cinetica di ordine zero non si raggiunge uno stato stazionario. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACODINAMICA MECCANISMI D’AZIONE DEI FARMACI (RECETTORIALI E NON RECETTORIALI) E RELAZIONE CONCENTRAZIONE RISPOSTA 11. I meccanismi d’azione dei farmaci La farmacodinamica è quella parte della farmacologia che studia l’influenza della concentrazione di un farmaco sull’entit{ della risposta biologica e dunque si occupa di analizzare i processi tramite cui il farmaco si lega alle molecole recettoriali, gli eventi molecolari che ne conseguono e infine gli effetti biologici sull’individuo. Vengono analizzate 3 situazioni progressive: 1. Effetti: ad esempio tachicardia 2. Azioni: ad esempio aumento della frequenza di depolarizzazione del nodo SA 3. Meccanismi d’azione: ad esempio attivazione di un recettore β. Il farmaco si lega alla molecola che interagisce con esso attraverso la formazione di legami chimici che per la maggior parte dei casi sono deboli e consistono in Legami idrogeno Forze di Van der Waals Legami idrofobici Altri casi rari comprendono la formazione di legami più forti come ionici e covalenti. Via via che l’energia di legame si riduce la frequenza del legame cresce. È necessario che i farmaci si leghino ai loro recettori con legami MULTIPLI e DEBOLI in modo da consentire la selettività e la stereospecificità. Alcuni farmaci come gli antitumorali alchilanti si legano con legami forti che non vengono spiazzati e pertanto sono responsabili di effetti tossici notevoli. La sede d’azione di un farmaco è il luogo in cui il farmaco svoge la sua azione iniziando la cascata degli eventi che porterà ad esprimere un effetto biologico. Non è detto che la sede d’azione corrisponda al sito in cui il farmaco è maggiormente presente. Spesso un farmaco svolge la sua azione in siti d’azione differenti, ad esempio un β-agonista ha un’azione a livello cardiaco di incremento della frequenza e della contrattilit{ e contemporaneamente svolge un’azione sulla mucosa bronchiale di broncodilatazione. Inoltre un effetto biologico può essere svolto da farmaci diversi mediante meccanismi d’azione differenti. È il caso della miosi determinata sia dalla morfina che dall’acetilcolina, ma con modalità diverse. Le sedi d’azione possono essere suddivise in Cellulari e Non cellulari, le prime occupano un ruolo preponderante. Infatti il meccanismo d’azione dei farmaci può essere suddiviso in un modo equivalente alla sede d’azione cioè: Recettoriale: previsto dalla maggior parte dei farmaci, si tratta di un’interazione specifica tra un farmaco ed una macromolecola funzionalmente importante presente all’interno del citoplasma o sulla superficie cellulare. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Non recettoriale: meccanismo utilizzato solo da pochissimi farmaci come gli antiacidi e l’eparina che funzionano mediante semplici reazioni fisico-chimiche nei liquidi extracellulari dell’organismo. Le principali macromolecole biologiche con cui i farmaci interagiscono sono 1. Recettori 2. Canali ionici 3. Enzimi 4. Trasportatori I canali ionici possono essere bloccati da un farmaco in modo tale da non permettere il passaggio dal poro della specie ionica oppure possono essere modulati presentando un sito di legame per una molecola endogena o esogena (farmaco) che modifica il suo stato di pervietà. Il primo caso riguarda gli anestetici locali che vanno a bloccare i canali per il Na oppure i calcio-antagonisti che riducono il flusso di calcio e la contrazione della parete vasale. Il secondo caso riguarda ad esempio le benzodiazepine che si legano al recettore del GABA aumentando il flusso di cloro all’interno del canale e verso l’interno della cellula con conseguente iperpolarizzazione. I farmaci che interagiscono con gli enzimi possono essere degli inibitori cioè bloccano la normale funzione di quell’enzima, è il caso degli inibitori dell’acetilcolinesterasi che inibiscono la scissione dell’Ach (parasimpatico-mimetici indiretti), oppure i FANS che sono inibitori della COX. Il farmaco però può essere anche un falso substrato dell’enzima cioè una molecola simile al substrato vero che innesca il processo catalitico ma in modo erroneo o inadeguato portando alla formazione di metaboliti anomali; è il caso della 5fluorouracile utilizzata in chemioterapia antitumorale per bloccare la sintesi dell’RNA. Infine il farmaco può legarsi all’enzima ed attivarsi, in tal caso si tratta di un pro-farmaco che a seguito dell’interazione con l’enzima diventa un farmaco attivo. I farmaci possono legarsi a trasportatori principalmente inibendo il sistema di trasporto. È il tipico caso dell’omeprazolo che si lega alla pompa protonica nelle cellule parietali della mucosa gastrica e inibisce la secrezione di H+ riducendo la secrezione di HCl; oppure è il caso della cocaina che impedisce la ricaptazione a livello pre-sinaptico dei neurotrasmettitori noradrenergici e dopaminergici liberati legandosi al trasportatore presinaptico; infine è anche il caso della fluoxetina che inibisce la ricaptazione della serotonina a livello dello spazio sinaptico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 12. Caratteri dei recettori e loro classificazione. Agonisti, agonisti parziali, agonisti inversi e antagonisti I recettori sono macromolecole organiche principalmente glicoproteiche situate prevalentemente sulle superfici delle cellule e meno di frequente all’interno del citoplasma a cui si legano composti endogeni e composti esogeni (farmaci). I recettori presentano alcune peculiari caratteristiche: Selettività: i recettori sono specifici per determinate specie molecolari e possono accettare soltanto minime differenze strutturali. Stereospecificità: i recettori hanno preferenza di legame per certi stereoisomeri. Variabilità: i recettori variano in numero e non sono immutabili, queste variazioni vanno incontro alla necessit{ di plasticit{ dell’organismo e si vedono ad esempio a seguito delle somministrazioni croniche di farmaci. Il farmaco si lega al recettori attraverso un legame che preferenzialmente è multiplo e debole in modo da consentire la reversibilità, tranne solo in alcuni casi. Il legame farmaco recettore permette di amplificare un segnale e trasmetterlo efficacemente tra una cellula e l’altra, pertanto si può affermare che la comunicazione tra cellule è chimica. Esistono 4 modalit{ con cui avviene l’amplificazione e la trasmissione di un segnale a seguito del legame con un recettore: 1. Modulazione diretta di un canale ionico: recettore associato ad un sito di un canale ionico che viene modulato sul suo stato di apertura o chiusura consentendo il passaggio di ioni. 2. Attivazione di secondi messaggeri: recettore accoppiato a proteine G che trasducono un segnale mediante formazione di secondi messaggeri come cAMP che determinano fosforilazione di proteine, liberazione di calcio e modificazioni dell’eccitabilit{ per regolazione di canali ionici. 3. Attivazione diretta della cascata fosforilativa per interazione con enzimi: il legame farmaco-recettore innesca una cascata fosforilativa chinasica che culmina nella regolazione della trascrizione genica. 4. Regolazione della trascrizione genica: presenza di recettori intracellulari raggiunti direttamente da un farmaco liposolubile in grado quindi di regolare l’espressione genica. CANALI IONICI LIGANDO DIPENDENTI L’apertuta di certi canali ionici controllati da ligando è sotto il controllo di sostanze endogene o esogene che si legano a siti specifici e creano una corrente ionica o la inibiscono. L’effetto si sviluppa in millisecondi. Esempi tipici sono il recettore nicotinico dell’Ach che quando si lega al ligando causa un’ingresso di Na nella cellula determinando depolarizzazione; il canale del GABA modulato dalle benzodiazepine che aumentano la corrente di cloro andando ad agire sul mediatore endogeno stesso (GABA) e causando iperpolarizzazione della cellula; infine si possono trovare diversi canali del sodio aspecifici che vengono inibiti dagli anestetici locali che si legano. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G Si tratta di recettori che attraversano 7 volte la membrana cellulare e che sono accoppiati a proteine G che possiedono 3 subunit{: la α è quella che lega allo stato di riposo il GDP e la β e γ sono unite. All’arrivo del ligando la subunit{ α subisce una modificazione strutturale e si stacca dal composto dirigendosi verso l’adenilato ciclasi dopo aver sostituito il GDP con una molecola di GTP. L’adenilato ciclasi legata alla Gα produce cAMP che è uno dei principali secondi messaggeri. Quando il ligando si stacca la Gα idrolizza il GTP e torna alla struttura precedente con GDP legandosi al complesso multiproteico iniziale. Inoltre le proteine G sono in grado anche di produrre altri secondi messaggeri come l’IP3 e il diacil-glicerolo che regolano il flusso di calcio intracellulare. Si tratta di un fenomeno veloce dell’ordine dei secondi. Farmaci che determinano questa modalità di trasduzione sono le catecolamine. RECETTORI ACCOPPIATI A ENZIMI CHINASICI Altri recettori sono accoppiati a sistemi enzimatici, tipicamente tirosin-chinasici che si attivano a seguito del legame attraverso un’autofosforilazione e una cascata successiva di eventi che mirano ad una regolazione dell’espressione genica e alla regolazione delle correnti ioniche (IP3). Tempo d’azione dell’ordine di ore. È il caso tipico dell’insulina che determina sia un’apertura dei canali del calcio mediante IP3 sia una trascrizione genica mitogena. RECETTORI INTRACELLULARI Si tratta di una minoranza di casi in cui il recettore è situato all’interno della cellula e di conseguenza il ligando deve avere un certo grado di liposolubilità per penetrare nella membrana. Il complesso poi migra verso il nucleo e regola direttamente la trascrizione genica. È il caso di farmaci come gli ormoni steroidei. L’effetto per verificarsi impiega molte ore, tuttavia risulta prolungato nel tempo. CINETICA DELL’INTERAZIONE FARMACO-RECETTORE Teoria dell’occupazione di Clark Si tratta di una delle prime teorie sulla farmacodinamica che afferma che la capacità di un farmaco di legarsi ad un recettore è detta AFFINITA’. Inoltre le conseguenze funzionali possono essere l’attivazione (Agonista) o il blocco del recettore (Antagonista). In più stabilisce che l’intensit{ dell’effetto biologico dipende solo dal numero di recettori occupati e che l’effetto massimo si ottiene quando tutti i recettori sono occupati. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Teoria del modello a due stati Questo modello spiega meglio le interazioni farmaco-recettoriali e l’esito biologico del legame ed afferma che la maggior parte dei recettori ha la possibilità di trovarsi in 2 stati: uno stato attivato ed uno stato di riposo. Nella norma solo una piccola quota di recettori si trovano costitutivamente nello stato attivato e quasi tutti sono in uno stato di riposo in assenza del ligando specifico. Per affinità viene intesa la capacità del farmaco di legarsi al recettore formando il complesso farmaco-recettoriale, se i 2 sono compatibili il recettore dallo stato di riposo passa allo stato inattivato ed è in grado di trasdurre il segnale ed innescare l’effetto biologico. Pertanto si dice che il farmaco in grado di innescare questo processo possiede un’ATTIVITA’ INTRINSECA. In questo modello si parla di: Farmaci agonisti totali: sostanze in grado di legarsi al recettore allo stato di riposo e renderlo attivato consentendo la trasduzione del messaggio. L’attivit{ intrinseca è completa e si raggiunge una risposta massima. Ad esempio la morfina che si lega ai recettori µ e li rende attivi permettendo l’analgesia. Farmaci agonisti parziali: sono farmaci che hanno un’affinit{ elevata con il recettore e sono in grado di attivarlo, tuttavia non hanno un’attivit{ intrinseca sufficiente a raggiungere la risposta massima. Farmaci antagonisti: sono farmaci che hanno un’affinit{ elevata con il recettore ma hanno un’attivit{ intrinseca pari a zero, per cui mantengono il recettore nello stato di riposo. Ad esempio il Naloxone che si lega al recettore delle benzodiazepine e lo inibisce. Per quanto riguarda la situazione dei recettori costitutivamente attivati si parla di - - - Agonisti (totali o parziali): aumentano il livello di attività basale legandosi preferenzialmente (maggior affinità) alla forma attivata. Antagonisti: si legano sia alla forma a riposo che alla forma attivata e non alterano il livello di attività basale, tuttavia riescono a bloccare le variazioni indotte dagli agonisti (sia diretto che inverso). Agonisti inversi: si legano principalmente agli stati a riposo e riducono l’attivit{ basale. Clark stabiliva che la risposta massimale al farmaco si poteva raggiungere solo quando il 100% dei recettori erano occupati dal farmaco. Oggi si è scoperto che esistono situazioni in cui si può arrivare alla risposta massima anche per dosi che non occupano l’intero pool di recettori. Si tratta delle zone in cui esistono RECETTORI DI RISERVA che non vengono occupati dal farmaco. Questo è possibile per 2 motivi: 1) Un singolo complesso ligando-recettore può interagire con numerose proteine G amplificando il messaggio. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 2) Le proteine G durano molto di più rispetto alla formazione del legame L-R. Questo giustifica un’amplificazione notevole del segnale che consente ai recettori che rispondono agli ormoni, neurotrasmettitori e peptidi (soprattutto associati a proteine G) di raggiungere una risposta massima senza dover occupare tutti i recettori. Ad esempio il salbutamolo ha un sistema di amplificazione che dura per molto tempo; l’insulina ha un sistema enormemente efficiente nel prolungare l’effetto del farmaco; al contrario il cuore umano ha una frazione dei recettori del 5 – 10% che sono di riserva per cui per mantenere la contrattilità bisogna occupare la maggior parte dei recettori. Riassumendo: Agonisti totali: farmaci che si legano al recettore mimando la molecola biologica in modo completo e raggiungendo una massima risposta. Esempio: fenilefrina che è agonista della noradrenalina legandosi ai recettori α1-adrenergici; morfina che si lega ai recettori µ. Antagonisti: farmaci che si legano al recettore con l’intento di ridurre gli effetti di un altro farmaco o di un ligando endogeno. L’antagonista non è dotato di attivit{ intrinseca. Può essere: Competitivo: quando si lega allo stesso sito di legame della molecola biologica (es prazosina che si lega allo stesso sito della noradrenalina; naloxone) Non competitivo: quando si lega in un sito diverso dall’agonista. Antagonisti funzionali: azione a livello di un recettore completamente diverso da quello dell’agonista, ad esempio l’adrenalina utilizzata per prevenire il broncospasmo indotto da istamina che agisce però su recettori H della mucosa bronchiale mentre l’adrenalina si lega a recettori β2-adrenergici sulla muscolatura liscia bronchiale. Agonisti parziali: hanno attività intrinseca non tale da raggiungere la risposta massima. Rispetto a un agonista pieno può avere affinità per il recettore uguale, minore o maggiore. In più questi hanno la caratteristica di poter fungere da antagonisti nei confronti di un agonista pieno. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 AGONISTI E ANTAGONISTI 13. La curva dose-risposta di un farmaco e le sue caratteristiche Curva dose-risposta graduale Un farmaco agonista che si lega ad un recettore determina lo sviluppo di una risposta in relazione alla concentrazione del farmaco stesso nel sito recettoriale, la quale a sua volta è determinata dalla dose di farmaco somministrato e dai fattori caratteristici del farmaco (velocità di assorbimento, distribuzione e metabolismo). La risposta si sviluppa gradualmente ed è continua e progressiva a differenza della teoria quantale che descrive una risposta tutto-nulla. Se si mette in relazione la risposta farmacologica con la dose si ottiene un grafico ad andamento di iperbole rettangolare, tuttavia per la necessità di rilevare caratteristiche precise e in modo più accurato si preferisce usare il logaritmo della dose che permette di seguire meglio le variazioni della risposta per quantità piccolissime di dose. In questo modo la curva ha un andamento sigmoide. Questa curva si caratterizza per specifici parametri: Soglia: dose minima del farmaco capace di produrre un effetto apprezzabile Potenza: è la dose del farmaco necessaria per provocare un effetto di entità prestabilita. Misura quanto farmaco è necessario affinchè si sviluppi una risposta di una data intensità. Viene espressa come E50 cioè la dose del farmaco necessaria per raggiungere il 50% della risposta prestabilita. La potenza dipende dall’affinit{ F-R e infatti in vitro viene utilizzata per misurare l’affinit{ del farmaco per il recettore. Efficacia: si tratta dell’effetto massimo raggiungibile dal farmaco e si identifica con il plateau della curva dose-effetto. Dipende dal numero di recettori occupati dal farmaco e dall’efficienza del recettore di trasdurre il segnale. La risposta massima (Emax) o efficacia è più importante della potenza di un farmaco. In vitro viene utilizzata per misurare l’attivit{ intrinseca di un farmaco. Pendenza: riflette l’ambito di dosi utili per ottenere un determinato effetto. Quando due farmaci agiscono con lo stesso meccanismo le loro curva logdose-risp hanno la stessa pendenza. Variabilit{ biologica: l’effetto di un farmaco non è mai identico in tutti i pazienti e spesso è diverso anche nello stesso paziente in momenti temporali differenti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Curva dose-risposta quantale Tale relazione esprime l’influenza della grandezza della dose sulla proporzione della popolazione che risponde. La curva permette dunque di determinare la dose necessaria per ottenere un certo effetto come ad es. una certa diminuzione della P arteriosa. Si prende una coorte di pz e si segna a quale dose di antiipertensivo si è ottenuta la diminuzione di P.A: si ottiene dunque una certa distribuzione dove i valori rappresentano la percentuale di pz per i quali è necessaria la somministrazione di una certa dose di farmaco per ottenere un effetto farmacologico di intensità prefissata. A partire da tale tipo di distribuzione costruisco una curva di tipo cumulativo che rappresenta i pz per i quali per ottenere una diminuzione della PA è sufficiente una dose prestabilita o più bassa; questa ci permette di calcolare la dose efficace 50 (ED 50) cioè la dose necessaria nel 50% dei soggetti per ottenere un determinato effetto farmacologico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 14. Le interazioni tra farmaci Assumendo di avere due farmaci, il farmaco A ed il farmaco B che ha un’azione diversa dal farmaco A (quindi determinano effetti diversi quando somministrati da soli) i rapporti tra i 2 farmaci possono essere di 3 tipi: 1. Indifferenza: si parla di indifferenza quando la dose del farmaco A necessaria per sviluppare un certo effetto non varia a seguito dell’assunzione del farmaco B. 2. Antagonismo: la dose del farmaco A per ottenere un certo effetto deve aumentare quando si somministra il farmaco B. 3. Potenziamento: la dose del farmaco A per ottenere un certo effetto si riduce quando viene somministrato il farmaco B. I meccanismi alla base di questi 3 possibili comportamenti sono diversi: Incompatibilità fisico-chimica: può succedere che avvengano reazioni chimiche tra i farmaci tali da far precipitare degli aggregati. Interazioni a livello dell’assorbimento gastro-intestinale: Assunzione di un farmaco antiacido che modifica il pH gastrico e compromette la biodisponibilità orale di un farmaco elettrolita debole assunto in seguito. Il pH gastrico si trova in condizioni più alcaline e il farmaco acido debole tenderà a dissociarsi e quindi a venire assorbito in quantità molto minori. Azioni sul tempo di svuotamento gastrico e sulla motilità gastro-intestinale. Combinazione di farmaci nel lume intestinale che formano aggregati grossi che non possono essere assorbiti dalla mucosa intestinale (chelazione, adsorbimento…). Effetti tossici sul tubo gastro enterico. Interazioni a livello del legame con le proteine plasmatiche: può succedere che un farmaco che si lega molto alle proteine plasmatiche a seguito dell’immissione di un altro farmaco venga spiazzato dai siti di legame. Tuttavia questo è un effetto raro e causa danni solo in alcuni casi, soprattutto se la quota legata del primo farmaco è notevole, se il volume di distribuzione è piccolo, se la clearance è bassa o se il farmaco ha indice terapeutico basso. Interazioni con il metabolismo del farmaco: si possono avere dei fenomeni di induzione enzimatica per cui il metabolismo del farmaco è aumentato o ridotto. Interazioni con i processi renali di eliminazione del farmaco: Inibizione competitiva del trasporto tubulare Cambiamenti del pH urinario Cambiamenti dell’equilibrio idro-salino Interazioni a livello funzionale: i 2 farmaci agiscono su organi o apparati aventi funzioni opposte. Interazioni a livello recettoriale Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Nelle figure precedenti si nota come il warfarin interagisca con la rifampicina attraverso un modello di antagonismo. Infatti a seguito della somministrazione di rifampicina il warfarin ha una concentrazione plasmatica che decresce più rapidamente a seguito del fenomeno di induzione enzimatica della rifampicina sugli enzimi che metabolizzano il warfarin. Questo viene mostrato anche nel grafico seguente in cui dopo rifampicina si vede che il tempo di protrombina torna nella norma in un tempo più breve. ANTAGONISMO COMPETITIVO E NON COMPETITIVO Un antagonista è un farmaco privo di attività intrinseca che si lega al recettore e inibisce il legame con la molecola biologica vera o con un agonista. Se si tratta di un antagonista competitivo in genere significa che il farmaco si va a legare allo stesso sito dell’agonista o nelle immediate vicinanze. In questo caso per avere l’effetto farmacologico precedente l’assunzione dell’antagonista è necessario aumentare la dose dell’agonista e pertanto la curva dose-risposta sarà spostata verso destra a significare un raggiungimento della massima risposta solo per concentrazioni più alte. Se invece si tratta di un antagonista non competitivo o allosterico il legame del farmaco al recettore in genere si trova in un altro sito rispetto a quello dell’agonista e di conseguenza all’aumentare della dose del farmaco non si riuscir{ mai a raggiungere l’effetto massimo e pertanto la curva dose-risposta sarà schiacciata in basso a simboleggiare un’efficacia minore. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 15. Tolleranza e effetto placebo TOLLERANZA La tolleranza viene definita come uno stato di ridotta reattività a un dato effetto farmacologico che risulta da un previa esposizione al farmaco stesso. Si manifesta solo per certi farmaci e può interessare solo alcuni effetti farmacologici, pertanto può essere che non tutti gli effetti vadano incontro a tolleranza. La tolleranza è relativa ad una certa dose, per cui per avere lo stesso effetto è necessario aumentare la dose; l’esempio tipico è la morfina che ha un effetto analgesico che va incontro a tolleranza dopo un’assunzione cronica del farmaco, per tornare ad avere l’effetto iniziale è necessario aumentare la dose del farmaco. Inoltre la tolleranza può anche essere crociata cioè interessare diversi farmaci della stessa famiglia con meccanismo d’azione simile, ad esempio un’assunzione cronica di morfina provoca un effetto di tolleranza anche nei confronti di una dose di metadone. (Tipica la tolleranza crociata con gli oppiacei). Può insorgere gradualmente (tolleranza cronica) o rapidamente (tolleranza acuta o tachifilassi). I meccanismi biologici alla base della tolleranza sono di 2 tipi: 1. Meccanismo farmacocinetico: si basa sul fatto che un’assunzione prolungata di un certo farmaco o a dosi elevate provoca l’induzione di enzimi predisposti al metabolismo del farmaco stesso ed espone quindi il farmaco ad un aumentato turnover metabolico aumentando la sua clearance. 2. Meccanismo farmacodinamico: Aggiustamenti omeostatici: il sistema mette in atto una serie di reazioni fisiologiche per cercare di ripristinare l’omeostasi del sistema globale e pertanto l’effetto del farmaco viene in parte controbilanciato. L’esempio tipico riguarda i farmaci antipertensivi che di solito vengono dati in combinazione proprio perché da soli provocano una vasodilatazione che viene percepita dal sistema come inappropriata e si ha una maggior liberazione adrenergica con tendenza alla vasocostrizione. Cambiamenti nel numero o nelle caratteristiche dei recettori del farmaco. È molto più comune un sistema di tolleranza farmacodinamica e qualora siano entrambi presenti, l’effetto dominante spetta alla farmacodinamica. EFFETTO PLACEBO Per effetto placebo si intende un effetto favorevole (o talora sfavorevole) determinato dalla somministrazione del farmaco su base suggestiva. È sempre presente, sia quando si somministra il farmaco che una sostanza inerte. Dipende molto dalla personalit{ del paziente e dall’attitudine del paziente verso il farmaco. Si tratta di un effetto sintomatico di durata limitata (in genere 3 mesi). Entra in gioco anche durante patologie molto gravi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Dalla prescrizione all’effetto La curva log-dose – risposta risente di molte variabilità (alla dose prescritta un corrisponde una intensit{ dell’effetto ben determinata). Ad es dal pz può essere assunta una dose minore o maggiore oppure vi può essere una erronea somministrazione. La dose assunta, che dovrebbe portare una certa concentrazione del farmaco nella zona d’azione, è soggetta a variazioni fisiologiche (biodisponibilità), variabili patologiche (pz con insufficienza epatica o IRA), fattori genetici, interazioni con altri farmaci, tolleranza farmacocinetica. Anche l’intensit{ dell’effetto risente di variabili simili. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 PRINCIPI DI TOSSICOLOGIA EFFETTI PRINCIPALI E SECONDARI DEI FARMACI 16. Tipi di reazioni avverse ai farmaci Esistono differenti tipi di tossicità dei farmaci: 1. Effetti collaterali 2. Tossicità da sovradosaggio 3. Idiosincrasia 4. Allergia 5. Carcinogenesi 6. Teratogenesi e tossicità fetale 7. Farmacodipendenza EFFETTI COLLATERALI Si tratta di effetti tossici che avvengono alle dosi terapeutiche e sono correlati alle proprietà farmacologiche del composto. Ad esempio l’uso di atropina in pazienti con scarsa motilità intestinale provoca xerostomia. - Incidenza: colpisce una % variabile di pazienti ed avviene con la maggior parte dei farmaci - Gravità: generalmente bassa, se la somministrazione è cronica l’effetto compare entro i primi 10 giorni, poi tende a scomparire con le somministrazioni successive. - Effetto: dipende dal farmaco - Relazione dose-effetto: presente - Meccanismo: è associato all’interazione farmaco-recettoriale, ma in molti casi il meccanismo resta sconosciuto (ad esempio alcuni farmaci danno cefalea ma con un meccanismo ignoto) - Provvedimenti terapeutici: cambiare la posologia del farmaco ed eccezionalmente cambiare il farmaco. TOSSICITÀ DA IPERDOSAGGIO Effetti indesiderati che compaiono solo quando viene superata la dose terapeutica e quindi per dosi elevate. - Incidenza: in tutti i pazienti può avvenire se la dose è sufficiente, in ogni caso però ogni paziente presenta una dose minima che superata provoca effetti indesiderati. Tutti i farmaci possono dare tossicità da sovradosaggio. - Gravità: può essere anche molto grave - Effetto: dipende dal farmaco - Relazione dose-effetto: presente - Meccanismo: interazione farmaco-recettoriale, ma anche danno cellulare diretto. - Provveimenti terapeutici: ridurre la dose del farmaco o sospendere la somministrazione. In alcuni casi si può somministrare un antagonista (ove possibile) che tampona i singoli sintomi spiazzando il farmaco dal suo sito recettoriale. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 IDIOSINCRASIA DA FARMACI Alterata reattivit{ dell’organismo ad un farmaco geneticamente determinata. Avviene in pazienti che hanno delle anomalie genetiche come mutazioni o polimorfismi genici (spesso a carico dei geni che codificano per gli enzimi deputati al metabolismo). - Incidenza: una piccola parte della popolazione che presenta anomalie geniche e solo per determinati farmaci - Gravità: può essere elevata - Effetto: dipende dal farmaco - Relazione dose-effetto: generalmente presente - Meccanismo: interazione farmaco recettoriale - Provvedimenti terapeutici: sospendere il farmaco e ove possibile usare antagonisti. Ci sono 3 diversi tipi di reattività alterata: Aumentata sensibilità al farmaco Resistenza al farmaco Comparsa di un effetto nuovo Esistono effetti di maggior sensibilità: I sulfamidici e i nitriti tendono a dare metaemoglobinemia e i pazienti più predisposti sono quelli che possiedono Hb anomale oppure quelli che hanno Hb normali ma che presentano un deficit nell’enzima che dovrebbe trasformare la metaHb in Hb (NADH-metaHb-reduttasi). La succinilcolina è usata in anestesia per il rilassamento dei muscoli e viene degradata da una pseudocolinesterasi che se alterata non consente un’adeguata eliminazione del farmaco e si ha una maggior sensibilità al farmaco con effetti di paralisi muscolare prolungata. L’isoniazide antitubercolare è un farmaco che viene biotrasformato da un’acetil-trasferasi epatica, se questa è compromessa il farmaco resta per più tempo nell’organismo ed è causa di neuropatie. Il warfarin viene metabolizzato dal CYP2C9, se questo è geneticamente alterato il farmaco resta per più tempo nell’organismo e causa crisi emorragiche. Esistono però anche casi di resistenza ai farmaci: la codeina è un farmaco antitosse con un modesto effetto analgesico dovuto alla trasformazione di tale molecola in morfina da parte del CYP2D6, se questo è alterato non si presenta l’effetto analgesico. Il warfarin può non essere efficace nei pazienti con alterazioni dell’enzima epossido-reduttasi non presentando l’effetto anticoagulante. Esistono inoltre casi in cui la somministrazione di un farmaco evoca un effetto nuovo: la primachina, i salicilati ed alcuni sulfamidici possono dare anemia emolitica nei pazienti con modificazioni enzimatiche della G6PD. Alcol, barbiturici, estrogeni, fenitoina e griseofulvina in caso di deficit genetici degli enzimi della via biosintetica dell’eme possono dare porfirie. Un test permette di calcolare l’attivit{ plasmatica della colinesterasi a seconda del num di dibucaina (se è alto l’attivit{ è elevata, se basso l’attivit{ è scarsa). Si nota in una determinata pop una distribuzione trimodale: - pop nrl - inattivatori intermedi - pop sensibile alla succinilcolina Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Nel caso dell’isoniazide si nota una tipica distribuzione bimodale: - gli inattivatori lenti: mostrano una concentrazione plasmatica più alta (l’enzima è deficitario) - inattivatori rapidi: mostrano una concentrazione plasmatica più bassa (l’enzima è funzionante) ALLERGIA DA FARMACI Effetti indesiderati di un farmaco conseguenti ad una previa esposizione del paziente al farmaco stesso o a un composto simile (sensibilizzazione). - Incidenza: bassa anche se riguarda molti farmaci - Gravità: può anche essere elevata - Effetto: non è dipendente dal farmaco - Relazione dose-effetto: assente, infatti anche una quantità molto piccola può dare reazioni allergiche anche molto gravi - Meccanismo: immunologico - Provvedimenti terapeutici: sospensione del farmaco e somministrazione di farmaci antiallergici. È sempre indispendabile la sensibilizzazione, esiste anche una sensibilizzazione di gruppo per cui molecole strutturalmente simili danno in genere una sensibilizzazione crociata. La dose del farmaco è rilevante ai fini della sensibilizzazione, ma non incide sull’entit{ della risposta allergica. La frequenza di comparsa di allergia è correlata a: Struttura del farmaco: è più probabile che un famaco grosso dia reazioni allergiche Via di somministrazione Numero delle somministrazioni Patologie associate Predisposizione individuale Spesso è un metabolita del farmaco a dare allergia e non il farmaco primitivo. Inoltre il farmaco può non essere un antigene di per sé, ma comportarsi da aptene e legarsi alle proteine plasmatiche dando origine a composti anomali che vengono rilevati dal sistema immunitario come estranei. CARCINOGENESI Esistono farmaci che predispongono il paziente allo sviluppo di tumori, sono pochi i farmaci finora assicurati come carcinogenetici ed alcuni sono ancora in dubbio. Farmaci chemioterapici antitumorali e immunosoppressori Alcol (a dosi elevate) Fenitoina (?) Cloramfenicolo (?) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 17. Indice terapeutico; terapia farmacologica in gravidanza INDICE TERAPEUTICO Viene definito indice terapeutico il rapporto tra la dose che provoca tossicità e la dose necessaria a dare una risposta clinicamente desiderata o efficace in una popolazione. Per rilevare l’indice terapeutico quindi si prende una popolazione di riferimento e si somministrano dosi sempre maggiori di una farmaco guardando i livelli di raggiungimento di un’efficacia e quelli del raggiungimento di una tossicit{. Vengono presi come riferimento i valori che determinano la comparsa dell’effetto nel 50% della popolazione. DE50 = dose efficace o che dà una risposta clinicamente desiderata nel 50% della popolazione DT50 = dose minima per dare l’effetto tossico nel 50% della popolazione. IT = DT50 / DE50 Pertanto maggiore è l’indice terapeutico e maggiore sar{ la sicurezza di una farmaco perché le dosi efficaci sono modeste e quelle tossiche saranno elevate per cui per avere una tossicità sarà necessario somministrare una dose molto elevata. Viene definita finestra terapeutica quell’intervallo di dosi (o per essere più precisi di concentrazioni plasmatiche) che ha un’elevata probabilit{ di successo terapeutico, associata ad una bassa probabilità di effetti tossici gravi. Per i farmaci con un IT basso la finestra terapeutica sarà ridotta, mentre per quelli con IT alto l’intervallo sar{ più ampio. Esempio di farmaco ad IT basso: WARFARIN Il farmaco anticoagulante aumentando le dosi provoca un effetto terapeutico desiderato (che in tal caso è l’aumento di 2 volte il tempo di protrombina), ma in alcuni pazienti inizia a comparire anche un effetto tossico ossia un aumento eccessivo del PT e quindi emorragia. Aumentando ulteriormente le dosi si ha un netto incremento delle persone che sviluppano effetti tossici emorragici. Pertanto in questo caso la finestra terapeutica è stretta e esiste la possibilità che in alcuni pazienti prima di raggiungere la dose efficace si sviluppi un effetto tossico visto che in piccola parte le 2 curve sono sovrapposte. Questi farmaci sono quelli che presentano una variabilità di risposta tra i pazienti più alta. Fondamentale regolare la dose in modo critico. Esempio di farmaco ad IT elevato: PENICILLINA In questo caso la penicillina ha un IT molto elevato e di conseguenza è possibile somministrare una dose molto elevata (fino a 10 volte superiore la dose massima efficace) senza avere tossicità. In queste situazioni la finestra terapeutica è molto ampia e somministrando il farmaco si ha un ampio margine di sicurezza sul tipo di risposta che l’organismo avrà. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 TERAPIA FARMACOLOGICA IN GRAVIDANZA I farmaci somministrati durante la gravidanza possono interferire con lo sviluppo del feto determinando anche problemi gravi. Gli effetti dei farmaci durante la vita fetale si dividono in: Effetto diretto o Letale (aborto) o Teratogeno (interferenza con i normali processi di sviluppo degli organi con conseguenti malformazioni fetali) o Tossico (prevalentemente nell’ultimo periodo della gravidanza con conseguenza non molto diverse dalla tossicità negli adulti) Effetto indiretto o Diminuzione del flusso ematico placentare o Gravi alterazioni dell’assetto fisiologico della madre L’entit{ dei danni al feto dipendono da: 1. Struttura chimica del farmaco 2. Dose del farmaco 3. Stadio della gravidanza Lo stadio della gravidanza è molto importante nel determinare l’entit{ del danno fetale; infatti il farmaco si distribuisce nel circolo fetale ed andr{ ad alterare la formazione dell’organo che si sta formando in quel momento (alterazioni oculari, arto superiore): vi è dunque una correlazione precisa tra il periodo di assunzione del farmaco e il tipo di malformazione che compare con maggior frequenza. STADIO Blastogenesi Organogenesi Istogenesi e sviluppo funzionale DURATA (giorni) TIPO DI EFFETTI 0-16 Nessun effetto o aborto 17-60 Aborto Malformazioni Alterazioni metaboliche o funzionali (rare) 61-termine Aborto (raro) Malformazioni (rare) Alterazioni metaboliche o funzionali Teratogenesi vs tossicità fetale Teratogenesi Farmaci coinvolti Pochi Periodo di maggiore Giorni 17-60 incidenza Entità del danno Variabile Durata del danno Permanente Tipo di effetto Dipende da: - farmaco -periodi della gravidanza Relazione dose-effetto Presente Tossicità fetale Molti Giorni 61-termine Generalmente basso Transitorio Dipende da: - farmaco Presente I farmaci che sviluppano teratogenesi sono pochi mentre quelli che danno tossicità sono molti. La teratogenesi si sviluppa principalmente nei primi 60 giorni (fase blastogenesi e organogenesi) mentre la tossicità si sviluppa più avanti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Nella teratogenesi l’entit{ del danno è generalmente grave e permanente mentre nella tossicità si ha una modesta entità e una durata transitoria (alla nascita infatti si ha l’interruzione della comunicazione madre-feto e il neonato provvederà ad eliminare il farmaco). Fondamentale la dose, per cui in gravidanza si deve cercare di controllare e monitorare adeguatamente le somministrazioni croniche. È stato visto che la talitomide in gravidanza provoca notevoli probabilità di malformazioni fetali come la focomelia e quando si è scoperto la sua vendita è stata vietata. Pertanto in gravidanza è necessario evitare qualsiasi farmaco che sia stato accertato come teratogeno o tossico per il feto ed usare con molta prudenza i farmaci che non sono ancora stati accertati come responsabili di un effetto dannoso. Quando viene stabilita la tossicità di un farmaco è opportuno considerare estesa la tossicità a tutti i farmaci facenti parte della stessa classe ed evitare di somministrarli. L’uso di un farmaco che prevede una probabilità di effetti teratogeni o tossici deve essere un rischio calcolato ed essere utilizzato solo se non esistono valide alternative. Un principio fondamentale da tenere in considerazione è la dose, per cui è necessario tenere presente che i trattamenti cronici espongono ad un rischio molto maggiore che le esposizioni occasionali ad un farmaco. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 GENERALITA’ SUL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO Il sistema nervoso si suddivide in SNC e SNP; il primo è formato da encefalo e midollo spinale mentre il secondo è costituito dai nervi encefalici e spinali e dai gangli del sistema nervoso autonomo. Il sistema nervoso periferico a sua volta può essere suddiviso in 2 branche: Afferente: che rileva eventi periferici e li invia verso il centro affinchè vengano identificati, interpretati e a seguito venga formulato un messaggio di risposta per mantenere uno stato omeostatico. Efferente: che invia dei messaggi dal SNC verso la periferia comprendendo qualsiasi organo o distretto. Un’ulteriore suddivisione del SNP prevede: Sistema nervoso somatico: regolato da comportamenti coscienti e volontari Sistema nervoso autonomo: indipendente dalla coscienza e dalla volontà, a sua volta il SNA può essere suddiviso nelle sue 3 branche: o SIMPATICO o PARASIMPATICO o ENTERICO Il sistema nervoso autonomo prevede la presenza di neuroni afferenti ed efferenti. Gli efferenti hanno il compito di inviare risposte elaborate dal SNC verso gli organi interni mediante 2 vie neuronali. Il neurone iniziale ha origine dal SNC, viene detto pre-gangliare e raggiunge un ganglio che fa parte del SNP, qui si ha il passaggio dell’informazione ad un neurone post-gangliare che provvede al trasporto dell’informazione a destinazione. I neuroni afferenti invece rilevano dei messaggi dalla periferia e li inviano al SNC. Sistema SIMPATICO I neuroni del simpatico hanno origine dai segmenti toracici e lombari del midollo spinale e fuoriescono da esso con i loro assoni dei neuroni pre-sinaptici e si dirigono verso la catena paravertebrale dei gangli del SNA simpatico. Qui avviene la liberazione del neurotrasmettitore acetilcolina che si lega ai recettori nicotinici sulla membrana del neurone post-gangliare il quale si dirige alla sede finale di innervazione. Questo sistema è poco specifico perché l’attivazione di un nervo simpatico determina inevitabilmente l’arrivo dell’informazione a più distretti essendo il ganglio in genere molto distante dalla sede d’azione. In sede d’arrivo il neurone post-sinaptico libera il neurotrasmettitore noradrenalina che si lega a recettori adrenergici. La midollare del surrene riceve direttamente un neurone pre-gangliare e quindi funge da ganglio simpatico, tuttavia non prevede l’utilizzo di un neurone post-sinaptico ma della liberazione di un ormone che è l’adrenalina e in piccola parte noradrenalina che entra in circolo e si lega ai recettori adrenergici esaltando l’azione del simpatico. Il simpatico viene attivato in modo massivo solo in certe condizioni come “attacco e fuga” in cui si verificano una serie di modificazioni transitorie del tono parasimpatico che consentono una serie di risposte immediate e veloci per attacco o difesa. Sistema PARASIMPATICO I neuroni del parasimpatico hanno origine dai segmenti cervicali e sacrali del midollo spinale e fuoriescono da esso tramite nervi spinali che conducono gli assoni dei neuroni pre-sinaptici Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 verso i gangli parasimpatici situati nei pressi o sull’organo bersaglio. Qui è contenuto il neurone post-gangliare che riceve acetilcolina come neurotrasmettitore che si lega ai recettori nicotinici e in seguito parte il messaggio del neurone post-sinaptico verso l’organo bersaglio dove viene liberata acetilcolina che in tal caso si lega attraverso recettori muscarinici. A differenza del simpatico questo sistema è più specifico e quando viene attivato non prevede un’azione massiva ma sempre diretta e specifica ad un determinato territorio grazie alla lunghezza molto breve delle fibre post-sinaptiche che raggiungono direttamente l’organo da innervare. L’attivazione in massa di tutto il parasimpatico provocherebbe sintomi massivi, indesiderabili e spiacevoli. Questo sistema prevede un’attivazione di base nei confronti di certi organi ed è pertanto essenziale per la vita in quanto regola normalmente il ritmo cardiaco, la digestione e l’eliminazione delle scorie. Sistema ENTERICO Il sistema enterico è un sistema a se stante situato all’interno della parete del tubo digerente e si divide in plesso mienterico e sottomucoso. Possiede dei gangli propri che regolano la motilità intestinale e le secrezioni. Riceve impulsi regolatori sia dal simpatico che dal parasimpatico. Azioni del sistema parasimpatico e simpatico Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 In genere gli organi hanno una duplice innervazione anche se determinati organi possiedono solo un’innervazione simpatica o parasimpatica, in ogni caso quando ci sono organi con duplice innervazione quella parasimpatica è predominante. Il sistema nervoso somatico si differenzia da questi perché possiede un neurone all’interno del midollo spinale o del tronco encefalico che invia un impulso direttamente alla muscolatura periferica senza intermediari gangliari di alcun tipo. Il neurone è sempre mielinizzato a differenza del SNA in cui talvolta i neuroni non sono dotati di mielina. I neurotrasmettitori sono molecole informazionali al pari dei mediatori locali e degli ormoni, tuttavia hanno il loro percorso all’interno del sistema nervoso e vengono liberati a seguito di un potenziale d’azione che causa la liberazione del calcio, in tal modo è possibile liberare le vescicole di neurotrasmettitori nello spazio sinaptico che si combinano con recettori specifici di membrana vista la loro scarsa liposolubilità. Esistono circa 50 tipi di neurotrasmettitori nel SNC, ma di questi solo 6 sono coinvolti nell’azione dei farmaci terapeuticamente utili: noradrenalina, acetilcolina, dopamina, serotonina, istamina e acido γ-aminobutirrico. Spesso a seguito della liberazione di tali trasmettitori vengono anche rilasciati cotrasmettitori come l’adenosina che supportano i primi e modulano il processo di trasmissione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Una volta avvenuto il legame tra NT e recettore deve avvenire una trasduzione del segnale in modo da evocare una risposta biologica seguente all’arrivo della molecola. Esistono 2 tipi diversi di trasduzione: 1. Recettore associato ad un canale ionico che a seguito del legame col NT provoca una modificazione del potenziale di membrana. È il caso tipico del recettore nicotinico dell’Ach sia a livello del sistema nervoso somatico, sia negli intermezzi gangliari del sistema nervoso autonomo. 2. Recettori accoppiati a proteine G che producono un secondo messaggero. È il caso di recettori muscarinici, recettori α e β, recettori dopaminergici. Può avvenire sia la produzione di cAMP come secondo messaggero sia di IP3 mediante attivazione della fosfolipasi C. Esiste una modalità di regolazione della neurotrasmissione a livello locale: Regolazione presinaptica: sulla membrana presinaptica esistono recettori che se stimolati possono favorire o inibire il rilascio dei NT (autorecettori ed eterorecettori). Regolazione postsinaptica: se la liberazione del NT è eccessiva e prolungata i recettori sulla membrana postsinaptica vanno incontro ad un meccanismo di down-regulation o desensibilizzazione o refrattariet{; se la liberazione è scarsa o c’è un’inibizione cronica allora si ha un’up-regulation o sensibilizzazione. La modulazione della trasmissione può essere dovuta anche all’intervento di altri NT che agiscono su differenti recettori postsinaptici. La neurotrasmissione nel SNA può terminare in 2 modi: 1. Distruzione: in tal caso il NT viene metabolizzato e distrutto da specifici enzimi, è il caso della colinesterasi che elimina l’Ach. 2. Allontanamento: processo che avviene mediante a. Ricaptazione attiva del neurone presinaptico (es serotonina) b. Ricaptazione attiva da parte di strutture apposite (es noradrenalina nella nevroglia) c. Diffusione verso un organo sede di metabolismo. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI DEL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO INQUADRAMENTO GENERALE DEI FARMACI CHE AGISCONO SUL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO 18. Parasimpaticomimetici e parasimpaticolitici Parasimpaticomimetici L’acetilcolina è un neurotrasmettitore utilizzato nel sistema simpatico e parasimpatico a livello gangliare, nella midollare del surrene a livello del neurone pre-gangliare, nella branca parasimpatica a livello del neurone post-sinaptico, nel sistema nervoso somatico e nel sistema nervoso centrale. L’Ach è la molecola neurotrasmettitore endogeno mediatore di una serie di effetti. Il neurone colinergico prevede la liberazione dell’Ach in 6 tappe: 1. Sintesi: la colina viene addizionata ad un gruppo acetile e si forma l’Ach 2. Immagazzinamento in vescicole: qui è protetta dalla degradazione 3. Liberazione del neurotrasmettitore: a seguito di un potenziale d’azione che si propaga lungo il neurone e che permette l’apertura di canali del calcio voltaggio dipendenti che permettono la fusione delle vescicole con la membrana pre-sinaptica. La liberazione è inibita dalla tossina botulinica, mentre il veleno di ragno vedova nera causa la fuoriuscita di tutto il NT. 4. Legame al recettore: esistono 2 tipi di recettori, muscarinico e nicotinico situati sulla membrana post-sinaptica, esistono anche recettori pre-sinaptici che amplificano la liberazione del NT. 5. Degradazione dell’Ach: mediata dall’enzima acetilcolinesterasi nello spazio sinaptico che scinde l’Ach in acetato e colina. 6. Riutilizzazione della colina: un sistema di trasporto accoppiato al sodio permette l’ingresso nuovamente della colina nel neurone. Questa tappa è inibita dall’emicolinio. I recettori MUSCARINICI sono definiti tali in quanto hanno un’elevata affinit{ con la muscarina, una sostanza estratta da certi funghi, hanno affinit{ per l’Ach e molto bassa per la nicotina. Questi sono di diversi isotipi: M1-5 di cui M1 è prevalente nella mucosa gastrica, M2 nelle cellule muscolari Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 lisce e cardiache e M3 nelle ghiandole esocrine, mentre tutti gli isotipi sono presenti sui neuroni. Essi sono accoppiati a proteine G che nel caso di M1 o M3 generano secondi messaggeri tra cui IP3 mediante la subunità Gq che attiva la fosfolipasi C e forma IP3 e diacilglicerolo. Nel caso di M2 si verifica l’attivazione della subunit{ Gi che inibisce la formazione del cAMP con aumento di conduttanza al potassio e quindi iperpolarizzazione con riduzione della frequenza cardiaca e della contrattilità. I recettori NICOTINICI sono composti da 5 subunità associate ad un canale del sodio che a seguito del legame con la Ach si apre e permette la depolarizzazione della cellula. Sono situati nelle placche neuromuscolari, nella midollare del surrene e nei gangli sia simpatici che parasimpatici. Hanno una spiccata affinità per la nicotina, mentre legano scarsamente la muscarina. I recettori gangliari sono bloccati dall’esametonio, mentre quelli della giunzione nm sono inibiti dalla tubocurarina. Gli agonisti colinergici si possono dividere in 3 categorie: Diretti (naturali e sintetici) Indiretti reversibili Indiretti irreversibili Agonisti DIRETTI ACETILCOLINA Composto ammonico quaternario che non può attraversare le membrane e benchè sia il principale agente endogeno non viene usato in terapia perché ha un’emivita estremamente breve dovuta alla rapida distruzione da parte della colinesterasi. Le sue azioni principali sono - una riduzione della scarica del nodo SA provocando bradicardia e riduzione della FE; - vasodilatazione attivando i recettori muscarinici presenti sulla parete dei vasi (i vasi non hanno innervazione parasimpatica diretta) dovuta alla liberazione del calcio conseguente alla produzione di IP3 che stimola la formazione di NO. Tuttavia senza stimolo con agonisti colinergici non è possibile conoscere la funzione dei recettori visto che normalmente l’Ach liberata in circolo è quasi nulla; - stimolo della motilità intestinale - stimolo della contrazione del detrusore e rilasciamento degli sfinteri; - stimolo secrezioni bronchiolari - contrazione del muscolo ciliare con conseguente visione da vicino migliorata e contrazione dello sfintere della pupilla causando miosi. BETANECOLO Composto sintetico a partire dalla Ach, la presenza di un gruppo carbamato e metilico il composto è distrutto dalla colinesterasi molto più lentamente e quindi ha efficacia terapeutica. Ha forte attività muscarinica Azioni: stimola motilità intestinale, detrusore e rilassamento sfinteri. Applicazioni terapeutiche: viene utilizzato per l’atonia vescicale soprattutto dopo parto o operazione chirurgica quando può instaurarsi una condizione di ritenzione urinaria. Effetti indesiderati: sudorazione, nausea, diarrea, miosi, urgenza urinaria, broncospasmo e riduzione della pressione arteriosa. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 CARBACOLO Composto sintetico anch’esso a lunga durata d’azione che ha affinit{ sia per recettori muscarinici che nicotinici. Azioni: effetti cardiovascolari, intestinali, oculari (provoca miosi e spasmo dell’accomodazione) e può far liberare adrenalina alla midollare del surrene vista la parziale azione nicotinica. Usi terapeutici: raramente utilizzato in terapia a causa della sua lunga durata d’azione. Solo nei casi di glaucoma acuto in cui è in grado di dare miosi e riduzione della pressione intraoculare. Effetti indesiderati: assenti alle dosi usate in oftalmologia. PILOCARPINA Farmaco naturale (alcaloide) che ha una certa affinità per i recettori muscarinici. Ha effetti minori rispetto all’Ach e ai suoi derivati. Trova impiego principalmente nel trattamento di attacchi acuti di glaucoma. Azioni: applicato topicamente sulla cornea determina miosi e spasmo dell’accomodazione, è efficace nel favorire la secrezione ghiandolare salivare, lacrimale e sudoripara e pertanto viene usato per i pazienti con xeroftalmia a seguito di irradiazione della testa. Usi terapeutici: pazienti con glaucoma acuto è il farmaco principale perché permette contrazione del muscolo ciliare con apertura delle trabecolature del canale dello Schlemm permettendo un drenaggio dell’umore acqueo e riduzione della pressione intraoculare. Effetti indesiderati: agendo sul SNC e riuscendo a penetrarvi dà sudorazione profusa e salivazione. METACOLINA Agonisti INDIRETTI REVERSIBILI Si tratta di inibitori della colinesterasi che quindi lasciano l’Ach libera nelle terminazioni sinaptiche per più tempo. Questo determina un effetto agonista colinergico ampio e massivo sia sui recettori muscarinici che nicotinici. FISOSTIGMINA Farmaco naturale, amina terziaria che si lega alla colinesterasi e la inibisce reversibilmente. Azioni: molteplici e con durata d’azione di 2-4 ore Usi terapeutici: pazienti con glaucoma (anche se la pilocarpina è più efficace), atonia intestinale o vescicale, trattamento del sovradosaggio da farmaci come l’atropina. Effetti indesiderati: ipotensione improvvisa, bradicardia e paralisi muscolare conseguente a prolungata azione del farmaco che dà down-regulation dei recettori muscolari esposti per troppo tempo a Ach. In più penetra nel SNC e può causare convulsioni. NEOSTIGMINA Farmaco naturale che a differenza della fisostigmina non penetra nel SNC perché è polare. Azioni: stimolo contrazione muscolatura scheletrica prima di provocarne una paralisi, utile come antidoto della tubocurarina. Usi terapeutici: atonia vescicale e gastrointestinale, miastenia gravis (condizione in cui ci sono anticorpi diretti contro i recettori dell’Ach). Effetti indesiderati: salivazione, vampate, ipotensione, dolori addominali, nausea. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 PIRIDOSTIGMINA Farmaco utilizzato per trattamento cronico della miastenia gravis. DONEZEPIL, RIVASTIGMINA, GALANTAMINA Farmaci studiati come possibile rimedio per la perdita della funzione cognitiva agendo sulla colinesterasi del SNC cercando di mantenere l’Ach e rallentare così la progressione di malattie come l’Alzheimer. Agonisti INDIRETTI IRREVERSIBILI Farmaci che formano un legame covalente con la colinesterasi non permettendo una reversibilit{ dell’inibizione. Per tale motivo risultano anche tossici. Alcuni sono stati usati in ambiente militare per produrre gas tossici (gas nervino). ISOFLUROFATO Capostipite della famiglia, realizza un legame covalente con un residuo di serina dell’enzima e non permette più una reversibilit{. L’enzima richiede un antidoto che è la pralidossima che permette di separare i 2 composti, tuttavia dopo un certo tempo si verifica il fenomeno dell’invecchiamento per cui viene perso un gruppo alchilico che rende impossibile la dissociazione del legame anche con pralidossima. Azioni: stimolazione colinergica generalizzata con paralisi della funzione motoria (e problemi respiratori). Usi terapeutici: trattamento cronico del glaucoma ad angolo aperto. Parasimpaticolitici Gli antagonisti colinergici si legano ai recettori dell’acetilcolina ma non hanno un’attivit{ intrinseca e quindi si limitano nella maggioranza dei casi a bloccare l’effetto. Si suddividono in 3 grandi gruppi: 1. Agenti antimuscarinici 2. Bloccanti gangliari 3. Bloccanti neuromuscolari Agenti antimuscarinici Sicuramente sono tra gli antagonisti colinergici più conosciuti e con più impieghi terapeutici. Hanno un’affinit{ alta con i recettori muscarinici lasciando intatti quelli nicotinici e per questo possono essere ampiamente usati senza avere effetti indesiderati associati all’interessamento dei recettori nicotinici come la paralisi muscolare. Il loro effetto è quello di bloccare le sinapsi muscariniche dei nervi parasimpatici lasciando il sistema simpatico senza antagonisti fisiologici. Inoltre questi farmaci vanno anche a bloccare quei recettori muscarinici controllati dal sistema simpatico (eccezionalmente) come le ghiandole salivari e sudoripare. Questo gruppo può essere suddiviso in Amine terziarie: o Alcaloidi naturali: atropina, scopolamina, ipratropio o Composti di sintesi: omatropina, ciclopentolato, tropicamide, biperidene, orfenadrina, triesifenidile Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Composti dell’ammonio quaternario: scopolamina butilbromuro, ipratropio bromuro, ossitropio bromuro. Le amine hanno un effetto trascurabile sui recettori nicotinici mentre i composti dell’ammonio quaternario esercitano un effetto significativo di blocco anche sui recettori nicotinici. ATROPINA Farmaco principale di questa classe, è un alcaloide derivato dalla belladonna e agisce sia a livello centrale che periferico con durata d’azione di circa 4 ore. Azioni: Occhio: determina una midriasi ed una cicloplegia cioè una scarsa capacità di mettere a fuoco per la visione da vicino. Molto pericolosa per i soggetti con glaucoma ad angolo aperto perché può dare aumenti drastici di pressione. Di solito per indurre midriasi negli esami oftalmici si usano farmaci a durata d’azione più breve come la fenilefrina. Gastrointestinale: utilizzato per ridurre le contrazioni spastiche, la secrezione acida non è interessata. Urinario: utilizzata occasionalmente nei bambini con enuresi, ma gli agonisti αadrenergici risultano più efficaci. Cardiovascolare: l’atropina ha azione diversa in base alle dosi. Infati a basse dosi provoca una lieve bradicardia dovuta essenzialmente all’attivazione dei recettori M1 inibitori pregiunzionali permettendo così liberazione di Ach. Ad alte dosi si ha un lieve effetto tachicardico per attivazione dei recettori M2 nel nodo SA, tuttavia questo effetto per verificarsi richiede dosi maggiori rispetto a quelle usate normalmente in terapia. Secrezioni: è uno dei principali inibitori della secrezione delle vie aeree superiori prima degli interventi chirurgici. Induce xerostomia e riduzione delle lacrime e del sudore. Usi terapeutici: Oftalmico: utilizzata per gli esami oftalmologici che rilevano difetti di rifrazione provocando midriasi e cicloplegia. Non usarla nei soggetti con glaucoma o sospetto. Antispastico: riduzione delle contrazioni involontarie dell’intestino e della vescica. Antidoto: utilizzato nei casi di sovradosaggio di agonisti colinergici tipicamente indiretti (inibitori della colinesterasi), in caso quindi di intossicazione da alcuni funghi o esposizione a insetticidi. Antisecretivo: pre-chirurgico. Farmacocinetica: assunzione per via orale, metabolismo epatico ed eliminazione urinaria. Effetti indesiderati: può dare secchezza delle fauci, offuscamento della visione, sensazione di sabbia negli occhi, tachicardia e stipsi. A dosi elevate può dare gravi conseguenze al SNC come allucinazioni e delirio fino al coma. Si cerca di evitare di somministrarla ai pazienti anziani per evitare lo smascheramento di un glaucoma latente preesistente. SCOPOLAMINA Farmaco alcaloide derivato da belladonna con durata d’azione più lunga dell’atropina ed effetti maggiori sul SNC. Azioni: efficace contro il mal di moto e per la riduzione della memoria a breve termine. Causa sedazione a basse dosi mentre ad alte dosi eccitazione. Usi terapeutici: prevenzione del mal di moto e riduzione memoria a breve termine. Effetti indesiderati e farmacocinetica: sovrapponibile a atropina. IPRATROPIO Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmaco utilizzato principalmente come antitussigeno quando non si possono usare agonisti adrenergici. Utile anche per il controllo della BPCO. Bloccanti gangliari Farmaci che hanno affinità per i recettori nicotinici presenti nei gangli del SNA, sia simpatico che parasimpatico, non hanno effetto sui recettori nicotinici della placca neuromuscolare. Pertanto la loro azione è quella di interferire con la trasmissione del SNA. NICOTINA Componente del fumo di sigaretta priva di benefici sull’organismo e deleteria per la salute. Ha un’azione a basse dosi depolarizzante sui recettori nicotinici gangliari e quindi provoca aumento pressorio, tachicardia e aumento peristalsi intestinale e secrezioni. A dosi più alte invece è un bloccante dell’ingresso di sodio causando caduta brusca della pressione, bradicardia e arresto della motilità intestinale. TRIMETAFANO Composto che blocca competitivamente i recettori nicotinici somministrato per via endovenosa a causa della breve durata d’azione. Trova impiego farmaceutico nel trattamento acuto delle crisi ipertensive come nel caso dell’edema polmonare. MECAMILAMINA Trattamento dell’ipertensione medio-grave, biodisponibilità orale elevata a differenza dle precedente. Bloccanti neuromuscolari Composti farmacologici con affinità specifica nei confronti del recettore nicotinico presente nella placca neuromuscolare. Si dividono in bloccanti non depolarizzanti e bloccanti depolarizzanti. I bloccanti competitivi (non depolarizzanti) hanno il loro capostipite nel curaro, oggi utilizzato come tubocurarina usata in genere prima degli interventi chirurgici per ridurre la contrazione muscolare associata all’anestetico. La TUBOCURARINA abbassa l’ingresso di sodio nella cellula muscolare e di conseguenza induce una riduzione della contrattilità che a dosi elevate diventa una paralisi flaccida. I muscoli più colpiti sono quelli faciali e orbitali e in seguito quelli delle dita. Il diaframma è l’ultimo ad essere interessato. La biodisponibilità orale è molto bassa e pertanto va somministrato per via endovenosa, molti farmaci di questa classe non sono metabolizzati e la loro azione cessa per redistribuzione. Effetti avversi della tubocurarina sono la possibile liberazione di istamina e il conseguente blocco gangliare con riduzione della pressione. Pertanto è raramente usata in terapia. Altri farmaci competitivi sono il mivacurio (utile per procedure chirurgiche brevi), il cisatracurio (utile nella ventilazione meccanica), il rocuronio (utile nell’intubazione tracheale) e il pancuronio (vagolitico). Possono presentarsi interazioni con altri farmaci: - Inibitori della colinesterasi (fisostigmina, neostigmina): un eccesso di questi farmaci può annullare l’azione dei bloccanti neuromuscolari, ma una dose eccessiva determina una paralisi muscolare a seguito della eccessiva presenza di Ach nello spazio sinaptico con down-regulation dei recettori. - Alotano e altri anestetici idrocarburi alogenati: azione esaltata - Inibitori dei canali del calcio: azione esaltata Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Antibiotici aminoglicosidici (gentamicina): azione di blocco della liberazione di Ach con rinforzo dell’effetto della tubocurarina. Farmaci depolarizzanti Il tipico farmaco antagonista colinergico che si lega ai recettori nicotinici ma sviluppa una depolarizzazione è la SUCCINILCOLINA. Il meccanismo d’azione prevede una iniziale depolarizzazione massiva dovuta all’apertura dei canali Na con fascicolazioni muscolari, in seguito l’eccesiva presenza dell’Ach causa una desensibilizzazione del recettore che lascia spazio ad una progressiva ripolarizzazione con paralisi flaccida. Azioni: fascicolazioni e paralisi flaccida. Durata d’azione molto breve. Usi terapeutici: utilizzata per il rapido inizio e la breve durata d’azione quando è necessaria una rapida intubazione endotracheale durante l’induzione dell’anestesia. Farmacocinetica: iniettata endovena per infusione continua. Effetti avversi: ipertermia maligna (durante anestesia con alotano, curata con dantrolene che blocca la liberazione del calcio) e apnea nei pazienti con defici della colinesterasi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 19. Simpaticomimetici e simpaticolitici Simpaticomimetici Si tratta di composti che agiscono sui recettori stimolati dall’adrenalina e dalla noradrenalina (recettori adrenergici) favorendo un’azione positiva su di essi e mimando l’azione dei composti endogeni classici. Il neurone adrenergico presenta le stesse caratteristiche di quello colinergico tranne per il fatto che il neurotrasmettitore usato per comunicare è la noradrenalina anziché l’acetilcolina. Questi neuroni sono presenti in abbondanza nel SNC e nelle branche simpatiche del SNA come neuroni post-gangliari che raggiungono l’organo bersaglio. Il neurotrasmettitore viene liberato dallo spazio presinaptico formato da varicosità verso lo spazio sinaptico e captato da recettori postsinaptici classificati come α o β adrenergici oppure recettori presinaptici deputati alla modulazione della liberazione del NT. 1. Formazione della noradrenalina: la tirosina è un AA che viene fatto entrare nell’assoplasma mediante un cotrasporto con il sodio, qui viene idrossilato a diidrossifenilalanina (DOPA). La DOPA è decarbossilata per formare dopamina. 2. Immagazzinamento in vescicole: la DOPA viene immessa dentro vescicole grazie ad un trasporto deputato anche alla ricaptazione della NA una volta terminata l’azione sinaptica. Qui attraverso l’enzima β-idrossilasi si ha la conversione della dopamina in noradrenalina mediante idrolisi. Nella midollare del surrene la NA viene metilata e si forma adrenalina, entrambe vengono secrete nel flusso ematico. 3. Liberazione della NA: all’arrivo del potenziale d’azione il flusso di calcio permette la fusione delle vescicole con la membrana presinaptica e la fuoriuscita della NA nello spazio sinaptico. (Tappa inibita dalla guanetidina). 4. Legame con il recettore: i recettori adrenergici sono situati negli organi bersaglio, ma anche nella membrana del neurone presinaptico come sistema regolatorio. I recettori una volta legati trasducono il messaggio utilizzando come secondi messaggeri sia il cAMP che l’IP3. 5. Rimozione della NA: il NT una volta presente nello spazio sinaptico viene eliminato in 3 modi: può diffondere nello spazio extracellulare ed entrare nel circolo generale, può essere degradato dal sistema COMT (catecol-O-metiltransferasi) oppure può essere ricatturata dal neurone presinaptico. 6. Destini della NA ricatturata: può essere reimmessa nelle vescicole per essere riutilizzata oppure può venire degradata dalla MAO (monoaminossidasi) presente all’interno dei mitocondri neuronali. I prodotti inattivi del metabolismo sono l’acido vanillilmandelico, la metanefrina e la normetanefrina riscontrabili all’interno delle urine. I recettori adrenergici sono divisibili in 2 categorie in base alla loro affinità relativa a 3 catecolamine: adrenalina, noradrenalina e isoproterenolo. I recettori α hanno una affinit{ maggiore per l’adrenalina, quasi uguale a quella per la noradrenalina (anche se leggermente inferiore) e molto bassa per l’isoproterenolo. Essi vengono suddivisi in 2 gruppi: α1 e α2 con funzioni differenti in base all’affinit{ per α-agonisti e α-bloccanti. I recettori α1 hanno la caratteristica di essere distribuiti prevalentemente sulla muscolatura liscia dei vasi, determinano il loro effetto mediante la produzione di IP3 e liberazione del calcio. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 I recettori α2 invece sono situati in prevalenza a livello delle membrane presinaptiche e non negli organi bersaglio come i precedenti. Esplicano una funzione di controllo della liberazione delle vescicole del neurotrasmettitore e determinano una regolazione della secrezione dell’insulina essendo presenti sulle cellule beta pancreatiche. Il loro meccanismo è associato al legame della NA liberata nello spazio sinaptico che scatena un’inibizione della produzione di cAMP che determina una riduzione della fuoriuscita di mediatore dagli spazi presinaptici. I recettori β invece dimostrano una elevata affinit{ per l’isoproterenolo, media affinit{ per l’adrenalina e una bassa affinit{ per la noradrenalina. Il loro grado di affinit{ dipende dal numero e dal tipo di sostituzioni sull’azoto aminico, maggiore è il composto e maggiore sarà l’affinit{, infatti l’isoproterenolo ha aggiunto un gruppo isopropilico ed è il più affine. I recettori β sono anch’essi divisi in sottogruppi: i β1 hanno una affinità sovrapponibile sia per l’adrenalina che per la noradrenalina, mentre i β2 hanno una maggior affinità per l’adrenalina. Questi recettori funzionano attraverso l’intervento di un secondo messaggero, che in questo caso è il cAMP prodotto dall’adenilato ciclasi. I recettori sono ampiamente distribuiti anche se in alcuni distretti c’è la prevalenza di un recettore rispetto ad un altro, ad esempio nel cuore ci sono i β1, nel muscolo liscio vasale ci sono gli α1 e nel muscolo striato scheletrico predominano i β2, i quali sono preponderanti anche a livello della muscolatura liscia bronchiale. I recettori eccessivamente esposti agli agonisti adrenergici sviluppano un fenomeno di desinsibilizzazione che avviene in 3 modalità: Sequestro dei recettori Down-regulation con scomparsa dei recettori e riduzione della sintesi Incapacità ad accoppiare la proteina G Alfa 1 Alfa 2 Beta 1 Beta 2 Vasocostrizione Inibizione Tachicardia Vasodilatazione liberazione (muscoli scheletrici) noradrenalina Aumento RVP Inibizione Aumento lipolisi Lieve diminuzione liberazione insulina RVP Aumento pressione Aumento contrattilità Broncodilatazione miocardica Midriasi Aumento liberazione Aumento di renina glicogenolisi epatica e muscolare Aumento chiusura Aumento liberazione dello sfintere interno glucagone della vescica Rilassamento muscolatura uterina Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Catecolamine: composti derivati dalla feniletilamina contenenti il gruppo 3,4diidrossibenzene (detto anche catecolo). Le principali sono adrenalina, NA, isoproterenolo e dopamina. Esse condividono aspetti comuni: o Potenza più elevata nell’attivare i recettori alfa e beta o Rapida inattivazione da parte delle COMT e delle MAO, pertanto dovranno essere date per via parenterale altrimenti non arrivano a destinazione visto che nell’intestino sono presenti enzimi degradanti o Scarsa penetrazione nel SNC a cause della loro polarità spiccata. Tuttavia molti effetti clinici sono attribuibili ad azioni sul SNC. Non catecolamine: composti come fenilefrina, efedrina e amfetamina non possiedono gruppi idrossilici nell’anello benzenico e quindi sono meno attaccabili dalla COMT e dalla MAO, di conseguenza hanno una durata d’azione molto più prolungata e la loro maggiore liposolubilità consente un loro ingresso nel SNC. Meccanismi d’azione degli agonisti adrenergici: 1. Agonisti diretti: interagiscono direttamente con il recettore determinando effetti simili a quelli del mediatore endogeno 2. Agonisti indiretti: determinano la loro azione esaltando la liberazione della NA dai terminali simaptici, oppure inibiscono la ricaptazione di essa (cocaina). 3. Agonisti misti: hanno entrambi i meccanismi d’azione sopracitati. 4. Azioni riflesse: principalmente a carico dell’apparato cardiovascolare, il sistema percepisce un’alterazione dell’omeostasi e cerca di riportare il sistema allo stato iniziale. Agonisti adrenergici diretti ADRENALINA È una delle 4 catecolamine più usate in farmacologia insieme a dopamina, dobutamina e noradrenalina. È un composto di sintesi ma è anche prodotta dalla midollare del surrene per metilazione della noradrenalina, con la quale è immessa nel circolo ematico. Svolge numerosissime funzioni ed è l’unico beta agonista diretto che ha azione su tutti i tipi di recettori adrenergici (alfa1,2,beta1,2). Azioni: Sistema cardiovascolare: effetti fondamentali, agisce incrementando la contrattilità miocardica e la frequenza (effetto beta1), agisce aumentando marcatamente la pressione sistolica aumentando la contrazione della muscolatura liscia vasale della cute, dei visceri e delle mucose (azione alfa1), aumenta la vasodilatazione delle arteriole muscolari scheletriche (azione beta2) riducendo la pressione diastolica. Nel Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 complesso quindi si ha un lieve aumento della pressione sistolica ed un altrettanto lieve riduzione della pressione diastolica. Il risultato complessivo è comunque un lieve aumento della pressione media. La frequenza cardiaca è aumentata a seguito della parziale ma intensa vasodilatazione muscolare che evoca un riflesso simpatico atto a provocare tachicardia. Sistema respiratorio: con l’azione beta2 è uno dei principali farmaci usati nel trattamento dell’attacco acuto d’asma o di qualunque altra condizione x cui il broncospasmo causa una riduzione dello scambio gassoso. In caso di shock anafilattico è un salvavita. Iperglicemia: essa causa un aumento di liberazione di glucagone e un aumento della glicogenolisi epatica per azione beta2 associato a riduzione della liberazione di insulina tramite azione alfa2. Azioni mediate dal cAMP. Lipolisi: grazie all’azione beta (forse esistono recettori appositi beta3 sul tessuto adiposo) si ha un incremento del cAMP con stimolazione della lipasi-ormone sensibile. Usi terapeutici: Broncospasmo: farmaco di prima scelta per l’attacco acuto d’asma Shock anafilattico: farmaco di prima scelta Glaucoma: la vasocostrizione del muscolo cigliare provoca una riduzione della secrezione di umore acqueo con riduzione della pressione intraoculare Anestesia: viene dato in piccolissime dosi insieme all’anestetico al fine di evocare una vasocostrizione locale che non permetta all’anestetico di distribuirsi velocemente in circolo ma di restare di più localmente e svolgere la sua funzione inibente. Farmacocinetica: deve essere somministrata o per via intramuscolare o endovenosa nei casi urgenti, o sottocutanea in alcuni casi, o topica nell’occhio oppure tramite aerosol per problemi respiratori. Non può essere data per via orale vista la sua biodisponibilità praticamente nulla. Effetti avversi: si possono avere Disturbi del SNC: ansia, instabilità, cefalea, tremori. Emorragia: a seguito dell’ipertensione endocranica Aritmie Edema polmonare Interazioni: nel soggetto con ipertiroidismo gli effetti dell’adrenalina sono amplificati per la presenza di un maggior numero di recettori adrenergici; nei soggetti che fanno uso di cocaina gli effetti sono molto maggiori perché viene inibita la capacità di ricaptazione. NORADRENALINA Molecola biologica endogena naturale, ma somministrata come farmaco vede una prevalente azione sui recettori alfa, rivelando una quasi neutralità per i recettori beta. Azioni: principalmente vasocostrizione per stimolazione alfa1 non bilanciata da vasodilatazione muscolare scheletrica come adrenalina per assenza effetto beta2; aumento conseguente di pressione sia diastolica che sistolica ed incremento notevole della pressione media. L’attivit{ riflessa rilevata nei barocettori evoca uno stimolo vagale che causa una bradicardia modesta. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Se viene dato un antagonista colinergico (atropina) si può vedere una notevole tachicardia a causa dell’assenza del riflesso vagale. Usi terapeutici: scarsi, oggi viene utilizzata nei pazienti in shock per ristabilire un’adeguata circolazione grazie all’incremento pressorio. ISOPROTERENOLO Farmaco che agisce sui recettori beta e con azione quasi nulla sugli alfa. Azioni: broncodilatazione per effetto beta2, effetto inotropo positivo e tachicardico (azione beta1), utile nei casi di blocco atrioventricolare o arresto cardiaco, riduzione della pressione sistolica a causa dell’azione sui beta2, lieve aumento della sistolica per azione sul cuore. In linea di massima la pressione diminuisce e per attività riflessa parte un impulso positivo simpatico volto a dare tachicardia. La lipolisi e l’iperglicemia sono eventi teorici ma in clinica non si sono verificati con entità rilevante. Usi terapeutici: attacco acuto asmatico (come adrenalina), in situazioni d’emergenza può essere usato per stimolare il cuore. Farmacocinetica: mucosa sublinguale, parenterale, aerosol. Effetti avversi: sovrapponibili all’adrenalina. DOPAMINA Precursore naturale della noradrenalina, è presente nei neuroni del SNC e principalmente nel circuito dei nuclei della base, ma ha anche azioni a livello della midollare del surrene . agisce legandosi sia a recettori alfa che beta in modo dipendente dalla dose in quanto a dosi elevate si lega preferenzialmente ai recettori alfa1 stimolando una vasocostrizione generalizzata, a basse dosi ha affinità elevata per i beta inducendo effetto cronotropo e inotropo positivi sul cuore. In più presenta anche un’affinit{ particolare per i recettori proprio dopaminergici D1 e D2 situati nei vasi del circolo mesenterico e renale che mediano una vasodilatazione di tali distretti vascolari. Azioni: sul cardiovascolare dà tachicardia e aumento della forza contrattile, a dose elevata anche vasocostrizione, tuttavia risparmia la vasocostrizione renale evitando un’insufficienza renale da bassa portata che non viene antagonizzata da alfa e beta farmaci visto che è mediata dai propri recettori D1 e 2. Usi terapeutici: farmaco di prima scelta nello shock (in tal senso è molto più utile della noradrenalina perché risparmia il circolo splancnico e renale dall’ipovolemia). Effetti avversi: a dosi alte ha gli stessi effetti di un’eccessiva stimolazione simpatica. DOBUTAMINA Catecolamina di sintesi molto usata in terapia. Azioni: ha specificità particolare per i recettori beta1 agendo come fattore inotropo positivo e cronotropo. Usi terapeutici: insufficienza cardiaca congestizia, molto utile perché fa aumentare la contrattilità senza variare eccessivamente la frequenza, in tal modo risparmia il miocardio da un fabbisogno aumentato di ossigeno. Effetti avversi: può dare fibrillazione atriale perché aumenta la conduzione AV. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FENILEFRINA Agonista non catecolaminico che si lega principalmente ai recettori alfa1 stimolando la vasocostrizione. Azioni: aumento P sistolica e diastolica. Non ha effetti diretti sul cuore ma provoca una bradicardia riflessa quando è data per via parenterale. Non è un substrato della COMT e quindi ha una durata d’azione più lunga. Usi terapeutici: topicamente sull’occhio per indurre midriasi, sulla mucosa nasale funge da decongestionante (per l’azione vasocostrittrice), usato per aumentare la pressione sanguigna e vista la sua azione vagale riflessa è usata per combattere gli episodi di tachicardia sopraventricolare. Effetti avversi: dosi elevate danno cefalea e irregolarità cardiache. METOXAMINA Azioni ed usi molto simili alla fenilefrina. CLONIDINA Farmaco che privilegia il legame con i recettori alfa2, in questo senso viene utilizzata per curare l’ipertensione essenziale e ridurre i sintomi di astinenza da oppiacei e benzodiazepine. A livello centrale provoca un’inibizione dei centri del simpatico. METAPROTERENOLO Farmaco principalmente broncodilatante vista l’azione prevalente sui beta2 e pertanto ha scarsi effetti sul cuore (a differenza dell’isoproterenolo che inoltre ha anche emivita molto più breve in quanto catecolamina e quindi distrutta da COMT e biodisponibilità orale minima). Questo può essere dato per via orale e anche come aerosol tramite erogatori. SALBUTAMOLO, PIRBUTEROLO, TERBUTALINA Farmaci utilizzati per la cura dell’asma in cronico, sono specifici per i recettori beta2 con conseguenze minime sul cuore. Vengono dati tramite erogatori di aerosol. Principali farmaci antiasmatici. SALMETEROLO E FORMOTEROLO Hanno stessa azione dei precedenti ma più duratura. Agonisti adrenergici indiretti AMFETAMINA Si tratta di un composto che viene talvolta abusato ed ha azione simpaticomimetica indiretta sia sui recettori alfa che beta. Infatti svolge la sua azione determinando una liberazione di tutte le molecole di noradrenalina dalle terminazioni sinaptiche con conseguente tachicardia, contrattilità aumentata, ipertensione. Usi terapeutici: trattamento dei bambini con disturbi dell’attenzione, nella narcolessia e nei disturbi dell’appetito. Effetti avversi: controindicata in gravidanza. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 TIRAMINA Azione sovrapponibile alla precedente ma non presenta utilizzi farmaceutici. Si trova nei formaggi stagionati e nel vino Chianti. COCAINA Svolge la sua funzione simpaticomimetica attraverso inibizione della ricaptazione della noradrenalina. Agonisti adrenergici misti EFEDRINA Farmaco particolare che svolge la sua azione sui recettori alfa e beta sia in modo diretto interagendo coi recettori stessi, sia in modo indiretto stimolando la secrezione di NA. Ha lunga durata d’azione ed è ben assorbito per via orale. Può penetrare nel sistema nervoso centrale. Utilizzata per il trattamento dell’asma, come decongestionante nasale e per aumento della pressione sanguigna. Simpaticolitici Si tratta di farmaci che si legano reversibilmente o meno ai recettori adrenergici bloccando il legame del mediatore endogeno con il recettore che risulta occupato dal farmaco. Anche in questo caso esistono antagonisti alfa-bloccanti e beta-bloccanti in relazione alla maggior affinità nei confronti di un recettore. Bloccanti alfa-adrenergici Hanno forti effetti sulla pressione sanguigna e non tutti ipotensivi, tendono a generare ipotensione ortostatica, sono terapeuticamente utili solo quelli selettivi per gli alfa1. Inoltre la riduzione pressoria evoca una risposta riflessa tachicardica sempre presente. FENOSSIBENZAMINA Farmaco che forma un legame covalente col recettore, questo legame è irreversibile e l’unico modo che ha l’organismo di rimediare è la sintesi di nuovi recettori. Per questo motivo dopo una dose di farmaco si ha un effetto duraturo per circa 24 ore. È un farmaco non selettivo quindi agisce sia sugli alfa1 che alfa2. Azioni: Effetti cardiovascolari: riduzione della contrazione muscolare dei vasi periferici con conseguente ipotensione e riduzione delle RVP, a questo consegue un fenomeno di tachicardia riflesso per attivazione del simpatico. In più il legame con i recettori alfa2 determina anche un lieve aumento della gittata. Pertanto il contributo alla riduzione della pressione in un iperteso non è significativo e infatti non è più utilizzato a tali scopi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Inversione degli effetti dell’adrenalina: l’adrenalina in presenza di fenossibenzamina provoca una vasodilatazione e una ipotensione dovuta al blocco delle sue funzioni alfaadrenergiche. Gli effetti della noradrenalina invece sono solo ridotti e non invertiti. Usi terapeutici: farmaco utilizzato per curare il feocromocitoma, sia pre-chirurgico che nelle forme inoperabili in quanto agisce riducendo la funzionalità globale delle catecolamine prodotte in esubero. Effetti avversi: ipotensione ortostatica, congestione nasale, nausea e vomito. FENTOLAMINA Farmaco anch’esso aspecifico che colpisce entrambi i recettori alfa, ma con durata d’azione molto inferiore rispetto al farmaco precedente. Si ha ipotensione ortostatica, tachicardia riflessa ed eventualmente effetti gravi come dolore anginoso e aritmie dovute alla tachicardia e al sovraccarico di lavoro del cuore. PRAZOSINA, TERAZOSINA, DOXAZOSINA E TAMSULOSINA Sono alfa-antagonisti specifici per gli alfa1 e per questo possono essere usati nel trattamento dell’ipertensione. La tamsulosina non viene usata per l’ipertensione ma per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna. Azioni: riduzione della pressione sanguigna e scarsi effetti sulla gittata cardiaca Usi terapeutici: ipertensione (anche se per prazosina e terazosina esiste un effetto di prima dose che causa una ipotensione molto marcata); la tamsulosina viene usata per l’IPB visto che l’alfa-litico ha un effetto rilassante sul collo della vescica e sulla prostata e pertanto è subito efficiente nel prevenire la ritenzione urinaria. Effetti avversi: capogiri, mancanza di energia, congestione nasale, sonnolenza e ipotensione ortostatica. Bloccanti beta-adrenergici Si tratta di farmaci che hanno un azione aspecifica se agiscono sui recettori beta1 e beta2 indistintamente, oppure si parla di farmaci cardiospecifici se interessano solo i beta1. In ogni caso hanno un ruolo fondamentale nella cura dell’ipertensione senza dare ipotensione ortostatica come con gli alfa-bloccanti in quanto la funzionalità alfa di controllo delle resistenze periferiche rimane efficiente. Sono indicati anche nel trattamento delle aritmie, dell’angina, dell’infarto miocardico e del glaucoma. PROPRANOLOLO Beta-bloccante aspecifico che blocca entrambi i recettori beta. Azioni: Cardiovascolari: riduzione della frequenza e della gittata (beta1) riducendo il lavoro del cuore e il fabbisogno di ossigeno. Utile nel trattamento quindi dell’angina e delle aritmie sopraventricolari (cronotropo negativo). Vasocostrizione periferica: mediata dall’inibizione dei beta2 che annulla la vasodilatazione del distretto muscolare scheletrico e dalla presenza dell’azione alfa1. In più la diminuzione della GC evoca un riflesso simpatico che dà vasocostrizione periferica responsabile di sensazione di freddo alle estremità tipica del propranololo. Comunque l’effetto netto tra la riduzione della cinesi cardiaca e della vasocostrizione periferica è una progressiva e lenta riduzione della pressione sia sistolica che diastolica. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Broncocostrizione Aumento della ritenzione di Na: a causa dell’aumento della vasocostrizione renale e quindi il rene è stimolato a riassorbire il sodio con ritenzione di liquidi e aumento del volume circolante. Pertanto spesso i beta-bloccanti vengono associati a diuretici per curare l’ipertensione. Disturbi del metabolismo del glucosio: l’inibizione beta provoca diminuzione della glicogenolisi e aumento della liberazione di insulina, pertanto bisogna fare attenzione ad un paziente diabetico in cura con propranololo perché se prende insulina può andare incontro ad una grave crisi ipoglicemica. Blocco dell’azione dell’isoproterenolo. Usi terapeutici: Ipertensione: la pressione si abbassa per riduzione della gittata cardiaca Glaucoma: usato per ridurre la pressione intraoculare mediante vasocostrizione del muscolo cigliare che abbassa la quota di umore acqueo prodotto. Questo farmaco a differenza degli agonisti colinergici non compromette la visione da lontano, tuttavia in caso di attacco acuto la pilocarpina riveste un ruolo più importante. Emicrania: soprattutto come cura preventiva per l’emicrania Ipertiroidismo: il farmaco abbassa le crisi simpatiche tipiche dell’ipertiroideo Angina pectoris: riduzione del consumo di ossigeno. Aumenta la tolleranza all’esercizio, ma per gli sport faticosi non consente una forza adeguata. Infarto miocardico: utilizzato ampiamente nel paziente post-infartuato per vari motivi, si è visto infatti che il beta-bloccante protegge da un nuovo attacco, subito dopo l’infarto accelera il recupero e in più si è visto che le morti improvvise da aritmia sono diminuite. Forse il meccanismo è l’inibizione delle catecolamine circolanti che esporrebbero il miocardio ad un consumo di ossigeno più elevato. Effetti avversi: broncospasmo (farmaco assolutamente da evitare in pazienti con BPCO), aritmie (durante la sospensione del farmaco vista l’up-regulation dei recettori beta, pertanto l’interruzione del beta-bloccante deve essere lenta e prolungata), compromissione della funzione sessuale, disturbi del metabolismo, interazioni con altri farmaci (positivi: furosemide; negativi: fenitoina, rifampicina). TIMOLOLO E NADOLOLO Altri antagonisti non selettivi più potenti del propranololo. Il timololo ha un ampio utilizzo per il trattamento del glaucoma cronico ad angolo aperto. ACEBUTOLOLO, ATENOLOLO, METOPROLOLO, ESMOLOLO Si tratta di antagonisti cardiospecifici e di conseguenza esercitano i loro effetti solo sui recettori beta1. Questo è importante perché si evitano gli effetti avversi come i disturbi metabolici e il broncospasmo. Azioni: riduzione della pressione sanguigna e della resistenza allo sforzo nell’angina. Non ci sono problemi di broncospasmo, tuttavia i pazienti asmatici vanno monitorati attentamente. Uso terapeutico: usati soprattutto nei pazienti con ipertensione associata a problemi polmonari o diabete, è eliminato il problema del freddo alle estremità. PINDOLOLO E ACEBUTOLOLO Si tratta di antagonisti con attività agonista parziale sia sui beta che sugli alfa. Azioni: riduzione della pressione arteriosa in modo più modesto rispetto ai precedenti in quanto c’è anche un lieve stimolo adrenergico. Usi terapeutici: nei pazienti ipertesi con bradicardia, che altrimenti avrebbero effetti troppo bradicardizzanti con gli altri farmaci Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 LABETOLOLO E CARVEDILOLO Si tratta di farmaci che possiedono un’azione antagonista sia alfa che beta-adrenergica. Azione: antiipertensivi che contemporaneamente non elevano le resistenze periferiche e hanno effetto bradicardizzante e inotropo negativo sul cuore esponendolo ad un minor consumo di ossigeno. Usi terapeutici: principalmente usato negli ipertesi anziani in cui è preferibile non avere un innalzamento delle resistenze periferiche. Oppure usati nelle emergenze ipertensive grazie alla loro veloce azione. Effetti avversi: capogiri e ipotensione ortostatica. Farmaci che modificano la liberazione o la captazione di neurotrasmettitore RESERPINA Blocca l’immagazzinamento dei neurotrasmettitori nelle vescicole e di conseguenza lascia via libera alla MAO di degradare la noradrenalina. I pazienti che assumono il farmaco vanno incontro ad una graduale diminuzione della pressione arteriosa. Ha inizio lento e durata lunga. È usata solo se non c’è risposta ad altri trattamenti. GUANETIDINA Causa una graduale diminuzione della pressione arteriosa e diminuzione della frequenza cardiaca dovuta ad una deplezione di noradrenalina dalle terminazioni periferiche. È usata solo di rado per curare l’ipertensione perché causa ipotensione ortostatica e abbassamento funzione sessuale maschile. COCAINA Inibitore della ricaptazione della noradrenalina che rimane quindi nello spazio sinaptico per un tempo elevato e causa effetti di amplificazione simpatica. Se si va incontro ad abuso si ha il fenomeno della desensibilizzazione e paradossalmente si avranno gli effetti opposti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI PER I DISTURBI NEUROLOGICI FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEL MORBO DI PARKINSON 20. Farmaci per il trattamento della malattia di Parkinson: classificazione e meccanismi d’azione Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa che interessa il circuito dei nuclei della base deputati al controllo extrapiramidale del movimento. La malattia si verifica a seguito di una deplezione dei neuroni contenuti nella sostanza nera compatta che secernono DOPAMINA, la quale ha un’azione importante di regolazione dei circuiti dei nuclei della base andando a mantenere un’inibizione tonica sui neuroni dello striato (putamen e caudato) riducendo la loro secrezione basale di acetilcolina. La causa della degenerazione è ignota, forse è interessato un fattore ambientale. Normalmente il neostriato riceve impulsi eccitatori dalla corteccia che determinano una sua produzione di Ach la quale stimola una via inibitoria mediata dal GABA diretta verso la sostanza nera per la liberazione di dopamina (regolazione sincrona dei 2 sistemi), una verso il complesso globo pallido e sostanza nera reticolata che media la via diretta, ed un’ultima verso il globo pallido esterno e nucleo subtalamico per la via indiretta. L’azione globale della dopamina su questi circuiti è un’esaltazione della via DIRETTA mediante il legame con i recettori D1, ed un’inibizione della via INDIRETTA mediante recettori D2. Il contributo finale fisiologico è una stimolazione del movimento. Pertanto nel morbo di Parkinso ci sarà una spropositata attivazione colinergica dello striato con esaltazione della via indiretta (per assenza di dopamina) ed il risultato sarà: Tremori Rigidità muscolare Bradicinesia (lentezza nell’iniziare i movimenti volontari) I farmaci utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson possono essere classificati tipicamente in base al meccanismo d’azione: Levodopa: pro-farmaco precursore della dopamina che va a sostituire direttamente la mancanza del neurotrasmettitore a livello del SNC Inibitori della dopamina decarbossilasi: carbidopa Inibitori selettivi della MAO-B: selegilina e rasagilina Inibitori della COMT: entacapone, tolcapone Agonisti dei recettori della dopamina: bromocriptina, pergolide, pramipexolo, ropinirolo Farmaci che aumentano la liberazione di dopamina: amantadina Antagonisti muscarinici: benzotrepina, triesifenidile, biperidene. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 LEVODOPA Si tratta di un precursore diretto della dopamina che viene convertito a dopamina nei neuroni dopaminergici centrali, tuttavia una gran parte di levodopa viene trasformata in dopamina anche in periferia da parte della dopadecarbossilasi e responsabile degli effetti avversi. Inoltre questo farmaco viene metabolizzato ampiamente dal tratto gastro-intestinale e pertanto sono necessarie dosi molto alte per avere un minimo effetto biologico. Si stima che il 70% della levodopa venga metabolizzata dall’intestino e il 2729% venga trasformato in dopamina nei tessuti periferici, pertanto resta circa il 1-3% della levodopa disponibile per attraversare la barriera emato-encefalica ed entrare nel SNC. Bisogna inoltre specificare che la dopamina somministrata direttamente non avrebbe alcun effetto visto che non riesce ad attraversare la BEE, a differenza della L-Dopa. Meccanismo d’azione: il farmaco penetra nei neuroni della sostanza nera rimasti e viene convertito a dopamina aumentando la quantità di NT nel SNC. Però questa azione è possibile se esistono ancora un certo numero di neuroni dopaminergici attivi e quindi nelle fasi iniziali. Nelle fasi successive la levodopa inizia a perdere i suoi effetti a causa della carenza marcata dei neuroni. INIBITORI DELLA DOPA -DECARBOSSILASI Si tratta di farmaci come la carbidopa che vengono utilizzati per ridurre la dose della levodopa ed aumentare la quantità di levodopa che raggiunger{ l’encefalo. Meccanismo d’azione: la carbidopa determina una riduzione del metabolismo gastrointestinale della levodopa e una inibizione della dopa-decarbossilasi periferica in modo da diminuire la dopamina prodotta in periferia e di conseguenza ridurre al minimo sia la dopamina “persa” sia gli effetti avversi. INIBITORI SELETTIVI DELLA MAO-B Si tratta di farmaci che inibiscono selettivamente la monoaminossidasi-B deputata al metabolismo della dopamina, lasciando intatta la MAO-A che invece degrada la noradrenalina e la serotonina. Questo implica una maggior durata d’azione della dopamina che non viene quindi degradata dai sistemi enzimatici. Tipici farmaci di questo tipo sono la selegilina e la rasagilina. Consentono anch’essi di ridurre la dose di levodopa necessaria. INIBITORI DELLA COMT Si tratta di farmaci che inibiscono una delle vie enzimatiche di degradazione delle catecolamine nello spazio sinaptico. Essa normalmente non riveste un ruolo essenziale nel metabolismo della levodopa ma quando l’azione della dopa-decarbossilasi è inibita dalla carbidopa questa via diventa molto efficiente ed è utile bloccarla per evitare l’accumulo di 3Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 O-metildopa che non riesce ad attraversare la BEE. L’entacapone infatti riduce questa via e aumenta la quantit{ di levodopa che raggiunge l’encefalo. AGONISTI DEI RECETTORI DELLA DOPAMINA Classe di farmaci che permettono una trasduzione del messaggio dei recettori D1 e D2 simulando l’azione della dopamina. Si tratta della bromocroptina, pergolide, pramipexolo e ropinirolo. Sono efficaci quando il livello dei neuroni dopaminergici è diventato estremamente basso (stadi avanzati parkinsonismo). - Bromocriptina: agonista D2 - Pergolide: agonista D2 e D3 - Ropinirolo: agonista D2 e D3 - Rotigotina: agonista D1 e D2 AMANTADINA Farmaco che si è visto provocare un aumento della liberazione della dopamina dalle vescicole presinaptiche. Evidentemente è utile quando ancora sono presenti neuroni dopaminergici. FARMACI ANTAGONISTI MUSCARINICI A differenza dei precedenti questi non hanno la funzione di aumentare i livelli di dopamina, ma antagonizzano l’eccesso di acetilcolina da parte dello striato che vede assente l’inibizione da parte della dopamina. Si parla di benztropina, triesifenidile e biperidene. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 21. Farmaci per il trattamento della malattia di Parkinson: effetti farmacologici e tossici, impieghi terapeutici e controindicazioni LEVODOPA È un profarmaco molto utile nel trattamento del Parkinson soprattutto nelle fasi iniziali della malattia in cui esiste ancora un numero considerevole di neuroni dopaminergici che possono captare la L-dopa e trasformarla in dopamina. Quando il numero di neuroni diminuisce iniziano a verificarsi alcuni problemi: - Acinesia di fine dose: se si aumenta la dose di L-dopa o si riduce l’intervallo tra le somministrazioni l’effetto di acinesia di fine dose scompare ma compaiono delle discinesie (movimenti involontari) - Effetto on/off: con il progredire della somministrazione il paziente avverte periodi di compenso adeguato con periodi di ricomparsa dell’acinesia. Pertanto è vietata l’interruzione brusca della terapia con levodopa. Si dice appunto che il farmaco subisce fluttuazioni della sua efficacia e non si presentano acinesie solo durante il piccolo periodo in cui il farmaco resta nell’organismo. Si tratta pertanto di un effetto sintomatico. Azioni: la levodopa è efficiente nel ridurre tutti i sintomi del parkinsonismo, se sono presenti sufficienti neuroni. Agisce mediante un legame principale ai recettori D2. Usi terapeutici: efficace nei primi anni del parkinsonismo, dopo il 4-5 anno inizia a verificarsi un declino della risposta. Farmacocinetica: è un farmaco con biodisponibilità orale molto bassa visto che viene metabolizzato in gran parte dall’intestino e un’altra parte resta in periferia dando effetti tossici. L’emivita è piuttosto breve di circa 1-2 ore. L’ingestione di cibo può interferire con la biodisponibilità di levodopa, soprattutto a seguito di pasti proteici in quanto il trasportatore intestinale è responsabile del trasporto nel circolo anche di aminoacidi. Inoltre i grossi aminoacidi competono con la levodopa anche per il trasporto attraverso la BEE. Per questo la levodopa viene data 45 minuti prima del pasto. Effetti avversi: SNC: allucinazione visive e uditive, discinesie, modificazioni dell’umore, depressione e ansia. Le allucinazioni e le discinesie sono gli effetti opposti del morbo di Parkinson e questo è giustificato dall’iperattivit{ della dopamina sui gangli della base. In più possono esserci insonnia o sonnolenza, incubi e illusioni. Effetti periferici: anoressia, nausea e vomito per attivazione del centro chemocettore; tachicardia ed extrasistoli ventricolari per l’azione stimolante ortosimpatica della dopamina sul cuore (soprattutto a dosi elevate), ipotensione determinata dal legame in periferia con i recettori D1 e D2 che causano vasodilatazione splancnica renale e mesenterica. Si sviluppa anche midriasi e la saliva e l’urina sono di colore brunastro per la presenza di melanina ottenuta dall’ossidazione delle catecolamine. In più si possono verificare anche leucopenia, agranulocitosi ed anemia emolitica. Interazioni farmacologiche - Neurolettici: i farmaci antipsicotici hanno un meccanismo d’azione che inibisce i recettori D2 della dopamina e di conseguenza si ha una riduzione dell’efficacia dell’Ldopa e dei fenomeni di parkinsonismo iatrogeno indotto direttamente dai neurolettici. Questi farmaci sono controindicati nel paziente con Parkinson. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Inibitori non selettivi delle MAO: questi causano un blocco degli enzimi deputati alla degradazione delle catecolamine con conseguente eccessiva presenza di catecolamine se viene somministrata nello stesso tempo levodopa. Ciò è causa di una grave crisi ipertensiva. - Vitamina B6: la piridossina ha un’azione di aumento del metabolismo della levodopa e pertanto ne riduce l’efficacia terapeutica. - Pazienti psicotici: Controindicazioni all’uso di levodopa: Melanoma: in quanto la melanina è un derivato della DOPA Problemi cardiaci Psicosi e grave depressione: i pazienti con tali disturbi possono avere esacerbazioni dei sintomi dopo levodopa che va a stimolare i recettori D2. CARBIDOPA E BENSERAZIDE Sono inibitori PERIFERICI della DOPA-decarbossilasi che è l’enzima che converte la DOPA in dopamina e di conseguenza riducono drasticamente gli effetti dannosi periferici e in più riducono l’eccessivo metabolismo intestinale permettendo che una quota maggiore di levodopa raggiunga l’encefalo. Il risultato è che l’associazione consente di usare dosi minori di levodopa (di circa 4-5 volte). Formulazioni farmaceutiche già combinate: - Levodopa + Carbidopa = Sinemet - Levodopa + Benserazide = Madopar ENTACAPONE E TOLCAPONE Sono inibitori della COMT che permettono una riduzione della produzione di 3-O-metildopa dal metabolismo della levodopa, che in questa forma non riesce ad entrare nell’encefalo. Normalmente questa via non è attiva, ma dopo l’uso di carbidopa subisce una ingente stimolazione e di conseguenza questi farmaci riducono ulteriormente la dose necessaria di Ldopa e aumentano i livelli di levodopa cerebrali. Farmacocinetica: hanno una biodisponibilità orale elevata e si legano in gran parte alle proteine plasmatiche. Il tolcapone ha durata d’azione molto lunga e va ad inattivare principalmente la COMT encefalica anche se si è visto che gli effetti più importanti sono effettuati dall’inibizione dell’enzima in periferia. Effetti avversi: entrambi hanno effetti avversi come nausea, vomito, diarrea, ipotensione posturale, discinesie e allucinazioni. Il tolcapone è stato ormai abbandonato perché in alcuni casi può dare necrosi epatica fulminante. La formulazione farmaceutica prevede levodopa + carbidopa + entacapone (Stalevo). SELEGILINA E RASAGILINA Inibitori selettivi della MAO-B. Consente di ridurre la dose necessaria di L-dopa. Se somministrata a basse dosi non esercita azioni sulla MAO-A e non provoca crisi ipertensive a differenza degli inibitori non selettivi, tuttavia ad alte dosi causa rischio ipertensivo. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 BROMOCRIPTINA, PERGOLIDE, PRAMIPEXOLO, ROPINIROLO, ROTIGOTINA Si tratta di agonisti dopaminergici che vengono dati principalmente negli stadi avanzati di malattia quando la maggior parte dei neuroni è andata persa, in parkinson complicato da fluttuazioni e discinesie. Esiste anche la possibilità di dare questi farmaci subito nei pazienti non ancora trattati con levodopa. Effetti avversi: la bromocriptina e la pergolide sono derivati dall’ergotamina e la limitazione al loro utilizzo deriva dai numerosi effetti avversi come allucinazioni, confusione, nausea, ipotensione ortostatica, peggioramento delle condizioni cardiache (allungamento del tratto QT) e aumento del vasospasmo. Tuttavia si verifica una minor incidenza di discinesie rispetto alla levodopa. Il pramipexolo, la rotigotina e il ropinirolo invece hanno meno effetti dannosi in quanto non peggiorano la condizione cardiaca e il vasospasmo ma causano comunque nausea, stipsi, ipotensione ortostatica e allucinazioni. Le discinesie sono meno frequenti che con la levodopa. La rotigotina viene somministrata per via transdermica. Il pramipexolo ha clearance renale e il ropinirolo clearance epatica. Questi composti vengono usati in alternativa alla levodopa anche perché c’è l’ipotesi che il metabolismo della dopamina porti ad un accumulo di metaboliti anche tossici mentre con gli agonisti si evita questa possibilità. Altri impieghi degli agonisti dopaminergici oltre al Parkinson sono: Morbo di Cushing Iperprolattinemia idiopatica Sindrome da astinenza da cocaina (?) AMANTADINA Farmaco antivirale che si è visto casualmente migliorare i sintomi del parkinsonismo. Sembra stimolare la liberazione di dopamina. Può causare effetti avversi come irrequietezza, agitazione, confusione e allucinazioni, ad alte dosi può anche dare psicosi tossica acuta. Se la liberazione di dopamina è già massima il farmaco non ha effetto. La tolleranza si instaura molto rapidamente e in più ha scarso effetto sul tremore. Con l’aumento delle dosi si riducono sia gli effetti farmaceutici che tossici. BIPERIDENE, ORFENADRINA, TRIESIFENIDILE Farmaci antagonisti muscarinici che bloccano la trasmissione colinergica muscarinica a livello striatale. Azioni: migliorano la scialorrea, il tremore e il tremore, però hanno scarso effetto sulla bradicinesia. Possono ridurre il parkinsonismo, l’acatisia e le distonie acute provocate dai neurolettici. Effetti avversi: modificazioni dell’umore, xerostomia, problemi visivi, interferenza con la peristalsi gastrointestinale. Controindicati in casi di ipertrofia prostatica, stenosi pilorica e glaucoma. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 CENNI SUI FARMACI ANTIEPILETTICI 22. Farmaci antiepilettici L’epilessia è la seconda malattia neurologica per frequenza dopo l’ictus. Si tratta di una famiglia di differenti sindromi cinvulsive accomunate da una scarica disordinata, eccessiva e improvvisa di un gruppo di neuroni che possono coinvolgere le porzioni cerebrali vicine. L’aumento della frequenza di scarica di un gruppo di neuroni concentrati nel cosiddetto focus primario può espandersi ai neuroni vicini dando origine ad una forma di epilessia generalizzata, mentre se la scarica riguarda essenzialmente il focus primario si parla di epilessia parziale o focale. L’epilessia può essere classificata in base all’eziologia in 2 gruppi: - Primaria: patologia non derivante da una preesistente malattia, è detta anche idiopatica ed è quella che prevede un trattamento farmacologico spesso a vita. - Secondaria: epilessia derivata da neoplasie cerebrali, uremia, meningiti, febbri alte, ipoglicemia e rapida astinenza da alcol. In tal caso il trattamento viene continuato fino alla risoluzione del processo patologico primario. Classificazione dell’epilessia: Epilessia parziale (o focale): coinvolge generalmente il focus primario e non si espande in periferia, può evolvere in epilessia generalizzata, a sua volta viene suddivisa in: o Attacchi semplici: quando il paziente non perde coscienza e i sintomi sono relativi alla zona in cui avviene la scarica neuronale. La scarica elettrica non diffonde. Si può avere convulsioni se coinvolta la corteccia motoria, oppure allucinazioni visive o olfattive se sono interessate le porzioni sensitive. o Attacchi complessi: la scarica neuronale non si limita al focus primario e tende ad espandersi con frequente alterazione della coscienza del paziente. Spesso il primo episodio avviene attorno ai 20 anni. Epilessia generalizzata: attacchi gravi in cui si verifica un’immediata irradiazione della scarica anche all’emisfero controlaterale, può essere convulsiva o non convulsiva ma comunque determina una perdita immediata della coscienza: o Attacchi tonico-clonici (grande male): forma epilettica più frequente e più drammatica che coinvolge una fase iniziale tonica di contrazione seguita da una fase clonica (contrazione e rilassamento rapido). Il paziente è incosciente e l’attacco è seguito da un momento di confusione e spossatezza per la perdita energetica massiva durante le scariche contrattili. o Assenza (piccolo male): si tratta di attacchi più modesti che durano pochi secondo in cui c’è breve perdita di coscienza, improvvisa e autolimitante. I primi attacchi si sviluppano tra i 3-5 anni. o Attacchi mioclonici: brevi episodi di contrazione muscolare, rari e sono in genere la conseguenza di un danno neurologico permanente come ictus, uremia o encefalite. o Convulsioni febbrili o Stato epilettico: attacchi rapidamente ricorrenti. I principali meccanismi con cui si instaura un’epilessia sono: 1. Aumentata frequenza di scarica dei neuroni glutamatergici eccitatori 2. Ridotta frequenza di scarica dei neuroni GABAergici inibitori 3. Alterato equilibrio elettrolitico neuronale Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Queste 3 situazioni generano una soglia epilettica bassa. I farmaci che controllano gli attacchi epilettici si possono suddividere in farmaci di prima linea (più utilizzati e conosciuti) e farmaci aggiuntivi (più nuovi). Farmaci usati nella maggior parte delle sindromi epilettiche VALPROATO Si tratta di acido valproico, è un farmaco utilizzato per la maggior parte degli attacchi epilettici. Azione: farmaco che determina un blocco dei canali del sodio e il potenziamento della trasmissione GABA-ergica attraverso un’inibizione della GABA-transaminasi deputata al metabolismo del GABA nelle cellule gliali. Come effetto cumulativo si ha quindi una riduzione della soglia di attivazione dei neuroni, di cui quelli del focus primario sono maggiormente suscettibili. Usi terapeutici: farmaco di prima scelta negli attacchi mioclonici, diminuisce anche le assenze ma è di seconda scelta per la potenziale epatotossicit{. Riduce l’incidenza e l’entit{ degli attacchi tonico-clonici. Farmacocinetica: efficace per via orale, si lega per il 90% alle proteine, è metabolizzato nel fegato ed escreto con le urine. Effetti avversi: tremore, nausea, sonnolenza e insufficienza epatica. In più dà alopecia, aumento di peso e malformazioni fetali. Infatti si è visto che risulta essere teratogeno, sono stati osservati casi di spina bifida. LAMOTRIGINA Farmaco efficace tra quelli nuovi (aggiuntivi). Azioni: blocca i canali del sodio e i canali del calcio voltaggio dipendenti determinando un’aumento della polarizzazione neuronale e una minor probabilità di scarica. In più sembra interagire anche con la liberazione del glutamato inibendola. Usi farmaceutici: è efficace nel trattamento degli attacchi parziali e generalizzati e anche nelle assenze tipiche. Farmacocinetica: biodisponibilità orale del 100%. Effetti avversi: cefalea, capogiri, atassia. In alcuni casi provoca eruzioni cutanee che possono rivelarsi anche molto pericolose e pertanto nei bambini si riserva solo l’utilizzo in alcuni casi. CLONAZEPAM Si tratta di una benzodiazepina con attività antiepilettica. Azioni: potenziamento della trasmissione GABA-ergica andando a legarsi al sito recettoriale del GABA-A e determinando una aumentata permeabilità al cloro. Usi terapeutici: efficace nelle assenze e negli attacchi mioclonici, tuttavia si sviluppa tolleranza in 1-6 mesi. Esistono anche altre benzodiazepine con attività antiepilettica come il LORAZEPAM e il DIAZEPAM utili nel trattamento acuto dello stato epilettico. Anche il CLORAZEPATO che è attivo soprattutto negli attacchi parziali. Effetti avversi: sicuramente sono i farmaci più sicuri e con meno effetti collaterali, l’uso cronico può portare sonnolenza, affaticamento, atassia, capogiri. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 VIGABATRIN Ha un meccanismo d’azione simile all’acido valproico con inibizione della GABA transaminasi. Possiede effetti avversi come sedazione, disturbi del campo visivo e del comportamento. Si tratta di un inibitore enzimatico a lunga durata. Farmaci usati nella maggior parte delle sindromi epilettiche eccetto le assenze FENITOINA Meccanismo d’azione: inibizione del canale del sodio dipendente dal voltaggio. A dosi molto elevate può inibire i canali del calcio intereferendo con la liberazione monoaminergica. Azioni: riduce la propagazione di impulsi anomali nel cervello. Usi terapeutici: molto efficace per tutti gli attacchi parziali, per gli attacchi tonico-clonici e per trattare lo stato epilettico. Non è efficace nelle assenze. Farmacocinetica: la biodisponibilità orale è elevata ma è molto lenta, tuttavia la distribuzione è ampia e anche a livello cerebrale. Nello stato epilettico viene somministrata per via endovenosa. Viene metabolizzata dal CYP epatico. A basse dosi il t1/2 è di 24 ore ma se si incrementa la dose il sistema di idrossilazione si satura e la concentrazione plasmatica cresce rapidamente potendo dare effetti tossici. (cinetica di ordine zero). È un induttore enzimatico. Effetti avversi: ipertrofia gengivale, irsutismo, anemia megaloblastica (per interazione con reazioni della vit B12), reazioni allergiche, palatoschisi nel neonato se usato in gravidanza e altre possibili malformazioni fetali. Esistono anche problemi di depressione del SNC con nistagmo e atassia (sistema vestibolare e cervelletto) e problemi gastrointestinali. Si può avere inibizione della produzione di ADH e iperglicemia da ridotta secrezione di insulina. Il trattamento con fenitoina non deve essere interrotto bruscamente. Le concentrazioni plasmatiche devono essere monitorate attentamente in quanto è una cinetica di ordine zero con un sistema metabolico saturabile che può portare a molti effetti tossici. Le dosi terapeutiche vanno da 10-20 µg/ml, mentre dopo i 20 si parla di tossicità. Intorno ai 20 si ha un nistagmo, vicino ai 30 atassia e verso i 40 letargia. Interazioni farmaceutiche: esistono diversi farmaci che riducono il metabolismo della fenitoina come cloramfenicolo, dicumarolo, cimetidina e pertanto aumentano l’emivita plasmatica e i possibili effetti tossici. Esistono però anche farmaci come la carbamazepina (altro antiepilettico) che aumentano il metabolismo del farmaco. CARBAMAZEPINA Azioni: inibizione del canale del sodio e riduzione della propagazione degli impulsi. Usi terapeutici: efficace per tutti gli attacchi parziali. Molto efficace anche per gli attacchi tonico-clonici. Non è molto utile per le assenze. Farmacocinetica: biodisponibilità orale massima, ma in tempi lunghi. Liposolubilità che consente un raggiungimento efficace dell’encefalo. Induttore enzimatico e quindi necessita cronicamente di un aggiustamento delle dosi vista la sua riduzione dell’emivita. Effetti avversi: sedazione, visione offuscata, atassia, ritenzione di acqua, reazioni allergiche, nausea e vomito, iponatriemia specialmente negli anziani. Anche vertigini e cefalea oltre a stato stuporoso, coma e depressione respiratoria per dosi molto alte. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FENOBARBITAL Azioni: farmaco che deprime il SNC, a basse dosi ha un’azione antiepilettica mentre a dosi più alte ha un’azione di marcata depressione del SNC. Il meccanismo d’azione sembra un potenziamento del GABA che media i circuiti inibitori. Usi terapeutici: viene privilegiato l’utilizzo di questo farmaco per gli attacchi parziali semplici, mentre risulta poco efficiente per gli attacchi parziali complessi. Riveste un ruolo importante anche per trattare gli attacchi tonico-clonici ricorrenti. È stato considerato di prima scelta per trattare gli attacchi ricorrenti nei bambini, benchè anche il diazepam sia molto efficiente. Farmacocinetica: buona biodisponibilità orale, si distribuisce nell’encefalo. Effetti avversi: sedazione, atassia, nistagmo, vertigini, reazioni psicotiche acute, talvolta anche nausea e vomito. TOPIRAMATO Fa parte degli antiepilettici aggiuntivi di nuova scoperta. Azioni: blocca i canali del sodio allo stesso modo della fenitoina e carbamazepina, inoltre ha anche un’azione stimolante l’ingresso di ioni cloro nel canale del GABA con un sito di legame diverso da quello delle benzodiazepine. Usi terapeutici: efficace negli attacchi parziali refrattari, sia negli attacchi generalizzati secondari. Farmacocinetica: è assorbito bene dall’intestino, il 30% è metabolizzato dal fegato e il restante è eliminato immodificato dal rene. T1/2 di circa 20-25 ore. Effetti avversi: sedazione, capogiri, sonnolenza, nervosismo, confusione, nausea, perdita di peso e effetti teratogeni sul feto. Farmaci usati per il trattamento delle assenze ETOSUCCIMIDE Farmaco utilizzato efficacemente per trattare le assenze (piccolo male). Azioni: agisce andando a bloccare i canali del calcio in modo simile alla fenitoina per i canali del sodio. In questo modo diminuisce la propagazione delle scariche. Usi terapeutici: piccolo male (farmaco di prima scelta). Farmacocinetica: si assorbe bene per via orale e non si lega alle proteine plasmatiche, non è un induttore enzimatico. Effetti avversi: è irritante per lo stomaco e quindi dà nausea e vomito, in più dà cefalea e disturbi dell’umore oltre a incapacit{ di concentrarsi. Farmaci usati per il trattamento delle epilessie parziali ZONISAMIDE Azione: blocco dei canali del sodio e delle correnti del calcio, oltre a potenziamento della funzione dei recettori del GABA. Usi terapeutici: epilessie parziali, ma anche generalizzate. Farmacocinetica: buona disponibilità orale, tempo di dimezzamento lungo. Effetti avversi: sedazione, riduzione dell’appetito, perdita di peso, calcoli renali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 GABAPENTIN Farmaco analogi del GABA. Azione: sembra avere un’azione bloccante sui canali del calcio. Usi terapeutici: è utilizzato per gli attacchi parziali e anche per gli attacchi tonico-clonici secondari. Farmacocinetica: buona disponibilità orale e viene totalmente escreto immodificato dai reni, questo permette al farmaco di avere scarse interazioni farmacologiche. Effetti avversi: sono quelli tipici degli altri antiepilettici come sonnolenza, capogiri, nistagmo, atassia, ma l’incidenza di reazioni tossiche gravi è molto bassa. TIAGABINA Azione: farmaco che inibisce la ricaptazione del GABA e quindi aumenta l’emivita di questo composto e le sue azioni deprimenti la trasmissione sinaptica. Usi terapeutici: utilizzato negli attacchi parziali e studi clinici hanno messo in evidenza che riduce il numero di attacchi. Farmacocinetica: si assorbe molto bene per via orale, il legame alle proteine plasmatiche è del 95%. L’escrezione è principalmente biliare. Effetti avversi: sedazione LEVETIRACETAM Azioni: meccanismo d’azione sconosciuto Usi terapeutici: viene impiegato nel controllo delle epilessie parziali refrattarie. Farmacocinetica: escrezione urinaria immodificato. Privo di interazioni farmaceutiche e quindi un buon farmaco aggiuntivo. Effetti avversi: capogiri, disturbi del sonno, cefalea, astenia, sedazione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 PSICOFARMACI BENZODIAZEPINE E ALTRI ANSIOLITICI E IPNOTICI 23. Benzodiazepine: classificazione, farmacocinetica e meccanismo d’azione Le benzodiazepine sono un gruppo di farmaci molto numeroso il cui nome fa riferimento alla struttura chimica. La classificazione delle benzodiazepine viene fatta principalmente in base alla farmacocinetica: BDZ ad emivita medio-lunga o BDZ pronordiazepam-simili o Nitro-BDZ (provviste di nitro-gruppo) BDZ ad emivita breve e ultrabreve o BDZ oxazepam-simili o Triazolo-BDZ o Tieno-BDZ (anello benzenico sostituito da anello tiofenico) Farmacocinetica È molto complessa e la maggior parte di queste subisce delle reazioni di fase 1 in cui vengono prodotti metaboliti che possiedono anch’essi un’azione farmacologica e dunque l’emivita media della benzodiazepina tiene in considerazione anche l’emivita dei metaboliti postbiotrasformazione. L’assorbimento è del 100% per via orale, la loro liposilubilità permette una diffusione efficace al SNC. Non passano via intramuscolo per la liposolubilit{ e l’irritabilit{. L’emivita è variabile tra i vari farmaci e quelli con emivita maggiore sono di solito quelli che producono intermedi attivi con durata d’azione più lunga e pertanto queste differenze tra i vari composti determinano ampie variabilità di utilizzo clinico. Emivita medio lunga (> 48 ore) o BDZ pronordazepam simili: i metaboliti contribuiscono in modo massiccio all’azione del farmaco. o Nitro-BDZ: i metaboliti non danno un contributo rilevante alla durata d’azione farmacologica. Hanno tipicamente spiccati effetti anticonvulsivanti. La loro emivita è tra le 24-48 ore. Emivita breve ultrabreve (< 24 ore) o BDZ oxazepam simili (10-24 ore): hanno una biotrasformazione molto semplice e vengono coniugate direttamente con acido glucuronico ed eliminate con le urine senza subire reazioni di fase 1. Non producono intermedi reattivi. (tipico il caso del lorazepam). o Triazolo-BDZ (6 ore): hanno dei metaboliti ma non contribuiscono allo svolgimento dell’effetto. o Tieno-BDZ Gli effetti dei farmaci non terminano soltanto per l’eliminazione ma anche a seguito di fenomeni di redistribuzione. Le benzodiazepine attraversano la placenta e sono presenti nel latte materno. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Nome generico Nome commerciale BDZ pronordazepam-simili Brixopan, Compendium, Lexotan Bromazepam Frisium Clobazam Transene Clorazepato Dadumir, En Delorazepam Librium Clordiazepossido Madar Nordazepam Ansiolin, Diazemuls, Micronoan, Noan, Tranquirit, Diazepam Valium, Vatran Dalmadorm, Felison, Flunox, Valdorm Anseren Domar Prazene, Trepidan Flurazepam Ketazolam Pinazepam Prazepam Nitro-BZD Flunitrazepam Nitrazepam Nome generico Roipnol, Valsera Mogadon Nome commerciale BDZ oxazepam-simili Lorazepam Lormetazepam Oxazepam Temazepam Control, Lorans, Slipirem, Tavor, Zeloram Axilium, Ipnolor, Luzul, Mexylor, Minias Limbial, Serpax Euipnos, Normison Triazolo BDZ Alprazolam Estazolam Etizolam Triazolam Alpravecs, Alprazig, Frontal, Valeans, Xanax Esilgan Depas, Pasaden Halcion, Songar Tieno-BDZ Brotizolam Clotiazepam Lendormin Rizen, Tienor Meccanismo d’azione Le benzodiazepine sono composti che si legano al recettore del GABA associato ad un canale ionico che permette l’ingresso nella cellula di ioni cloro determinando un’iperpolarizzazione. Il recettore-canale del GABA possiede 5 o più subunità di tipo alfa, beta e gamma. Il legame delle BDZ a siti specifici presenti all’interfaccia tra alfa2 e gamma innesca un aumento di sensibilità di legame del recettore al GABA (aumento di affinità) che a sua volta si ripercuote sul legame delle BDZ stesse che dopo il legame col GABA hanno un’affinit{ incrementata. Quindi né il GABA né le BDZ sono responsabili direttamente dell’aumento del flusso di cloro, ma è la loro interazione che permette una maggior frequenza di apertura del canale. La localizzazione dei recettori delle BDZ nel SNC è parallela a quella dei recettori del GABA. In base al tipo di recettore e alla localizzazione nel SNC si hanno diversi effetti farmacologici. Una peculiarità del recettore delle benzodiazepine è che si trova costitutivamente attivato per cui scarica continuamente in modalità diverse. Infatti il recettore si può trovare in uno stato attivato ed in uno stato di riposo rispettivamente momenti in cui il cloro passa e il cloro non Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 passa. Nello stato attivato il recettore permette il legame del GABA e delle BDZ, nello stato inattivato viene privilegiato un meccanismo di agonismo inverso essendo presenti siti recettoriali affini a substrati che hanno effetti diametralmente opposti alle BDZ come la betacarbolina che si lega al recettore e provoca ansia, agitazione e convulsioni. Una volta che si lega la BDZ il canale si apre ed un numero considerevole di recettori passa dallo stato inattivo a quello attivato. Azioni Le attività farmacologiche delle BDZ sono diverse: 1. Riduzione dell’ansia: meccanismo tipicamente α2 (esistono 2 diversi tipi di subunità alfa) di stimolazione dei neuroni GABA-ergici contenenti subunit{ α2. Tipicamente quest’azione viene svolta inibendo i circuiti neuronali associati all’ansia nel sistema limbico. 2. Azione sedativo-ipnotica: tutte le BDZ a livelli diversi hanno la capacità sedativa e alcune ad alte concentrazioni hanno capacità di indurre il sonno (ipnotiche). Quest’azione è mediata dal legame con la subunit{ α1. 3. Azione anticonvulsivante: molte BDZ sono usate per trattare l’epilessia, ad esempio il clonazepam, tuttavia queste sono soggette a tolleranza in breve tempo e non sono perciò consigliate nel trattamento cronico del paziente epilettico. 4. Azione miorilassante: utile azione per aumentare il rilassamento dei muscoli, ad esempio nell’anestesia per facilitare l’intervento chirurgico. Probabilmente quest’azione deriva da un legame α2 di inibizione presinaptica nel midollo spinale in cui sono concentrati molti recettori GABA-A. In genere servono alte dosi di BDZ. 5. Amnesia anterograda: spesso questi farmaci vengono usati prima di interventi di broncoscopia o colonscopia mediante azione α1 per ridurre la memoria. 6. Azioni sulla respirazione: a dosi pre-anestetiche induce una riduzione della ventilazione alveolare e pertanto è sconsigliata nei pazienti che soffrono di apnee notturne. 7. Azioni di ipotensione e tachicardia: sempre a dosi molto alte pre-anestetiche si può avere ipotensione e tachicardia riflessa. Usi terapeutici Ansia: l’ansia viene considerata come uno stato di malessere dovuto a tensione, apprensione, disagio o paura che sembra derivare da origine sconosciuta. Le BDZ hanno importanti effetti ansiolitici. Non devono essere usate per l’ansia dovuta allo stress quotidiano ma solo per stati di ansia grave e talvolta associati ad adeguate terapie comportamentali: Ansia generalizzata Sindromi fobiche Sindromi da attacchi di panico. Vengono usati per periodi brevi e non lunghi per il fatto che un’assunzione cronica può portare ad una farmacodipendenza. Inoltre si sviluppa tolleranza, benchè per l’effetto ansiolitico la tolleranza si sviluppi in modo minore che per l’effetto sedativo-ipnotico. (Esiste tolleranza crociata tra i composti del gruppo e anche con l’alcol). In generale vengono preferiti i composti a lunga durata d’azione come il diazepam per i pazienti che richiedono un trattamento prolungato. Un tempo le BDZ erano i farmaci di prima scelta per il trattamento dell’ansia, oggi sono state ampiamente sostituite dagli antidepressivi di nuova generazione che si sono rilevati molto più efficaci. Tuttavia gli antidepressivi hanno un Tmax molto lungo e l’effetto si dimostra dopo circa qualche settimana, così le BDZ vengono usate nel mentre e poi quando compare l’effetto degli antidepressivi si diminuiscono a scalare. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Durante il trattamento cronico con antidepressivi le BDZ vengono risparmiate per gli attacchi acuti d’ansia come gli attacchi di panico, che vengono controllati molto bene con l’alprazolam, benchè possa causare nel 30% dei casi delle reazioni da interruzione del trattamento. Disturbi del sonno: non tutte le BDZ hanno capacità ipnotiche benchè tutte siano sedative. Vengono utilizzate alcune BDZ nei pazienti con difficoltà ad addormentarsi e anche in quelli con risvegli notturni frequenti. Possono essere usate BDZ a breve, media e lunga durata d’azione. In generale riducono la latenza dell’inizio del sonno e aumentano la lunghezza di esso evitando i risvegli frequenti. Prolungano lo stadio 2 del sonno non REM riducendo sia il REM che il sonno a onde lente. Flurazepam: farmaco ad emivita molto lunga (85 ore) che cura sia la difficoltà ad addormentarsi sia i risvegli notturni. Bisogna fare attenzione alla dose in quanto vista la sua durata possono presentarsi dei sintomi di sonnolenza o spossatezza anche diurni. Temazepam: farmaco ad emivita intermedia usato soprattutto per i pazienti con fatica ad addormentarsi. Interviene dopo 2-3 ore dalla dose orale. Triazolam: usato principalmente per chi ha risvegli notturni frequenti ed ha un’emivita molto breve, in alcuni casi può dare irritabilità mattutina. Disturbi muscolari: utile per curare lo spasmo muscolare post-stiramento oppure nei casi di malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla e la paralisi cerebrale. Premedicazione: usate in procedure anestetiche e chirurgiche (angioplastica) o diagnostiche (broncoscopia, colonscopia). Ad es il midazolam, usato solo in ambito ospedaliero pre-chirurgico. Convulsioni: clonazepam è il farmaco di scelta per il trattamento cronico dell’epilessia e il diazepam è il farmaco di scelta per far cessare le convulsioni del grande male e dello stato di male epilettico. Astinenza da alcol. Effetti avversi: - Dipendenza: esiste la possibilità che un trattamento cronico porti ad un dipendenza fisica e psicologica da BDZ per cui la brusca interruzione provoca ansia, irrequietezza, agitazione, insonnia e confusione mentale. La possibilità è maggiore per i farmaci a breve durata d’azione come il triazolam. - Sonnolenza e confusione mentale: intensificazione degli effetti depressivi sul SNC, a volte si possono avere effetti disinibenti e paradossi (ira e aggressività) soprattutto negli anziani o depressione (rara). - Incoordinazione del movimento (atassia): solo ad alte dosi - Reazioni allergiche (rare). - Interazione con alcol e altri depressivi (oppiacei, antipsicotici, antistaminici): potenziamento dell’effetto che può diventare pericoloso. Per questi effetti si considera sempre un’assunzione cronica di BDZ e non occasionale. - Teratogenesi: lorazepam, alprazolam, clordiazepossido, diazepam. - Tossicità fetale: ipotonia, ipotermia e lieve depressione respiratoria. È possibile anche lo sviluppo di una sindrome simil-astinenziale nel feto con tremori, bradicardia, ipertonia, iperreflessia…) - Allattamento: nel latte le BDZ possono penetrare e dare sedazione del neonato, letargia e perdita di peso. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 24. Farmaci sedativo-ipnotici: classificazione, effetti farmacologici e tossici, impieghi terapeutici e controindicazioni Farmaci sedativo-ipnotici non benzodiazepinici ZOLPIDEM Non è una benzodiazepina ma si lega ad un sottogruppo di recettori delle BDZ. Non ha proprietà anticonvulsivanti e miorilassanti, non dà luogo a insonnia di rimbalzo e la tolleranza è scarsa o assente. Non è ansiolitico. Azioni: si tratta di un farmaco che agisce sul recettore α1 ed ha esclusive azioni ipnotiche. Usi terapeutici: insonnia da difficile addormentamento o per cambiamento di fuso orario non associata a fenomeni ansiosi. Farmacocinetica: assorbito rapidamente dal tratto GI, ha rapida insorgenza e emivita breve. Subisce ossidazione epatica da parte del CYP a prodotti inattivi. Farmaci come la rifampicina che inducono questo sistema riducono il tempo di dimezzamento. Effetti avversi: incubi, agitazione, cefalea, disturbi gastrointestinali, capogiri e sonnolenza diurna. ZALEPLON Molto simile allo zolpidem, ha gli stessi effetti ipnotici, tuttavia lascia minori effetti avversi nei confronti del tratto gastro-intestinale, delle funzioni psicomotoria e cognitiva. Forse questo rispecchia una sua breve emivita (meno di 1 ora). È metabolizzato dal CYP. ESZOPICLONE Farmaco utilizzato per il trattamento dell’insonnia, unico ad avere effetti maggiori rispetto al placebo. Ha un meccanismo d’azione simile ai precedenti per cui si lega ai recettori alfa1. Viene assorbito rapidamente e metabolizzato, per poi uscira con le urine. L’emivita è di circa 6 ore. Eventi avversi sono ansia, secchezza delle fauci, dolore al torace, cefalea, sonnolenza. BUSPIRONE Azione: ansiolitico utilizzato principalmente per gli stati d’ansia generalizzati, cronici e associati a sintomi di irritabilità e ostilità. Ha quasi la stessa efficacia delle BDZ nel trattamento dell’ansia, tuttavia non presenta effetto miorilassante e anticonvulsivo e la sedazione è minima. Il meccanismo d’azione è diverso da quello delle BDZ in quanto sembra essere un agonista della serotonina andando a legarsi al suo recettore, ma forse ha anche azioni di agonismo dopaminergico. Usi terapeutici: ansia cronica con comportamenti ostili e aggressivi. Farmacocinetica: metabolizzato dal CYP3A4 e quindi risulta inattivo se dato con la rifampicina che è un induttore enzimatico, l’emivita invece aumenta se dato con la eritromicina che è un inibitore. Effetti avversi: ipotermia, aumento di prolattina e GH, cefalea, capogiri e nervosismo. Tuttavia è improbabile che si instauri dipendenza. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 IDROXIZINA Antiistaminico con attività antiemetica. Utile nei pazienti ansiosi con precedente abuso di farmaci visto che non provoca abitudine. Viene usato anche per la sedazione prima di manovre odontoiatriche o chirurgiche. Sonnolenza è un possibile effetto avverso. MEPROBAMATO Era il sedativo-ipnotico più usato al tempo dei barbiturici, ma ha un IT molto basso. Barbiturici Un tempo erano il principale presidio terapeutico utilizzato per sedare il sistema nervoso e per indurre e mantenere il sonno; oggi sono stati ampiamente rimpiazzati dalle BZD, principalmente perché inducono tolleranza, enzimi farmaco-metabolizzanti, dipendenza fisica e sintomi molto gravi di astinenza. Meccanismo d’azione L’azione sedativo-ipnotica dei barbiturici è dovuta al potenziamento della trasmissione GABAergica (allungano la durata di apertura del canale del cloruro); il sito di legame è diverso da quello delle BZD. Inoltre i barbiturici possono bloccare i recettori eccitatori del glutammato. Tutte queste azioni portano a diminuzioni dell’attivit{ neuronale. Azioni I barbiturici sono classificati in base alla loro durata d’azione. Il tiopental che agisce nel giro di secondi e ha durata d’azione di 30 min è usato per l’induzione e.v. all’anestesia; al contrario il fenobarbital, che ha durata d’azione superiore a un giorno, è utile per il trattamento delle convulsioni. Il pentobarbital, secobarbital, amobarbital sono barbiturici a breve durata d’azione, efficaci come sedativi e ipnotici (non come antiansia). Depressione del SNC A basse dosi i barbiturici provocano sedazione (effetto calmante, riduzione dell’eccitazione); a dosi più alte causano ipnosi, seguita da anestesia (perdita della percezione e della sensibilità) e infine coma e morte. Perciò, a seconda della dose, è possibile qualunque grado di depressione del SNC. Non hanno proprietà analgesiche (anzi possono esacerbare il dolore). L’uso cronico porta a tolleranza. Depressione respiratoria I barbiturici sopprimono la risposta all’ipossia e quella dei chemorecettori alla CO2 e il sovradosaggio è seguito da depressione respiratoria e morte. Induzione di enzimi I barbiturici inducono gli enzimi microsomiali P-450 nel fegato; perciò la somministrazione cronica fa diminuire l’azione di molti farmaci che dipendono dal metabolismo del P-450 per ridurre la loro concentrazione. Usi terapeutici Anestesia I barbiturici ad azione ultrabreve, come il tiopental, sono usati per via e.v. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Anticonvulsivante Il fenobarbital è usato per il trattamento a lungo termine delle convulsioni tonico-cloniche, dello stato epilettico e dell’eclampsia ed è considerato il farmaco di scelta per il trattamento dei bambini con convulsioni febbrili ricorrenti; però può deprimere le prestazioni cognitive nei bambini trattati e perciò deve essere usato con cautela. Ha specifica attività anticonvulsivante, distinta dalla depressione aspecifica del SNC. Ansia I barbiturici sono stati usati come deboli sedativi per alleviare ansia, tensione nervosa e insonnia. Se sono usati come ipnotici sopprimono il sonno REM più degli altri stadi. Però nella maggior parte dei casi sono stati sostituiti dalle BZD. Farmacocinetica Sono assorbiti dopo somministrazione orale e si distribuiscono ampiamente in tutto l’organismo dal cervello alle aree splancniche, ai muscoli scheletrici e infine al tessuto adiposo. Attraversano rapidamente la placenta e possono deprimere il feto. Essi, con l’esclusione del fenobarbital, sono metabolizzati nel fegato e i metaboliti inattivi sono escreti nelle urine. Effetti avversi SNC I barbiturici causano sonnolenza, diminuzione della concentrazione e torpore mentale e fisico; gli effetti di depressione del SNC sono sinergici con l’etanolo. Depressione residua del SNC Dosi ipnotiche di barbiturici provocano una sensazione di stanchezza che si mantiene ben oltre il risveglio del pz; tale depressione residua provoca un’alterazione della capacit{ di agire normalmente per parecchie ore dopo il risveglio; occasionalmente si presentano nausee e capogiri. Precauzioni Inducono il sistema P-450 e possono ridurre l’effetto di farmaci che sono metabolizzati da questi enzimi. Fanno aumentare la sintesi di porfirina e sono controindicati nei pz con porfiria acuta intermittente. Dipendenza fisica La brusca interruzione dell’assunzione può causare tremori, ansia, debolezza, irrequietezza, nausea e vomito, convulsioni, delirio e arresto cardiaco. L’astinenza è più grave di quella da oppiacei e può portare alla morte. Avvelenamento La forte depressione respiratoria è associata con depressione cardiovascolare di origine centrale e porta a una condizione simile allo shock con respirazione debole e poco frequente. Il trattamento prevede la respirazione artificiale e se il farmaco è stato assunto di recente la lavanda gastrica. Non è disponibile nessun antagonista specifico dei barbiturici. Se sono state assunte grandi quantit{ di farmaco può essere necessaria l’emodialisi. Spesso l’alcalinizzazione delle urine aiuta l’eliminazione del farmaco. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIDEPRESSIVI E ANTIMANIACALI 25. Farmaci antidepressivi I farmaci antidepressivi sono utilizzati per curare gli stati depressivi ristabilendo un umore normale o elevato. Essi agiscono genericamente nell’ostacolo alla ricaptazione di neurotrasmettitori liberati nello spazio sinaptico encefalico come noradrenalina, serotonina e dopamina. Esistono diverse classi di farmaci in base alla specificità per un mediatore. Antidepressivi triciclici (ATC) Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NARI) Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina (SNRI) Antidepressivi atipici Inibitori della MAO Indicazioni terapeutiche: 1. Depressione medio-grave: le forme reattive invece non sono trattate farmacologicamente. Molti pazienti non rispondono a tali terapie. Per scegliere il farmaco bisogna tenere presente se il paziente ha già avuto crisi depressive e con quale farmaco era stato trattato e se era stato efficace, altrimenti se si tratta della prima volta si può fare un’analisi familiare e vedere a quali farmaci hanno risposto i familiari che hanno avuto depressione. Se non risponde a nessun trattamento si può usare in associazione il litio. La terapia di mantenimento deve sempre essere a dosi piene. 2. Sindromi ansiose: soprattutto SSRI associati a BDZ per gli attacchi acuti 3. Sindrome ossessivo-compulsiva 4. Bulimia e anoressia: per il trattamento della bulimia gli antidepressivi sono utili in acuto e anche in mantenimento. Nell’anoressia non sono utili in acuto e possono avere effetto solo se il paziente recupera il peso corporeo almeno del 75%. In più negli anoressici si usano i SSRI che sono i meno tossici essendo questi pazienti più suscettibili agli effetti avversi. 5. Dolore cronico: ATC e SNRI 6. Disturbi da deficit dell’attenzione: ATC e NARI. Non si usa più l’amfetamina che d{ problemi motori seri. Antidepressivi triciclici Questi farmaci comprendono composti che hanno strutture peculiari a 3 anelli (triciclici), 4 anelli (tetraciclici, colo il caso della maprotilina). Tra questi ci sono amine terziarie: - IMIPRAMINA (capostipite) - AMITRIPTILINA CLOMIPRAMINA DOXEPINA TRIMIPRAMINA E amine secondarie: - DESIPRAMINA NORTRIPTILINA MAPROTILINA Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Altri: DOSULEPINA (ha effetti su ricaptazione di NA, serotonina e dopamina). Tutti gli ATC hanno efficacia sovrapponibile e sono un’utile alternativa ai pazienti che non rispondono ai SSRI. Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono bloccando il trasportatore deputato alla ricaptazione della noradrenalina e della serotonina dallo spazio sinaptico al neurone presinaptico. Questi 2 mediatori vengono quindi mantenuti più a lungo nello spazio sinaptico ed esercitano un’azione attivatoria sui neuroni postsinaptici stimolando una risposta efficace di attivazione. Il meccanismo vero e proprio però è ancora abbastanza sconosciuto, si pensa che l’inibizione della ricaptazione possa determinare in un primo momento un aumento modesto del mediatore nello spazio sinaptico dovuto alla mancata ricaptazione, ma contemporaneamente si verifica anche un incremento del legame dei mediatori ai recettori presinaptici inibitori che riducono la liberazione dei mediatori dalle vescicole. Per questo motivo l’effetto farmacologico non si presenta prima di 2 settimane fino ad arrivare ad un massimo d’efficacia a 12 settimane. Infatti dopo un certo periodo i recettori presinaptici vanno incontro a down-regulation per eccessiva esposizione ai mediatori e di conseguenza è possibile una maggior liberazione di mediatore e un’attivit{ sinaptica molto più marcata. È stato inoltre ipotizzato che esistano dei neuroni serotoninergici inibitori che riducono la liberazione di NA e l’inibizione della ricaptazione di serotonina manda in down-regulation i recettori 5-HT con riduzione dell’inibizione. In più l’inibizione della ricaptazione della NA agisce anche sui recettori alfa presinaptici inibitori che vanno in down-regulation. Esiste anche un’azione di desensibilizzazione dei recettori beta. Oltre a questo gli ATC hanno anche un’azione inibitoria sui recettori muscarinici e dell’istamina. Azioni: elevano l’umore, aumentano lo stato di allerta mentale, favoriscono l’attivit{ fisica. Le amine secondarie tendono ad avere un’azione maggiore sulla ricaptazione della NA, mentre le terziarie sulla serotonina. Le terziarie inoltre hanno un maggior effetto anticolinergico e sedativo rispetto alle secondarie. Usi terapeutici: depressione maggiore di grado elevato, anche per disturbi di attacchi di panico. In ogni caso oggi vengono somministrati solo nei casi in cui i pazienti non rispondano agli altri antidepressivi (SSRI e NSRI). L’amitriptilina viene usata nel trattamento del dolore cronico neuropatico. Farmacocinetica: somministrazione per via orale, sono lipofili e raggiungono l’encefalo. La biodisponibilità orale non è molto alta a causa del metabolismo di primo passaggio da parte del fegato e quindi la posologia va aggiustata in base alla risposta del paziente. Il tempo di dimezzamento è lungo. Il trattamento iniziale di solito si prolunga per 4-8 settimane dopodichè si inizia a scalare la dose. Effetti avversi: l’indice terapeutico di questa categoria è molto basso e la dose letale è 5-6 volte quella giornaliera, bisogna monitorare e prestare attenzione all’utilizzo di tali farmaci da parte di pazienti depressi a causa del possibile utilizzo suicida. I principali effetti indesiderati sono secchezza delle fauci, stitichezza, disturbi della sfera sessuale, ipotensione ortostatica (per inibizione dei recettori alfa), sedazione, aumento di peso (aumento dell’appetito dovuto a un blocco dei recettori dell’istamina), disturbi di memoria soprattutto negli anziani. Essi hanno anche effetti teratogeni verificati con la clomipramina (malformazioni cardiovascolari) ed effetti di tossicità fetale come rischio di parto pretermine, ridotto peso alla nascita e complicanze perinatali a seguito della brusca sospensione di clomipramina. La nortriptilina è l’unica che sembra avere risultati rassicuranti durante allattamento. Esiste un rischio di tossicità da sovradosaggio con coma, convulsioni, aritmie, ritenzione urinaria e paralisi intestinale. Il rischio di sovradosaggio letale è alto. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina I principali farmaci appartenenti a questa classe sono: - FLUOXETINA (capostipite) - CITALOPRAM ESCITALOPRAM PAROXETINA SERTRALINA FLUVOXAMINA Si tratta di una classe di farmaci ampiamente usata nei disturbi depressivi e non solo per l’elevata efficacia e la scarsit{ marcata di effetti avversi a differenza degli ATC. Azione: inibizione della ricaptazione della serotonina e conseguente miglioramento dell’umore. Sono necessarie 2 settimane per arrivare all’effetto farmacologico iniziale fino a un massimo di 12 settimane per avere l’effetto completo. Il meccanismo d’azione è lo stesso dei ATC ma a differenza di questi gli SSRI non bloccano i recettori dell’istamina, colinergici e adrenergici per cui sono esenti dalla maggior parte degli effetti collaterali dei ATC. Nessun antidepressivo è sempre efficace. Usi terapeutici: depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi di panico, ansia generalizzata, bulimia. Farmacocinetica: buona biodisponibilità orale, solo la sertralina subisce un metabolismo di primo passaggio epatico. Il cibo ha scarso effetto sull’assorbimento. L’emivita è lunga (16-36 ore), tuttavia la fluoxetina è un’eccezione perché ha emivita di circa 50 ore e inoltre i suoi metaboliti hanno anch’essi un’attivit{ intrinseca elevata (10 giorni). Sono inibitori del CYP2D6 responsabile del metabolismo degli ATC, l’eliminazione è urinaria, a parte la paroxetina e la sertralina che hanno eliminazione fecale. Effetti avversi: possono presentarsi nausea, insonnia o sonnolenza, cefalea, vertigini, ansia, disfunzione sessuale e interazioni farmacologiche. A dosi molto elevate la fluoxetina può causare convulsioni. Tutti gli SSRI se assunti insieme a un inibitore della MAO causa una sindrome serotininergica grave e potenzialmente letale (ipertermia, rigidità, mioclono, modificazioni dello stato mentale e dei segni vitali). Per la teratogenesi non c’è nessun rischio, qualche rischio resta di tossicit{ fetale come parto pretermine e lievi complicanze reversibili. Il rischio di tossicità letale è quasi assente. Inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina (NARI) L’unico farmaco disponibile è la REBOXETINA che sembra agire incrementando la concentrazione di NA nello spazio sinaptico. Come effetti indesiderati può dare disturbi del ritmo, insonnia, irrequietezza, bocca secca, stitichezza, sudorazione e vertigini. Nel sovradosaggio c’è un rischio intrinseco di aritmia cardiaca. Inibitori della ricaptazione della serotonina/noradrenalina (SNRI) Esistono 2 principali composti ad azione duplice sui mediatori serotonina e NA e si tratta di: - VENLAFAXINA DULOXETINA Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Usi terapeutici: sono efficaci nei pazienti in cui la depressione non risponde ai SSRI, inoltre hanno una funzione anche sul dolore cronico neuropatico che sembra mediato da vie serotoninergiche e noradrenergiche. In questo hanno funziona analoga agli ATC, tuttavia sono privi dell’affinit{ ai recettori istaminici, muscarinici e adrenergici e dunque non determinano gli effetti collaterali dell’altra classe di farmaci. La venlafaxina è un potente inibitore della ricaptazione della serotonina che a dosi elevate inibisce anche la noradrenalina. È anche un debole inibitore della ricaptazione della dopamina. Emivita di circa 11 ore. La duloxetina inibisce allo stesso modo la ricaptazione della NA e della serotonina a tutte le dosi. Non deve essere somministrata ai pazienti con insufficienza epatica. Effetti avversi: vertigini, bocca secca, stitichezza, sonnolenza, insonnia, nervosismo, nausea, sudorazione e lieve rialzo pressorio nel caso della venlafaxina. Rischio basso di tossicità letale. Antidepressivi atipici Esistono 4 antidepressivi atipici e sono: - BUPROPIONE: interferisce anche con la ricaptazione di dopamina, possiede effetti eccitanti collaterali abbastanza spiccati. Viene utilizzato anche nei pazienti tossicodipendenti per contrastare il fenomeno della dipendenza (riduce anche il desiderio di nicotina). - TRAZODONE: è un debole inibitore della ricaptazione della serotonina andando ad inibire selettivamente il recettore presinaptico inibitorio. Presenta diversi effetti collaterali. Viene usato spesso come sedativo nei pazienti in cui non è opportuno dare BDZ, soprattutto anziani. Gli effetti avversi sono sedazione, sonnolenza, vertigini, disturbi urinari e della sfera sessuale, alterazioni psicomotorie e cognitive. - MIANSERINA: dà effetti avversi come sedazione, sonnolenza, mal di testa, alterazioni cognitive e riduzione dei globuli bianchi. - MIRTAZAPINA: antidepressivo che determina inibizione dei recettori alfa2 e 5-HT2. È dunque un sedativo antistaminico ma privo di effetti antimuscarinici come gli ATC. Causa in genere aumento dell’appetito e altri effetti comuni agli altri farmaci antidepressivi atipici. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Inibitori della monoaminossidasi (MAO) Si tratta di una categoria di farmaci antidepressivi ormai di scarso utilizzo a seguito dei gravi effetti avversi e delle necessarie restrizioni dietetiche a cui il paziente deve andare incontro. - FENELZINA TRANILCIPROMINA Azione: bloccano irreversibilmente gli enzimi che determinano metabolismo delle catecolamine e la conseguenza è un’eccessiva presenza di dopamina, noradrenalina e serotonina nell’encefalo. In più questi inibiscono anche le MAO periferiche e non solo del SNC e ciò implica un’elevata incidenza di interazioni con altri farmaci e cibi. Usi terapeutici: depressione non responsiva ai ATC e con forte componente ansiogena, anche depressione atipica. Effetti avversi: molto gravi e potenzialmente letali se si instaura un quadro di sindrome serotoninergica., in ogni caso ci sono effetti avversi intensi di cefalea, tachicardia, nausea, ipertensione, aritmie, ictus, bisogna evitare i cibi contenenti tiramina. Altri farmaci proposti come antidepressivi - - ADEMETIONINA OXITRIPTANO IPERICO (erba di san Giovanni): si tratta di una miscela di diverse sostanze contenenti l’iperforina che è il principio attivo. Però questa dà origine a interazione con altre terapie come immunosoppressori e contraccettivi orali. Molto pericoloso l’uso autonomo di queste sostanze. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 26. Farmaci stabilizzanti dell’umore Questa classe di farmaci comprende quelli utilizzati per curare i disturbi maniaco-depressivi (disturbo bipolare) che accoppiano momenti depressivi a momenti successivi di estrema euforia. Il ruolo di questi farmaci è appunto la stabilizzazione dell’umore complessivo. Esistono diversi tipi di farmaci utilizzati: - Litio - Carbamazepina - Lamotrigina - Acido valproico - Topiramato - Gabapentin LITIO Il litio è un farmaco somministrato come sali di litio, in genere si tratta di carbonato di litio. È uno ione e attraversa le membrane per filtrazione. Meccanismo d’azione: il meccanismo preciso non è del tutto noto ma sembra interferire con la risintesi dell’inositolo bifosfato (PIP2) e quindi interviene nella cascata di reazioni che coinvolge il secondo messaggero IP3. Il farmaco sembra legarsi all’enzima inositolo fosfatasi che rende disponibile una molecola di inositolo da legare all’acido fosfatidico per formare con l’intervento di una chinasi il PIP2. Il PIP2 a sua volta quando arriva lo stimolo adeguato viene processato dalla fosfolipasi C che lo divide in diacilglicerolo e inositolo trifosfato (IP3) secondo messaggero per l’ingresso del calcio intracellulare dai depositi citoplasmatici. Azione: determina una risoluzione degli episodi maniaco-depressivi e maniacali. In più è efficace anche nei pazienti affetti da manie o ipomanie. Usi terapeutici: Fase acuta di un episodio maniacale, tuttavia ha effetti molto lenti e quindi si deve ricorrere ad un trattamento combinato con BDZ per avere effetti sedativi importanti Prevenzione di recidive maniacali o depressive della sindrome bipolare: viene utilizzato a dosaggi più bassi Prevenzione delle recidive depressive nella sindrome depressiva ricorrente Trattamento delle forme depressive resistenti agli antidepressivi. Normalmente si usa in associazione all’antidepressivo come rinforzo. Farmacocinetica: biodisponibilità orale del 100% e passa le membrane per filtrazione. Attraversa la barriera EE anche se con lentezza e pertanto serve un certo tempo per avere l’effetto terapeutico. L’eliminazione avviene con le urine e in quantit{ molto modeste anche con sudore e feci. L’emivita è di circa 1 giorno. Non è sottoposto a metabolismo di alcun tipo. Effetti avversi: il litio è un farmaco con IT molto basso e pertanto è dotato di intrinseca tossicità. - Effetti indesiderati a breve termine: diarrea, tremori alle mani, sapore metallico, gastralgia e aumento della diuresi per escrezione eccessiva di sodio. - Effetti indesiderati a lungo termine: eruzioni cutanee, aumento di peso, edema agli arti inferiori. Le conseguenze più gravi però riguardano un’alterazione della funzionalità tiroidea e renale. Tossicità da sovradosaggio: - Litiemia tra 1,4 e 3,5 mEq/l: vomito, diarrea, sedazione, tremori grossolani alle mani, disturbi nell’articolare la parola, vertigini, atassia. - Litiemia oltre 3,5 mEq/l: stato soporoso, fascicolazioni muscolari, convulsioni, nistagmo, aritmie, albuminuria, coma e morte. Necessario intervenire con dialisi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Pertanto prima di iniziare il trattamento è necessario sottoporre il paziente ad una serie di esami clinici e laboratoristici: esame obiettivo, ematocrito ed emocromo, elettroliti sierici, funzionalità renale, tiroidea, esame neurologico ed EEG, esame cardiologico e ECG, test di gravidanza. Durante il trattamento è opportuno seguire il paziente con un ECG ogni 4-8 mesi e un esame di funzionalità tiroidea e renale sempre ogni 4-8 mesi. La litiemia deve essere continuamente monitorata e viene misurata 12 ore dopo l’ultima somministrazione serale e prima della somministrazione mattutina, cioè nei momenti in cui la litiemia è più bassa. Per trattare gli episodi acuti maniacali si va da 0,9 a 1,1 mEq/l, mentre per la fase di mantenimento si va da 0,6 a 0,75 mEq/l. In tutti i casi in cui il paziente ha iponatriemia bisogna sempre controllare la litiemia perché il litio ha un forte effetto diuretico, tranne nel caso della sudorazione abbondante in cui sia il litio che il sodio vengono persi contemporaneamente. Così la litiemia va controllata giornalmente nei primi 7 giorni, settimanalmente nel mese successivo, ogni mese nei 6 mesi seguenti e ogni 3-4 mesi in seguito. In un paziente in terapia con litio può accadere che una volta raggiunto lo stato stazionario si verifichi una variazione brusca della litiema a seguito di diversi possibili fattori. Per correggere la dose di litio si segue una formula matematica: correzione percentuale: (LiCp1 – LiCp2) 100% / LiCp1 la percentuale che risulta è quella quota di farmaco da togliere alla dose iniziale. LiCp1: concentrazione plasmatica del litio prima della variazione LiCp2: concentrazione plasmatica del litio dopo la variazione Rischio di teratogenesi per malformazioni cardiache, sconsigliato l’allattamento al seno. CARBAMAZEPINA Altro farmaco che può essere usato per correggere questi disturbi, soprattutto certi sintomi. In ogni caso determinano effetti avversi come diplopia, offuscamento visivo, affaticabilità, nausea e atassia, eruzioni cutanee, leucopenia e trombocitopenia. In caso di sovradosaggio invece si hanno nistagmo, midriasi, segni piramidali ed extrapiramidali, atassia, depressione respiratoria, convulsioni, tachicardia, aritmie e ipotensione, compromissione della coscienza fino al coma. Rischio di malformazioni cardiache, per la tossicità sembra utile la vitamina K e non prevede problemi l’allattamento al seno. ACIDO VALPROICO Altro antiepilettico che può essere usato contro il disturbo bipolare. È utile nella fase acuta di un episodio maniacale e prevenzione delle recidive maniacali. Effetti avversi sono aumento delle transaminasi, anoressia, nausea a vomito e iperandrogenismo. Il sovradosaggio dà blocco cardiaco, coma e sonnolenza. Teratogenesi: rischio di spina bifida e anomalie scheletriche, compatibile con l’allattamento al seno. LAMOTRIGINA Altro antiepilettico coinvolto in attenuazione di alcuni sintomi, sembra utile nella prevenzione della recidive maniacali. Effetti avversi sono vertigini, atassia, disturbi del sonno, diplopia, offuscamento visivo, nausea, vomito, eruzioni cutanee. Per il sovradosaggio si possono manifestare febbre, linfoadenopatie, edema faciale, rash cutaneo morbilliforme, leucocitosi, epatite e insufficienza renale acuta. Sconsigliato l’allattamento al seno. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIPSICOTICI 27. Farmaci antipsicotici I farmaci antipsicotici sono anche detti neurolettici o antischizofrenici in quanto vengono utilizzati per trattare la schizofrenia e altri disturbi dell’ideazione e stati psicotici. La schizofrenia è una patologia che deriva da una qualche disfunzione a livello encefalico che determina una anomala visione della realtà caratterizzata da idee deliranti, allucinazioni e disturbi dell’ideazione. È piuttosto comune e colpisce l’1% della popolazione. Sembra interessi un’anomalia nella neurotrasmissione dopaminergica dei circuiti mesolimbici. Pertanto gli antipsicotici tipici cioè quelli più antichi sono caratterizzati da una capacità di inibizione dei recettori della dopamina, principalmente i D2, mentre quelli atipici o più recenti coinvolgono la neurotrasmissione serotoninergica. Inoltre gli antipsicotici tipici sono differenti per potenza ma hanno tutti la stessa efficacia. Gli atipici invece hanno tutti efficacia pari o maggiore rispetto a quelli tipici. Antipsicotici tipici: Fenotiazine: CLORPROMAZINA, LEVOMEPRONAZIMA, PROMAZINA, PERICIAZINA, DIXIRAZINA, FLUFENAZINA , PERFENAZINA , TRIFLUOPERAZINA . Tioxanteni: ZUCLOPENTIXOLO Butirrofenoni: ALOPERIDOLO, BROMOPERIDOLO Difenilbutilpiperinide: PIMOZIDE Antipsicotici atipici: Benzamidi sostituite: AMISULPRIDE , LEVOSULPRIDE , SULPRIDE, TIAPRIDE Dibenzoxazepine: CLOTIAPINA, CLOZAPINA Altri antipsicotici: RISPERIDONE, PALIPERIDONE , OLANZAPINA, QUETIAPINA, ARIPIPRAZOLO Tra questi esistono farmaci più o meno potenti, in genere i più antichi vengono superati in potenza dagli atipici come la clorpromazina che è 100 volte meno potente dell’aloperidolo. Meccanismo d’azione Gli antipsicotici tradizionali sono degli antagonisti della dopamina e bloccano i suoi recettori nell’encefalo. Sembra però che l’efficacia maggiore sia a carico di quelli che riescono a bloccare selettivamente i recettori D2 della dopamina. Esistono infatti 5 tipi di recettori dopaminergici (D1 e D5 che attivano l’adenilato ciclasi, gli altri che inibiscono l’AC). Questi circuiti però sono coinvolti anche nel complesso extrapiramidale del controllo del movimento e pertanto questi farmaci hanno importanti effetti avversi anche su questo sistema. I farmaci nuovi come la clozapina agiscono sui recettori D4 e pertanto sembrano essere esenti dall’interferenza coi circuiti striatali. Gli antipsicotici atipici invece hanno una prevalente inibizione sui recettori della serotonina piuttosto che sulla dopamina, Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 riducendo ulteriormente gli effetti avversi. Ad esempio la clozapina blocca i recettori D1,2,4, 5HT, muscarinici e alfa-adrenergici ed in parte D2, mentre il risperidone blocca i recettori dell’istamina più che quelli della dopamina D2. L’affinit{ recettoriale per i recettori D2 va di pari passo con la potenza clinica del farmaco, la clozapina ha la stessa affinità per D2 che D1 e in questo si differenzia dagli altri farmaci neurolettici che hanno prevalente affinità per D2. Azioni Gli antipsicotici hanno diverse azioni che rispecchiano il loro legame inibitorio ai recettori dei mediatori neuronali visto che il legame si forma non solo con i recettori della serotonina e della dopamina ma anche con i recettori colinergici, adrenergici e istaminici. - Antipsicotica: tutti i neurolettici sono efficaci nel trattamento dei sintomi “positivi” della schizofrenia cioè allucinazioni, idee deliranti e disturbi dell’ideazione, mentre solo certi neurolettici atipici e solo in parte sono in grado di ridurre i sintomi “negativi” come ottundimento affettivo, anedonia (non provare piacere a seguito di azioni che normalmente sono piacevoli), apatia, perdita dell’attenzione, disturbi cognitivi. In parte la clozapina è utile nella riduzione dell’entità di tali sintomi. In più tutti i neurolettici hanno anche attività sedativa e calmante ma non deprimono tutto il SNC a differenza dei barbiturici perché le attività cognitive sono mantenute. Il blocco dopaminergico e/o serotoninergico porta a modifiche della via mesolimbica e mesocorticale con modifiche del comportamento. Tuttavia anche la via nigrostriatale è associata a circuiti dopaminergici e pertanto viene interessata da questi farmaci che sono responsabili di effetti avversi. In più viene interessata anche la via tuberoipofisaria. - Effetti extrapiramidali: interessamento del circuito dei nuclei della base con parkinsonismo iatrogeno per blocco dei recettori D2 della dopamina, tuttavia i farmaci atipici hanno minori effetti dannosi a questo livello. Il paziente presenta tremori, distonie, acatisia (incapacità a restare fermi) e discinesie tardive forse per ipersensibilizzazione dei recettori D2 antagonizzati per molto tempo. - Effetto antiemetico: bloccano i recettori D2 situati nel centro chemocettore del vomito nel midollo allungato. - Effetto antimuscarinico: clorpromazina, clozapina, olanzapina bloccano anche i recettori muscarinici e danno secchezza delle fauci, ritenzione urinaria, stipsi, offuscamento della visione, confusione, inibizione della muscolatura liscia. - Altri effetti: mediano nella via tubero-ipofisaria un incremento di secrezione della prolattina che viene normalmente inibita dai circuiti dopaminergici; poi si può avere ipotensione ortostatica a seguito del blocco degli alfa1; possono provocare poichilotermia (variazioni pressorie in base all’ambiente); sedazione con i farmaci che bloccano il recettore H dell’istamina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Usi terapeutici 1. Schizofrenia: utilizzati principalmente gli atipici per cercare di diminuire anche i sintomi negativi come la clozapina. In ogni caso non si riesce mai ad ottenere una guarigione, ma si può solo controllare i sintomi 2. Sindromi schizoaffettive 3. Fase maniacale dei disturbi bipolari 4. Depressione psicotica 5. Psicosi senili 6. Disturbi psicotici indotti da alcol e psicostimolanti 7. Prevenzione della nausea e del vomito gravi: soprattutto proclorperazina per la nausea forte indotta da farmaci. Per la nausea da movimento è più opportuno usare sedativi o antistaminici. 8. Altri usi: usati come tranquillanti per il comportamento agitato e violento; usati per il trattamento del dolore cronico associato ad ansia con gli analgesici stupefacenti; la prometazina è usata per trattare il prurito grave in quanto antistaminico; clorpromazina usata per il singhiozzo incoercibile e la pimozide per il trattamento dei tic motori. Farmacocinetica Hanno una buona biodisponibilità orale con assorbimento variabile non influenzato dal cibo. Entrano facilmente nell’encefalo e hanno la capacit{ di legarsi alle proteine plasmatiche. Sono metabolizzati dal CYP2D6. Alcuni metaboliti sono attivi. La flufenazina decanoato e l’aloperidolo decanoato hanno azione protratta fino a 3 settimane. Nel 30% compaiono effetti indesiderati. Si sviluppa tolleranza ma raramente dipendenza. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetti avversi Disturbi extrapiramidali: o Distonie muscolari che prevedono sintomi motori come contrazioni dolorose e involontarie dei muscoli del collo, della lingua e degli occhi mentre a livello psichico creano paura, ansia e panico o Parkinsonismo iatrogeno che prevede bradicinesia, tremori, rigidità, scialorrea e a livello psichico apatia, indifferenza emozionale o Acatisia che si manifesta con dondolamento continuo e accavallamento delle gambe con effetti psichici di irrequietezza, tensione, disforia, confusione o Discinesia tardiva che si manifesta con movimenti ritmici ripetitivi e involontari di bocca, labbra, lingua e a livello psichico grave disagio soggettivo. Altri disturbi a carico del SNC: sonnolenza, depressione, crisi convulsive, mal di testa Aumento della prolattina: galattorrea, irregolarità mestruale, impotenza, diminuzione della libido, osteoporosi Effetti anticolinergici: bocca secca, disturbi visivi, ritenzione urinaria e stipsi, confusione mentale Effetti cardiovascolari: tachicardia, prolungamento del tratto QT, ipotensione ortostatica Effetti ematologici: leucopenia, piastrinopenia Altri disturbi: aumento di peso, iperglicemia, iperlipidemie, alterazioni cutanee, ittero. (Alterazioni soprattutto derivanti dai nuovi antipsicotici come la clozapina e l’olanzepina). La clozapina inoltre come conseguenza dell’interazione recettoriale multipla può dare effetti antimuscarinici e antiadrenergici. Il risperidone tra i nuovi tende a dare iperptolattinemia e disturbi extrapiramidali acuti. Teratogenesi: risultati confortanti per tutti i neurolettici Tossicità fetale: per i tradizionali si può avere ittero, sedazione, alterazioni retiniche e sintomi extrapiramidali, sconsigliato l’allattamento al seno nel caso di politerapie o alte dosi di un farmaco; per i nuovi si ha possibile sindrome del bambino floscio e crisi convulsive (clozapina), sconsigliato l’allattamento al seno. Esistono in alcuni casi particolari modalità di somministrazione (preparazioni dupot) a rilascio molto prolungato ed effettuabili con alcuni antipsicotici come flufenazina e aloperidolo esterificati con un acido e disciolti in soluzione oleosa. Vengono immessi in sede intramuscolare (somministrazioni ogni 2-4 settimane) e quando le concentrazioni si stabilizzano occorre rivedere il dosaggio e la frequenza delle somministrazioni. In tal modo è possibile ritrovare ancora in circolo il farmaco dopo mesi dalla sospensione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANALGESICI ANALGESICI OPPIACEI E NON OPPIACEI 28. L’effetto analgesico degli oppiacei e dei FANS: caratteristiche e meccanismi Un farmaco analgesico ha la proprietà di diminuire o sopprimere il dolore (indipendentemente dalla causa scatenante) senza alterare lo stato di coscienza. Esistono 4 categorie di analgesici che hanno impieghi terapeutici differenti: 1. Oppiacei 2. Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) 3. Tramadolo 4. Paracetamolo OPPIACEI Si tratta di una classe di farmaci utizzati per diminuire o sopprimere il dolore soprattutto cronico e intenso associato a sensazione spiacevole e ansia a seguito della percezione dello stato patologico. In tal caso infatti gli oppiacei trovano un largo impiego per il dolore derivato da malattie croniche come il cancro o patologie terminali. L’individuo mantiene la coscienza dello stato patologico e della presenza del dolore ma la percezione soggettiva del dolore stesso è fortemente ridotta così come l’ansia e le sensazioni emotive spiacevoli associate. Queste sostanze si legano tutte a recettori del SNC e in parte anche periferico simulando l’azione di peptidi endogeni che modulano la nocicezione: - Endorfina: legame preferenziale ai recettori µ - Encefalina: legame preferenziale ai recettori κ - Dinorfina: legame preferenziale ai recettori δ Infatti esistono 3 possibili recettori degli oppiacei che sono responsabili di effetti parzialmente differenti. Normalmente la nocicezione viene controllata da vie inibitorie provenienti da neuroni situati nel talamo, nel tronco encefalico e nel midollo spinale. Qui questi neuroni liberano encefalina, dinorfina ed endorfina in modo regolato da interneuroni inibitori GABA-ergici che controllano negativamente questi neuroni antinocicettivi. Gli oppiacei sembra che attraverso una preferenziale azione sui recettori µ possano inibire questi interneuroni inibitori in modo da favorire la liberazione di oppioidi endogeni per lenire il dolore. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Gli oppiacei si legano ai 3 tipi di recettori, alcuni in modo selettivo altri (maggioranza) a tutti e 3 ma con diverse affinit{. Si stima che la potenza terapeutica sia in relazione all’affinit{ µ. Esistono diversi effetti in base alla stimolazione di recettori presenti su neuroni in sedi differenti, abbiamo gran parte dei recettori degli oppiacei sul SNC (5 sedi) e altri sul SNP e sulle cellule immunitarie. In più esistono dei recettori situati anche in altri apparati come il sistema gastro-intestinale (azione sul sistema mienterico) La distribuzione dei recettori prevede localizzazioni: Tronco dell’encefalo: responsabili degli effetti sulla respirazione, tosse, nausea, vomito, pressione, pupilla e secrezioni gastriche Talamo mediano (ventro-caudale): dolore profondo e poco localizzato associato alla percezione emotiva Midollo spinale: ricezione e integrazione delle informazioni sensoriali nocicettive afferenti provocando attenuazione dell’informazione dolorifica Ipotalamo: secrezione neuroendocrina Sistema limbico: massima concentrazione a livello dell’amigdala, influenza del comportamento emozionale. Periferia: fibre nervose sensoriali periferiche in cui viene bloccata la liberazione di sostanze eccitatorie e pro-infiammatorie come la sostanza P (mediata dal calcio). Cellule immunitarie: ruolo indeterminato Plesso mienterico: modulazione dello stato di tonicità gastrointestinale. Meccanismo d’azione In generale il legame degli agonisti ai recettori innesca una risposta che determina l’inibizione dell’adenilato ciclasi riducendo i valori del cAMP; in più il legame agisce a livello presinaptico riducendo il flusso in ingresso del calcio responsabile della fusione delle vescicole di neurotrasmettitore con la membrana presinaptica; infine sulla membrana postsinaptica il legame crea una corrente in uscita del potassio che stabilisce un’iperpolarizzazione cellulare che fa aumentare il potenziale soglia per la percezione dolorifica (si dice infatti che nei pazienti trattati con oppiacei la soglia del dolore sia marcatamente più alta). Meccanismo d’azione sopraspinale: o Interazione mediante recettori µ con il talamo ventrale caudale per inibizione della trasmissione nocicettiva alla corteccia o Meccanismo indiretto per cui vengono inibiti dei neuroni GABAergici inibitori che permettono il funzionamento delle vie antinocicettive discendenti bulbospinali. Meccanismo d’azione spinale: o Inibizione della liberazione di neurotrasmettitori eccitatori come la sostanza P che esalta la percezione del dolore, è un’azione principalmente mediata dal recettore κ. o Inibizione della trasmissione nocicettiva nel tratto spinotalamico laterale Meccanismo d’azione periferico o Diminuzione del firing di neuroni sensoriali principalmente per attività µ e in tal modo questi neuroni sensoriali riducono la loro capacità di scarica. Gli oppiacei pertanto sono molto efficaci nel trattamento di qualsiasi tipo di dolore superficiale, profondo, somatico e viscerale soprattutto il dolore cronico e in misura minore quello acuto che si esacerba in certi momenti. Il dolore nocicettivo con le vie integre viene curato molto bene mentre quello neuropatico in cui sono compromesse le vie di segnalazione risulta meno tamponabile. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Molto utile nel dolore con componente emotiva forte e sconforto derivato dalla percezione del dolore. FANS I farmaci antinfiammatori non steroidei sono una categoria di farmaci usati per trattare il dolore principalmente associato a stati di infiammazione e danno tissutale. Il dolore superficiale e momentaneo è trattato in misura più efficace che il dolore cronico, viscerale e ischemico. Inoltre l’effetto non va incontro a tolleranza, ma l’efficacia del trattamento con oppiacei è di gran lunga maggiore e con i FANS non è presente la risposta terapeutica emotiva e psicologica al dolore. Meccanismo d’azione Questi farmaci agiscono bloccando in modo competitivo la ciclossigenasi (COX) responsabile della produzione di prostaglandine e trombossani, mediatori efficienti dei processi infiammatori; c’è l’unico caso dell’aspirina in cui il legame alla COX è irreversibile. Esistono 2 tipi di COX: - COX1: enzima fisso - COX2: enzima inducibile I FANS non selettivi inibiscono indistintamente i 2 enzimi, mentre i coxib inibiscono selettivamente la COX2 che è l’enzima inducibile che facilita la risposta infiammatoria. In questo modo si blocca la produzione di prostaglandine ma non di leucotrieni in quanto la via lipossigenasica resta immodificata. Gli effetti periferici dei FANS (che sono gli effetti principali) derivano da una minor produzione di prostaglandine che sono mediatrici del dolore legandosi a specifici recettori e scatenando una risposta nocicettiva, inoltre riducono i fenomeni infiammatori. Gli effetti centrali si esplicano prevalentemente a livello ipotalamico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 TRAMADOLO Farmaco analogo sintetico della codeina ad azione analgesica centrale per azione sui recettori µ e dotato di attività parziale di inibitore della ricaptazione della noradrenalina e serotonina. Viene usato per controllare il dolore da moderato a intenso. Viene metabolizzato dal CYP2D6 e questo giustifica un suo aumentato metabolismo a seguito della somministrazione insieme a carbamazepina. Sono state segnalate reazioni anafilattoidi. Deve essere evitato nei pazienti che fanno uso di inibitori della MAO. Può dare nausea e vertigini come effetti collaterali. PARACETAMOLO Farmaco ad azione anticiclossigenasica spiccata centrale e inibitore lieve e non selettivo della COX a livello periferico. È molto utile come antipiretico e come analgesico (al pari dei FANS) per le forme di dolore non correlate a infiammazione. Tuttavia tutte le azioni anti-prostaglandine che svolgono i FANS nel prevenire e controllare le reazioni infiammatorie sono assenti col paracetamolo (e chiaramente anche gli altri effetti mediati da prodotti della ciclossigenasi come inibizione dell’aggregazione piastrinica, erosione gastrica, diminuita clearance del sodio e dell’acqua sono assenti). Viene impiegato per il trattamento della febbre e del dolore lieve o moderato non infiammatorio. Farmacocinetica: buona disponibilità orale e clearance per il 95% epatica. Tossicità: estremamente improbabile a dosi terapeutiche, a dosi più alte causa epatotossicità o in pazienti a rischio. Oggi sono disponibili diversi composti accoppiati ad azione antidolorifica: - Paracetamolo + Codeina (Co-efferalgan) - Paracetamolo + Oxicodone (Depalgos) - Tramadolo (Adamon, Tradonal) - Tramadolo + Paracetamolo (Kolibri, Patron) - Paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan, Acetamol) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 29. Oppiacei e loro antagonisti: classificazione, effetti farmacologici e tossici, impieghi terapeutici e controindicazioni Gli oppiacei si possono suddividere in: - Agonisti: morfina, idromorfone, destrometorfano, fentanile, loperamide, metadone - Agonisti parziali: codeina, oxicodone, buprenorfina, pentazocina - Antagonisti: naloxone, naltrexone L’eroina è uno stupefacente ottenuto direttamente dalla morfina con la propriet{ di essere più liposolubile e quindi penetrare maggiormente a livello del SNC. Il destrometorfano e la loperamide hanno perso la loro potenzialità analgesica e stupefacente e vengono usati rispettivamente come antitussigeno e antidiarroico. AGONISTI MORFINA Azioni: 1. Effetto analgesico: in presenza di dolore la morfina riesce ad attenuarlo e a farlo scomparire elevando la soglia del dolore ma anche riducendo la capacità di interpretazione a livello corticale del dolore. Il paziente avrà la coscienza del dolore ma la sensazione non sarà spiacevole. In assenza di dolore la morfina causa effetti avversi come nausea e vomito, si dice infatti che il dolore è il principale tampone degli effetti avversi della morfina. 2. Effetti psicologici: la morfina provoca una serie di sensazioni confuse, irreali e distaccate dalla realtà. Queste sensazioni risultano piacevoli in presenza di dolore o nel paziente assuefatto che abusa del farmaco in modo cronico, tuttavia nel paziente non abituato e senza dolore il farmaco crea ansia e agitazione. Nel paziente in cui la morfina dà effetti piacevoli la sensazione è orgasmo-simile a cui segue un periodo di tranquillità di circa 1 ora). Se le dosi diventano importanti si verifica riduzione dell’attivit{ fisica, sonnolenza fino a perdita della coscienza. Si ha anche perdita della fame e diminuzione della sete, riduzione della libido. I meccanismi di questi effetti sembrano dovuti ad un’interazione con i recettori µ presenti nell’area tegmentale ventrale del talamo che proietta all’accumbens ed è responsabile di sensazioni piacevoli. Si tratta di una via mesolimbica stimolata anche da normali situazioni gratificanti e non solo farmacologiche. 3. Effetti respiratori: a. La morfina agisce deprimendo tutte le fasi della respirazione, il paziente può arrivare a fare fino a 3-4 atti respiratori al minuto. Questo aspetto si verifica a dosi terapeutiche e cresce d’intensit{ con l’aumentare delle dosi fino ad arrivare ad una paralisi respiratoria che è la causa più frequente di morte da sovradosaggio di oppiacei. Il meccanismo sembra legato ad una riduzione della sensibilità dei centri respiratori alla CO2. Esiste anche una depressione dei centri pneumotassico e apneustico. b. La morfina inibisce il riflesso della tosse mediante un effetto centrale ma anche periferico e sembra che i recettori coinvolti siano diversi da quelli analgesici. c. La morfina causa broncocostrizione a dosi elevate a seguito della liberazione di istamina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 4. Effetti cardiovascolari: a basse dosi la morfina non determina variazioni della frequenza o della pressione, tuttavia con l’incremento della dose può dare bradicardia e depressione dei riflessi barocettivi con conseguente ipotensione ortostatica e vasodilatazione. Questo effetto si ripercuote sui vasi cerebrali che stimolati anche dall’aumento di pCO2 si dilatano maggiormente provocando un aumento della pressione liquorale e quindi non va usata per i pazienti con danni cerebrali gravi. I meccanismi di queste azioni sembrano derivare da una liberazione di istamina (responsabile della vasodilatazione), una depressione dei centri vasomotori e l’ipercapnia. 5. Effetti gastrointestinali: in questo caso la morfina sembra agire in modo simile ad un parasimpaticolitico e infatti si ha una riduzione delle secrezioni gastriche, intestinali, pancreatiche e biliari; un aumento del tono muscolare e delle contrazioni non propulsive (responsabili di crampi addominali); riduzione della motilità propulsiva (stipsi) e nausea e vomito. I meccanismi sono un aumento del tono e una riduzione della peristalsi per stimolo dei recettori degli oppiacei a livello del sistema mienterico e sottomucoso, nei miociti lisci e in parte anche per un’azione a livello centrale. La nausea e il vomito vengono scatenati per attivazione della CTZ a livello bulbare e aumento di sensibilità vestibolare. 6. Altri effetti: a. Riduzione del tono uterino: può interferire col parto e lo prolunga b. Riduzione della diuresi: per diminuzione del flusso ematico renale c. Inibizione del riflesso della minzione d. Peicilotermia e. Effetti eccitatori sulla muscolatura toracica f. Liberazione di istamina: responsabile di rossore, prurito, sudorazione, vasodilatazione e broncocostrizione (da evitare negli asmatici) g. Miosi: si verifica la cosiddetta pupilla a capocchia di spillo per la riduzione marcata del diametro pupillare a seguito dello stimolo del nucleo di EdingerWestphal dell’oculomotore con recettori µ e κ. La miosi non va incontro a tolleranza per cui i pazienti che abusano cronicamente di morfina hanno tutti questa tipica conformazione pupillare. h. Azioni ormonali: inibizione della liberazione di GnRH, CRH; riduzione della liberazione di LH e FSH, ACTH e beta-endorfina. Calano i livelli di cortisolo e testosterone mentre aumentano i livelli di prolattina per inibizione dopaminergica. Viene incrementata la liberazione di ADH che causa una ritenzione di sodio e di acqua. Usi terapeutici: Analgesico: riesce a controllare il dolore non controllato dai FANS, tipicamente il dolore cronico (da neoplasia, da malattia terminale o da malattia cronica invalidante), il dolore viscerale ed ischemico (IMA, embolia, coliche renali e addominali, traumi, ustioni, interventi chirurgici e parto) Antidiarroico (anche se oggi è più spesso usata la loperamide) Antitussigeno (oggi si preferisce il destrometorfano) Trattamento dell’edema polmonare: grazie alla marcata vasodilatazione che riduce il precarico ed il postcarico e viene ridotta marcatamente la dispnea associata a insufficienza ventricolare sx. Farmacocinetica: si tratta di un farmaco con una biodisponibilità orale scarsa (20-30%), mentre è molto buono l’assorbimento intramuscolare. In linea di massima si tende ad assumere la morfina per via endovenosa o sottocutanea, oggi sono state messe a disposizione Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 delle pompe a rilascio graduato. Non passa la barriera EE e di conseguenza gli effetti euforizzanti sono marcatamente ridotti rispetto all’eroina che è molto più liposolubile. Avviene il passaggio nel filtro placentare e non deve essere usata nel parto. Viene biotrasformata nel fegato e nella parete intestinale pertanto si ha una perdita di efficacia per intenso metabolismo di primo passaggio x via orale. Dopo biotrasformazione uno dei due metaboliti conserva efficacia terapeutica. Viene eliminato per via renale dopo coniugazione ad acido glucuronico mentre una piccola parte viene eliminata come tale. In caso di assunzione massiva del farmaco l’eliminazione si effettua anche attraverso sudore, saliva e succo gastrico. Effetti avversi: SNC: sonnolenza, confusione, disforia (in assenza di dolore), vertigini, iperalgesia (una volta passato l’effetto analgesico), rischio di dipendenza fisica e psichica. Tutti gli effetti della morfina sono sottoposti a tolleranza tranne la miosi e la stipsi. Respiratorio: depressione di tutte le fasi respiratorie e broncocostrizione e dispnea a dosi alte. Cardiocircolatorio: ipotensione ortostatica Gastrointestinale e urinario: nausea, vomito, stipsi, crampi addominali (per aumento delle contrazioni non propulsive a differenza dei parasimpaticolitici), spasmo dello sfintere di Oddi che genera colica biliare, ritenzione urinaria, tenesmo. Orticaria, prurito e reazioni anafilattoidi a seguito della liberazione di istamina Interazioni farmacologiche: gli inibitori delle MAO, gli antidepressivi triciclici e le fenotiazine amplificano l’effetto depressivo della morfina e stranamente anche basse dosi di amfetamina. MEPERIDINA Oppiaceo derivato dalla morfina con azioni e meccanismo d’azione sovrapponibile a quello della morfina, tuttavia ha buona biodisponibilità orale e non presenta azioni cardiologiche quando dato per via orale, tuttavia di solito si somministra per via intramuscolare. Si usa per il dolore in modo uguale alla morfina, ma non ha proprietà antitussigene e antidiarroiche, però è uno degli analgesici maggiormente usato in ostetricia. Si differenzia dagli oppiacei perché ad alte dosi dilata la pupilla e provoca iperreflessia. METADONE Farmaco che a dosi equianalgesiche della morfina differisce da questa per una biodisponibilità orale elevate e un’emivita molto più lunga. La durata dell’effetto è maggiore. Somministrato in cronico causa un allungamento dell’emivita del composto. L’effetto istamino-liberatore è trascurabile. È utilizzato nella sospensione controllata della tossicodipendenza da eroina e morfina e sostituisce gli oppiacei iniettivi. Questo perché il metadone causa una sindrome d’astinenza molto più lieve che l’eroina, ma di lunga durata. In tal modo il paziente viene progressivamente svezzato dal metadone arrivando a sospendere anche quest’ultimo. Determina un graduale accumulo nei tessuti che permette una minor drasticità nella diminuzione delle concentrazioni dopo sospensione. FENTANILE A dosi equianalgesiche si differenzia dalla morfina perché è un farmaco liposolubile che passa molto bene la barriera EE. Non possiede l’effetto istamino-liberatore, tuttavia si apprezza una maggior incidenza di contrazioni dei muscoli del tronco che rendono conto di una rigidità muscolare sconveniente in sala operatoria e interferenza con la respirazione. Viene utilizzato in anestesia post-operatoria e durante il parto. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 La somministrazione avviene per via endovenosa, epidurale o intratecale oppure transmucosa a rilascio graduato nei pazienti oncologici con dolore intenso. AGONISTI PARZIALI CODEINA È un farmaco molto meno potente della morfina e induce anche meno reazioni di dipendenza. Si usa per le proprietà antitussigene che oggi sono state sostituite dal destrometorfano. È efficace per via orale e provoca meno euforia della morfina. Spesso viene usata insieme al paracetamolo e all’aspirina come azione analgesica più potente. OSSICODONE Farmaco simile alla codeina con effetti di agonismo parziale per i recettori µ. Ha un’azione analgesica di solito associato a paracetamolo e aspirina. Usato per trattare il dolore da moderato a grave. BUPRENORFINA Agonista parziale per i recettori µ e lieve antagonista nei confronti dei recettori κ. Il legame con i recettori µ è estremamente forte e non può essere spiazzato dal naloxone a differenza della morfina (il legame con i recettori può solo essere prevenuto e non antagonizzato). C’è un rischio di tossicodipendenza anche se minore che la morfina. In pazienti non morfino dipendenti ha le stesse azioni della morfina, ma nei pazienti morfinodipendenti può scatenare una sindrome d’astinenza. Questa sindrome viene utilizzata per la disintossicazione da abuso di oppiacei con risultati anche più soddisfacenti del metadone in quanto ha sindrome d’astinenza meno intensa e meno duratura. È autorizzata per il trattamento ambulatoriale a differenza del metadone che invece è presente solo in centri specializzati. Viene somministrata per via sublinguale o parenterale, ha lunga durata d’azione per il forte legame con i recettori. Metabolizzata dal fegato. Gli effetti avversi di depressione respiratoria non possono essere contrastati dal naloxone. PENTAZOCINA È un agonista parziale a livello dei recettori µ e un agonista completo per i recettori κ. Trova uno scarso utilizzo a causa dell’effetto maggiore costipante ed emetico rispetto alla morfina e in più si verifica anche disforia mediata dal recettore κ. A dosi elevate si verificano effetti cardiocircolatori come ipertensione ed effetti psicotomimetici (allucinazioni). Dà tossicodipendenza. In un soggetto morfino-dipendente può contribuire alla disintossicazione. Può essere data sia per via orale che parenterale. ANTAGONISTI NALOXONE Si tratta di un farmaco che ha elevata affinità per tutti e 3 i recettori degli oppiacei ed antagonizza l’agonista spiazzando in poco tempo (circa 30 secondi) tutti i siti recettoriali occupati dagli oppiacei. Non ha alcun effetto nei pazienti che non usano oppiacei. È in grado di indurre una grave sindrome d’astinenza. Viene usato principalmente nella cura del coma respiratorio a seguito di intossicazione da oppiacei. Questo farmaco è in grado di sostituire l’eroina in pochi secondi e far riprendere la Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 respirazione e la coscienza al soggetto, che però si trova in uno stato di gravissima astinenza in quanto tutti i recettori sono spiazzati dall’agonista. È stato tentato un uso negli alcolisti cronici per ridurre la dipendenza. Impiego essenziale nel neonato con crisi respiratoria da assunzione materna di oppiacei. La biodisponibilit{ orale è quasi inesistente, possiede una breve durata d’azione. NALTREXONE Composto simile al naloxone con una disponibilità orale marcatamente più alta ed una lunga durata d’azione. È usato insieme a clonidina e talora a buprenorfina per la disintossicazione rapida dagli oppiacei. È epatotossico. Controindicazioni generali agli oppiacei: - Ridotta capacità respiratoria - Stati di elevata pressione liquorale (a causa dell’ipercapnia e vasodilatazione) - Stati di ipovolemia e ipotensione - Ipertrofia prostatica - RCU, morbo di Crohn, costipazione, patologia biliare perché si ha una stipsi ed una riduzione della motilità - Ipotiroidismo e insufficienza surrenalica - Insufficienza epatica o renale grave - Terapia con sedativo-ipnotici, neurolettici e antidepressivi triciclici. Farmaco Agonisti Morfina Idromorfone Fentanile Metadone Agonisti parziali Oxicodone Buprenorfina Pentazocina (+) = agonista; (±) =agonista parziale; (-)= antagonista mu kappa +++ +++ +++ +++ + ± ± ± Tali farmaci non hanno azione su kappa + Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELL’IPERTENSIONE E NELL’INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA DIURETICI 31. Farmaci diuretici: classificazione, azioni, effetti indesiderati e impieghi terapeutici I diuretici sono farmaci ampiamente utilizzati nei disturbi cardiovascolari e ricoprono un ruolo primario nel trattamento dell’ipertensione e dell’insufficienza cardiaca congestizia. Sono suddivisibili in varie classi in base al loro meccanismo d’azione che si esplica a livello del tubulo renale determinando una riduzione del riassorbimento ed un incremento dell’eliminazione di elettroliti ed acqua. Diuretici tiazidici o o o Clorotiazide o Metolazone Diuretici dell’ansa o o SPIRONOLATTONE AMILORIDE o Triamterene Inibitori dell’anidrasi carbonica o FUROSEMIDE TORSEMIDE o Bumetanide Diuretici risparmiatori di potassio o o IDROCLOROTIAZIDE CLORTALIDIONE ACETAZOLAMIDE Diuretici osmotici o Mannitolo o Urea TIAZIDICI Si tratta della classe di diuretici più utilizzata in clinica anche se non ha una potenza terapeutica come quella dei diuretici dell’ansa. Meccanismo d’azione: i tiazidici vanno ad inibire il riassorbimento di Na nel tubulo distale, bloccando il trasportatore Na/Cl. Azione: aumento dell’escrezione urinaria di Na che non viene riassorbito, circa il 5% del sodio filtrato viene in tal modo eliminato. Questo permette di aumentare il volume di urina, aumentare l’espulsione di sodio e di potassio, ma ha effetti inversi sul calcio che a differenza degli altri elettroliti viene risparmiato e riassorbito. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 I diuretici tiazidici in complesso permettono una diminuzione del volume circolante efficace che si ripercuote sul volume telediastolico e contribuisce ad una riduzione della gittata cardiaca; in più a lungo termine sembrano avere anche un’azione di vasodilatazione periferica migliorando ulteriormente l’ipertensione. Usi terapeutici: 1. Ipertensione: il loro utilizzo è in genere un trattamento di prima linea per i pazienti ipertesi di grado lievemoderato. Sono molto efficaci nel ridurre la pressione diastolica e sistolica per lunghi periodi di tempo. Dopo 3-7 giorni la pressione sanguigna si stabilizza ad un livello più basso e può essere mantenuta tale in modo continuativo somministrando giornalmente il farmaco che cronicamente tende ad abbassare le RVP piuttosto che incrementare l’effetto diuretico. Molti pazienti possono essere trattati per anni con un tiazidico senza necessità di ricorrere ad un altro trattamento aggiuntivo. In alcuni casi però diventa necessario l’uso di β-bloccanti. 2. Insufficienza cardiaca congestizia: possono essere i diuretici di scelta nel trattamento dell’ICC lieve o media che permettono una riduzione del volume ematico circolante in modo da favorire una riduzione sia del precarico che del post-carico agendo quindi sulla gittata cardiaca che viene ridotta e in questo modo risparmia il miocardio da un lavoro eccessivo. 3. Ipercalciuria: vengono usati i tiazidici in quanto hanno la caratteristica di essere risparmiatori di calcio che viene riassorbito. Sono utili nei pazienti con calcoli di ossalato di calcio visto che il riassorbimento di calcio evita la precipitazione nelle vie escretrici di aggregati salini. 4. Diabete insipido: paradossalmente nei pazienti con diabete insipido nefrogenico che quindi hanno adeguati valori di ADH ma non c’è un’interazione recettoriale efficiente a livello renale, si ha un aumento di osmolarità urinaria. Si è visto che con questi farmaci si ottiene una riduzione del volume urinario da 10 L al giorno a 3 L. Farmacocinetica: hanno una buona biodisponibilità orale. Interagiscono tutti con il sistema nefrogenico di trasporto degli acidi organici e per tale motivo un trattamento cronico può portare a modificazioni del pH urinario e iperuricemia. Effetti avversi: gli effetti collaterali vengono suddivisi in 2 classi: - Tipo A: prevedibili in base all’attivit{ del farmaco - Tipo B: non prevedibili perché dipendono dalle variabili fisiologiche dell’individuo. Gli effetti avversi dei tiazidici sono: Ipokaliemia Iperuricemia Variazioni del pH urinario Ipercalcemia Iponatriemia Ipotensione Iperglicemia e ipomagnesiemia in una piccola parte di casi. Si stima che il 70% dei pazienti che assumono tiazidici vadano incontro a iperuricemia e ipokaliemia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 DIURETICI DELL’ANSA Si tratta di una classe di farmaci meno utilizzati dei tiazidici ma con una efficacia molto più elevata. Meccanismo d’azione: bloccano il trasportatore Na/K/2Cl a livello del tratto ascendente dell’ansa di Henle che è responsabile di un grande riassorbimento complessivo di sodio. Azioni: il risultato è un’escrezione del 15-20% del sodio filtrato e di conseguenza una marcata deplezione di acqua e un aumento del volume urinario. Inoltre determinano anche una consistente eliminazione di potassio e anche di calcio. Per questo motivo è efficace nel ridurre il volume ematico e curare sia l’ipertensione che l’ICC. Essi provocano una diminuzione della resistenza vascolare renale e un aumento del flusso sanguigno renale. Essi agiscono prontamente anche nei pazienti che hanno una funzione renale scarsa e che quindi non possono essere trattati con i tiazidici che avrebbero scarsi effetti terapeutici. Usi terapeutici: 1. Edema polmonare acuto: è il farmaco di prima linea in quanto permette un’eliminazione consistente dei liquidi extracellulari. 2. Insufficienza cardiaca congestizia: di grado medio-grave e associata spesso all’edema polmonare acuto. 3. Ipercalcemia: utilizzati anche in questo contesto vista la grande capacità di eliminare calcio a differenza dei tiazidici che sono risparmiatori di calcio. 4. Ipertensione: vengono usati nell’ipertensione solo come seconda scelta nel caso di pazienti con insufficienza renale o pazienti che non rispondono ad altri tipi di diuretici. Effetti avversi: Ototossicità Iperuricemia Ipotensione Ipomagnesemia Ipokaliemia DIURETICI RISPARMIATORI DI POTASSIO Si tratta di farmaci utilizzati principalmente nell’ipertensione. Meccanismo d’azione: blocco dei canali del sodio nel tubulo collettore e inibizione della secrezione di H+ e K+ (es amiloride e triamterene), oppure antagonismo selettivo per i recettore dell’aldosterone nel tubulo collettore. Azioni: il blocco del riassorbimento di sodio provoca un aumento dell’escrezione urinaria dell’elettrolita e l’antagonismo con l’aldosterone innesca un’inibizione della secrezione di potassio e dell’eliminazione di sodio. L’aldosterone infatti normalmente provoca ritenzione di sodio e di acqua ed eliminazione di potassio. Usi terapeutici: 1. Ipertensione: farmaco particolarmente usato in pazienti ipertesi che assumono contemporaneamente anche diuretici tiazidici che riducono la concentrazione di potassio plasmatica. Di solito viene utilizzato nei casi in cui c’è un eccesso di aldosterone. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 2. Insufficienza cardiaca congestizia: in questi casi lo spironolattone ha un’efficacia nel ridurre la gittata cardiaca e legandosi ai recettori miocardici impedisce il rimodellamento cardiaco tipico dell’insufficienza antagonizzando l’aldosterone. Si è visto inoltre che c’è una riduzione della mortalit{, a scapito però di una crescente iperkaliemia. In ogni caso bisogna considerare che l’iperkaliemia non determina una controindicazione in quanto il paziente di solito assume anche un tiazidico ipokaliemico, le dosi di spironolattone sono basse e i soggetti con insufficienza renale vengono risparmiati. Effetti avversi: è importante quando si inizia la terapia con spironolattone tenere monitorata la kaliemia e interrompere l’assunzione esogena di potassio per evitare il possibile effetto indesiderato di iperkaliemia che può provocare arresto cardiaco. Si possono avere anche disturbi gastrici, letargia e confusione ed alterazioni endocrine come ginecomastia e riduzione della libido. DIURETICI OSMOTICI Sono semplici sostanze come mannitolo e urea che hanno un potenziale alto di legare l’acqua (idrofile) e quindi vengono filtrate dal glomerulo ed entrano nel tubulo permettendo una ampia escrezione di acqua piuttosto che di Na. Infatti queste sostanze non sono utili nei casi di ritenzione di sodio. Il loro impiego è riservato al mantenimento del flusso urinario a seguito dell’ingestione di sostanze tossiche o sostanze che possono provocare insufficienza renale acuta. In più vengono usati anche nei pazienti con aumento della pressione intracranica (edema cerebrale). Il mantenimento del flusso renale preserva la funzionalità del rene per lungo tempo e può salvare il paziente dalla dialisi. Gli effetti avversi prevedono l’aumento dell’acqua extracellulare che esce per compenso dai comparti intracellulari, l’ipernatriemia e la disidratazione. INIBITORI DELL’ANIDRASI CARBONICA Questo tipo di diuretici agisce immediatamente dopo la formazione del filtrato glomerulare e quindi a livello del tubulo prossimale. Meccanismo d’azione: viene inibita l’anidrasi carbonica che porta alla formazione di acido carbonico debole da anidride carbonica e acqua. In tal modo viene bloccato il passaggio di sodio dal lume tubulare alla cellula insieme al passaggio inverso del protone verso il lume. In questo modo si ha perdita di sodio e ritenzione di protoni. Azioni: aumento della secrezione di sodio, di potassio e di bicarbonato (che non trova H+ nel lume con cui legarsi e formare acido carbonico retrodiffusibile) oltre ad un aumento del volume delle urine. Usi terapeutici: può essere usato in alcuni casi per trattare l’ipertensione Effetti avversi: Acidosi metabolica Perdita di potassio Formazione di calcoli renali Sonnolenza e parestesie Calo dell’escrezione di NH4+ nei pazienti con cirrosi epatica e pertanto in queste condizioni è assolutamente da evitare. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ACE INIBITORI E ANTAGONISTI DELL’ANGIOTENSINA II 32. Farmaci del sistema renina-angiotensina: classificazione, azioni, effetti indesiderati, controindicazioni e impieghi terapeutici Il sistema renina angiotensina aldosterone (RAA) è un fondamentale meccanismo omeostatico di regolazione della pressione arteriosa, del volume circolante e della gittata cardiaca. Viene attivato in modo massiccio durante l’insufficienza cardiaca attraverso 2 modalit{: - La riduzione della gittata sistolica causa una scarsa perfusione renale e di conseguenza il rene percepisce l’abbassamento di pressione tramite i suoi barocettori e libera renina. - L’insufficienza cardiaca determina un’iperattivazione simpatica che stimola la liberazione di renina da parte del rene. La renina viene utilizzata per convertire l’angiotensinogeno epatico in angiotensina I, la quale viene sottoposta all’azione dell’enzima ACE presente sugli endoteli che crea l’angiotensina II. Quest’ultima è il più potente vasocostrittore circolante ed ha diverse azioni: - Vasocostrizione e aumento delle RVP, anche dell’arteria renale - Aumento del riassorbimento di sodio nel tubulo distale renale - Aumento della liberazione di aldosterone - Aumento della liberazione di ADH - Stimolo al rimodellamento miocardico L’aldosterone a sua volta prodotto a seguito dell’angiotensina II e dell’iperkaliemia determina un aumento di riassorbimento tubulare di acqua e Na e aumento di escrezione di K. Nel complesso il sistema RAA svolge un ruolo ipertensivo sia per incremento delle RVP sia per aumento della gittata cardiaca a seguito della ritenzione idrosalina. I farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone sono: 1. ACE-inibitori 2. β bloccanti 3. Inibitori del recettore dell’angiotensina (Sartani) 4. Inibitori diretti della renina ACE INIBITORI Si tratta di una categoria farmacologica molto utilizzata in clinica a causa dei suoi molteplici effetti sul sistema cardiovascolare. Sono compresi farmaci più antichi e altri più recenti: - CAPTOPRIL (capostipite) - ENALAPRIL - RAMIPRIL - LISINOPRIL Meccanismo d’azione: questi farmaci hanno la capacit{ di inibire l’enzima ACE e di conseguenza non permettono la conversione di Ang I in Ang II e quindi risparmiano al sistema tutti gli effetti vasocostrittori e cardiocinetici dell’angiotensina. Tuttavia il sistema ACE è utilizzato anche per metabolizzare la bradichinina e la sostanza P, che con gli ACE inibitori invece vengono risparmiate e si accumulano nell’organismo e sono responsabili di alcuni effetti collaterali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Azioni: sono in grado di diminuire la pressione arteriosa grazie alla riduzione delle RVP senza un aumento della GC grazie alla consistente natriuresi per inibizione della secrezione di aldosterone. Tuttavia quest’effetto di mantenimento della GC in realt{ si manifesta come un aumento di eiezione sistolica visto che la vasodilatazione provoca una diminuzione del postcarico e la natriuresi una riduzione del precarico e così viene facilitato il lavoro del cuore. In più consentono una vasodilatazione renale che favorisce ulteriormente una filtrazione e un’eliminazione dei liquidi. Si ha anche una ridotta eliminazione della bradichinina. La vasodilatazione viene permessa dall’interazione delle due funzioni: - Inibizione dell’angiotensina II - Aumento della bradichinina Usi terapeutici: 1. Insufficienza cardiaca congestizia: viene considerato un impiego fondamentale vista la capacit{ dei farmaci di aumentare l’eiezione cardiaca non a spese di un maggior lavoro cardiaco. Risulta molto utile nei pazienti con insufficienza ventricolare sinistra e frazione di eiezione sotto al 35%, più è bassa la FE e maggiore sar{ l’efficacia. In genere viene indicata una monoterapia con ACE-I quando il paziente è asintomatico o presenta dispnea lieve indotta dall’insufficienza cardiaca ma senza segni di eccessivo sovraccarico di volume (edema polmonare acuto). Anche nel post-infarto l’ACE-I è risultato un farmaco estremamente utile e se iniziato subito dopo l’attacco sembra ridurre decisamente la mortalità e il rischio di aritmie fatali (spt enalapril). Pertanto oggi viene iniziata la terapia con ACE-I subito dopo l’episodio infartuale e si interrompe dopo 6 settimane se la funzione ventricolare si ristabilisce. Alcuni sostengono che non sia il caso di trattare con ACE-I pazienti con insufficienza ventricolare e pressione sistolica sotto i 100 mmHg a causa dell’ipotensione. In ogni caso si è visto che l’efficacia massima farmacoligica si raggiunge 24 ore dopo la somministrazione e quindi è necessario iniziare subito. Il paziente che non ha insufficienza ventricolare non trova giovamento dal trattamento. 2. Ipertensione: attraverso la riduzione delle RVP e il mantenimento di una costante GC si instaura una progressiva riduzione della pressione arteriosa. Il farmaco viene utilizzato in monoterapia solo in alcuni casi soprattutto nei giovani, mentre più spesso è associato ad un diuretico o ad un β bloccante. In genere l’associazione principale e più efficace è quella con il diuretico in quanto l’ACE-I è un iperkaliemizzante mentre il diuretico è un ipokaliemizzante e la situazione del potassio viene bilanciata. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 3. Profilassi dell’insufficienza coronarica: per ridurre il rischio di re-infarto e di morte cardiaca grazie all’attivit{ stimolante l’eiezione sistolica senza sovraccaricare di lavoro il miocardio e risparmiando quindi le coronarie. 4. Nefropatia diabetica: il paziente iperteso e diabetico sembra avere un notevole vantaggio sull’utilizzo di ACE-I in quanto questi prevengono l’albuminuria e l’avanzamento della nefropatia (in quanto viene promossa la vasodilatazione renale e quindi anche del glomerulo ritardando la deposizione di materiale che altera la struttura del glomerulo e lascia passare proteine). Se il paziente è normoteso l’ACE-I è risultato efficace in presenza di microalbuminuria. 5. Nefropatia non diabetica: si è visto che anche nel paziente normoteso il farmaco rallenta l’ingresso in dialisi del paziente Farmacocinetica: tutti gli ACE-I hanno una buona biodisponibilità orale ma possono avere interazioni con il cibo e quindi è necessario che vengano assunti a stomaco vuoto. Tranne il captopril sono tutti profarmaci che vengono attivati a metaboliti dal fegato. L’emivita è variabile e va da 2 a 12 ore ma la durata d’azione si prolunga oltre questo periodo perché l’inibizione dell’ACE è duratura. Il captopril ha durata d’azione piuttosto breve (4-6 ore) mentre i farmaci più nuovi come il ramipril e il fosinopril richiedono solo una somministrazione giornaliera avendo durata d’azione di 24 ore. Effetti avversi: Tosse secca e stizzosa: conseguenza associata alla riduzione del metabolismo della bradichinina che si accumula nell’albero respiratorio Iperkaliemia: importante monitorare il potassio e non somministrare farmaci come lo spironolattone che è un risparmiatore di potassio. In pazienti iperkaliemici è meglio non utilizzare questo farmaco Ipotensione posturale Febbre: sembra sempre coinvolta la bradichinina Reazioni cutanee: sempre per bradichinina Angioedema: si tratta di una reazione rara che però può mettere a repentaglio la vita Tossicità fetale: assolutamente controindicati in gravidanza Sincope da prima dose: per questo la prima dose del farmaco in genere viene somministrata in regime ambulatoriale per tenere controllate le possibili reazioni avverse Insufficienza renale acuta reversibile in pazienti con stenosi dell’arteria renale: in questi pazienti l’angiotensina II è fondamentale perché mantiene una certa pressione di perfusione del rene a seguito della riduzione del flusso. Se inibisco l’angiotensina provoco una grave riduzione dell’afflusso ematico renale e quindi una insufficienza renale (pre-renale) acuta. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 INIBITORI DEL RECETTORE DELL’ANGIOTENSINA (SARTANI) Si tratta di un gruppo di farmaci di cui il principale è il LOSARTAN e vengono impiegati per curare l’ipertensione e l’insufficienza cardiaca in certe situazioni. Meccanismo d’azione: essi vanno a bloccare selettivamente il recettore dell’angiotensina II di tipo 1 (AT1-R) causando un’inibizione più completa degli effetti dell’angiotensina rispetto agli ACE-I. Inoltre rispetto a questi hanno la capacità di lasciare integro il sistema di degradazione della bradichinina (perché l’ACE funziona) e di conseguenza si avranno anche minori effetti collaterali. Azioni: riduzione della pressione sanguigna per inibizione dell’angiotensina e di conseguenza riduzione del lavoro cardiaco con leggero incremento dell’eiezione sistolica. Usi terapeutici: 1. Ipertensione: sono ampiamente utilizzati per i pazienti ipertesi qualora questi non sopportino i sintomi collaterali degli ACE-I (tosse secca prolungata) e possiedono la stessa efficacia. 2. Insufficienza cardiaca congestizia: vengono utilizzati soltanto nei casi in cui i pazienti non sopportino gli ACE-I. Farmacocinetica: hanno una buona biodisponibilità orale e richiedono una sola somministrazione al giorno. Vengono metabolizzati dal fegato a metaboliti inattivi tranne il losartan che subisce un ampio metabolismo di primo passaggio e viene convertito in un metabolita attivo. L’eliminazione è attraverso le urine e le feci. Si legano tutti alle proteine plasmatiche. Tutti eccetto il candesartan hanno elevati volumi di distribuzione. Effetti avversi: sono più o meno tutti gli effetti collaterali presentati con gli ACE-I, generalmente la tosse secca, l’angioedema e le reazioni cutanee dovrebbero essere meno frequenti vista l’assenza dell’accumulo di bradichinina, tuttavia si manifestano in alcuni casi ma con minore entità. Sono assolutamente controindicati in gravidanza. INIBITORI DIRETTI DELLA RENINA Si tratta di una classe di farmaci il cui componente principale è l’ALISKIREN. Meccanismo d’azione: blocco del recettore della renina sull’enzima che converte l’angiotensinogeno in angiotensina e di conseguenza non si ha la conversione dell’enzima inattivo epatico nell’angiotensina I. Azione: diminuzione della pressione sanguigna Usi terapeutici: ipertensione, si è dimostrato che hanno un’efficacia terapeutica pari alle altre classi di antipertensivi compresi ACE-I e sartani. Visto che è la classe farmacologica più recente è anche quella meno conosciuta e pertanto non si conoscono bene effetti avversi e nemmeno gli effetti potenzialmente benefici sul cuore. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ALTRI FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELL’IPERTENSIONE FARMACI VARI 33. Farmaci antiadrenergici impiegati nel trattamento dell’ipertensione Esistono altri farmaci di minor impiego utilizzati per ridurre la pressione arteriosa e sono: Alfa-bloccanti Antiadrenergici centrali Vasodilatatori diretti Per quanto riguarda il sistema adrenergico esiste una serie di farmaci che tendono a ridurre o bloccare le azioni adrenergiche dirette verso il sistema cardiovascolare e che quindi diminuiscono la scarica simpatica verso il cuore e i vasi riducendo la pressione sanguigna e il lavoro cardiaco inteso sia come gittata che come frequenza. - Alfa bloccanti - Beta bloccanti ALFA BLOCCANTI Si tratta di una categoria di farmaci che comprendono inibitori selettivi o non selettivi dei recettori α adrenergici. - Prazosina - Fentolamina PRAZOSINA, DOXAZOSINA, TERAZOSINA Si tratta di α1 bloccanti selettivi che promuovono la vasodilatazione perché contrastano l’azione simpatica sui recettori della muscolatura liscia vasale che quando stimolati provocano vasocostrizione. Questi farmaci provocano effetti minimi o nulli sulla gittata cardiaca, sulla vascolarizzazione renale e sulla filtrazione glomerulare. Possono dare ipotensione ortostatica a causa della vasodilatazione periferica e in alcuni casi possono verificarsi anche tachicardia riflessa e sincope da prima dose. Gli impieghi terapeutici della prazosina sono riservati all’ipertensione lieve o moderata e di solito viene prescritto insieme ad un diuretico o al propranololo per esaltare gli effetti. Spesso si tende a dare insieme ad un β bloccante per frenare gli effetti tachicardici riflessi. È di prima scelta nell’anziano con ipertrofia prostatica perché migliora la minzione. FENTOLAMINA Inibitore α aspecifico che blocca sia gli alfa1 che gli alfa2. Viene utilizzato nell’ipertensione e determina in poco tempo una riduzione della pressione arteriosa con ipotensione posturale ed inversione degli effetti della adrenalina. Si verifica tachicardia riflessa e in alcuni casi aritmia e dolore anginoso a seguito del blocco degli alfa2 che normalmente hanno azioni opposte ai norlai adrenergici e quindi il loro blocco causa un aumento di liberazione di noradrenalina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIADRENERGICI CENTRALI CLONIDINA Farmaco agonista α2 centrale con azione prevalentemente anti-ipertensiva a causa del blocco della liberazione di noradrenalina dalle vescicole presinaptiche dei terminali nervosi. Questo farmaco viene utilizzato nella cura dell’ipertensione lieve o moderata nei casi in cui il paziente non abbia risposto precedentemente al trattamento con soli diuretici. Essa non agisce sulla filtrazione glomerulare e sulla vascolarizzazione renale e dunque è utile nel trattamento dei pazienti ipertesi con ridotta funzionalità renale. Ha una buona biodisponibilità orale. Visto che causa ritenzione di acqua e sodio si tende a somministrare insieme a un diuretico. Gli effetti avversi possono essere sedazione e secchezza della mucosa nasale, di solito si verifica ipertensione di rimbalzo se si sospende improvvisamente il farmaco. Pertanto per sospendere la terapia va fatta una riduzione lenta. Α-METILDOPA α agonista che viene convertito in metilnoradrenalina a livello centrale e di conseguenza riduce le scariche adrenergiche. Si ha un abbassamento delle RVP e della pressione sanguigna. Non sono interessate la vascolarizzazione renale e la filtrazione glomerulare e quindi molto utili nei pazienti ipertesi affetti da problemi renali. Effetti collaterali sono sedazione e sonnolenza. VASODILATATORI DIRETTI I vasodilatatori sono una categoria di farmaci scarsamente usata come prima linea nell’ipertensione in quanto non sono esenti da effetti collaterali anche gravi. Essi agiscono direttamente rilassando la muscolatura liscia delle arteriole e delle venule, facendo ciò abbassano le RVP e di conseguenza la pressione sanguigna. Il risultato singolo però non è positivo in quanto si verifica una potente tachicardia riflessa e aumento della gittata cardiaca che contrastano con la riduzione della pressione e possono esporre il paziente a crisi anginose, infarto miocardico o insufficienza cardiaca. IDRALAZINA È usata per trattare l’ipertensione medio-grave ma per gli effetti avversi sopra riportati viene somministrata insieme ad un β bloccante e ad un diuretico in modo da ridurre il sovraccarico cardiaco. La terapia singola con idralazina viene utilizzata per l’ipertensione delle donne in gravidanza. MINOXIDIL Causa una dilatazione delle arteriole ma non delle venule e pertanto provoca diminuzione della pressione arteriosa ma non riduce il pre-carico a differenza dell’idralazina. Viene impiegato nell’ipertensione grave refrattaria agli altri trattamenti. Causa una forte ritenzione di sodio e acqua che induce sovraccarico di volume, edema ed insufficienza cardiaca congestizia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 NITROPRUSSIATO SODICO Si tratta di una vasodilatatore diretto molto potente utilizzato nei casi di emergenze ipertensive (considerate come PAD 150 mmHg e PAS 210 mmHg per le persone sane e 130 mmHg di PAD in un soggetto con encefalopatia, emorragia cerebrale, insufficienza ventricolare sinistra o stenosi aortica). Svolge la sua azione riducendo drasticamente ed immediatamente le RVP e abbassando la pressione indipendentemente dalla causa. Provoca tachicardia riflessa. Non ha azioni fuori dal sistema vascolare e riduce la costrizione sia arteriosa che venosa (abbassando anche il precarico perché dilata i vasi di capacitanza che accumulano più sangue). È metabolizzato rapidamente e per mantenere l’azione serve un’infusione continua. Infatti il nitroprussiato è somministrato per infusione endovenosa. Ha pochi effetti collaterali a parte l’ipotensione ortostatica e la produzione di ioni cianuro durante il metabolismo, ma questo non è considerato un problema in quanto la tossicità è molto bassa e può essere tamponata con un’infusione di tiosolfato di sodio. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELL’IPERTENSIONE, NELL’ANGINA PECTORIS E NELLE ARITMIE CARDIACHE BETA-BLOCCANTI 34. Classificazione, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati dei beta-bloccanti I β-bloccanti sono una classe di farmaci ampiamente utilizzata in clinica in quanto possiedono diversi effetti terapeutici su vari distretti dell’organismo ed in particolare sul sistema cardiovascolare. Esistono dei β-bloccanti selettivi per un tipo di recettore ed altri non selettivi: - Βeta-bloccanti non selettivi - PROPRANOLOLO PINDOLOLO TIMOLOLO SOTALOLO CARVEDILOLO LABETALOLO ESMOLOLO Beta-bloccanti β1 specifici METOPROLOLO ATENOLOLO ACEBUTOLOLO BISOPROLOLO Meccanismo d’azione Questi farmaci hanno la proprietà di legarsi ai recettori beta-adrenergici ed innescare un blocco di essi fungendo da antagonisti oppure in alcuni casi posso fungere da agonisti parziali che si comportano in modo inverso all’agonista qualora esso sia presente, ma simulano la sua azione in sua assenza. In tal modo inibiscono o attenuano le trasmissioni simpatiche verso gli organi periferici dotati dei recettori beta e la loro azione essenziale è svolta sul cuore. Azioni Riduzione della pressione arteriosa: meccanismo indiretto che dà risultati solo dopo un certo periodo di tempo. Infatti i beta-bloccanti agiscono sul cuore riducendo la scarica dei beta1 e quindi hanno effetto negativo sulla contrattilità e sulla frequenza che quindi insieme provocano una riduzione netta della gittata cardiaca. Inoltre essi vanno ad inibire anche i recettori beta1 presenti sulle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare (cellule dell’arteriola afferente) che secernono renina, la quale viene Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 bloccata e di conseguenza viene fermata la cascata con riduzione della ritenzione idrosalina, riduzione della contrattilità vasale e abbassamento delle RVP, riduzione del volume sanguigno che va ad incidere nuovamente sulla gittata cardiaca che diminuisce e provoca un abbassamento pressorio. Tuttavia questo meccanismo non è efficiente da subito e paradossalmente all’inizio del trattamento di posso verificare anche fenomeni ipertensivi per il blocco dei recettori vasodilatatori beta2 (nel caso di farmaci non selettivi). Riduzione del lavoro cardiaco: viene abbassato il fabbisogno di ossigeno del miocardio in quanto si ha una riduzione delle risposte cronotrope ed inotrope allo sforzo, si ha inoltre un diminuito post-carico a seguito dell’abbassamento della pressione arteriosa. I farmaci agonisti parziali come il pindololo dovrebbero essere evitati. Aumento della performance cardiaca in corso di scompenso non grave: questo effetto che sembra paradosso vista la capacità del beta-bloccante di essere inotropo e cronotropo negativo si spiega per la riduzione della continua scarica simpatica conseguente ad uno stato di scompenso cardiaco Riduzione della pressione intraoculare: grazie ad una riduzione della secrezione di umore acqueo Effetto antiaritmico: alcuni beta-bloccanti vengono considerati antiaritmici perché diminuiscono la depolarizzazione in fase 4 e in tal modo deprimono l’automaticit{, prolungano la conduzione AV e riducono la frequenza e la contrattilità cardiache. Usi terapeutici 1. Ipertensione: i farmaci ad oggi più utilizzati per trattare l’ipertensione sono l’atenololo e il metoprololo grazie alla loro azione selettiva sui recettori beta1 e quindi direttamente sul cuore risparmiando l’apparato respiratorio che possiede i beta2 e porterebbe a broncospasmo (che si verifica con i beta-bloccanti non selettivi). I beta-bloccanti sono più efficaci nel trattare l’ipertensione nei soggetti bianchi e giovani e in più sono molto utili nei pazienti ipertesi con aggravanti come tachiaritmie, pregresso IMA, angina, insufficienza cardiaca cronica ed emicrania. 2. Angina pectoris: grazie alla loro azione cronotropa e inotropa negativa riducono il fabbisogno miocardico di ossigeno e di conseguenza riducono le crisi anginose da insufficiente ossigenazione. Il prototipo di farmaco per questo utilizzo è il propranololo anche se oggi si preferiscono beta-bloccanti cardio selettivi come l’atenololo, il metoprololo, l’acebutololo e il nadololo. Bisogna però tenere presente che tutti i betabloccanti ad alte dosi sono non cardioselettivi e possibili cause di effetti collaterali. Si possono associare ai nitroderivati per favorire l’effetto ma bisogna fare attenzione al Verapamil che blocca la conduzione AV e si può andare incontro ad arresto. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 3. Aritmie cardiache: i principali farmaci usati per le aritmie sono il propranololo, l’esmololo e il metoprololo. Fanno parte degli antiaritmici di classe 2. Tra quelli di classe 3 c’è un altro beta-bloccante che è il sotalolo. 4. Profilassi dell’emicrania 5. Trattamento del tremore essenziale 6. Controllo dell’ansiet{ e della tachicardia su base ansiosa 7. Coadiuvante nella terapia della tireotossicosi 8. Trattamento della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva 9. Trattamento del feocromocitoma 10. Trattamento dell’infarto miocardico sospetto o conclamato: si utilizzano solo i cardiospecifici 11. Profilassi dell’insufficienza coronarica per ridurre il rischio di reinfarto e della morte cardiaca, inclusa la morte improvvisa, per coloro che sono sopravvissuti ad una attacco di IMA. 12. Insufficienza cardiaca: principali usati nell’insufficienza cardiaca sono il metoprololo e il carvedilolo. Vengono indicati nel trattamento di qualsiasi cardiopatia eccetto quelli ad alto rischio ma senza sintomi e quelli con insufficienza cardiaca acuta. In più trattamento dello scompenso cardiaco cronico stabile da moderato a grave in aggiunta alle terapie standard nei pazienti anziani di età superiore ai 70 anni. 13. Glaucoma: viene utilizzato principalmente il timololo Farmacocinetica I beta-bloccanti sono attivi per via orale. Il propranololo è soggetto a esteso e variabile metabolismo di primo passaggio. Eventi avversi: Broncospasmo: per i farmaci non selettivi (propranololo), azione beta2 Vasocostrizione periferica: inizialmente per i non selettivi, azione beta2 Aumento della ritenzione di sodio Bradicardia: i farmaci con ISA (agonisti parziali) danno meno effetti bradicardizzanti Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Ipotensione Stanchezza / Insonnia / Letargia / Allucinazioni (effetti sul SNC). I farmaci più idrosolubili come atenololo e nadololo danno meno effetti avversi a livello centrale perché non attraversano facilmente la barriera EE. Disfunzione sessuale Precauzioni / Controindicazioni: Scompenso cardiaco grave senza sintomi o acuto (in quanto influenzano comunque in negativo la cinetica cardiaca) Diabete: in quanto il beta bloccante riduce la tolleranza del sistema al glucosio Angina di Prinzmetal: tali farmaci sono efficaci in tutti i tipi di angina tranne in questo in quanto i beta-bloccanti non possiedono un’azione vasodilatante e potrebbero peggiorare il quadro visto che quest’angina è derivata da vasospasmo Bradicardia o blocco atrio-ventricolare Asma bronchiale o BPCO Impotenza Sindrome da sospensione: bisogna fare attenzione perché in alcuni casi alla sospensione si possono avere fenomeni di tachicardia e ipertensione e talvolta anche aritmie probabilmente per una aumentata sensibilizzazionedei beta-recettori rimasti bloccati per lungo tempo. Necessaria una sospensione graduale. In particolare se sono stati usati beta-bloccanti non dotati di ISA (attività agonistica parziale). Il propranololo esiste in 2 forme differenti di stereoisomeri: L ed R. Una forma è dotata di attività beta-bloccante mentre l’altra ne è sprovvista. Dal punto di vista chimico sono identici tranne che per le proprietà ottiche. Ciò significa che anche una lievissima differenza può far variare la farmacodinamica (legame ed interazione col recettore) variando anche drasticamente l’effetto terapeutico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 35. Approccio al trattamento dell’ipertensione e criteri di scelta dei farmaci antiipertensivi anche in base a malattie concomitanti Schema dei principali trattamenti dell’ipertensione e loro meccanismi Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Il trattamento dell’ipertensione ha lo scopo di ridurre la pressione sanguigna a valori ottimali o normali ed è fondamentale curare anche gli stati di pre-ipertensione a causa dei possibili eventi successivi a livello cardiaco e renale conseguenti ad uno stato pressorio costantemente elevato. Il danno principale ha luogo nella parete dei vasi che causa problemi vascolari e in seguito si hanno problemi di sovraccarico ematico a carico della pompa che è continuamente sottoposta ad uno sforzo e al rene che si trova costantemente a filtrare sangue ad una pressione elevata che con il tempo può portare a danni glomerulari. È necessario prima di iniziare il trattamento antipertensivo valutare accuratamente la situazione clinica del paziente e soprattutto la presenza di patologie concomitanti. In un secondo momento si pianifica il trattamento con un singolo farmaco, o più spesso con un approccio multifarmaco che si è visto estremamente efficace nel curare l’ipertensione. In quest’ultimo passaggio è vantaggioso prendere in considerazione le associazioni farmacologiche che abbiano insieme meno effetti collaterali e che portino ad un aggiustamento migliore della pressione, in generale si ritiene che l’abbinamento ottimale sia tra farmaci che hanno meccanismi d’azione complementari. Trattamento ipertensivo nel corso di malattie concomitanti Pazienti con angina pectoris ad alto rischio andrebbero trattati subito con beta-bloccanti visto che questi riducono il sovraccarico cardiaco ed il lavoro; in alternativa ad essi possono essere utili anche i calcioantagonisti che provocano una vasodilatazione ed un rilassamento miocardico. Questi due farmaci trovano impiego nell’angina anche indipendentemente dall’ipertensione. Altri farmaci utilizzabili sono i diuretici e gli ACE-inibitori. Da evitare l’associazione diuretico + calcio antagonista in quanto si ha un’eccessiva vasodilatazione che può portare perfino a cardiopatia ischemica per iperattivazione del simpatico. Anche l’associazione betabloccante e calcio antagonista non diidropiridinico non è consigliata in quanto hanno entrambi effetto inotropo e cronotropo negativo. Pazienti con diabete vengono trattati preferibilmente non con beta-bloccanti in quanto questi riducono ulteriormente la tolleranza glucidica, ma si utilizzano ACE-I e Sartani oltre ai diuretici. Non è mai opportuno associare i sartani con gli ACE-I in quanto esaltano l’iperkaliemia. Pazienti con infarto ricorrente vengono trattati preferenzialmente con ACE-I e talvolta diuretici. Nei pazienti con insufficienza cardiaca trovano impiego tutti i farmaci antipertensivi come ACE-I, diuretici, beta-bloccanti e sartani, mentre non possono essere usati i calcio Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 antagonisti in quanto deprimerebbero ancora di più la già scarsa performance cardiaca. A seguito di un precedenre infarto miocardico la cura ottimale contro l’ipertensione sono i beta-bloccanti e gli ACE-I. Nella nefropatia cronica invece sono consigliati gli ACE-I e i sartani visto che mantengono la perfusione renale adeguata mentre i beta-bloccanti tendono a ridurla e i diuretici sfruttano un nefrone che è in cattive condizioni. Approccio standard per i pazienti ipertesi senza altre patologie che possono interferire NICE 2004 NICE 2006 Note alla linea guida NICE 2006 I° DIURETICO > 50 anni e/o razza nera: 1. mai betabloccanti come Diuretico o Calcioantagonista prima scelta 2. Sartani ai pazienti che non < 50 anni: ACEinibitore (se tollerano ACEI non tollerato: Sartano). 3. Introdotti i nuovi criteri II° Aggiungere BB Aggiungere ACEinibitore (se “razza” e “et{” (ACEI in casi non tollerato: Sartano) al 4. I betabloccanti sono ancora selezionati ossia se Diuretico o al consigliati in ristrette predisposizione al Calcioantagonista. categorie di pazienti di DM). Aggiungere Diuretico o giovane età: donne in vista di Calcioantagonista concepimento; soggetti all’ACEinibitore (o al Sartano). chiaramente simpaticotonici; III° Aggiungere CAA Diuretico + Calcioantagonista pazienti in cui ACEi o ARBs + ACEinibitore (o Sartano). siano controindicati o poco tollerati IV° Se non già usato, Aggiungere Alfaboccanti o aggiungere ACEI o betabloccanti BB o farmaco d’altra classe. Principali classi di farmaci e loro impieghi terapeutici preferenziali Classe di farmaci Indicazioni Controindicazioni ACE-I Nefropatia diabetica Gravidanza tipo I Stenosi bilaterale arteria Nefropatia non renale diabetica Iperkalemia Disfunzione ventr sx Sartani Nefropatia diabetica Gravidanza tipo II Stenosi bilaterale arteria Ipertrofia ventr sx renale Insuff cardiaca con Iperkalemia intolleranza a ACE-I Calcio antagonisti Anziani con Insufficienza cardiaca diidropiridinici ipertensione sistolica congestizia isolata Pz di razza nera Diuretici Anziani con Gotta ipertensione sistolica isolata Pz di razza nera β-bloccanti Post-infarto Blocco di alto grado Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Precauzioni Post-infarto Insufficienza Bradicardia severa (<50/min) BPCO Raynaud α-bloccanti IPB Incontinenza urinaria α-agonisti centrali Gravidanza (αmetildopa) Incontinenza urinaria α-agonisti periferici Quando gli altri farmaci non possono essere utilizzati cardiaca Malattia vascolare periferica Diabete Insufficienza cardiaca congestizia Sd da astinenza clonidina Epatotossicità Depressione Ulcera peptica attiva La scelta tra i diversi ipertensivi si effettua sulla base di alcuni criteri: 1. La precedente esposizione ad un certo farmaco per il paziente o meno, in caso di pregressa esposizione si considera il farmaco che è stato più efficace. 2. Tenere conto degli effetti dei farmaci sui fattori di rischio cardiovascolari in relazione al profilo di rischio cardiovascolare del paziente. 3. La presenza di un danno d’organo subclinico, patologie cardiovascolari, renali o diabete che possono essere trattati meglio con un farmaco rispetto ad un altro. 4. Presenza di particolari disordini che possono limitare l’uso di una certa categoria 5. Possibilità di interazione con farmaci di classi diverse 6. Costo del farmaco Associazione di antipertensivi L’associazione di tiazidici e ACE-I è ottimale; infatti si compensa l’effetto sulla kalemia. Gli ACE-I possono essere associati anche con i calcio-antagonisti. Altra associazione importante è quello tra calcio-antagonisti e β-bloccanti (del tipo nifedipina e amlodipina) che hanno effetti tachicardizzanti. Rischio iperkaliemia - ACE-inibitori Importante non associarli - Sartani - Inibitori renina - Risparmiatori di potassio Scheda tecnica ACE-INIBITORI Controllare in particolare: - Il rischio d’iperkaliemia in caso di associazione con diuretici risparmiatori di potassio. Queste associazioni sono sconsigliate, a meno che non si impieghino basse dosi per trattare un’insufficienza cardiaca; Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Il rischio d’insufficienza renale in caso di associazione con un diuretico ipokaliemizzante o un FANS (compresi i coxib). Queste associazioni richiedono delle precauzioni d’uso col mantenimento, in particolare, di una buona idratazione con controllo della funzionalità renale. Se l’associazione ACE-inibitore + risparmiatore di potassio è giudicata necessaria in un paziente geriatrico, la posologia dello spironolattone deve essere bassa: • 12.5 mg/die senza superare i 25 mg/die, sotto stretto monitoraggio della funzionalità renale e della kaliemia • Lo spironolattone non deve per altro essere prescritto se la clearance della creatinina è <30 ml/min o se la kaliemia è > 5 mmol/l Scheda tecnica aliskiren Potassio sierico: nei pazienti con ipertensione essenziale trattati con aliskiren da solo gli aumenti del potassio sierico sono stati trascurabili e poco frequenti (0,9% rispetto a 0,6% con placebo). Tuttavia, in uno studio in cui aliskiren è stato usato in associazione con un ACEI in una popolazione diabetica, gli aumenti del potassio sierico sono risultati più frequenti (5,5%). Come con qualsiasi sostanza che agisce sul sistema renina-angiotensina, nei pazienti con diabete mellito, nefropatia o insufficienza cardiaca è pertanto indicato il controllo routinario degli elettroliti e della funzionalità renale. In caso che un ACE-inibitore non porti a una riduzione significativa della pressione non è ragionevole aumentare il dosaggio in quanto questi farmaci hanno curva dose-risposta piatta (all’aumento della dose aumenta la durata d’azione, ma non l’ efficacia ipotensiva). Farmaco senza curva dose-risposta in termini di efficacia ipotensiva. Con l’ incremento della dose aumenta solo la durata d’ azione. Farmaco senza curva dose-risposta in termini di efficacia ipotensiva. Con l’ incremento della dose aumenta solo la durata d’azione. I farmaci descritti come “FARMACO A” (ad es. enalapril) sono caratterizzati da una curva doserisposta piatta; infatti l’ aumento della dose (da 5 a 20 mg) non determina un aumento della riduzione della pressione arteriosa, ma solo una miglior copertura delle 24 ore: pertanto i farmaci con queste caratteristiche devono essere somministrati a dosaggio pieno. Al contrario, i farmaci descritti come “FARMACO B” (ad es. diuretici) hanno una emivita sufficientemente lunga per coprire le 24 ore (sia per caratteristiche farmacocinetiche che per l’ utilizzo di sistemi di “slow release”) anche alle basse dosi e pertanto possono essere somministrati a diverso dosaggio; aumentare la dose è possibile ma così aumenta anche il rischio di effetti collaterali. Gli ACE-I hanno una curva dose-risposta piatta in ambiente terapeutico; non si mai oltre i 20 mg. Tipico esempio di errore medico è quello dell’ utilizzo di un ACE-inibitore a bassa dose; i bassi dosaggi infatti sono stati introdotti in terapia per la terapia dello scompenso cardiaco, dove, in Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 considerazione della bassa pressione arteriosa del paziente, è necessario testare una piccola dose proprio perché predittiva della dose piena, ma con scarsa durata d’azione in caso di eccessiva ipotensione. Anche in questi pazienti, una volta dimostrata la tollerabilità del farmaco con la bassa dose, è necessario aumentare il dosaggio del farmaco ACE-inibitore. Se tale ACE-I porta a riduzione della P.A. ma non raggiunge i valori normali: è dunque ragionevole associare un altro farmaco antiipertensivo per raggiungere un controllo ottimale della P.A. Le associazioni più razionali sono con il diuretico e con i calcio-antagonisti. L’ ACE-inibitore ha infatti dimostrato di avere un effetto additivo sulla pressione arteriosa con il diuretico e con i calcio-antagonisti sia diidropiridinici che non diidropiridinici. Meccanismi d’ azione dei farmaci antipertensivi I diuretici determinano un aumento del SRA determinando una deplezione di volume mentre i calcio-antagonisti e gli α-antagonisti sono vasodilatatori. Gli ACE-I, sartani e β-bloccanti riducono l’attivit{ del SRA. Si associano un farmaco di una classe che aumenta e uno di una classe che diminuisce il SRA. I vasodilatatori aumentano il SNS (vasodilatazione chiama tachicardia). Gli ACE-I, sartani, β-bloccanti e simpaticomodulatori riducono l’attivit{ del SNS. Anche in questo l’associazione è tra farmaci con effetto opposto. Alcune associazioni non sono corrette. Un tipico esempio è l’ associazione di un beta-bloccante con un ACE-inibitore o un AT1antagonista, utile nel paziente con insufficienza cardiaca, ma assolutamente non efficace per migliorare il controllo della pressione arteriosa. Un'altra associazione inutile è quella tra un calcio-antagonista e il diuretico; i calcioantagonisti hanno un effetto natriuretico e pertanto non è logico associarli ai diuretici. E’ ovvio che quando è richiesta la triplice o quadruplice terapia antiipertensiva è possibile utilizzare insieme questi farmaci in quanto il singolo componente va ad interagire con gli altri componenti dell’ associazione. Un’ associazione pericolosa è quella tra un α1-antagonista e la clonidina in quanto il loro effetto si annulla reciprocamente e pertanto la pressione arteriosa può persino riaumentare. Non devono essere mai associati i beta-bloccanti con la clonidina: infatti l’ aumento parossistico dei valori pressori che si osserva 18-36 ore dalla sospensione della clonidina può essere peggiorato dalla simultanea somministrazione di un beta-bloccante. Inoltre i beta-bloccanti non devono essere associati ai calcio-antagonisti non diidropiridinici in quanto questi farmaci sommerebbero i rispettivi effetti cronotropi, dromotropi e inotropi negativi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 In caso di associazione, per paura di eccessiva ipotensione, è utile ridurre la dose dell’ACEinibitore? Se si riduce la dose di un ACE-inibitore, si riduce la sua durata d’ azione, ma non l’ efficacia antiipertensiva al tempo di picco. Nel caso descritto, è quindi ragionevole tornare alla monoterapia, in quanto probabilmente l’ associazione era una misura terapeutica eccessiva. Se il paziente fosse stato in terapia con un Ca-antagonista (amlodipina 10 mg) che avesse ridotto, ma non normalizzato, la pressione arteriosa (da 165-105 mmHg a 150-95 mmHg) e avesse indotto la comparsa di edema premalleolare (evidente, ma non eccessivo), come vi sareste comportati? Avrei associato un ACE-inibitore o un sartano Alcune associazioni, oltre ad avere un effetto di potenziamento sulla riduzione della pressione arteriosa, possono avere anche un effetto favorevole sull’incidenza e/o gravit{ degli effetti collaterali. Associazione di Farmaci Antiipertensivi Potenzialmente Pericolosa - -bloccante + clonidina - -bloccante + Ca-antagonista non diidropiridinico Emergenze ipertensive L’emergenza ipertensiva è una situazione rara in cui la PAD è di oltre 150 mmHg (con la PAS di oltre 210 mmHg) in un soggetto altrimenti sano o di 130 mmHg in un soggetto con persistenti complicanze come encefalopatia, emorragia cerebrale, insufficienza ventricolare sx o stenosi aortica. L’obiettivo terapeutico è ridurre rapidamente la P sanguigna. a) Nitroprussiato di sodio La somministrazione e.v. di nitro prussiato causa una pronta vasodilatazione con tachicardia riflessa determinando una ↓ della P in tutti i pz. Ha scarsi effetti al di fuori delsanguigna sistema vascolare, agendo in egual misura sulla muscolatura liscia arteriosa e venosa (↓ il precarico). E’ metabolizzato rapidamente (t1/2 di minuti) e per mantenere l’azione ipotensiva è necessaria l’infusione continua; ha pochi effetti indesiderati a parte l’ipotensione da sovradosaggio. Il metabolismo del nitro prussiato dà luogo a produzione di ioni cianuro, ma la tossicità da cianuro è rara e può essere trattata con infusione di tisolfato di sodio, per formare tiocianato, che è meno tossico e eliminato dal rene (però il nitro prussiato è tossico se somministrato per via orale, perché è idrolizzato a cianuro). b)Labetalolo E’ un bloccante sia α che β e si somministra come bolo endovenoso o in infusione nelle emergenze ipertensive. Non causa tachicardia riflessa e comporta le controindicazioni di un β-bloccante non selettivo. La limitazione maggiore è la sua lunga emivita, che preclude un rapido aggiustamento del dosaggio. c) Fenoldopam E’ un agonista periferico del recettore della dopamina-1 che si somministra per via endovenosa. Mantiene o aumenta, al contrario di altri farmaci antiipertensivi parenterali, la perfusione renale, mentre abbassa la P sanguigna. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Può essere usato con sicurezza in tutte le emergenze ipertensive, soprattutto nei pz con insufficienza renale. E’ controindicato nei pz con glaucoma. d) Nicardipina E’ un bloccante dei canali del calcio che può essere somministrato per via endovenosa. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 36. Il ruolo dei beta-bloccanti nel trattamento dell’insufficienza cardiaca In passato si riteneva che in un paziente con insufficienza cardiaca fosse improponibile iniziare un trattamento con beta-bloccanti sulla base della proprietà cronotropa e inotropa negativa di questi ultimi. Infatti nel paziente con una performance cardiaca bassa sarebbe abbastanza paradossale somministrare farmaci che riducano ulteriormente la cinetica del cuore. Tuttavia diversi studi hanno dimostrato che non solo i beta-bloccanti sono utili nel trattamento dello scompenso migliorando i sintomi, ma permettono anche un netto prolungamento di vita e riduzione della mortalità per cause cardiache. Sono stati approvati principalmente 2 farmaci: METOPROLOLO: farmaco beta-bloccante selettivo per i β1 CARVEDILOLO: farmaco beta-bloccante non selettivo Essi migliorano i sintomi, la tolleranza allo sforzo fisico e la performance ventricolare. Il meccanismo con cui tali farmaci possano eseguire tali effetti è ancora abbastanza sconosciuto ma si pensa sia implicato il blocco o la riduzione dell’attivit{ simpatica centrale diretta verso il cuore che è responsabile di un maggior dispendio energetico e di conseguenza di un aumentato rischio di insufficienza coronarica. Questi farmaci sono raccomandati nei pazienti che presentano una FE < 35% in associazione con ACE-I, diuretici, sartani, ecc… Uno studio di metanalisi ha permesso di valutare attentamente il progressivo beneficio dei beta-bloccanti su pazienti in insufficienza cardiaca valutando la frazione d’eiezione del ventricolo sinistro. Sono stati presi 2 gruppi uno dei quali è stato trattato con beta-bloccanti (metoprololo) e l’altro con terapia standard. Si è visto che nei primi momenti la LVEF si riduceva e nel primo giorno subiva un deciso crollo rispetto ai pazienti trattati con terapia standard, in un secondo momento a distanza di mesi la performance cominciava a salire fino ad arrivare ai 3 mesi in cui la LVEF arrivava quasi a raddoppiare rispetto al gruppo trattato con terapia standard. Un successivo studio clinico caso-controllo prevedeva un gruppo trattato con dosi crescenti di placebo ed un altro con dosi crescenti di carvedilolo. Il risultato è stato che gli aumenti di dose del placebo non davano risultati positivi sulla performance cardiaca, mentre dosi crescenti di carvedilolo davano un netto miglioramento dello stato cardiaco. Esiste infatti un effetto dose dipendente del carvedilolo sulla LVEF. Tuttavia l’utilizzo di beta-bloccanti in questi casi deve essere ben regolato e pianificato considerando anche in dettaglio le condizioni del paziente. I criteri per l’utilizzo appropriato dei beta-bloccanti sono: 1. Il trattamento va iniziato a dosaggio estremamente basso, circa meno di un decimo del dosaggio di mantenimento, questo perché negli studi si è visto che inizialmente il farmaco provoca una riduzione della LVEF sfavorevole. 2. L’aumento del dosaggio deve essere operato molto lentamente e nel corso di diverse settimane. Se il raggiungimento del dosaggio pieno avviene troppo in fretta si possono verificare peggioramenti dell’insufficienza con aumento degli edemi. Tuttavia anche un aumento lento delle dosi può portare a ritenzione idrica, il che è un’indicazione alla revisione del trattamento diuretico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 3. I pazienti con livello funzionale classe IIIB e IV della NYHA vanno trattati con particolare cautela. 4. Data la scarsa esperienza dell’utilizzo di tali farmaci nello scompenso cardiaco di diagnosi recente è preferibile iniziare il trattamento una volta che la situazione emodinamica e cardiaca si siano stabilizzate per un certo periodo di tempo. NYHA Classification 1. Class I: Symptoms with more than ordinary activity 2. Class II: Symptoms with ordinary activity 3. Class III: Symptoms with minimal activity 1. Class IIIa: No Dyspnea at rest 2. Class IIIb: Recent Dyspnea at rest 4. Class IV: Symptoms at rest Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELL’IPERTENSIONE E NELL’ANGINA PECTORIS BLOCCANTI DEI CANALI DEL CALCIO 37. Classificazione, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati dei bloccanti dei canali del calcio I bloccanti dei canali del calcio sono una classe farmaceutica molto utilizzata per curare l’ipertensione e l’angina. Nell’ipertensione rivestono un ruolo di prima linea quando gli altri farmaci di prima linea sono generalmente controindicati, mentre per l’angina rivestono un ruolo importante a meno che non si sovrapponga un’insufficienza cardiaca grave. I calcio antagonisti si possono suddividere in 3 classi: 1. Difenilalchilamine: il VERAPAMIL è l’unico farmaco della categoria. È il meno selettivo di tutti i calcio antagonisti e presenta un’affinit{ sia per i canali sulla muscolatura liscia vasale, sia sul miocardio. È usato per il trattamento dell’angina, delle tachiaritmie sopraventricolari e della cefalea di tipo emicranico. 2. Benzotiazepine: il DILTIAZEM è l’unico membro della categoria, anch’esso svolge un’azione sia sui canali cardiaci che vascolari, ma ha un’azione molto meno intensa sul cuore e più intensa sui vasi rispetto al verapamil. È quello con cui si verificano con minor frequenza gli effetti collaterali. 3. Diidropiridine: questa classe comprende farmaci di prima generazione come la NIFEDIPINA e altri più nuovi di seconda generazione come l’AMLODIPINA, la FELODIPINA, la NICARDIPINA, la NISOLDIPINA e l’ISRADIPINA. Questi farmaci sono selettivi per i canali del calcio presenti sulla muscolatura liscia vascolare e pertanto hanno un ruolo importante nel trattamento dell’ipertensione. Meccanismo d’azione I calcio antagonisti bloccano la corrente di calcio in ingresso nelle cellule miocardiche e vascolari liscie mediante il blocco dei canali del calcio di tipo L in configurazione aperta. I canali del calcio sensibili a tali farmaci sono quelli dipendenti dal voltaggio e quindi contrastano la capacit{ contrattile del muscolo cardiaco e liscio. Hanno un’efficacia maggiore se somministrati in pazienti tachicardici con canali del calcio aperti per maggior tempo, visto che il farmaco agisce prevalentemente sui canali aperti. Azioni: Riduzione della pressione arteriosa: questo effetto viene eseguito da tutti i calcio antagonisti e principalmente dalle diidropiridine. Il meccanismo sopracitato è responsabile della dilatazione dei vasi di resistenza (arteriole) e di una diminuzione della RVP con conseguente abbassamento della pressione arteriosa. I farmaci diidropiridinici però come la nifedipina e l’amlodipina avendo solo un effetto sui vasi provocano una tachicardia diretta che può non essere indicata in pazienti con infarto miocardico o ischemia a causa del cosiddetto “furto coronarico”. Questo fenomeno si Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 verifica nel momento in cui si ha una vasodilatazione periferica eccessiva e come conseguenza si hanno: o Ipotensione che si ripercuote anche sul circolo coronarico potendo diminuire l’apporto di ossigeno o Ripartizione del flusso coronarico verso le coronarie indenni visto che i vasi colpiti da ischemia non rispondono ai calcio antagonisti o Aumento del fabbisogno di ossigeno per tachicardia riflessa Questi 3 meccanismi sono responsabili di un peggioramento dell’ischemia miocardica e per tale motivo si tende a non dare diidropiridinici in pazienti con ischemia o infarto recente. Riduzione della contrattilità cardiaca: effetto prevalentemente a carico del verapamil e del diltiazem con prevalenza del verapamil. Questo farmaco ha una spiccata affinità nei confronti dei canali del calcio presenti sul miocardio ed è responsabile di una ridotta contrattilità a seguito dello stimolo depolarizzante. È utile nei pazienti con angina per ridurre il fabbisogno di ossigeno, ma è potenzialmente pericoloso nei pazienti con insufficienza cardiaca grave. Controindicata l’associazione con beta-bloccanti che peggiorano la cinetica cardiaca. Riduzione della conduzione atrio-ventricolare: questi farmaci vengono utilizzati anche nelle aritmie soprattutto sopraventricolari in quanto rallentano il passaggio dell’informazione dal nodo SA al nodo AV attraverso un’inibizione dei canali del calcio. I farmaci con questa azione sono il verapamil e il diltiazem. Riducendo l’automatismo cardiaco inducono bradicardia utile nei pazienti con angina (inoltre avendo anche un’azione inotropa negativa aumentano la riduzione del fabbisogno d’ossigeno). Effetto natriuretico: questi farmaci non necessitano dell’uso di un diuretico in pazienti ipertesi. Usi terapeutici 1. Ipertensione: possono essere usati tutti i calcio antagonisti, anche se si preferiscono in pazienti altrimenti sani le diidropiridine grazie alla loro efficacia selettiva sui vasi. Questi composti sono molto utili nel trattamento dei pazienti ipertesi con asma, diabete, angina e/o vasculopatie periferiche. 2. Angina: ruolo importante del verapamil e del diltiazem grazie alla loro funzione inotropa e cronotropa negativa riducendo il fabbisogno di ossigeno. Meno indicate la nifedipina e la nicardipina a causa del furto coronarico, in ogni caso vanno usate con molta attenzione. L’amlodipina non sembra avere effetti negativi sul cuore e pertanto viene utilizzata senza problemi. 3. Angina variante di Prinzmetal: indicazione terapeutica ampiamente approvata ed utile in quanto i calcio antagonisti riducono lo spasmo coronarico soprattutto il diltiazem e sono ottimi per curare l’angina derivata appunto da uno spasmo coronarico. 4. Tachiaritmie sopraventricolari: viene sfruttata l’azione inibente del verapamil e del diltiazem sull’automatismo del nodo SA e sulla conduzione verso il nodo AV. 5. Insufficienza cardiaca congestizia: uso controverso e non del tutto raccomandato soprattutto per le diidropiridine (responsabili del furto coronarico tranne l’amlodipina) ma anche per il verapamil e diltiazem che abbassano decisamente la Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 performance cardiaca ed in un paziente in cui essa è già soppressa possono essere pericolosi. Assolutamente controindicati nell’ICC grave. 6. Emergenze ipertensive: viene usata la nicardipina Farmacocinetica Sono tutti farmaci assorbiti bene per via orale a parte il verapamil che ha una bassa biodisponibilità orale e pertanto servono dosaggi più elevati. Si tratta di composti che hanno mediamente un’emivita breve (3-8 ore) e pertanto per mantenere una concentrazione adeguata servono più somministrazioni giornaliere (fino a 3), tuttavia oggi con le formulazioni a cessione protratta è possibile ridurre l’intervallo a una volta al giorno. La nifedipina e la nicardipina hanno una durata d’azione più breve rispetto all’amlodipina e alla felodipina. Tutte e 3 le classi vengono metabolizzate dal fegato ed in particolare dal CYP3A4 che viene inibito dal succo di pompelmo e viene esaltato da barbiturici o eritromicina. Il verapamil subisce un’esteso metabolismo epatico e pertanto in casi di cirrosi epatica deve essere aggiustata la dose per evitare una maggiore incidenza di effetti collaterali. I calcio antagonisti sono tutti influenzati dal pasto e il loro effetto in genere compare entro un’ora a parte l’amlodipina e la felodipina che sono assorbite più lentamente ma hanno anche una durata d’azione più lunga. Vengono tutti escreti maggiormente per via urinaria tranne il diltiazem che è eliminato principalmente per via fecale. Effetti avversi Vasodilatazione eccessiva (vertigini, ipotensione, flushing, nausea) Edemi periferici (a causa dell’incremento di vasodilatazione anche venosa) Stipsi: effetto collaterale principale del verapamil (si presenta nel 10% dei soggetti) Tra tutti quello con minor incidenza di effetti avversi è il diltiazem. Il verapamil deve essere evitato nei casi di insufficienza cardiaca per il suo effetto inotropo negativo. In questa situazione vanno usati con estrema cura anche gli altri calcio antagonisti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ALTRI FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELL’ANGINA PECTORIS ANTIANGINOSI NITRODERIVATI 38. Nitrati organici: meccanismo d’azione, impieghi terapeutici, vie di somministrazione ed effetti indesiderati I nitrati organici sono una categoria di farmaci che vengono usati essenzialmente nel trattamento dell’angina pectoris. L’angina pectoris è un dolore intenso ed urente al torace che si irradia al collo, alla mandibola, al braccio e al dorso e deriva da un’ischemia miocardica e quindi un insufficiente apporto di ossigeno al miocardio. Lo squilibrio deriva dal fatto che il miocardio in quel momento ha bisogno di una quantità di ossigeno che il flusso coronarico non è capace di garantire, e ciò scatena l’attivazione delle fibre nervose dolorifiche. Questo squilibrio può derivare da attività fisica, vasospasmo o ostruzione dei vasi derivata da placca aterosclerotica. Esistono 3 tipi di angina: Angina stabile: fenomeni di dolore toracico frequenti ed esacerbati dallo sforzo fisico o emotivo, assente a riposo o a seguito di nitroglicerina. Deriva da ateromasia coronarica. Angina instabile: fenomeno a cavallo tra angina stabile ed infarto miocardico. Avviene in tempi sempre più ravvicinati, dura più tempo e non sparisce col riposo o con la nitroglicerina. Spesso compare a riposo. Angina variante di Prinzmetal: dolore toracico a seguito dello spasmo della muscolatura liscia coronarica che compromette il flusso ematico al miocardio. Non è detto che l’arteria in questione sia ateromasica. Viene trattata adeguatamente con nitroderivati e calcio antagonisti. Le basi della terapia antianginosa sono: - Farmaci che riducono il fabbisogno di ossigeno: vasodilatatori, inotropi e cronotropi negativi (beta-bloccanti e calcio antagonisti) - Farmaci che aumentano il flusso ematico coronarico: vasodilatatori coronarici (nitrati). I Nitrati organici sono farmaci che derivano dall’acido nitroso o dall’acido nitrico e sono sotto forma di semplici esteri o alcoli. I principali usati per l’angina sono 3: 1. NITROGLICERINA 2. ISOSORBIDE DINITRATO 3. ISOSORBIDE MONONITRATO Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Meccanismo d’azione I nitrati o nitriti svolgono la loro azione a seguito della loro conversione intracellulare in NO, il quale provoca l’attivazione della guanilato ciclasi che produce cGMP il quale induce la defosforilazione della catena leggera della miosina provocando il rilassamento delle fibre muscolari lisce. Azioni Vasodilatatori coronarici: riducono le resistenze delle arterie coronarie e quindi sono utili nel trattamento dell’angina variante e delle altre forme di angina. Venodilatatori: azione prevalente sul sistema venoso che provoca un ristagno maggiore di sangue nei vasi di capacitanza riducendo il precarico. È evidente che questo effetto può ripercuotersi negativamente sul cuore quando c’è un sovradosaggio. Ridistribuzione del flusso ematico: viene privilegiato l’afflusso verso le zone provviste di vasi stenotici e si ha una miglioramento della perfusione. Vasodilatazione periferica: in piccola parte e soprattutto a dosaggi elevati si verifica una riduzione delle resistenze arteriolari periferiche che possono portare a ipotensione. Usi terapeutici: 1. Angina: utilizzati in tutte e 3 le forme di angina ma con particolari attenzioni alle formulazioni farmaceutiche che differiscono per l’inizio dell’azione e per la durata dell’azione e questo in casi di angina può rivelarsi fondamentale. Preparazioni terapeutiche e farmacocinetica Nitroglicerina: o Compresse sublinguali o spray: inizio dell’azione in 2 minuti e durata d’azione per 25 minuti circa. È fondamentale per trattare le emergenze e gli attacchi acuti, non si usa nella terapia di mantenimento. o Orale, a rilascio prolungato: 35 minuti per iniziare l’azione e durata di 4-8 ore. Scarsamente usata. o Transdermica: utilizzo di cerotti che vanno applicati in determinate zone cutanee in modo che il contatto tra la cute e il cerotto sia massimo (ad esempio evitare le zone ricche di peli). Questa via agisce in circa 30 minuti e dura dalle 8 alle 14 ore. È fondamentale nella terapia di mantenimento o Set per via endovenosa: viene utilizzato soltanto in ospedale per le emergenze Isosorbide dinitrato: o Sublinguale: agisce in 5 minuti ed ha una durata di circa 1 ora o Orale, a rilascio lento: agisce in 30 minuti e dura 8 ore. Viene utilizzata essenzialmente questa preparazione per il trattamento di mantenimento dell’angina. L’isosorbide viene metabolizzata più lentamente ed il suo effetto Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 dura quindi più tempo anche perché dalla sua biotrasformazione vengono prodotti metaboliti che possiedono ancora attività biologica. Isosorbide mononitrato: o Orale, a rilascio lento: azione in 30 minuti e tempo d’azione di 12 ore. È resistente alla demolizione epatica ed è per questo che dura a lungo. Anche questa viene usata per la terapia di mantenimento. La somministrazione di nitroderivati ha una cinetica di ordine zero e di conseguenza deve essere data in quantità stabili per non provocare un sovraccarico ed un accumulo che determina conseguenze tossiche. Tipicamente il cerotto transdermico effettua un rilascio graduato tale da non dare un sovraccarico. Effetti avversi: Cefalea: conseguenza della vasodilatazione meningea Astenia ed ipotensione posturale Manifestazioni cutanee: sempre associate alla vasodilatazione Tachicardia: ad alte dosi il farmaco può provocare una vasodilatazione eccessiva che attiva il sistema simpatico a produrre noradrenalina che agisce in senso cronotropo e inotropo positivo aumentando il fabbisogno di ossigeno e potendo paradossalmente peggiorare l’angina Interazione col sildanefil: i 2 farmaci potenziano eccessivamente gli effetti vasodilatatori e per tale motivo si consiglia un intervallo di almeno 6 ore tra le somministrazioni. Metaemoglobinemia: dosaggi eccessivi provocano ossidazione del ferro con perdita della capacità di trasporto dell’Hb. Tolleranza Alle azioni dei nitroderivati si sviluppa precocemente tolleranza per cui sono necessarie dosi maggiori per avere gli stessi effetti terapeutici. Questa tolleranza sembra di tipo farmacodinamico (dipendente dai recettori che si desensibilizzano, come nel caso degli oppiacei, mentre una tolleranza farmacocinetica si presenta con i barbiturici che inducono gli enzimi per il loro metabolismo e di conseguenza hanno una maggiore clearance). In parte si verifica anche una dipendenza di tipo fisico. Le strategie per evitare la tolleranza sono: - Mantenere un periodo di tempo al giorno senza nitrati, circa 6-8 ore, tipicamente notturne in quanto in questo periodo il cuore è sottoposto ad un minore stress. - Per i cerotti transdermici la somministrazione deve essere fatta per 12 ore, in genere di notte e al mattino non viene applicato. - Nell’angina variante di Prinzmetal tuttavia c’è un peggioramento di prima mattina a causa forse della secrezione di catecolamine circadiane e in questi pazienti l’intervallo di tempo senza nitrati deve coincidere con il tardo pomeriggio. I pazienti che continuano ad avere angina con nitroderivati possono trarre giovamento da un ulteriore approccio farmacologico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 39. Inquadramento dei farmaci impiegati nelle varie forme di angina pectoris I farmaci impiegati in angina pectoris non sempre riescono a raggiungere un’efficacia terapeutica da soli ma spesso vengono effettuate terapie multifarmacologiche ed in generale vengono accoppiate 2 classi differenti di farmaci. Le 3 categorie di farmaci utilizzati per l’angina sono: - Nitroderivati - Beta-bloccanti - Calcio antagonisti Esistono delle associazioni più vantaggiose di altre in pazienti sani e in più in pazienti con altre patologie associate risulta opportuno applicare una terapia rispetto ad un’altra. Beta-bloccanti e Nitroderivati Quest’associazione è ottimale per diversi motivi. Innanzitutto i nitroderivati sono dei potenti vasodilatatori che quindi riducono la pressione sanguigna e possono causare tachicardia riflessa, i betabloccanti tamponano quest’effetto visto che bloccano i recettori beta1 cardiaco con conseguenze inotrope e cronotrope negative. Inoltre i beta-bloccanti possono favorire la scarica alfa1 adrenergica verso le coronarie favorendo lo spasmo, ma questo effetto è evitato dai nitroderivati che permettono una vasodilatazione coronarica mantenuta. Calcio antagonisti e beta-bloccanti Quest’associazione è favorevole solo in certi casi. Infatti i beta-bloccanti sono inotropi negativi e se associati a calcio antagonisti come il verapamil o il diltiazem possono abbassare eccessivamente la performance cardiaca, per cui l’associazione corretta è beta-bloccante tipo atenololo associato a nifedipina che è un calcio antagonista diidropiridinico specifico per la muscolatura vasale e non cardiaca. Inoltre in questo caso l’eccessiva vasodilatazione della nefedipina viene prevenuta dal beta-bloccante. Calcio antagonisti e nitroderivati Questo approccio può essere tentato nei casi di grave vasospasmo non responsivo al calcio antagonista. Il razionale farmacologico sta nel fatto che il calcio antagonista riduce il postcarico mentre il nitroderivato riduce il precarico abbassando notevolmente il fabbisogno di ossigeno del cuore. Questa azione però ha dei limiti nel senso che entrambi i farmaci inducono vasodilatazione e l’effetto sommato può portare anche ad una tachicardia riflessa che peggiora l’angina. (In tal caso è meglio usare un calcio antagonista come il diltiazem piuttosto che la nefedipina). Terapia tripla In caso di grave angina da sforzo si può tentare l’approccio triplo che però non è esente da efetti collaterali anche gravi. Il razionale farmacologico prevede la riduzione del precarico col nitroderivato, la riduzione del postcarico col calcio antagonista e la prevenzione della tachicardia riflessa ed eccessiva vasodilatazione con i beta-bloccanti. Tuttavia in questo caso il Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 calcio antagonista non deve assolutamente essere il verapamil o il diltiazem in quanto l’effetto cronotropo ed inotropo negativo si sommerebbe con quello del beta-bloccante. Nel caso di un paziente con concomitante patologia vengono preferite certe classi farmacologiche rispetto ad altre: Paziente asmatico: non possono essere usati i beta-bloccanti Infarto miocardico acuto recente: non possono essere usati i calcio antagonisti Diabete: non vengono usati i beta-bloccanti perché peggiorano la tolleranza glucidica Ipertensione: i nitroderivati risultano meno efficaci Nefropatia cronica: sconsigliati o poco utili i beta-bloccanti Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELL’INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA DIGITALICI ED ALTRI INOTROPI 40. Farmaci inotropi: classificazione, meccanismi d’azione, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati I farmaci inotropi sono una classe di farmaci impiegati essenzialmente nell’insufficienza cardiaca congestizia per aumentare la performance cardiaca stimolando la contrattilità. L’insufficienza cardiaca è una condizione in cui il cuore non è più in grado di pompare sangue in maniera adeguata ai tessuti periferici a seguito di diversi possibili patologie che intaccano il suo normale funzionamento. La perfusione può essere adeguata solo a costo di un aumento delle pressioni, in tal caso si parla di insufficienza cardiaca compensata. Nel momento in cui i meccanismi fisiologici di compenso non sono più validi per aggiustare la performance e, anzi, riducono la funzionalità cardiaca stessa si parla di insufficienza cardiaca scompensata. Il sistema mette in atto 3 diversi meccanismi di riparazione ad uno scompenso: 1. Attivazione del sistema nervoso simpatico: a seguito della riduzione pressoria nei barocettori aortici e carotidei. Con ciò si ha un aumento dell’inotropismo e della frequenza cardiaca e in più si ha vasocostrizione periferica in modo da stimolare l’aumento di postcarico e di precarico per favorire una maggior efficacia muscolare. Tuttavia con il passare del tempo questo effetto risulta negativo (mentre all’inizio è utile per il compenso) in quanto il cuore è sovraccaricato. 2. Attivazione dell’asse RAA: conseguente alla riduzione della perfusione renale e all’attivazione simpatica si ha liberazione di renina e conseguente aumento delle RVP e ritenzione idrica che rispettivamente aumentano sia il postcarico che il precarico. A lungo andare sovraccaricano il cuore. 3. Rimodellamento miocardico: sostituzione progressiva di miociti con tessuto fibrotico ed ipertrofia del miocardio. Le cavit{ diventano globose e l’ipertrofia parietale associata alla distensione eccessiva non consentono a lungo andare un’eiezione efficiente. Il sistema cardiaco può essere aggiustato attraverso meccanismi farmacologici ed in tal caso gli inotropi sono efficienti nel ripristinare parzialmente l’azione del cuore mediante un aumento della capacità contrattile. Le altre classi di farmaci favoriscono la riduzione del fabbisogno di ossigeno del cuore e i sintomi sistemici come edemi, dispnea e astenia (diuretici, beta-bloccanti, ACE-I e sartani e in parte vasodilatatori diretti che ricoprono un ruolo del tutto marginale). Nel complesso i farmaci contro l’ICC hanno come target terapeutico la diminuzione dei sintomi, rallentare la progressione della malattia e favorire la sopravvivenza riducendo la mortalità per cause cardiache. Tra gli inotropi possiamo distinguere 3 classi - Digitale Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Agonisti β adrenergici Inibitori della fosfodiesterasi DIGITALE I farmaci digitalici sono detti anche glucosidi digitalici e devono il loro nome alla derivazione dalla pianta digitale. Questi farmaci potenziano l’attivit{ contrattile cardiaca ma hanno un indice terapeutico molto basso e pertanto c’è una sovrapposizione tra dose efficace e dose tossica e l’intervallo terapeutico è molto ristretto. I principali farmaci sono: DIGOSSINA DIGITOSSINA BETA-METIL DIGOSSINA (analogo semisintetico della digossina) Meccanismo d’azione Questi farmaci agiscono modificando il potenziale elettrico della cellula miocardica in quanto vanno a bloccare la pompa Na/K-ATPasi. La pompa svolge la funzione di mantenimento del potenziale di riposo della cellula. In questo modo aumenta la concentrazione intracellulare di sodio che entra dall’esterno seguendo il gradiente di concentrazione. Il calcio è il principale responsabile della contrazione legandosi all’actina e qualsiasi situazione che fa aumentare il calcio intracellulare libero provoca un aumento di inotropismo. I digitalici determinano un aumento di contrattilit{ perché il calcio viene normalmente estruso dall’interno della cellula a fine contrazione da diversi meccanismi (scambiatore Na/Ca; captazione attiva da parte del mitocondrio e del reticolo sarcoplasmatico) e l’incremento di sodio derivato dal blocco della pompa riduce il gradiente necessario per spingere il sodio dentro la cellula e il calcio fuori dalla cellula e di conseguenza si avrà un maggior ristagno di calcio nell’ambiente intracellulare che causa un marcato aumento di contrattilità. In secondo luogo l’aumento di contrattilit{ provoca un aumento della gittata, una riduzione della scarica simpatica e una diminuzione dell’asse RAA e di conseguenza si avr{ anche una riduzione del fabbisogno d’ossigeno. Azioni La digossina è sicuramente il farmaco più utilizzato e favorisce la contrazione miocardica. Usi terapeutici 1. Insufficienza cardiaca congestizia: la digossina è indicata nei pazienti con forte disfunzione sistolica ventricolare sinistra che hanno già iniziato un trattamento con diuretici, ACE-I e beta-bloccanti. Non è indicata in pazienti con IC diastolica o del cuore Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 destro. Nei pazienti con insufficienza cardiaca lieve e moderata di solito non si presenta la necessità di digossina visto che essi rispondono bene con diuretici ed ACE-I Farmacocinetica La digossina ha un’emivita molto breve e questo la rende utile perché sono ridotti i rischi di effetti avversi a differenza della digitossina che ad oggi non viene più usata a causa dell’elevata incidenza di reazioni collaterali. Inoltre la digossina ha anche un inizio dell’azione molto breve e questo la rende disponibile ed utilizzabile nei casi di emergenza. Ci vorrà un tempo corrispondente a circa 5-6 volte il T di emivita per raggiungere lo steady state ed un tempo analogo per il wash out. La digossina è idrofila e come tale viene eliminata direttamente nelle urine, mentre la digitossina è ampiamente metabolizzata dal fegato e i suoi metaboliti possono avere effetti tossici. Inoltre la digossina ha uno scarso tasso di legame con le proteine plasmatiche a differenza della digitossina. Effetti avversi Esistono diversi effetti collaterali a seguito del trattamento con digitale e si parla spesso di tossicità: Effetti cardiovascolari: l’effetto principale è un’aritmia progressivamente più severa in funzione delle dosi che va da una diminuzione o blocco della conduzione del nodo AV, alla tachicardia parossistica sopraventricolare, alla conversione di un flutter atriale in una fibrillazione atriale, depolarizzazione ventricolare prematura, fibrillazione ventricolare ed infine arresto cardiaco completo. Questo effetto pro-aritmico dipende dalla stimolazione del tessuto di conduzione che viene anch’esso interessato dall’aumentata conduttanza al calcio e risponde in modo anomalo. Effetti gastrointestinali: la digitale va ad agire sul centro chemocettore e provoca nausea e vomito. Effetti sul SNC: cefalea, affaticamento, confusione, visione offuscata, alterazione della percezione dei colori (xantopsia = visione di colore giallo alterato con aloni scuri attorno). Fattori predisponenti per la tossicità da digossina: Ipokaliemia: con concentrazioni plasmatiche basse di potassio si verifica un’accentuazione della tossicit{ da digossina e quindi in concomitanza con diuretici tiazidici, diuretici dell’ansa, corticosteroidi. Ipomagnesiemia e ipercalcemia Farmaci: amiodarone, chinidina, verapamil possono interferire col legame con le proteina plasmatiche e aumentare la concentrazione di digossina libera oppure interferiscono con l’eliminazione renale Ipotiroidismo, ipossia, insufficienza renale e miocardite. Il paziente trattato con digossina è necessario che venga monitorato adeguatamente e se insorge un possibile effetto collaterale del farmaco per differenziarlo da un’altra situazione patologica è opportuno controllare i livelli di kaliemia e fare esami della tiroide. I livelli minimi efficaci di digossina sono 0,5-1 ng/mL. Si parla di effetti tossici quando si superano i 2 ng/mL. Studi più recenti suggeriscono però un abbassamento del range ideale tra 0,5 e 0,8 ng/mL. In un trial clinico in cui pazienti venivano trattati col placebo ed altri con la digossina non si è assistito ad un declino della mortalità per cui si può affermare che la digossina non incide Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 sull’aumento dell’aspettativa di vita, tuttavia si è visto che riduce nettamente l’ospedalizzazione e quindi migliora la qualit{ di vita. BETA AGONISTI La DOBUTAMINA è il componente principale di questa classe di farmaci. Essa è l’agente inotropo più usato dopo la digitale. Essa causa un aumento delle concentrazioni di cAMP all’interno della cellula cardiaca, il quale d{ inizio ad una cascata fosforilativa che culmina nella fosforilazione tramite una proteina chinasi del canale del calcio voltaggio dipendente che si apre. In questo modo viene favorita la contrazione. Essa viene somministrata per via endovenosa ed è utilizzata nel trattamento dell’ICC acuta in ambiente ospedaliero. INIBITORI DELLA FOSFODIESTERASI Farmaci come il MILRINONE e l’AMRINONE sono utilizzati come inotropi sfruttando il loro meccanismo di inibizione dell’enzima che degrada il cAMP ad AMP e di conseguenza vengono incrementati i suoi livelli plasmatici che contribuiscono alla fosforilazione del canale del calcio e all’ingresso dell’elettrolita nella cellula. Una terapia prolungata con questa classe di farmaci si è visto che porta ad un incremento del tasso di mortalità, può essere utilizzata nel corso di brevi trattamenti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE NELLE ARITMIE CARDIACHE ANTIARITMICI DELLE CLASSI I-IV E ALTRI 41. Classificazione dei farmaci antiaritmici: impieghi terapeutici e principali effetti indesiderati Il cuore è dotato di una capacità autonoma di generare l’impulso che permette la contrazione del muscolo e anche di trasportare questo impulso attraverso un sistema di conduzione verso tutte le porzioni miocardiche. Ogni qualvolta il sistema di genesi dell’impulso o il sistema di conduzione dell’impulso subiscono dei danni o non risultano efficienti si hanno dei disturbi del ritmo che possono essere di diversa entità e tipologia e contribuiscono al danno cardiaco in base principalmente alla posizione in cui si verificano. Le basi su cui agiscono i farmaci antiaritmici sono essenzialmente l’ostacolo al verificarsi di aritmie interagendo con i sistemi ionici di trasporto elettrolitico che sono i responsabili dell’intero processo ritmico e contrattile del cuore. Le aritmie possono suddividersi in 2 grandi gruppi dal punto di vista eziologico: 1) Aritmie che derivano da disturbi dell’automatismo (genesi dell’impulso) a. Esaltato automatismo b. Attività triggerata (post-potenziali) 2) Aritmie che derivano da disturbi della conduzione a. Fenomeni di rientro I disturbi dell’automatismo si verificano ogni volta che un focus ectopico di automatismo prende il sopravvento sul controllore generale che è il nodo SA, oppure se esistono problemi intrinseci anatomici o funzionali nel nodo SA che non gli permettono di mantenere una frequenza di scarica elevata tale da controllare gli altri foci di automatismo. Situazioni di aumentato automatismo anomalo si verificano anche in seguito a ischemia in quanto il tessuto ischemico resta depolarizzato in diastole visto che non possiede la pompa Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 sodio-potassio attiva e quindi è più facile che un lieve stimolo porti il sistema al potenziale soglia e a scaricare. Tuttavia bisogna tenere presente che esistono normalmente situazioni di aumentato automatismo fisiologico come un aumento di scarica simpatica che attiva i recettori beta e aumenta la frequenza. Un altro disturbo della genesi dell’impulso è la presenza di post-potenziali che si verificano al termine di un normale ciclo contrattile a livello della tarda fase 3 o della fase 4. Queste situazioni si possono avere a seguito di un impulso di una certa entità che trova le fibre in uno stato di periodo refrattario relativo e quindi eccitabili solo da un impulso potente. Queste fibre miocardiche vanno incontro quindi ad un nuovo potenziale d’azione che viene definito: - PPP: post-potenziale precoce (dopo 230 ms in fase 3) favoriti da ipokaliemia, bradicardia e prolungamento della durata del potenziale d’azione. - PPT: post-potenziale tardivo (dopo 300 ms e quindi in fase 4 dopo il normale ciclo) sono favoriti da ipercalcemia e tachicardia. Anche la tossicità da digitale tende a dare queste forme. I farmaci utilizzati in questi casi sopprimono l’automaticit{ andando a bloccare i canali del sodio o del calcio determinando così una riduzione della pendenza di depolarizzazione in fase 4 e/o facendo aumentare la soglia di scarica a un valore meno negativo. Il risultato dell’azione di tali farmaci è una diminuzione della frequenza di scarica. I disturbi della conduzione vedono il principale responsabile nei fenomeni di rientro che sono situazioni in cui si verifica un blocco unidirezionale di una via di conduzione biforcata (tipica situazione delle fibre di conduzione del Purkinje). Normalmente lo stimolo viaggia in entrambe le direzione della biforcazione. Se si verifica un blocco unidirezionale di una delle 2 vie a causa di aumento della refrattarietà o ad esempio per un infarto in quella zona, si ha la possibile propagazione dell’impulso lungo una sola via in andata, tuttavia se la via di ritorno della branca bloccata non è disattivata allora il primo impulso propagato nella prima fibra risale la fibra bloccata in senso inverso e può causare un nuovo potenziale d’azione determinando una contrazione anomala e impropria se questa zona non è più nel periodo refrattario assoluto. Esiste anche un tipo di rientro dovuto alla presenza di una via anomala anatomica costantemente attivata che mette in comunicazione due porzioni del miocardio e scarica indisturbata, non può essere trattata con i farmaci. È il tipico esempio della sindrome di WolffParkinson-White. I farmaci utilizzati a tale scopo impediscono il rientro aumentando il periodo refrattario effettivo e/o riducendo la velocità di conduzione in modo da convertire il blocco unidirezionale in blocco bidirezionale. Infatti a tale scopo si utilizza la lunghezza d’onda dell’impulso di rientro e si cerca di ridurre la velocit{ di conduzione. Infatti la wave length (fronte d’onda) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 presenta un’area (gap) in refrattariet{ assoluta, un’area eccitabile ed un’area in refrattariet{ relativa e lo scopo della terapia farmacologica è quello di abbassare la WL in modo tale da riuscire a far collidere la testa del circuito di rientro con la coda elidendo così l’intero fenomeno. Infatti in questo modo l’area iniziale depolarizzata si trover{ ancora in uno stato refrattario a causa dell’allungamento del potenziale d’azione e non potr{ essere utile per produrre un’ulteriore contrazione anomala. Lo standard terapeutico del rientro è appunto ridurre la WL. WL = velocità di conduzione x periodo refrattario effettivo (Vc x ERP) WL = 0,25 sec x 120 cm/sec = 30 cm Quindi si può agire sulla velocità di conduzione o sul ERP. La Vc è un problema in quanto non esistono specifici farmaci che aumentino la velocità di conduzione. I farmaci attivi per aumentare ERP sono gli antiaritmici di classe III tra cui l’amiodarone in primis perché essi abbassano la corrente in uscita del potassio in fase 3 prolungando il potenziale d’azione nelle cellule a risposta rapida e quindi anche il ERP e di conseguenza il WL. Gli antiaritmici di classe 1 invece favoriscono il rientro perché causano una riduzione della velocità di conduzione. Quest’ultima situazione è quella che si è verificata in uno studio effettuato su pazienti postinfartuati trattati alcuni con antiaritmici di classe I e altri con placebo in cui si verificò un risultato negativo perché i pazienti trattati con antiaritmico presentavano un’aumentata incidenza di mortalità. Questo quindi si spiega con il fatto che questa classe abbassa in modo sconveniente la Vc. In ogni caso però anche l’amiodarone non è del tutto sicuro in quanto aumenta il tratto QT del tracciato ECG e di conseguenza espone ad un rischio maggiore di aritmie derivate da postpotenziali trigger, tipicamente le torsioni di punta. Classificazione dei farmaci antiaritmici Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Questa classificazione presenta dei limiti in quanto non vengono compresi altri antiaritmici come la digossina e l’adenosina e inoltre è impossibile riuscire a catalogare i singoli farmaci secondo un meccanismo d’azione unico visto che molteplici usano diverse modalit{ d’azione. Classe I Questa si divide ulteriormente in 3 sottoclassi in base all’affinit{ del legame con il recettore e alla velocit{ dell’interazione. In generale a questa categoria appartengono farmaci che agiscono sui canali del sodio bloccandoli e di conseguenza determinano una riduzione della velocità di elevazione della fase 0 del potenziale d’azione. Essi quindi diminuiscono la velocit{ di conduzione e l’eccitabilità. Il loro utilizzo è andato via via diminuendo nel tempo in quanto essi possiedono un effetto aritmico intrinseco soprattutto nei pazienti con cardiopatia ischemica e ridotta funzionalità del ventricolo sinistro. L’affinit{ di questi farmaci ai canali del sodio viene definita dipendente dall’uso o dallo stato e con ciò si identifica la proprietà di tali farmaci di legarsi con maggiore affinità ai canali del sodio in stato attivato o inattivato, l’affinit{ nei confronti della forma a riposo è minima. Ciò permette una maggior efficacia terapeutica nelle porzioni di miocardio che hanno un elevato automatismo lasciando indenni le altre che hanno canali del sodio a riposo in diastole. Pertanto questa classe farmacologica è molto attiva sulle aritmie da aumentato automatismo anomalo. Variabili da considerare nel binding con il canale del sodio sono la frequenza cardiaca (maggiore è e più grande sar{ l’efficacia) e l’ischemia (infatti il tessuto ischemico parzialmente depolarizzato con questi farmaci che riducono la velocità di conduzione può inescare circuiti di rientro). I farmaci di classe IA il cui prototipo è la chinidina hanno la capacità di abbassare la velocità di conduzione, aumentare il potenziale d’azione e aumentare il periodo refrattario effettivo, in più riducono la polarizzazione massima (Vmax). Possiedono una velocità di interazione con i canali del sodio intermedia, così come la capacità di distacco del legame. Tempo di recupero dal blocco da 1 a 10 secondi. I farmaci di classe IB i cui prototipi sono la lidocaina e la mexiletina hanno scarsi effetti sulla velocità di conduzione e esplicano il loro ruolo nella riduzione della fase 3 del potenziale d’azione accorciando il potenziale d’azione e in particolare la fase della ripolarizzazione. Non interferiscono con Vmax. Hanno un’interazione rapida con i canali del sodio. Tempo di recupero dal blocco minore di 1 sec. I farmaci di classe IC il cui prototipo è la flecainide hanno ampi effetti di riduzione della velocità di conduzione ma scarso effetto sulla durata del potenziale d’azione e sul periodo refrattario effettivo. Si legano lentamente ai canali del sodio. Tempo di recupero dal blocco maggiore di 10 secondi. Riducono Vmax. In base al tempo di recupero dal blocco si stabilisce anche la proprietà del farmaco di essere inotropo negativo (in tal caso il gruppo IC è il più efficace in questo effetto). Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 CHINIDINA (IA) Meccanismo d’azione: blocco dei canali del sodio allo stato attivato o inattivato rallentando la sopraelevazione del la fase 0. Riduce anche la pendenza della depolarizzazione spontanea in fase 4. Causa sospensione terapia nel 30% dei casi. Azioni: - Classe I: inibisce le aritmie ectopiche e le aritmie ventricolari causate da un incremento di automaticità normale. Il potenziamento del PRE favorisce anche l’eliminazione del circuito di rientro. - Classe III: lieve effetto sulla corrente del potassio che viene ridotta e causa quindi allungamento del potenziale d’azione. - Vagolitico: aumento della frequenza cardiaca e della velocità di conduzione (effetto che si vede principalmente nei soggetti normali) - Alfa-bloccante: promuove la vasodilatazione, la velocità di conduzione AV, la frequenza cardiaca e l’attivazione simpatica riflessa - Antimalarico Pertanto l’effetto complessivo sulla velocit{ di conduzione è variabile mentre allunga la durata del complesso QRS e QT potendo causare attività trigger. Usi terapeutici: tachiaritmie atriali, giunzionali AV e ventricolari. Utile anche dopo cardioversione della fibrillazione atriale o del flutter atriale (associata però sempre a digitalici, beta-bloccanti e verapamil) Farmacocinetica: il farmaco è assorbito rapidamente dopo somministrazione orale e va incontro a metabolismo da parte del fegato, eliminato pe via renale. Se viene data 300-600 mg ogni 6 ore si ottiene uno steady state dopo 24-48 ore. Azioni avverse: Cardiologici: bradicardia o disturbi di conduzione AV, si tratta quindi di un farmaco anche proaritmico. In più è in grado di dare tachiaritmie e in particolare torsioni di punta, le quali possono anche sfociare in tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare fatale. Tali effetti sono aggravati dall’ipokaliemia. Gastroenterologici: nausea, vomito, diarrea Cinconismo: serie di sintomi derivati dall’assunzione di tale sostanza che deriva da una pianta, si parla di offuscamento della visione, tinnito, cefalea, psicosi e disorientamento. Interazioni con la digossina: spiazzamento dei recettori per la digossina e antagonismo renale, la conseguenza è un aumento della digossina circolante. Ematologici: trombocitopenia e anemia emolitica. PROCAINAMIDE (IA) Farmaco simile alla chinidina, è un derivato dall’anestetico procaina. È somministrato per via orale, meglio non infusione endovenosa perché può determinare ipotensione. Il metabolismo epatico porta alla formazione dell’intermedio NAPA che ha scarso effetto sulla polarizzazione massima, ma aumenta la durata del potenziale d’azione. È eliminata dal rene. Può dare numerosi effetti collaterali e tossici: aritmie, asistolia, effetti sul SNC e reazione simil-lupus nel 25-30% dei soggetti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 DISOPIRAMIDE (IA) Farmaco con azioni molto simili alla chinidina. Possiede effetto inotropo negativo accentuato rispetto alle precedenti ed ha anche un’azione vasocostrittrice. Bisogna fare molta attenzione nei pazienti con ICC che già hanno una ridotta performance cardiaca. Viene somministrata per via orale e escreta immodificata dai reni. Incidenza elevata di effetti avversi come azioni anticolinergiche (secchezza delle fauci, offuscamento della vista, ritenzione urinaria, stipsi). Insieme alla procainamide è molto poco utilizzata rispetto alla chinidina a causa dei suoi effetti avversi considerevoli. LIDOCAINA (IB) Farmaco anestetico che provoca una riduzione della fase 3 ed una diminuzione della durata del potenziale d’azione e pertanto è poco utile nelle aritmie sopraventricolari o giunzionali visto che non ha effetti considerevoli sulla velocità di conduzione. Viene usata principalmente per trattare le aritmie ventricolari derivate da un automatismo anormale soprattutto nei pazienti con ischemia miocardica in quanto non esalta i fenomeni di rientro visto che il tratto QT rimane normale. Il farmaco è somministrato per via endovenosa perché la biodisponibilità orale è molto bassa. Il farmaco è eliminato dal fegato. L’indice terapeutico è buono a differenza della maggior parte degli altri antiaritmici, tuttavia non è priva di effetti collaterali soprattutto a carico del SNC (sonnolenza, confusione, agitazione, parola inceppata, convulsioni). FLECAINIDE (IC) Dissociandosi lentamente dai canali ha effetti considerevoli anche come inotropo negativo. Viene usato solo in certe condizioni di aritmia ventricolare refrattaria agli altri trattamenti. Sopprime la sopraelevazione rapida della fase 0 e rallenta la conduzione in tutto il cuore. Ha effetto minore sulla durata del PA e del PRE. L’automaticit{ è ridotta soprattutto per aumento del potenziale soglia. È data per via orale. Può aggravare aritmie preesistenti e inoltre è vietata nell’insufficienza cardiaca. Classe II Questa classe comprende i beta-bloccanti che hanno anche uno scopo antiaritmico in quanto diminuiscono la depolarizzazione della fase 4 e quindi deprimono l’automaticit{, prolungano la conduzione AV e riducono la frequenza e la contrattilità. I principali sono il PROPRANOLOLO, il METOPROLOLO e l’ESMOLOLO. Azione: - Effetti elettrofisiologici e miocardici: riduzione minima della velocità di depolarizzazione e della durata del PA; diminuzione del periodo refrattario; abbassamento della contrattilità. - Effetti elettrocardiografici: riduzione della frequenza sinusale, aumento della durata PR, normalità QRS, riduzione QT. Gli effetti sono sostanzialmente indiretti e derivati da una sospensione dell’attivazione adrenergica. Vengono indicati nelle tachicardie sopra e ventricolari a seguito di attivazione adrenergica. Trovano un particolare impiego nel post-infartuato. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ClasseIII Classe di composti di cui il principale è l’amiodarone. Questi farmaci hanno selettività per i canali del potassio e inducono un blocco di essi in modo tale da prolungare la fase 3 di ripolarizzazione. Essi dunque determinano un’aumento della durata del periodo refrattario e del potenziale d’azione, la velocit{ di conduzione è ridotta in parte. Hanno tutti la potenzialit{ di indurre aritmie. AMIODARONE Si tratta di un farmaco lipofilo che contiene iodio. Meccanismo d’azione: bloccante dei canali del potassio, ma non solo in quanto possiede molteplici azioni differenti. Azioni: Antiaritmico tipo III: riduce la depolarizzazione o la lascia invariata, aumenta molto il PRE e aumenta il PA, abbassa la velocità di conduzione. A livello elettrocardiografico si manifesta un allungamento del tratto QT e QRS e anche PR. La frequenza è ridotta. Bloccante fase 0 Alfa e beta-bloccante: lieve azione vasodilatatrice centrale e inotropa negativa. Calcio antagonista Inibitore di T3 e T4 Usi terapeutici: trattamento delle gravi tachiaritmie refrattarie ventricolari e sopraventricolari. La sua utilità cinetica è limitata dalla tossicità. Usato anche dopo cardioversione e come prevenzione della morte improvvisa in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica e nel postinfarto. Farmacocinetica: biodisponibilità orale del 40-70%, l’inizio degli effetti clinici si verifica con le attività beta-bloccanti entro 5-10 giorni, mentre per le attività antiaritmiche servono come minimo 5-6 settimane. Ha un’emivita lunghissima dai 13 ai 103 giorni e la posologia vede una dose da carico di 0,8-1,2 g/die per 2 settimane seguita da terapia di mantenimento di 0,2 g/die per 5 giorni ogni settimana. La dose da carico in genere viene somministrata per via endovenosa per raggiungere più rapidamente il volume di distribuzione e la dose di mantenimento viene regolata in base alla clearance. Il metabolismo epatico provoca un metabolita attivo detto desetilamiodarone. Nel miocardio si ottiene una concentrazione maggiore 10-50 volte quella plasmatica. Il 50% del farmaco viene eliminato subito entro 5-6 giorni dalla sospensione dagli organi maggiormente perfuso e il resto nei successivi 25-120 giorni da tutti i tessuti. Il farmaco viene accumulato in altri organi tra cui polmoni, fegato, tessuto adiposo, cute e cornea. Effetti avversi: sono numerosissimi e più della metà dei pazienti che iniziano il trattamento subiscono effetti avversi così intensi da dover sospendere la somministrazione: Fibrosi polmonare (rara con meno di 300mg/die) Epatopatia (movimento degli enzimi epatici e raramente cirrosi) Cutanei (fotosensibilizzazione e cute bluastra da accumulo di iodio) Microdepositi corneali Ipertiroidismo / Ipotiroidismo Disturbi gastroenterici Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Bradiaritmie e tachiaritmie (rare) Sintomi neurologici (tremori, atassia, capogiri, neuropatia, debolezza muscolare) Si è visto inoltre che l’amiodarone non riduce l’incidenza di morte improvvisa né prolunga la sopravvivenza in pazienti con ICC. SOTALOLO Si tratta di un farmaco dotato di un’intensa attivit{ anche beta-bloccante. Infatti esso si presenta sotto forma di 2 stereoisomeri: il D-Sotalolo è un esclusivo antiaritmico, l’L-Sotalolo è un antiaritmico e in più ha attività beta-bloccante. Meccanismo d’azione: oltre al tipico meccanismo beta-bloccante si ottiene anche un riduzione della corrente in uscita del potassio e pertanto si ha un effetto di aumento del potenziale d’azione e soprattutto della durata della fase 3 di ripolarizzazione, allungando anche il PRE. Azioni: riduzione dell’inotropismo e della cinesi, effetto antiaritmico Usi terapeutici: profilassi delle tachiaritmie parossistiche sopraventricolari; mantenimento del ritmo sinusale dopo cardioversione di flutter/fibrillazione atriale; tachiaritmie ventricolari minacciose o sintomatiche. Effetti avversi: questo farmaco ha la più bassa incidenza di effetti avversi in assoluto, tuttavia come tutti i farmaci che allungano il tratto QT si può avere un’aritmia come la torsione di punta che può rivelarsi anche molto pericolosa. DOFETILIDE Si tratta di un farmaco principalmente utilizzato per trattare la fibrillazione atriale ed è uno dei farmaci indicati per trattare questa patologia insieme ai beta-bloccanti e all’amiodarone. È consigliato anche nei pazienti con aritmie e insufficienza cardiaca o coronaropatia e scompenso del ventricolo sinistro. L’uso è limitato a pazienti ricoverati vista l’ampia variet{ ed entit{ di effetti avversi. Ha un’emivita di 10 ore e l’escrezione è principalmente con le urine. Classe IV Questa classe è costituita dai calcio antagonisti ossia quei farmaci che bloccano i canali del calcio e quindi saranno maggiormente interessati quei tessuti che sono dipendenti dalle correnti del calcio per depolarizzarsi (tessuto di conduzione e nodi). Azioni: vengono usati i farmaci non diidropiridinici come il VERAPAMIL e il DILTIAZEM che possiedono diverse attività: - Riduzione della frequenza - Riduzione delle resistenze periferiche - Riduzione delle resistenza coronariche - Diminuzione della velocità di conduzione - Riduzione di contrattilità. Questi farmaci sono maggiormente attivi quando i canali sono attivati e quindi nei casi di aumentata frequenza cardiaca. Usi terapeutici: questa categoria è efficace nel trattare le tachiaritmie sopraventricolari visto che riduce la velocità di conduzione e agisce molto sui tessuti a risposta lenta come il nodo SA. Sono molto utili nel trattare la tachicardia sopraventricolare rientrante e per diminuire la frequenza ventricolare nel flutter e nella fibrillazione atriale. Farmacocinetica: il verapamil e il diltiazem sono assorbiti bene per via orale. Il verapamil subisce un ampiio metabolismo epatico per cui quando esistono problemi a livello epatico è giustificato aggiustare la posologia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetti avversi: controindicati nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia a causa del loro effetto inotropo negativo. Possono causare diminuzione della pressione arteriosa per vasodilatazione periferica responsabile anche di cefalea, edemi periferici e reazioni cutanee. Altri farmaci antiaritmici DIGOSSINA Essa ha un’azione di riduzione del PRE sia sul miocardio atriale che ventricolare mentre ha azione opposta sulle fibre del Purkinje e ciò permette di sfruttare l’uso di questo farmaco per regolare la frequenza di risposta ventricolare agli impulsi provenienti da flutter o fibrillazione atriale. A dosi tossiche può dare anche tachicardia e fibrillazione ventricolare. ADENOSINA È un nucleoside naturale che ad alte dosi ha azione di aumentare il periodo refrattario effettivo, il potenziale d’azione e ridurre la velocit{ di conduzione principalmente a livello del nodo AV. Per questo motivo è uno dei trattamenti di scelta per la tachiaritmia sopraventricolare acuta per via endovenosa. Ha bassa tossicità ma causa vampate, dolore toracico e ipotensione. Durata d’azione molto breve (15 secondi). Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI ANTIIPERLIPIDEMICI ANTIIPERLIPIDEMICI 42. I farmaci impiegati per il trattamento delle iperlipidemie: meccanismi d’azione, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati I livelli sierici di lipoproteine condizionano profondamente la performance coronarica e sembrano i principali responsabili degli accidenti cardiovascolari in quanto induttori e propagatori della placca ateromasica. I livelli di colesterolo elevati sono proporzionali all’incidenza di malattie coronariche e pertanto gli eccessi di colesterolo e trigliceridi plasmatici devono essere combattuti. Esistono 2 modalit{ per ottenere un miglioramento dell’assetto lipidico di un paziente: - Terapia non farmacologica: è il primo step in tutti i casi, fondamentale è l’esercizio fisico e il mantenimento di una dieta povera di colesterolo e di acidi grassi in particolare saturi. È consigliata una dieta ricca di acido oleico e linoleico, una riduzione dell’apporto calorico nelle persone in sovrappeso e una preferenza nel consumo di carboidrati complessi, frutta e verdura. - Terapia farmacologica: diversi approcci farmacologici possono essere tentati per ridurre il rischio cardiovascolare ma di solito questa terapia ha inizio solo se il paziente non trae beneficio dalla terapia non farmacologica oppure se non è disposto ad iniziare una dieta o l’esercizio fisico. È comunque sempre necessario associare dieta ed esercizio fisico per ridurre il rischio. Il tipo di terapia va adeguata ai livelli sierici di colesterolo e trigliceridi. Il target terapeutico dei farmaci ipocolesterolemizzanti è la riduzione del colesterolo LDL plasmatico a concentrazioni accettabili e che riducono fortemente il rischio di cardiopatia ischemica. I lipidi nell’organismo sono presenti sotto forma di aggregati lipoproteici detti lipoproteine formate da un core lipidico ed una periferia fatta di fosfolipidi in cui sono immerse proteine specifiche che identificano i composti e responsabili del riconoscimento recettoriale. I chilomicroni sono le lipoproteine più voluminose e ad alto contenuto di TG prodotte dall’intestino con i lipidi della dieta. Vanno in circolo e sono catturati dai tessuti periferici che con la lipoproteina lipasi scindono i TG in acidi grassi che vengono internalizzati nelle cellule e Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 utilizzati come riserva energetica (tessuto adiposo) o per produrre ATP (muscolo). I residui tornano al fegato. Le VLDL hanno un elevato contenuto di trigliceridi e sono prodotte dal fegato utilizzando i TG neosintetizzati e i residui lipidi provenienti dai resti dei chilomicroni. Vanno in circolo e si privano progressivamente di TG che vengono lasciati ai tessuti e si formano dunque le IDL ed infine le LDL che hanno una massima concentrazione di colesterolo e suoi esteri. Esse si vanno a legare ai recettori specifici per le LDL presenti sul fegato ma anche nei tessuti periferici e proprio qui sono responsabili del danno aterosclerotico. Le HDL giocano un ruolo inverso perché vengono prodotte dal fegato e inviate in circolo per catturare il colesterolo in eccesso e riportarlo al fegato in modo che venga degradato. Il rischio cardiovascolare è direttamente proporzionale ai livelli di LDL ed inversamente proporzionale a quelli di HDL. Per valutare il rischio complessivo di un paziente si procede ad una rilevazione ematica di: - Trigliceridi - Colesterolo totale - Colesterolo HDL Il colesterolo LDL si ricava attraverso la formula di Friedewald: LDL = colesterolo TOT – (HDL + VLDL) con le VLDL che sono considerate il 20% dei trigliceridi totali in un paziente in cui i TG sono meno di 200 mg. Le cause di iperlipidemia possono essere sia esogene (dieta, obesità, mancanza di attività fisica) che endogene cioè derivate da problemi genetici (iperlipidemie familiari). Nella maggior parte dei casi però si sommano i fattori ambientali a quelli genetici. Nei pazienti in cui oltre all’iperlipidemia esistono altri fattori predisponenti per rischio cardiovascolare (fumo, ipertensione, diabete) devono essere iniziate terapie più aggressive. I farmaci normalmente utilizzati nel trattamerto delle iperlipidemie sono: - Statine - Fibrati - Acido nicotinico - Resine - Inibitori dell’assorbimento del colesterolo Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Le statine sono i principali farmaci che permettono una riduzione del colesterolo LDL, mentre i fibrati sono i principali farmaci che riducono i livelli di trigliceridi. Statine I farmaci utilizzati di questa classe sono: - SIMVASTATINA : farmaco capostipite, più lipofila e formata da un anello lattonico che viene idrolizzato per ottenere il farmaco attivo - LOVASTATINA: anch’essa ha un anello lattonico - PRAVASTATINA : è la più idrofila ed è attiva come tale - FLUVASTATINA: idrofila e attiva come tale - ATORVASTATINA : farmaco più potente della classe - ROSUVASTATINA : farmaco molto potente - CERIVASTATINA : è stata revocata a seguito del caso di rabdomiolisi acuta Meccanismo d’azione Questi farmaci hanno struttura simile al mevalonato che è un intermedio della sintesi endogena di colesterolo. Essi competono tutti con esso legandosi all’enzima HMGCoA reduttasi che è la tappa limitante epatica per la sintesi del colesterolo. In questo modo l’enzima viene bloccato e l’epatocita si trova in deplezione di livelli di colesterolo. Allora avviene l’attivazione della trascrizione nucleare del gene che codifica per il recettore delle LDL che viene tradotto in proteina ed esternalizzato sulla membrana plasmatica. In questo modo aumentano i recettori epatici per le LDL che si legano maggiormente e riducono la loro concentrazione plasmatica. Azioni Le statine hanno un’azione principale ipolipemizzante a carico delle LDL e riducono lievemente anche i trigliceridi. Sono positive sulle HDL che aumentano e riducono fortemente le VLDL. L’effetto principale è però la riduzione del colesterolo LDL (e totale). Le statine però hanno anche una serie di azioni pleiotrope che non sempre sono favorevoli: Stimolazione della produzione di NO con conseguente vasodilatazione Aumento dell’attivit{ fibrinolitica Inibizione della proliferazione e migrazione delle cellule muscolari lisce Inibizione della proliferazione e migrazione dei macrofagi e della loro produzione di metalloproteasi che tendono a demolire il cappuccio fibroso della capsula, in più riducono anche la produzione di fattore tissutale che stimola l’evento trombotico Inibizione dell’adesione e aggregazione piastrinica Riduzione degli indici di infiammazione (PCR) Inibizione dell’attivit{ osteoclastica, dell’adipogenesi e della proliferazione delle cellule nel tumore mammario, nel neuroblastoma, nel mesotelioma e nella leucemia mieloide. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Si tratta pertanto di una classe di farmaci che previene in modo completo l’evento coronarico acuto e si è visto che porta benefici sui pazienti con malattia coronarica con o senza iperlipidemia, sui pazienti con iperlipidemia ma senza malattia coronarica e persino nei pazienti con normale assetto lipidico e nessun evento coronarico. Usi terapeutici 1. Ipercolesterolemia: ipercolesterolemia primaria o della dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta quando essa non è sufficiente. È comunque utile associare altri farmaci in quanto si è visto che esisteva lo stesso un rischio di eventi coronarici, in più è importante anche la dieta e l’attivit{ fisica. Viene impiegata nei pazienti con ipercolesterolemia familiare in forma eterozigote perché gli omozigoti non possiedono il recettore delle LDL e quindi non avrebbe effetto; in questi casi va associata un’altra terapia. a. Prevenzione primaria: pazienti con ipercolesterolemia grave o moderata e suscettibili a primo intervento cardiovascolare traggono beneficio da questi farmaci in senso di riduzione della morbilità e mortalità b. Prevenzione secondaria: pazienti a seguito di infarto miocardico o angina pectoris instabile e con livelli normali o elevati di colesterolo. In ogni caso però si è visto che una fetta della popolazione trattata con statine non riesce a raggiungere gli obiettivi terapeutici fissati dalle linee guida. Farmacocinetica La lovastatina e la simvastatina hanno una biodisponibilità orale del 30-50% e devono essere metabolizzate per avere efficacia terapeutica. La pravastatina e la fluvastatina invece hanno un assorbimento orale massimo e sono efficaci come tali. Tutte queste subiscono un consistente metabolismo di primo passaggio ed agiscono appunto sul fegato come organo bersaglio. Vengono metabolizzate dal citorcomo P-450, alcune dalla forma 3A4 e altre dal 2C9. Possono essere formati dei metaboliti che possiedono ancora un’azione farmaceutica. L’escrezione avviene principalmente con la bile e le feci, ma esiste anche una modalit{ d’escrezione urinaria. L’emivita è di circa 1,5-2 ore. La lovastatina e la simvastatina a causa della loro lipofilia sono in grado di penetrare nel SNC. La pravastatina è idrofila ed è l’unica che subisce un metabolismo sia epatico che renale. L’atrovastatina ha una potenza molto elevata, ma dal punto di vista clinico la potenza ha poca rilevanza e viene superata per importanza dall’efficacia. Infatti con un aumento di dose si può compensare una ridotta potenza. Tuttavia esistono circostanze in cui l’IT è molto basso e quindi viene preferito un farmaco con maggior potenza perché a dosi più basse è in grado di raggiungere l’efficacia farmaceutica. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetti avversi: sono stati segnalati pochi effetti avversi ma alcuni sono degni di nota Fegato: sono responsabili di movimento delle transaminasi e quindi è prudente monitorare con cura i livelli sierici di transaminasi per evitare un danno epatico. Alla sospensione del farmaco i livelli tornano nella norma. È sconsigliata la terapia in pazienti con insufficienza epatica grave. Muscolo: qui si hanno gli effetti più gravi in quanto questi farmaci inducono miopatie e raramente possono dar luogo anche a rabdomiolisi (necrosi di una porzione di muscolo che determina una lisi delle fibre da cui escono in circolo tuti i componenti citoplasmatici che si rivelano tossici). Nella maggior parte dei casi però tali effetti si hanno solo nei pazienti con insufficienza renale o in quelli trattati con ciclosporina, eritromicina… I livelli di CPK andrebbero monitorati costantemente e anche un lieve dolore muscolare associato ad aumento delle CPK dovrebbe essere tenuto in considerazione. Interazioni con altri farmaci: le statine aumentano l’emivita dei farmaci dicumarinici e in tali pazienti va monitorato il PT. Durante assunzione di amiodarone, ketoconazolo, eritromicina e inibitori delle proteasi l’emivita delle statine si allunga (perché agiscono sul CYP3A4). Controindicazioni: in gravidanza non vanno mai prese statine e sono controindicate anche nei casi di insufficienza epatica o miopatie. I bambini ed adolescenti dovrebbero essere risparmiati da tale terapia. Pertanto il paziente va controllato nel tempo tramite esame obiettivo, anamnesi e periodici esami ematici in quanto si tratta di terapie che durano tutta la vita e devono essere sempre seguite. NNH: numero di pazienti trattando i quali si osserva una reazione avversa (rabdomiolosi o aumento netto delle CPK) = 3400 NNT: numero di pazienti che devo trattare per prevenire eventi come stroke, infarto, rivascolarizzazione, mortalit{… = 27 Per quanto riguarda la prevenzione di tali eventi bisogna tenere presente anche il costo della terapia visto che le statine sono farmaci costosi e per ridurre il rischio cardiovascolare l’associazione statina e clopidogrel (antiaggregante) risulta molto più costosa rispetto all’aspirina (anch’esso antiaggregante) a parit{ di effetti terapeutici. Acido nicotinico Si tratta della niacina che viene impiegata essenzialmente per ridurre i trigliceridi ed il colesterolo ma ha un’azioe preponderante sull’incremento dell’HDL. Meccanismo d’azione: questo farmaco previene la lipolisi del tessuto adiposo bloccando la lipasi-ormone sensibile e di conseguenza la liberazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo è fortemente ridotta. Il fegato utilizza tali acidi grassi per fabbricare le VLDL e visto che questi non sono disponibili esso riduce la produzione di lipoproteine. L’effetto si ripercuote anche sulle LDL visto che queste derivano dalle VLDL circolanti. Azioni: l’azione è la riduzione sia dei trigliceridi che del colesterolo con aumento delle HDL. Usi terapeutici: viene impiegata per il trattamento delle ipercolesterolemie gravi in associazione ad altri farmaci. È molto efficace nel trattamento delle iperlipidemie familiari. È il farmaco più potente nell’aumentare i livelli di HDL. Esistono preparazioni gi{ pronte di lovastatina + niacina. Farmacocinetica: viene assorbito per via orale e trasformato in nicotinamide che si lega al NAD e così esplica la sua azione. La nicotinamide da sola non ha tali effetti. Effetti avversi: rossore cutaneo intenso, sensazione di calore e prurito. Sembra anche favorire l’iperuricemia e la gotta andando a ridurre l’escrezione nel tubulo renale di acido urico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Fibrati I farmaci di questo gruppo impiegati sono: - CLOFIBRATO: non disponibile per il commercio in Italia. È il più efficace nell’abbassare i livelli di TG e LDL. - BEZAFIBRATO - GEMFIBROZIL - FENOFIBRATO Queste sostanze sono derivate dall’acido fibrico ed hanno un’importante azione di riduzione dei livelli sierici di trigliceridi e parzialmente anche di LDL. Incrementano le HDL. Meccanismo d’azione: si tratta di farmaci agonisti del PPARα che è un complesso proteico che quando lega i substrati endogeni (acidi grassi o eicosanoidi) o i farmaci ipolipidemici si attiva e si trasferisce nel nucleo legandosi al promotore del gene omonimo inducendone la trascrizione. Tale gene regola la produzione di proteine coinvolte nel metabolismo lipidico tra cui la lipoproteina lipasi e l’apoC-2 (proteina associata ai chilomicroni). In questo modo aumenta la cattura di trigliceridi da parte del tessuto adiposo e il loro riconoscimento mediante l’apoC-2, in questo modo si riducono nettamente i livelli circolanti di trigliceridi e anche di colesterolo. L’aumento delle HDL è mediato dall’incremento della sintesi delle proteine apo A1 e apo A2. Usi terapeutici: dislipidemie con aumento di trigliceridi che non rispondono alla dieta; ipercolesterolemie associate ad aumentati trigliceridi. Molto utili nel trattare l’iperlipidemia tipo III, IV e V. Farmacocinetica: sono totalmente assorbiti per via orale e si legano all’albumina. Sono estesamente metabolizzati ed escreti con le urine. Effetti avversi: Eruzioni cutanee Disturbi addominali Miotossicità: è consigliato non dare insieme statina e fibrato perché aumenta molto il rischio di miopatie Interazioni con altri farmaci: aumento dell’attivit{ dei cumarinici. Controindicati in pazienti con disfunzione renale o epatica Resine Si tratta di resine a scambio ionico ed elevato peso molecolare, sono insolubili in acqua ed agiscono nell’intestino. Le principali resine sono: - COLESTIRAMINA : composto principale e più utilizzato. - COLESTIPOLO - COLESEVELAM Meccanismo d’azione: le resine hanno la capacità di legarsi agli acidi biliari formando un complesso resina/acido insolubile e ad alto peso molecolare che viene direttamente escreto con le feci. In questo modo inibiscono il ricircolo entero-epatico degli acidi biliari che stimolano quindi il fegato a produrne di nuovi utilizzando il colesterolo immagazzinato all’interno degli epatociti. Quando questa riserva viene meno viene stimolata la produzione dei recettori delle LDL che sono esternalizzate sulla membrana e catturano le LDL plasmatiche riducendo la loro concentrazione. Azioni: riduzione del colesterolo LDL e aumento dell’HDL. Si è dimostrato un effetto sinergico e utile dell’associazione di statine e resine. Scarsa azione sui trigliceridi. Usi terapeutici: questi farmaci vengono impiegati nelle: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 1. Ipercolesterolemie di tipo IIA e IIB: Sono i farmaci di scelta in questi casi perché riescono a ridurre marcatamente l’assetto lipidico, nei casi rari di omozigosi dei pazienti con iperlipidemia IIA sono inutili in quanto il recettore delle LDL è assente o totalmente inattivo e quindi non avviene l’effetto. 2. Le resine vengono anche utilizzate per lenire il prurito conseguente a ritenzione di sali biliari per un’ostruzione delle vie biliari. Farmacocinetica: sono attive per via orale, essendo molto grosse e insolubili in acqua non vengono assorbite dall’intestino e svolgono appunto qui la loro funzione legandosi agli acidi biliari. Effetti avversi: Gastrointestinali: stipsi, nausea e meteorismo Alterazioni assorbimento: vengono alterati gli assorbimenti delle vitamine liposolubili Interazioni con altri farmaci: interferiscono con l’assorbimento intestinale di molti farmaci tra cui tiroxina, warfarin, furosemide, tetraciclina, digossina e quindi rallenta o annulla l’assorbimento di tali farmaci che risultano quindi inattivi. Questi farmaci devono essere assunti 1-2 ore prima o 4-6 ore dopo. Inibitori dell’assorbimento del colesterolo Il principale farmaco utilizzato è l’EZETIMIBE. Questo farmaco inibisce selettivamente l’assorbimento intestinale di colesterolo, sia quello associato ai sali biliari sia quello ingerito con la dieta e quindi riduce drasticamente la quota di colesterolo verso il fegato stimolando questo a catturare maggior colesterolo endogeno. Abbassa l’LDL e aumenta l’HDL con minor effetto riducente sui trigliceridi. Non presenta gli effetti di malassorbimento vitaminico delle resine. I pazienti con insufficienza epatica non dovrebbero essere trattati con ezetimibe. Il farmaco viene metabolizzato dal fegato con una reazione di fase II ed eliminato sia per via biliare che renale. Talvolta per aumentare l’efficacia si abbinano 2 farmaci: - Niacina + Colestiramina = utile per le iperlipidemie di tipo II - Statina + Colestiramina - Statina + Niacina Era stato provato anche un approccio con un farmaco inibitore della proteina che trasferisce esteri al colesterolo (Torcetrapib) ma ha avuto un risultato negativo in quanto si è rivelato un farmaco agonista dell’aldosterone e provocava ipertensione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI DELLA COAGULAZIONE DEL SANGUE INIBITORI DELL’AGGREGAZIONE PIASTRINICA, ANTICOAGULANTI E TROMBOLITICI 43. I farmaci antiaggreganti piastrinici Gli antiaggreganti piastrinici sono farmaci ampiamente utilizzati per dirurre l’incidenza di trombosi che è la maggior responsabile di ischemia miocardica, cerebrale e dell’embolia polmonare. Le piastrine sono cellule fondamentali nel processo trombotico in quanto vengono attivate e aderiscono alla parete del vaso, dopodichè richiamano altre piastrine e attraverso una serie di processi si aggregano tra loro stimolando anche la cascata della coagulazione che culmina nel consolidamento del tappo piastrinico primario con un reticolo di fibrina. Il processo normalmente avviene a seguito di un danno endoteliale in cui viene esposto il collagene sottoendoteliale che si lega alle piastrine mediante il fattore di von Willebrand. Le cellule endoteliali normali producono prostaciclina e NO che sono responsabili dell’inibizione del processo trombotico poiché la prostaciclina si lega alla membrana piastrinica e forma cAMP che impedisce al calcio di fuoriuscire dai depositi ed attivare le piastrine. A seguito di un danno endoteliale però la PGI viene a meno e il sistema si sbilancia verso una fuoriuscita del calcio nelle piastrine. In più il legame con il collageno stimola anch’esso la liberazione dei granuli piastrinici contenenti ADP, trombina, trombossano A2, serotonina e PAF. Tutte queste sostanze agiscono attivando le piastrine circostanti in senso trombotico legandosi a recettori appositi e stimolando la liberazione di calcio. La liberazione di calcio dai depositi è responsabile di 3 azioni: - Degranulazione con liberazione di serotonina, ADP e PAF che attivano altre piastrine - Inizio della sintesi del trombossano A2 che ha una potentissima azione di raggruppamento piastrinico - Attivazione dei recettori per la glicoproteina IIb/IIIa che sono attivi nel processo di aggregazione in quanto legano delle molecole di fibrinogeno che congiunge le piastrine a 2 a 2 e progressivamente le fa aggregare formando un tappo. A questo punto si sovrappone la coagulazione innescata dalla liberazione di fattore tissutale conseguente al danno e si ha quindi la formazione di fibrina. Normalmente questo processo una volta che è stato riparato il danno viene disgregato dai fattori fibrinolitici come la plasmina che spezza le catene di fibrina in piccoli frammenti liberando il tappo definitivamente. Esistono numerosi processi patologici in cui l’attivazione piastrinica e i processi seguenti sono innescati e si accumulano irreversibilmente fino a dare fenomeni ischemici. È il caso della placca ateromasica che si rompe e scatena un trombo intravasale Il meccanismo con cui agiscono gli inibitori dell’aggregazione piastrinica sono diversi ma il target è l’inibizione dell’attivit{ del legame del fibrinogeno ai recettori IIb/IIIa: - Inibizione della COX1 in modo da abolire la produzione di trombossani spostando l’equilibrio verso la produzione di PGI (i trombossani favoriscono il legame della glicoproteina con il fibrinogeno) - Blocco diretto dei recettori della GpIIbIIIa - Blocco dei recettori per l’ADP Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Alla prima categoria appartiene la “vecchia” aspirina (acido acetilsalicilico) mentre alla seconda classe appartengono i nuovi farmaci anticorpi monoclonali diretti contro la glicoproteina come abciximab, eptifibatide e tirofiban. All’ultima classe appartengono invece due farmaci molto usati che sono il clopidogrel e la ticlopidina. ACIDO ACETILSALICILICO Meccanismo d’azione: l’acido acetilsalicilico (e non i salicilati!) determina un’acetilazione dell’enzima COX-1 che lo rende irreversibilmente inattivo. Questo enzima serve per produrre prostaglandine e trombossano A2 (a partire dalla prostaglandina H) ma l’effetto del farmaco sembra sbilanciato verso l’inibizione della produzione di trombossani da parte della COX piastrinica, piuttosto che verso quella di prostaglandine della COX endoteliale. La COX-1 è attivata dall’acido arachidonico che proviene dall’azione della fosfolipasi della membrana plasmatica a seguito del legame con fattori protrombotici come collageno e ADP. In questo modo l’inibizione della produzione di trombossano blocca il processo di aggregazione piastrinica. Azioni: riduzione dell’aggregazione piastrinica Usi terapeutici: 1. Trattamento profilattico dell’ischemia cerebrale transitoria, riduzione dell’infarto miocardico ricorrente e della mortalità nei post-infartuati Farmacocinetica: viene assorbita per via orale ma ha un’emivita molto breve di circa 15 minuti. Inizia direttamente la sua azione a livello del circolo portale ma la durata d’azione è decisamente lunga in quanto l’inibizione della COX è irreversibile e dunque la sua durata d’azione corrisponde alla vita media di una piastrina (7-10 giorni). Di solito si dà una dose di carico seguita da una somministrazione quotidiana di mantenimento. Spesso viene utilizzato insieme ad altri farmaci antiaggreganti come il clopidogrel o l’eparina (anticoagulante). L’ibuprofene ed il paracetamolo si legano alla COX-1 con meccanismi diversi ma ostacolano il legame dell’aspirina e quindi assunzioni di aspirina dopo aver preso tali farmaci annullano l’effetto dell’ASA (acido acetilsalicilico). Effetti avversi: l’effetto avverso più comune è rappresentato dall’emorragia in quanto anche dosi basse di aspirina riducono la formazione del tappo piastrinico e a seguito di un lieve danno il tempo di sanguinamento aumenta. Tipici sono i sanguinamenti gastrointestinali specialmente per le dosi alte o l’ictus emorragico (anch’esso a dosi alte). CLOPIDOGREL e TICLOPIDINA Meccanismo d’azione: questi 2 farmaci hanno la stessa modalit{ d’azione che prevede l’interferenza del legame dell’ADP ai suoi recettori sulle piastrine e in tal modo si diminuisce l’attivazione piastrinica e l’aggregazione mediata dalla glicoproteina IIb/IIIa. Azioni: riduzione dell’aggregazione piastrinica Usi terapeutici: prevenzione delle malattie cerebrovascolari, cardiovascolari e della malattia vascolare periferica. Sono di uso comune durante il posizionamento di stent coronarici in corso di infarto miocardico. Farmacocinetica: vengono somministrati per via orale, la ticlopidina ha un assorbimento che può interferire con il cibo, mentre il clopidogrel no. Si legano estesamente alle proteine plasmatiche dopo l’assorbimento e vengono metabolizzate dal CYP a metaboliti attivi. L’effetto massimo si raggiunge in 3-5 giorni. L’eliminazione è sia per via renale che fecale. Effetti avversi: sanguinamenti prolungati e diarrea fastidiosa soprattutto con la ticlopidina. Quest’ultima causa anche un effetto di neutropenia che deve essere prevenuto monitorando i livelli di leucociti nel sangue. Questi farmaci possoo inibire il citocromo P-450 e quindi possoo interferire col metabolismo del warfarin, fenitoina, fluvastatina e tamoxifene. Un’altra reazione avversa segnalata per entrambi è la porpora trombotica trombocitopenica. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ABCIXIMAB e FIBANI (Eptifibatide e Tirofiban) Si tratta di farmaci nuovi con un meccanismo d’azione molto selettivo nei confronti del complesso GpIIb/IIIa in quanto si tratta di anticorpi monoclonali che bloccano il legame del fibrinogeno e del fattore di von Willebrand. Vengono di solito dati insieme a eparina o acido acetilsalicilico in aggiunta all’intervento coronarico transcutaneo. Effetti avversi possono essere emorragie specialmente se usati insieme ad anticoagulanti. DIPIRIDAMOLO Vasodilatatore coronarico antianginoso che viene somministrato insieme all’aspirina facendo così aumentare i livelli di cAMP inibendo la sintesi di trombossano A2 ed esaltando quella di PGI2. D{ un contributo marginale all’azione antitrombotica dell’ASA. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 44. Farmaci anticoagulanti I farmaci anticoagulanti hanno la proprietà di inibire la formazione di fibrina a partire dal fibrinogeno bloccando uno dei passaggi della cascata della coagulazione. Esistono tipicamente 2 meccanismi d’azione: 1) Il farmaco si lega direttamente ai fattori della coagulazione e li inibisce 2) Il farmaco interferisce con il sistema deputato alla formazione dei fattori di coagulazione. Esistono diversi farmaci anticoagulanti che agiscono a diversi livelli, tuttavia ad oggi viene utilizzato massimalmente uno solo di questi farmaci rispetto agli altri nonostante sia stato uno dei primi ad essere scoperto, il warfarin. Esso ha un’efficacia molto elevata nel prevenire gli episodi trombotici ma ha anche un IT molto basso e necessita quindi di molta attenzione e monitoraggi frequenti delle concentrazioni ematiche. Farmaci anticoagulanti principali: Eparina (non frazionata ad alto peso molecolare) Eparina a basso peso molecolare (LMWH) Anticoagulanti orali (warfarin e acenocumarolo) Inibitori diretti della trombina (irudina, ximelagatron, dabigatron) Inibitore diretto del fattore Xa (rivaroxaban) EPARINA Questo farmaco è stato per moltissimo tempo l’unico farmaco utilizzato per prevenire e curare la malattia tromboembolica con un’efficacia elevata ma anche provvista di effetti avversi considerevoli. Meccanismo d’azione: l’eparina non frazionata è una grossa molecola idrofila polimerica che si trova normalmente all’interno dei granuli contenuti nei mastociti insieme all’istamina e in minima parte anche nei basofili. Il suo ruolo fisiologico non è ancora ben chiaro ma si sa che interferisce con il processo coagulativo. L’eparina non frazionata utilizzata in clinica è di derivazione animale e la sua lunghezza può variare anche se normalmente è molto lunga. Viene somministrata come miscela di glicosaminoglicani anionici (sali calcici e sodici), è fortemente acida. La sua propriet{ è quella di legarsi selettivamente all’antitrombina 3 (ATIII) che è una molecola ad azione inibitoria sulla cascata coagulativa in quanto si lega selettivamente al fattore Xa e al fattore IIa impedendo la formazione di fibrina. Sono necessari 5 monomeri della proteina per riuscire a legarsi all’ATIII in modo da inibire il fattore Xa, tuttavia sono necessari ben 18 monomeri per riuscire a legare ed inibire la Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 trombina. Comunque vista la notevole lunghezza della molecola si è visto che il rapporto tra blocco del fattore Xa e della trombina è 1:1. L’ATIII è normalmente in grado di inibire la trombina e il fattore Xa ma ad una velocit{ molto inferiore rispetto a quando è legata all’eparina, infatti a seguito del legame cambia conformazione e aumenta moltissimo l’affinit{. Azioni: Inibizione della coagulazione mediante blocco della trombina, del fattore Xa. Questo blocco della trombina è però indiretto perché è mediato dal legame con ATIII Allungamento del tempo di sanguinamento (aPTT perché viene interessata la via intrinseca) Attivazione della lipoproteina lipasi (aumento della chiarificazione del sangue per cattura dei lipidi in eccesso) Non agisce sulla trombina legata al coagulo Usi terapeutici: 1. Profilassi della trombosi venosa postoperatoria per interventi selettivi 2. Pazienti nella fase acuta dell’infarto miocardico 3. Prevenzione della ritrombosi coronarica 4. Utilizzo nelle apparecchiature extracorporee (dialisi) per evitare la coagulazione 5. Donne in gravidanza con valvole artificiali o per la cura della TEV Farmacocinetica: l’eparina non consente una somministrazione orale in quanto è altamente idrosolubile e non attraversa le membrane. Le modalità di somministrazione sono parenterali: - Sottocutanea: modalit{ più utilizzata con manifestazione dell’effetto in 1-2 ore - Endovenosa: utilizzata nelle emergenze con effetto che si manifesta nell’arco di minuti. Spesso viene somministrata in bolo endovenoso seguito da dosi più basse o infusione continua per 7-10 giorni regolando la dose in base all’aPTT che deve essere al massimo 1,5-2,5 volte il valore dei controlli normali. L’emivita dell’eparina è di circa 2 ore, viene legata alle proteina plasmatiche che la rendono inattiva, il metabolismo ad opera del sistema reticolo-endoteliale che crea metaboliti inattivi che vengono escreti con le urine. Il volume di distribuzione è basso e corrisponde all’incirca al volume circolante ematico. Non passa la barriera placentare Effetti avversi: Complicanze emorragiche: possibilità di sanguinamente eccessivi anche per piccole ferite o anche perdite interne a causa dell’aumento dell’aPTT. Per prevenire questo fenomeno il tempo di sanguinamento deve essere monitorato (anche se aPTT non correla linearmente né con l’attivit{ antitrombotica né con la quantit{ di eparina plasmatica). L’eccessivo sanguinamento viene tamponato attraverso la somministrazione di protamina solfato che si lega all’eparina e forma un complesso inattivo. Si tratta di un antagonismo chimico. È fondamentale però dare dosi molto basse di protamina perché anch’essa possiede una minima attivit{ anticoagulante. Reazioni di ipersensibilità Trombosi: la somministrazione cronica può portare ad un’azione dell’attivit{ dell’ATIII aumentando il rischio di trombosi, per minimizzare tale rischio si impiegano eparine a basse dosi. Trombocitopenia da eparina: reazione molto pericolosa ma rara che si verifica a seguito di una reazione autoimmune in cui vengono prodotte IgG contro il complesso eparina/fattore piastrinico4 che in questo modo viene degradato e precipita. Le Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 conseguenze sono da una parte trombocitopenia perché le piastrine vengono attaccate, dall’altra paradossalmente si ha trombosi perché la precipitazione intravasale di tali composti favorisce la coagulazione e l’aggregazione piastrinica. Sono reazioni che si manifestano in genere tra il quinto e il 14° giorno dall’inizio della terapia. In tali condizioni è necessario cambiare farmaco e utilizzare altri composti come la irudina che è un inibitore diretto della trombina. Esiste anche una modalità di insorgenza della trombocitopenia non immunologica che compare entro i primi 5 giorni e non è grave. La terapia va sospesa quando la conta piastrinica scende sotto le 100.000 al µL. Osteopenia Innalzamento degli enzimi epatici (nei primi 5-10 giorni) Controindicazioni: sconsigliata nei pazienti ipersensibili al farmaco, ai pazienti con disturbi della coagulazione, alcolisti e pazienti che hanno subito interventi all’encefalo, all’occhio e al midollo spinale. EPARINE A BASSO PESO MOLECOLARE (LMWH) La scoperta delle EBPM ha sostituito in gran parte l’utilizzo dell’eparina non frazionata nella terapie e profilassi della malattia tromboembolica. Le principali eparine sono: - Enoxaparina (capostipite) - Tinzaparina - Nadroparina - Dalteparina - Parnaparina Esse vengono ottenute dalla depolimerizzazione chimica o enzimatica dell’eparina e progressivamente hanno sostituito l’eparina non frazionata in quanto sono meno repsonsabili di effetti collaterali. Meccanismo d’azione: stesso dell’eparina con la differenza però che l’ATIII viene legata selettivamente ma risulta efficace solo per inibire il fattore Xa mentre non ha azione inibitoria indiretta sulla trombina. Viene inibito anche il fattore Xa associato alle piastrine oltre che quello circolante. Questa caratteristica permette di ridurre il rischio di attivare le piastrine quiescenti. Per questo motivo il rapporto tra attività anti Xa e anti IIa varia da 4:1 a 2:1. Azioni: riduzione della coagulazione e conseguente prevenzione o cura dei fenomeni tromboembolici Usi terapeutici: vengono usate sempre di più e hanno soppiantato l’eparina, sono utili nel trattamento post-operatorio di pazienti che hanno subito determinati interventi (es protesi d’anca), trattamento e prevenzione di episodi di TVP, trattamento dell’IMA. Farmacocinetica: ha una biodisponibilit{ più ampia dell’eparina e un’emivita più lunga come dimostrato dalla capacità anti-Xa. La somministrazione è sottocutanea e la dose è direttamente correlata al peso del paziente, infatti si è visto che l’efficacia è in relazione del peso e pertanto la somministrazione avviene in base al peso del paziente senza bisogno di monitoraggio da laboratorio nei primi giorni per aggiustamenti di dose. Normalmente viene instaurata una terapia con somministrazione di una dose fissa 1 o 2 volte al giorno e pertanto è molto comoda sia per gli ospedalizzati che per i non (soprattutto). L’attivit{ antitrombotica è più prevedibile (anti-Xa U/mL) e anche le reazioni avverse sono meno frequenti soprattutto l’emorragia in quanto l’EBPM non agisce sull’aPTT. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetti avversi: il rischio di emorragia è molto minore e risulta molto bassa anche la possibilità di trombocitopenia eparino-indotta, l’emocromo va fatto una volta nei primi 7 giorni, se il trattamento si prolunga oltre tale periodo è necessario fare analisi più frequenti. Il costo di tale farmaco però è maggiore rispetto all’eparina non frazionata. Normalmente una TVP viene trattata per 4-5 giorni con l’EBPM combinata al warfarin, dopodichè la prima viene sospesa quando l’INR risulti maggiore di 2.0 per almeno 2 giorni. FONDAPARINOUX Nuovo farmaco ancora a livello sperimentale che agisce bloccando selettivamente il fattore Xa ed è utile perché a differenza dell’EBPM viene somministrato non come miscela eterogenea ma come composto puro. Il farmaco non è altro che la sequenza pentasaccaridica dell’eparina responsabile del legame con l’ATIII, è stato sintetizzato in laboratorio e sembra avere effetti analoghi. WARFARIN E ACENOCUMAROLO Questi 2 farmaci rappresentano gli anticoagulanti orali che sono usati estesamente nella patologia attuale tromboembolica sia come trattamento che come prevenzione. Hanno lo stesso meccanismo d’azione, differiscono per la loro emivita in quanto l’acenocumarolo ha emivita più breve ed inoltre anche per la formulazione visto che il warfarin è disponibile in compresse da 5 mg mentre l’acenocumarolo in compresse da 1 e 4 mg per cui l’utilizzo dipende molto anche dalle necessit{. Spesso l’utilizzo del warfarin richiede la frammentazione in metà o in quarti. Il warfarin esiste in 2 forme: S-Warfarin ed R-Warfarin, il primo è 4 volte più potente del secondo. Essi determinano una riduzione della capacità coagulativa inibendo certi fattori della coagulazione dipendenti dalla vitamina K, utile per renderli attivi. Meccanismo d’azione: questi farmaci si legano all’enzima vitamina K-epossido reduttasi e lo inibiscono. Questo enzima è necessario per ridurre la vitamina K una volta che questa è stata ossidata a seguito della reazione da cofattore per la γcarbossilazione di certi fattore della coagulazione. Normalmente quindi la vitamina K ha un ruolo essenziale nell’attivare i fattori II, VII, IX, X che altrimenti sarebbero inutilizzabili. Essi infatti vengono carbossilati in posizione gamma e per questa reazione è necessario l’intervento adiuvante della vitamina K. Azioni: riduzione della capacità coagulativa nel giro di 8-12 ore e quindi con un tempo di latenza molto più lungo rispetto alle eparine in quanto l’azione inibente avviene sui fattori coagulativi neoformati e bisogna aspettare che quelli già presenti terminino la loro attività. Inoltre ha anche una minima azione di inibizione della proteina C che possiede un’azione anticoagulante. Usi terapeutici: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 1. Fibrillazione atriale: è l’utilizzo più frequente del farmaco, in questo caso l’INR deve stare tra 2 e 3 2. Valvulopatia mitralica e protesi biologiche: INR tra 2 e 3 3. Protesi valvolari meccaniche: INR tra 3 e 4,5 4. Prevenzione e trattamento del TEV: per la prevenzione primaria INR tra 1,5 e 2,5 per quella secondaria INR 2-3 in quanto si è già avuto il fenomeno tromboembolico ed è accettabile anche avere un rischio emorragico maggiore. Farmacocinetica: essi hanno una elevata biodisponibilit{ orale e l’assorbimento non è particolarmente influenzato dal cibo. Il warfarin si lega per il 99% alle proteine plasmatiche e ciò impedisce la sua diffusione nel liquor, nelle urine e nel latte. Tuttavia riesce ad attraversare la placenta. Viene metabolizzato ad intermedi inattivi dal P-450 epatico e dopo essere stato coniugato con acido glucuronico è escreto con le urine e le feci. Ha un basso volume di distribuzione. L’emivita plasmatica è di circa 36 ore per il warfarin a differenza delle 10-12 ore dell’acenocumarolo. L’inizio dell’azione si verifica in 8-12 ore ma per assistere ad un aumento evidente dell’INR bisogna aspettare qualche giorno. È impossibile riuscire a stabilire una posologia corretta del warfarin per tutti i pazienti a causa di variazioni farmacogenetiche individuali in primo luogo e in più perché la variet{ della risposta è elevata visto che l’intervallo tra dose minima efficace e dose minima tossica è molto piccolo (IT estremamente basso). Per tali motivi il trattamento con warfarin va iniziato a dosi molto basse e proseguito in dosi relazionate alle modifiche dei valori di INR. Possono esistere anche soggetti resistenti al warfarin. In casi urgenti di solito il trattamento si inizia con warfarin 10 mg/die per 2 giorni e in seguito 5 mg/die per altri 2 giorni. Dopo 4 giorni si valuta l’INR e poi ogni 4-7 giorni. In casi non urgenti si dà il warfarin 5 mg/die per 5-6 giorni e si fa l’INR al 5° giorno. Per un anziano il dosaggio scende a 1,25-2,5 mg/die. Effetti avversi: Emorragia: si tratta della principale e più pericolosa reazione avversa che si verifica durante assunzione del warfarin in quanto l’azione anticoagulante è molto intensa. Le emorragie di piccola entità possono essere trattate sospendendo il farmaco e somministrando vitamina K. L’indice terapeutico è molto basso e si possono avere eventi di ictus emrragico paradossalmente per prevenire l’ictus ischemico Interazioni con altri farmaci: le interazioni sono molto numerose e con diversi farmaci. L’associazione con l’acido acetilsalicilico è pericolosa in quanto amplifica l’effetto anticoagulante e antitrombotico favorendo le emorragie; l’interazione con cimetidina, amiodarone, cloramfenicolo, metronidazolo, disulfiram e l’intossicazione acuta d’alcol potenziano l’effetto del warfarin in quanto questi farmaci competono con il warfarin per gli enzimi metabolizzanti e ciò provoca un aumento di emivita; associazione con barbiturici, griseofulvina e rifampicina e l’assunzione cronica di alcol invece sono induttori enzimatici che aumentano il metabolismo del warfarin e riducono la sua funzionalità. Bisogna inoltre tenere presente che gli antibiotici orali possono alterare la flora batterica e dare una riduzione dell’assorbimento di vit K potenziando in modo pericoloso gli effetti del warfarin. Controindicazioni assolute: o Gravidanza: il warfarin è teratogeno e va assolutamente evitato nel primo trimestre e nelle ultime settimane Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 o Emorragia: entro 1 mese dall’insorgenza dell’evento, specie se a rischio vitale Controindicazioni maggiori: o Non compliance del paziente o Emorragia gastrointestinale e ulcera peptica attiva o Ipertensione arteriosa non controllata o Gravidanza (escluso il periodo di controindicazione assoluta) o Alcolismo grave o Grave insufficienza epatica: perché vengono prodotti in minor quantità i fattori della coagulazione o Malformazioni vascolari che possono causare emorragia o Coagulopatie o Recenti interventi chirurgici o traumi oculari o al SNC o Gravi emorragie in terapie anticoagulanti o Grave patologia neoplastica Controindicazioni minori: insufficienza renale, endocarditi, malattie psichiatriche, varici esofagee, ernia iatale, diverticoli, malattie biliari, malattie ematologiche, piastrinopenia. Monitoraggio della terapia anticoagulante Fondamentale tenere sempre presente il rapporto rischio-beneficio e per tale motivo si tiene controllato l’INR (PT paziente / valore medio normale PT) elevato all’indice ISI. Il valore normale dell’INR dovrebbe essere 1. In un paziente in TAO (terapia anticoagulante orale) l’indice dovrebbe aggirarsi intorno al 2-3 (ideale 2,5). Infatti questo indice d{ un’idea contemporaneamente del rischio ischemico e del rischio emorragico. Prima di iniziare il trattamento con warfarin vanno fatti una serie di esami preliminari: - Test coagulativi di base (PT, aPTT) - Emocromo completo con piastrine e sideremia per identificare una possibile condizione di anemia sideropenica e piastrinopenia - Transaminasi, gammaGT, bilirubina, colinesterasi per valutare la funzionalità epatica - Creatinina, glicemia, uricemia, colesterolo, trigliceridi - Test di gravidanza in tutte le donne fertili Fondamentale prima di iniziare la terapia anche istruire adeguatamente il paziente sulla dieta da seguire, infatti vanno limitati i cibi contenenti vitamina K. Sono da evitare prezzemolo e verze e bisogna prestare attenzione all’utilizzo di broccoli, cavolo, spinaci, asparagi, insalata verde. Importante per il paziente contattare subito il medico a seguito di emorragia o visione di urine rosse e feci scure. Nel caso di ferita applicare una pressione forte con una garza sterile e se non si arresta l’emorragia recarsi al pronto soccorso. È opportuno assumere l’anticoagulante alla stessa ora ogni giorno in genere 1 ora prima di cena o 3 ore dopo cena. In casi di sovradosaggio con INR elevato è necessario sospendere la terapia e somministrare dosi di vitamina K. Inibitori diretti della trombina Questi farmaci sono abbastanza nuovi e molti di questi sono ancora in via di approvazione farmaceutica ma comunque il loro ruolo anticoagulante è stato approvato e dimostrano una certa efficacia. Essi inibiscono direttamente la trombina senza l’intermediario ATIII. In questo modo riescono a bloccare anche la trombina legata al coagulo e quella appena liberata dalla plasmina e di conseguenza hanno un effetto considerevole. Inoltre prevengono la trombocitopenia da eparina e molto spesso vengono usati proprio come cura nei confronti di questa complicanza. L’inibizione diretta della trombina provoca un blocco della formazione di Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 fibrina e dei fattori V, VIII, XI e XIII. La trombina inoltre ha la capacità di legarsi alla trombomodulina agendo da anticoagulante innescando la formazione della proteina C attiva. I farmaci principali di questa classe sono: - LEPIRUDINA: polipeptide strettamente correlato all’irudina, è usata nel trattamento della trombocitopenia eparino indotta, somministrazione endovenosa - DANAPAROID: somministrazione sottocutanea, è un inibitore del fattore Xa in modo molto più potente che della trombina. - BIVALIRUDINA ARGATROBAN I vantaggi rispetto all’eparina sono la capacit{ di inibire la trombina legata, l’indipendenza dal fattore ATIII, la possibile somministrazione per via orale e la prevenzione della trombocitopenia eparino-indotta. L’unico svantaggio considerevole è che non esistono inibitori diretti di tali effetti a differenza del warfarin e dell’eparina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 45. Farmaci trombolitici Questa classe di farmaci ha un utilizzo non molto ampio in clinica perché si preferiscono usare altri farmaci per il trattamento degli stati di tromboembolia. Tuttavia deve la sua efficacia al potenziamento del meccanismo fibrinolitico che degrada i tappi di fibrina e permette quindi una dissoluzione del trombo in certi casi. Essi agiscono potenziando il processo di dissoluzione fisiologico della fibrina favorendo la conversione del plasminogeno in plasmina. I tre principali farmaci utilizzati a tale scopo sono: - Streptochinasi Alteplasi Urochinasi Il meccanismo d’azione prevede un’attivazione diretta o indiretta della plasmina che a sua volta scinde la fibrina, l’efficacia di tali farmaci aumenta se il trombo è recente in quanto con il passare del tempo si verifica una resistenza del trombo all’azione fibrinolitica. Tuttavia la fibrinolisi porta ad un incremento di trombina liberata nelle vicinanza del trombo e in questo modo può essere favorita l’aggregazione piastrinica. Per tale motivo vengono impiegati antiaggreganti piastrinici o anticoagulanti. Gli usi terapeutici di tali farmaci prevedono l’embolia polmonare grave, la TVP, l’IMA, la trombosi e l’embolia arteriosa periferica e sono utili nel prevenire i coaguli nei cateteri e negli shunt. Oggi però sono sempre meno usati in quanto sono capaci di indurre emorragia con un rischio più elevato rispetto agli altri farmaci antitrombotici. La somministrazione di solito avviene per via endovenosa anche se bisogna considerare che la massima efficacia si ottiene con somministrazione intracoronarica (utile solo se non sono passate più di 2-6 ore dall’evento acuto). Un effetto avverso pericoloso è l’emorragia in quanto questi farmaci tendono ad agire indistintamente sulla fibrina del coagulo patologico e su quella fisiologica di un normale tappo antiemorragico. Per tale motivo si verificano spesso dei disturbi associati che prima erano silenti per la presenza della normale coagulazione, ad esempio può verificarsi un sanguinamento da ulcera peptica o da una ferita in via di guarigione. Sono controindicati quindi in donne in gravidanza, ferite, anamnesi di accidente cerebrovascolare o tumore metastatico. ALTEPLASI (TPA) Si tratta dell’attivatore tissutale del plasminogeno oggi ottenuto con le tecniche del DNA ricombinante. Meccanismo d’azione: ha bassa affinità sul plasminogeno libero plasmatico ed alta affinità per quello legato alla fibrina in un trombo o in un tappo. Pertanto viene definita selettiva per la fibrina e questo è un vantaggio rispetto alla streptochinasi che induce uno stato di trombolisi generalizzata a causa dell’azione sul plasminogeno plasmatico libero. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Usi terapeutici: tutti gli impieghi antitrombotici principali. Sembra più efficace della streptochinasi per la dissoluzione dei trombi più vecchi e somministrata entro 3 ore dall’episodio di ictus ischemico sembra migliorare molto la prognosi. Farmacocinetica: emivita di 5 minuti per via endovenosa. Effetti avversi: complicanze emorragiche STREPTOKINASI Meccanismo d’azione: non ha attività enzimatica, forma un complesso col plasminogeno e lo trasforma in plasmina. Il complesso streptokinasi-plasminogeno degrada i tappi di fibrina ma anche i fattori V e VII della coagulazione. Usi terapeutici: TEP, TVP, IMA, trombosi arteriosa periferica, shunt occlusi. Farmacocinetica: la terapia deve iniziare entro 4 ore dall’infarto miocardico e l’infusione dura 1 ora. Effetti avversi: Emorragia: a seguito della massiva attivazione del plasminogeno in plasmina si ottiene una fibrinolisi generalizzata che può facilmente portare ad emorragia Ipersensibilità: la streptochinasi è un enzima presente nel corredo proteico dello streptococco e pertanto essendo una sostanza estranea all’organismo facilmente viene percepita come anomala e viene diretta una risposta immunitaria verso di essa. Si possono avere reazioni cutanee, febbre e raramente anafilassi. Spesso gli individui nella loro esperienza hanno avuto contatto con lo streptococco e quindi possiedono anticorpi preformati che talvolta possono interferire con la normale attività della streptokinasi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI DELL’EMOPOIESI ANTIANEMICI E FATTORI DI CRESCITA 46. Impieghi terapeutici di ferro, acido folico, vitamina B12, eritropoietina, fattori di crescita dei globuli bianchi L’anemia è uno stato di carenza di emoglobina conseguente ad un ridotto numero di globuli rossi o ad un contenuto di emoglobina totale per unità di volume ridotto. Le cause possono essere molto diverse ed in base alle caratteristiche morfologiche si dividono vari gruppi di anemie, i principali gruppi sono: - Anemia microcitica: con globuli rossi particolarmente piccoli - Anemia macrocitica: globuli rossi più grandi L’anemia è uno stato che si può avere a seguito di una perdita ematica consistente (ferita, mestruazioni eccessive, sanguinamento gastrointestinale cronico) o per una maggiore necessità e insufficiente apporto dei nutrienti fondamentali per la costruzione dell’emoglobina o dei globuli rossi stessi (gravidanza, carenze endocrine, carenze dietetiche), in più può avvenire a seguito di un’emolisi massiva, di infezioni o di tumori. Queste condizioni spesso possono essere trattate anche con infusioni ematiche allo scopo di ripristinare un ematocrito adeguato, tuttavia si cerca di risalire alla causa dell’anemia e trattarla con il farmaco adeguato che nel caso della carenza dietetica si tratta di somministrazioni di ferro, acido folico, vitamina B12. FERRO Il ferro è un componente fondamentale dell’emoglobina situato nel gruppo eme che ha utilit{ nel catturare l’ossigeno. Una carenza di ferro deriva da una perdita acuta di sangue oppure a un inadeguato apporto dietetico in momenti in cui ce n’è più bisogno (gravidanza, crescita). Pertanto viene somministrato per eliminare la condizione di anemia microcitica ipocromica come supplemento di ferro-solfato. Gli effetti avversi più comuni sono i disturbi gastrointestinali dovuti ad un’irritazione locale. ACIDO FOLICO La carenza di acido folico deriva da diverse situazioni: - Aumento del fabbisogno (gravidanza, allattamento) - Scarso assorbimento intestinale per malattie dell’intestino tenue - Alcolismo - Trattamento con farmaci inibitori della diidrofolato reduttasi (metotrexato e trimetoprim) La carenza di acido folico si manifesta sotto forma di un’anemia megaloblastica in quanto i precursori dei globuli rossi non riescono a dividersi e restano con un MCV molto alto. Questa situazione deriva dall’essenziale ruolo dell’acido folico nel legame con fattori che determinano la sintesi di purine e pirimidine, pertanto senza acido folico non vengono prodotte le basi azotate e non posso essere formati i nucleotidi per la strutturazione del DNA e dell’RNA. La conseguenza di ciò è che le cellule non riescono a dividersi e vengono immesse in circolo come cellule grandi ancora immature. Viene somministrato per via orale e si assorbe bene nel digiuno. Non sono stati segnalati effetti collaterali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Le dosi in eccesso vengono eliminate con le feci e con le urine. VITAMINA B12 (COBALAMINA) Molto spesso l’anemia megaloblastica deriva da una carenza di vitamina B12 piuttosto che da carenza di acido folico ed il trattamento con solo acido folico porta con il tempo ad una grave disfunzione e malattia neurologica mentre nei primi tempi viene mascherata questa carenza dall’acido folico. La carenza di cobalamina deriva da uno scarso assorbimento dovuto a incapacità delle cellule parietali gastriche di produrre il fattore intrinseco che è utile nel legame di questa vitamina e nel suo trasporto verso il midollo osseo. La disfunzione delle cellule parietali è una condizione, tuttavia anche pazienti con resezione gastrica e quindi assenza di ghiandole del corpo fondo soffrono di tali disturbi. Il tipico caso di insufficiente captazione intestinale per mancanza di fattore intrinseco è l’anemia perniciosa, ma sono possibili anche malattie de malassorbimento intestinale. La cobalamina va somministrata per via orale nelle carenze dietetiche e per via intramuscolare o sottocutanea profonda nell’anemia perniciosa. Di norma il trattamento di un’anemia megaloblastica prevede un duplice approccio sia con folato che con vitamina B12. La terapia nei pazienti con anemia perniciosa va continuata per tutta la vita. ERITROPOIETINA È una glicoproteina prodotta normalmente dal rene che serve a stimolare la proliferazione e la differenziazione dei precursori degli eritrociti in globuli rossi maturi. In determinate malattie come l’insufficienza renale terminale, i pazienti con HIV e alcune neoplasie anemizzanti è fondamentale somministrare eritropoietina esogena fabbricata sinteticamente. Spesso per avere una risposta adeguata si somministra insieme al ferro. Nei pazienti in dialisi si dà per via endovenosa, ma negli altri pazienti si preferisce la via sottocutanea. Si possono avere alcuni effetti collaterali come mancanza di ferro e aumento della pressione sanguigna a seguito sia dell’aumento delle RVP sia per aumento della viscosit{ del sangue. FATTORI DI CRESCITA DEI GLOBULI BIANCHI Questo gruppo include : • varie interleuchine che principalmente hanno effetto sulla produzione e sulla differenziazione dei linfociti; • i fattori di stimolazione delle colonie, che giocano un ruolo maggiore nella differenziazione di cellule in neutrofili, macrofagi, megacariociti (dai quali derivano le piastrine), gli eosinofili e i basofili; La maggior parte di questi fattori di crescita: • è data da glicoproteine che mostrano una massa molecolare nella regione di 14 - 24 KDa; • è prodotta da più di un tipo cellulare e molti mostrano ridondanza nella loro attività; • molti regolatori possono stimolare la proliferazione di alcune linee cellulari emopoietiche. Essi presentano i recettori per i fattori di crescita. Il numero di recettori per ogni fattore di crescita è basso (meno di 500 per cellula) e la proliferazione può essere stimolata anche quando solo una piccola porzione di questi è occupata. L’ingegneria genetica ha consentito la produzione di forme ricombinanti di tutte le forme conosciute . Questo ha facilitato lo sviluppo delle conoscenze sul processo emopoietico. In molti casi , in vitro, è necessaria la presenza di una combinazione di fattori di crescita per Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ottenere la differenziazione di determinate linee cellulari, ma alcune esigenze di mantenimento e di differenziazione delle cellule staminali si rispecchiano probabilmente anche in vivo. In vivo le cellule emopoietiche sono solitamente crescono in grappoli in stretta associazione con vari tipi cellulari dello stroma del midollo osseo. che sembrano giocare un ruolo diretto nella proliferazione e nella differenziazione delle cellule staminali. - Le interleuchine come fattori di crescita emopoietica L’ interleuchina IL-3 è forse la IL più promettente da questo punto di vista. Essa sembra essere in grado di stimolare non solo CFU-GEMM, ma anche i precursori di basofili, eosinofili e piastrine. - Il fattore stimolante le colonie di granulociti G-CSF è anche noto come PLURIPOIETINA e CSF-b. Essa è sintetizzata da vari tipi cellulari e funziona come fattore di crescita e di differenziazione per i neutrofili ed i loro precursori. Inoltre sembra attivare i neutrofili maturi. G-CSF sembra agire in sinergia con altri fattori di crescita per stimolare crescita e differenziazione di varie altre cellule emopoietiche progenitrici. In più questa citochina promuove la proliferazione e la migrazione di cellule endoteliali. Il recettore per G-CSF è : • è un polipeptide transmembrana singolo trovato sulla superficie di neutrofili, vari precursori emopoietici, piastrine, cellule endoteliali e varie leucemie mieloidi. - Il fattore stimolante le colonie di macrofagi M-CSF serve come fattore di crescita, di differenziazione e di attivazione per i macrofagi ed i loro precursori. E’ anche noto come CSF-1. Questa citochina è prodotta da vari tipi cellulari. - Il fattore stimolante le colonie di granulociti e macrofagi GM-CSF è anche noto come CSF-a o PLURIPOIETINA-a. - Fattore di stimolazione delle colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF); Esso assomiglia agli altri CSF. GM-CSF è prodotto da varie cellule e studi recenti hanno indicato che le sue attività biologiche includono: • fattore di proliferazione e di differenziazione delle cellule progenitrici emopoietiche, particolarmente quelle che producono neutrofili (una varietà di granulociti) e macrofagi, ma anche eosinofili, eritrociti e megacariociti. In vivo gli studi dimostrano anche l’abilit{ di questa citochina di promuovere l’emopoiesi; • attivazione delle cellule emopoietiche mature che si risolve in : aumentata attività fagocitaria, microbicida, antitumorale ed in aumentata chemiotassi leucocitaria. La molteplicità delle attività attribuite al GM-CSF e la sua ridondanza rendono difficile una stima del suo più significativo ruolo fisiologico (questo è vero anche nel caso di molte altre citochine). - L’applicazione clinica dei fattori stimolanti le colonie La loro applicazione clinica è volta alla cura di tutte quelle malattie caratterizzate da una produzione non ottimale di specifiche cellule del sangue . • G-CSF e GM-CSF si sono dimostrate utili nel trattamento della neutropenia. La neutropenia è una condizione caratterizzata dal decremento nella conta dei neutrofili nel sangue. I sintomi clinici includono infezioni frequenti e serie che spesso necessitano dell’ospedalizzazione. La Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 neutropenia può essere causata da vari fattori, fra cui: la neutropenia dovuta alla somministrazione di chemioterapici in pazienti malati di cancro. Agenti chemioterapici (per es. ciclofosfamide, doxorubicina e metotressato) spesso inducono la distruzione delle cellule staminali e/o compromettono la loro differenziazione. • Tutti e tre i tipi di CSF sono (o stanno probabilmente per essere) utilizzati nel trattamento delle malattie infettive, • di alcune forme di cancro e • nella cura dei trapianti di midollo osseo, poichè essi stimolano la differenziazione/attivazione dei globuli bianchi che hanno effetto su tali condizioni.G-CSF e GM-CSF dopo il trapianto allogenico e autologo di midollo osseo accelerano il recupero dei neutrofili. Fra i prodotti attualmente in uso abbiamo: Il FILGRASTIM è un G-CSF ricombinante umano (prodotto in E. Coli) approvato dal 1991 per la neutropenia indotta dalla chemioterapia. La somministrazione giornaliera in pazienti che ricevono la chemioterapia ha notevolmente ridotto la leucopenia. La risposta specifica dei neutrofili dipende dal numero di cellule progenitrici che sopravvivono ancora all’inizio del trattamento. I neutrofili dei pazienti con neutropenia trattati con filgrastim mostrano anche fagocitosi e chemiotassi, almeno per un certo periodo. Il filgrastim si usa sia a scopo preventivo che in caso di patologie già conclamate. E’ generalmente attivo in entrambe le circostanze. Il filgrastim è solitamente somministrato per iniezione sottocutanea. Il farmaco è generalmente ben tollerato. Il più comune effetto collaterale è dato da un leggero male alla ossa . Questo disturbo può essere alleviato per somministrazione di opportuni analgesici. Interessante è la sua somministrazione in caso di leucemia mieloide , poichè queste cellule esprimono i recettori per G-CSF. In alcuni casi G-CSF potrebbe anche promuovere la crescita accelerata di queste cellule maligne. Il filgrastim, inoltre, può essere utilizzato per combattere : • la neutropenia severa cronica, • la leucemia e • l’AIDS. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI PER IL TRATTAMENTO DELL’ASMA E DELLA BPCO BRONCODILATATORI ED ALTRI FARMACI PER IL TRATTAMENTO DELL’ASMA E DELLA BPCO 47. Classificazione dei farmaci impiegati nel trattamento dell’asma L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree (bronchi e bronchioli) che si manifesta con diversi sintomi come dispnea, senso di costrizione toracica, respiro sibilante e tosse. Agli esami di funzionalità respiratoria si nota una marcata diminuzione del VEMS durante l’attacco acuto. Questa patologia provoca tali sintomi a seguito di: - Contrazione della muscolatura liscia bronchiale (broncocostrizione) - Iperreattività bronchiale a seguito di stimoli esterni anche di lieve entità - Aumento delle secrezioni mucose con formazione di tappi di muco - Ampia reazione infiammatoria che interessa tutta la parete del bronco con principale contributo di eosinofili, basofili e mastociti che producono mediatori potenti flogistici. A questa infiammazione cronica segue anche un rimodellamento delle pareti bronchiali con ipertrofia della muscolatura liscia che peggiora il flusso aereo. L’asma è una patologia che colpisce milioni di persone e non è caratterizzata da un andamento persistente, ma piuttosto da riesacerbazioni degli attacchi broncospastici, la cui frequenza e intensit{ è utilizzata per classificare la gravit{ dell’asma. La gravità delle manifestazioni cliniche è correlata al grado di ostruzione bronchiale ma può essere percepita in maniera diversa da individui differenti. I farmaci antiasmatici oggi utilizzati in terapia sono: - Beta2 agonisti - Cortisonici - Anticolinergici - Inibitori delle fosfodiesterasi - Stabilizzatori di membrana - Antagonisti dei leucotrieni - Nuovi farmaci Beta2 agonisti Si tratta di una classe di farmaci che agonizza la noradrenalina la quale agisce sui recettori β2 della muscolatura bronchiale come rilassante e provoca quindi broncodilatazione. Esistono 2 classi di beta-agonisti: A breve durata d’azione (short acting): o TERBUTALINA o SALBUTAMOLO Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 A lunga durata d’azione (long acting): o FORMOTEROLO o SALMETEROLO Meccanismo d’azione: i beta2 agonisti agiscono legandosi selettivamente ai recettori beta2 e provocano una trasduzione del segnale che culmina nella produzione di cAMP, il quale ha una serie di azioni come aumento dell’attivit{ dei canali del potassio, aumento dello scambio sodio/calcio e aumento dell’attivit{ della pompa sodio/potassio. Tutti questi effetti agiscono come riduzione dell’eccitabilit{ della fibra muscolare liscia che tende a rilassarsi e migliorare il broncospasmo. Azioni: Rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale Attenuazione della reattività bronchiale aspecifica (riduzione responsività agli agenti spasmogeni e sensibilità dei recettori sensitivi) Attenuazone della reattività bronchiale specifica (minor liberazione di mediatori ma scarsa attività antiflogistica) Aumento della clearance mucociliare Riduzione della permeabilità vascolare Forse riduzione della sintesi mastocitaria di istamina L’azione prevalente però è il rilassamento della muscolatura liscia, mentre non agisce per ridurre l’infiammazione, ragione per cui sono necessari altri farmaci specifici. I long acting sembrano possedere anche un’attivit{ antinfiammatoria. Usi terapeutici: 1. Asma lieve-moderata: si utilizzano al bisogno i short acting che hanno lo scopo di migliorare il flusso nell’attacco acuto, ma non nella prevenzione cronica. 2. Asma medio-grave: si preferiscono i long acting in quanto assicurano una protezione maggiore e anche durante la notte, è opportuno associare un cortisonico. 3. Crisi asmatiche severe: vengono usati i short acting a dosi elevate durante gli attacchi acuti ma è sempre necessario associare un cortisonico. 4. BPCO Farmacocinetica: i farmaci short acting come il salbutamolo e la terbutalina vengono somministrati preferenzialmente a livello inalatorio in modo che la loro azione sia diretta all’epitelio dei bronchi, in tal modo si riducono anche gli effetti periferici da accumulo. Vengono utilizzate bombolette pressurizzate predosate con sostanza in polvere da inalare. Esistono anche altre modalità di somministrazione come la via orale e la via endovenosa che sono molto meno usate. La via orale ha un’incidenza molto più elevata di effetti collaterali mentre la via endovenosa viene usata in ospedale per le emergenze. I short acting hanno inizio dell’azione in 1-5 minuti e la broncodilatazione persiste per 2-6 ore mentre i long acting hanno un inizio d’azione in 1-20 minuti e prolungano la loro azione broncodilatatrice fino ad oltre 12 ore. I long acting sono chimicamente simili al salbutamolo però hanno una catena laterale lipofila che permette loro un’interazione col recettore di maggiore durata e a questo devono la loro più lunga durata d’azione. La modalit{ di somministrazione inalatoria prevede l’utilizzo di queste pompe pressurizzate contenenti particelle da inalare che sono di dimensioni comprese tra 1-5 µ, dimensione ideale per penetrare nell’albero respiratorio e legarsi ai recettori bronchiali. Le particelle di dimensioni maggiori come 10 µ impattano contro l’orofaringe e non sono efficaci anche perché vengono assorbite dall’apparato gastroenterico e sono reponsabili di effetti avversi. Così come le particelle più piccole di 1 µ raggiungono gli alveoli ma vengono respinte con l’aria espirata. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 È pertanto consigliato nell’erogazione di tali farmaci l’utilizzo di un distanziatore che permette l’impatto delle molecole più grosse nelle pareti dello strumento e l’ingresso delle particelle di giuste dimensioni nell’albero respiratorio. L’uso di tale dispositivo ha ridotto gli effetti indesiderati da assorbimento intestinale improprio. Effetti avversi: Tachicardia: effetto principale dovuto ad un assorbimento improprio che determina una lieve interazione con i recettori β1 cardiaci provocando tachicardia Tremori muscolari Ipokaliemia Stimolazione della glicolisi e della lipolisi (alterazione del metabolismo glucidico) Desensibilizzazione dei recettori beta adrenergici con conseguente tolleranza (effetto meno documentato e più incerto) Cortisonici I glucocorticoidi hanno un utilizzo importante nell’asma medio-grave come terapia cronica per ridurre l’infiammazione che determina broncospasmo. Sono utilizzati: - FLUTICASONE - MOMETASONE BECLOMETASONE BUDESONIDE (recente) CICLESONIDE (farmaco recentissimo utilizzato come profarmaco che libera il principio attivo ed è scevro da effetti collaterali) Meccanismo d’azione: i glucocorticoidi vanno ad agire sui meccanismi dell’infiammazione determinando una riduzione della sintesi e del rilascio di citochine, modulano la sintesi di fattori di crescita e proteasi, inibiscono direttamente la fosfolipasi 2 responsabile del metabolismo dell’acido arachidonico con produzione di molti mediatori flogistici, inibiscono l’espressione della NO-sintetasi inducibile, riducono gli effetti dei radicali liberi, endoteline, albumine e IgE e inibiscono il reclutamento di cellule infiammatorie. Azione: effetto antinfiammatorio e immunosoppressivo, risulta un trattamento sintomatologico e non eziologico. Regressione dell’edema della mucosa, dela permeabilit{ dei capillari e della liberazione di LT. Usi terapeutici: farmaci di prima scelta in pazienti con asma di grado moderato-severo che hanno necessità di un agonista beta-adrenergico più di 2 volte alla settimana. Sono farmaci di scelta anche quando la terapia con beta2-agonisti ha dato una scarsa risposta. È importante nel trattamento dell’asma persistente. Farmacocinetica: - Via sistemica: viene impiegata questa modalità di somministrazione quando il paziente ha un’asma severa e non ha avuto alcuna risposta dal beta2-agonista short acting. È tanto valida la via endovenosa quanto quella orale. Nel caso di riacutizzazione grave si procede a 50 mg di prednisone per 7 giorni. È importante considerare però che nel trattamento dell’asma persistente i cortisonici sistemici hanno poca efficacia - Via inalatoria: è fondamentale la somministrazione inalatoria di cortisonici in pazienti con asma persistente. Il trattamento può essere fatto per lunghi periodi a basse dosi o per brevi periodi ad alte dosi. Anche l’incidenza degli effetti avversi periferici è diminuita con questa via. Si ottiene una riduzione dei sintomi e delle riacutizzazioni, miglioramento del quadro funzionale respiratorio e delle alterazioni anatomopatologiche. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 I farmaci inalatori hanno ridotto il bisogno di corticosteroidi per via sistemica. Tuttavia una grossa parte del farmaco viene bloccata nell’orofaringe e come tale viene deglutita e assorbita dall’intestino e responsabile di effetti avversi, molti dei farmaci utili però subiscono un notevole metabolismo epatico di primo passaggio e quindi gli effetti avversi non sono importanti. Gli steroidi sistemici vengono dati per via orale (prednisone) o endovenosa (metilprednisolone), una volta ottenuto il miglioramento si sospende la terapia (1-2 settimane). Anche in questo caso si consiglia il distanziatore. Effetti avversi (conseguenti a somministrazione inalatoria): Candidiasi orofaringea: parti del cortisonico depositate hanno azioni antinfiammatorie e immunosoppressorie e possono indurre un’infezione da opportunisti. Disfonia Tosse e broncocostrizione da CFC (clorofluorocarburi): sono sostanze utilizzate nelle bombolette pressurizzate. Oggi non si verificano più questi effetti perché i CFC sono stati sostituiti con altre sostanze. Reazioni sistemiche: solo elevati dosaggi possono portare a reazioni sistemiche come azione sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e soppressione ipofisaria. È possibile avere anche reazioni osteoporotiche a seguito di trattamenro prolungato e intenso. Per via inalatoria la migliore soluzione per evitare gli effetti indesiderati è l’utilizzo del distanziatore o un accurato lavaggio della cavità orale dopo uso del farmaco. Anticolinergici - IPRATROPIO BROMURO - OSSITROPIO BROMURO Si tratta di sostanze derivate dall’atropina che vengono utilizzate nel trattamento dell’asma. Meccanismo d’azione: queste sostanze si legano ai recettori M1 ed M3 sulla parete bronchiale e determinano un’inibizione della stimolazione vagale con conseguente riduzione della reattività epiteliale, riduzione delle secrezioni e blocco della broncocostrizione, tuttavia non sono broncodilatanti come i beta agonisti ma stoppano solo il broncospasmo. Usi terapeutici: utilizzati nei casi in cui l’asma non possa essere trattata con beta agonisti a causa di gravi aritmie o cardiopatia ischemica oppure anche semplicemente in casi in cui il beta agonista è mal tollerato per reazioni avverse. In alcuni casi vengono associati a beta2 agonisti in preparazioni farmaceutiche preformate (ipratropio + salbutamolo) che permettono la riduzione della dose dei beta agonisti abbassando la possibilità di effetti avversi. Farmacocinetica: la somministrazione è esclusivamente inalatoria visto lo scarso assorbimento per via orale. Solo il 10% entra nelle vie aeree mentre il restante 90% entra nel canale alimentare ed escreto con le feci immodificato. Solo l’1% del farmaco è assorbito, metabolizzato ed escreto con le urine. Effetti avversi: praticamente nessuno, solo a volte un senso di gusto spiacevole in bocca. Per questo motivo è indicato in gravidanza e nelle situazioni comprendenti altri stati patologici. Solo a volte possono presentarsi tachicardia, midriasi e alterazioni del detrusore che inducono una ritenzione urinaria. Normalmente è sconsigliato nei pazienti ipertrofia prostatica ben Inibitori delle fosfodiesterasi - TEOFILLINA - XANTINE Farmaci utilizzati per moltissimo tempo, avevano un ruolo fondamentale in passato, tuttavia non si sa bene ancora la modalit{ con cui possano indurre una riduzione dell’asma. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Meccanismo d’azione: essi inibiscono le fosfodiesterasi e di conseguenza determinano un innalzamento delle concentrazioni di cAMP e cGMP. Altre ipotesi sono l’interferenza con l’ingresso del calcio e il blocco dei recettori per l’adenosina. Azioni: l’aumento di tali mediatori sembra agire sul rilassamento del muscolo liscio bronchiale e sulla riduzione delle cellule infiammatorie e del rilascio di mediatori (soprattutto per inibizione della PDE IV). L’azione globale è quindi un rilasciamento della muscolatura liscia e una parziale attività antinfiammatoria. Usi terapeutici: - Attacchi acuti asmatici insieme ai beta2-agonisti - Asma cronico negli steps iniziali associata sempre ad un cortisonico inalatorio di fondo come rafforzamento della terapia antiflogistica. Nelle fasi finali sempre associata a cortisonici inalatori ad alte dosi e beta2-agonisti short acting all’occorrenza. Farmacocinetica: la somministrazione generalmente è orale e l’assorbimento dipende dalla formulazione. Esiste una formulazione non a lento rilascio ed una a lento rilascio (2 volte al giorno) che viene utilizzata maggiormente in quanto rilascia dosi minime di teofillina e un assorbimento graduale che permette di raggiungere la dose terapeutica senza avere picchi tossici. La teofillina è fortemente metabolizzata dal fegato e il metabolismo è elevato nei fumatori che quindi possono trarre pochi benefici dall’uso di teofillina. Può essere somministrata anche per via endovenosa in casi gravi per risolvere l’attacco acuto. Effetti avversi: Cefalea Nausea e vomito Pirosi e dolore epigastrico Accentuazione del reflusso gastro-esofageo Questi effetti si verificano per concentrazioni plasmatiche maggiori di 20 mg/L mentre la dose terapeutica efficace è compresa tra 10 e 20 mg/L. pertanto si può affermare che la teofillina abbia un IT basso. Nei casi di sovradosaggio marcato o alterazioni dell’assorbimento si possono verificare anche reazioni avverse fatali: Convulsioni Aritmie ventricolari gravi Stabilizzatori di membrana - CROMOGLICATO - NEDOCROMILE Meccanismo d’azione: questi farmaci sono stati ampiamente studiati ma non si è arrivato ancora a comprendere adeguatamente il meccanismo d’azione. Si sa che sono considerati stabilizzatori di membrana nel senso che riducono la reattività di cellule epiteliali, mastociti e cellule nervose sensoriali per inibizione dei flussi transmembrana degli ioni cloro e calcio con conseguente inibizione del rilascio di mediatori proinfiammatori da mastociti ed altre cellule. Azione: Riduzione dell’iperreattivit{ bronchiale a qualsiasi stimolo esogeno Azione protettiva nei confronti di stimoli allergici e non (metacolina, istamina, ASA, bradichinina, esercizio fisico, aria fredda…) Usi terapeutici: essi vengono impiegati negli stati di asma cronico per prevenire gli attacchi e non sono utili negli attacchi acuti. Vengono usati spesso in combinazione con beta agonisti, teofillinici e corticosteroidi inalatori per ridurre il dosaggio di tali farmaci. È di particolare rilievo il loro impiego in età pediatrica ed in gravidanza a causa delle reazioni avverse estremamente rare ed efficace ruolo di prevenzione. Farmacocinetica: utilizzo inalatorio. Il cromoglicato non va mai fatto ingerire perché altrimenti agirebbe sui mastociti gastrointestinali. Subisce eliminazione urinaria. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Reazioni avverse: sono molto rare, lievi e transitorie. La più comune è una sensazione spiacevole al gusto seguita da cefalea, nausea e vomito. Antagonisti dei leucotrieni I leucotrieni sono dei mediatori chimici prodotti dall’enzima lipossigenasi presente negli eosinofili, neutrofili e nelle piastrine. Essi derivano dal metabolismo dell’acido arachidonico. Esistono diversi leucotrieni: il LTB4 è un potente chemiotattico dei neutrofili ma non ha azioni respiratorie, mentre i cisteinil-leucotrieni (LTC4, LTD4, LTE4) hanno importanti azioni a livello bronchiale in quanto si legano ai recettori specifici per i cisteinil-LT e mediano la contrazione della muscolatura liscia, la permeabilità capillare, la formazione di edema interstiziale e la secrezione mucosa. Quindi sono tutti pro-asmatici e sono i mediatori prodotti in un secondo momento nella reazione allergica dopo l’istamina. Essi hanno una potenza 1000 volte maggiore dell’istamina nell’indurre broncospasmo e sono i responsabili del mantenimento della reazione allergica una volta che l’istamina è stata consumata tutta. Esistono pertanto dei farmaci che bloccano selettivamente questo recettore e inibiscono la funzione pro-asmatica dei LT: - MONTELUKAST - ZAFIRLUKAST Meccanismo d’azione: inibizione competitiva del legame con il recettore Azioni: Inibizione del broncospasmo Protezione dalla reazione asmatica immediata e ritardata indotta da stimolo antigenico Broncodilatazione in pazienti con asma cronico Asma da sforzo Asma da aspirina e FANS Asma indotta da inspirazione di aria fredda Usi terapeutici: il montelukast trova indicazione come farmaco aggiuntivo nei pazienti affetti da asma cronico lieve-moderato in cui i corticosteroidi inalatori e i beta agonisti non permettono un controllo adeguato delle crisi asmatiche. È molto utile nella profilassi dell’asma qualora essa abbia una componente importante nell’insorgenza dopo esercizio fisico. Farmacocinetica: somministrazione orale, il montelukast ha assorbimento buono indipendente dal cibo e con biodisponibilità del 70% mentre lo zafirlukast ha assorbimento interferito col cibo e insieme ad esso biodisponibilità del 40%. Entrambi raggiungono il picco plasmatico in 2 ore. Il montelukast viene somministrato una volta al giorno la sera prima di coricarsi, mentre lo zafirlukast necessita di 2 somministrazioni giornaliere lontano dai pasti. Entrambi hanno metabolismo epatico ed escrezione fecale. I metaboliti intermedi dello zafirlukast sono inattivi mentre hanno attività non specificata quelli del montelukast. Effetti avversi: Effetti cutanei Reazioni di ipersensibilità di vario tipo: anafilassi, orticaria, edema, prurito, rush Danno epatico: tipicamente con il montelukast si possono verificano innalzamenti delle transaminasi ma anche della fosfatasi alcalina e della gamma-GT, quindi si ha un danno epatocellulare e colestatico. Vasculite eosinofilica (Churg-Strauss): molto rara Gastrointestinali: diarrea, dispepsia, secchezza delle fauci, vomito, nausea Muscoloscheletrici: artralgia, mialgia Cardiovascolari: aumentata tendenza al sanguinamento, ecchimosi, palpitazioni SNC: sonnolenza, capogiri, insonnia, parestesie, convulsioni Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Astenia, malessere. Nuovi farmaci - - Nuovi corticosteroidi inalatori: monosomministrazione giornaliera (mometasone) e attivazione locale (cicloesanide) con minori effetti collaterali a lungo termine. Anticorpi monoclonali umanizzati anti IgE: efficaci nell’asma e nella rinite allergica, indicata nell’asma grave per ridurre le riacutizzazioni. Il primo farmaco di questo gruppo è l’OMALIZUMAB che è destinato a pazienti adulti e adolescenti con asma allergico grave persistente con insufficiente controllo nonostante la migliore terapia possibile (corticosteroidi e beta agonisti). Attualmente però il suo dosaggio è limitato dall’alto costo, dalle limitazioni sul dosaggio e dai dati disponibili dagli studi clinici ancora insufficienti. Esso si lega al recettore delle IgE sulla superficie di mastociti e basofili impedendo il legame dell’IgE e quindi blocca la liberazione di mediatori flogistici. Inibitori della PD4 (roflumilast, cilomilast): effetto broncodilatatore e antinfiammatorio, efficaci come CSI a basse dosi, indicati in particolari fenotipi come pazienti senza eosinofilia. Terapia della broncopneumopatia cronica ostruttiva I farmaci utilizzati nella BPCO hanno lo scopo principale di ridurre la broncostruzione e il miglioramento del flusso aereo soprattutto i parametri del flusso espiratorio (VEMS) che sono estesamente alterati in tale patologia. Vengono usati normalmente i beta2 agonisti e gli anticolinergici per favorire la broncodilatazione. Solitamente viene data una somministrazione combinata di salbutamolo e ipratropio. I corticosteroidi per via inalatoria sono meno utilizzati e vengono comministrati solo nei casi in cui la risposta dilatatoria all’antimuscarinico e al beta agonista sia incompleta o insoddisfacente. Gli steroidi a lunga durata d’azione sono utili in quanto permettono la riduzione della frequenza delle somministrazioni. 48. Approccio terapeutico all’asma bronchiale in relazione allo stadio della malattia L’asma in base alla frequenza degli episodi e alla gravit{ dei sintomi viene suddivisa in: Intermittente: sintomi presenti meno di una volta alla settimana con brevi riacutizzazioni. Sintomi notturni presenti meno di 2 volte al mese. FEV1 > 80% con variabilit{ minore del 20%. L’indice di Tiffeneau può essere minore del 70%. Persistente: o Lieve: sintomi che si verificano più di una volta a settimana ma meno di una volta al giorno con riacutizzazioni che possono interferire con le attività quotidiane. I sintomi notturni sono presenti più di 2 volte al mese. FEV 1 > 80% con variabilità tra 20-30%. L’indice di Tiffeneau è minore del 70% (incapacità ventilatoria ostruttiva) o Moderata: sintomi quotidiani e notturni più di una volta a settimana. Il paziente ha necessit{ di utilizzo dei beta agonisti a breve durata d’azione tutti i giorni. L’IT è sotto il 70% e il FEV1 è compreso tra 60-80% con variabilità maggiore del 30% Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 o Severa: sintomi continui e notturni frequenti, attività fisica limitata, IT minore del 70% con FEV1 minore del 60% con variabilità maggiore di 30%. In base a questa classificazione l’asma è stata suddivisa in 4 livelli: 1. Lieve intermittente 2. Lieve persistente 3. Moderata persistente 4. Severa persistente Asma lieve intermittente (Livello 1) La terapia prevede uso di broncodilatatori beta2 agonisti a breve durata d’azione nelle occasioni di necessità fino a 1 volta al giorno. Nessuna terapia a lungo termine è indicata Asma lieve persistente (Livello 2) La terapia prevede l’uso di beta2 agonisti short acting all’occorrenza associati a corticosteroidi a dose standard per inalazione o degli stabilizzatori di membrana (cromoglicato e nedocromile) Asma moderata persistente (Livello 3) La terapia a questo livello prevede corticosteroidi ad alte dosi per inalazione o corticosteroidi a dosi standard associati a beta2 agonisti a lunga durata d’azione. Sono sempre previsti i beta2 agonisti short acting all’occorrenza. Asma severa persistente (Livello 4) La terapia prevede corticosteroidi per via inalatoria ad alte dosi + terapia regolare con broncodilatatori long acting. Il beta2 agonista short acting all’occorrenza nell’attacco acuto. È opportuno quindi effettuare dei cicli sequenziali di uno o più farmaci tra: Beta2 agonisti long acting Teofillina orale a rilascio prolungato Ipratropio o ossitropio Beta2 agonisti breve durata a rilascio modificato Cromoglicato o nedocromile Asma molto severa persistente (Livello 5) La terapia principale è l’utilizzo di corticosteroidi per os. I beta2 agonisti per gli attacchi gravi associati però sempre a corticosteroidi ad alte dosi per inalazione; broncodilatatori a lunga durata; prednisolone per os. Sindromi broncospastiche Broncospasmo occasionale da sforzo: utilizzo di beta2 agonisti short acting Broncospasmo prevalentemente notturno: beta2 agonisti a rilascio modificato o teofillinici Broncospasmo continuo che non risponde ai soli beta2 agonisti: beta2 agonisti più anticolinergici oppure teofillinici + cortisonici per inalazione o per os. Male asmatico Si tratta di uno stato in cui si verifica un episodio di asma bronchiale di entità tale da mettere a rischio la vita del paziente. In questi casi di emergenza si usa il beta2 agonista per inalazione o endovena + cortisonici endovena o intramuscolo + ossigenoterapia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Gravità Step 1: Lieve Intermittente Step 2: Lieve Persistente Step 3: Moderata Persistente Farmaci quotidiani per il controllo Nessuno Altre opzioni (in ordine di efficacia globale) Nessuna Glucocorticoidi inalatori (< 500µg/die) anche in singola dose giornaliera Glucocorticoidi inalatori (200-1000 µg) + Beta2 agonisti inalatori a lunga durata d’azione Antileucotrieni Cromoni Glucocorticoidi inalatori (500-1000 µg) + antileucotrieni Glucocorticoidi inalatori (500-1000 µg) + teofillina a lento rilascio Step 4: Severa Persistente Glucocorticoidi inalatori (>1000 µg) + Beta2 agonisti a lunga durata d’azione + uno di questi se necessario: - Antileucotrieni - Teofillina a lento rilascio - Glucocorticoidi orali (solo dopo aver ottimizzato tutto il resto) Glucocorticoidi inalatori a dosi più alte (> 1000 µg) Valutare possibili fattori aggravanti o che possono rendere la malattia non controllata (aderenza al trattamento, fattori psicosociali, esposizione ad allergeni, RGE, rinosinusite, sensibilit{ ad ASA…) In tutti gli steps vanno usati i beta2 agonisti short acting all’occorrenza (durante l’attacco acuto). Trattamento dell’asma nella prima infanzia e nel bambino Utilizzo dei beta2 agonisti short acting nei casi acuti Gravità Livello 1 Livello 2 Livello 3 Farmaci di fondi giornalieri Altre opzioni Nessuno Nessuno Glucocorticoidi a bassa dose - Antileucotrieni per via inalatoria - Cromoni Glucocorticoidi per via Glucocorticoidi per via inalatoria a dose media inalatoria a basso dosaggio + beta2 agonisti a lunga durata d’azione Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Livello 4 (autorizzati dopo i 4 anni) Glucocorticoidi a basso dosaggio + antileucotrienici (autorizzati dopo 6 mesi) Glucocorticoidi a basso dosaggio inalatori + teofillina a lento rilascio Glucocorticoidi a dosi elevate per via inalatoria + uno dei seguenti se necessario: - Beta2 agonisti a lunga durata d’azione - Antileucotrienici - Teofillina - Glucocorticoidi per via orale I pazienti affetti da riacutizzazioni frequenti (più di una volta ogni 4-6 settimane) o gravi dovrebbero essere considerati da secondo livello. Per tutti i livelli è necessario controllare l’adesione allo schema terapeutico e alle misure di profilassi ambientale nei soggetti allergici. Per il livello 2 una volta ottenuto un miglioramento della condizione e un controllo della situazione per almeno 3 mesi si consiglia di ridurre progressivamente il dosaggio del glucocorticoide o dell’altro trattamento di fondo. Nel livello 3 in caso di scarsa risposta a dosi basse di corticosteroide associato ad un altro farmaco si consiglia di aumentare la dose del cortisonico fino a raggiungere le dosi medie. La scelta del farmaco deve sempre tenere in considerazione l’età del paziente e le condizioni cliniche associate. Asma in gravidanza Il feto è più a rischio per un cattivo controllo dell’asma piuttosto che per gli effetti collaterali dei farmaci antiasmatici. I beta2 agonisti, i corticosteroidi inalatori, la teofillina sia orale che endovenosa (monitorando le concentrazioni plasmatiche), i corticosteroidi orali sono farmaci il cui utilizzo è approvato in gravidanza. Gli antileucotrieni sono controindicati in gravidanza. Durante l’allattamento è opportuno continuare il trattamento con antiasmatici. Modalità di somministrazione inalatoria dei farmaci antiasmatici È opportuno prescrivere l’utilizzo di dispositivi che permettono la collisione delle particelle più grosse con le pareti dello strumento per evitare che queste impattano con l’orofaringe e possano dare origine a effetti avversi. I normali strumenti per l’erogazione del farmaco sono: - Aerosol (Metered dose inhaler) - Diskus (Accuhaler) - Turbohaler Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ALTRI FARMACI DELL’APPARATO RESPIRATORIO FARMACI PER LA RINITE ALLERGICA E LA TOSSE 49. Farmaci per la rinite allergica (antiistaminici anti-H1, agonisti alfa-adrenergici, cromoni, corticosteroidi) La rinite allergica è una patologia su base allergica che si manifesta come un’irritazione della mucosa nasale e la tipica sintomatologia comprende prurito nasale, starnuti, rinorrea liquida e congestione nasale. L’attacco di solito viene scatenato a seguito del contatto con l’allergene previa sensibilizzazione dell’individuo all’allergene stesso. Il processo prevede un primo contatto con l’antigene contro cui viene diretta una risposta che provoca l’esternalizzazione dei recettori per le IgE sui mastociti per cui una volta che ritorna il contatto con l’antigene si ha una risposta immunitaria anomala di ipersensibilità e liberazione di una enorme quantità di IgE da plasmacellule attivate che si legano ai mastociti e provocano la liberazione di istamina, leucotrieni, prostaglandine e altri mediatori flogistici. Il risultato è una vasodilatazione nasale che provoca edema e quindi rinorrea associata a congestione per secrezione mucosa ghiandolare, starnuti e prurito per alterazioni della mucosa e conseguente esposizione dei recettori sensitivi agli stimoli esterni. Associato a questo spesso si ha anche una costrizione bronchiolare responsabile di attacchi d’asma. I principali farmaci utilizzati per combattere gli attacchi di rinite allergica sono: - Antiistaminici - Alfa-adrenergici - Cromoni - Corticosteroidi Si è visto che la somministrazione sistemica di tali farmaci poteva dare degli effetti avversi e pertanto c’è stata una sempre più intensa specializzazione sulla somministrazione topica intranasale che sembra poter alleviare bene i sintomi senza problemi sistemici. Antiistaminici Questi farmaci hanno la capacità di bloccare il recettore H1 dell’istamina a cui si lega il mediatore ed è responsabile della maggior parte degli eventi allergici. Alleviano efficacemente gli starnuti e la rinorrea e associati ai decongestionanti sono un’ottima terapia anche per la congestione nasale. I farmaci più utilizzati di questa classe sono: - DIFENIDRAMINA CLORFENIRAMINA LORATIDINA FEXOFENADINA Essi differiscono tra loro per la capacità di indurre sedazione come effetto avverso e per la durata d’azione variabile tra i vari farmaci. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Agonisti alfa-adrenergici Questi farmaci i cui 2 componenti più usati sono la FENILEFRINA e l’OSSIMETAZOLINA (con durata d’azione molto più lunga) hanno la capacit{ di legarsi ai recettori alfa1 delle arteriole dilatate della mucosa nasale e comportano una vasocostrizione limitando l’aumento di permeabilit{ e quindi l’entit{ dell’edema nasale e della congestione. Vengono infatti denominati decongestionanti nasali. La somministrazione può essere inalatoria con rapido inizio d’azione e ridotti effetti sistemici oppure orale con maggiore durata d’azione ma aumento dell’incidenza di effetti sistemici. Molto spesso si usano in associazione agli antiistaminici, però il loro uso non dovrebbe essere troppo prolungato in quanto al termine del loro utilizzo spesso si può verificare una congestione da rimbalzo e quindi non sono ottimali per un trattamento a lungo termine. Corticosteroidi Questi farmaci come FLUTICASONE, FLUNISOLIDE , BECLOMETASONE e TRIAMCINOLONE sono efficaci in questa patologia solo se somministrati come spray nasali topici. Il loro assorbimento sistemico per via nasale è bassissimo e quindi possono essere utilizzati anche per lunghi periodi senza avere effetti avversi. Sono considerati farmaci sicuri. Molto spesso risultano più efficaci degli antiistaminici nel controllo dei sintomi nasali sia da rinite allergica che non allergica. Possono esistere effetti avversi topici come irritazione nasale, sanguinamento nasale, mal di gola e raramente candidosi in quanto i cortisonici hanno un potente effetto immunosoppressivo. Cromoni Principalmente viene usato il CROMOGLICATO che può essere molto utile se somministrato prima del contatto con l’antigene in quanto è uno stabilizzatore di membrana ed evita la degranulazione e la fuoriuscita di mediatori flogistici e allergici. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 50. Farmaci sedativi della tosse I farmaci impiegati per sedare la tosse chiaramente non vengono utilizzati in tutti i pazienti che presentano la tosse in quanto questa è un meccanismo fisiologico di clearance bronchiale. Questi farmaci vengono impiegati nelle condizioni in cui la tosse è molto intensa e provoca dolore toracico e affaticamento o nella tosse secca e stizzosa che ostacola il sonno, oltre ai casi in cui viene stimolata non a seguito della sua attività di clearance ma per meccanismi diversi che interessano disfunzioni del SNC. Esistono diversi farmaci usati a tali scopi e sono: - Codeina, Idrocodone, Idromorfone - Destrometorfano - Benzonatato, Dropropizina, Levodropropizina Stimolo dei terminazioni sensitive nelle vie. resp Fibre nervose stimolono I centri tosse al bulbo Fibre escono dal bulbo ai mus. Insp., mus. Della glottide, mus. Esp. Causa: 1)veloce profonda insp. 2) rapida esp. a glottide chiusa 3) rapida apertura del glottide con vibrazione delle La CODEINA, l’IDROCODONE e l’IDROMORFONE sono tutti oppiacei che possono presentare azione corde vocali antitussigena in quanto diminuiscono la sensibilità del centro della tosse nel SNC agli stimoli periferici e riducono la secrezione mucosa. Queste azioni si verificano per dosaggi inferiori rispetto a quelli necessari per ottenere l’effetto analgesico. La codeina ha la capacità di essere un antitussigeno a differenza della morfina in quanto nella prima è presente un gruppo –CH3 che maschera un –OH in posizione 3, il quale è fondamentale per l’attivit{ analgesica, mentre nella morfina è smascherato e prevale l’effetto analgesico su quello antitussivo. La morfina possiede un gruppo –OH sul carbonio 6 che se schermato migliora l’attivit{ analgesica. Esistono pazienti con polimorfismi genici che interferiscono con il metabolismo della codeina la quale non viene trasformata in morfina e mantiene solo gli effetti antitussivi. al versante opposto esistono pazienti detti ultra-metabolizer che presentano un’elevata funzionalità del CYP2D6 e possono intensificare la trasformazione a morfina esaltando gli effetti tossici di sedazione. La codeina viene metabolizzata dal citocromo CYP2D6 per il 20% e viene trasformata al composto attivo morfina; il restante 80% viene metabolizzato dal CYP3A4 e forma composti inattivi eliminati con le urine. Il DESTROMETORFANO è un oppiaceo che ha perso quasi del tutto la capacità analgesica mentre ha una forte azione antitussigena. Esso sopprime la risposta del centro della tosse. Non ha proprietà analgesiche, né rischio di tossicodipendenza e causa meno stitichezza della codeina. È metabolizzato dal CYP2D6 a destrorfano e in gran parte dal CYP3A4 a 3-metossimorfinano. Altri farmaci sono la DROPROPIZINA e la LEVODROPROPIZINA ed essi agiscono principalmente in periferia riducendo lo stimolo all’evocazione del riflesso della tosse. Esistono anche farmaci che vengono impiegati nel trattamento antitussivo spesso associati a fluidificanti per favorire la fuoriuscita di espettorato viscoso e denso difficile da far uscire. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI ANTIULCERA FARMACI CHE INIBISCONO LA SECREZIONE ACIDA ED ALTRI FARMACI ANTIULCERA 51. Classificazione, meccanismi e criteri d’impiego dei farmaci antiacidi e antiulcera L’ulcera peptica è una patologia gastroduodenale che insorge a seguito di 3 principali eventi: - Infezione da Helicobacter Pylori - Aumento della secrezione acida gastrica - Riduzione dei meccanismi di protezione della mucosa gastrica Può originarsi sia a livello duodenale che a livello gastrico, principalmente nelle porzioni antrali e meno frequentemente nel corpo-fondo. È una condizione spiacevole che provoca dolore addominale, stillicidio cronico di sangue, dispepsia. Se si complica possono verificarsi 3 condizioni molto pericolose: perforazione, emorragia e stenosi. L’approccio terapeutico prevede l’eradicazione dell’infezione da Helicobacter Pylori, l’inibizione della secrezione gastrica acida e la protezione dela mucosa dello stomaco. La secrezione gastrica acida avviene a livello delle cellule parietali presenti sul corpo-fondo dello stomaco. Esse possiedono una pompa ATP-asica che scambia H+ con K+ liberando i protoni nel lume gastrico e facendo entrare potassio dentro la cellula. Contemporaneamente esiste un canale del cloro che fa fuoriuscire lo ione nel lume in modo tale che si coniughi con il protone per formare HCl. La secrezione gastrica viene stimolata da diversi fattori: Recettore muscarinico: l’acetilcolina si lega e stimola la secrezione Recettore H2 istaminico: l’istamina ha una funzione importante nella secrezione gastrica e favorisce soprattutto la secrezione gastrica notturna Recettore gastrinico: la gastrina liberata dalle cellule G della mucosa antrale si lega a questi recettori e stimola la secrezione acida Recettore per PGE2: la prostaglandina E2 ha un’azione opposta perché inibisce la secrezione gastrica e ha un effetto protettivo sulla mucosa. L’istamina legandosi al recettore stimola l’adenilato ciclasi e la formazione di cAMP che attiva proteine chinasi, la prostaglandina inibisce questo enzima. L’acetilcolina e la gastrina invece agiscono aumentando il flusso di calcio intracellulare I farmaci principali utilizzati per trattare l’ulcera peptica sono: - Bloccanti dei recettori H2 dell’istamina - Inibitori di pompa protonica - Prostaglandine - Antimuscarinici - Antiacidi - Farmaci protettivi della mucosa - Antibatterici (contro HP) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Antagonisti dei recettori H2 Questi farmaci sono stati ampiamente utilizzati per il trattamento dell’ulcera ma ad oggi sono stati soppiantati dagli inibitori di pompa protonica (PPI) che sembrano agire in modo più completo e con meno effetti avversi. I farmaci utilizzati di questo gruppo sono: - CIMETIDINA (capostipite) - RANITIDINA - FAMOTIDINA - NIZATIDINA Meccanismo d’azione: bloccano in modo reversibile con un antagonismo il recettore H2 dell’istamina e agiscono su tutti i recettori H2 dello stomaco, dei vasi e della altre sedi, tuttavia il loro effetto prevalente si svolge sulla mucosa gastrica e soprattutto non possiedono effetti anti H1 e quindi non hanno alcun potere antiallergico. Azioni: questi farmaci riducono la secrezione gastrica acida soprattutto derivata dal legame di istamina e gastrina, mentre sono meno efficienti nella riduzione della secrezione acida indotta da acetilcolina. L’inibizione di questo recettore ha anche uno scopo di riduzione della secrezione di gastrina in quanto sulle cellule secernenti gastrina sono presenti recettori H2 e pertanto la secrezione di gastrina viene fortemente ridotta. Sono estremamente efficaci nel prevenire la secrezione acida notturna ma anche basale e a seguito dell’ingestione di cibo. Usi terapeutici: 1. Ulcera peptica: impiego principale degli antagonisti dell’istamina. Essi favoriscono la diminuzione della secrezione acida e della progressione dell’ulcera. Tuttavia possono essere responsabili di una ricaduta dopo sospensione, per evitare questo è importante associare una terapia anti-HP. Generalmente per guarire un’ulcera impiegano 8 settimane. 2. Ulcere acute da stress: di solito vengono somministrate per via endovenosa 3. GERD: la malattia da reflusso gastro-esofageo ha visto l’utilizzo per moltissimo tempo di tali farmaci che sono efficaci nella riduzione del bruciore, però oggi sono stati sostituiti quasi completamente dagli inibitori di pompa perché si è visto che il 50% dei pazienti trattati con inibitori di H2 non trae beneficio. Farmacocinetica: sono tutti somministrati per via orale e si distribuiscono ampiamente in tutto l’organismo (entrando nella placenta e nel latte materno) e sono escreti con le urine. La cimetidina che è il capostipite ha un’emivita breve che aumenta nell’insufficienza renale. Viene metabolizzata dal sistema epatico microsomiale delle ossidasi miste per il 30% ed essendo un processo molto lento può interferire con il metabolismo di altri farmaci prolungando la loro durata d’azione (warfarin, diazepam, fenitoina, chinidina, carbamazepina, teofillina, imipramina). Il rimanente 70% è escreto immodificato con le urine. La ranitidina è un farmaco più potente e con emivita più lunga. Ha effetti collaterali minimi e non inibisce il sistema delle ossidasi a funzione mista per cui non interferisce con altri farmaci. La famotidina ha una potenza molto maggiore della cimetidina e maggiore della ranitidina. La nizatidina è simile come potenza alla ranitidina ma differisce dalle altre in quanto non è metabolizzata dal fegato e viene escreta direttamente dal rene. Effetti avversi (soprattutto dovuti alla cimetidina): Cefalea, capogiri, diarrea e dolore muscolare sono gli effetti più comuni ma sempre di lieve entità e non richiedono la sospensione del trattamento Allucinazioni e confusione si presentano solo per dosi elevate in pazienti anziani e soprattutto per somministrazioni endovenose Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetti endocrini: la cimetidina è un antiandrogeno non steroideo e stimola la formazione di ginecomastia, galattorrea e riduzione del numero di spermatozoi. In più aumenta la secrezione di prolattina. Interazione con altri farmaci: la cimetidina rallenta il metabolismo dei farmaci metabolizzati dal sistema P-450. Tutti i farmaci di questa classe a parte la famotidina inibiscono il metabolismo di primo passaggio dell’etanolo. Inoltre alcuni farmaci come il ketoconazolo non vengono assorbiti perché necessitano di un ambiente acido. Inibitori di pompa protonica (PPI) Si tratta della classe di farmaci in assoluto più utilizzata ad oggi per il trattamento di ulcere, esofagiti, GERD e condizioni ipersecretive a causa della maggior potenza rispetto agli antiistaminici e ai minori effetti collaterali. I farmaci di questo gruppo utilizzati sono: - OMEPRAZOLO (capostipite) - LANSOPRAZOLO PANTOPRAZOLO RABEPRAZOLO ESOMEPRAZOLO Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono sullo step finale della produzione di HCl in quanto inibiscono selettivamente la pompa H/K a livello delle cellule parietali gastriche. Azioni: riduzione della secrezione acida (90%) sia basale che stimolata. Di solito l’inibizione dell’acido inizia 1-2 ore dopo la somministrazione per il lansoprazolo e leggermente prima con l’omeprazolo. Si stima che la guarigione di un’ulcera peptica con tali farmaci impieghi circa 4 settimane. Usi terapeutici: 1. Ulcera peptica: soprattutto è molto efficace nell’ulcera duodenale attiva. In più hanno dimostrato una riduzione del rischio di sanguinamento a seguito di ingestione di FANS o aspirina. 2. Esofagite erosiva 3. Sindromi ipersecretive: coma la sindrome di Zollinger-Ellison in cui un gastrinoma indice un’iperproduzione di gastrina che stimola la secrezione acida 4. GERD: di prima scelta nel trattamento della malattia da reflusso gastro-esofageo 5. Utilizzo insieme a regimi antimicrobici per l’eradicazione di Helicobacter Pylori. Farmacocinetica: tutti gli inibitori di pompa vengono somministrati per via orale con una formulazione di profarmaco rivestito da una capsula resistente all’azione dei succhi gastrici, altrimenti il farmaco sarebbe distrutto dall’acidit{. Così arriva nel duodeno e qui si libera della capsula e viene assorbito entrando in circolo fino a giungere ai canalicoli secretori delle cellula parietali dello stomaco. A questo punto viene convertito nel farmaco attivo che reagisce con un residuo di cisteina della pompa protonica e la inibisce irreversibilmente. L’emivita del farmaco è abbastanza bassa, ma la durata d’azione è molto lunga in quanto l’inibizione della pompa è irreversibile e bisogna aspettare almeno 18 ore affinchè vengano sintetizzate nuove pompe attive. Questi farmaci sono escreti nelle urine e in parte nelle feci. Il pantoprazolo è l’unico ad essere disponibile anche per la somministrazione endovenosa. Effetti avversi: questi farmaci sono ben tollerati e non presentano particolari effetti avversi. Tuttavia è sorto il dubbio che l’inibizione della pompa porti ad una continua secrezione di gastrina in senso compensatorio e si è visto che nei modelli animali può insorgere un tumore carcinoide, il pericolo però sembra non sussistere per gli umani. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Essi inoltre possono stimolare la proliferazione batterica perché alzano il pH. In più i PPI interferiscono col metabolismo di warfarin, fenitoina, diazepam e ciclosporina. Un ultimo effetto avverso può essere il malassorbimento della vitamina B12 che richiede un ambiente acido per essere assorbita. Prostaglandine Esiste un farmaco che è il MISOPROSTOLO che è efficace nell’aumento della protezione della mucosa gastrica attraverso la secrezione di muco e bicarbonato e l’inibizione della secrezione di HCl. È un agonista della PGE2 che svolge naturalmente questa funzione. Si è rivelato molto utile insieme al lansoprazolo per la prevenzione delle ulcere gastriche indotte dai FANS. Tuttavia il ruolo antiacido è molto più scarso rispetto agli inibitori di pompa e agli antagonisti H2 nel trattamento delle ulcere peptiche. Non è possibile quindi l’uso profilattico di misoprostolo tranne nei pazienti che assumono cronicamente FANS e sono ad alto rischio di ulcera da FANS. Esso è clinicamente utile per la riduzione della secrezione acida solo per dosi molto più alte. Non è possibile utilizzarlo in gravidanza a causa delle contrazioni uterine. Gli effetti avversi più comuni dipendenti dalla nausea sono diarrea e vomito. Antimuscarinici La DICICLOMINA è un farmaco antimuscarinico che come tale quindi blocca la secrezione acida ed interferisce con la motilità intestinale. Può essere usato come farmaco aggiuntivo nel trattamento dell’ulcera peptica e della sindrome di Zollinger-Ellison. In ogni caso a seguito dei suoi effetti avversi notevoli (aritmie, ritenzione urinaria) il suo uso è limitato. Antiacidi Si tratta di una classe di farmaci che esplica la sua azione solo a livello chimico e quindi sono palliativi dei sintomi di bruciore ma non interferiscono con la produzione acida. Le caratteristiche per un buon antiacido sono: - Elevata capacità tamponante - Discreta durata d’azione - Privo di effetti sistemici - No effetto rebound - Buona palatabilità Azioni e impieghi: questi farmaci sono formulazioni chimiche di basi deboli che si legano all’HCl per formare acqua ed un sale abbassando quindi l’acidit{ gastrica locale e temporaneamente. Inoltre sembra che riducano anche l’attivazione del pepsinogeno in pepsina che richiede un pH minore di 4 e con gli antiacidi sembra che il pH possa alzarsi sopra tale soglia inattivando la pepsina. - IDROSSIDO DI ALLUMINIO AL(OH)3 IDROSSIDO DI MAGNESIO MG(OH)2 CARBONATO DI CALCIO CACO3 BICARBONATO DI SODIO NAHCO3 L’idrossido di alluminio e di magnesio sono ampiamente utilizzati in quanto hanno potere neutralizzante più intenso dei sali di calcio e sodio e inoltre questi non vengono assorbiti e non danno effetti sistemici come invece può fare il bicarbonato di sodio che crea lieve alcalosi metabolica. Gli antiacidi contenenti magnesio ed alluminio possono essere impiegati per curare l’ulcera peptica duodenale, ma sono meno indicati per le ulcere gastriche acute. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Gli antiacidi sembrano anche poter favorire la creazione di un film protettivo e la secrezione di prostaglandine. Tuttavia possono portare a ipergastrinemia perché i sali di calcio stimolano la liberazione di gastrina. Un’altra azione è l’assorbimento degli acidi biliari (perché il pH è tra 4 e 7) utile nel caso di reflusso duodeno-gastrico. Effetti avversi: tra gli effetti indesiderati principali ci sono la stipsi indotta da idrossido di alluminio e la diarrea indotta da idrossido di magnesio, pertanto un accoppiamento dei 2 farmaci sembra utile nel regolare la funzionalità intestinale. Il legame al fosfato da parte degli antiacidi con alluminio può portare ad ipofosfatemia. Il sodio bicarbonato può dare alcalosi metabolica ed in più libera CO2 provocando eruttazioni e flatulenza. L’assorbimento dei cationi in genere non è un problema se la funzionalit{ renale è mantenuta. Il carbonato di sodio però può aggravare l’ipertensione o l’ICC mentre il carbonato di calcio associato a cibi ad alto contenuto di calcio può portare ipercalcemia. Farmaci protettivi della mucosa Questi farmaci detti citoprotettori potenziano l’attivit{ protettiva della mucosa, riducono l’infiammazione e fanno guarire le ulcere esistenti. SUCRALFATO Si tratta di un farmaco che associa l’idrossido di alluminio con il sucrosio solfato. Ha la capacità di legarsi alle proteine con carica positiva delle cellule epiteliali sia della mucosa sana che della mucosa necrotica (quindi in sito di ulcera) e crea un gel protettivo consistente utile come barriera che previene la liberazione di HCl nel lume e contemporaneamente ostacola la digestione della mucosa gastrica da parte della pepsina. In più stimola la secrezione di prostaglandine e bicarbonato potenziando l’azione protettiva. L’utilizzo pertanto è ottimale nel trattamento cronico per la guarigione dell’ulcera peptica come terapia di mantenimento per prevenire le ricadute. Richiede un pH acido per l’attivit{ quindi non deve essere somministrato insieme a anti-H1 o antiacidi. Si assorbe molto poco nel circolo, è ben tollerato ma può dare interferenze metaboliche con altri farmaci. BISMUTO COLLOIDALE Praticamente ha le stesse caratteristiche del sucralfato facendo guarire le ulcere peptiche efficacemente mediante un legame con le proteine delle cellule necrotiche e sane formando un film attivo e stimolando la secrezione di muco, bicarbonati e prostaglandine. Ha anche una rilevante azione antimicrobica. Può simulare una melena in quanto ha la caratteristica di colorare le feci di nero. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 52. Farmaci per l’eradicazione di Helicobacter Pylori L’infezione da Helicobacter Pylori è una delle infezioni più frequenti in assoluto e si stima che il 20-30% della popolazione mondiale sia infettata da questo batterio. Si tratta di un Gram – che è la principale causa di gastrite cronica, ulcera peptica gastrica e duodenale, linfoma gastrico ed ha un ruolo favorente nell’adenocarcinoma gastrico. Ciò ha portato a studi mirati all’eradicazione del batterio la cui terapia è una delle poche ad essere preventiva o efficace nel trattare certi tumori. La trasmissione del batterio sembra essere per via oro-fecale o oro-orale. Per rilevare la presenza del batterio possono essere usati test non invasivi di facile e rapido utilizzo come l’urea breath test o l’esame sierologico, oppure esistono test invasivi come l’esame istologico a seguito di biopsia gastrica. Il trattamento farmacologico di questa infezione comprende una serie di farmaci che ad oggi vengono utilizzati insieme in una triplice terapia o talvolta in una quadruplice terapia che sembrano in grado di eradicare il 80-90% delle infezioni da HP avendo anche una buona efficacia sulla ricaduta. Molti farmaci possono essere usati per trattare l’infezione da HP: - Composti del bismuto - Amoxicillina - Tetracicline - Claritromicina - Metronidazolo - Inibitori di pompa protonica I composti del bismuto sono adiuvanti degli antibatterici in quanto aumentano la protezione della membrana della mucosa gastrica, mentre gli inibitori di pompa sembrano utili nel ruolo di riduzione dell’acidit{ e possibile miglioramento di una gastrite cronica o di un’ulcera associata all’infezione. Attualmente la terapia per un’eradicazione di circa il 90% continuativa per 2 settimane può essere triplice: INIBITORI DI POMPA + METRONIDAZOLO O AMOXICILLINA + CLARITROMICINA Oppure quadruplice: BISMUTO SUBSALICILATO + METRONIDAZOLO + TETRACICLINA + ANTAGONISTA DEL RECETTORE H2 O PPI Il trattamento con un solo farmaco è meno efficiente e consente un tasso di eradicazione del 20-30% dei casi a differenza della politerapia che raggiunge anche il 90% di eradicazione. Terapia continuativa per un ciclo di 7 giorni (eradicazione 80%): 1. PPI + Metronidazolo + Amoxicilllina 2. PPI + Claritromicina + Amoxicillina 3. PPI + Claritromicina + Metronidazolo (nel caso di allergia all’amoxicillina) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ALTRI FARMACI DELL’APPARATO DIGERENTE ANTIEMETICI. FARMACI DELLA MOTILITÀ E DELL’ASSORBIMENTO INTESTINALE 53. Farmaci antiemetici Il vomito è una condizione altamente spiacevole per l’individuo che può verificarsi frequentemente a seguito di diversi stimoli esogeni (mal di moto, gravidanza, epatite…) ma in questi casi il trattamento farmacologico non è utile. Gli unici casi in cui si utilizza una terapia appropriata per il vomito è la chemioterapia antineoplastica che nel 70-80% dei pazienti induce vomito. È importante una terapia antiemetica in questi casi perché oltre ad essere una condizione spiacevole può portare il paziente ad un rifiuto del trattamento antineoplastico potenzialmente curativo ed oltre a questo è possibile anche che un vomito continuo e cronico porti a disidratazione, sbilanciamenti elettrolitici e perdita di nutrienti. Il vomito da chemioterapia dipende dal tipo di farmaco (cisplatino è il più emetizzante in assoluto), dalla dose, dalla modalità di somministrazione e dalle variabili del paziente. I meccanismi che innescano il vomito sono gli stimoli che giungono a due specifiche regioni del tronco encefalico e del midollo spinale: - Zona chemocettrice situata alla base del quarto ventricolo che risponde a stimoli presenti nel sangue e nel liquor in quanto non è dotata di barriera EE e pertanto sensibile agli stimoli ematici. Essa è la zona di innesco. - Centro del vomito localizzato nella formazione reticolare laterale del midollo che coordina i meccanismi motori alla base del vomito. Esso risponde alla stimolazione del centro superiore, del sistema vestibolare (responsabile del mal di moto), della periferia (faringe e tratto gastrointestinale) e delle strutture corticali. I farmaci chemioterapici antineoplastici agiscono principalmente attivando la zoa chemocettrice una volta distribuiti nel circolo, ma possono facilmente anche attivare il centro del vomito attraverso una liberazione della serotonina dalla mucosa intestinale a seguito di un danno cellulare che si va a legare ai recettori 5HT3 delle fibre afferenti vagali e splancniche che scaricano al centro del vomito ed evocano il riflesso. Anche i recettori della dopamina D2 sono interessati nell’evocazione di questo riflesso. Principali farmaci antiemetici - Fenotiazine - Bloccanti del recettore della serotonina 5HT3 - Benzamidi sostituite - Butirrofenoni - Benzodiazepine - Corticosteroidi - Cannabinoidi - Bloccante del recettore della neurochinina/sostanza P Fenotiazine Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Si tratta di un gruppo di farmaci i cui principali componenti sono PROCLORPERAZINA e TIETILPERAZINA. Esse agiscono bloccando i recettori D2 della dopamina, sono efficaci nel trattamento del vomito da chemioterapici con bassa o intermedia attività emetizzante come il fluorouracile. Innalzando le dosi si ha miglioramento degli effetti tuttavia insorgono anche effetti avversi come ipotensione, irrequietezza, sintomi extrapiramidali e sedazione. Bloccanti dei recettori della serotonina 5-HT3 Questi occupano un ruolo importante in queste situazioni in quanto hanno una lunga durata d’azione e sono risultati efficaci contro tutte le terapie emetizzanti. Essi bloccano questo recettore della serotonina sia nell’encefalo (zona chemocettrice) sia in periferia (fibre afferenti vagali) riducendo marcatamente lo stimolo del vomito. I principali farmaci usati sono: - ONDANSETRON - DOLASETRON - GRANISETRON - PALONOSETRON Con l’ondansetron e il granisetron si è vista una riduzione del 50-60% del vomito nei pazienti in terapia con cisplatino. Possono essere somministrati in dose singola prima della chemioterapia sia per via orale che per via endovenosa. Questi farmaci sono metabolizzati dal fegato e le dosi vanno aggiustate per i pazienti con insufficienza epatica. Sono eliminati con le urine. Un comune effetto collaterale è la cefalea e in alcuni casi possono presentarsi anche alterazioni dell’ECG con allungamento del tratto QT. Sono farmaci molto costosi. Benzamidi sostituite La METOCLOPRAMIDE è l’unico componente del gruppo e svolge la sua azione in modo molto efficace bloccando i recettori D2 della dopamina a livello centrale ed esplica il suo effetto principale riducendo la capacità emetizzante del cisplatino. Essa attraversa la barriera EE e quindi dà effetti avversi importanti extrapiramidali, sedazione e diarrea (essendo antidopaminergico è parzialmente procinetico) e in più sembra avere un’azione iperprolattinemizzante. Uso limitato per le importanti reazioni avverse. Butirrofenoni - DOMPERIDONE - DROPERIDOLO - ALOPERIDOLO È una classe di farmaci antagonisti del recettore D2 della dopamina. Sono antiemetici moderatamente efficaci. Spesso il droperidolo è usato in endoscopia per sedazione insieme a oppiacei e BDZ. Prolungano l’intervallo QT e sono indicate solo nei pazienti che non rispondono ad altre terapie. Il domperidone non attraversa la barriera EE e non dà effetti collaterali extrapiramidali. Agisce sull’epifisi, ipofisi e CTZ che sono al di l{ della barriera. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Benzodiazepine LORAZEPAM e ALPRAZOLAM hanno potenza antiemetica alquanto bassa. Benefici utili per sedazione, ansiolitici e amnesici. Possono essere usate nel vomito anticipatorio. Corticosteroidi Normalmente vengono impiegati il DESAMETASONE ed il METILPREDNISOLONE che da soli hanno una certa capacità antiemetica ma di solito vengono associati ad altri farmaci potenziando l’azione. Forse il loro meccanismo implica un blocco della secrezione di prostaglandine. Possono dare insonnia e iperglicemia nei diabetici. Cannabinoidi DRONABINOLO e NABILONE possono essere usati come antiemetici ma non di prima linea a causa dei loro effetti collaterali di sedazione, allucinazioni, disforia, vertigini e disorientamento. Utili nella terapia moderatamente emetizzante. Oggi però i cannabinoidi sintetici non passano la barriera EE e quindi possono essere usati in quanto non causano effetti sul SNC ma conservano l’effetto antiemetico. Bloccante del recettore della neurochinina/sostanza P Si tratta di una classe di farmaci molto recente di cui fa parte l’APREPITANT che agisce sul recettore dell’encefalo NK1 che lega la sostanza P (normale mediatore). In questo modo si verifica una riduzione della capacità emetizzante agendo direttamente sulla zona chemocettrice centrale. Di solito si somministra insieme al desametasone e al palonosetron e subisce un esteso metabolismo epatico da parte del CYP3A4 sul quale ha azione anche di induttore. Perciò da un lato rallenta il metabolismo degli altri farmaci ma dall’altro induce l’enzima e quindi certi farmaci possono avere un’emivita ridotta (warfarin). Stipsi e affaticamento sono gli effetti avversi principali. Molto spesso gli antiemetici acquistano efficacia maggiore se associati e inoltre l’associazione riduce anche i potenziali effetti collaterali. Normalmente i corticosteroidi vengono associati a qualsiasi classe di antiemetici e migliorano l’effetto oltre a ridurre gli effetti avversi. Con la metoclopramide vengono dati anche antistaminici per ridurre le azioni extrapiramidali o corticosteroidi per combattere la diarrea indotta da questo farmaco. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 54. Farmaci lassativi e purganti I lassativi sono farmaci che agiscono aumentando la motilità intestinale e spesso sono farmaci ad uso personale che vengono utilizzati anche in eccesso rispetto alle necessità. Essi si suddividono in base al meccanismo d’azione in: - Lassativi Irritanti / Stimolanti - Lassativi formanti massa - Emollienti delle feci Irritanti / Stimolanti In questo gruppo sono presenti sostanze che agiscono stimolando la motilit{ dell’intestino e la velocità di fuoriuscita del contenuto in parte per azione irritante e in parte per azione propriamente stimolante. Fanno parte di questo gruppo: - OLIO DI RICINO : irritante per l’intestino - CASCARA, SENNA, ALOE: contengono emodina che stimola l’attivit{ del colon con un ritardo nell’inizio dell’azione di 6-8 ore - BISACODILE : potente stimolante del colon Come effetti avversi possono dare crampi addominali e disturbi dell’omeostasi idrosalina. Tuttavia l’attivit{ purgante è molto più potente e rilevante rispetto all’attivit{ idrosalina. Formanti massa Comprendono i colloidi idrofili che hanno la caratteristica di non venire digeriti e di assorbire e trattenere una notevole quantit{ d’acqua in modo da dilatare le pareti del colon e provocare un incremento di motilità. - - AGAR, METILCELLULOSA , SEMI DI PSILLIO , CRUSCA PURGANTI SALINI : magnesio solfato e magnesio idrossido sono sali non assorbibili che arrivano nel colon con una grande quantit{ d’acqua e distendono il colon provocando la defecazione entro 1 ora GLICOLE POLIETILENICO : usata come soluzione per il lavaggio del colon in previsione di un intervento endoscopico o radiologico. LATTULOSIO : lassativo osmotico disaccaride in grado anche di ridurre l’encefalopatia epatica nel cirrotico a causa dell’inibizione della secrezione di NH3 da parte dei batteri intestinali Emollienti delle feci In questo gruppo sono compresi agenti di superficie che si emulsionano con il contenuto dell’intestino e producono feci più morbide facilitandone il transito. - DOCUSATO SODICO OLIO DI VASELINA (PARAFFINA LIQUIDA ) SUPPOSTE DI GLICERINA Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 55. Farmaci della motilità gastrointestinale: procinetici, antidiarroici I farmaci utilizzati per trattare la diarrea agiscono come fattori che riducono la motilità intestinale o come adsorbenti. Infine esistono anche farmaci che diminuiscono il trasporto di liquidi ed elettroliti. Agenti antimotilità In questa categoria sono presenti 2 farmaci ampiamente utilizzati nel controllo della diarrea: - LOPERAMIDE DIFENOSSILATO Questi 2 farmaci sono derivati dalla meperidina che ha azioni di tipo oppiaceo sull’intestino legandosi ai recettori per gli oppiacei presinaptici sui neuroni del sistema nervoso enterico e bloccano la liberazione di acetilcolina riducendo la peristalsi. A dosi abituali sono privi di effetti analgesici ma come effetti collaterali possono presentarsi sedazione, crampi addominali e capogiri. Visto che possono provocare megacolon tossico sono controindicati nei bambini e nei pazienti con coliti di grado elevato. Adsorbenti Questi farmaci comprendono il CAOLINO, la PECTINA, la METILCELLULOSA, L’ATTAPULGITE ATTIVATA e il SILICATO DI MAGNESIO ED ALLUMINIO . Essi sono ampiamente usati contro la diarrea ma la loro efficacia non è stata provata da studi clinici specifici. Forse essi agiscono adsorbendo le tossine ed i microrganismi intestinali e/o rivestendo e proteggendo la mucosa intestinale. Sono molto meno efficaci degli agenti antimotilità. Oltre a causare stipsi possono dare anche interferenze con l’assorbimento di altri farmaci. Farmaci che modificano il trasporto di liquidi ed elettroliti Si è visto che i FANS come l’ASA permettono una riduzione dell’entit{ della diarrea. Forse l’effetto è associato ad una riduzione della secrezione di prostaglandine. Il bismuto subsalicilato è utilizzato per la diarrea del viaggiatore e riduce la secrezione di liquidi nel colon. La sua azione è probabilmente dovuta alla componente salicilata. Farmaci procinetici Sono farmaci che stimolano la motilità gastrointestinale. Dal punto di vista farmacologico si dividono in: - agenti antidopaminergici (antagonisti dei recettori D2 della dopamina) - agenti antidopaminergici con proprietà serotoninergiche (antagonisti dei rec.D2/agonisti dei rec 5-HT4) - agenti serotoninergici (agonisti dei rec 5-HT4) La METAPRONAMIDE rappresenta il prototipo dei procinetici: esso ha effetto antiemetico ma non può essere considerato un lassativo. I setroni hanno effetto solo antiemetico e non sono procinetici (ONDASETRON è un antagonista del rec 5-HT3): determinano infatti stipsi. E’ dunque importante distinguere tra 5-HT3 antagonisti che inibiscono la liberazione di Ach e inducono stipsi e agonisti del rec. 5-HT4 che funzionano da procinetici (attualmente non ne esistono in commercio). Il DOMPERIDONE è un bloccante dei recettori D2 della dopamina e ha azione antiemetica e solo blanda procinetica (non ha alcuna azione sui recettori serotoninergici). Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 La LEVOSULPIRIDE ha azione sul recettore sul recettore serotoninergico e a basse dosi ha azione procinetica, a alte dosi ha azione neurolettica. Farmaci per il trattamento delle IBD Gli obiettivi clinici comprendono il controllo delle esacerbazioni, il mantenimento della remissione e il trattamento di complicanze specifiche. I farmaci utilizzati appartengono a diverse classi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 OBESITÀ Una persona è definita obesa quando il suo Indice di Massa Corporea (Body-mass index, BMI) è superiore a 30 kg/m2, quando il BMI è superiore a 40 parliamo di obesità grave, che è una forma di obesità che implica un serio rischio per la salute; L’obesit{ è associata ad un aumento della mortalità prematura e della mortalità per malattie cardiovascolari; Le linee guida internazionali consigliano innanzitutto una modifica delle abitudini di vita (dieta, attività fisica) e successivamente la terapia farmacologica. I farmaci attualmente disponibili per il trattamento dell’obesit{ sono la sibutramina (Revocata nel 2009), l’orlistat e (il nuovo) rimonabant (Revocato nel 2008). ORLISTAT L’orlistat è un inibitore della lipasi gastrica e pancreatica e riduce l’assorbimento dei grassi del 30%; Lo scarso assorbimento sistemico comporta una biodisponibilit{ di circa l’1%; Il farmaco viene escreto immodificato con le feci; Le reazioni avverse principali sono a carico dell’apparato gastrointestinale con diarrea e steatorrea; La terapia va sospesa se dopo 12 settimane non si è perso almeno il 5% di peso; La riduzione media del peso corporeo è del 2,7%, e sembra che riduca anche l’incidenza del diabete di tipo II. Non esistono dati che dimostrino la riduzione della mortalità e della morbilità correlate all’obesit{. SIBUTRAMINA È un inibitore della ricaptazione delle monoamine e agisce a livello centrale. Aumenta il senso di sazietà. Aumenta la termogenesi anche se questo effetto è secondario nella riduzione del peso. Subisce estensivo effetto di primo passaggio epatico e si trasforma in amine ancora più potenti della molecola progenitrice; Il farmaco e i metaboliti vengono escreti con le urine; Le reazioni avverse principali sono insonnia, nausea e costipazione. Il suo rischio cardiovascolare resta incerto; La riduzione media del peso corporeo dopo un anno di terapia è stato del 4,6% e non ha effetti sulla glicemia e sulla colesterolemia. Il suo effetto è maggiore quando associata a modifiche delle abitudini di vita. Il farmaco è stato revocato per problemi di sicurezza nel 2009. RIMONABANT È il primo antagonista del recettore endogeno dei cannabinoidi CB1. Sembra che l’effetto dimagrante sia dovuto all’aumento della termogenesi, all’aumento del consumo di ossigeno nel muscolo scheletrico, alla riduzione della lipogenesi nel fegato e negli adipociti ecc; Viene metabolizzato a livello epatico ed escreto attraverso la bile; Il farmaco e i metaboliti vengono escreti con le urine; La riduzione media del peso corporeo dopo un anno di terapia con 20 mg è stato di 4,6 kg anche se, alla sospensione del trattamento, gran parte dei pazienti ha riacquistato il peso perduto. Sembra che sia in grado di migliorare il profilo lipidico; Un problema di sicurezza emerso recentemente riguarda il rischio di oltre 2 volte rispetto al placebo di reazioni psichiatriche gravi (inclusa la tendenza al suicidio); Il farmaco è stato revocato per problemi di sicurezza nel 2008. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI ANTINFIAMMATORI GLUCOCORTICOIDI 56. Azioni farmacologiche, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati dei glucocorticoidi I glucocorticoidi sono ormoni prodotti dalla corticale del surrene ed in particolare dalla zona fascicolata centrale. L’ormone naturale prodotto è il cortisolo che è responsabile di innumerevoli azioni sistemiche a carico di diversi apparati e viene secreto con picchi circadiani il cui culmine è al mattino intorno alla 8. La sua azione principale è l’aumento della concentrazione ematica di glucosio al fine di rendere disponibili le riserve energetiche per affrontare gli stress quotidiani ed in quantità più elevate per superare gli stress acuti come traumi, operazioni chirurgiche, dolori. Pertanto ha azione metabolica ma possiede anche una fondamentale azione antinfiammatoria e immunosoppressiva che è la principale caratteristica sfruttata in farmacologia. Le altre azioni generalmente sono responsabili degli effetti tossici del cortisolo e visto che i recettori per i glucocorticoidi sono sparsi in tutti i tessuti gli effetti tossici possono essere innumerevoli. Oltre al cortisolo sono stati sintetizzati molti composti che hanno azioni analoghe al cortisolo e sono utilizzati per trattare pazienti con diverse condizioni patologiche come stati infiammatori cronici, malattie reumatiche, allergie alcune forme di cancro o nella terapia sostitutiva. Questi cortisonici di sintesi si differenziano tra loro per: Durata d’azione Attività mineralcorticoide Potenza antinfiammatoria I principali corticosteroidi impiegati in clinica sono: IDROCORTISONE (cortisolo naturale) PREDNISONE PREDNISOLONE METILPREDNISOLONE TRIAMCINOLONE FLUPREDNISOLONE BETAMETASONE DESAMETASONE L’idrocortisone viene preso come standard con attivit{ antinfiammatoria = 1 e attivit{ mineralcorticoide = 1. La dose orale equivalente è 20 mg. Farmaco Attività antiinfiammatoria Ritenzione H2O/Na+ Dose orale equivalente (mg) Idrocortisone 1 1 20 Prednisone 4 0.3 5 Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Prednisolone 5 0.3 5 Metilprednisolone 5 0 4 Triamcinolone 5 0 4 Fluprednisolone 15 0 1.5 Betametasone 25-40 0 0.6 Desametasone 30 0 0.75 Meccanismo d’azione Le modalit{ molecolari d’azione non sono ancora ben chiare. I glucocorticoidi si legano al recettore specifico per il cortisone. Il legame al recettore può scatenare 2 tipi di reazioni: 1) Azione genomica: modalità con cui il recettore associato al cortisonico forma un dimero e viene trasportato all’interno del nucleo (spesso il recettore è intracitoplasmatico) e qui una porzione interna del recettore si lega a determinate regioni promotrici di geni che codificano per diverse proteine come la lipocortina-1 e l’inibitore del recettore dell’IL-1 e anche l’IL-10. Esiste però anche una serie di geni che possono essere silenziati dal complesso recettore/cortisone come tutti i geni coinvolti nella produzione di citochine, mediatori, molecole di adesione pro-flogistiche soggette a regolazione da parte di fattori di trascrizione nucleari come NFKB e AP-1. Le attività genomiche infatti possono essere suddivise in processi di: Transattivazione: in cui una porzione che lega il DNA va direttamente a legarsi a sequenze nucleotidiche dei promotori dei geni bersaglio. Transrepressione: effettuabile sia direttamente attraverso interazione con sequenze nucleotidiche repressive ma anche mediante l’interferenza con fattori di trascrizione come NF-kB o AP-1 bloccando la loro azione positiva sul promotore. Gli effetti antinfiammatori e immunomodulatori dipendono in gran parte dall’interazione con fattori di trascrizione come NF-kB e AP-1. Le azioni genomiche andando ad influire direttamente sul DNA richiedono ore o giorni per il verificarsi degli effetti e quindi sono a lenta insorgenza. Un tipico esempio di effetto genomico è l’inibizione della sintesi della COX-2 da parte delle cellule dell’infiammazione. 2) Azione non genomica: si tratta di un’attivit{ che si compie in modo molto più veloce e in tempi più brevi, non interessa la trascrizione genica e riguarda l’interazione con un recettore transmembrana anche se ci sono alcune ipotesi dell’esistenza di recettori citoplasmatici anche per questo gruppo. A seguito del legame si verificano i meccanismi di trasduzione del messaggio intracellulalre senza interessare il DNA. Un tipico esempio è il blocco della fosfolipasi A2. Quest’attivit{ può essere svolta con la presenza del solo glucocorticoide e in tal caso si tratta di una reazione diretta, ma anche con la presenza di un co-agonista e in tal caso è una modalità indiretta. Alcuni tra gli effetti rapidi non genomici sono: Modulazione dell’eccitabilit{ neuronale e della neurotrasmissione Effetti sul comportamento Inibizione del reclutamento di leucociti nelle articolazioni infiammate in pazienti con AR (attività antinfiammatoria) Stimolazione della funziona endoteliale prevenendo la formazione della placca ateromasica per induzione dell’enzima eNOS. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetto genomico Effetto non genomico (soppressione gene COX-2) (inibizione di fosfolipasi A2) METILPREDNISOLONE no si FLUTICASONE si no MOMETASONE si no BUDESONIDE si no BECLOMETASONE DIPR. si no BECLOMETASONE si si PREDNISOLONE si no IDROCORTISONE si si TRIAMCINOLONE si si ACETONIDE Esistono dei casi in cui sono presenti alterazioni geniche delle conformazioni dei recettori dei glucocorticoidi e in questo modo non si ha più una risposta adeguata. Le implicazioni cliniche possono essere varie: - Resistenza all’azione dei glucocorticoidi - Neoplasie - Alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene - Alterazioni metaboliche - Alterazioni delle funzioni cardiovascolari - Disfunzioni immunitarie - Comportamento Si è visto a seguito di appropriati studi clinici che nei pazienti con asma resistente agli steroidi e colite ulcerosa resistente anch’essa al trattamento corticosteroideo che questi individui avevano un aumentata espressione di una particolare isoforma del recettore G, cioè hGRβ riscontrata sia nel liquido di lavaggio bronchiale e nei linfociti delle vie aeree sia nella mucosa intestinale. In più si è visto che tale recettore sembra coinvolto anche nell’insorgenza dell’artrite reumatoide. Azioni Elenco delle principali azioni dei glucocorticoidi: - METABOLICA o Aumento lipolisi o Aumento gluconeogenesi o Aumento catabolismo proteico per rendere disponibili gli aminoacidi come scheletri per la sintesi glucidica (tranne nel fegato) o Aumento glicogenolisi o Nel muscolo inibisce l’uptake di glucosio che altrimenti si ridurrebbe e favorisce l’utilizzo di acidi grassi per ricavare energia essendo questi maggiormente mobilizzati dal tessuto adiposo per aumento di lipolisi (azione sulla lipasi ormone-sensibile) verso i visceri (aumento del grasso viscerale). Le conseguenze dannose di queste azioni metaboliche possono essere l’iperglicemia che porta ad un’insulino-resistenza ed un diabete mellito, l’obesit{ viscerale, la dislipidemia. - ANTINFIAMMATORIA e IMMUNOSOPPRESSORE o Redistribuzione dei leucociti verso altri compartimenti corporei come il tessuto linfatico, eliminandoli dal circolo soprattutto linfociti, macrofagi, basofili ed eosinofili. I neutrofili sono risparmiati mentre le piastrine e gli eritrociti aumentano (potendo anche causare fenomeni trombotici in eccesso). Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - - - - o Riduzione della sintesi della COX-2 che previene la produzione di prostaglandine e trombossani utili nei meccanismi infiammatori o Blocco della fosfolipasi A2 ad opera della lipocortina che aumenta a seguito dei glucocorticoidi in circolo o Interferenza con la degranulazione dei mastociti e dei basofili riducendo la produzione di istamina e tutte le risposte allergiche o Inibizione della capacità di linfociti e macrofagi di rispondere agli stimoli mitogeni e antigenici o Riduzione della vasodilatazione e della fuoriuscita di liquidi o Riduzione della produzione di anticorpi, citochine e fattori del complemento circolanti. È evidente che un’eccesso di glucocorticoidi può portare ad una maggior suscettibilit{ alle infezioni e ad un rallentamento della guarigione delle ferite. VASOCOSTRITTRICE o I cortisonici aumentano leggermente la sensibilità agli stimoli vasopressori (angiotensina e catecolamine) e diminuiscono la dilatazione NO mediata o Hanno anche una lieve azione mineralcorticoide, soprattutto alcuni corticosteroidi di sintesi e pertanto stimolano il riassorbimento di sodio e acqua dal rene con sovraccarico idrico e possibili edemi. I risultati di un eccesso di corticosteroidi possono essere ipertensione arteriosa e ipertrofia cardiaca OSSEA o Aumento dell’attivit{ osteoclastica per ricavare aminoacidi utili nelle gluconeogenesi o Riduzione dell’attività osteoblastica o Riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio o Aumentata escrezione urinaria di calcio o Riduzione della sintesi di ormoni sessuali (che favoriscono la deposizione ossea). Il risultato sul metabolismo osseo è normalmente il principale effetto indesiderato di una terapia a lungo termine con corticosteroidi in quanto favorisce e velocizza i processi che portano ad osteoporosi. ENDOCRINA o Inibizione della pulsatilità di LH ed FSH provocano nella donna amenorrea, ipogonadismo e sindromi simili all’ovaio policistico o Iperproduzione di androgeni determinano iperandrogenismo femminile che si manifesta con irsutismo ed acne o Riduzione della produzione di TSH o Inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene attraverso un abbassamento nella secrezione di CRH e ACTH che provoca con il tempo una soppressione surrenalica potenzialmente fatale se la terapia viene interrotta drasticamente. Questo effetto si presenta solo se la somministrazione è cronica, a dosi elevate e continuativa senza giorni di sosta. NEUROLOGICA o Il sistema nervoso centrale possiede molti recettori per i glucocorticoidi soprattutto a livello dell’ippocampo, dell’amigdala che controllano l’apprendimento, il comportamento, l’umore e la memoria. Per questo nell’eccesso di cortisonici (ma anche nel difetto) si possono verificare riduzione della concentrazione e della memoria, insonnia, labilità emotiva, irritabilità e depressione resistente ad ogni tipo di terapia farmacologica. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Usi terapeutici 1. Terapia antinfiammatoria/immunosoppressiva a. Asma b. Reazioni allergiche (rinite allergica, da farmaci, da siero, da trasfusione) c. Malattie su base infiammatoria-autoimmunitaria i. Artrite reumatoide ii. Malattie infiammatorie intestinali (RCU e MC) iii. Malattie varie del tessuto connettivo iv. Reazioni di rigetto In generale può essere utilizzata come terapia contro le forme di infiammazione caratterizzate da gonfiore, rossore, calore e tensione specialmente nelle articolazioni e nella cute (in questi casi vengono usate preparazioni per uso topico). 2. Terapia sostitutiva a. Insufficienza surrenalica primitiva (morbo di Addison): in questo caso è necessaria la somministrazione di idrocortisone altrimenti il paziente va incontro a morte. Si tratta di una malattia a carattere autoimmune in cui viene diretta una reazione contro la corticale del surrene che viene progressivamente distrutta. In genere si somministra con un dosaggio giornaliero in cui 2/3 della dose vengono dati al mattino e l’ultimo terzo al pomeriggio per cercare di seguire il ritmo circadiano della secrezione del cortisolo. Per elevare l’attivit{ mineralcorticoide è opportuno somministrare anche fludrocortisone. b. Insufficienza surrenalica secondaria: derivata da una patologia a carico dell’ipofisi o dell’ipotalamo che non sono più in grado di secernere ACTH e CRH e la produzione di cortisolo ricomincia quando viene somministrata corticotropina. In ogni caso si usa l’idrocortisone. In questa situazione comunque la secrezione mineralcorticoide è meno interessata perché l’ACTH controlla soprattutto la zona reticolare e fascicolata della corticale del surrene piuttosto che la glomerulare dove sono prodotti mineralcorticoidi. c. Iperplasia corticosurrenale congenita: condizione in cui si ha un blocco enzimatico a livello della catena di reazioni che catalizzano la formazione di steroidi a partire dal colesterolo. In questo caso sono bloccati enzimi che però non compromettono la produzioni di androgeni e per questo si manifesta con iperandrogenismo femminile. Si utilizza l’idrocortisone in modo tale da fornire al paziente la giusta dose di ormoni inibendo l’asse ipotalamo-ipofisi così da ridurre gli stimoli che esaltano la secrezione di androgeni. 3. Diagnosi della sindrome di Cushing: utile il test al desametasone ad alte dosi che è in grado di andare a bloccare il sistema ipotalamo-ipofisi che quindi non produce più corticotropine (ad alte dosi sopprime anche le tropine secrete dall’adenoma ipofisario). Se il cortisolo si abbassa allora siamo di fronte ad una malattia di Cushing (adenoma ipofisario secernente ACTH), se la secrezione non si ferma siamo di fronte invece ad un adenoma secernente surrenalico. 4. Accelerazione della maturazione polmonare: il beclometasone viene utilizzato per accelerare lo sviluppo di surfattante nei nati prematuri per evitare la sindrome da distress respiratorio acuto del neonato. Viene quindi somministrato alla madre 48 ore prima del parto e una seconda dose 24 ore prima. 5. Terapia antineoplastica: a. Neoplasie ematologiche (linfoma di Hodgkin e leucemia linfocitica acuta) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 b. Anti-edema (per i tumori primitivi o metastatici che determinano edema cerebrale) c. Terapia profilattica del vomito indotto da chemioterapici Farmacocinetica Le vie di somministrazione sono diverse e in genere tutti i cortisonici possono essere somministrati attraverso diverse vie: - Via orale: tutti i cortisonici sono attivi per via orale - Via endovenosa: alcuni composti possono essere dati in endovena per ottenere un raggiungimento del target terapeutico in un tempo più ristretto - Via intramuscolare: utile per ottenere effetti prolungati di preparazioni in sospensione - Via intrarticolare - Via topica - Aerosol In genere tutte queste modalità di somministrazione prevedono un assorbimento sistemico. Una volta assorbiti vengono coniugati per il 90% alle proteine plasmatiche, in parte all’albumina ma soprattutto alla globulina legante i cortisonici (CBG). Essi vengono metabolizzati dagli enzimi epatici e pertanto pazienti con disfunzioni epatiche possono avere un’allungamento dell’emivita dei composti. Essi vengono coniugati con acido glucuronico ed escreti con le urine. Il prednisone è l’unico che può essere somministrato nelle donne in gravidanza perché non ha effetto sul feto. Il prednisone viene convertito nel fegato della madre a prednisolone (composto attivo) ma non agisce sul feto. Il prednisolone prodotto dalla madre entra nel feto ma viene subito biotrasformato in prednisone. Farmaco Via orale Via parenterale Via topica Idrocortisone + + + Prednisone + Prednisolone + + + Metilprednisolone + + + Triamcinolone + + + Fluprednisolone + Betametasone + + + Desametasone + + + La posologia dei glucocorticoidi rende necessaria la valutazione dell’efficacia antinfiammatoria, della durata d’azione e soprattutto dell’azione mineralcorticoide. Inoltre va dosato per i vari momenti della giornata. È opportuno somministrare cortisonini a giorni alterni in modo tale da evitare la soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi. Effetti avversi Osteoporosi (principale evento avverso che non può essere prevenuto dalla somministrazione a giorni alterni). I pazienti sono invitati a prendere supplementi di calcio e vitamina D Sindrome di Cushing Iperglicemia e diabete mellito Aumento del rischio di infezioni Aumento dell’appetito Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Disturbi emotivi Ipertensione Edema Ulcere peptiche Glaucoma e cataratta Ipokaliemia Irsutismo Interazione con altri farmaci (necessita aggiustamento delle dosi) È fondamentale che la terapia venga sospesa in modo graduale in quanto durante la terapia il sistema ipotalamo-ipofisi-surrene è inibito e soppresso e pertanto se si interrompe improvvisamente la terapia si ha una situazione di insufficienza surrenalica acuta che può essere anche mortale. Principali farmaci utilizzati per il trattamento delle IBD Farmaco Preparazioni orali Preparazioni iniettabili Altre preparazioni 100-1000 mg 100 mg (clistere) 125 mg (schiuma) 25 mg (soluzione) Prednisolone sodio fosfato 20 mg 5 mg (soluzione) 20 mg (soluzione) 20 mg (clistere) Metilprednisolone acetato 20-40 mg Idrocortisone sodio succinato Prednisone 5 mg 25 mg Metilprednisolone sodio succinato 4 mg 8-20-40 mg Farmaco Prednisolone metasulfobenzoato Tixocortolo pivalato Budesonide Beclometasone dipropionato Fluticasone propinato Assorbimento intestinale + + +++ + ± +++ +++ +++ +++ 250 mg (rettale) 9 mg (orale) 1-4 mg (rettale) 1-2 mg (rettale) 20 mg (orale) Metabolismo epatico di I passaggio Dose quotidiana 20 mg (orale) 20 mg (rettale) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Cortisonici topici I principali cortisonici utilizzati per uso topico sono l’idrocortisone, il cortisone e il corticosterone. Questi composti hanno diverso grado di assorbimento in base alla formulazione farmaceutica, alla porzione della cute in cui sono applicati (se lo spessore dello strato corneo è consistente l’assorbimento sar{ più difficile), alle caratteristiche del paziente e al grado di sudorazione. Per esempio la somministrazione scrotale e sulla fronte hanno una capacità di assorbimento elevata. Nel grafico concentrazione-tempo è possibile vedere che rispetto alla somministrazione orale il Cmax è molto ridotto visto che l’assorbimento sistemico è limitato, il tmax è aumentato ed il raggiungimento del picco di concentrazioni è spostato a destra, l’AUC è ridotta sempre perché la biodisponibilità orale è molto maggiore che quella topica che agisce principalmente a livello locale e meno sistemico, il t1/2 è aumentato. Il picco della somministrazione topica è ritardato in quanto hanno influenza la forma farmaceutica differente, lo spessore dello strato corneo, il livello di macerazione dello strato corneo e la zona di applicazione (generalmente il cortisone penetra meglio nelle aree in cui sono presenti più annessi cutanei). Metodiche per la valutazione della potenza dei glucocorticoidi - Test di vasocostrizione - Test di eritema indotto dai raggi UV - Test di eritema indotto dal lipopolisaccaride batterico - Test di atrofia cutanea (derivati con scarsa attività antiproliferativa) - Altri test (misurazione dello spessore cutaneo, acne…) In base alla potenza i glucocorticoidi topici si possono dividere in: Superpotenti: betametasone dipropionato, clobetasolo propionato Potenti: desossimetasone, amcinonide Potenza medio-alta: betametasone valerato, fluticasone propionato Potenza media: clocortolone pivalato, desossimetasone Potenza medio-bassa: idrocortisone butirrato Potenza moderata: aclometasone, desonide Potenza bassa: idrocortisone, desametasone, metilprednisolone, prednisolone Effetti avversi locali: - Alterazioni atrofiche (atrofia steroidea, telangiectasia, strie) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Infezioni (herpes, candida, microbi occulti) - Alterazioni oculari (cataratta e glaucoma) - Effetti farmacologici (dipendenza e tachifilassi) - Acne, alterazioni pigmentarie… Questi effetti dipendono soprattutto dalla capacità antiproliferativa ed immunosopressoria. Il rischio è proporzionale alla dose, alla potenza e alla durata del trattamento. L’incidenza di effetti sistemici è abbastanza rara e soprattutto si manifesta con alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Di solito si può verificare per quantità croniche elevate, composti molto potenti e ampia superficie di applicazione. I neonati e i bambini sono più soggetti a queste reazioni. Per prevenire l’assorbimento sistemico elevato è opportuno evitare di dare cortisonici ad alta potenza nelle zone ad alta permeabilità, evitare di prolungare trattamenti inefficaci, utilizzare cortisonini con potenza minima a controllare la malattia. È opportuno anche somministrare 2 farmaci con meccanismi d’azione distinti per ridurre le dosi oppure 2 farmaci distinti o identici sequenziali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS) E ANTIGOTTOSI 57. Classificazione, meccanismo d’azione, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati dei FANS L’infiammazione è una reazione fisiologica dell’individuo ad un evento avverso volta ad eliminare l’agente traumatico che può essere un microrganismo, una sostanza chimica o un trauma tissutale che necessita di una riparazione. Esistono però dei processi in cui l’infiammazione gioca un ruolo atipico e si scatena a seguito di agenti innocui come i pollini in caso di allergia oppure a seguito di azioni autoimmuni come l’artrite reumatoide. In tal caso l’infiammazione non porta ad alcun beneficio ed è necessario sopprimerla altrimenti si hanno dei danni ai tessuti coinvolti. L’infiammazione è innescata da una serie di agenti molecolari detti fattori proflogistici che favoriscono la flogosi in tutte le sue componenti (vascolare, molecolare e cellulare). Le prostaglandine giocano un ruolo fondamentale nell’infiammazione e infatti la maggior parte dei farmaci antinfiammatori basa la sua azione molecolare sull’inibizione della produzione di prostaglandine. Esse derivano dal metabolismo dell’acido arachidonico che genera i prostanoidi (prostaglandine, trombossani e prostacicline) attraverso l’induzione dell’enzima ciclo-ossigenasi (COX) espresso in una grande quantità di tessuti costitutivamente e in altri la sua presenza è inducibile dall’infiammazione. Le prostaglandine svolgono diversi ruoli fisiologici: - Aumentano la sensibilizzazione dei recettori periferici ai mediatori algogeni e allo stasso tempo favoriscono anche la trasmissione degli impulsi dolorifici periferici al SNC e di conseguenza hanno un’azione stimolante il dolore. - Innalzano la temperatura corporea agendo sui meccanismi di termoregolazione centrali a livello ipotalamico e quindi sono piretiche. - Sono alla base di meccanismi infiammatori attraverso il reclutamento di cellule infiammatorie, aumento della permeabilità vasale e fuoriuscita di liquidi. - Le prostacicline (altri prostanoidi) hanno azioni antitrombotiche e sono prodotte dal normale endotelio. - I trombossani (altri prostanoidi) favoriscono l’aggregazione piastrinica agendo localmente sulle piastrine e favorendo l’influsso di calcio e la loro degranulazione. In altri tessuti però possono indurre costrizione della muscolatura liscia. - Le prostaglandine (soprattutto la PGE2) ha un ruolo protettivo sulla mucosa gastrica aumentando la produzione di muco in modo da proteggerla dall’esposizione all’acido. - Le prostaglandine agiscono stimolando la perfusione renale e favorendo una costante filtrazione glomerulare. - Le prostaglandine sembrano avere un’azione induttrice sulla proliferazione delle cellule della mucosa colica favorendo la genesi di polipi e accelerando la trasformazione maligna. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Esistono 2 vie che portano al metabolismo dell’acido arachidonico: Via della ciclossigenasi: bersaglio della terapia antinfiammatoria. Esiste in 2 isoforme, una detta costitutiva perché presente normalmente in molti tessuti (COX-1) ed una detta inducibile perché presente costitutivamente in meno tessuti ma a seguito dello stimolo flogistico viene iperespressa. Essa produce prostaglandine, prostacicline e trombossani. Via della lipossigenasi: essa ha la funzione di produrre leucotrieni che hanno azione chemiotattica e broncocostrittrice. COX-1 È un enzima presente costitutivamente in rene, stomaco, intestino, piastrine ed endotelio. In presenza di alcuni stimoli infiammatori la sua azione può essere potenziata. La maggior parte dei FANS agiscono inibendo la COX-1 ma non selettivamente e quindi hanno un’azione anche sulla COX-2. Il bersaglio dell’azione farmacologica è la riduzione della produzione di prostaglandine a scopo antinfiammatorio, analgesico ed antipiretico. Quest’enzima agisce proteggendo la mucosa gastrica ed intestinale e favorisce la perfusione renale oltre a permettere la coagulazione del sangue quando necessaria e mantenere una normale attivit{ antiagregante dell’endotelio. COX-2 Enzima presente costitutivamente in SNC, epitelio tracheale, testicolo e ovaio, rene. Esso è estesamente inducibile dall’infiammazione comparendo anche in macrofagi e monociti, cellule endoteliali, sinoviociti e condrociti, fibroblasti (cellule principalmente responsabili dell’attivit{ infiammatoria e riparativa). Essa favorisce la perfusione renale e la produzione di prostaglandine a livello nervoso. Per molto tempo si è studiato il meccanismo d’azione dei 2 enzimi e si è visto che essi presentavano 2 diverse forme di siti recettoriali per il substrato e quindi si è potuto sintetizzare dei FANS selettivi per la COX-2 risparmiando la COX-1. Questi farmaci sono detti coxib e sono selettivi per l’enzima inducibile dall’infiammazione. Per anni si è pensato che l’attivit{ di inibizione enzimatica de i FANS non selettivi avesse effetti benefici a seguito dell’inibizione della COX-2 e invece ci fosse un’incidenza maggiore di effetti collaterali inattivando la COX-1. Oggi questa distinzione è stata rivista e si è dimostrato che anche i coxib non sono sicuri in quanto aumentano il rischio di infarto miocardico ed ictus ischemico e pertanto molti di questi farmaci sono stati ritirati dal commercio. È vero però che i coxib riducono la tossicità gastrointestinale, ma non hanno effetti molto diversi nella tossicità epatica e renale. I FANS sono un gruppo eterogeneo di sostanze che si differenzia per: - Capacità antinfiammatoria - Capacità antipiretica - Capacità analgesica - Capacità antitrombotica - Capacità chemiopreventiva antitumorale I principali composti antinfiammatori non steroidei sono: Acido acetilsalicilico e altri salicilati Derivati dell’acido propionico Derivati dell’acido acetico Oxicami Fenamati Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Altri farmaci non selettivi Coxib Paracetamolo Principali effetti collaterali dei FANS Dipendenti dal meccanismo d’azione o Tossicità gastrointestinale o Disfunzione endoteliale e piastrinica (azione antiaggregante / azione protrombotica) o Disfunzioni cardiovascolari (ipertensione / insufficienza cardiaca) Non dipendenti dal meccanismo d’azione o Tossicità renale o Tossicità epatica o Tossicità midollare o Reazioni allergiche Acido acetilsalicilico e altri salicilati L’ASA è il FANS in assoluto più utilizzato e più conosciuto avendo capacità elevate sia dal punto di vista antinfiammatorio, antipiretico e analgesico. Tuttavia altri FANS più recenti vengono costantemente paragonati all’ASA per fare i confronti con l’efficacia relativa delle diverse 3 azioni e anche per valutare la possibile minor conseguenza di effetti avversi. Meccanismo d’azione L’ASA inibisce irreversibilmente la ciclossigenasi (sia 1 che 2) acetilandola. L’ASA viene però velocemente deacetilato dalle esterasi dell’organismo e viene convertito in salicilato che mantiene azioni analgesiche, antipiretiche e antinfiammatorie inibendo la sintesi di PGE2 nei centri termoregolatori dell’ipotalamo e nei tessuti periferici. Riducono anche la sensibilizzazione agli stimoli dolorifici per riduzione delle PGE2. Azioni - Antinfiammatoria - Analgesica: soprattutto per il dolore di lieve media intensità non associato a provenienza viscerale (per la quale sono più efficaci gli oppiacei) direttamente collegato all’infiammazione. - Antipiretica: riduce il punto di settaggio del centro termoregolatorio ipotalamico abbassando la temperatura corporea che viene dissipata attraverso la sudorazione - Azioni respiratorie: l’ASA determina aumento della ventilazione alveolare in quanto i salicilati disaccoppiano la fosforilazione ossidativa e di conseguenza si produce meno ATP e si mantiene in circolo più CO2 che stimola un’iperventilazione che può portare ad alcalosi respiratoria normalmente controllata dal tampone renale. - Effetti sulle piastrine: riducendo la produzione di trombossano A2 si riduce il rischio aggregante e trombotico. Basse dosi permettono l’inibizione della COX selettiva sulle piastrine lasciando incolume l’enzima endoteliale. Usi terapeutici 1. Antipiretico ed analgesico: cefalea, artralgia, mialgia, artrite reumatoide, gotta. Oltre all’ASA vengono usati salicilato di sodio, di colina, di colina e magnesio. 2. Applicazioni esterne: applicato topicamente per trattare calli e epidermofitosi 3. Applicazioni cardiovascolari: inibizione dell’aggregazione piastrinica e riduzione incidenza di angina e coronaropatia. Esso facilita anche la chiusura del dotto arterioso pervio in quanto la PGE2 sembra la principale molecola coinvolta nel mantenimento della pervietà del forame Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 4. Carcinoma del colon: l’utilizzo di ASA sembra utile nella prevenzione dell’incidenza del cancro colon-rettale. Farmacocinetica L’assorbimento per via topica è molto efficace soprattutto per i salicilati. L’assorbimento per via orale avviene passivamente nello stomaco e nell’intestino (soprattutto in quest’ultimo in quanto il pH è più alto e viene favorita la dissoluzione delle compresse, nello stomaco viene assorbito soprattutto lontano dai pasti visto che l’ASA è un acido debole e a pH acido gastrico non si dissocia e viene assorbito maggiormente). La via endorettale è utile per i bambini che soffrono di vomito. Attraversano la barriera EE e la placenta. A basse dosi i salicilati mostrano un’elevata efficacia analgesica e antipiretica, ma per avere una buona azione antinfiammatoria sono necessarie dosi più alte. Col dosaggio analgesico si ha una cinetica di primo ordine e un’emivita di circa 3,5 ore mentre col dosaggio antinfiammatorio gli enzimi del metabolismo si saturano e si ha una cinetica di ordine zero con allungamento dell’emivita fino a 15 ore. La saturazione degli enzimi avviene con un trattamento da alcuni giorni a una settimana. L’ASA viene idrolizzato in salicilati dalle esterasi e questi vengono inviati al fegato dove sono coniugati con composti idrosolubili ed eliminati col rene. Essendo acidi deboli possono interferire con l’eliminazione dell’acido urico. Effetti avversi Gastrointestinali: i tipici sintomi avversi gastrointestinali sono sofferenza epigastrica, nausea, vomito e sanguinamento microscopico. In alcuni casi può esserci lo smascheramento di un’ulcera latente che inizia così a dare segni di sé e soprattutto a sanguinare. Ci sono situazioni che favoriscono il danno gastrointestinale come: o Presenza di ulcera peptica o Gastrite e presenza di HP o Terapia con aspirina e anticoagulanti o Età avanzata o Dose, tipo e durata della terapia con FANS o Sesso femminile o Disturbi digestivi da uso pregresso di FANS L’attivit{ dell’ASA è peculiare per lo stomaco in quanto va a bloccare la COX-1 costitutiva entrando facilmente nella mucosa per il pH acido e qui si dissocia venendo intrappolata e aumentando gli effetti tossici. Le strategie per prevenire il danno gastrointestinale sono diverse e tra le principali c’è: o Ottimizzazione della posologia o Profilassi con PPI o misoprostolo o Inibizione selettiva della COX-2 o Assuzione del farmaco dopo un pasto e con abbondanti quantità di liquidi o Forma farmaceutica (forme tamponate o enteric coated in modo che queste non vengano assorbite nello stomaco ma nell’intestino) o Composti non acidi, analgesici antinfiammatori con diverso meccanismo d’azione, preparazioni a rilascio ritardato. Cardiovascolari: innanzitutto l’ASA determina una riduzione della produzione di TXA2 e quindi aumenta il tempo di sanguinamento e pertanto non dovrebbe essere Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 preso per almeno una settimana prima di un intervento chirurgico. Inoltre in terapia anticoagulante dovrebbero essere ridimensionate le dosi. I FANS sembrano coinvolti anche in un aumento della frequenza delle ricadute in pazienti che hanno gi{ avuto un’insufficienza cardiaca congestizia ma vista l’azione prevalente dell’ASA sulla COX-1 questa possibilità è praticamente nulla. Inoltre i FANS possono essere implicati anche in una sindrome ipertensiva o in un possibile peggioramento dell’ipertensione in quanto favoriscono la vasocostrizione renale e l’aumentato riassorbimento di elettroliti e acqua che determina un sovraccarico idrico nei vasi. È per questo che il trattamento cronico con FANS in pazienti in terapia antipertensiva può destabilizzare i valori raggiunti con la terapia. Questo perché i FANS intervengono riducendo la capacità natriuretica dei diuretici, riducono la produzione delle prostaglandine mediata dai beta-bloccanti e inibiscono gli ACE-I in quanto riducono la produzione di bradichinina e prostaglandine responsabili di vasodilatazione renale. Spesso associazione di FANS a farmaci antipertensivi può portare a aggravamenti della situazione ed in alcuni casi anche a insufficienza cardiaca. È evidente però che il ruolo dell’ASA in tutto ciò è molto modesto in quanto la sua azione prevalente su COX-1 limita i danni renali e favorisce uno stato antitrombotico. Renali: non c’è differenza sulla tossicit{ renale da parte sia degli inibitori di COX-1 che di COX-2. I meccanismi di tossicità renali sono ben documentati sia per gli anti COX-1 che per quello COX-2. Si possono quindi presentare o Edemi e ritenzione idrosalina o Iperkaliemia o Insufficienza renale acuta o Sindrome nefrosica Esistono tuttavia fattori di rischio predisponenti all’insorgenza di complicanze renali come il diabete mellito, le nefropatie croniche, l’et{ avanzata, l’ipertensione, il trattamento con farmaci antipertensivi, l’insufficienza cardiaca, la cirrosi epatica. Epatici: tipicamente tutti i FANS danno tossicità epatica soprattutto ad alte dosi, ma con differenza tra i vari tipi di farmaci. La tossicità epatica si manifesta come dose dipendente ma può anche essere idiosincrasica cioè il paziente è intollerante alla molecola e si verifica una reazione spropositata che causa danno epatico dove viene metabolizzato il farmaco. I fattori di rischio per epatotossicità sono uso di altri farmaci epatotossici (antitubercolari), età anziana, donne, pazienti con artrite reumatoide e pazienti con enzimi epatici già elevati e quindi con danno epatico preesistente. Respiratori: a dosi elevate l’ASA può portare a iperventilazione eccessiva con alcalosi respiratoria che necessita di un compenso renale. Tuttavia a dosi tossiche causano una depressione respiratoria con un misto di acidosi respiratoria e metabolica scompensata. Metabolici: a dosi molto elevate si verifica un disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa che determina una produzione eccessiva di calore. Ipersensibilità Sindrome di Reye: si verifica tipicamente nei bambini che presentano infezioni virali sovrapposte. In alcuni rari casi si può presentare un’epatite fulminante ed è per questo motivo che si preferisce trattare i bambini col paracetamolo. Tossicità da sovradosaggio: in casi lievi si parla di salicismo che è caratterizzato da nausea, vomito, iperventilazione, cefalea, confusione mentale, capogiri e tinnito (scampanellio o rombo nelle orecchie). In casi gravi si aggiungono sintomi come allucinazioni, irrequietezza, delirio, convulsioni e coma. Oltre i 50 mg/dL si inizia a parlare già di intossicazione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Derivati dell’acido propionico - IBUPROFENE NAPROXENE FENOPROFENE KETOPROFENE FLURBIPROFENE OXAPROZIN Si tratta di una classe di composti molto usata ultimamente in quanto si è visto che hanno una tossicità gastrointestinale minore rispetto all’ASA e quindi sono usati come prima scelta nel trattamento dell’artrite reumatoide e dell’osteoartrite. Hanno un’importante azione antinfiammatoria, antipiretica e analgesica. Agiscono inibendo reversibilmente la ciclossigenasi. Sono assorbiti dopo somministrazione orale e si legano all’albumina. L’oxaprozin è quello con il tempo di dimezzamento più lungo e può essere dato 1 volta al giorno. Come effetti avversi i più comuni sono disturbi gastrointestinali. Derivati dell’acido acetico - INDOMETACINA - SULINDAC - ETODOLAC Sono farmaci con azioni antiflogistiche e analgesiche, non si usano per abbassare la febbre. Sono inibitori reversibili della COX e vengono usati poco comunemente (soprattutto l’indometacina) a causa dei suoi numerosi ed importanti effetti avversi. Il sulindac e l’etodolac invece hanno effetti avversi assimilabili a quelli degli altri FANS e quindi vengono usati più spesso. L’utilizzo dell’indometacina è riservato ai pazienti con artrite gottosa acuta, spondilite anchilosante e osteoartrite dell’anca. Oxicami - MELOXICAM - PIROXICAM Usati nel trattamento dell’AR, della spondilite anchilosante e dell’osteoartrite. La tossicit{ gastrointestinale del meloxicam è minore del piroxicam e inoltre il meloxicam è relativamente selettivo per la COX-2 ma solo a basse dosi. Fenamati - ACIDO MEFENAMICO - MECLOFENAMATO Non molto diversi dagli altri FANS Altri farmaci non selettivi: - DICLOFENAC: indicato nell’artrite reumatoide, osteoartrite e spondilite anchilosante. Più potente dell’indometacina e del naproxene. Si accumula nel liquido sinoviale KETOROLAC: non molto diverso dagli altri FANS, utile per via intramuscolo nel trattamento del dolore post-operatorio e topicamente per la congiuntivite allergica. TOLMETINA e NABUMETONE: stessa potenza dell’ASA ma minori effetti avversi Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - - Diflunisal: derivato dall’ASA non viene idrolizzato a salicilato e quindi non causa intossicazione. È più potente dell’ASA come antinfiammatorio e analgesico ma non ha propietà antipiretiche perché non penetra nel SNC. NIMESULIDE: FANS più utilizzato in assoluto al mondo con un’attivit{ antinfiammatoria, analgesica e antipiretica molto potenti. Sembra avere una parziale selettività per la COX-2. Ha una discreta tollerabilità gastrica ma è epatotossico. Studi recenti hanno rilevato una sua epatotossicità maggiore rispetto agli altri FANS. Pertanto adesso viene indicato il nimesulide come trattamento di seconda scelta ed è importante limitare il periodo d’utilizzo. Non è stato revocato perché l’utilizzo degli altri FANS avrebbe comunque aumentato il rischio di gastrotossicità. Coxib Si tratta della classe di FANS selettivi per la COX-2 che hanno avuto un importante utilizzo subito dopo la loro scoperta in quanto si è dimostrato che potevano ridurre il rischio di sanguinamenti gastrointestinali. Questo è vero, ma si è poi verificato anche un aumento dell’incidenza di infarto miocardico e ictus ischemico oltre a ipertensione e fenomeni di insufficienza renale ed epatica. Questi eventi hanno portato al ritiro dal commercio di numerosi coxib. Il motivo di queste reazioni avverse può ritrovarsi i diversi punti: - La mancata interferenza con la COX-1 provoca un’aumentata probabilit{ di eventi trombotici in quanto la produzione di trombossano è incontrastata visto che la COX-2 non è presente sulle piastrine. - È possibile che l’acido arachidonico venga dirottato dalla COX-2 alla lipossigenasi con produzione di specie radicaliche che peggiorano lo status endoteliale e la sua secrezione normale di PGI2 - Ipertensione derivata dall’interferenza con il rene (anche per i FANS normali) Il farmaco tipico di questa classe è il CELECOXIB che inibisce la COX-2 in modo reversibile e tempo-dipendente. È stato approvato per il trattamento dell’AR e osteoartrosi. Ha un’incidenza di effetti avversi gastrointestinali minore rispetto ai FANS non selettivi ma può avere effetti nefrotossici in ugual misura rispetto ai FANS ed effetti cardiovascolari di uguale entità o maggiore rispetto ai FANS non selettivi. Infatti il farmaco va evitato in pazienti con insufficienza renale cronica, cardiopatia grave, deplezione di volume o insufficienza epatica. Paracetamolo Questo farmaco fa parte di una classe di FANS che non possiedono un effetto antinfiammatorio ma hanno attività antipiretica marcata e analgesica. Meccanismo d’azione: il PARACETAMOLO inibisce la produzione di PG a livello del SNC e non agisce sulle COX dei tessuti periferici impedendo un effetto antiflogistico. Non influenza l’azione delle piastrine e non allunga il tempo di sanguinamento. Usi terapeutici: è il farmaco di scelta nei pazienti che soffrono di disturbi gastrici o per i quali il prolungamento del tempo di sanguinamento è un pericolo. Chiaramente ha azione solo antipiretica e analgesica. È il FANS più utilizzato nei bambini a causa della sua particolare innocuità a dosi terapeutiche e per trattamenti non prolungati e scongiura il rischio di Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 sindrome di Reye nei bambini con infezioni virali. In più non antagonizza il farmaco uricosurico probenecid. Farmacocinetica: ben assorbito per via orale e viene metabolizzato dal fegato in composti inattivi tranne una piccola frazione che si trasforma in un composto altamente reattivo e pericoloso che però a dosi terapeutiche normali viene inattivato legandosi al glutatione. Effetti avversi: il farmaco è praticamente privo di effetti collaterali a dosi terapeutiche. Si possono raramente avere reazioni allergiche e riduzioni della conta leucocitaria. Con dosi elevate di paracetamolo si verifica la saturazione dei meccanismi del glutatione e quindi l’intermedio reattivo e pericoloso si accumula potendo dare reazioni molto gravi anche fatali come necrosi epatica e necrosi tubulare renale o coma ipoglicemico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 58. Farmaci per il trattamento della gotta La gotta è una patologia derivata da un’eccesso di acido urico nel sangue (iperuricemia) a seguito di diversi processi che interferiscono con la normale eliminazione dell’acido urico o della sua produzione. La gotta può essere considerata una malattia delle articolazioni in quanto l’acido urico si deposita nello spazio sinoviale sotto forma di cristalli che vengono sottoposti ad un’azione macrofagica di fagocitosi. La fagocitosi però è inefficace e si verifica in ultima analisi una lisi del macrofago ed eliminazione del lisosoma contenente i cristalli, il quale ha un forte potenziale chemiotattico e dirige una risposta infiammatoria verso l’articolazione interessata mobilitando i leucociti dalla periferia. Questo processo se non adeguatamente trattato porta ad un artrite gottosa caratterizzata da rigidità articolare e intenso dolore negli attacchi acuti. L’acido urico è il prodotto terminale del metabolismo delle purine che vengono prima convertite in xantine dalla xantino-ossidasi e poi in acido urico. Il pH basso dell’articolazione stimola la precipitazione dei cristalli di urato (urato di sodio è il principale derivato dal metabolismo purinico). L’abbassamento del pH è dovuto anche all’aumento di produzione del lattato da parte dei tessuti sinoviali interessati dall’infiammazione. Il trattamento della gotta può essere attuato con diversi approcci: 1. Inibizione della produzione di acido urico 2. Aumento dell’escrezione tubulare renale di acido urico 3. Inibizione della mobilizzazione dei leucociti verso lo spazio sinoviale 4. Trattamento antalgico ed antinfiammatorio La gotta può essere suddivisa in - Gotta acuta: in genere si tratta di un attacco improvviso caratterizzato da un dolore molto intenso all’articolazione interessata ed è dovuta ad un consumo eccessivo di alcol, ad un eccessiva assunzione di cibi contenenti purine o ad una malattia del rene. In questi casi vengono usati farmaci che riducono il movimento dei leucociti verso l’articolazione e FANS per ridurre il dolore e l’infiammazione. Meglio non utilizzare come FANS l’ASA perché è un competitore dell’acido urico per il meccanismo della secrezione tubulare prossimale degli acidi. - Gotta cronica: in genere dovuta a problemi genetici (come un aumento della velocità della formazione di purine), insufficienza renale, sindrome di Lesch-Nyhan o eccessiva produzione di acido urico a seguito di terapia antitumorale. In questi casi la terapia dello stato cronico e la profilassi degli eventi acuti vengono trattati con farmaci inibitori della produzione di acido urico e con farmaci uricosurici che aumentano l’escrezione renale di acido urico e la sua eliminazione. COLCHICINA È un farmaco utilizzato durante l’attacco acuto di gotta. Non è un analgesico benchè riduca il dolore all’articolazione. Non riesce a bloccare il procedere della gotta verso l’artrite gottosa ma è profilattica nei confronti degli attacchi acuti. Meccanismo d’azione: la colchicina si lega alla tubulina ed interferisce con le funzioni collegate al citoscheletro cellulare. Pertanto il movimento di chemiotassi dei leucociti sarà impedito e contemporaneamente anche il legame con il fuso mitotico impedirà la replicazione cellulare. Inibisce anche la sintesi e la produzione di leucotrieni. Usi terapeutici: è stato molto utilizzato negli attacchi acuti di gotta anche se oggi è stato rimpiazzato dall’utilizzo dell’indometacina (FANS) in grado di ridurre efficacemente sia il Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 dolore che la infiammazione e in più inibisce il reclutamento di leucociti. Oggi viene usata nella prevenzione degli attacchi ricorrenti. Farmacocinetica: somministrata per via orale. Viene assorbita bene da tratto gastrointestinale, a volte si può trovare in formulazioni associate al probenecid. Subisce ricircolo biliare e viene escreta nelle feci o nelle urine. Effetti avversi: impieghi cronici di colchicina provocano diarrea, vomito, nausea, agranulocitosi, alopecia, miopatia, anemia aplastica. Il farmaco non va usato in gravidanza. ALLOPURINOLO Farmaco molto utilizzato nella gotta cronica e nell’iperuricemia in generale. Meccanismo d’azione: è un derivato purinico che si lega alla xantino-ossidasi e blocca la produzione di acido urico a partire dalla xantina. In questo modo non viene più prodotto acido urico e ciò è positivo anche nei confronti della deposizione dei cristalli in quanto i precursori dell’acido urico (xantine) sono più idrosolubili e precipitano di meno. Usi terapeutici: viene utilizzato per l’iperuricemia primaria della gotta e secondaria ad esempio da insufficienza renale o da trattamento antineoplastico. Si preferisce usarlo nei pazienti con predisposizione ai calcoli uratici, eccessiva eliminazione di acido urico o insufficienza renale. Farmacocinetica: buon assorbimento per via orale. Subisce un metabolismo epatico che forma ossipurinolo anch’esso attivo come antigottoso. L’emivita dell’allopurinolo è di 2 ore mentre quella dell’ossipurinolo di 15 ore per cui basta una somministrazione giornaliera. Escrezione con urine e feci. Effetti avversi: normalmente gli effetti indesiderati si presentano nel 3% dei pazienti ma sono molto ben tollerate e sono reazioni da ipersensibilità come rash cutanei. Possono presentarsi anche disturbi gastrointestinali e diarrea. Durante i primi tempi è frequente che si verifichino attacchi acuti quindi è consigliabile associare nel primo periodo anche colchicina o FANS. L’allopurinolo interferisce col metabolismo della mercaptopurina (antineoplastico) e dell’azatioprina (immuosoppressore) e quindi è necessario ridurre le dosi di questi 2 farmaci. PROBENECID E SULFINPIRAZONE Questi due farmaci sono gli uricosurici più utilizzati nel trattamento della gotta cronica assieme all’allopurinolo. Essi sono acidi organici deboli che agiscono sul pH del tubulo renale riducendo la dissociazione dell’acido urico in urati che altrimenti verrebbero riassorbiti associati ad anioni che verrebbero escreti. In questo modo si evita il riassorbimento degli urati e viene favorita l’eliminazione dell’acido urico. In pazienti con funzione renale conservata sono i farmaci di scelta, altrimenti si preferisce l’allopurinolo (usato anche in corso di anamnesi positiva di calcoli di urati o eccessiva escrezione di acido urico). Essi sono tollerati in genere molto bene a parte alcuni casi di sofferenza gastrica con il sulfinpirazone. Il probenecid riduce la secrezione tubulare della penicillina e quindi prolunga la sua emivita (a volte viene appunto utilizzato insieme alla penicillina per potenziare la sua attivit{). Inibisce anche l’escrezione di naproxene, ketoprofene e indometacina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI PER LA TERAPIA DELL’ARTRITE REUMATOIDE 59. Classificazione, meccanismo ed effetti indesiderati dei farmaci per l’artrite reumatoide L’artrite reumatoide è una patologia a carattere autoimmune che si manifesta con una progressiva infiammazione delle articolazioni che conil tempo crea erosione cartilaginea ed ossea fino a portare ad artrosi agli stadi finali. Solitamente è associata ad eziologia genetica e la patogenesi è autoimmune. Probabilmente vengono messe in atto delle risposte immunitarie dirette contro normali antigeni presenti nello spazio articolare. I farmaci utilizzati per trattare questa condizione patologica sono diversi in base ai meccanismi d’azione: FANS: farmaci di prima istanza nel controllo dell’infiammazione del dolore Farmaci antireumatici modificatori della malattia (DMARDs) Farmaci anti-TNFα Farmaci anti IL-1 FANS L’utilizzo dei FANS nell’artrite reumatoide è supportato da ampi studi clinici e una storia molto lunga di utilizzo. I principali FANS utilizzati sono l’acido acetilsalicilico, i derivati dell’acido propionico, gli oxicami, il diclofenac, la tolmetina e il nabumetone, il diflunisal e i coxib. Quasi tutte le classi dei FANS possono essere impiegate per trattare l’AR. Chiaramente la loro capacità antinfiammatoria riduce la produzione di mediatori flogistici e il richiamo di cellule immunitarie permettendo una stabilizzazione della situazione articolare ed una prevenzione dell’ulteriore distruzione cartilaginea ed ossea. Farmaci modificatori della malattia reumatica Si tratta di una classe farmacologica (DMARDs) detta anche farmaci antireumatici ad azione lenta per distinguerli dai FANS il cui effetto si manifesta in breve tempo. Con tali farmaci invece l’effetto può non presentarsi prima di 3-4 mesi. Questi farmaci vengono utilizzati essenzialmente per quelle forme di artrite reumatoide che non rispondono adeguatamente ai FANS. Essi a differenza dei FANS possono arrestare la progressione della malattia e hanno anche un potenziale riparativo. Normalmente si inizia il trattamento con un farmaco tradizionale come il metotrexato, poi se la risposta è insoddisfacente si passa a farmaci più nuovi come la leflunomide e i farmaci anticitochinici. METOTREXATO Si tratta di una molecola ampiamente conosciuta ed utilizzata nell’artite reumatoide. In realt{ è un immunosoppressore e quindi per questo è molto efficace nell’AR che è una malattia a carattere autoimmune. Viene utilizzato a dosi molto più alte per indurre una soppressione delle cellule in proliferazione per la terapia antineoplastica. Il farmaco è un inibitore della diidrofolato-reduttasi che blocca la disponibilità di enzimi che necessitano di folato per funzionare e quindi viene impedita la formazione di adenina, guanina, timidina, metionina e serina. In ultima analisi l’incapacit{ di sintetizzare DNA e RNA porta la cellula a morte. Rispetto agli altri farmaci questo ha un inizio dell’azione più breve (3-6 settimane). Si somministra 1 volta a settimana in modo da ridurre al minimo gli effetti avversi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Alcuni effetti collaterali possono essere ulcerazioni delle mucose, nausea e per trattamenti cronici possono svilupparsi citopenie (soprattutto riduzione di leucociti), cirrosi epatica e infezioni. LEFLUNOMIDE Si tratta di un farmaco più recente rispetto al metotrexate ed il suo utilizzo è stato approvato per trattare l’artrite reumatoide Meccanismo d’azione: si tratta di una molecola che va ad inibire un enzima chiamato diidroorotato deidrogenasi (DHODH) presente in eccesso sui leucociti proliferanti nell’infiammazione. Questo enzima catalizza una reazione fondamentale per la sintesi di pirimidine e principalmente dell’uridina e della timidina. Normalmente i linfociti quiescenti non necessitano di molte quantità di questo enzima e quindi sono insensibili al trattamento con leflunomide, mentre i linfociti in proliferazione (e in generale tutte le cellule in rapida espansione con una frequenza elevata di fasi G1 dove viene sintetizzato l’enzima) hanno una quantità enorme di enzima e su questo si basa la specificità del farmaco per i linfociti proliferanti a seguito del riconoscimento dell’antigene presentato dalle APC. Riducendo la quantità di uridina e quindi anche di timidina si ha uno stop proliferativo per mancanza di basi azotate da integrare nel DNA e quindi soppressione immunitaria. Azioni: questo farmaco oltre a ridurre l’avanzamento della malattia e prevenire quindi la distruzione ulteriore di cartilagine ed osso può favorire dei processi di remissione. Usi terapeutici: impiegata nell’artrite reumatoide spesso sostituendo il metotrexato oppure anche in associazione con esso. Farmacocinetica: bene assorbita per via orale, si lega all’albumina ed ha un’emivita di 14-18 giorni e per questo necessita di una dose di carico. Viene convertita nel fegato ad un metabolita attivo. Effetti avversi: può dare reazioni cutanee, alopecia, ipokaliemia, cefalea, diarrea e nausea. Non deve essere somministrata in gravidanza per i suoi possibili effetti teratogeni. CLOROCHINA E IDROSSICLOROCHINA Questi farmaci si usano per il trattamento dell’artrite reumatoide che non risponde ai FANS o più spesso in associazione ai FANS per ridurre il dosaggio generale dei farmaci. Questi farmaci sono utilizzati nel trattamento antimalarico. D-PENICILLAMINA Si tratta di un analogo della cisteina e rallenta la progressione della malattia e le manifestazioni dell’artrite. I suoi impieghi sono sempre meno frequenti a causa degli effetti collaterali importanti come problemi dermatologici, nefrite e anemia aplastica. Di solito viene impiegata quando il trattamento coi Sali d’oro è inefficace e prima di iniziare la terapia steroidea. SALI D’ORO Questi farmaci sono utilizzati nell’artrite reumatoide per impedire la progressione della malattia ma non consente la remissione. Le preparazioni disponibili sono l’aurotiomalato sodico e l’aurotioglucosio. Essi agiscono inibendo la fagocitosi dei macrofagi delle sostanze all’interno dei lisosomi e questo sembra ritardare la progressione della distruzione ossea e cartilaginea. Gli effetti avversi gravi e il costo notevole sono responsabili di un utilizzo non massivo da parte dei reumatologi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmaci anti TNF-α Questi farmaci selettivi sono importanti per la cura della malattia e in parte anche per la remissione di essa. Infatti l’IL-1 e il TNFα svolgono un ruolo di prim’ordine nell’artrite reumatoide e infatti vengono iperprodotti dai macrofagi sinoviali che spingono le cellule sinoviali a produrre collagenasi con conseguente degradazione della cartilagine e del tessuto osseo. ETANERCEPT È un inibitore selettivo del TNFα e si trova sotto forma di anticorpo monoclonale diretto contro il mediatore impedendo così il suo legame ai recettori nei tessuti bersaglio. Ha un ruolo fondamentale nella riduzione della progressione dell’artrite reumatoide e psoriasica. Ad oggi si pensa che il miglior approccio all’AR sia l’utilizzo di un anti-TNF con il metotrexato. Meccanismo d’azione: anticorpo IgG diretto contro una porzione del TNF tale da legarlo e inibire il suo legame con il recettore. Non è selettivo però e blocca anche il TNFβ. La terapia a lungo termine è dubbia in quanto il TNF ha azioni fondamentali di modulazione della risposta immunitaria contro le infezioni e contro il cancro. Farmacocinetica: somministrazione sottocutanea 2 volte a settimana. Emivita di 115 ore e Cmax in 72 ore. Effetti avversi: non sono stati segnalati effetti avversi specifici, può causare a volte infiammazione a livello del sito di iniezione. INFLIXIMAB Altro farmaco inibitore del TNFα che è stato approvato per il trattamento della colite ulcerosa e del morbo di Crohn visto che nei preparati istologici di mucosa colica in pazienti con IBD si è trovato un aumento di TNF. Inoltre viene usato anche nell’AR per ridurre i sintomi, migliorare la performance fisica e bloccare la progressione. Spesso viene utilizzato in associazione col metotrexato. Ha somministrazione endovenosa ed un’emivita di 9,5 giorni. A lungo termine possono presentarsi anticorpi contro il farmaco a meno che non sia associato al metotrexato. Durante l’iniezione si possono avere febbre, brividi, prurito o orticaria. Si manifestano a lungo andare anche tutti i segni di soppressione midollare. Non è ancora chiaro se un trattamento a lungo termine possa predisporre al linfoma. ADALIMUMAB Si tratta di un altro farmaco ad azione anti TNFα ma che viene riservato ai pazienti che non rispondono a uno o più DMARDs. Viene infatti usato per le forme moderate-severe. Il meccanismo d’azione però è leggermente diverso in quanto si lega al recettore per il TNF e lo inibisce e quindi non permette il legame del ligando naturale. Viene somministrato a livello sottocutaneo e può causare cefalea, nausea, eruzioni cutanee o reazioni a livello del sito di iniezione. Farmaci anti IL-1 ANAKINRA Si tratta di un farmaco che lega l’IL-1 essendo un anticorpo monoclonale e stimola la riduzione dei sintomi e rallenta la progressione della patologia. Anch’essa è efficace nei pazienti adulti che non rispondono ad una o più DMARDs nei casi moderati-severi. Può essere usato in monoterapia o in associazione con DMARDs. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 AUTACOIDI E ANTAGONISTI DEGLI AUTACOIDI ANTISTAMINICI 60. Farmaci antistaminici L’istamina è una sostanza che ha ampie funzioni nell’organismo ed è il bersaglio dell’azione di farmaci che inibiscono la sua attività. L’istamina regola la risposta allergica e immunitaria, l’infiammazione, la secrezione gastrica acida e la neurotrasmissione in alcune zone del cervello. L’istamina si trova praticamente in tutti i tessuti ma è distribuita irregolarmente con prevalenza di concentrazione nelle zone a contatto con l’ambiente esterno come i polmoni, la cute e l’apparato digerente. Essa viene sintetizzata dal’enzima presente in tutte le cellule che dà una decarbossilazione dell’aminoacido istidina, formando così l’istamina. Questa è conservata all’interno di granuli complessati con eparina e anioni polisolfato all’interno dei mastociti e dei granulociti basofili e liberata all’occorrenza. L’istamina non immagazzinata va incontro a degradazione da parte delle MAO molto velocemente e non può essere utilizzata. La liberazione dell’istamina prevede uno stimolo evocativo che può essere il danno cellulare conseguente al freddo, una tossina batterica, un trauma, il veleno d’api e soprattutto una reazione allergica o anafilattica. L’istamina agisce legandosi a 4 tipi diversi di recettori: H1,2,3,4. I primi 2 sono i principali e distribuiti in tutto l’organismo, mentre gli ultimi 2 sono presenti solo in poche cellule e non si conosce ancora con precisione la loro funzione biologica. Pertanto il bersaglio dell’azione terapeutica sono H1 e H2. Esistono dei fenomeni indotti dall’istamina che coinvolgono esclusivamente il recettore H1 ed altri che coinvolgono solo il recettore H2, tuttavia in alcuni casi alcune azioni coinvolgono entrambi i recettori. I 2 recettori principali agiscono mediante meccanismi d’azione diversi in quanto il recettore H1 coinvolge la via dei polifosfatidilinositoli mentre l’H2 coinvolge il cAMP e quindi gli antistaminici saranno selettivi per l’uno o per l’altro recettore. Durante l’allergia si verificano 4 azioni essenziali mediate dalla liberazione di istamina: - Vasodilatazione - Contrazione della muscolatura liscia (asma) - Stimolazione delle secrezioni - Stimolazione delle terminazioni nervose sensoriali Queste reazioni possono essere responsabili di una semplice risposta allergica se coinvolgono un particolare distretto o una certa zona limitata, oppure possono dare una reazione anafilattica se coinvolgono tutto l’organismo. La differenza tra le 2 situazioni sta nel punto in cui viene liberata l’istamina, se essa è rilasciata in un luogo facilmente accessibile al sistema circolatorio è più facile si sviluppi una reazione anafilattica che può portare allo shock. Lo shock anafilattico si tratta con iniezione di adrenalina che ha gli effetti opposti dell’istamina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Azioni mediate dal recettore H1: 1. Aumento delle secrezioni esocrine: nel naso e nei bronchi con sintomi respiratori 2. Contrazione della muscolatura liscia bronchiale: provoca asma 3. Contrazione della muscolatura liscia intestinale: causa crampi e diarrea 4. Attivazione delle terminazioni nervose sensitive: causa prurito e dolore Azioni mediate dal recettore H2: 1. Secrezione acida gastrica Azioni mediate da entrambi i recettori: 1. Abbassamento della pressione arteriosa per riduzione delle RVP attraverso vasodilatazione per aumento di produzione di NO e cGMP 2. Effetto cronotropo positivo (solo H2) e inotropo positivo (H1 e H2) 3. Dilatazione e aumento di permeabilità dei capillari che porta all’essudazione di liquidi e alla tipica risposta tripla: formazione del pomfo, arrossamento, eritema. Antiistaminici H1 Sono una classe di farmaci che antagonizzano il recettore H1 dell’istamina e non bloccano la produzione o la liberazione di istamina come fa invece il cromoglicato utilizzato per il trattamento dell’asma. Esistono farmaci di prima e seconda generazione. Prima generazione: - PROMETAZINA DIFENIDRAMINA DIMENIDRINATO TERFENADINA CICLIZINA Seconda generazione - CETIRAZINA LORATIDINA FEXOFENADINA ACRIVASTINA I farmaci di prima generazione vengono usati ancora spesso in quanto sono più economici ed efficaci tuttavia possiedono un potenziale sedativo visto che penetrano all’interno della barriera EE e inoltre hanno la caratteristica di interagire anche con altri recettori differenti come i colinergici, α-adrenergici e serotoninergici. I farmaci di seconda generazione sono selettivi per i recettori H1, non attraversano la barriera EE e hanno meno effetti collaterali. Azioni Le azioni di tutti questi composti sono pressochè simili con la variabilità del fatto che ognuno possiede caratteristiche specifiche forse perché ha un margine di interazione diverso anche con recettori colinergici, adrenergici e serotoninergici. Usi terapeutici: 1. Condizioni allergiche e infiammatorie: l’inibizione dei recettori H1 permette una prevenzione dell’attacco allergico dovuto a degranulazione dei mastociti sensibilizzati dal legame con un’IgE. Farmaci d’elezione per il trattamento della rinite allergica e dell’orticaria. Non sono efficaci per l’asma perché l’istamina è soltanto uno dei mediatori coinvolti nella patologia. 2. Cinetosi e nausea: essi insieme alla scopolamina sono i farmaci più utilizzati per trattare la cinetosi sia da componente chemocettrice sia da componente vestibolare. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmaci con queste caratteristiche sono difenidramina, dimenidrinato, ciclizina, meclizina e idrossizina. 3. Sonniferi: benchè non sia la loro prima attività certi composti di questo gruppo come la difenidramina e la doxilamina (tutti composti di prima generazione) hanno proprietà sedative e inducono il sonno. È ovvio che in pazienti in cui l’attivit{ di vigilanza è cruciale non devono essere usate. Farmacocinetica Sono assorbite bene per via orale con un buon volume di distribuzione. Cmax dopo 1-2 ore. L’emivita è di 4-6 ore tranne per la meclazina che ha emivita 12-24 ore. Tutti i composti di prima generazione ed alcui di seconda come la desloratidina e la loratidina sono metabolizzati dal CYP450, mentre la cetirazina è eliminata immodificata con le urine e la fexofenadina è eliminata quasi immodificata nelle feci. L’azione ha inizio 1-3 ore dopo la somministrazione orale e la durata dell’effetto è di circa 24 ore e in tal modo è possibile ridurre la somministrazione ad una volta al giorno. È necessario che gli antistaminici H1 vadano somministrati preventivamente all’attacco allergico piuttosto che in seguito in quanto nel primo caso hanno molta più efficacia. Effetti avversi Sonnolenza: tutti gli antistaminici di prima generazione portano questo effetto e in più possono verificarsi altre azioni a livello del SNC come astenia, tinnito, capogiri, incoordinazione, visione offuscata e tremori. La sedazione è meno comune nei farmaci di seconda generazione Effetti anticolinergici: secchezza delle fauci, ritenzione urinaria, tachicardia sinusale Effetti antiadrenergici alfa1: ipotensione, vertigini e tachicardia riflessa Effetti antiserotoninergici: aumento dell’appetito Interazioni tra farmaci: è necessario fare attenzione all’alcol perché gli antistaminici potenziano l’effetto sedativo. Fondamentale non dare antistaminici in pazienti in terapia con inibitori delle MAO. Sovradosaggio: si verifica raramente, i bambini sono i più soggetti e gli effetti più pericolosi sono quelli a carico del SNC con allucinazioni, eccitazione, atassia e convulsioni. Antiistaminici H2 Questa classe di farmaci viene impiegata per il trattamento dell’ulcera peptica per ridurre la produzione di istamina che va ad agire sulla produzione di acido cloridrico e sulla stimolazione della produzione di gastrina da parte delle cellule G che esalta ulteriormente la produzione acida. Essi non hanno affinità per il recettore H1. - CIMETIDINA RANITIDINA FAMOTIDINA NIZATIDINA Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIEMICRANICI 61. Farmaci antiemicranici L’emicrania è una condizione patologica caratterizzata da cefalea intensa e pulsante che colpisce molte persone con prevalenza del sesso femminile. Si deve distinguere dalle altre 2 forme di cefalea che sono la cefalea a grappolo caratterizzata da dolore continuo, lancinante e penetrante e la cefalea tensiva con un dolore sordo, persistente e con la continua sensazione di tensione alla testa. I pazienti che soffrono di emicrania di grado elevato sono soggetti a attacchi mensili solitamente monolaterali di intensità moderata e severa. Esistono 2 tipi di emicrania: - Emicrania senza aura: comprende l’85% delle forme di emicrania e si caratterizza per una cefalea intensa che dura da 2-72 ore. Questi sintomi sono aggravati dall’attivit{ fisica e accompagnati da nausea, vomito, fotofobia e fonofobia. - Emicrania con aura: l’intensit{ dell’attacco è simile alla precedente ma si differenzia per la presenza di sintomi neurologici precedenti all’attacco di cefalea. L’aura può essere di tipo visivo, sensoriale, motorio o coinvolgere disturbi della parola. La forma prevalente è quella visiva. Essa può essere diagnosticata appena insorge l’aura. I sintomi prodromici durano 20 minuti. La base biologica dell’emicrania è una vasodilatazione sistemica e cerebrale delle arterie che provoca la liberazione a livello cerebrale di sostanze algogene come la sostanza P. normalmente l’emicrania con aura prevede una riduzione della perfusione all’estremo posteriore dell’emisfero coinvolto, poi progressivamente si espande alle regioni circostanti e in avanti fino alla corteccia. Questa ipoperfusione rende conto della riduzione globalizzata dell’attivit{ neuronale. A questa fase segue l’iperperfusione, dopo l’attacco cefalico. I farmaci utilizzati per trattare gli attacchi acuti di emicrania sono specifici e aspecifici. Quelli aspecifici comprendono: - FANS: vengono utilizzati normalmente per ridurre il dolore (ASA, naproxene, meclofenamato) - ANTIEMETICI : proclorperazina - OPPIACEI : impiegati solo se il trattamento con FANS non ha avuto effetto La terapia specifica comprende: - Triptani - Diidroergotamina Triptani Questo gruppo di farmaci sono agonisti del recettore 5-HT1D della serotonina determinando vasocostrizione e riduzione della liberazione di neuropeptidi infiammatori. - SUMATRIPTAN NARATRIPTAN RIZATRIPTAN ELETRIPTAN ALMOTRIPTAN ZOLMITRIPTAN Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Questi farmaci sono altamente efficaci nel ridurre la cefalea in quanto si riesce a trattare positivamente il 70% dei pazienti con emicrania. Sono agonisti del recettore 5-HTD1 della serotonina e svolgono azioni vasocostrittrici che si oppongono alla vasodilatazione arteriosa responsabile dell’emicrania. Il recettore implicato è situato sui nervi periferici situati nei vasi encefalici e sembrano implicati nella modulazione del dolore cefalico. La nausea può essere un effetto collaterale ma di entità molto minore rispetto alla diidroergotamina. Il sumatriptan si somministra per via sottocutanea, intranasale o orale mentre tutti gli altri hanno una somministrazione per via orale. L’insorgenza dell’effetto richiede 20 minuti per via endovenosa e 1-2 ore a seguito di somministrazione orale. Hanno breve durata d’azione e emivita di 2 ore. Solitamente dopo 2448 ore la cefalea ricompare ma questa azione può essere prevenuta mediante un’altra somministrazione. Il rizatriptan e l’eletriptan sono più efficienti del sumatriptan che è il capostipite. Il naratriptan e l’almotriptan sono meglio tollerati. Diidroergotamina La DIIDROERGOTAMINA è un derivato dell’ergotamina e si somministra per via endovenosa ed agisce anch’esso come vasocostrittore ed è sempre un agonista della serotonina agente sullo stesso recettore dei triptani. Essa però sottopone il paziente ad una maggior incidenza di nausea come effetto collaterale. Efficacia simile al sumatriptan. È controindicata in pazienti che soffrono di disturbi vascolari periferici o disturbi coronarici. È più efficace se somministrata durante la fase prodromica piuttosto che durante la cefalea in atto. Farmaci per la profilassi Per prevenire gli attacchi emicranici acuti vengono utilizzati diversi farmaci: - Β-BLOCCANTI (propranololo è il farmaco di scelta, ma anche nadololo e timololo. - ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI (amitriptilina) - ANTICONVULSIVI (divalproato) - CALCIO ANTAGONISTI (Verapamil) Questi farmaci tendono a vasocostringere prevenendo gli attacchi emicranici caratterizzati da vasodilatazione. Vanno dati nella fase asintomatica. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ORMONI E FARMACI DELLA TIROIDE E DEL PANCREAS ORMONI E FARMACI DELLA TIROIDE 62. Farmaci per il trattamento dell’ipotiroidismo L’ipotiroidismo è una condizione clinica caratterizzata da bradicardia, intolleranza al freddo e rallentamento fisico e mentale con tendenza all’aumento di peso. Questi segni sono correlati ad una scarsa funzione tiroidea che generalmente viene attaccata da processi autoimmuni (come nel caso della tiroidite di Hashimoto) e vede una progressiva distruzione del tessuto tiroideo con aumento consecutivo dei livelli di TSH e TRH. Esistono però anche dei casi di ipotiroidismo secondario derivati da problemi ipotalamici e ipofisari che non permettono il rilascio adeguato della tireotropina e del TRH che regolano e coordinano le azioni della tiroide. Gli ormoni della tiroide sono 2: - Triiodotironina T3 - Tiroxina T4 Entrambi vengono immessi in circolo anche se prevalentemente il T4 che raggiunge i tessuti bersaglio in cui viene deiodurato enzimaticamente a T3 che è la forma dotata di maggior efficacia. Il T3 entra all’interno della cellula e si lega a recettori intracitoplasmatici stimolando la produzione di RNA e la successiva sintesi proteica. L’ipotiroidismo è trattato con LEVOTIROXINA (T4); il farmaco si somministra una volta/gg in considerazione del suo lungo tempo di dimezzamento mentre lo stato stazionario si raggiunge dopo 6-8 settimane. La tossicità è direttamente legata ai livelli di T4 e si manifesta con nervosismo, palpitazioni cardiache e tachicardia, intolleranza al caldo e perdita di peso inspiegata. È possibile utilizzare anche il T3 sotto forma di LIOTIRONINA che viene somministrata per via endovenosa. Il target terapeutico per misurare l’efficacia è l’abbassamento del TSH, in tal caso il trattamento farmacologico ha avuto effetto. Farmacocinetica della levotiroxina - Assorbimento a carico del tratto superiore del tenue - Legame a proteine plasmatiche (quota libera 0,05%) - t1/2 = circa 190 ore, con un lieve incremento nell'ipotiroidismo e una moderata riduzione nell'ipertiroidismo Quota Metabolismo Sede Escrezione 80% Deiodinazione (tess.periferici) Tess. periferici 15% Glucuronoconiugazione epatica Bile 5% Nessuno Intestino Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Gli ormoni tiroidei superano con difficoltà la barriera placentare e solo in minima quantità vengono escreti nel latte materno. Farmacologia clinica - Terapia di scelta: L-tiroxina - Circa 80% della L-T4 viene assorbita, dopo somministrazione per via orale - Emivita: circa 7 giorni - Solo l’assunzione giornaliera garantisce livelli costanti di T3 - La desiodazione periferica di T4 (pro-ormone) è la fonte della produzione di T3 - La T3 ha un’affinit{ per i recettori 10 volte < alla T4 (forma attiva) - Rispetto alle altre preparazioni di ormoni tiroidei, la natura di pro-ormone della T4 offre il vantaggio che il pz. regola da sé, in modo fisiologico, la produzione dell’ormone attivo, la T3 (via deiodinasi) - Disponibilità di prodotti commerciali standardizzati (dosi disponibili individuali) - Gli effetti collaterali sono rarissimi (eccipienti: lattosio) - Possibile eccesso di dose: tireotossicosi factitia Dose terapeutica - negli adulti: 1.0-1.6 mg/kg (intervallo 50-200 mg/die) - nei bambini, possono essere opportune dosi più elevate NB: La dose iniziale può essere inferiore alla dose teorica, aggiustando poi ad intervalli regolari la stessa, fino a raggiungere la dose efficace. Avvertenze - Nelle persone anziane, la dose iniziale deve essere bassa ed aggiustata ad intervalli variabili (es. settimane), fino a raggiungere la dose teorica. - Spesso è opportuno essere prudenti, specialmente in presenza di patologie croniche; ad esempio, nei pz. con patologie cardiache o vascolari, i tempi di ripristino dell’eutiroidismo debbono essere lunghi, ed adeguatamente sottoposti a controllo - Il miglioramento clinico si può apprezzare in poche settimane (oppure in mesi in quelli con mixedema) Come si misura l’efficacia della terapia - Misurazione di TSH, FT4, FT3 nel sangue: o Il TSH rappresenta il marcatore ideale dell’efficacia della terapia. o I valori “normali”, con gli attuali metodi, sono 0.35-4.5 mU/mL o L’obiettivo della terapia sostitutiva è quello di ripristinare valori “normali” o Misurazione di parametri biologici dell’azione ormonale: colesterolo totale ed HDL, CPK, SHBG, osteocalcina, ecc. - Valutazione funzionali d’organo: ECG, RX torace, ecc. La concentrazione del TSH definisce, in genere, l’adeguatezza della terapia sostitutiva con L-T4 - Obiettivo ragionevole della terapia sostitutiva: TSH 1-3 U/mL - Valutazione clinica: o Correzione dei segni e sintomi del mixedema o Utilità di punteggi e questionari, specialmente nelle forme subcliniche o Riduzione del volume del gozzo (es. T. Hashimoto) (valutazione clinica e/o ecografica) - Nei pazienti con ipotiroidismo centrale (secondario) la dose è generalmente inferiore a quella necessaria nell’ipotiroidismo primario. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Necessità di aggiustamento delle dosi: o Gravidanza (>), allattamento (>), malattie intercorrenti(<), interferenza di farmaci(> <), patologie gastrointestinali (>), sindrome nefrosica (>) Terapia con L-T4 nei pazienti con CHD - nei Pz con CHD è opportuno iniziare con basse dosi, a crescere (es. step di 12-25 g ogni 4-8 settimane) - infatti la terapia può aumentare il fabbisogno cardiaco di O2, aumentare la contrattilità miocardica e la F.C. - D’altra parte, teoricamente la L-T4 dovrebbe ridurre le RVP ed il VTD, riducendo così il consumo di O2 - Uno studio retrospettivo eseguito su un’ampia casistica ha dimostrato un’incidenza del 5% di angina, un peggioramento (16% dei casi) in coloro che soffrivano già di angina ed un miglioramento dei sintomi nel 38% dei casi (10.961, prima dell’uso di b-blocc, Ca-antag e di L-T4) - Oggi è possibile trattare efficacemente i Pz con CHD (schema a step crescenti) - Esistono casi in cui non è possibile superare una certa dose, a causa dell’esacerbarsi di angina, ecc. Intolleranza alla L-T4 Pazienti occasionali possono manifestare, all’inizio del trattamento, ansia, palpitazioni, sudorazioni, ed altri sintomi suggestivi di uno stato ipertiroideo, senza segni biochimici di ipertiroidismo o tireotossicosi (TSH “soppresso”). In questi casi tentare, dopo aver ridotto le dosi, una progressione scalare molto lenta, a “piccoli passi”. Possibili spiegazioni possono essere un’anemia, un’intolleranza al lattosio (presente come diluente), la presenza di altre sostanze negli eccipenti. Circostanze associate con alterato fabbisogno di L-T4 Ridotto fabbisogno: Pazienti anziani Terapia androgenica Aumentato fabbisogno: Gravidanza Malassorbimento Farmaci e supplementi nutrizionali Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 63. Farmaci per il trattamento dell’ipertiroidismo L’ipertiroidismo è una condizione clinica caratterizzata da palpitazioni, tachicardia, aritmie cardiache, dimagrimento, nervosismo, tremori e produzione eccessiva di calore. È conseguente a processi che provocano un aumento della presenza in circolo di ormoni tiroidei (T3 e T4) e può derivare sia da un’iperfunzione della tiroide (morbo di GravesBasedow, adenoma tossico, gozzo multinodulare secernente) sia da un’iperfunzione dell’ipofisi nella secrezione di TSH (ipertiroidismo secondario) anche se è una condizione molto più rara. Nel primo caso il TSH è ridotto a causa della soppressione ipofisaria da parte degli ormoni tiroidei e nel seconso caso si ha un aumento del TSH associato a livelli elevati di FT3 e FT4. L’approccio terapeutico all’ipertiroidismo può interessare diversi siti d’azione in base alle modalità di produzione e attivazione degli ormoni. Infatti la tiroide è formata da follicoli in cui è contenuta la colloide che contiene tireoglobulina associata agli ormoni inattivi legati alla proteina. Le cellule tiroidee captano perifericamente lo iodio sotto forma di ione ioduro che deve essere trasformato in I2 molecolare dall’azione della perossidasi che è fondamentale nella produzione di ormoni tiroidei, altrimenti se non fosse disponibile lo iodio molecolare sarebbe impossibile sintetizzare gli ormoni. Lo iodio molecolare entra nel follicolo in cui è stata sintetizzata precedentemente la tireoglobulina e si lega ai residui di tirosina attraverso un processo di iodurazione. A questo punto si forma una condensazine tra i residui di iodotirosina e si ottiene l’ormone attivo T3 o T4 legato ancora alla tireoglobulina. A seguito dello stimolo da parte del TSH si ha una scissione proteolitica e vengono liberati gli ormoni attivi soprattutto il T4 che ha maggior affinità recettoriale. A seguito della liberazione e dell’ingresso in circolo si sviluppa un’inibizione della secrezione di ulteriore TSH e TRH. A dosi farmacologiche anche la dopamina, la somatostatina e i glucocorticoidi possono diminuire la secrezione di TSH. Esistono 3 tipi di approcci al trattamento dell’ipertiroidismo: L’approccio farmaceutico può essere a diversi livelli: Riduzione del trasporto dello iodio: Perclorato Blocco della iodurazione: Tionamidi (Propiltiouracile, Metimazolo, Carbimazolo) Blocco della perossidasi: Tionamidi (propiltiouracile, Metimazolo, Carbimazolo) Azione ormonale: analoghi della tiroxina (Dibromotirosina) Blocco della deiodurazione periferica: Propiltiouracile Blocco della liberazione ormonale: Ioduro L’approccio chirurgico si basa sulla rimozione della tiroide in toto o di parti della tiroide nei casi in cui il trattamento farmacologico non è consigliato o non ha avuto effetti a causa delle notevoli dimensioni dell’adenoma. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Esiste anche un approccio radiometabolico ed è costituito dallo Iodio131 (I131) che è un radionuclide in grado di emettere raggi beta e gamma e pertanto attraverso meccanismi di ionizzazione può distruggere selettivamente le porzioni di tiroide ipercaptanti lo iodio e quindi quelle iperattive associate all’ipertiroidismo. Pertanto i farmaci utilizzati per l’ipertiroidismo sono: Propiltiouracile Carbimazolo TIONAMIDI Metimazolo (Tapazole) Potassio perclorato (Pertiroid) Metimazolo + Dibromotirosina (Bromazolo) Dibromotirosina (Bromotiren) Iodio 131 Beta-bloccanti Ioduro Tionamidi - PROPILTIOURACILE (non disponibile in Italia) - METIMAZOLO - CARBIMAZOLO (non disponibile in Italia) Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono impedendo la iodurazione, la perossidazione dello ioduro a iodio molecolare inibendo la tireoperossidasi (TPO) e la condensazione dei residui di iodotirosina. In più il propiltiouracile ha anche un’azione periferica di riduzione della deiodurazione del T4 in T3 impedendo quindi l’attivazione dell’isoforma più efficace. Essi possiedono residui –SH che si legano agli enzimi endogeni bloccando la loro funzione. Il bersagio di questi farmaci è essenzialmente tiroideo. Anche il propranololo ha un’azione simile alla propiltiouracile ma non per attivit{ betabloccante. Azioni: riduzione della produzione e della liberazione di ormoni tiroidei e in più riduzione dell’efficacia degli ormoni già in circolo per inibizione della deiodurazione. Usi terapeutici: 1. Morbo di Graves 2. Adenoma tossico 3. Gozzo multinodulare secernente Il fatto che abbiano un’insorgenza piuttosto lenta impedisce l’utilizzo di questi farmaci durante la crisi tireotossica. Farmacocinetica propiltiouracile metimazolo Legame alle proteine plasmatiche 75% (circa) Nullo Emivita plasmatica 75 minuti 4-6 ore Emivita farmacodinamica >> emivita plasmatica (~12-24 h) >> emivita plasmatica (~40 h) Volume di distribuzione 20 litri (circa) 40 litri (circa) Frequenza di somministrazione 1-4 volte al giorno (tid) 1-2 volte al giorno (sid) Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Passaggio transplacentare Basso Aumentato Livello nel latte materno Basso Aumentato Le tionamidi hanno un buon assorbimento gastrointestinale ma hanno emivita breve. La propiltiouracile ha bisogno di parecchie somministrazioni al giorno mentre il metimazolo è sufficiente somministrarlo una volta al giorno visto che la sua emivita plasmatica è più alta, ma soprattutto perché la sua emivita farmacodinamica è lunghissima (circa 40 ore) visto che il suo legame con i recettori è duraturo e determina una soppressione a lungo termine. Il propiltiouracile è preferito in gravidanza perché non attraversa la placenta e non si presenta nel latte materno mentre il metimazolo ha entrambe le capacità. La posologia del tapazole (metimazolo) prevede somministrazione come dose iniziale giornaliera di 15 mg per gli adulti con ipertiroidismo di grado lieve, 30-40 mg per il grado moderato e 60 mg per ipertiroidismo severo. La quantità giornaliera deve essere suddivisa in modo da essere somministrata 3 volte al giorno alla distanza di 8 ore ciascuna. La dose di mantenimento varia da 5-15 mg/die. Per i bambini la dose iniziale deve essere di 0,4 mg/Kg di peso corporeo suddivisa in 3 dosi da somministrare 3 volte al giorno alla distanza di 8 ore. La dose di mantenimento è la metà di quella iniziale. Effetti avversi: Febbre e artralgia: bisogna valutare la sospensione del trattamento perché possono essere indice di danno immunitario (anche se non molto frequente come effetto) Agranulocitosi: indicazione primaria per la sospensione del farmaco in caso di febbre, faringite e altri segni d’infezione. In caso di agranulocitosi è necessario ospedalizzare il paziente e trattarlo con antibatterici ad ampio spettro Danno epatico: monitorare gli indici di danno epatico sia colestatico che epatocellulare infatti il propiltiouracile tende a dare danno colestatico potendo anche manifestarsi sotto forma di ittero con urine scure e feci chiare, il metimazolo tende a dare danno epatocellulare con innalzamenti delle transaminasi. È opportuno sospendere il trattamento in presenza di sintomi a rischio di una delle 2 condizioni. Lupus e altre forme di vasculiti (soprattutto con propiltiouracile) Prurito, eruzioni cutanee, disturbi gastrointestinali (effetti minori) Gli effetti avversi possono essere determinati dall’inibizione delle perossidasi in periferia: - Lattoperossidasi: riduzione attività antibatterica - Perossidasi gastriche: aumento acidità gastrica e secrezione di pepsinogeno - Mieloperossidasi: immunosoppressione - Idroperossidasi nella sintesi delle PG: accumulo di prodotti ossidati e xenobiotici - Flavin-monossigenasi: alterazione del gusto e odorato per danno alla mucosa olfattiva. Trattamento dell’ipertiroidismo in gravidanza L’ipertiroidismo in gravidanza è un grave disturbo in quanto se non è trattato genera problemi alla madre come insufficienza cardiaca, pre-eclampsia e crisi tireotossica durante o dopo il parto; al feto provoca ipertiroidismo, aumento dei parti pretermine, dei nati morti e della mortalità perinatale. Le donne in gravidanza vengono trattate con antitiroidei oppure con un ablazione chirurgica subtotale (in caso che il dosaggio del propiltiouracile superi i 400 mg/die). Le donne in età fertile non in gravidanza vengono in genere sottoposte al trattamento radiometabolico o chirurgico. Importante è evitare la gravidanza per i 4 mesi successivi al trattamento con radioiodio. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 È da preferire il propiltiouracile come antitiroideo in gravidanza perché ha una solubilità minore in acqua, si lega di più alle proteine plasmatiche e ha una minore ionizzazione a pH 7.4, tutto ciò giustifica una minor penetrazione nella barriera placentare rispetto al metimazolo, un minor passaggio nel latte materno ed un minor passaggio alla tiroide fetale. Alcuni effetti avversi sul feto possono essere ipotiroidismo con gozzo. Trattamento radiometabolico Lo IODIO 131 è captato attivamente dalle cellule tiroidee iperfunzionanti e ha la caratteristica di emettere radiazioni beta e gamma. Le principali responsabili del danno sono le radiazioni beta che penetrano nel tessuto e causano ionizzazione con conseguente necrosi cellulare. Il vantaggio è che viene captato anche da cellule ectopiche e quindi è potenzialmente utilizzabile nelle metastasi (se sono ancora in grado di captare lo iodio). Meccanismo d’azione: attività ionizzante che provoca interazioni con le funzioni cellulari come produzione di radicali ossidanti e legame al DNA che provocano in ultima analisi la morte della cellula. Azioni: nelle prime fasi il radioiodio determina necrosi cellulare, reazione infiammatoria, distruzione dei follicoli, dismissione in circolo di ormoni tiroidei. Dopo un certo periodo di terapia provoca fibrosi e inibizione dell’attivit{ tiroidea. Usi terapeutici: 1. Morbo di Basedow: si tratta della prima indicazione al trattamento radiometabolico insieme alla chirurgia e agli antitiroidei. Se il trattamento con antitiroidei fallisce o per reazioni avverse o allergie del paziente o per rifiuto alla terapia si passa al radioiodio (70% dei casi) e questo viene impiegato anche quando c’è la controindicazione al trattamento chirurgico (patologie concomitanti, rifiuto del paziente). Trova un ruolo di prim’ordine nel trattamento dell’oftalmopatia associata all’ipertiroidismo. 2. Gozzo nodulare tossico e adenoma tossico (di Plummer): è una delle prime scelte insieme a tiroidectomia. Se nel Basedow ci sono alti livelli di anticorpi anti-TSH (TRAb) è indicato il trattamento radiometabolico a dosi ablative. Indicazioni al pretrattamento con antitiroidei nel morbo di Basedow: i pazienti con ipertiroidismo subclinico o i giovani non affetti da patologie cardiovascolari e con ipertiroidismo lieve non vanno trattati preventivamente con tireostatici. I pazienti con grave ipertiroidismo, età avanzata e gravi malattie cardiovascolari vanno trattati con antitiroidei precedentemente al radioiodio allo scopo di un raggiungimento dell’eutiroidismo più veloce e una prevenzione del temporaneo peggioramento della tireotossicosi dovuta alla lisi delle cellule tiroidee con messa in circolo degli ormoni. Il pretrattamento va sospeso 3 giorni prima dell’inizio della terapia radiometabolica. Indicazioni al pretrattamento con antitiroidei nel gozzo nodulare tossico: solo in casi selezionati perché il pretrattamento provoca l’accumulo di radioiodio anche nei tessuti extranodulari non più funzionalmente inattivi e quindi aumenta il rischio di un ipotiroidismo post-terapeutico. È necessario sospendere l’eventuale trattamento in atto almeno 3 settimane prima della terapia radiometabolica e verificare che le zone autonome abbiano ripreso la loro funzione e che le zone normali siano inibite. A volte è opportuno sommonistrare liotironina (T3) per bloccare il tessuto tiroideo normale. Farmacocinetica Lo iodio è sotto forma di NaI ed ha un’emivita di 5-6 giorni, mentre l’emiperiodo effettivo è di 8 giorni. Il periodo effettivo di emivita è 8 giorni ma la radioattivit{ nei tessuti ha un’emivita di 5 giorni in quanto dipende sia dall’emivita fisica ma anche dall’emivita biologica (correlata alla velocità di eliminazione dal tessuto che concentra radioiodio, le tionamidi possono Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 modificare questo periodo). Decade in xenon che è prontamente eliminato. È contenuto in casseforti piombate in medicina nucleare. Può essere somministrato: - In compresse gelatinose: viene consegnato ogni 3 giorni e possiede 3 dosi tarate da utilizzare nei 3 giorni. - In soluzione: consegnato ogni settimana contenente 8 giorni di taratura. La concentrazione del farmaco è specificatamente nella tiroide con risparmio delle altre strutture. L’obiettivo terapeutico è il raggiungimento di un eutiroidismo (con 1 dose unica se possibile) entro 1-2 mesi, nel caso di oftalmopatia però il target è l’ablazione del tessuto in tempi rapidi. La dose al bersaglio nel morbo di Graves è 80-120 Gy, ma se presente oftalmopatia si eleva a 150-200 Gy. Per quanto riguarda la dose si può usare una dose singola ablativa, tante piccole dosi o una dose variabile a seconda della dosimetria. Alla 24° ora si fa il test di captazione dello I per vedere eventuali inibizioni della captazione. Effetti avversi generali: Deterministici o Tiroiditi o Scialoadeniti o Paralisi delle corde vocali per edema perineurale del nervo ricorrente o Depressione midollare o Fibrosi polmonare o Oligospermia, azospermia, nausea e vomito per dosi elevate Stocastici o Aumento del rischio carcinogenetico Effetti avversi locali: Ipotiroidismo (a 10 anni nel 70% dei soggetti) Tiroidite da raggi (tireotossicosi dopo 7-10 giorni) Scialoadenite Edema della regione del collo Peggioramento dell’oftalmopatia Controindicazioni: 1. Gravidanza in atto o allattamento 2. Età minore di 18 anni 3. Gozzo nodulare di grosse dimensioni (chirurgia) 4. Tireotossicosi senza ipertiroidismo o ipertiroidismo con bassa captazione 5. Ipertiroidismo subclinico nella tiroidite di Hashimoto 6. Morbo di Basedow con noduli dominanti non captanti e con possibile grado di malignità. L’allergia allo iodio non è una controindicazione in quanto le dosi utilizzate per la terapia radiometabolica sono molto inferiori rispetto alla normale dose di iodio assunta con la dieta. Gravidanza e allattamento Prima di iniziare la terapia assicurarsi dell’assenza dello stato gravidico. Evitare concepimento per 4 mesi dopo interruzione del trattamento (sia per uomo che per donna). Nel caso di gravidanza entro i 4 mesi o esposizione al radioiodio in gravidanza bisogna rilevare la dose di esposizione del nascituro e confrontarla con quella della vita quotidiana, in più tenere conto del periodo di gravidanza (la tiroide si forma alla 12° settimana e sarebbe distrutta dal radioiodio che si concentrerebbe in vescica). Sotto ai 100 mSv non si prende in considerazione l’aborto, oltre si guardano i casi individualmente. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Sospensione dei prodotti contenenti iodio prima del trattamento: - Multivitaminici - Epettoranti, dimagranti, disinfettanti, dentifrici, tinture e tutti i prodotti iodati - Tintura di iodio - Mezzi di contrasto radiografici - Amiodarone: interferisce con la funzione tiroidea e deve essere sospeso 3-6 mesi o più prima del trattamento Dopo al trattamento con radioiodio le terapie che si possono instaurare sono: Tionamidi: solo in casi selezionati e non prima di 7 giorni dal termine del trattamento Beta-bloccanti: propranololo, atenololo, metoprololo, nadololo utili per il controllo dei sintomi acuti di ipertiroidismo Glucocorticoidi: per prevenire il peggioramento dell’oftalmopatia da radioiodio FANS: possibile utilizzo Beta-bloccanti Questi farmaci sono impiegati nel trattamento delle crisi tireotossiche per ridurre gli effetti periferici dell’eccesso di ormoni come palpitazioni, tachicardia, aritmie, nervosismo, eccessiva produzione di calore. Nei pazienti con problemi cardiaci o affetti da asma può essere utilizzato il verapamil. Ioduro Questo farmaco inibisce il trasferimento dello iodio sui residui di tirosina e quindi riduce il rifornimento dei depositi di tireoglobulina. Esso inibisce anche la liberazione di ormoni tiroidei ma con meccanismi ancora sconosciuti. Esso viene scarsamente utilizzato in monoterapia ma può essere molto utile nelle crisi tireotossiche o prima di un intervento chirurgico alla tiroide in quanto riduce la vascolarizzazione tiroidea. Viene somministrato per via orale e alcuni effetti avversi possono essere dolore alla gola o alla bocca, eruzioni cutanee, ulcerazioni delle membrane mucose e gusto metallico in bocca. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIDIABETICI 64. Insulina ed analoghi L’insulina è una proteina formata da 2 catene polipeptidiche legate insieme da ponti disolfuro. Essa viene prodotta in forma inattiva come pro-ormone (pro-insulina) dopodichè viene trasformata in insulina attiva e peptide C che vengono entrambi secreti dalle cellule β del pancreas. L’insulina svolge normalmente un ruolo di controllore dell’omeostasi glucidica nel sangue e a seguito di ciò favorisce l’accumulo di sostanze energetiche di deposito attraverso diverse vie metaboliche. Viene normalmente secreta in risposta a stimoli diversi di cui il principale è la glicemia, quando questa si eleva ad esempio a seguito di un pasto si verifica un’attiva secrezione di insulina dalle cellule beta-pancreatiche attraverso un meccanismo complesso: il glucosio entra nelle cellule beta tramite trasportatori GLUT-2 non dipendenti da insulina e qui entra nella cascata glicolitica per formare glucosio-6-P e intermedi successivi. Il risultato è una produzione di ATP che determina un blocco del canale del potassio, il quale rimane recluso dentro la cellule e provoca una depolarizzazione fino a valori tali da aprire canali del calcio che permettono la secrezione dell’insulina e del fattore C. Il monitoraggio della secrezione di insulina viene fatta mediante il rilevamento del peptide C in quanto la rilevazione dell’insulina non è accurata perché non distingue la proinsulina dall’insulina. Nel momento in cui la glicemia si innalza fino a superare i 200 mg/dl in condizioni postprandiali (dopo 2 ore da test da carico di glucosio) e oltre i 126 mg/dl in condizioni a digiuno si parla di diabete mellito. Gli altri 2 markers utili per far diagnosi di diabete mellito sono l’emoglobina glicata HbA1c che normalmente è sotto al 6% dell’Hb totale e invece nel diabetico supera il 7% e la glicosuria cioè la quantità di glucosio eliminata con le urine che normalmente dovrebbe essere nulla. Pertanto il diabete si può definire come un’alterazione del metabolismo glucidico associata a valori elevati di glicemia che predispongono ad una serie di sindromi differenti che daranno origine alle tipiche complicanze del diabete se non viene trattato cioè neuropatia, nefropatia, retinopatia e patologie cardiovascolari. Il diabete viene diviso in 2 categorie (ad oggi viene ampliato a 4 categorie) 1. Diabete I (insulino dipendente): deriva da una distruzione immuno-mediata delle cellule del pancreas endocrino e quindi c’è assenza di insulina 2. Diabete II (insulino resistente): deriva da una resistenza dei tessuti periferici all’azione dell’insulina e benchè in un primo momento il pancreas cerchi di compensare elevando i livelli di insulinemia, più tardi le cellule beta vanno incontro a disfunzione e si riducono determinando carenza di insulina. 3. Diabete MODY (associato ad alterazioni geniche) 4. Diabete gestazionale (insorto durante gravidanza) Obiettivi nel trattamento del diabete: - Controllo glicemico (glicemia preprandiale 90-130 mg/dl e glicemia postprandiale < 180 mg/dl) - HbA1c < 7% - Pressione arteriosa < 130/80 mmHg - Colesterolo HDL > 40 mg/dl - Colesterolo LDL < 100 mg/dl - Trigliceridi < 150 mg/dl Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Tutte queste precauzioni sono utili al fine di ridurre al minimo il rischio di complicanze del diabete sia acute che croniche, uno studio recente ha dimostrato l’importanza della prevenzione sia primaria che secondaria attraverso il dosaggio dell’HbA1c: una riduzione di un punto percentuale dell’emoglobina glicata comporta il 35% della riduzione delle complicanze. Insulina L’insulina è stata utilizzata come farmaco per anni estraendola dal pancreas bovino e suino. Oggi viene impiegata essenzialmente l’insulina umana ottenuta tramite metodiche di ricombinazione del DNA utilizzando colture di E. Coli e lieviti geneticamente modificati con l’inserimento del gene umano per la produzione dell’insulina. In più quest’insulina umana è stata ulteriormente modificata alterando la disposizione degli aminoacidi o la coniugazione con altre sostanze per renderla più efficace alle somministrazioni. Le principali insuline sintetiche utilizzate in terapia antidiabetica sono: - INSULINA REGOLARE - INSULINA LISPRO - INSULINA ASPARTATO Insuline a inizio rapido e azione ultrabreve - INSULINA GLULISINA - INSULINA ISOFANO NPH SOSPENSIONE Insuline ad azione intermedia - INSULINA ZINCO PROTRATTA - INSULINA GLARGINA Insuline ad azione prolungata - INSULINA DETEMIR Meccanismo d’azione Le insuline si legano ai recettori specifici nei tessuti bersaglio e qui determinano diverse risposte. In primo luogo l’interazione col recettore provoca un’autofosforilazione ed un’attivazione della cascata chinasica che culmina nella fosforilazione di proteine bersaglio come l’esternalizzazione dei trasportatori del glucosio e l’attivazione di enzimi deputati al metabolismo del glucosio che entra nella glicolisi e ciclo di Krebs per arrivare alla fosforilazione ossidativa con produzione di ATP. Inoltre in certi tessuti come l’adipe possono essere stimolati gli enzimi che creano acidi grassi e la conseguente sintesi di trigliceridi da immagazzinare nel tessuto adiposo. Nel muscolo o nel fegato possono essere stimolati gli enzimi per la glicogenosintesi e la captazione delle proteina specialmente nel muscolo. Il fine di tutto ciò è l’accumulo di riserve energetiche. In più però il meccanismo chinasico giunge anche alla fosforilazione di fattori di trascrizione che entrano nel nucleo e mediano la trascrizione di specifici geni coinvolti nel metabolismo del glucosio. L’insulina presenta anche alcune azioni mitogene e pertanto deve sempre essere somministrata con prudenza. Al fine di combattere il diabete e quindi ridurre la glicemia vengono esternalizzati i recettori GLUT-4 dipendenti dall’insulina presenti nel muscolo e nel tessuto adiposo. I GLUT-2 sono presenti nel pancreas, fegato, rene e intestino, i GLUT-1 sono ubiquitari e responsabili della maggior captazione glucidica (specialmente negli eritrociti). I GLUT-3 invece sono nel SN e nella placenta mentre i GLUT-5 sono deputati all’assorbimento del fruttosio nell’intestino e nel rene. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Azioni Fegato Muscolo Aumento trasporto glucosio intracell Inibizione lipolisi Inibizione gluconeogenesi Aumento sintesi trigliceridi Aumento sintesi glicogeno Aumento sintesi proteica Adipe + + + + + + + + + + Usi terapeutici 1. Diabete mellito tipo I: uso principale e fondamentale per consentire la vita al paziente 2. Diabete mellito tipo II: uso secondario che risulta necessario quano il diabete tende a peggiorare e la performance pancreatica declina 3. Situazioni di emergenza (crisi iperglicemiche) 4. Diabete post-pancreatectomia 5. Diabete gestazionale Farmacocinetica La cinetica delle varie forme di insulina varia notevolmente in base alla loro struttura e alla loro preparazione. Fondamentali sono le differenze nella durata d’azione e nel tempo d’inizio dell’azione che dipendono da dimensioni, composizione dei cristalli e sequenza aminoacidica dell’insulina e inoltre da sede di iniezione, dose, flusso ematico, temperatura e attivit{ fisica. Tutte le insuline vengono somministrate per via parenterale perché la via orale porta ad una veloce degradazione dell’ormone a causa degli enzimi peptici. Così le somministrazioni preferenziali sono sottocutanea ed endovenosa solo nei casi acuti e di una certa gravità per ridurre il tempo d’inizio dell’azione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Il volume di distribuzione corrisponde in linea di massima al volume del LEC. Il metabolismo è epatico e l’eliminazione è renale. L’emivita è dell’ordine di minuti. Ad oggi sono state proposte anche somministrazioni attraverso aerosol o spray che consentono l’assorbimento dell’insulina nel letto alveolare o nella mucosa buccale. Preparazioni di insulina a inizio rapido e ad azione ultrabreve Questa classe comprende insuline che agiscono in tempi molto brevi e durano molto poco. - Insulina regolare: viene iniettata sottocute oppure in endovena quando ci sono situazioni di emergenza. Essa si trova come insulina zinco-cristallina solubile ad azione breve. Viene rilasciata sottocute e il fatto di entrare in circolo più o meno velocemente dipende dagli eccipienti utilizzati (zinco rallenta l’assorbimento). Essa viene depositata sotto forma di esameri stabilizzati dallo zinco e per essere funzionale gli esameri devono essere ricondotti a monomeri ed è per questo che sono necessari circa 30 minuti dall’inizio dell’azione. - Insulina lispro: questa insulina differisce dalla forma regolare in quanto c’è un’inversione in posizione 28 e 29 degli aminoacidi lisina e prolina e questo piccolo cambiamento è responsabile di un’azione molto più rapida e una durata d’azione più breve. Infatti la somministrazione di questi composti sottocutanei è sempre sotto forma di momoneri ma questi sono meno stabili e già a concentrazioni più alte iniziano a disgregarsi in monomeri permettendo un inizio d’azione più veloce (15 minuti) e una durata d’azione più breve. Essa ha sostituito la regolare per l’infusione dell’insulina prima dei pasti in quanto è più veloce e dura di meno riducendo il rischio di ipoglicemia. I livelli massimi si presentano infatti 30-90 minuti dopo l’assunzione a differenza dell’insulina regolare che ha il Tmax ai 50-120 minuti. - Insulina aspartato: molto simile alla lispro con durata d’azione molto breve - Insulina glulisina: essa è sovrapponibile alla lispro e all’aspartato ma ha una durata d’azione leggermente inferiore a entrambe. La lispro è l’unica adatta alle somministrazioni immesse nelle pompe a rilascio continuo sottocutaneo per la sua scarsa capacità di formare esameri. Generalmente queste insuline vengono somministrate insieme a insuline a lunga durata d’azione e mai in monoterapia, esse mimano l’increzione fisiologica postprandiale dell’insulina. Preparazioni di insulina ad azione intermedia In questa classe ci sono: - Insulina lenta: precipitato amorfo di insulina con ione zinco associata al 70% di insulina ultralenta. Insorgenza dell’effetto massimo è a volte più lenta rispetto all’insulina regolare ma la sua durata d’azione è più lunga - Insulina isofano NPH sospensione: si tratta di una preparazione di insulina zinco associata coniugata con protamina a pH neutro. La protamina ha la caratteristica di rallentare notevolmente l’assorbimento del composto e quindi l’insulina ha una durata d’azione intermedia. Va somministrata sempre per via sottocutanea e mai endovenosa. Generalmente si dà con insulina regolare. È stato preparato anche un composto simile detto insulina lispro protamina neutra (NPL) da utilizzare in associazione solo a insulina lispro. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Preparazioni di insulina ad azione prolungata In questa classe ci sono: - Insulina zinco protratta: detta anche insulina ultralenta, caratterizzata da insulina zinco cristallina in tampone acetato. Ciò permette un rilascio molto lento e una durata d’azione lunga con prolungato effetto ipoglicemizzante. - Insulina glargina: essa ha un punto isoelettrico più basso rispetto a quello dell’insulina normale e quindi dopo somministrazione precipita a pH corporeo a livello del sito di iniezione e rallenta molto il suo assorbimento. Ha inizio d’azione più lento rispetto a NPH e durata d’azione molto lunga e costante non determinando mai picchi insulinici responsabili degli effetti avversi come ipoglicemia. - Insulina detemir: legame nella catena laterale con un acido grasso. Si combina con l’albumina a livello del sito d’iniezione ed ha propriet{ simili alla glargina. È stata recentemente autorizzata al commercio in Europa. Alcune di queste insuline vengono spesso associate in combinazioni premiscelate. Il trattamento con queste insuline può essere sia standard che intensivo. Il trattamento standard prevede 2 somministrazioni giornaliere per diminuire la glicemia e l’emoglobina glicata, ma per avere riduzione più intensa e copertura maggiore nei confronti delle complicanze è più opportuno usare il trattamento intensivo con dosi massiccie. È evidente che col trattamento intensivo sono più frequenti crisi ipoglicemiche ma la copertura contro le complicanze è maggiore. Effetti avversi: Ipoglicemia: problema principale, più frequente nelle preparazioni che subiscono dei picchi di insulina. È il problema della terapia intensiva (soprattutto in anziani e bambini) Allergia: il problema è stato ormai del tutto risolto Lipodistrofia: a livello della sede di iniezione sottocutanea Aumento di peso Importante il monitoraggio della glicemia, dell’Hb1Ac e dei livelli di glucosio postprandiale (nuiovo parametro di cui si tiene in considerazione e di cui si sono viste le utilità). Nuove forme di terapia insulinica: (ricerca) - Trapianto di pancreas - Trapianto di cellule beta pancreatiche - Nuove vie di somministrazione orale, rettale, nasale - Preparazioni in monomeri o dimeri Terapia di un attacco acuto di iperglicemia chetoacidosica - Apporto idrico - Potassio (perché l’insulina induce ingresso di potassio dentro la cellula e quindi a volte può essere necessario somministrare potassio esogeno in casi di eccessi di insulina) - Insulina endovena - NaHCO3- se pH arterioso è sotto 7.0 - Misure di supporto: sondino nasogastrico, catetere vescicale, antibiotici, ossigeno - Monitoraggio: glicemia, kaliemia, pH arterioso, ECG, polso, pressione, respirazione, vigilanza Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 65. Farmaci impiegati nel trattamento del diabete di tipo II Il diabete tipo II viene trattato in prima linea con ipoglicemizzanti orali. Essi hanno una massima efficacia nel paziente diabetico da non più di 5 anni e che abbia all’incirca sui 40 anni. In pazienti con malattia più avanzata si rende opportuno somministrare insieme agli ipoglicemizzanti orali anche insulina soprattutto quando la performance beta-pancreatica inizia a decadere. I farmaci ipoglicemizzanti orali possiedono diversi meccanismi d’azione: - Secretagoghi di insulina o Sulfaniluree o Analoghi della meglitinide - Sensibilizzatori all’insulina o Biguanidi o Tiazolidindioni o Glitazoni - Inibitori dell’alfa-glucosidasi o Acarbosio e Miglitolo - Ormoni gastrointestinali o Exenatide Sulfaniluree Questi farmaci sono dei secretagoghi di insulina perciò aumentano la secrezione di insulina d parte delle cellule beta pancreatiche. - TOLBUTAMIDE - GLIBURIDE (Glibenclamide) - GLIPIZIDE - GLIMEPIRIDE Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono sulle cellule beta del pancreas legandosi in modo selettivo ai canali del K inibendoli. In questo modo la corrente in uscita del potassio viene bloccata e si ha una depolarizzazione che porta all’apertura dei canali del Ca e alla liberazione dell’insulina. Sono agonisti del normale meccanismo di secrezione dell’insulina mediato dall’ATP. Azioni: Stimolazione della secrezione di insulina Aumento dei recettori dell’insulina Aumento della sintesi dei trasportatori di glucosio Riduzione dei livelli sierici di glucagone Riduzione clearance epatica dell’ormone (forse) Usi terapeutici: diabete tipo II tranne i pazienti con insufficienza epatica e renale Farmacocinetica: sono assorbiti bene per via orale e si legano alle proteine plasmatiche, sono metabolizzati dal fegato o dal rene. La tolbutamide ha la durata d’azione più breve (6-12 ore) mentre le altre ce l’hanno in media di 24 ore. Reazioni avverse: Aumento di peso Ipoglicemia Iperinsulinemia Controindicazioni: insufficienza epatica e renale perché sono le sedi di metabolismo e se non sono funzionanti si rischia l’ipoglicemia severa. Inoltre passano la barriera placentare e possono svuotare il pancreas fetale di insulina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Analoghi della meglitinide - REPAGLINIDE - NATEGLINIDE Sono molto simili alle sulfaniluree sia come meccanismo d’azione che come azioni ed usi terapeutici. La differenza sta nella farmacocinetica in quanto hanno inizio d’azione più veloce e durata più breve. Sono molto efficaci nella liberazione postprandiale di insulina. Molto più attivi se associati a metformina o glitazoni piuttosto che in monoterapia. Sono ben assorbiti per via orale e eliminati con la bile. L’incidenza dell’ipoglicemia come effetto avverso è molto più bassa. Tuttavia si presentano diversi effetti di interazioni con altri farmaci. I farmaci che inibiscono il CYP3A4 possono aumentare l’effetto ipoglicemizzante e viceversa quelli che inducono gli enzimi. Uno degli effetti avversi principali resta l’aumento di peso. Devono essere usati con cautela nei pazienti con insufficienza epatica. Esistono anche farmaci come il DIAZOSSIDO che hanno effetti opposti alle sulfaniluree in quanto attivano i canali del potassio e oltre a indurre blocco della secrezione di insulina provocano anche dilatazione della muscolatura liscia. Biguanidi Il biguanide utilizzato è la METFORMINA. Questo farmaco agisce come sensibilizzatore all’insulina in quanto favorisce l’attivit{ dell’insulina nei pazienti in cui c’è resistenza periferica all’ormone. Meccanismo d’azione: la metformina agisce migliorando la risposta del bersaglio cellulare all’insulina senza aumentare la secrezione pancreatica dell’ormone. Azioni: Inibizione della gluconeogenesi epatica: responsabile di per sé della maggior parte del glucosio ematico presente nel diabetico di tipo II Aumento dell’uptake periferico di glucosio per azione sul GLUT-4 Aumento dell’utilizzo intesinale degli zuccheri (che vengono quindi assorbiti in misura minore) Riduzione dell’iperlipidemia (necessarie 4-6 settimane) Perdita di peso a seguito della riduzione dell’appetito Riduzione netta della mortalità cardiovascolare da complicanze diabetiche Azione stimolante la produzione di acido lattico Usi terapeutici: viene usata come prima scelta nel trattamento del diabetico di tipo II di nuova diagnosi e può essere usata sia da sola sia in associazione con altri ipoglicemizzanti ma anche con l’insulina stessa. In quest’ultimo caso è necessario ridurre le dosi perché si può andare incontro a ipoglicemia. Un altro impiego terapeutico della metformina è l’ovaio policistico in cui si è visto che un aumento della sensibilizzazione periferica all’insulina può migliorare i cicli ovulatori e forse favorire la gravidanza. Farmacocinetica: ben assorbita per via orale e non si lega alle proteine plasmatiche e non viene metabolizzata. Le concentrazioni più alte sono nella saliva e nella parete gastrointestinale. Viene eliminata con le urine. L’emivita è di 1,5-4,5 ore e possiede un’alta clearance renale. Effetti avversi: In gran parte disturbi gastrointestinali L’ipoglicemia è molto meno frequente che con le sulfaniluree perché non c’è una massiva liberazione di insulina così come è assente l’iperinsulinemia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Acidosi lattica: raramente si può presentare questo effetto avverso in quanto il farmaco agisce stimolando la produzione di acido lattico. In generale si è visto che lo stimolo alla produzione di acido lattico si ha sui pazienti diabetici in trattamento per la insufficienza cardiaca e per questo essi non devono assumere metformina Controindicazioni: insufficienza renale, insufficienza epatica, insufficienza cardiaca, insufficienza respiratoria (perché in caso di acidosi metabolica mancherebbe il compenso polmonare). Un’altra controindicazione è l’alcolismo, le infezioni di grado severo e la gravidanza. Utilizzo per lungo periodo di metformina può portare a interferenza con l’assorbimento della vitamina B12. Tiazolidindioni o Glitazoni Questi farmaci sono anch’essi sensibilizzatori dell’insulina al pari della metformina. Sono stati però riscontrati casi gravi di epatotossicità letale che hanno eliminato certi prodotti farmaceutici dalla vendita. Ad oggi sono disponibili: - PIOGLITAZONE - ROSIGLITAZONE Meccanismo d’azione: non si sa ancora bene come questi possano influire sulla riduzione delle complicanze del diabete mellito II ma le ipotesi sono diverse. Infatti si sa che i glitazoni si legano ai recettori nucleari PPARγ e quindi vanno a stimolare direttamente la trascrizione genica di geni che codificano per proteine ed enzimi responsabili del controllo dell’omeostasi glucidica e lipidica. Azioni: Aumento sintesi di adipochine: regolazione della crescita degli adipociti e aumento della loro sensibilit{ all’insulina (importante in prevenzione secondaria del diabete in pazienti obesi) Aumento sensibilizzazione insulina: nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo Miglioramento dell’ipertrigliceridemia, iperglicemia e iperinsulinemia (infatti questi non aumentano la secrezione basale di insulina) aumento dei livelli di HDL. Sviluppo del grasso sottocutaneo (sia per azione di mobilitazione degli acidi grassi sia per aumento dell’edema) Usi terapeutici: diabete di tipo II soprattutto in pazienti anche obesi. Un altro uso è l’ovaio policistico nelle donne per favorire l’ovulazione e la possibile gravidanza. Farmacocinetica: sono assorbiti per via orale ed entrano nel circolo legati estesamente all’albumina sierica. Subiscono un ampio metabolismo ad opera del cit P-450 e alcuni metaboliti conservano l’attivit{ questi metaboliti sono escreti con le urine mentre il farmaco d’origine è eliminato nella bile. Normalmente il pioglitazone può essere usato in monoterapia o in associazione ad altri ipoglicemizzanti orali o insulina. Il rosiglitazone invece può venire associato ad altri ipoglicemizzanti ma non all’insulina a causa dell’aumentata incidenza di edema. Effetti avversi: il problema degli effetti avversi e della tossicità si rifà alla capacità di questi composti di legarsi ai PPAR non solo di tipo γ presenti sulle cellule adipose, cellule beta pancreatiche, cellule endoteliali e macrofagi, ma anche ai recettori α e δ. I PPARα sono situati nel fegato, cuore, muscolo scheletrico e vasi. Pertanto i maggiori effetti avversi si avranno per interazione con i PPARα: Epatotossicità: necessario controllare le transaminasi prima di iniziare la terapia e ogni 2 mesi per il primo anno e poi periodicamente. Aumento ponderale: sia per l’incremento del grasso sottocutaneo sia per l’edema da ritenzione idrica Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Complicanze cardiovascolari: si è vista un’aumentata incidenza di torsioni di punta all’ECG, forse il meccanismo edemigeno peggiora la performance cardiaca Cefalea, anemia Controindicazioni: allattamento Le donne che assumono contraccettivi orali e prendono glitazoni possono rimanere incinte in quanto questo riduce le concentrazioni plasmatiche dei contraccettivi orali. In pazienti che assumono il farmaco insieme all’insulina o ad altri ipoglicemizzanti orali devono ridurre le dosi di entrambi i farmaci per evitare ipoglicemia. Acarbosio e Miglitolo Questi 2 farmaci non hanno un’attivit{ favorente sull’increzione di insulina o sull’aumento della sua sensibilizzazione nei tessuti periferici. Meccanismo d’azione: essi si legano agli enzimi α-glucosidasi massimamente concentrati nell’orletto a spazzola della mucosa del tenue impedendo così la maggior parte dell’assorbimento di carboidrati che non vengono scissi in disaccaridi e glucosio e pertanto si riduce la glicemia postprandiale. Essi agiscono anche sull’α-amilasi pancreatiche che impedisce la degradazione dell’amido in oligosaccaridi. Azioni: riduzione della glicemia postprandiale, non si ha ipoglicemia a meno che non ci sia un trattamento concomitante con sulfaniluree o insulina. In caso di ipoglicemia è consigliato dare al paziente glucosio piuttosto che saccarosio perché quest’ultimo subisce lo stesso destino degli oligosaccaridi e viene scarsamente assorbito. Usi terapeutici: diabete mellito tipo II Farmacocinetica: l’ACARBOSIO è scarsamente assorbito, viene metabolizzato dai batteri intestinali e alcuni metaboliti sono assorbiti ed escreti con le urine. Il MIGLITOLO si assorbe molto bene ma non esercita effetti sistemici. Si assumono all’inizio del pasto. Effetti avversi: flatulenza, diarrea e crampi addominali. Essi riducono la biodisponibilità di metformina. Non devono essere usati in pazienti con IBD, ulcerazioni del colon o ostruzione intestinale. Exenatide Si è dimostrato che l’assunzione di glucosio per via orale determina un’increzione di insulina da parte delle cellule pancreatiche molto maggiore rispetto all’insulina secreta in risposta a glucosio endovenoso. Questo comportamento si spiega per la presenza di ormoni gastrointestinali come GLP-1 (glucagon like peptide) e il GIP (gastric inhibitor peptide) situati principalmente sulle pareti del tenue. Questa modalit{ di secrezione dell’insulina viene detta “via dell’incretina”. Il GLP-1 è velocemente metabolizzato in vivo da parte delledipeptil-peptidasi4 (DPP4) che sono presenti in vari tessuti come intestino e rene. Il GLP-1 inoltre sopprime la secrezione di glucagone e la produzione di glucosio, aumenta il tempo di svuotamento gastrico e riduce la sensazione di fame. Farmaci analoghi al GLP-1 sono stati formati per far fronte all’iperglicemia del diabete tipo II: - EXENATIDE: analogo sintetico del GLP-1 - LIRAGLUTIDE : altro analogo del GLP-1 ma ancora in via di sperimentazione - SITAGLIPTIN e VIDAGLIPTIN : inibitori delle DPP4 e quindi aumentano l’emivita dei GLP1 e GIP. L’exenatide deve essere somministrata per via parenterale. Ha breve durata d’azione e richiede una somministrazione frequente. È ben tollerata e solo in un piccolo numero di pazienti è stata rilevata nausea. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ORMONI SESSUALI E FARMACI DEL METABOLISMO OSSEO ESTROGENI, PROGESTINICI E ANDROGENI 66. Estrogeni, progestinici e contraccettivi orali Gli estrogeni e i progestinici sono ormoni prodotti normalmente dall’ovaio e in parte dal surrene e da altri tessuti. Essi governano la funzione riproduttiva, il concepimento, lo sviluppo ed il mantenimento dei caratteri sessuali primari e secondari. I farmaci contenenti queste preparazioni ormonali trovano impiego nella contraccezione, nel trattamento sostitutivo per ipogonadismo o in post-menopausa e nell’osteoporosi. Il ciclo ovarico e mestruale Nella fase follicolare del ciclo ovarico l'ipofisi rilascia quantità modeste di FSH e di LH in risposta alle stimolazioni provenienti dall'ipotalamo; in questa fase le cellule del follicolo immaturo dispongono di recettori per l'ormone FSH ma non per quelli per l'ormone LH. Le molecole di FSH inducono l'accrescimento da cinque a sette follicoli ovarici e le cellule di tale struttura in sviluppo producono estrogeni. Il follicolo più grande secerne inibina che serve a fermare i follicoli sopprimendo la produzione di FSH. Questo follicolo dominante continua a crescere, e diventa presto competente per l'ovulazione. Una bassa concentrazione di estrogeni da parte del follicolo mantiene la secrezione di gonadotropine ipofisarie (FSH , LH) a livelli parimenti modesti attraverso un meccanismo di feedback negativo. Questi rapporti ormonali si modificano in modo radicale e bruscamente nella fase ovulatoria quando il ritmo della secrezione di estrogeni da parte del follicolo in sviluppo inizia a crescere molto rapidamente; per un controllo feedback positivo aumenteranno notevolmente anche le gonadotropine (FSH, LH). Ormai la maturazione del follicolo è arrivata a un punto tale che questa struttura dispone di recettori per l'ormone LH e può rispondere a questa molecola segnale che determina nel follicolo stesso la definitiva maturazione; l'ovulazione si verifica circa 24 ore dopo la comparsa del picco di LH, in seguito all'ovulazione, LH stimola la formazione del corpo luteo, una particola struttura cicatriziale che funziona come ghiandola endocrina. I follicoli producono estrogeni; tali estrogeni iniziano la formazione di un nuovo strato di endometrio nell'utero, identificato come l'endometrio proliferativo. Se fecondato, l'embrione sarà impiantato all'interno di questa polpa ospitale. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Quando il follicolo è maturato, secerne abbastanza estradiolo da portare al rilascio dell'ormone luteinizzante (LH). In un ciclo medio questo rilascio di LH avviene intorno al dodicesimo giorno e può durare 48 ore. Il rilascio di LH fa maturare l'ovulo e indebolisce la parete del follicolo ovarico. Questo processo porta all'ovulazione: il rilascio dell'ovulo maturo, la cellula più grande del corpo (con un diametro di circa 0.5 mm). Le tube di Falloppio devono catturare l'ovulo e fornire il posto per la fertilizzazione. Un caratteristico muco chiaro e filante viene secreto dalla cervice, pronta ad accettare lo sperma. Il corpo luteo è il corpo solido che si forma nelle ovaie dopo che l'ovulo è stato rilasciato dalle tube di Falloppio, è cresciuto e si è diviso. Dopo l'ovulazione, il follicolo residuo si trasforma nel corpo luteo con l'aiuto di ormoni secreti dall'ipofisi. Questo corpo produrrà progesterone ed estrogeni per approssimativamente due settimane. Il progesterone gioca un ruolo chiave nel convertire l'endometrio proliferativo in un rivestimento accogliente per un'eventuale impianto e per le prime fasi della gravidanza. Esso innalza anche la temperatura corporea da un quarto a mezzo grado centigrado. L'ovulo, se sarà stato fecondato, viaggerà come blastula attraverso le tube di Falloppio fino alla cavità uterina e si impianterà 6 o 12 giorni dopo l'ovulazione. Un segnale precoce viene dato dalla gonadotropina corionica (HCG), ormone che si può misurare con un test di gravidanza. Esso ha un ruolo importante nel mantenere il corpo luteo "vivo" e capace di produrre ancora progesterone. Senza gravidanza (e quindi senza HCG) il corpo luteo scompare, e il livello di progesterone crolla. Ciò determina l'inizio di un nuovo ciclo mestruale. ESTROGENI L’ormone con maggior efficacia è l’Estradiolo prodotto dall’ovaio, gli altri estrogeni sono l’estrone e l’estriolo che vengono prodotti e secreti in minor misura da altri tessuti come fegato e soprattutto il surrene. Tra gli estrogeni di sintesi ampiamente utilizzati in terapia c’è l’Etinilestradiolo che è presente nella maggior parte delle preparazioni contraccettive, esso subisce un minor metabolismo di primo passaggio e dunque è più efficace ed ha un assorbimento maggiore rispetto ai composti naturali. Principali estrogeni di utilizzo farmacologico: ESTRADIOLO ETINILESTRADIOLO ESTRIOLO ESTRONE MESTRANOLO DIETILSTILBESTROLO Meccanismo d’azione Gli estrogeni si legano selettivamente ai recettori degli estrogeni situati principalmente a livello nucleare nei siti bersaglio e pertanto l’azione degli estrogeni è la trascrizione genica e la sintesi di nuovo RNA. Esistono 2 sottotipi di recettori estrogenici alfa e beta ed essi mediano diversi comportamenti trascrittivi. L’affinit{ dei vari composti è diversa per uno o per l’altro recettore e pertanto possono generare risposte diverse. Il meccanismo utilizzato per la trasduzione del segnale è anch’esso variabile e può variare da un intervento della proteina G associata ad un secondo messaggero o all’aumento di produzione di NO. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Azioni Regolazione del ciclo ovarico e mestruale Sviluppo e mantenimento dei caratteri sessuali primari e secondari Effetti metabolici: o Aumento sintesi HDL e riduzione LDL o Aumento secrezione di colesterolo nella bile e riduzione di Sali biliari con possibile rischio di calcolosi biliare o Aumento della produzione di proteina trasportatrice della tiroxina, di transcortina e di proteina legante gli ormoni sessuali (SHBP) o Aumento della sintesi dei recettori per il progesterone o Aumento sintesi dei fattori di coagulazione II, VII, IX, X o Riduzione dell’antitrombina III o Aumento della sintesi di fibrinogeno Questi ultimi effetti sono responsabili dell’aumentato rischio cardiovascolare di tali farmaci con una probabilità incrementata di avere fenomeni tromboembolici e ischemici. Usi terapeutici 1. Contraccezione: normalmente questi farmaci vengono impiegati in associazione a progestinici e il loro bersaglio per prevenire la gravidanza è l’inibizione dell’ovulazione, consentendo comunque la normale mestruazione. Il composto in assoluto più utilizzato in questo campo è l’estrogeno di sintesi etinilestradiolo. 2. Terapia ormonale sostitutiva in post-menopausa: questa terapia con estrogeni deve essere effettuata per periodi molto brevi e solo in condizioni di necessità in quanto si è visto che in tali pazienti i rischi di malattia cardiovascolare tendono a superare i benefici dovuti al miglioramento dei fenomeni vasomotori che determinano le tipiche vampate di calore in quanto gli estrogeni bloccano la secrezione anomala di noradrenalina dall’ipotalamo, al miglioramento dell’osteoporosi in quanto gli estrogeni inibiscono il riassorbimento osseo ma al contempo non favoriscono la deposizione, al miglioramento dell’atrofia postmenopausale che si verifica a carico della vulva, della vagina , dell’uretra e del trigono vescicale. Ad oggi la terapia sostitutiva per l’osteoporosi non si effettua più perché esistono altri rimedi terapeutici più efficaci e scevri da rischi patologici. Solo utilizzati in terapia acuta di breve durata e sintomatologica. 3. Terapia ormonale sostitutiva in ipogonadismo primario: può accadere che giovani donne vadano incontro a fenomeni di ipofunzionalità delle ovaie determinate da difetti di crescita o anomalie varie e pertanto queste pazienti necessitano di estrogeni associati a progesterone per mantenere i caratteri sessuali primari e secondari e stabilire una normalizzazione del ciclo ovarico potendo anche consentire l’ovulazione e la gravidanza. Farmacocinetica Questi composti sono somministrati per via orale oppure anche per via transdermica, sublinguale e intramuscolare. Gli estrogeni naturali come l’estradiolo utilizzato tipicamente in terapia sostitutiva quando è assunto per via orale subisce un notevole metabolismo intestinale ed epatico di first pass che tende a ridurre in parte la sua potenza e la sua efficacia. Esso è rapidamente metabolizzato dal fegato ed eliminato nella bile e quindi sottoposto a circolo entero-epatico. I prodotti inattivi vengono poi eliminati anche con le urine oltre che con le feci. Ha emivita di pochi minuti, mentre la durata d’azione è notevolmente più lunga. Gli estrogeni di sintesi come l’etinilestradiolo o il mestranolo vengono somministrati per via orale, cutanea o intramucosa e subiscono molto meno il metabolismo di primo passaggio da Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 parte del fegato e dell’intestino. In questo modo hanno un’efficacia maggiore. Somministrati per via transcutanea mediante appropriati cerotti transdermici bypassano direttamente il filtro epatico e sono molto efficaci. Essendo altamente liposolubili vengono immagazzinati nel tessuto adiposo e rilasciati progressivamente e questo modo permette una durata d’azione molto più lunga e potenza superiore. L’emivita dell’etinilestradiolo è di circa 13-27 ore mentre il mestranolo è prontamente convertito a etinilestradiolo. Gli estrogeni sono trasportati nel sangue legati alla globulina trasportante gli ormoni sessuali e per aumentare la biodiponibilità sono disponibili vie di somministrazioni alternative alla via orale: Cerotti transdermici Via intravaginale Iniezione Sono idrossilati nel fegato e coniugati, entrano nell’intestino e subisono un ricircolo enteroepatico, i prodotti inattivi vengono escreti con le urine. Effetti avversi Nausea e vomito Sanguinamento uterino postmenopausale Problemi tromboembolici Infarto miocardico Carcinoma mammario Carcinoma endometriale (effetto risolvibile mediante somministrazione di progestinici) Carcinoma cervicale (possibile conseguenza dell’assunzione di dietilstilbestrolo in figlie di donne che avevano assunto il farmaco nelle prime fasi di gravidanza) Interazione farmacologica con fenobarbital, rifampicina e ampicillina aumentano il metabolismo degli estrogeni e riducono l’efficacia. PROGESTINICI Il progesterone è il normale ormone prodotto sia dall’ovaio che dai testicoli e in entrambi i sessi dalle ghiandole surrenali. Nelle femmine il progesterone favorisce lo sviluppo di una mucosa secretiva attraverso l’ipertrofia delle ghiandole e la spiralizzazione delle arterie uterine in modo da generare un gel appropriato per l’impianto dell’embrione nella parete uterina. Esso è controllato dalla tropina ipofisaria LH che governa l’ovulazione. Una volta effettuata l’ovulazione il progesterone assume un ruolo cardine nel ciclo ovarico in quanto permette la soppressione delle gonadotropine evitando una nuova ovulazione e favorisce l’impianto dell’embrione. Esso viene prodotto attivamente dal corpo luteo, ma se non avviene la fecondazione progressivamente il corpo luteo si atrofizza e la produzione di progesterone scende fino a livelli tali da disinibire le gonadotropine e provocare una mestruazione seguita da un nuovo ciclo ovulatorio. Progestinici utilizzati in terapia: PROGESTERONE NORGESTREL LEVONORGESTREL NORGESTIMATO DESOGESTREL GESTODENE MEDROSSIPROGESTERONE Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 NORETINDRONE Meccanismo d’azione Sovrapponibile a quello degli estrogeni mediante legame ai recettori nucleari e stimolazione della trascrizione di RNA. Azioni: Controllo del ciclo ovarico e della gravidanza (se si instaura la gravidanza il progesterone continua ad essere prodotto dalla placenta per impedire un’ulteriore ovulazione) Sviluppo di un endometrio secretivo Metaboliche: aumento del glicogeno epatico, riduzione del riassorbimento di Na per competizione con l’aldosterone, aumento della temperatura corporea, riduzione dei livelli plasmatici di alcuni aminoacidi, aumento dell’escrezione urinaria di azoto, aumento dei livelli di LDL e riduzione di quelli di HDL. Usi terapeutici: 1. Contraccezione: spesso in associazione con estrogeni e posologia crescente durante il ciclo ovarico. 2. Insufficienza ovarica come terapia sostitutiva 3. Controllo dei sanguinamenti uterini 4. Trattamento della dismenorrea 5. Soppressione della lattazione dopo il parto 6. Trattamento dell’endometriosi 7. Trattamento dei carcinomi dell’endometrio Farmacocinetica Il progesterone naturale viene scarsamente usato in terapia a causa della sua bassa biodisponibilità per rapido metabolismo. I progestinici sintetici invece sono più stabili al metabolismo di primo passaggio e vengono quindi usati più frequentemente e a dosi più basse. I derivati idrossi e medrossiprogesterone vengono somministrati per via intramuscolare e hanno durata d’azione rispettivamente di 1-2 settimane e 1-3 mesi. La durata degli altri progestinici è di 1-3 giorni. Effetti avversi Edema Depressione Tromboflebite ed embolia polmonare Acne, irsutismo, aumento ponderale (in quanto molti di questi progestinici di sintesi hanno somiglianza spiccata al testosterone e quindi sembrano provocare effetti simili androgenici sulle femmine) Carcinoma mammario in associazione con un estrogeno ??? CONTRACCEZIONE Estroprogestinici orali (monofasici, bifasici, trifasici) Estroprogestinici TTS Soli progestinici orali (“minipillola”) Pillola del giorno dopo Nuvaring (anello vaginale) Dispositivi intrauterini Per effettuare la contraccezione sono possibili diversi meccanismi come prevenzione dell’ovulazione, blocco della gametogenesi o della maturazione del gamete, interferenza con la gestazione. I contraccettivi orali hanno una massima efficacia sull’inibizione dell’ovulazione e Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 sono tra i più utilizzati in assoluto vista anche la loro scarsissima frequenza di insuccesso ed eventi di gravidanze indesiderate. Vengono usati in persone sane e relativamente giovani. La sicurezza della contraccezione viene misurata con l’indice Pearl e anno/donna. Estroprogestinici orali Questa classe di farmaci anticoncezionali è la più utilizzata e associa in una pillola dosi di estrogeni con dosi di progestinici. Meccanismo d’azione: gli estrogeni bloccano la secrezione di FSH mentre i progestinici bloccano la secrezione di LH e di conseguenza in ultima analisi il risultato sar{ un’abolizione della ovulazione. In più il progestinico stimola il normale sanguinamento alla fine del ciclo e l’ispessimento della mucosa uterina per produzione di muco denso che impedisce l’accesso allo sperma. Queste preparazioni non variano in base all’estrogeno che normalmente è l’etinilestradiolo ma cambiano in base al tipo di progestinico utilizzato. Infatti i progestinici sono di diverse categorie e sono stati prodotti progestinici di prima, seconda e terza generazione. Le principali associazioni sono: Etinilestradiolo + progestinici di II generazione (Norgestrel, Levonorgestrel) Etinilestradiolo + progestinici di III generazione (Desogestrel, Gestodene, Norgestimate) Etinilestradiolo + Drospirenone: il drospirenone è un progestinico nuovo derivato dallo spironolattone molto efficace ed in più grazie alla sua blanda attività antiritentiva per somiglianza allo spironolattone è impiegato per evitare la ritenzione idrica e la tendenza all’aumento ponderale tipica delle pazienti che assumono estroprogestinici orali. (es YASMINE) Farmacocinetica: la pillola va assunta per 21 giorni (28 giorni nelle formulazioni associate a placebo) al fine di indurre le mestruazioni negli ultimi 7 giorni. Esistono 3 regimi di associazioni estroprogestiniche: Monofasiche: dose fissa di estrogeno e di progestinico in ogni compressa. Esempio EUGYNON (II gen), PRACTIL (III gen) Bifasiche: dose fissa di estrogeno e dose crescente di progestinico a partire dalla seconda metà del ciclo. Esempio DUEVA (confetto di 2 colori) Trifasiche: la dose dell’estrogeno aumenta a met{ ciclo e la dose del progestinico aumenta progressivamente (modalità più usata). Esempio TRYGINON (confetto di 3 colori). Progestinici orali (minipillola) Le preparazioni contenenti solo progestinici (in generale norgestrel o noretindrone) vengono scarsamente utilizzate dalle pazienti in quanto non sono altrettanto efficaci come gli estroprogestinici nella contraccezione ed il rischio di gravidanza indesiderata è piuttosto alto. Hanno la necessità di essere somministrati tutti i giorni senza interruzione e se viene saltato un giorno il trattamento non è più efficace. Essi agiscono alterando la mucosa uterina in modo da evitare che gli spermatozoi possano salire verso le tube in quanto viene prodotto uno spesso strato di muco e secrezioni. L’endometrio inoltre viene reso inadatto all’accoglienza dell’embrione. Non c’è interferenza con la lattazione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Estroprogestinici somministrati per via transdermica (TTS) Questi farmaci vengono assorbiti per via transdermica a seguito del posizionamento di un cerotto adesivo contenente preparazioni estroprogestiniche. Nel caso del cerotto EVRA sono contenuti etinilestradiolo e norelgestromina (metabolita attibo del norgestimato) ma in altri casi possono essere somministrate anche capsule sottocutanee a rilascio lento di levonorgestrel che hanno un’efficacia quasi simile alla sterilizzazione e durano per circa 5 anni senza necessit{ di assumere la dose giornaliera. Hanno un’efficacia molto elevata nella contraccezione. Nel caso dell’Evra le concentrazioni plasmatiche sono costanti per tutto il periodo di attività del dispositivo (3 settimane) L’assenza del passaggio epatico consente di utilizzare dosi molto più basse. La tollerabilit{ e la compliance sono superiori rispetto agli anticoncezionali orali. L’efficacia ed il controllo del ciclo sono uguali a quelli degli anticoncezionali orali. Estroprogestinici per via vaginale (NUVARING) Si tratta di un anello che viene posto in sede vaginale ed ha la capacità di secernere dosi di etinilestradiolo e etonorgestrel (metabolita del desogestrel) ed ha una buona efficacia, in assoluto è quasi uguale a quella degli anticoncezionali orali. Questo dispositivo consente l’utilizzo di bassi dosaggi per l’eliminazione del passaggio epatico e inoltre ha un buon controllo del ciclo perché interferisce direttamente con l’endometrio. È ben tollerato. Dispositivi intrauterini medicati Preparazioni come MIRENA hanno la capacit{ di essere impiantati all’interno della cavit{ uterina e sono impregnati di levonorgestrel che sembra avere solo azioni locali senza effetti sistemici di potenziale interazione con l’asse endocrino. In tal modo viene rilasciato levonorgestrel in modo costante e con durata d’azione di ben 5 anni. L’efficacia è elevatissima e può benissimo essere usato anche da donne in terapia sostitutiva postmenopausale con soli estrogeni. In più trova indicazioni anche per il controllo della metrorragia e dell’iperplasia endometriale a seguito di terapia estrogenica. Pillola del giorno dopo Si tratta di un abortivo e non di un contraccettivo, infatti questa viene assunta a seguito di un rapporto sessuale non protetto o nel quale il metodo contraccettivo risulta inefficace o difettoso entro e non oltre le 72 ore dal rapporto stesso. La preparazione farmaceutica tipica è la LEVONELLE che contiene levonorgestrel. Viene somministrata in 2 compresse: la prima è opportuno che venga somministrata 12 ore dopo il rapporto ma non più di 72 ore, la seconda 12 o 16 ore dopo la prima. Se la paziente vomita entro 3 ore dall’assunzione di una compressa ne va presa subito un’altra. Il prodotto può essere somministrato in qualunque periodo del ciclo a meno che non ci sia un ritardo della mestruazione. Dopo l’uso del farmaco si consiglia una contraccezione con dispositivi di barriera fino alla mestruazione successiva. Il farmaco non controindica la continuazione della terapia contraccettiva ormonale. Altri farmaci solo abortivi e non anticoncezionali sono RU486: progestinico che una volta avvenuta la fecondazione impedisce l’impianto UNIPRISTAL: è la pillola della settimana dopo e contiene antagonisti dei progestinici permettendo un espulsione dell’embrione che non è più stabilmente attaccato all’utero. Altri farmaci post-coitali utilizzano estrogeni presi entro 72 ore dopo il coito e prolungati 2 volte al giorno per 5 giorni. In alternativa etinilestradiolo e norgestrel entro 72 ore più altre 2 dosi nelle seguenti 12 ore. Si può usare anche una singola dose di mifepristone. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Altri farmaci È il caso di DIANE che è una pillola contenente estroprogestinici ma che non possiede attività anticoncezionale. È formata da etinilestradiolo + ciproterone che non è un antiandrogeno (con anche parziale attivit{ progestinica) per cui è utile nel trattamento dell’acne e dell’irsutismo androgeno-dipendente. Esso blocca i recettori intracellulari degli androgeni. Come effetto collaterale ha la contraccezione. Effetti avversi della terapia estroprogestinica Gli effetti avversi si è visto che sono dovuti in parte alla componente estrogenica ed in parte a quella progestinica. Cardiovascolari: sono i più importanti da considerare e sembra che l’incidenza dei fenomeni tromboembolici sia aumentata in generale ma soprattutto nelle donne in età superiore a 35 anni, fumatrici e ipertese (perciò con numerosi fattori di rischio per malattia cardiovascolare). È stato dimostrato che questi effetti sono più frequenti con gli anticoncezionali di III generazione. Gli eventi che possono avvenire sono: o Trombosi venosa o Embolia polmonare o Infarto miocardico o Ictus o Tromboflebite o Ipertensione Metabolici: talvolta può esserci una diminuzione dell’assorbimento intestinale di carboidrati alterando il profilo di tollerabilità al glucosio. Avviene generalmente anche un aumento di peso sia per la ritenzione di liquidi dovuta ai progestinici sia per la dislipidemia. Infatti mentre gli estrogeni da soli causano aumento di HDL e riduzione di LDL, associati ai progestinici danno un aumento di colesterolo e di trigliceridi. Ginecologici: mastopatia e mastodinia Nervosi: cefalee intense, emicrania, vertigini, alterazioni della vista, esacerbazioni dell’epilessia Epatici: adenoma epatico, ittero colestatico Vari: nausea, cefalee, irritabilità, pesantezza alle gambe, tensione al seno, emorragie intermestruali, variazioni della secrezione vaginale, oligomenorrea o amenorrea, alterazioni della libido, irritazione oculare, umore depresso, ipersensibilità, ritenzione di liquidi, litiasi biliare. Cancerogenicità: possibile evento tumorale alla cervice uterina (soprattutto con un progestinico) e alla mammella (anche se non sono stati ancora provati). Aumento dell’incidenza di tumori benigni al fegato. Controindicazioni assolute: - Epatopatie - Ittero colestatico - Turbe del metabolismo lipidico - Vasculopatie - Gravidanza - Carcinoma dell’apparato genitale o di altre sedi dipendenti da estrogeni Controindicazioni relative - Ipertensione - Epilessia - Alterata tolleranza glucidica - Emicrania - Lattazione Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Micosi genitali Giovane età Importante verificare il rapporto rischio/beneficio. Effetti POSITIVI Contraccezione sicura (0,5-1/100 anni-donna per EP) Nessun dolore mestruale Riduzione incidenza del carcinoma ovarico Riduzione incidenza del carcinoma endometriale (aumentata con solo estrogeni) Riduzione del rischio di osteoporosi Riduzione dell’insorgenza di cisti ovariche Riduzione insorgenza delle cisti benigne del seno Miglioramento dell’acne Effetti NEGATIVI Aumento incidenza carcinoma della cervice uterina Aumento dei rischi cardiovascolari Aumento della ritenzione idrica Sovrappeso Diminuzione desiderio sessuale Secchezza vaginale Calcolosi biliare Epatomi benigni Carcinoma mammario ??? Prima di cominciare la terapia anticoncezionale è necessario effettuare alcune indagini nella donna come anamnesi generale (neoplasie mammarie, uterine, ovariche, patologie cardiovascolari, diabete, fumo, altri farmaci induttori enzimatici come il fenobarbital e rifampicina), esame ginecologico (pressione arteriosa, gravidanza, esame mammella e PAP test), esami ematochimici (fattori di coagulazione, profilo lipidico, glicemia, funzionalità epatica e renale. Comportamento in caso di dimenticanza dell’assunzione del contraccettivo orale: nel caso della pillola estroprogestinica con meno di 12 ore di ritardo assumerne un’altra e poi prendere regolarmente la dose successiva, oltre le 12 ore è consigliato prendere un’altra pillola come sopra ma non è più assicurata l’efficacia e quindi si può cambiare metodo. Nella pillola progestinica gi{ con più di 3 ore di ritardo si ha perdita dell’efficacia e bisogna cambiare metodo. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 67. Modulatori e antagonisti dei recettori degli estrogeni Questa famiglia di farmaci fa parte del gruppo di farmaci detto SERM (modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni). Essi sono stati per tempo interpretati erroneamente in quanto si pensava che avessereo una funzione antiestrogenica. In realtà si è scoperto che questi composto hanno azione pro-estrogenica o anti-estrogenica in base al tessuto su cui agiscono. Per esempio il tamoxifene è un composto che si comporta come antagonista degli estrogeni a livello mammario e agonista estrogenico a livello dell’endometrio per cui induce remissione del carcinoma mammario e iperplasia endometriale che può sfociare in neoplasia. TAMOXIFENE È stato il primo farmaco di questa categoria. Il farmaco si comporta come un competitore dell’ormone naturale al recettore degli estrogeni e viene utilizzato in ormonoterapia antitumorale per il tumore della mammella come cura palliativa in donne in postmenopausa. Gli effetti avversi più frequenti sono vampate di calore, nausea e vomito. A volte si presentano irregolarità mestruali e sanguinamenti vaginali. Aumenta l’incidenza dell’iperplasia endometriale e in un trattamento cronico che dura per molto tempo è possibile che si sviluppi un carcinoma endometriale. Per tale motivo l’utilizzo del tamoxifene è stato ridimensionato ed ha portato a ridurre la durata della terapia. RALOXIFENE È un modulatore estrogenico di seconda generazione derivato dal tamoxifene che svolge la sua azione principale nel prevenire l’osteoporosi riducendo il turnover osseo globale e il riassorbimento. Non aumenta però la densit{ ossea. Esso non ha azioni sull’endometrio e quindi può essere usato più tranquillamente. Abbassa i livelli sierici di colesterolo totale ed LDL ma non agisce sull’HDL. Tuttavia si sono verificati aumenti di incidenza di malattie cardiovascolari, anche se i benefici sembrano superare questi rischi. È utilizzato solo a scopo antiosteoporotico ma può anche ridurre l’incidenza del carcinoma mammario in post-menopausa. Tuttavia non viene utilizzato come trattamento del carcinoma mammario. Viene assorbito bene per via orale, si coniuga subito con acido glucuronico nel fegato e si lega alle proteine plasmatiche. Subisce un ricircolo entero-epatico che in ultima analisi gli permette di venire escreto attraverso le feci mediante la bile. Effetti avversi: eventi cardiovascolari al pari di tamoxifene ed estrogeni, interazione con colestiramina che riduce l’assorbimento, interazione col warfarin potenziando l’effetto anticoagulante. Le donne che sono in gravidanza o che hanno avuto episodi di TVP non dovrebbero assumere il raloxifene. TOREMIFENE Farmaco nuovo che trova impiego nel trattamento del carcinoma mammario metastatico nelle donne in post-menopausa. Ha proprietà molto simile al tamoxifene tuttavia è esente dagli effetti collaterali a carico dell’endometrio. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 CLOMIFENE È un agonista parziale degli estrogeni facente parte sempre del gruppo SERM e sfrutta questa caratteristica per interagire con l’asse endocrino ipotalamo-ipofisi-gonadi aumentando la secrezione di gonadotropine e di GnRH. In questo modo il farmaco viene utilizzato per indurre l’ovulazione nelle pazienti con infertilit{ associata a cicli anovulatori, ma è inefficace per le donne con infertilità per ipogonadismo primitivo o secondario a problemi ipotalamici o ipofisari. Alcuni effetti avversi possono essere vampate di calore, aumento di volume dell’ovaio e disturbi visivi. MIFEPRISTONE Si tratta di un antagonista del progesterone e quindi fa parte di una categoria farmacologica differente. È detto anche RU486 ed è un antagonista con in parte una funzione di agonista parziale. Esso viene impiegato come farmaco abortivo in quanto interagisce con la gravidanza eliminando il legame del progesterone alle strutture uterine e la produzione di hGC. I pericoli di questo farmaco sono eccessivi sanguinamenti vaginali e possibilità di aborto incompleto. La somministrazione di PGE2 o di misoprostolo permette di portare normalmente a termine la gravidanza. Può essere usato anche come contraccettivo e in tal caso si usa assumendolo a metà del ciclo ovarico 1 volta al mese nella fase in cui i livelli di progesterone tendono ad elevarsi. Ha anche potenzialità anti-glucocorticoide. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 68. Ormoni sessuali e loro antagonisti ESTROGENI e PROGESTINICI (vedi tesina 66) ANDROGENI Gli androgeni sono ormoni secreti dal testicolo ed in particolare dalle cellule di Leydig oltre che dall’ovaio in piccola parte e dalle ghiandole surrenali di entrambi i sessi. Il prodotto principale è il testosterone ma vengono secreti anche altri androgeni in misura più piccola come il diidrotestosterone (DHT), l’androstenedione e il diidroepiandrosterone (DHEA). La secrezione del testosterone è stimolata dall’LH che a sua volta è stimolato dal GnRH, mentre l’FSH agisce promuovendo la spermatogenesi e legandosi alle cellule del Sertoli. Le azioni generali del testosterone sull’organismo sono: - Sviluppo dei caratteri sessuali primari - Spermatogenesi - Aumento della sintesi proteica e dell’emoglobina a livello muscolare - Riduzione del riassorbimento osseo. Le preparazioni sintetiche hanno la capacit{ di aumentare la durata d’azione e di scindere la componente mascolinizzante da quella anabolizzante. Principali molecole di androgeni utilizzati in terapia: - TESTOSTERONE FLUOXIMESTERONE DANAZOLO NANDROLONE - STANOZOLOLO Meccanismo d’azione Al pari degli altri ormoni steroidei il testosterone e i suoi derivati si legano ai recettori degli androgeni a livello nucleare e stimolano la trascrizione di RNA e la sintesi proteica. In molti tessuti il testosterone viene utilizzato socì com’è ma in altri necessita della conversione a diidrotestosterone da parte della 5α-reduttasi per essere attivo ed utilizzabile e questa conversione avviene principalmente nelle strutture sessuali primarie (prostata, vescichette seminali, epididimo) e nella cute. Il legame del DHT ai recettori scatena reazioni con molta più efficacia. In altri tessuti come il cervello, il tessuto adiposo e il fegato il testosterone è convertito in estradiolo da parte dell’aromatasi. Gli analoghi del testosterone non possono essere trasformati in DHT e quindi hanno effetti sbilanciati maggiormente verso l’anabolizzante. Usi terapeutici 1. Ipogonadismo: sia nei casi primitivi che secondari cioè da disfunzioni testicolari o ipotalamo-ipofisarie. In questi casi il testosterone sostituisce l’ormone mancante compiendo tutte le azioni necessarie. 2. Effetti anabolizzanti: utile per trattare l’osteoporosi senile e le gravi ustioni o per controbilanciare il catabolismo eccessivo da parte dei corticosteroidi. Utile anche per la remissione di patologie debilitanti croniche 3. Crescita: viene dato ai bambini in associazione ad altri ormoni per stimolare la crescita scheletrica in corso di nanismo ipofisario. 4. Endometriosi: utilizzo nelle femmine per trattare gli sviluppi ectopici di mucosa endometriale ed evitare sanguinamenti. Tipicamente viene usato il donazolo a questo Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 scopo. In ogni caso gli effetti avversi sono aumento di peso, acne e irsutismo, abbassamento della voce, aumento della libido, riduzione del seno e ipertricosi 5. Usi non approvati: il farmaco può essere usato anche a scopi anabolizzanti per aumentare la massa magra, la forza muscolare e l’aggressivit{ negli atleti. In alcune pubblicazioni è stato proposto come farmaco antinvecchiamento anche se ciò non è stato dimostrato. Farmacocinetica Il testosterone non viene dato per via orale perché subisce un esteso metabolismo di primo passaggio epatico e dunque viene somministrato per altre vie che possono essere varie: - Intramuscolare - Gel o cerotto transdermico - Compresse buccali Anche i suoi esteri come il testosterone cipionato o enantato sono somministrati per queste vie e hanno un rapporto tra funzione mascolinizzante e funzione anabolizzante di 1:1. I derivati sintetici del testosterone come il fluoximesterone sono assorbiti bene per via orale e hanno un’emivita più lunga e una durata d’azione maggiore. Essi sono privi della capacit{ di essere convertiti a DHT e quindi hanno una bassa capacità sul sistema riproduttivo e non inducono la pubertà. Essi pertanto hanno un rapporto androgeno/anabolizzante di 1:2 venendo essenzialmente usati come anabolizzanti. Effetti avversi: Nelle femmine o Acne, irsutismo, abbassamento della voce, riduzione delle dimensioni del seno, ipertricosi, calvizie, eccessivo sviluppo muscolare e possibili alterazioni mestruali. Nei maschi o Priapismo, impotenza, diminuzione della spermatogenesi, riduzione delle dimensioni testicolari, ginecomastia. Importante l’effetto degli androgeni sull’aumento del volume della prostata e la possibile evoluzione in IPB Nei bambini o Sviluppo sessuale accelerato e chiusura delle epifisi cartilaginee in un’et{ in cui le ossa lunghe devono ancora crescere Effetti generali o Aumento del colesterolo LDL e riduzione dell’HDL (possibile aumento di rischio cardiovascolare) o Ritenzione idrica e conseguente edema Negli atleti o Uso improprio di questi composti come steroidi anabolizzanti, tipicamente vengono usati il DHEA, il nandrolone o lo stanozololo. Può verificarsi la saldatura precoce delle epifisi, l’arresto della crescita, la riduzione dei testicoli, anormalità epatiche, aumento dell’aggressivit{ e fenomeni psicotici. ANTAGONISTI DEGLI ANDROGENI Questa classe di farmaci possiede azioni che antagonizzano la normale attività di testosterone e suoi derivati mediante o il blocco dei recettori o l’arresto della produzione. Alcuni farmaci come il ketoconazolo che è un antimicotico inibisce parecchi enzimi del citocromo P-450 e di conseguenza anche alcuni enzimi coinvolti nella sintesi degli steroidi sessuali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FINASTERIDE Farmaco selettivamente usato nell’ipertrofia prostatica benigna e agisce bloccando l’attivit{ della 5α- reduttasi responsabile della trasformazione del testosterone in DHT. In questo modo riduce le dimensioni della prostata e migliora i sintomi come ritenzione urinaria e disuria. Sono di solito necessari 6-12 mesi di trattamento prima che la ghiandola sia diminuita in modo soddisfacente. Gli effetti collaterali della finasteride sono la riduzione della libido e dell’eiaculazione Un altro inibitore della reduttasi è la Dutasteride. CIPROTERONE ACETATO E FLUTAMIDE Questi antiandrogeni agiscono come inibitori competitivi degli androgeni a livello della cellula bersaglio. Il ciprotene acetato è utilizzato per trattare l’irsutismo nelle donne mentre la flutamide è impiegata nel trattamento del cancro prostatico. BICALUTAMIDE E NILUTAMIDE Altri antiandrogeni molto efficaci che vengono somministrati per via orale ed hanno impiego per il trattamento del cancro prostatico in metastasi. Trattamento dell’iperplasia prostatica benigna Antagonisti alfa1 adrenergici: terazosina, doxazosina, tamsulosina e alfuzosina mitigano l’ostruzione in uscita della vescica riducendo la tensione della muscolatura liscia prostatica a livello della prostata, della capsula prostatica e del collo della vescica. Effetti collaterali: ipotensione ortostatica e capogiri. Inibitori della 5-alfa reduttasi: finasteride e dutasteride agiscono riducendo le dimensioni della ghiandola prostatica. Di solito è necessario un trattamento per 6-12 mesi prima che le dimensioni della prostata siano ridotte in modo sufficiente da migliorare i sintomi. Effetti collaterali: riduzione della libido e dell’eiaculazione Terapia combinata: la terapia combinata di 2 farmaci provenienti dalle 2 classi sovracitate produce la riduzione maggiore dei sintomi della IPB come la ritenzione urinaria, l’insufficienza renale o le infezioni ricorrenti del tratto urinario. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 FARMACI IMPIEGATI NELL’OSTEOPOROSI 69. Farmaci per il trattamento dei disturbi del metabolismo osseo Il metabolismo osseo è governato da diversi ormoni che sono la vitamina D, il PTH e la calcitonina. Chiaramente anche il calcio ha un ruolo predominante nella formazione della matrice ossea inorganica. Il metabolismo osseo è normalmente mantenuto in misura regolare bilanciando la quota mineraria presente nell’osso con la quota di calcio libera in circolo per assolvere ai processi enzimatici. Nelle patologie ossee si ha uno squilibrio tra l’azione dei diversi fattori. Le principali patologie ossee che possono essere trattate farmacologicamente sono: - Rachitismo - Osteoporosi - Malattia di Paget - Neoplasie L’osteoporosi è una patologia in cui si ha una riduzione della massa ossea associata ad alterazioni della microarchitettura ossea che determinano un’aumentata fragilit{ delle ossa ed una notevole predisposizione alle fratture. Si manifesta in entrambi i sessi tipicamente in età avanzata, ma può manifestarsi anche in età più giovane. Sono particolarmente colpite le donne in post-menopausa per la carenza di ormoni estrogeni protettori dell’osso. L’esame standard per rilevare l’osteoporosi è la densitometria ossea da cui si rileva la BMD che viene definita la densità ossea. Se essa è maggiore di 2,5 al di sotto del valore medio di BMD normale dell’adulto si parla dunque di osteoporosi. Oltre a questo si ha un deterioramento progressivo della microarchitettura. Il ruolo centrale nell’osteoporosi è a carico del rimodellamento osseo. Il clinico può prevenire l’osteoporosi mediante 2 meccanismi: - Generico: aumento dell’apporto dietetico di vitamina D, calcio, attivit{ fisica e astensione dal fumo e dall’alcol. - Specifico: a seguito del test di densitometria può prendere in considerazione l’inizio di un trattamento con farmaci antiosteoporotici in modo preventivo. I pazienti a rischio di osteoporosi devono astenersi dall’assunzione di farmaci che aumentano il metabolismo osseo come i glucocorticoidi. Blocco dell’attivit{ degli osteoclasti e del riassorbimento osseo Bifosfonati Calcio e vitamina D Modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERM) Estrogeni (fortemente in discussione) Calcitonina Promozione dell’attivit{ degli osteoblasti e deposizione ossea Teriparatide e PTH Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Bifosfonati Questa classe di farmaci è fondamentale per il trattamento delle malattie ossee in cui c’è un eccesso di riassorbimento e quindi osteoporosi e morbo di Paget. I bifosfonati sono composti analoghi al pirofosfato inorganico, ma differiscono da esso per la sostituzione del legame P-O-P con il legame P-C-P che è resistente alle pirofosfatasi e all’ambiente acido permettendo una normale funzionalità. Esistono bifosfonati di prima generazione: - ETIDRONATO - CLODRONATO E altri di seconda generazione caratterizzati dall’aggiunta di un atomo di N che li rende più potenti: - ALENDRONATO PAMIDRONATO RISEDRONATO IBANDRONATO - ZOLEDRONATO Meccanismo d’azione: questi farmaci si legano all’idrossiapatite presente all’interno della matrice ossea e qui rimangono per moltissimi anni. Essi svolgono la loro funzione attraverso 3 possibili meccanismi che cooperano insieme: Inibizione della pompa protonica osteoclastica necessaria per la dissoluzione dell’idrossiapatite Riduzione della formazione e attivazione degli osteoclasti Aumentata apoptosi degli osteoclasti. Azioni: i precedenti meccanismi d’azione sono responsabili di un rallentamento del riassorbimento mediato dagli osteoclasti e di un conseguente guadagno netto di deposizione ossea in quanto gli osteoblasti perdono l’inibizione e aumentano la loro deposizione. L’effetto dell’alendronato dura circa 10 anni ma si è visto però che al termina del trattamento ricompare osteoporosi. Esiste anche un meccanismo per cui i bifosfonati si legano agli osteoblasti e favoriscono la differenziazione di tali cellule verso la formazione di osteociti. Questo insieme all’inibizione degli osteoclasti conduce ad una riduzione marcata del metabolismo e del turnover osseo che col tempo potrebbe rendersi resistente al trattamento con bifosfonati stessi. Per questo motivo all’inizio si era pensato di utilizzare tali composti solo per le lesioni ad alto turnover come il Paget e l’osteoporosi, ma con l’avvento dei nuovi amino-farmaci potenti si è potuto avere un effetto benefico anche sulle lesioni metastatiche di mieloma, k polmonare, mammario e prostatico. Usi terapeutici: 1. Osteoporosi 2. Morbo di Paget 3. Compromissioni ossee di origine neoplastica (mieloma multiplo e metastasi ossee da carcinoma mammario) È quindi un utilizzo estremamente utile nei casi di iperattivazione degli osteoclasti. Farmacocinetica A parte il pamidronato che viene somministrato per via endovenosa, gli altri vengono assunti per via orale benchè la biodisponibilità sia molto bassa. Infatti si stima che solo il 1-5% della quota assunta venga assorbita per scendere a meno dell’1% nei casi di presenza di calcio. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 L’emivita plasmatica è inferiore alle 2 ore, mentre l’emivita della quota incorporata nell’osso può superare i 10 anni. I bifosfonati vanno assunti per via orale al mattino almeno 1 ora prima della colazione con abbondanti quantità di acqua. Questo è importante perché la piccola quota assorbita può subire ulteriormente una riduzione dell’assorbimento se associata al cibo. In più è conveniente non sdraiarsi per 30 minuti dopo l’assunzione. L’eliminazione avviene per via renale e pertanto i pazienti con problemi renali dovrebbero essere risparmiati dall’uso di bifosfonati. L’alendronato è il tipico bifosfonato usato per l’osteoporosi e viene legato all’idrossiapatite dell’osso rimanendovi perfino 12 anni. La componente che penetra in profondit{ nell’osso si è dimostrata non essere attiva, ma la parte efficace è solo quella che si lega in superficie all’osso. Non è metabolizzato ed escreto come tale nelle urine. il farmaco non si lega solo agli osteoclasti ma anche agli osteoblasti. Le alternative vie di somministrazione sono: - 1 volta al giorno orale - 1 o più volte alla settimana orale - Infusione endovenosa ad intervalli di 3-12 mesi (generalmente questa metodica viene impiegata per i pazienti con carcinomi ipercalcemizzanti) Eventi avversi: Diarrea, nausea, dolori addominali Ulcere esofagee (alendronato, etidronato, risedronato): questi effetti avversi si è visto che hanno una prevalenza nei pazienti che non hanno seguito adeguatamente le norme di assunzione orali. Osteomalacia (etidronato) Osteonecrosi della mandibola (ONM): si tratta di un fenomeno visto da poco tempo che viene scatenato dall’utilizzo cronico di tali composti soprattutto di seconda generazione in pazienti con associate neoplasie maligne e caratterizzato da anomala ulcerazione delle mucosa fino a rendere visibili porzioni della mandibola o della mascella, dolore o gonfiore della parte ossea interessata, infezione spesso accompagnata da infiltrato purulento. Il fenomeno sembra scatenato particolarmente dal zoledronato o pamidronato somministrati per via endovenosa. È importante che il paziente informi il proprio dentista e mantenga un’adeguata igiene orale astenendosi dal fumo. Certe situazioni come le estrazioni dentarie o i corticosteroidi possono favorire l’insorgenza di tale complicanza. SERMS I modulatori delettivi del recettore degli estrogeni hanno una potenzialità importante dal punto di vista terapeutico nei confronti dell’osteoporosi. Alcuni composti come il RALOXIFENE agiscono agonizzando gli estrogeni a livello dell’osso e dunque determinano una riduzione marcata del riassorbimento e del metabolismo mentre in altri tessuti fungono da antagonisti degli estrogeni (ad esempio nella mammella il raloxifene è un antagonista degli estrogeni e sembra ridurre il rischio di carcinoma mammario). In più il raloxifene non ha effetti sull’endometrio a differenza degli estrogeni normali. Essi sono molto efficaci nell’inibizione degli osteoclasti contribuendo alla riduzione dell’incidenza delle fratture tranne che nell’anca ove prevale osso corticale, in queste sedi è necessario agire anche sugli osteoblasti per promuovere la deposizione ossea e in questo i bifosfonati hanno una potenzialità maggiore. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Il raloxifene è a tutti gli effetti potenzialmente un farmaco utilizzabile nella terapia sostitutiva post-menopausale riuscendo ad evitare la maggior parte degli effetti collaterali degli estroprogestinici (cioè osteoporosi, carcinoma mammario e iperplasia endometriale). Tuttavia il rischio tromboembolico non varia molto rispetto agli estrogeni tradizionali. Un altro farmaco nuovo è il LASOFOXIFENE (ridotto rischio di fratture tranne anca). Teriparatide Si tratta di un frammento ricombinato del PTH umano utilizzato per il trattamento dell’osteoporosi. La TERIPARATIDE è un farmaco ampiamente attivo che riduce il riassorbimento della colonna vertebrale e limita le fratture in tutte le ossa. Un confronto con l’alendronato ha permesso di mettere in evidenza una maggior capacit{ di prevenire le fratture e una maggior capacit{ di aumento di massa ossea vertebrale rispetto all’alendronato. È il primo farmaco per l’osteoporosi che può aumentare la massa ossea. Apparentemente però sembrerebbe un controsenso visto che il PTH è il principale stimolo al riassorbimento osseo. Infatti se dato continuamente porta ad una frantumazione dell’osso, ma se è dato 1 volta al giorno a livello sottocutaneo esalta la deposizione ossea aumentando la performance degli osteoblasti, l’aumento del riassorbimento renale e dell’assorbimento intestinale di calcio e l’eliminazione renale di fosfato. Inoltre previene l’apoptosi degli osteoblasti prolungando il loro periodo di attività. È molto efficace anche nell’osteoporosi indotta da glucocorticoidi. Calcitonina La calcitonina di salmone è un farmaco somministrato per via nasale e ben tollerato dalle donne in post-menopausa. Il farmaco riduce il riassorbimento osseo, stabilizza l’architettura e migliora la performance riducendo il dolore. Tuttavia a lungo andare crea tolleranza. Essa agisce selettivamente sugli osteoclasti riducendo la funzionalit{ dell’orletto a spazzola e quindi previene il riassorbimento. Essa però non comporta un aumento della deposizione. Effetti collaterali: rinite, epistassi, infiammazione nasale, nausea, gonfiore alle mani, orticaria e crampi addominali. Possono formarsi anticorpi contro la calcitonina di salmone. Vitamina D Viene somministrata in aggiunta ad altri trattamenti antiosteoporotici perché altrimenti la sua funzione da sola non è rilevante. Essa viene assorbita dall’intestino e stimola la deposizione di calcio nell’osso e l’assorbimento intestinale e renale. Calcio Terapia aggiuntiva insieme ai trattamenti fondamentali. Non sembra di grande aiuto nel migliorare la struttura dell’osso trabecolare ma sembra utile nel rallentare la perdita d’osso corticale. Di solito viene assunto 1 g/die che rappresenta ¼ della quota assunta con 1 litro di latte. Estrogeni Il loro impiego contro l’osteoporosi è fortemente in discussione in quanto essi hanno molti effetti collaterali, infatti ad oggi si riserva il trattamento con estrogeni solo per brevi periodi e in terapia sostitutiva contro i disturbi della menopausa. Pertanto attualmente non sono usati per curare esclusivamente l’osteoporosi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 PRINCIPI DI TERAPIA ANTIMICROBICA CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI ANTIMICROBICI E CRITERI GENERALI D’IMPIEGO DEI FARMACI ANTIMICROBICI 70. Classificazione, meccanismi e spettri d’azione dei farmaci antimicrobici (generalità) La terapia antimicrobica si basa sulla conoscenza della specie batterica e sulla selettività dei meccanismi antimicrobici abbassando al minimo la tossicità sui tessuti sani. Infatti i principi essenziali della terapia sono le differenze strutturali e funzionali tra le specie microbiche e l’organismo umano. Tuttavia questa selettivit{ non è assoluta, ma relativa e per questo è necessaria un’accuratezza elevata nella scelta e nella somministrazione del farmaco. Per avere un’efficacia biologica l’antimicrobico deve essere presente in determinate concentrazioni in certe sedi dell’organismo. Classificazione dei composti antimicrobici in base alla modalit{ d’azione e all’intervento sui microrganismi: Farmaci che inibiscono la sintesi della parete cellulare (penicilline, cefalosporine, vancomicina) Farmaci che alterano la permeabilità di membrana provocando fuoriuscita di composti cellulari (polimixina, amfotericina, nistatina) Farmaci che alterano la struttura dei ribosomi inibendo così la sintesi proteica (cloramfenicolo, tetracicline, macrolidi) Farmaci che inibiscono la sintesi proteica legandosi specificamente alla subunità ribosomiale 30S (aminoglicosidi) Farmaci che alterano il metabolismo degli acidi nucleici (rifamicine e chinoloni) Farmaci che bloccano le vie metaboliche essenziali per i microrganismi (sulfamidici, trimetoprim) Analoghi degli acidi nucleici (zidovudina, ganciclovir, aciclovir) si legano agli enzimi virali necessari alla sintesi del DNA bloccandoli. Normalmente la via di somministrazione di questi farmaci è la via orale, anche se esiste la possibilità di un utilizzo di una via parenterale come nel caso degli antibiotici che sono scarsamente assorbibili per via orale o nei casi che richiedono un trattamento per lungo tempo. Gli antibiotici hanno diversi gradi di affinità nei confronti dei microbi e si distinguono 2 specie di antibiotici: - Batteriostatici: questi farmaci hanno la capacità di inibire la proliferazione batterica e far rimanere la colonia batterica ad uno stato stazionario. In questi casi comunque è la risposta immunitaria del paziente che deve essere in grado di abbattere i microrganismi presenti. - Battericidi: essi sono generalmente attivi a dosi più alte dei batteriostatici e determinano la morte del microbo senza un contributo fondamentale del sistema Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 immunitario dell’ospite. Tuttavia essendo in genere necessarie dosi più alte espongono i pazienti ad un maggior rischio di tossicità. In base alla capacit{ dell’antibiotico di essere selettivo per una specie o avere azione antimicrobica contro più specie si suddividono i farmaci secondo spettri d’azione: Spettro ristretto: l’antibiotico è selettivo contro uno specifico microrganismo oppure contro una classe ristretta. È il caso dell’isoniazide che è selettiva per i micobatteri. Spettro esteso: l’antibiotico è efficiente contro diverse specie microbiche e tipicamente contro un numero di gram + e anche una porzione di gram -. Un esempio è l’ampicillina. Spettro ampio: si tratta di farmaci che agiscono contro un numero molto elevato di specie microbiche ma la loro somministrazione può alterare la quantità e il tipo di microbi residenti tale da dare una modificazione della flora batterica e la possibilità di infezioni opportunistiche come da candida. Tipico esempio sono le tetracicline Di primaria importanza per la conoscenza della specie microbica e della sua responsività al trattamento farmacologico è l’allevamento in coltura e la risposta agli antibiotici. Per ovviare a questo problema si effettua di regola l’antibiogramma che è un metodo di analisi della responsività del farmaco che si vuole testare alla specie microbica estratta dal campione e che è necessario trattare. Per evidenziare la possibilità di trattare un microbo con un certo antibiotico si guarda la capacità che ha il farmaco di eliminare o stabilizzare la replicazione del microrganismo: - Sensibile S: l’infezione causata dal ceppo microbico può essere trattata con quel farmaco al dosaggio usuale raccomandato Intermedio I: l’infezione può essere trattata con tale farmaco ma solo ad un dosaggio più alto di quello usuale Resistente R: l’infezione non può essere trattata con quel farmaco perché si è sviluppata una forma di resistenza del microbo all’azione dell’antibiotico. La resistenza è un fenomeno complesso che può essere messo in atto per diversi motivi e attraverso diverse vie. Una volta utilizzato l’antibiogramma per mettere in evidenza le eventuali resistenze del microbo si utilizza ancora tale metodo per valutare le caratteristiche farmacodinamiche dei farmaci (relazione tra concentrazione del farmaco e effetti antimicrobici). Il metodo prevede l’utilizzo di una serie di provette in cui sono immesse quantit{ standard di coltura e si Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 aggiunge ad ogni provetta una quantità crescente di farmaco antimicrobico. A questo punto possono essere rilevati 2 parametri molto importanti: 1. Concentrazione minima inibente (MIC): è la quantit{ dell’antibiotico necessaria per interrompere la proliferazione batterica e quindi rappresenta il valore di quantità antibiotica presente nella provetta che mostrerà un arresto della crescita microbica. 2. Concentrazione minima battericida (MBC): è la quantità minima di farmaco necessaria a ridurre del 99,9% la popolazione microbica e quindi necessaria per l’uccisione praticamente completa di tutta la colonia batterica nella provetta. Per quanto riguarda il dosaggio di questi farmaci è opportuno tenere in considerazione le relazioni farmacodinamiche e farmacocinetiche del farmaco tra cui risultano fondamentali la MIC e la MBC. Però la MIC presenta comunque dei limiti dovuti al fatto che si tratta di una prova in vitro e i fattori in vivo risultano ben diversi e molteplici situazioni possono interagire. Infatti la MIC non tiene conto del: - Velocità di battericidia - Dipende dall’entit{ dell’inoculo - Farmacocinetica del composto (fondamentale la considerazione del Vd in quanto può capitare che in provetta l’agente sia efficace ma in vivo si scontra con le propriet{ di distribuzione nei liquidi biologici può avvenire che la concentrazione nella sede richiesta sia inferiore per una distribuzione in periferia) - Effetto post antibiotico - Azioni farmacologiche aggiuntive dell’antibiotico in vivo - Immunocompetenza dell’ospite. Tra le propriet{ farmacodinamiche più importanti ci sono l’effetto battericida che può essere in relazione sia al tempo che alla concentrazione. Esistono alcuni antibiotici come gli aminoglicosidi e i fluorochinoloni che esibiscono una maggior efficienza battericida se la MIC viene superata da 4 a 64 volte e pertanto questi farmaci vengono definiti concentrazione-dipendenti perché l’aumento della loro concentrazione plasmatica è correlata all’aumento dell’uccisione della specie batterica. In questi farmaci risulta importante l’ampiezza compresa tra la MIC e la Cmax del farmaco. Esistono però altri farmaci come le penicilline, i macrolidi, i glicopeptidi e la clindamicina che non esibiscono un effetto battericida maggiore se la loro concentrazione viene elevata da 4 a 64 volte la MIC. Però si è visto che questi farmaci aumentano la capacità battericida col tempo, cioè maggiore è il tempo in cui viene mantenuta una concentrazione sopra la MIC e maggiore sarà la risposta battericida. Questi antibiotici vengono definiti tempo dipendenti. Con questi farmaci è più importante il T che la Cmax. Per questo i pazienti con infezioni di grado severo che necessitano ad esempio di penicilline vengono tratati con infusione continua di questi farmaci piuttosto che con dosaggio intermittente. I parametri farmacocinetici di interesse quindi sono: - Cmax / MIC - T > MIC - AUC / MIC il rapporto ottimale dovrebbe essere intorno a 25. Un’altra caratteristica farmacodinamica è rappresentata dall’effetto post antibiotico (PAE). Esso viene definito come la soppressione persistente della crescita microbica che si manifesta quando i livelli di antibiotico scendono sotto la MIC. Si tratta quindi di un intervallo di tempo necessario alla coltura per raggiungere una fase di espansione logaritmica. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Più questo intervallo sar{ ampio e maggiore sar{ stato l’effetto antimicrobico del farmaco e pertanto in vivo saranno necessarie frequenze di somministrazione minori. Se invece l’intervallo è breve significa che saranno necessarie in vivo delle dosi più frequenti per far in modo che resti inibita la proliferazione batterica più a lungo. Ad esempio gli aminoglicosidi e i fluorochinoloni mostrano un PAE più lungo nei confronti dei batteri Gram -. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 71. Principi generali per l’uso appropriato dei farmaci antimicrobici in terapia e in profilassi Una volta stabilita l’origine infettiva di una patologia di un paziente bisogna ricorrere ad una terapia farmacologica antimicrobica che possa essere efficace nel trattare la condizione morbosa e riportare alla normalità le condizioni cliniche del paziente. Nel fare ciò è essenziale seguire un criterio standard utile per definire il trattamento appropriato attraverso delle indicazioni per la scelta: Identità del microrganismo Sensibilità del microbo ad un determinato farmaco Sede dell’infezione Fattori legati al paziente Sicurezza del farmaco Costo della terapia Identità del microrganismo Fondamentale come primo step l’identificazione dell’agente patogeno di solito mediante un campionamento del microbo da un sito dell’organismo e la costruzione di un terreno di coltura sul quale vengono eseguite operazioni identificative come la colorazione Gram o l’identificazione diretta del DNA o dell’RNA microbico. Molto spesso oltre alla coltura vengono impiegate metodiche sierologiche che permettono l’identificazione di una certa specie microbica nell’organismo mediante la rilevazione di anticorpi o antigeni specifici nel sangue del paziente. Tuttavia si possono presentare dei casi in cui la gravit{ dell’infezione del paziente non permetta l’impiego di un tempo prolungato per effettuare le analisi e per questo motivo viene effettuata una cosiddetta terapia “empirica”. Si inizia la terapia dopo che si sono estratti dei campioni da inviare all’analisi di laboratorio ma prima dell’arrivo dei risultati. La scelta del farmaco è dipendente dalla sede di infezione e dall’anamnesi del paziente. Generalmente quindi in infezioni acute si utilizzano antibiotici ad ampio spettro per cercare di avere un’efficacia terapeutica nei confronti della maggior parte delle specie microbiche, tuttavia si deve tenere in considerazione anche la possibile tossicità maggiore degli antibiotici ad ampio spettro e qui entra in gioco l’anamnesi del paziente. Per esempio un paziente con sospetta meningite in età infantile è più probabile la presenza dello streptcocco agalactiae piuttosto che lo streptococco pneumoniae e questo è rilevante perché il primo risulta sensibile alla penicillina G a differenza del secondo. Sensibilità del microbo ad un determinato farmaco È evidente che le proprietà strutturali e funzionali dei diversi microrganismi interferiscono con la possibile efficacia terapeutica e pertanto è necessario tenere presente la categoria di farmaci impiegata per certi microbi piuttosto che per altri. Oltre a questo fattore bisogna tenere presente il possibile evento di una resistenza agli antibiotici da parte di un ceppo batterico. La resistenza è un fenomeno complesso e viene definita come l’incapacit{ di arrestare la crescita batterica alla concentrazione massima di un antibiotico che è tollerata dall’ospite. Questo indica perciò che il microbo non può essere sconfitto dal farmaco visto che la dose massima tollerata dal paziente non è in grado di eliminarlo e l’aumento di dose risulterebbe tossico per l’induviduo. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Alcuni microbi sono intrinsecamente resistenti ad un farmaco come i gram negativi alla vancomicina però esistono delle situazioni in cui si sviluppa una resistenza ad un antibiotico che all’inizio non era presente. Questo fenomeno deriva da diverse possibili alterazioni che possono generare dei ceppi resistenti alla terapia che vengo premiati dalla selezione naturale rendendo inutile l’azione positiva iniziale del farmaco in quanto si sviluppa una nuova crescita microbica resistente alla prima terapia. La resistenza de novo può avvenire per: - Mutazioni genetiche spontanee che alterano il DNA della cellula e portano lo sviluppo di una resistenza all’azione del farmaco - Interazione con un altro microrganismo che determina il rilascio di DNA che viene captato dal microbo iniziale che determina resistenza. L’esempio tipico è l’infezione di un batterio da parte di un fago (trasduzione mediata dal fago, trasformazione, coniugazione). La modificazione genica del microbo può portare a diverse situazioni che mediano la resistenza: Modificazione di strutture bersaglio: alterazioni dei recettori per determinati antibiotici ad esempio lo streptococcus pneumoniae resistente ai farmaci beta-lattamici perché viene modificato il bersaglio recettoriale Ridotta permeabilità al farmaco: in molti casi ci sono dei microbi responsivi al farmaco grazie a strutture canalicolari attraverso cui il farmaco entra ed esplica la sua azione. Il blocco di alcuni canali come le acquaporine a seguito di trasformazione genica induce resistenza. Aumento dell’efflusso dell’antibiotico: presenza di una proteina modificata che stimola l’estrusione del farmaco dall’interno della cellula. Può essere anche un’iperfunzione della pompa che estrude l’antibiotico. Inattivazione enzimatica: sono presenti delle forme di resistenza per cui il farmaco non agisce adeguatamente in quanto il microbo produce degli enzimi che degradano il farmaco. L’esempio tipico è la produzione delle beta-lattamasi che inibiscono le penicilline e le cefalosporine. Oppure la produzione di acetiltranferasi che trasferiscono un gruppo acetile all’antibiotico inibendo il cloramfenicolo o gli aminoglicosidi oppure ancora le esterasi che idrolizzano l’anello lattonico dei macrolidi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Per tale motivo è ragionevole iniziare una terapia antibiotica che sia efficace ma se possibile non prolungarla per molto tempo vista la possibilità di selezionare ceppi resistenti. Sede dell’infezione Sempre da tenere in considerazione il luogo in cui avviene l’infezione poiché questo deve essere adeguatamente raggiunto dal medicinale e per fare ciò deve avere una vascolarizzazione efficace. Tuttavia in alcuni casi le strutture capillari si oppongono al passaggio delle molecole come nel caso della barriera ematoencefalica o dei capillari della prostata e del corpo vitreo. Questi capillari sono dotati di giunzioni serrate tra le cellule che non permettono alcun attraversamento dentro queste giunzioni e quindi le molecole non liposolubili non possono raggiungere l’encefalo. Le caratteristiche del farmaco per permettere una penetrazione adeguata sono: - Liposolubilità: carattere essenziale per il passaggio attraverso le membrane e in specifico dentro la barriera ematoencefalica. Farmaci come i chinoloni e il metronidazolo possono normalmente attraversare la barriera ma i beta lattamici non possono passare e restano fuori. Tuttavia durante alcuni stati patologici infiammatori come una meningite la barriera diventa meno serrata e anche i beta lattamici possono passare a dosi terapeutiche nel SNC. - Peso molecolare: maggiore sarà il PM e minore sarà la capacità di attraversare la barriera ematoencefalica - Legame alle proteine plasmatiche: più il farmaco ha tendenza a legarsi alle proteine e meno sarà disponibile per attraversare la barriera. Fattori legati al paziente Esistono una serie di condizioni in cui versa il paziente che possono predisporre o meno ad una efficace risposta antimicrobica piuttosto che ad una riduzione dell’efficacia e una tossicit{. Per tali ragioni bisogna tenere in considerazione: Età del paziente: i pazienti anziani hanno probabilmente una ridotta funzione epatica, renale ed immunitaria e pertanto bisogna prestare attenzione alle dosi e monitorare la situazione. Sistema immunitario: benchè i batteriostatici e i battericidi esercitino una funzione predominante sull’eliminazione dei microbi il ruolo predominante è sempre a carico del sistema immunitario. In alcuni casi però le difese immunitarie sono diminuite come l’et{, l’alcolismo, il diabete, l’infezione da HIV e la malnutrizione. In questi pazienti saranno necessarie dosi più elevate per raggiungere l’efficacia. Insufficienza renale: i pazienti con ridotta funzione renale visibili dal valore di filtrazione glomerulare con clearance della creatinina tendono ad avere una ridotta eliminazione con possibile ristagno dei farmaci in circolo e genesi degli effetti tossici o collaterali. Pertanto è necessario ridurre la dose o utilizzare principalmente farmaci non ad eliminazione renale. Insufficienza epatica: visto che il fegato è il principale organo del metabolismo dei farmaci se è alterato può comportare aumento del farmaco in circolo provocando effetti collaterali. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Scarsa perfusione: in certi siti la perfusione è minore che in altri, sia fisiologicamente sia a seguito di condizioni patologiche come il diabete in cui c’è una riduzione di flusso agli arti inferiori. Gravidanza: condizione critica per l’assunzione di antimicrobici a causa delle possibili conseguenze dannose a carico del feto. Tutti i farmaci antimicrobici passano la placenta. In generale gli effetti avversi sono rari ma alcune classi sono controindicate per la possibile teratogenicità ed embriotossicità come le tetracicline e i fluorochinolonici. In base a ciò è stata stilata una lista di composti farmaceutici ai quali è stata assegnata una lettera A,B,C,D,X dove A risulta essere un farmaco senza alcuna controindicazione in gravidanza e X un farmaco teratogeno. Ad esempio i betalattamici si trovano in classe B e vengono normalmente usate in gravidanza per tutelare la salute della madre e del bambino. Le tetracicline e i fluorochinolonici sono in classe D. Allattamento: una madre che allatta ha il rischio del passaggio del farmaco attraverso il latte, anche se in piccole quantità ma la dose totale a volte può essere tale da causare danni. Sicurezza del farmaco I farmaci come la penicillina sono quasi del tutto innocui in quanto interagiscono con unsito specifico del microbo non presente nell’organismo. Altri farmaci come il cloramfenicolo ha proprietà potenzialmente tossiche in quanto interagisce con strutture e bersagli tipici anche di altre specie cellulari appartenenti all’organismo e per questo motivo è responsabile di più effetti tossici e deve essere utilizzato nelle condizioni pericolose a rischio di letalità. Oltre a ciò bisogna sempre considerare anche la presenza di fattori predisponenti nell’individuo che possono peggiorare la tolleranza del farmaco e aumentare gli effetti avversi (come insufficienza epato-renale). Costo della terapia Se sono disponibili una serie di farmaci per trattare una condizione morbosa e possiedono tutti la stessa efficacia terapeutica non è opportuno utilizzare il farmaco più costoso ma la scelta ricadrà sul farmaco più economico. Errori di scelta Trattamento di un’infezione virale con antibiotici: erroneamente un paziente che presenta febbre viene trattato con antibiotici. È una mancanza in quanto in primo luogo si può esporre il paziente ad una tossicità da farmaco inutile ed inoltre è possibile selezionare dei ceppi di microbi resistenti commensali che si sviluppano e si moltiplicano determinando un’infezione opportunista. Molto spesso le infezioni che danno febbre sono di origine virale e in questi casi l’antibiotico non ha effetto. Trattamento di una febbre aspecifica Trattamento alla cieca di un’infezione Trattamento con farmaci inefficaci in vitro o incapaci di raggiungere il sito di infezione Trattamento con farmaci tossici quando altri meno tossici sono sufficienti Trattamento con farmaci costosi quando ne sono presenti di più economici di pari efficacia Uso combinato non giustificato Uso profilattico non giustificato Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Uso degli antibiotici in associazione È possibile e giustificato usare delle associazioni di antibiotici a scopo terapeutico in quanto si è visto che in certe condizioni la combinazione dei 2 farmaci ha un risultato superiore rispetto alla terapia singola. Questi vantaggi però sono rari e vanno usati quindi solo in certe condizioni ad esempio la tubercolosi che trova vantaggio in una terapia multifarmacologica. Ad esempio l’associazione di beta-lattamici e aminoglicosidi sembra molto utile e supera il trattamento con i farmaci singoli. Esistono però anche delle interazioni sfavorevoli in quanto diversi antibiotici possono agire quando i microbi si stanno moltiplicando (batteriostatici) e se si aggiunge un battericida si toglie dal pool un numero considerevole di batteri che si replicano portando ad un’interferenza negativa tra i 2 farmaci. Uso degli antibiotici a scopo profilattico Gli antibiotici non vengono normalmente usati per prevenire un’infezione per i vari motivi sopracitati però esistono certe condizioni in cui la profilassi è molto utile: 1. Prevenzione delle infezioni da streptococco in pazienti con cardiopatia reumatica. A volte c’è necessit{ anche di anni di trattamento. 2. Pretrattamento dei pazienti che si devono sottoporre a interventi odontoiatrici e sono portatori di protesi come valvole cardiache artificiali o protesi ortopediche per prevenire l’infezione a livello delle protesi. 3. Prevenzione della tubercolosi o della meningite in pazienti che vivono a stretto contatto con individui infetti. 4. Trattamento prima di certi interventi chirurgici come operazioni sull’intestino, alcuni interventi ginecologici e sostituzioni di articolazioni. Sempre per prevenire il rischio di infezione 5. Trattamento della madre con zidovudina per proteggere il feto nel caso che la madre sia sieropositiva per HIV. Complicazioni della terapia antibiotica Esistono 2 tipi diversi di complicanze: Ipersensibilità: condizioni imprevedibili dal tipo di trattamento e che possono avvenire con qualsiasi farmaco e derivano da iperreattività sia nei confronti del principio attivo ma anche talvolta nei confronti degli eccipienti. Tossicit{ diretta: interferenza con meccanismi tipici dell’ospite, ad esempio è possibile il verificarsi si ototossicità durante il trattamento con aminoglicosidi per alterazioni delle funzioni delle membrane delle cellule del Corti. Sovrainfezioni: è possibile che in regimi di chemioterapia soprattutto si verifichino alterazioni della flora batterica residente nel tratto respiratorio superiore e nel tratto intestinale e urinario e in questo modo è possibile che certi microrganismi vengano selezionati e diano origine ad una sovrainfezione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIBATTERICI ANTAGONISTI DEI FOLATI 72. I farmaci antimicrobici antagonisti dei folati (classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati) L’acido folico è una sostanza di fondamentale importanza per l’organismo umano in quanto è un cofattore enzimatico per la produzione di pirimidine, purine e alcuni aminoacidi. Tuttavia l’uomo non è in grado di produrlo e lo deve assumere dall’esterno attraverso i cibi sotto forma di vitamina. Molto batteri sono però impermeabili all’acido folico e di conseguenza per vivere necessitano di una sintesi autonoma del composto. Questi batteri sono il bersaglio degli antibiotici antagonisti dei folati perché vanno a competere con il substrato vero degli enzimi deputati alla formazione dell’acido folico e inibiscono quindi la produzione di RNA e DNA determinando un effetto batteriostatico. Le principali classi farmacologiche sono: - Sulfamidici - Trimetoprin - Cotromoxazolo Sulfamidici Questi farmaci sono stati ampiamente usati in passato per trattare soprattutto le infezioni urinarie e il tracoma, anche se raramente in monoterapia. Sono ancora utilizzati per il loro basso costo. I principali sulfamidici possono essere suddivisi in base alla loro durata d’azione: - Durata d’azione breve: o SULFATIAZOLO - Durata d’azione intermedia: o SULFAMETOXAZOLO o SULFAMOXOLO o SULFADIAZINA Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Durata d’azione lunga: o SULFADIMETOXINA o SULFAMETOXIPIRIDAZINA - Durata d’azione lunghissima: o SULFAMETOPIRAZINA o SULFADOXINA Meccanismo d’azione Questi farmaci determinano un’inibizione della produzione di acido folico a partire dal blocco della conversione del suo precursore, l’acido para-aminobenzoico (PABA) che viene utilizzato da parte dell’enzima batterico diidropteroato sintetasi per produrre appunto acido folico. Il bersaglio dei sulfamidici è proprio questo enzima. Spettro antibatterico - Enterobacteriacee del tratto urinario - Nocardia - Malaria e toxoplasmosi (sulfadiazina + pirimetamina) Resistenza La resistenza può avvenire a seguito di mutazioni spontanee o indotte da fagi per cui viene alterata la diidropteroato sintetasi o può avvenire una riduzione della permeabilità cellulare ai sulfamidici o in alternativa un aumento della produzione naturale del substrato naturale (PABA) Usi terapeutici: 1. Ustioni: prevenzione della colonizzazione da parte di batteri della cute ustionata 2. Nocardiosi: la nocardia può determinare ascessi cerebrali e polmoniti soprattutto nei pazienti immunodepressi. Si impiega sulfadiazina. 3. Infezioni urinarie: il sulfisoxazolo è molto efficace 4. Tracoma: applicazione topica congiuntivale di sulfacetamide 5. Malattie infiammatorie intestinali: utilizzo selettivo della sulfasalazina che non viene assorbita dall’intestino e viene scissa in sulfapiridina e aminosalicilato, il quale possiede azione antinfiammatoria. Farmacocinetica I sulfamidici sono tutti assorbiti bene per os con l’eccezione della sulfasalazina che non viene assorbita dall’intestino ed è quindi utile nei casi di IBD (l’assorbimento della sulfasalazina può causare problemi negli acetilatori lenti). La somministrazione endovenosa è risparmiata per i pazienti che non possono assumere sulfamidici per via orale. Hanno emivita molto lunga (2.5150 ore). Le preparazioni topiche vengono impiegate nel trattamento preventivo delle ustioni (mafenide e sulfadiazina argentica). I sulfamidici si distribuiscono bene in tutti i volumi liquidi dell’organismo attraversando anche la placenta e la barriera ematoencefalica. Vengono metabolizzati dal fegato con acetilazione a livello dell’N4 e trasformati in composti inattivi ma sempre in grado di precipitare a pH neutro o acido. L’escrezione avviene per filtrazione glomerulare. Effetti avversi: Cristalluria: è possibile che si formino dei cristalli con il metabolita del sulfamidico che precipita a pH neutro o acido urinario con conseguente nefrotossicità. Tuttavia una adeguata idratazione e l’alcalinizzazione delle urine sembrano risolvere il problema. Composti più recenti come il sulfametoxazolo hanno meno rischi di causare cristalluria. Ipersensibilità: eruzioni cutanee, angioedema e sindrome di Stevens-Johnson, più comune quest’ultima coi composti a lunga durata d’azione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Alterazioni ematopoietiche: considerando la natura fortemente ossidante sono maltollerati dai pazienti con carenza della G6PDH e in questi pazienti si può verificare anemia emolitica. Ittero nucleare: problema che colpisce soprattutto i bambini in cui la bilirubina legata all’albumina viene spiazzata dai sulfamidici ed entra in circolo. Nei bambini non essendo ancora efficaci i meccanismi di demolizione della bilirubina si ha ittero. Interazioni farmacologiche: si è visto un aumento del tempo di protrombina e quindi interferenza positiva col warfarin, anche con la tolbutamide e del metotrexato sempre per la capacit{ dei sulfamidici di spiazzare l’albumina. Controindicazioni: neonati e bambini, donne in gravidanza, pazienti che ricevono metenamina. Trimetoprin Farmaco molto simile ai sulfamidici Meccanismo d’azione: il farmaco blocca la diidrofolato reduttasi che è quell’enzima batterico responsabile della trasformazione dell’acido folico nella sua forma attiva e quindi blocca la tappa a valle dello step bloccato dai sulfamidici. L’enzima è presente anche nelle cellule dell’organismo ma ha una selettivit{ per il farmaco solo quello batterico. Spettro antibatterico Più o meno lo stesso dei sulfamidici anche se ha una potenza 20-50 volte maggiore che i sulfamidici e per tale ragione viene impiegato da solo nelle infezioni urinarie o nelle prostatiti e vaginiti batteriche. Resistenza Avviene resistenza se si modifica la diidrofolato reduttasi (come normalmente nei gram negativi) ma anche se avviene un’aumentata produzione di enzima. Usi terapeutici: sovrapponibili con i sulfamidici anche se possono essere usati in monoterapia. L’associazione tra TRIMETOPRIN e sulfametoxazolo viene denominata cotrimoxazolo che è un farmaco inibitore dell’acido folico con efficacia ed impieghi molto superiori ai 2 farmaci singolarmente. Farmacocinetica: concentrazioni elevate in prostata e vagina per pH tendenzialmente più basso. Entra nel liquor e viene escreto con le urine, talora immodificato. Effetti avversi: tipici eventi da carenza di folati. Questi effetti possono essere tamponati con la somministrazione di acido folinico che agisce aumentando la quantità di acido folico nell’individuo ma non viene assorbito dai batteri. Cotrimoxazolo Farmaco generato dall’associazione tra trimetoprin e sulfametoxazolo. Ha un’attivit{ antibatterica maggiore che i 2 farmaci singolarmente. Meccanismo d’azione: inibizione dei 2 enzimi contemporaneamente. Spettro antibatterico: - Infezioni del tratto urinario - Infezioni dell’albero respiratorio - Polmonite da Pneumocystis jeroveci - Infezioni sistemiche da salmonella resistenti all’ampicillina o al cloramfenicolo Resistenza: più scarsa che nei casi singoli perché in questo caso dovrebbe avvenire la modifica di entrambi gli enzimi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Impieghi terapeutici: 1. Polmonite da Pneumocystis jeroveci 2. Infezioni respiratorie: efficace contro Haemophilus influenzae ed alternativa al trattamento della Legionella 3. Infezioni gastrointestinali: shigellosi e salmonellosi non tifoide. Efficace anche nel trattamento dei portatori di salmonella typhi. 4. Listeriosi: meningite causata dalla listeria 5. Infezioni delle vie urinarie e della prostata Farmacocinetica: il COTRIMOXAZOLO è più liposolubile e con Vd più ampio che il sulfametoxazolo. Viene somministrato per via orale. Unico caso di somministrazione endovenosa è il paziente con grave polmonite da Pneumocystis jerovaci. Effetti avversi: Dermatologici Gastrointestinali: nausea, vomito, glossite, stomatite Ematologici: anemia megaloblastica, leucopenia e trombocitopenia. Effetti risolti con la somministrazione di acido folinico. Nei pazienti con carenza di G6PDH si può presentare anemia emolitica derivata dal sulfametoxazolo. Pazienti con HIV: febbre da farmaco, eruzioni, diarrea Interazioni farmacologiche: warfarin, fenitoina, metotrexato possono aumentare le loro concentrazioni. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 INIBITORI DELLA SINTESI DELLA PARETE CELLULARE 73. Le penicilline e le cefalosporine (classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati) Gli inibitori della sintesi della parete cellulare sono un gruppo di antibiotici che agiscono come battericidi in quanto debilitano la parete cellulare presente come struttura esterna dei batteri e assente nelle cellule umane. In questo modo viene esposta la membrana cellulare batterica che risulta molto più instabile e il batterio viene lisato anche a seguito dell’autoproduzione di sostanze dette autolisine. Per agire distruggendo la parete batterica è necessario che i batteri siano in fase proliferativa altrimenti l’azione risulta molto più blanda. I principali composti farmaceutici utilizzati sono: - Penicilline - Cefalosporine - Carbapenemi - Monobattami - Altri antibiotici - Inibitori della beta-lattamasi Penicilline Questo gruppo di farmaci è stato il capostipite della terapia antibatterica a partire dalla Penicillina G estratto dal micete Penycillum crisogenum ed utilizzato per trattare a maggior parte delle infezioni mediate da Gram positivi. Esse sono anche il gruppo meno pericoloso dal punto di vista degli effetti avversi e della tossicità anche se un problema importante e crescente che si sta delineando è quello della resistenza agli antibiotici mediata dalla produzione di beta-lattamasi in primo luogo ma anche a seguito di altri meccanismi. Meccanismo d’azione Le penicilline agiscono sui batteri che presentano una parete cellulare fatta di peptidoglicano. Questa sostanza è formata dall’unione di molti frammenti di glicano legati tra loro da legami peptidici. I gram positivi hanno una spessa parete di peptidoglicano che viene mostrata direttamente come bersaglio dei farmaci, mentre i gram negativi hanno uno strato esterno di lipopolisaccaride che scherma la parete cellular e quindi sono più resistenti all’azione dei betalattamici. Tuttavia questi ultimi presentano dei canali porosi attraverso cui passano i farmaci in questione e possono agire parzialmente sulla sintesi del peptidoglicano. Le penicilline come tutti i beta lattamici possiedono una struttura chimica peculiare formata dal cosiddetto anello lattamico costituito da 3 atomi di C ed uno di N, questo anello fa parte di una struttura più ampia detta acido-6-aminopenicillanico che viene legata ad un residuo R diverso per ogni penicillina e responsabile di: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - stabilità del composto in ambiente acido - suscettibilità agli enzimi degradanti - spettro antibatterico. Normalmente esistono delle proteine batteriche che legano le penicilline (PBP) che si trovano in ambiente intracellulare nei gram positivi (e quindi è necessario che le penicilline attraversino la parete) e all’interno della barriera del lipopolisaccaride nei gram negativi. Queste proteine sono degli enzimi che catalizzano la formazione di legami peptidici tra frammenti adiacenti di peptidoglicano e conferiscono la resistenza della parete. Le penicilline impediscono proprio quest’ultimo passaggio della transpeptidazione con conseguente instabilit{ della parete batterica. A questo punto la membrana batterica è esposta all’esterno e visto che sembra molto più suscettibile alle variazioni di osmolarità inizia a far entrare liquidi in eccesso e va incontro a lisi. Il processi di lisi però è coadiuvato anche dalla presenza di autolisine prodotte dal batterio stesso che amplificano la rottura della membrana cellulare. Normalmente queste autolisine sono implicate nel rimodellamento della membrana, ma visto che la parete non c’è più queste inducono inevitabilmente la lisi della cellula. Tuttavia le PBP sono anche i principali responsabili della resistenza alle penicilline, un esempio è lo stafilococcus aureus che è diventato resistente alla meticillina proprio a seguito di un’alterazione genica delle PBP che non legano più l’antibiotico. Spettro antibatterico Normalmente le penicilline iniziali hanno avuto un ruolo solo nella lisi dei batteri gram positivi, mentre l’apparente impermeabilit{ dei gram negativi per il lipopolisaccaride li ha resi più resistenti. Penicilline naturali o PENICILLINA G: prima penicillina utilizzata (benzilpenicillina) utile nelle infezioni da cocchi gram + e gram -, bacilli gram + e spirochete. È suscettibile all’azione delle beta-lattamasi. o PENICILLINA V: ha lo stesso spettro della precedente solo che non è usata in batteriemia per l’alta MIC a scopi battericidi. Di conseguenza viene impiegata solo per le infezioni orali soprattutto per anaerobi contro cui è efficace. Resiste all’acidit{ gastrica. Agisce anche sul bacillus anthracis. Penicilline antistafilococciche o o o o o METICILLINA NAFCILLINA OXACILLINA CLOXACILLINA DICLOXACILLINA Questi composti sono attivi contro gli stafilococchi che sono normalmente produttori di penicillinasi e questi antibiotici sono quindi resistenti all’azione delle beta-lattamasi. La meticillina è scarsamente utilizzata anche se è stata il capostipite perché ha un’elevata tossicità e inoltre si sono sviluppati col tempo dei ceppi meticillio resistenti responsabili di molte infezioni nosocomiali che si trattano quindi con ciprofloxacina o rifampicina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Penicilline a spettro esteso o AMOXICILLINA o AMPICILLINA Queste penicilline sono le più utilizzate in quanto presentano uno spettro d’azione esteso nei confronti dei bacilli gram negativi e soprattutto per la listeria monocitogenes che è responsabili di gravi infezioni respiratorie oltre ad avere lo spettro tipico della penicillina G. L’amoxicillina viene usata anche a scopo profilattico nelle estrazioni dentarie. Agisce contro E.coli e hemofilus. Il problema della resistenza si fa sempre più pericoloso per la presenza di una penicillinasi prodotta da un plasmide. In tal caso è possibile comunque rimediare al problema somministrando gli inibitori della beta-lattamasi e cioè AMOXICILLINA + ACIDO CLAVULANICO AMPICILLINA + SULBACTAM Penicilline antipseudomonas o CARBENICILLINA o TICARCILLINA o PIPERACILLINA Si tratta di una classe di penicilline che hanno un’azione preponderante verso le infezioni da pseudomonas aeruginosa oltre ad altri bacilli gram negativi tranne le klebsielle. Per escludere il problema delle resistenze si danno insieme inibitori delle beta lattamasi: TICARCILLINA + ACIDO CLAVULANICO PIPERACILLINA + TAZOBACTAM La piperacillina è quella con azione più potente tra tutte. Penicilline e aminoglicosidi Il binomio sembra in gran parte molto favorevole all’azione antibatterica in quanto le penicillina aprono la strada verso l’ingresso di altri antibiotici che altrimenti non potrebbero penetrare per la presenza del peptidoglicano come gli aminoglicosidi. Importante però non somministrarli nella stessa infusione perché le penicilline hanno carica negativa e gli aminoglicosidi positiva per cui possono complessarsi formando composti inattivi. Impieghi terapeutici: 1. Polmonite pneumococcica: penicillina G + inibitori delle beta lattamasi o altra terapia 2. Sifilide: penicillina G molto attiva e non si sono osservate resistenze 3. Gonorrea: penicillina G, ma se producono penicillinasi si passa a ceftriaxone e spectinomicina. 4. Infezioni da stafilococchi: meticillina e altre 5. Listeriosi, infezioni respiratorie, profilassi delle estrazioni dentarie: ampicillina e amoxicillina 6. Pseudomonas e molti gram negativi: piperacillina Resistenza Il fenomeno della resistenza alle penicilline è un grave problema che può derivare sia dalla struttura fisiologica di un batterio che non permette alle penicilline di penetrare come i micoplasmi, sia per difetti genetici acquisiti lungo il percorso in ceppi che normalmente erano sensibili alla penicillina. Esistono 3 possibilità di resistenza: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Produzione di beta-lattamasi che degradano l’anello lattamico ed inattivano il farmaco. Questi però possono essere trattati con la penicillina unita all’inibitore delle beta lattamasi. Riduzione della permeabilità al farmaco Alterazione delle PLP: questo meccanismo è responsabile della meticillino resistenza agli antibiotici. Farmacocinetica La via di somministrazione dipende ampiamente dalla capacità di resistere al succo gastrico. - Via endovenosa o intramuscolare: ticarcillina, carbenicillina, piperacillina, ampicillina + sulbactam, ticarcillina + acido clavulanico, piperacillina + tazobactam. - Via orale: penicillina V, amoxicillina da sola e con acido clavulanico. - Forme di deposito: procaina penicillina G e benzatina penicillina G date per via intramuscolo e depositate con conseguente assorbimento breve e duraturo. L’assorbimento è in genere incompleto nel tratto gastroenterico tranne l’amoxicillina che viene quasi completamente assorbita e quindi non è utile nel trattare le infezioni intestinali. La presenza di cibo rallenta l’assorbimento e quindi è meglio assumerle 30-60 minuti prima dei pasti o 2-3 ore dopo i pasti. La distribuzione è ampia e penetra nella placenta senza causare danni, l’osso e la barriera ematoencefalica sono meno permeabili e le concentrazioni raggiunte in tali luoghi sono terapeuticamente insufficienti a meno che non siano infiammati. L’escrezione avviene per via renale in parte per filtrazione glomerulare ed in parte per secrezione tubulare attiva, in pazienti con compromissione della funzione tubulare è preferibile aggiustare la posologia. Il tempo di emivita della penicillina G è normalmente 30 minuti-1 ora ma in insufficienza renale può arrivare a 10 ore. Il probenecid inibisce la secrezione tubulare di penicillina. Le penicilline resistenti all’acido gastrico sono l’ampicillina, l’amoxicillina, la penicillina V mentre la G è labile. Reazioni avverse: le reazioni collaterali alle penicilline sono molto rare e blande eleggendo le penicillina ai farmaci antibiotici più sicuri. Infatti gli effetti di tipo A (tossici) sono praticamente inesistenti. Quelli di tipo B (ipersensibilità) sono i maggiori. Ipersensibilità: problema più importante in quanto si può verificare eruzione maculopapulare, angioedema fino all’anafilassi. Il responsabile del danno è il metabolita della penicillina (acido penicilloico) che si comporta da aptene. Diarrea: spesso per alterazione dei microrganismi intestinali, non è da escludere una colite pseudomembranosa da clostridium difficile Nefrite Neurotossicità: possono esserci convulsioni se il farmaco è somministrato per via endovenosa e soprattutto nei pazienti epilettici Tossicit{ ematologica: riduzione dell’agglutinazione e possibilit{ maggiori di sanguinamento Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Tossicità da cationi: visto che le preparazioni normali prevedono sodio e potassio in genere può verificarsi un sovraccarico di questi ioni in circolo e ad esempio un eccesso di sodio può dare ipokaliemia. Cefalosporine Le cefalosporine sono molecole semisintetiche assai simili alle penicillina, sono sempre betalattamici. Meccanismo d’azione: identico alle penicilline Spettro antibatterico Le cefalosporine sono inefficaci contro stafilococchi meticillino resistenti, listeria, clostridium difficile ed enterococchi. Esistono 4 diverse generazioni di cefalosporine dalla prima alla quarta in ordine cronologico e con effetti anche differenti: Prima generazione o CEFALEXINA : somministrazione orale contro la faringite o CEFAZOLIN : penetra bene nell’osso Sono attive contro klebsiella, proteus mirabilis e escherichia coli. Oltre a cocchi gram + come gli stafilococchi e gli streptococchi Seconda generazione o CEFACLOR: può causare malattia da siero o CEFOXITINA : buona attività contro gli anaerobi, utile in sepsi addominale e sepsi ginecologica o CEFUROXIMA : emivita più lunga e attraversa la barriera EE e viene usata contro la bronchite e la polmonite. o CEFUROXIMA AXETIL : somministrazione orale 2 volte al giorno, attiva contro i produttori di beta-lattamasi. Questi farmaci comprendono anche un’attivit{ contro l’hemofilus, l’enterobacter e alcune neisserie mentre l’attivit{ con i gram positivi è leggermente più debole. Infatti con l’aumento della generazione si ha minore efficacia sui gram +. Cefoxitina e cefotetan hanno scarsa azione sull’hemofilus. Terza generazione o CEFOTAXIMA o CEFTAZIDIMA o CEFTRIAXONE Si tratta di una classe di composti molto utile nel trattamento delle malattie infettive che hanno una marcata affinità verso la maggior parte dei gram negativi, tutti quelli della seconda generazione più microrganismi enterici e serratia. Ad oggi il ceftriaxone è il farmaco di scelta per le meningiti insieme alla cefotaxima. La ceftazidima è utile contro pseudomonas. Il ceftriazone ha emivita più lunga tra tutte le cefalosporine (6-8 ore). Quarta generazione o CEFEPIMA : via parenterale, ampio spettro antibatterico contro streptococchi e stafilococchi (sensibili a meticillina), enterobatteri, E.coli, klebsiella, pseudomonas. Resistenza Stessi meccanismi di resistenza per le penicilline. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmacocinetica Quasi tutte le cefalosporine devono essere somministrate per via intramuscolare o endovenosa, tranne alcune come cefalexina, cefaclor, cefuroxima. Si distribuiscono ampiamente nei fluidi corporei tuttavia la penetrazione della barriera EE non è dipendente da infiammazione per la prima e seconda generazione, infatti solo le cefalo di terza generazione possono attraversarla con o senza infiammazione. Per questo ceftriazone e cefotaxima sono utilizzate per combattere la meningite da hemofilus. La cefalozima trova impiego nella profilassi prima della chirurgia. Capacit{ di penetrare nell’osso e nella placenta. Eliminazione per secrezione tubulare o filtrazione glomerulare. Aggiustare le dosi in caso di insufficienza renale. Cefoperazone e ceftriazone vengono eliminati con la bile e pertanto sono di scelta nella terapia in pazienti nefropatici. Effetti avversi: Manifestazioni allergiche: anche soggetti che hanno avuto allergie alle penicilline non dovrebbero assumere cefalosporine. Intolleranza all’etanolo: effetto disulfiram simile per alcune cefalosporine di seconda e terza generazione. Sanguinamento: a causa della presenza del gruppo metiltiotetrazolo nella catena laterale può esserci un effetto anti vitamina K che si manifesta con sanguinamenti e ipoprotrombinemia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 74. Carbapenemi, monobattami e vancomicina (meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati) I principali composti farmaceutici utilizzati a scopo antibatterico con meccanismo di inibizione della sintesi della parete cellulare sono: - Penicilline - Cefalosporine - Carbapenemi - Monobattami - Vancomicina - Inibitori della beta-lattamasi Carbapenemi Si tratta di un gruppo antibatterico caratterizzato da un uso tendenzialmente specialistico e ospedaliero. Sono beta-lattamici con il più ampio spettro d’azione in grado di resistere a diverse specie di batteri producenti beta-lattamasi. - IMIPENEM - MEROPENEM Il meccanismo d’azione è analogo alle penicillina ma lo spettro terapeutico è più ampio in quanto vengono compresi nella capacità battericida anche gram positivi e negativi che producono beta-lattamasi, un gran numero di anaerobi e lo pseudomonas aeruginosa. Essi sono diversi dal punto di vista chimico rispetto alle penicilline in quanto il gruppo legato all’atomo di zolfo è sostituito da un atomo di carbonio. Il meropenem presenta attivit{ antibatterica simile all’imipenem. Non sono efficaci per per i produttori di metallo-beta lattamasi e quindi non utilizzabili ad esempio per stafilococchi meticillino resistenti. Come usi terapeutici sono ottimali per la terapia empirica visto l’ampio spettro d’azione. Farmacocinetica: vengono somministrati per via endovenosa e pentrano in tutti i fluidi dell’organismo compreso il liquor soprattutto se le meningi sono infiammate. A livello dell’orletto a spazzola delle cellule del tubulo renale sono presenti enzimi tra cui la deidropeptidasi che trasforma l’imipenem in un metabolita inattivo nefrotossico. Per ovviare a questo problema si somministra insieme ciliastatina che inibisce l’enzima. Il meropenem non subisce metabolismo. In tal modo entrambi i farmaci possono essere usati per le infezioni urinarie. Effetti avversi: nausea, vomito, diarrea. Eosinofilia e neutropenia più raramente rispetto agli altri beta-lattamici. Monobattami Di questi composti l’unico disponibile è l’AZTREONAM che possiede diverse peculiarità, prima di tutto si tratta di beta lattamici che possiedono solo l’anello lattamico e non sono condensati ad altri anelli. Hanno uno spettro antibatterico più ristretto rispetto ai carbapenemi e i loro bersagli principali sono le enterobacteriacee, i gram negativi aerobi compreso pseudomonas. Non è efficace contro gram + e anaerobi. A causa dello spettro ristretto non viene impiegato in terapia empirica. Si somministra per via endovenosa o intramuscolare, può accumularsi in pazienti in insufficienza renale. Alcuni effetti avversi possono essere flebite. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Il vantaggio è che è scarsamente immunogeno e quindi è una valida alternativa per i pazienti allergici alle penicilline. Vancomicina La VANCOMICINA è un importante antibiotico. Si tratta di un glicopeptide triciclico che agisce anch’esso indebolendo la parete batterica. Meccanismo d’azione Il farmaco agisce inibendo la produzione di fosfolipidi utili per la sintesi della parete ed inoltre altera la fase di transglicosilazione del peptidoglicano determinando una debolezza della parete cellulare che si ripercuote sulla membrana e determina in ultima analisi lisi batterica. Spettro antibatterico Il farmaco è risultato essenziale nel trattamento delle infezioni da parte di stafilococchi aureus ed epidermidis meticillino resistenti e enterococchi. È stato per molto tempo un farmaco salvavita in questi pazienti che erano resistenti agli altri antibiotici. Tuttavia ultimamente si sono verificati preoccupanti fenomeni di resistenza nei suoi confronti come per gli enterococchi e questo ha determinato una limitazione del suo utilizzo ai casi gravi e potenzialmente fatali. Il farmaco viene somministrato per via endovenosa però può essere anche dato per via orale se si vuole trattare la colite pseudomembranosa da clostridium difficile o stafilococchi. Viene usato anche nei portatori di protesi valvolari come terapia preventiva. Oggi sono stati scoperti nuovi inibitori della sintesi della parete come il LINEZOLID e l’associazione QUINOPRISTIN / DALFOPRISTIN per infezioni da parte di microrganismi resistenti alla vancomicina. Di solito i ceppi resistenti si ritrovano nelle infezioni nosocomiali. La vancomicina associata agli aminoglicosidi può essere molto utile nel trattamento dell’endocardite infettiva. Resistenza I meccanismi della resistenza possono essere dovuti a: - Riduzione della permeabilità del farmaci - Alterazione delle strutture deputate al legame con farmaco L’eziologia di questi eventi è da ricercare sempre nella mutazione spontanea o nell’azione di un plasmide o a seguito dell’interazione con un fago. Farmacocinetica Somministrazione endovenosa per infusione lenta e visto che non si assorbe oralmente è usata per trattare il clostridium difficile quando il metronidazolo non ha dato effetti. Spesso si usa insieme al ceftriaxone. Va aggiustata la posologia per problemi renali. Emivita plasmatica 6-10 ore. Eliminazione per filtrazione glomerulare. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Effetti avversi: sono un problema perché gli effetti indesiderati della vancomicina non sono pochi e possono essere anche di una certa entità: Febbre Brividi Flebite Vampate Shock (in conseguenza a somministrazioe endovenosa per liberazione di istamina) Ototossicità e nefrotossicità se somministrate spesso insieme ad un altro farmaco come gli aminoglicosidi. In caso di insufficienza renale può portare ad un sovraccumulo che determina perdita dei capelli Inibitori delle beta-lattamasi Si tratta di farmaci che normalmente non hanno alcun effetto antibatterico ma possiedono un anello beta lattamico che si lega specificamente alle beta-lattamasi batteriche e le inibisce in modo che l’attivit{ anti-betalattamica scompaia. Vengono somministrati insieme a composti antibiotici attivi e con proprietà antibatteriche: - ACIDO CLAVULANICO (associato a amoxicillina e ticarcillina) - SULBACTAM (associato a ampicillina) - TAZOBACTAM (associato a piperacillina) BATTERIURIA ASINTOMATICA Va considerata la possibilità di trattarla in gravidanza. In genere si usa il cotrimoxazolo ma anche fluorochinolonici se non hanno avuto effetto le cefalosporine. Tuttavia i fluorochinolonici sono di classe C e possono causare tossicità fetale. L’amoxicillina è in categoria B e più sicura FARINGOTONSILLITE PEDIATRICA Di solito il trattamento con antibiotico viene iniziato solo sotto pressante richiesta del genitore. Si segue uno score prestabilito. Nel caso sia opportuno intervenire con l’antibiotico la scelta si indirizza verso l’amoxicillina. In caso di allergia si usano i macrolidi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 INIBITORI DELLA SINTESI PROTEICA 75. I farmaci antimicrobici che interferiscono con la sintesi proteica: classificazione I farmaci inibitori della sintesi proteica batterica agiscono andando ad inibire determinati passaggi nel processo di sintesi proteica ad opera dei ribosomi delle cellule batteriche. I ribosomi batterici sono costituiti da una porzione 50S ed una inferiore di 30S mentre nel complesso è 70S a differenza del ribosoma umano che in tutto è 80S (e quindi di dimensioni più grandi) e ha subunità di 40S e 60S. Queste piccole differenze sono responsabili della selettività dei meccanismi antibatterici propri degli inibitori della sintesi proteica batterici piuttosto che sui ribosomi delle cellule dell’organismo. Tuttavia i ribosomi mitocondriali umani sono molto simili ai ribosomi batterici e questo fatto è responsabile degli effetti avversi che si verificano per cross-reazione con i ribosomi umani. La classificazione di questi composti è la seguente: Tetracicline o Doxiciclina o Tetraciclina o Minociclina o Demeclociclina Aminoglicosidi o Amikacina o Gentamicina o Neomicina o Netilmicina o Streptomicina o Tobramicina Macrolidi o Azitromicina o Claritromicina o Eritromicina o Telitromicina Cloramfenicolo Clindamicina Quinupristin / Dalfopristin Linezolid Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 76. Tetracicline e cloramfenicolo: meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati Tetracicline Si tratta di una classe di farmaci antibatterici ad ampio spettro e quindi efficaci su un numero molto elevato di batteri. Esse consistono di 4 anelli condensati con un sistema di doppi anelli coniugati. Le differenze di efficacia clinica tra le varie tetracicline dipende dal tipo di sostituzione che avviene a livello degli anelli. - DOXICICLINA - TETRACICLINA - MINOCICLINA - DEMECLOCICLINA Meccanismo d’azione Le tetracicline sono farmaci che penetrano all’interno dei batteri sensibili ad esse e si legano al complesso 30S del ribosoma batterico impedendo all’aminoacil-tRNA di legarsi al complesso ribosoma-mRNA. In questo modo si inibisce la sintesi proteica batterica in modo reversibile. Il farmaco penetra nel batterio attraverso meccanismi passivi ma anche grazie a pompe attive. Spettro antibatterico Le tetracicline sono attive su un gran numero di batteri gram negativi, gram positivi, micoplasmi, clamidie, rickettsie e altri microrganismi diversi dai batteri. Impieghi terapeutici: 1. Infezioni da clamidia: chlamidia trachomatis causa uretrite non gonococcica, malattia infiammatoria pelvica e linfogranuloma venereo. La psittaci è responsabile di forme di polmonite. Per il trattamento di queste infezioni si usa doxaciclina o azitromicina 2. Polmonite da micoplasma: micoplasma pneumoniae contribuisce all’insorgenza di infezioni respiratorie soprattutto nelle persone che vivono a stretto contatto con altre. Utile anche l’eritromicina 3. Malattia di Lyme: spirocheta borrelia causa questa malattia a seguito del trasferimento dell’infezione dopo il morso di una zecca infetta. Questa può evolvere in eruzioni cutanee, cefalea, febbre fino a meningoencefalite e artrite. Una singola dose di doxiciclina può prevenire questa condizione 4. Febbre esantematica delle montagne rocciose: infezione da rickettsie con brividi, febbre, dolori ossei e articolari. È indicato anche un trattamento profilattico dopo morso di zecca. 5. Colera: doxiciclina contro vibrio cholorae che si moltiplica nella mucosa intestinale e produce la tossina che causa diarrea. Tuttavia il trattamento migliore rimane sempre una terapia di reinstaurazione liquida. Resistenza Il fenomeno della resistenza è possibile con le tetracicline in quanto possono verificarsi diversi meccanismi che non permettono più di rispondere al farmaco come: - Incapacità di accumulare il farmaco per la presenza di canali associati al magnesio che mediano l’efflusso mediante una proteina plasmidica di resistenza TetA. - Inattivazione enzimatica del farmaco - Produzione di proteine batteriche che impediscono il legame della tetraciclina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Ad oggi gli stafilococchi produttori di penicillinasi sono resistenti anche alle tetracicline. Farmacocinetica Le tetracicline sono tutte somministrate per via orale anche se il loro assorbimento non sempre è completo. L’assunzione di cibi grassi o contenenti latte ostacola notevolmente l’assorbimento a causa della propriet{ chelante delle tetracicline che genera quindi degli addotti inattivi che precipitano e non possono essere assorbiti. Stessa situazione si presenta con gli antiacidi che contengono ioni come sodio, alluminio e magnesio che si legano al farmaco e impediscono l’assorbimento. La doxiciclina e la minociclina vengono totalmente assorbite per via orale. Per la somministrazione parenterale si preferisce la doxiciclina. Le tetracicline si distribuiscono ampiamente ma si concentrano in fegato, milza, rene e cute e si accumulano preferenzialmente nei tessuti ricchi di calcio come i denti e le ossa oltre ai tessuti tumorali che contengono più calcio. L’attraversamento della barriera EE è possibile solo per la minociclina anche in assenza di infiammazione ma comunque non in dosi sufficienti a raggiungere l’efficacia terapeutica. Tutte attraversano la barriera placentare. Le tetracicline sono glucuronate dal fegato e sottoposte ad un ricircolo entero-epatico con il quale rientrano in circolo e vengono escrete con le urine. L’unica ad essere escreta con le feci è la doxiciclina che quindi può essere utilizzata nelle infezioni delle vie urinarie. Effetti avversi: Epigastralgia: può essere ridotto se il farmaco è assunto insieme a cibi tranne latticini. Effetti sui tessuti calcificati: può dare ipoplasia dei denti se assunta in età pediatrica e un temporaneo arresto della crescita. Colorazione bluastra della cute: visto che la cute è una delle sedi in cui si accumula il farmaco si possono originare processi ossidativi che portano ad un colore blu nelle zone di deposito. Anche i denti. Epatotossicità: può essere fatale in donne gravide con alte dosi di tetracicline Fototossicità: più frequente con doxiciclina e tetraciclina si sviluppa eritema solare se ci si espone al sole Problemi vestibolari: minociclina si concentra nell’endolinfa vestibolare e può dare nausea, vomito e confusione. Pseudotumor cerebri: sindrome simile ad un tumore cerebrale per presentazione con ipertensione endocranica con cefalea e offuscamento della visione. Sovrainfezioni: crescita esagerata di candida o stafilococchi intestinali Controindicazioni: gravidanza, allattamento, bambini di età inferiore a 8 anni, nefropatici (tranne la doxicillina che ha escrezione fecale). Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Cloramfenicolo Il CLORAMFENICOLO è un farmaco che ha avuto un ampio impiego contro la salmonella typhi, anaerobi e rickettsie. Ad oggi il suo uso è piuttosto limitato per la scarsa tollerabilità. Meccanismo d’azione Il cloramfenicolo si lega alla subunità 50S dei ribosomi batterici penetrando mediante pori passivi o attivi ed inibisce il passaggio della peptidil transferasi che trasferisce il peptide nascente sul nuovo aminoacido e libera il tRNA. In tal modo viene bloccata la sintesi proteica. Tuttavia le interferenze possibili con i ribosomi mitocondriali sono responsabili dei notevoli effetti avversi. Spettro antimicrobico Antibiotico ad ampio spettro attivo anche contro le rickettsie. Ha eccellente attività nei confronti degli anaerobi ma non ha effetto su pseudomonas aeruginosa. Esso è a basse dosi un batteriostatico mentre ad alte dosi diventa un battericida. Resistenza L’acetil coenzima A transferasi è un enzima derivato da un plasmide che inattiva il cloramfenicolo e non gli permette di penetrare nelle cellule. Farmacocinetica Può essere somministrato sia per via endovenosa che per via orale. Il farmaco si distribuisce prontamente in tutto l’organismo dopo un buon assorbimento intestinale. Entra nel liquor senza problemi. Il farmaco inibisce le ossidasi a funzione mista del fegato e per questo prolunga l’emivita di molti composti farmacologici demoliti da tali enzimi. Viene trasformato in un glucuronide e come tale escreto tramite secrezione tubulare. Solo una piccola quota del farmaco è eliminato per filtrazione glomerulare. Effetti avversi: Sindrome del bambino grigio: la glucuronazione nel bambino non è ancora efficiente così come la funzione renale che è ancora sottosviluppata. Ne consegue che il farmaco si accumula fino a livelli che inibiscono la funzione dei ribosomi mitocondriali. Da ciò ne deriva denutrizione, depressione del respiro, collasso cardiovascolare, cianosi (bambino grigio) e morte in casi gravi. Disturbi gastrointestinali: spesso in associazione alla terapia antibiotica si utilizzano anche fermenti lattici per tentare di ristabilire la flora intestinale (fermenti resistenti agli antibiotici che si stanno somministrando) Anemia: anemia emolitica associata a basse dosi di G6PDH Interazioni farmacologiche: molto importanti perché può bloccare il metabolismo di warfarin, fenitoina, clorpropamide e tolbutamide aumentando le concentrazioni di queste sostanze nel sangue per prolungamento della loro emivita. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 77. I macrolidi: meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati I macrolidi sono una classe di antibatterici che interferiscono sempre con la sintesi proteica e sono formati da anelli di lattoni legati a uno o più desossizuccheri. Tra questi l’eritromicina è il capostipite ed è stata fondamentale per il trattamento di quei pazienti che avevano mostrato resistenza alle penicilline. - ERITROMICINA AZITROMICINA CLARITROMICINA TELITROMICINA Meccanismo d’azione Questi farmaci si vanno a legare specificamente ad un sito della subunità 50S ribosomiale impedendo l’attivit{ transferasica dei tRNA da un sito all’altro del ribosoma. Probabilmente intervengono anche nella transpeptidazione e determina quindi un’inibizione della sintesi proteica. A basse dosi ridultano batteriostatici mentre a dosi più alte sono battericidi. Spettro antimicrobico In linea di massima non è molto diverso da quello delle penicilline. - Eritromicina: usata principalmente nei pazienti con allergia alle penicilline - Claritromicina: efficace per i bersagli dell’eritromicina in più hemofilus, chlamidia, legionella, moraxella e helicobacter per i quali sembra avere attività superiore rispetto all’eritromicina - Azitromicina: sebbene sia meno efficace contro gli streptococchi e stafilococchi è più attiva nei confronti di hemofilus, moraxella e legionella e in generale nelle infezioni respiratorie. È il farmaco ideale (a parte il costo) per le infezioni urinarie da chlamidia trachomatis. - Telitromicina: simile all’azitromicina Usi terapeutici: 1. Infezioni da chlamidie: nelle infezioni uretrali l’eritromicina è un’alternativa alle tetracicline. È di scelta nelle infezioni che si verificano in gravidanza 2. Polmonite da micoplasma: eritromicina e tetracicline molto efficaci, anche azitromicina 3. Sifilide: in pazienti allergici alle penicilline 4. Difterite: eritromicina e penicillina sono utili per trattare lo stato di portatore 5. Malattia dei legionari (legionellosi): azitromicina è il farmaco di scelta Per quanto riguarda l’eritromicina bisogna considerare il fatto che ha anche altre attività oltre a quella antibatterica e infatti è: - Procinetico: perché si va a legare ai recettori intestinali della motilina - Proaritmico: blocca i canali HERG del potassio e contemporaneamente può fungere da antiaritmico. - Potente inibitore della CYP3A4: può dare importanti interazioni farmacologiche Resistenza I meccanismi di resistenza riscontrati si rifanno a: Incapacità del microrganismo di captare il farmaco o per la presenza di una pompa di efflusso Diminuita affinità recettoriale del sito sul rRNA per una metilazione di un residuo adeninico Presenza di un’esterasi plasmidica che distrugge l’eritromicina Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmacocinetica L’eritromicina viene assunta per via orale ed ha un buon assorbimento. Tuttavia per resistere all’acidit{ gastrica deve essere somministrata in compresse gastroresistenti. Gli altri macrolidi sono stabili a pH acido gastrico e vengono assorbiti efficacemente. Il cibo interferisce con l’assorbimento della eritromicina e azitromicina ma può favorire quello della claritromicina. L’azitromicina è disponibile anche per via endovenosa, ma la preparazione endovenosa dell’eritromicina è associata ad un alta probabilit{ di tromboflebite. Essi si distribuiscono in tutto l’organismo anche se tendono ad accumularsi nel fegato. Non passano nel liquor in quanto sono molecole grandi. Penetrano facilmente nel liquido prostatico. L’eritromicina si accumula nei macrofagi. I livelli sierici di azitromicina sono bassi e tende ad accumularsi nei neutrofili, macrofagi e fibroblasti. L’emivita dell’eritromicina è 2 ore, la claritro 3,5 ore, l’azitromicina è quella con più lunga emivita con più di 40 ore e la telitromicina 13 ore. La conversione in un metabolita inattivo provoca in tutti i macrolidi l’interazione con le ossidasi epatiche prolungando il tempo di emivita di molti farmaci come teofillina, ciclosporina, warfarin, acido valproico. L’eritromicina è quella con meno effetto di questo tipo perché non viene convertita nel metabolita. L’escrezione è per via biliare per l’eritromicina e l’azitromicina soggette poi al ricircolo enteroepatico e all’eliminazione renale. La claritromicina invece viene escreta sia dal fegato che dal rene ed è necessario aggiustare le dosi. Effetti avversi: Epigastralgia: principalmente da eritromicina, si consiglia di provare con claritromicina e azitromicina Ittero colestatico: forse a seguito di una reazione di ipersensibilit{ all’estolato (eccipiente) Ototossicità: eritromicina ad alti dosaggi Controindicazioni: attenzione ai pazienti con disfunzione epatica e renale Interazioni: con un numero elevato di farmaci. L’attivit{ antibatterica dell’eritromicina è molto minore che quella procinetica e pertanto a volte il farmaco può essere usato off label cioè al di fuori della categoria in cui è classificato. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 78. Gli aminoglicosidi: meccanismo d’azione, spettro antibatterico, inpieghi terapeutici ed effetti indesiderati Questa classe di antibiotici è stata per anni il capisaldo della terapia anti bacilli gram negativi aerobi ma la loro rilevabile tossicità associata ha portato ad una sostituzione con cefalosporine III, fluorochinolonici e imipenem/cilastatina. La natura policationica non consente un passaggio adeguato atttraverso le membrane cellulari. - AMIKACINA GENTAMICINA NEOMICINA STREPTOMOCINA TOBRAMICINA NETILMICINA Meccanismo d’azione Il meccanismo di tutti gli aminoglicosidi è l’inibizione della subunit{ 30S ribosomiale. Essi penetrano allinterno del batterio mediante un trasporto mediato dall’ossigeno dopodichè il farmaco si lega alla subunità 30S prima che si formi il complesso ribosomiale completo e pertanto si ha un’incapacit{ di assemblare correttamente le due parti e oltre a questo si verifica anche un errore di lettura del codice dell’mRNA con interpretazione errata e sequenze di stop che portano alla formazione di proteine tronche ed inattive. L’associazione con i beta lattamici può favorire l’ingresso degli aminoglicosidi nel batterio. Spettro antibatterico Tipicamente usati nel trattamento empirico delle infezioni che si sospettano essere sostenute da batteri gram negativi aerobi compreso pseudomonas. L’effetto non è possibile sugli anaerobi perché non possiedono un meccanismo di trasporto del farmaco mediato dall’ossigeno e così per aumentare l’efficacia in genere si associa un farmaco beta-lattamico o attivo comunque contro gli anaerobi. Sono battericidi. Usi terapeutici: 1. Tularemia: francisella tularensis contratta dai cacciatori durante la caccia al coniglio che dà gravi forme polmonitiche. Viene trattata con gentamicina. 2. Infezioni causate da enterococchi: gentamicina o streptomicina in associazione a vancomicina o penicillina G in quanto gli enterobatteri sono soggetti a frequenti episodi di resistenza farmacologica. 3. Infezioni dovute a pseudomonas aeruginosa: tobramicina da sola o in combinazione con una penicillina anti-pseudomonas come piperacillina. Di solito lo pseudomonas non colpisce persone sane ma piuttosto immunocompromessi o soggetti che hanno avuto una grave ustione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Resistenza Può avvenire frequentemente e attraverso diversi meccanismi: Riduzione della funzionalità del trasportatore ossigeno dipendente Alterazioni del sito di legame sulla subunità 30S Sintesi di enzimi associati a plasmidi che degradano il farmaco Farmacocinetica Tutti gli aminoglicosidi a parte la neomicina vengono somministrati per via parenterale vista la loro natura policationica che ostacola l’assorbimento e il passaggio attraverso le membrane biologiche. La neomicina avendo effetti fortemente nefrotossici non può essere data per via parenterale e quindi viene data o topicamente o per via orale per trattare le infezioni delle vie digestive prima di un intervento chirurgico. Essi hanno una capacità battericida concentrazione e tempo dipendente ed inoltre possiedono anche un effetto post-antibiotico che gli consente di essere somministrati 1 sola volta al giorno a differenza dei casi di endocardite infettiva in cui il dosaggio va suddiviso in dosi ripartite ogni 8 ore. La distribuzione è scarsa, può raggiungere il liquor ma a concentrazioni non sufficienti per effetti terapeutici anche quando esse si trovano infiammate. Possono essere somministrate per via intratecale o intraventricolare ad eccezione della neomicina. Si accumulano anche nell’endolinfa, nella perilinfa e nella corticale renale dove svolgono la maggior parte dei loro effetti tossici. Attraversano tutti la placenta e si possono accumulare nel feto. Sono tutti rapidamente escreti nelle urine senza essere metabolizzati principalmente per filtrazione glomerulare. Effetti avversi: Ototossicità: problema importante che può portare anche ad una sordità irreversibile ed è dovuto all’accumulo degli aminoglicosidi all’interno dell’endolinfa e alla potenzialit{ di causare danni alle cellule del Corti. L’associazione con un altro farmaco ototossico come un diuretico dell’ansa può aumentare fortemente il rischio. Si possono avere anche disturbi dell’equilibrio e vertigini. Nefrotossicit{: l’accumulo degli aminoglicosidi compromette i meccanismi di trasporto e il danno può andare da un lieve deterioramento renale ad una grave necrosi tubulare acuta. Paralisi neuromuscolare: evento che si verifica a seguito della somministrazione intraperitoneale o intrapleurica di aminoglicosidi forse a seguito della riduzione del rilascio di acetilcolina dalle terminazioni e anche per desensibilizzazione del terminale postsinaptico dove ci sono i recettori per Ach. Reazioni allergiche: dermatite da contatto è frequente dopo somministrazione topica di neomicina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 CHINOLONI E ANTISETTICI DELLE VIE URINARIE 79. I chinolonici: classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati I chinolinici sono un gruppo di farmaci antibatterici che comprendono diverse generazioni che si differenziano per l’efficacia antibatterica e per il diverso spettro antibatterico. I fluorochinolonici sono composti più recenti che hanno dimostrato una maggior efficacia terapeutica rispetto ai chinoloni standard e il primo farmaco fluorurato ad essere utilizzato è stato la norfloxacina e quindi dalla seconda generazione in poi. Essi hanno avuto un ampio utilizzao verso molte specie batteriche anche perché sono molto ben tollerati e non hanno importanti effetti avversi, tuttavia lo sviluppo di farmacoresistenze ha comportato una riduzione nell’utilizzo di tali farmaci. Prima generazione: - ACIDO NALIDIXICO Seconda generazione: - CIPROFLOXACINA (farmaco di riferimento ed in assoluto più utilizzato) - NORFLOXACINA (capostipite dei fluorurati) - OFLOXACINA Terza generazione: - LEVOFLOXACINA GATIFLOXACINA MOXIFLOXACINA SPARFLOXACINA Quarta generazione: - TROVAFLOXACINA (revocato a seguito di grave epatotossicità) Meccanismo d’azione Questi farmaci hanno la potenzialit{ di penetrare all’interno dei batteri sensibili mediante porine che fanno aumentare la concentrazione intracellulare del farmaco e pertanto sono molto efficaci anche per quei batteri che trascorrono gran parte della vita all’interno delle cellule come clamidie, micoplasmi e legionelle. Essi poi si vanno a legare alla topoisomerasi II (DNA girasi) nei gram negativi ed inibiscono il superavvolgimento del DNA, mentre nei gram positivi si legano alla topoisomerasi IV che è responsabile del disavvolgimento delle 2 eliche per permettere la duplicazione e la trascrizione. In questi modi viene impedito il normale ritorno allo stato conformazionale di doppia elica e il batterio muore. I chinolonici infatti sono dei battericidi soprattutto associati ad alte concentrazioni. Spettro antibatterico Prima generazione: attività contro i gram negativi (hemofilus, pseudomonas, moraxella, legionella e anche gonorrea, non sono efficaci per la sifilide), oggi sono poco utilizzati perché soppiantati dalle generazioni successive più efficaci. Si usano per le infezioni non complicate del tratto urinario. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Seconda generazione: ampliamento dello spettro verso cocchi gram positivi (pneumococco), clamidie e micoplasmi. Terza generazione: miglioramento generale dell’attivit{ della seconda generazione nei confronti di tutti i bersagli terapeutici Quarta generazione: copertura ampliata nei confronti dei gram positivi, mantengono la copertura verso i gram negativi e acquisiscono capacità contro gli anaerobi. Usi terapeutici 1. Infezioni respiratorie presistenti: la ciprofloxacina è un’alternativa ai beta lattamici quando questi presentano resistenza in quanto la ciprofloxacina ha solo una scarsa attività anti pneumococco. Si usano però soprattutto quelli di terza generazione. 2. Infezioni delle vie urinarie: non sono mai farmaci di prima scelta perché prima vengono utilizzati sulfametossazolo e trometoprin. Può essere impiegata la ciprofloxacina e anche la norfloxacina per infezioni gravi e persistenti ma anche non complicate. La norfloxacina non può essere usata per le infezioni sistemiche. Le prostatiti da escherichia coli sono trattate selettivamente con levofloxacina. 3. Antrace: farmaco di scelta per la profilassi e il trattamento dell’antrace, l’alternativa è la doxiciclina. 4. Gonorrea: la ciprofloxacina è attiva sia nei confronti di penicillinasi produttori che non produttori. 5. Infezioni gastrointestinali: trattamento delle diarree acute dovute ai patogeni enterici. 6. Infezioni sistemiche: ciprofloxacina Resistenza Il fenomeno della resistenza si è messo in evidenza attraverso una seri di mutazioni spontanee che hanno determinato 2 meccanismi per l’inefficacia del farmaco: Alterazione dell’accumulo intracellulare (le porine sono alterate oppure c’è un maggior efflusso) Alterazione della girasi o della topoisomerasi che non rispondono più al chinolone. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmacocinetica Somministrazione per via orale ma c’è possibilità di uso parenterale per ciprofloxacina, levofloxacina e ofloxacina. Le altre sono assunte oralmente. La norfloxacina viene assorbita in quantità molto minori rispetto agli altri fluorochinolonici. Il calcio e cationi come ferro e zinco possono interferire con l’assorbimento (infatti assunzione di latte o yogurt riduce l’assorbimento). Quelli con emivita più lunga consentono una somministazione monogiornaliera. I chinoloni hanno una efficacia concentrazione dipendente e infatti si è visto che la capacità battericida aumenta notevolmente raggiungendo concentrazioni pari a 30 volte la MIC. Infatti il rapporto AUC/MIC è vicino a 100. La distribuzione è massima nel liquido prostatico, nello sperma, nel rene e nella bile. In minor misura nei tessuti orali, polmone e ossa. I metaboliti si ritrovano nella bile ma anche nelle urine. Effetti avversi: generalmente sono pochi e ben tollerati: SNC: nausea, capogiri e cefalea. Inoltre sembra che abbassino la soglia delle convulsioni e pertanto i pazienti epilettici devono essere trattati con molta accuratezza. Nefrotossicità: pazienti sottoposti a dosi eccessive hanno manifestato cristalluria Fototossicità: si è verificata una aumentata incidenza di eritemi o eruzioni cutanee in esposizione al sole, consigliabili schermi protettivi. Rotture tendinee: sono stati descritti casi di rottura del tendine di Achille dopo assunzione di fluorochinolonici. Il rischio relativo di tendinite è 3.7. i segni sono dolore importante e improvviso, mentre sono meno frequenti edema e difficoltà al movimento. Il trattamento di durata media prima della comparsa di tendinite è approssimativamente 8 giorni anche se si è dimostrata la possibilità di inzio dei sintomi anche 2 ore dopo la prima dose. Per questa complicanza esistono dei fattori di rischio concomitanti come uso di corticosteroidi, insufficienza renale, emodialisi e trapianti. Gli anziani sono più esposti in quanto in questo periodo sono più frequenti le infezioni urinarie e si fa più uso di fluorochinolonici. Epatotossicità: soprattutto nel caso della trovafloxacina che oggi appunto è stata revocata. Torsioni di punta: questi farmaci possono interagire con i canali HERG del potassio e causare quindi torsioni di punta per allungamento del tratto QT e potenzialmente sono proaritmici. Per questo dovrebbero essere evitati in pazienti predisposti ad aritmie o che assumono farmaci antiaritmici. Controindicazioni: gravidanza e allattamento perché si è visto che si possono sviluppare artropatie fetali. Interazioni farmacologiche: ciprofloxacina, ofloxacina e enoxacina possono bloccare il citocromo P-450 causando un aumento dell’emivita della teofillina, warfarin, caffeina e ciclosporina. La cimetidina interferisce con l’eliminazione dei fluorochinolonici. L’enoxacina provoca convulsioni se data insieme all’antinfiammatorio fenoprofene. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 80. I farmaci per le infezioni delle vie urinarie: classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati Le infezioni delle vie urinarie sono un problema molto comune soprattutto per gli anziani e per le donne in gravidanza. Per infezioni delle vie urinarie si intende in genere cistite acuta non complicata e pielonefrite. I batteri maggiormente responsabili sono in primo luogo escherichia coli seguito in misura molto minore da stafilococcus saprofiticus, klebsiella pneumoniae e proteus mirabilis. Queste infezioni vengono trattate con uno dei composti detti antisettici delle vie urinarie che comprendono: - Acido nalidixico - Metenamina - Nitrofurantoina Essi non raggiungono concentrazioni antibatteriche in circolo e pertanto sono efficaci nell’eradicare le infezioni del tratto urinario alto e basso senza dare effetti sistemici. Acido nalidixico L’ACIDO NALIDIXICO è un chinolone di prima generazione attivo principalmente sui gram negativi bacilli del tratto urinario. Non è fluorurato. È somministrato per via orale e si ritrova nelle urine come metabolita. Metenamina Meccanismo d’azione La METANEMINA svolge la sua azione antibatterica a pH urinario acido di 5.5 o più basso se è più alto di tale soglia il farmaco non ha effetto. Il farmaco viene sottoposto all’azione dell’acido e viene convertito in ione ammonio e formaldeide. È proprio la formaldeide il responsabile della tossicità batterica in quanto molti batteri sono sensibili alla formaldeide. La reazione è abbastanza lenta e richiede in media 3 ore. Non si sviluppa resistenza ed è opportuno non somministrarla in pazienti con catateri permanenti. Associata ad acido mandelico aumenta la sua attività visto che si abbassa il pH urinario. Spettro antibatterico È efficace per le infezioni delle vie urinarie inferiori ma meno efficiente per quelle superiori. È utilizzata per il trattamento cronico soppressivo. Esistono alcuni batteri come proteus che idrolizzano l’urea alcalinizzando le urine e pertanto sono resistenti al farmaco. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmacocinetica Viene assunta per via orale. Essa produce nelle urine anche ione ammonio insieme a formaldeide e questo implica che in pazienti con problemi epatici che non riescono quindi a metabolizzare efficacemente l’urea ci possa essere una elevata concentrazione di ioni ammonio che possono essere dannosi per il SNC. Si distribuisce in tutti i liquidi dell’organismo ma anche se viene assorbita a pH 7.4 non è attiva e quindi non c’è tossicit{ sistemica. È eliminato con le urine. Effetti avversi Sofferenza gastrointestinale Albuminuria, ematuria e reazioni cutanee (ad alte dosi) Controindicazioni: la metanemina mandelato è controindicata nei pazienti con insufficienza renale perché l’acido mandelico può precipitare peggiorando la nefropatia; non somministrare la metanemina insieme ai sulfamidici in quanto questi ultimi reagiscono con la formaldeide. Nitrofurantoina La NITROFURANTOINA è utilizzata meno frequentemente nel trattamento delle infezioni urinarie in quanto ha un ristretto spettro antibatterico e risulta tossica. Esso entra nel batterio e inibisce determinati enzimi ed altera il DNA, ciò comporta nella maggior parte dei casi un effetto batteriostatico. È utile contro escherichia coli ma per i batteri gram negativi ci può essere qualche resistenza. I cocchi gram positivi sono molto sensibili. Effetti avversi comprendono disturbi gastrointestinali, polmonite acuta e problemi neurologici. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIMICOBATTERICI 81. Farmaci antitubercolari (classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati) I micobatteri sono batteri che presentano alcune caratteristiche peculiari come la presenza di uno strato esterno alla parete fatto di acidi micolici che non permettono una adeguata colorazione Gram ma una volta colorati il trattamento con acidi non permette più la scoloritura e per questo sono definiti acido-resistenti. - Antimicobatterici per la tubercolosi - Antimicobatterici contro batteri atipici Il micobatterio si localizza a livello intracellulare e soprattutto si ritrova all’interno dei macrofagi e pertanto serve un farmaco che riesca a penetrare dentro ai batteri. Oggi per la tubercolosi vengono indicati 5 farmaci di prima linea ed una serie di farmaci di seconda linea. TUBERCOLOSI Si tratta di una patologia infettiva responsabile della maggior parte delle infezioni mondiali ed è anche una importante causa di mortalità. Il batterio in questione è il micobacterium tubercolosis ed è potenzialmente in grado di causare danni polmonari, renali, ossei e meningei. La sua replicazione è molto lenta e quindi il trattamento va da un minimo di 6 mesi fino a 2 anni. Ad oggi la tubercolosi è ritornata un problema importante per la società in quanto: - Sono aumentati i flussi migratori di popolazioni in cui la TBC è ancora endemica - Sono aumentati i pazienti immunodepressi a seguito di trapianti o terapia antitumorale Il primo farmaco impiegato per trattare la tubercolosi fu la streptomicina ma questa andò subito incontro a diverse resistenze e pertanto ad oggi è necessario instaurare un trattamento di polichemioterapia e non un solo farmaco sempre per le potenziali resistenze ad almeno un composto. - Isoniazide - Rifampicina - Pirazinamide Farmaci di prima linea - Etambutolo - Streptomicina - Acido aminosalicilico - Capreomicina - Cicloserina - Etionamide Farmaci di seconda linea - Fluorochinoloni - Macrolidi A causa delle frequenti resistenze per il trattamento della TBC non si usa mai un farmaco da solo ma vengono almeno impiegati 2 farmaci diversi. Il trattamento della malattia si estende per molto tempo anche dopo il termine della malattia per tentare di eradicare anche le forme silenti nascoste dentro i macrofagi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Oggi il trattamento a breve termine prevede isoniazine + rifampicina e pirazinamide per 2 mesi e successivamente isoniazide e rifampicina per i 4 mesi successivi. A questo schema possono essere aggiunti l’etambutolo o la streptomicina. ISONIAZIDE L’isoniazide è il farmaco antitubercolare più potente ed il suo utilizzo ha rivoluzionato l’approccio alla tubercolosi che è divenuta una malattia curabile. Si tratta dell’idrazide dell’acido isonicotinico che è un analogo di sintesi della piridossina. Tuttavia non può essere somministrato in monoterapie nella TBC attiva in quanto si sono verificate numerosissime resistenze. Meccanismo d’azione Il farmaco penetra nel micobatterio e agisce attivandosi attraverso una catalasi-perossidasi batterica che altrimenti non permetterebbe la trasformazione attiva del farmaco. Qui il farmaco agisce inibendo alcuni enzimi che catalizzano la formazione degli acidi micolici che servono per la sintesi della barriera esterna che consente la resistenza agli acidi del micobatterio. In questo modo si ha un’azione batteriostatica per i batteri in fase di quiescenza ed una batteriolisi con i microbi in fase replicativa. Spettro antibatterico: fondamentale in politerapia contro il micobacterium tubercolosis ma anche per il kansasii. Resistenza È mediata da alcune conseguenze come: - Alterazione della KatG (la proteina che permette l’attivazione del profarmaco in isoniazide) - Alterazioni delle proteine trasportatrici di gruppi acilici - Sovraespressione dell’enzima InhA (tipico bersaglio del farmaco) Farmacocinetica Il farmaco viene somministrato per via orale e l’assorbimento è buono ma può essere ostacolato dal cibo soprattutto carboidrati o antiacidi contenenti magnesio e alluminio. La distribuzione è in tutti i liquidi e preferenzialmente nei tessuti caseosi tipici dei granulomi tubercolari. La penetrazione nel LCR è analoga alla penetrazione sistemica. L’isoniazide è sottoposta ad acetilazione da parte del fegato. Esistono differenze genetiche a proposito del processo di acetilazione. Il carattere di acetilatore rapido è autosomico dominante e viene interpretato come capacità di eliminare maggiormente i composti metaboliti inattivi. Gli acetilatori lenti invece determinano una maggior eliminazione del farmaco come tale piuttosto che nelle forme di metaboliti inattivi. L’epatopatia cronica fa diminuire il metabolismo dell’isoniazide e le concentrazioni vanno ridimensionate. L’eliminazione prevede un escrezione per filtrazione glomerulare. Effetti avversi: (generalmente incidenza bassa a parte per le ipersensibilità sempre possibili) Neurite periferica: il meccanismo con cui si verifica la neurite (che si manifesta con parestesie) è una modalità particolare in cui sembra che il farmaco si associ ad una riduzione della piridossina (vitamina B6). Il fenomeno viene trattato con somministrazione di piridossina. Nel latte materno il farmaco può raggiungere concentrazioni tali da causare una perdita di piridossina nel feto. Se la trasmissione nel latte è inferiore al 20% si può continuare normalmente l’allattamento. Epatite ed epatotossicit{: si può sviluppare un’epatite che può risultare fatale. Il meccanismo sembra dovuto ad un’azione di un metabolita tossico della monoacetilidrazina formata durante il metabolsimo dell’isoniazide. Più frequente negli anziani e in quelli che assumono rifampicina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Interazione con farmaci: può potenziare gli effetti avversi della fenitoina perché inibisce il suo metabolismo. Altri effetti avversi: disturbi mentali, convulsioni, neurite ottica. Le reazioni di ipersensibilità comprendono eruzioni cutanee e febbre. RIFAMPICINA La rifampicina è il farmaco antitibercolare per eccellenza e possiede una potenza battericida molto maggiore che l’isoniazide. Tuttavia non viene somministrato mai da solo per la possibilità elevata di sviluppare resistenze. È attivo anche contro hemofilus influenzae da solo e anche micobatteri atipici come il kansasii e il leprae. La rifabutina (analogo sintetico) ha attività anche sul micobacterium avium. Esiste anche una forma modificata detta RIFAMIXINA che viene utilizzata per trattare le forme intestinali come la diarrea del viaggiatore visto che non viene assorbita dall’intestino. La RIFABUTINA è un’altra sostanza del gruppo della rifampicina che non ha azioni di induttore enzimatico e dovrebbe quindi essere considerata nel trattamento dei pazienti in terapia per HIV. Meccanismo d’azione La rifampicina entra nella cellula batterica e si lega selettivamente all subunità beta della RNA-polimerasi DNAdipendente determinando un blocco della sintesi di RNA nella tappa di iniziazione. È specifico per le cellule procarioti. Spettro antibatterico: micobatteri tipici e atipici, hemofilus Resistenza: si può verificare facilmente resistenza a causa di : - Alterazione del sito di legame alla RNA polimerasi - Riduzione dell’accumulo intracellulare Farmacocinetica Il farmaco si assorbe attivamente per via orale e si distribuisce in tutti i liquidi. Nel liquor si distribuisce anche senza infiammazione delle meningi. È captato dal fegato e sottoposto a ricircolo enteroepatico ed eliminato in parte con la bile ed in parte con le urine in forma di metaboliti ed in forma di farmaco immodificato. L’accumulo epatico provoca un effetto di induzione enzimatica sul citocromo P-450 ed aumenta il metabolismo del farmaco stesso ma anche di altri farmaci. Visto che possiede dei gruppi cromofori le secrezioni possono assumere un colore arancione ed il paziente deve essere avvertito di questa possibilità (urine e lacrime). Effetti avversi: Nausea e vomito Eruzioni cutanee Febbre Interazione con altri farmaci: diminuzione del tempo di dimezzamento di ketoconazolo, warfarin, sulfaniluree, prednisone, propranololo, chinidina, contraccettivi orali, digitossina. PIRAZINAMIDE Si tratta sempre di un farmaco antitubercolare di prima scelta utilizzato insieme all’isoniazide e alla rifampicina. Meccanismo d’azione Rimane sostanzialmente ignoto anche se si sa che viene introdotto all’interno del batterio ed idrolizzato enzimaticamente ad acido pirazinoico che è la forma attiva. Certi batteri resistenti Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 non possiedono la pirazinamidasi. È molto efficace non solo per i batteri liberi ma anche per quelli incorporati nei lisosomi acidi e nei macrofagi. Farmacocinetica Si distribuisce ampiamente in tutto l’organismo, penetra nel LCR e subisce esteso metabolismo epatico. Eliminato con la bile e con le urine. Effetti avversi: Tossicità epatica Ritenzione di urati: è possibile che ci sia un’interferenza con l’eliminazione renale degli urati e pertanto si può sviluppare gotta. ETAMBUTOLO Si tratta di un farmaco batteriostatico che viene impiegato per il trattamento della tubercolosi essendo specifico per micobacterium tubercolosis e kansasii. Non essendo battericida deve essere assunto insieme ad altri farmaci che possono essere quindi la pirazinamide, l’isoniazide e la rifampicina. Meccanismo d’azione Entra nel batterio ed inibisce l’arabinosil transferasi un enzima importante per la sintesi dell’arabinogalattano della parete cellulare micobatterica. Farmacocinetica Il problema della resistenza non è rilevante se assunto insieme ad altri farmaci Viene assorbito per via orale e diffonde a tutto l’organismo penetrando anche nel LCR in concentrazioni adeguate per la terapia della meningite tubercolare. Sia il farmaco immodificato che i metaboliti vengono escreti per secrezione tubulare e filtrazione glomerulare. Effetti avversi: Neurite ottica: perdita progressiva dell’acutezza visiva che si manifesta con una difficoltà a distinguere il rosso dal verde. La sospensione del farmaco fa regredire i sintomi. Peggioramento della gotta Confronto del margine terapeutico dei farmaci antitubercolari di prima linea. L’indice terapeutico è alto per l’isoniazide e la rifampicina mentre è più ristretto per pirazinamide, etambutolo e streptomicina e quindi questi farmaci devono essere usati con più attenzione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Farmaci di seconda linea Questi farmaci sono definiti di seconda linea perché o sono meno efficaci rispetto ai precendenti oppure perché vengono impiegati per la loro attività ampia su micobatteri atipici. La streptomicina è stato il primo antibiotico ad essere usato per la TBC tuttavia aveva il difetto di essere attivo solo sui microrganismi extracellulari e in più si sviluppano velocemente resistenze. ACIDO AMINOSALICILICO: scarsamente usato perché mal tollerato. Inibisce il PABA nella biosintesi dei folati CAPREOMICINA : inibisce la sintesi proteica per via parenterale. Si impiega soprattutto per il trattamento della TBC resistente a farmaci. Attenzione all’ototossicit{ e nefrotossicità. CICLOSERINA : è un farmaco batteriostatico che interferisce con la sintesi della parete batterica che coinvolge la D-alanina. Si distribuisce in tutti i liquidi e anche nel LCR. È escreta con le urine sia immodificata che sotto forma di metabolita. ETIONAMIDE: farmaco analogo strutturale dell’isoniazide che inibisce l’acetilazione di quest’ultima aumentando quindi la sua emivita. Metabolizzata ed escreta con l’urina. Tra gli effetti avversi ci sono irritazione gastrica, epatotossicità e neuropatie periferiche trattabili con la vitamina B6 (piridossina) FLUOROCHINOLONI : attivi contro microrganismi atipici o batteri resistenti a più farmaci. Trovano un impiego importante la Gatifloxacina e la Moxifloxacina abbreviando la durata della terapia necessaria. MACROLIDI : azitromicina e claritromicina vengono usati col complesso etambutolo e rifabutina per il micobacterium avium intracellulare. Per i pazienti con HIV si preferisce l’azitromicina per evitare al massimo l’interazione con i farmaci antiretrovirali. MDR-TB: multi drug resistance, batteri resistenti ad almeno isoniazide e rifampicina XDR-TB: resistenza che si sviluppa durante terapia (extensively drug resistance) Questi ultimi sono resistenti a rifampicina isoniazide e fluorochinoloni oltre a qualsiasi farmaco di seconda linea. Queste forme non rispondono ai 6 mesi di terapia e possono richiedere fino a 2 mesi aggiuntivi con farmaci più tossici, meno potenti e più costosi. Chemioprofilassi della TBC Il trattamento profilattico della TBC dovrebbe essere effettuato sia nei pazienti che hanno un’infezione latente o inattiva sia in quelli che sono a stretto contatto con pazienti patologici. Normalmente per vedere la preesistente esposizione al batterio si fa il test alla tubercolina che viene somministrata per via intradermica e si guarda la reazione cutanea che ne consegue. Se si forma un eczema significa che il paziente ha avuto il contatto con il micobatterio e può essere in uno stato di infezione latente o inattiva. In questo caso il paziente dovrebbe seguire una profilassi farmacologica di 6-9 mesi con isoniazide o di 4 mesi con rifampicina se l’isoniazide non può essere usata. In pazienti affetti da HIV è stata proposta una terapia giornaliera di 2 mesi con rifampicina e pirazinamide. Dovrebbero essere sottoposti a profilassi i pazienti con: - Test positivo alla tubercolina (area cutanea > 5 mm) e segni di infezione in atto - Soggetti con test positivo (area cutanea > 10 mm) non immunocompromessi con fattori di rischio ma senza evidenza della malattia. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Pazienti con malattia tubercolare all’anamnesi ma in cui la malattia è al momento inattiva. - Familiari che sono a stretto contatto con pazienti tubercolotici e che hanno un test negativo dovrebbero essere esposti a 6 mesi di isoniazide specialmente i bambini. Se il test è positivo si dovrebbe allungare il trattamento a 12 mesi. - Pazienti con TBC inattiva che non hanno ricevuto un trattamento adeguato dovrebbero assumere isoniazide per 1 anno - I tossicodipendenti devono assumere isoniazide per 12 mesi, se ci sono ceppi resistenti si passa a rifampicina e pirazinamide o a dosi elevate di pirazinamide ed etambutolo con o senza un fluorochinolone. L’isoniazide dovrebbe essere data agli adulti 300 mg al giorno e ai bambini 10 mg/Kg. Il rischio principale è sempre l’epatite. Utile la somministrazione di piridossina in soggetti suscettibili alla neuropatia. Se patologie epatiche in atto o reazioni avverse all’isoniazide si d{ rifampicina per 4 mesi. Nelle donne in gravidanza la profilassi dovrebbe essere spostata dopo il parto. Nuovi farmaci anti-TBC Agiscono inibendo l’ATP-sintetasi specifica del micobatterio Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 LEBBRA Si tratta di una condizione patologica rara negli Stati Uniti ma molto frequente in certe zone del mondo, si stima infatti che circa il 70% dei casi di lebbra si verifichino in India. Il microrganismo incriminato è il Micobacterium Leprae che viene trasmesso per contatto cutaneo o secrezioni nasali in quanto si concentra preferibilmente nelle secrezioni nasali e sulla cute formando lesioni superficiali. Viene consigliato un trattamento triplo per l’eradicazione della malattia: - Dapsone - Clofazimina - Rifampicina DAPSONE Si tratta di un farmaco simile ai sulfamidici ed è batteriostatico nei confronti di M. Leprae ma possono esserci resistenze. Esso è efficace anche contro la polmonite da pneumocistis jiroveci. Meccanismo d’azione: antagonista della sintesi dell’acido folico legandosi al PABA Farmacocinetica: è ben assorbito per via orale e si distribuisce ampiamente con concentrazioni elevate nella cute. Entra nel circolo entero-epatico ed è sottoposto ad acetilazione. Viene eliminato con le urine sia in forma immodificata che come metabolita. Effetti avversi: Emolisi, metaemoglobinemia: in quanto è un forte ossidante e risulta tossico nei pazienti con carenza della G6PDH. Neuropatie periferiche Eritema nodoso delle labbra: complicanza grave che viene trattata con corticosteroidi o talidomide. CLOFAZIMINA È un colorante fenazinico che si lega al DNA e ne inibisce la funzione di stampo per la successiva replicazione. Esso ha anche un forte potenziale ossidoreduttivo e può portare alla formazione di radicali che danneggiano il batterio stesso. Agisce sul micobacterium leprae ed ha una certa attivit{ nei confronti dell’avium intracellulare. Il farmaco ha anche attività antinfiammatoria e pertanto non determina la comparsa di eritema nodoso delle labbra. Assorbito per via orale si accumula nei tessuti ma non entra nel SNC. Effetti avversi: Colorazione rosso-bruna della cute Eosinofilia Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIMICOTICI ANTIMICOTICI 82. Farmaci antifungini sistemici: classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati Le infezioni sostenute da funghi sono definite micosi e si differenziano in: - Micosi sottocutanee (o sistemiche) - Micosi cutanee Molto gravi e di fondamentale importanza per un trattamento adeguato sono quelle sistemiche. I miceti sono cellule eucariotiche e possiedono una parete di chitina anziché di peptidoglicano. Il costituente più frequente della membrana è l’ergosterolo anziché il colesterolo presente sulle membrane cellulari biologiche. In questo caso l’ergosterolo è un bersaglio micotico specifico che esonera in parte i farmaci dalla tossicità delle cellule dell’organismo. Le micosi sono sempre più frequenti a causa della maggior incidenza di trapianti ed immunosoppressioni, virus HIV, farmaci chemioterapici antitumorali. I farmaci antimicotici vengono somministrati soprattutto per via sistemica nel caso delle infezioni sistemiche e topicamente nel corso di infezioni cutanee, unica eccezione è la griseofulvina che viene assorbita e poi si ridistribuisce alla cute. MICOSI SISTEMICHE - Amfotericina B - Flucitosina - Fluconazolo - Itraconazolo - Ketoconazolo - Caspofungin - Voriconazolo AMFOTERICINA B Si tratta di un farmaco antifungino molto utilizzato in ospedale per le infezioni gravi ed è di prima scelta nonostante i noti effetti avversi. Talvolta è usata in associazione con la flucitosina in modo da limitare le dosi di amfotericina. Meccanismo d’azione: le molecole di amfotericina si legano all’ergosterolo della membrana plasmatica dei miceti e ne provocano l’apertura consentendo agli elettroliti di iniziare un flusso diretto per il potassio verso l’esterno e il sodio all’interno. Da questo ne deriva morte cellulare. Spettro antimicotico: molto efficace nei confronti di certi organismi come Candida albicans Histoplasma capsulatum Cryptococcus neoformans Coccidioides, Blastomyces Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Alcuni tipi di aspergillo (attivo per il trattamento della leishmaniosi) Resistenza: essa si può verificare solo se il micete subisce una riduzione del contenuto di ergosterolo. Farmacocinetica: il farmaco viene somministrato per via endovenosa ad infusione lenta e nel trattamento delle meningiti fungine può essere scelta la pericolosa via intratecale. Per ridurre la tossicità renale sono state fatte preparazioni in cui l’amfotericina è coniugata a fosfolipidi e colesterolo a formare dei liposomi che riducono decisamente l’incidenza delle complicanze renali, tuttavia a causa del loro costo elevato non vengono utilizzate di frequente ma solo nelle emergenze e nei pazienti che proprio non tollerano l’amfotericina standard. Il farmaco si distribuisce nei liquidi ma scarsamente nel LCR, si lega alle proteine plasmatiche e l’eliminazione è principalmente urinaria sove permangono per molto tempo i metaboliti ma anche biliare. Effetti avversi: Febbre e brividi (scompaiono con le somministrazioni ripetute) Nefrotossicità: riduzione della funzione tubulare e glomerulare, perdita di potassio, aumento creatininemia e iperazotemia che si aggrava se sono assunti altri nefrotossici come aminoglicosidi o ciclosporina. Ipotensione: accompagnata da ipokaliemia Anemia: soppressione parziale della produzione eritrocitaria Effetti neurologici Tromboflebite: l’aggiunta di eparina può alleviare il problema. FLUCITOSINA È un farmaco efficace contro le candidosi, criptococcosi e cromoblastomicosi. Presenta un sinergismo spiccato con l’amfotericina B. Meccanismo d’azione: la flucitosina entra nella cellula fungina grazie ad una specifica permeasi che non si trova nei mammiferi e quindi non entra nelle cellule dell’organismo. Esso è un antimetabolita pirimidinico sintetico e quindi come tale viene trasformato dalla cellula micotica in 5-FU ed in seguito a 5FdUMP in modo da essere convertita in dTMP da incorporare come nucleotide nel DNA. Tuttavia il 5-FdUMP non è riconosciuta adeguatamente dal sistema enzimatico fungino e si ha un arresto della sintesi dei nucleotidi timidinici con blocco della sintesi del DNA. In seguito il composto viene incorporato nell’RNA come 5FdUTP ma in questo modo si ha un’alterazione dell’RNA che blocca la sintesi proteica. Si tratta quindi di un fungistatico. Spettro antimicotico: Cromoblastomicosi (associata all’itroconazolo) Criptococcosi e Candidosi (associata all’amfotericina B) Resistenza: si sviluppa resistenza quando si alterano gli enzimi coinvolti nella produzione di 5-FU a partire da 5-FC, oppure per l’aumento di sintesi di citosina. La resistenza è un fenomeno raro quando viene impiegata insieme ad altri farmaci antimicotici. Farmacocinetica: l’assorbimento è per via orale con distribuzione a tutto l’organismo e raggiunge bene il LCR. Nell’organismo si rileva la presenza di 5-FU probabilmente prodotta per il metabolismo dei batteri intestinali della 5-FC e alcuni effetti avversi fanno riferimento proprio alla fluorouracile. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Viene escreta mediante filtrazione glomerulare e deve essere aggiustata la dose nei nefropatici. Effetti avversi: Neutropenia reversibile Trombocitopenia Depressione midollare (a volte) (attenzione alla gravidanza e ai pazienti che sono sottoposti a radiazioni o chemioterapici che riducono la produzione midollare) Disfunzione epatica: danno sia epatocellulare che colestatico Disturbi gastrointestinali: può esserci una colite, nausea vomito e diarrea sono frequenti. KETOCONAZOLO È il primo farmaco della famiglia degli Azoli che oggi è stato rimpiazzato da altri farmaci più nuovi che hanno minori effetti collaterali perché più selettivi per la cellula fungina ed inoltre hanno spettro più ampio. Meccanismo d’azione: il ketoconazolo come gli altri azolici inibisce la C-14alfa-demetilasi che è un enzima fondamentale nella trasformazione del lanosterolo ad ergosterolo. È un enzima del complesso P-450. L’ergosterolo pertanto non viene prodotto e si ha un’alterazione della membrana fungina. Tuttavia il farmaco non è selettivo e si è visto che inibisce anche la sintesi degli steroidi sessuali e del cortisolo per cui dà problemi e complicanze endocrine. Spettro antimicotico: Histoplasma (istoplasmosi polmonare, ossea, cutanea e dei tessuti molli) Blastomices Candida Coccidioides Non è attivo per gli aspergilli. Resta un farmaco di seconda scelta per il trattamento delle micosi mucocutanee. Resistenza: è un problema crescente, si sono messi in evidenza dei ceppi che hanno alterazioni della demetilasi e non sono sensibili quindi al ketoconazolo. In più alcuni funghi hanno capacità di espellere il derivato azolico. Farmacocinetica: assorbito adeguatamente per via orale viene assorbito dalla mucosa gastrica in modo efficiente soprattutto grazie all’acidit{. Tutti i composti che aumentano il pH determinano una riduzione dell’assorbimento del farmaco. Esso si lega alle proteine plasmatiche e si distribuisce ma non entra nel liquor. È metabolizzato dal fegato ed escreto nella bile. I livelli urinari sono estremamente bassi e non è possibile utilizzarlo per le micosi delle vie urinarie. Effetti avversi: Allergie Effetti gastrointestinali: nausea, vomito, diarrea Effetti endocrini: ginecomastia, dismenorrea, impotenza e riduzione della libido Effetti epatici: si possono avere aumenti di transaminasi ma sono rare le forme epatitiche gravi. Interazioni farmacologiche: essendo un inibitore di un enzima del complesso P-450 va inevitabilmente ad agire anche sul fegato riducendo la funzione delle ossidasi e di conseguenza aumenta il tempo di dimezzamento e la durata d’azione di molti farmaci metabolizzati da questo complesso come fenitoina, warfarin, ciclosporina e Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 tolbutamide. La rifampicina è un induttore enzimatico e di conseguenza riduce la durata d’azione del ketoconazolo e degli altri azoli. Non si può somministrare insieme all’amfotericina B in quanto l’azione inibente la sintesi di ergosterolo del ketoconazolo rende inutile l’amfotericina B Teratogeno: controindicato in gravidanza FLUCONAZOLO Derivato azolico più recente che ha grossi impieghi terapeutici perché non possiede gli effetti dannosi endocrini del ketoconazolo ed ha spettro più ampio. Meccanismo d’azione: analogo al ketoconazolo Spettro antimicotico: Criptococcus neoformans Candidemia Coccidioidomicosi Candidosi mucocutanee Viene impiegato anche come profilattico dopo il trapianto di midollo osseo per evitare le infezioni fungine opportunistiche. Resistenza: segnalati fenomeni in pazienti con HIV Farmacocinetica: assorbito per via orale senza interferenze col pH gastrico a differenza del ketoconazolo ed inoltre riesce ampiamente a distribuirsi nel liquor sia a meningi infiammate che normali. Può essere somministrato anche per via endovenosa. È scarsamente metabolizzato e escreto con le urine immodificato. A volte è necessario modificare le dosi per i nefropatici. Effetti avversi: non possiede gli effetti indesiderati endocrini e non inibisce il citocromo P450. Tuttavia possono esserci alcune interazioni con altri farmaci metabolizzati dal complesso enzimatico del fegato. Può dare nausea, vomito ed eruzioni cutanee. L’epatite è rara. Come tutti gli azoli è teratogeno e non va usato in gravidanza. ITRACONAZOLO Si tratta di un composto azolico più recente che è diventato molto utile a causa del suo ampio spettro antimicotico. Il meccanismo d’azione è analogo agli altri azoli. È il farmaco di prima scelta nel trattamento di: Blastomicosi Aspergillosi Sporotricosi Paracoccidioidomicosi Istoplasmosi (efficace anche in pazienti con AIDS) Il farmaco viene assorbito per via orale ma risente dell’acidit{ gastrica che serve per solubilizzarlo. Il cibo può interferire con certe preparazioni. Si lega alle proteine plasmatiche e viene metabolizzato in un intermedio che mantiene un certo grado di attività antimicotica. Viene poi espulso con le feci e nelle urine si ritrovano concentrazioni bassissime del farmaco originario per cui non è necessario aggiustare le dosi nei nefropatici. Si distribuisce bene in tutti i tessuti ma non raggiunge concentrazioni utili nel liquor. Gli effetti avversi comprendono nausea, vomito, eruzioni cutanee, ipokaliemia, ipertensione, edema e cefalea. Non deve essere usato in gravidanza. Può rallentare il metabolismo di anticoagulanti orali, chinidina e statine. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 VORICONAZOLO È un nuovo farmaco azolico ad ampio spettro che viene utilizzato nei casi di: Aspergillosi invasiva Infezioni gravi da scedosporium apiospermum Specie di fusarium È attivo per via orale e penetra nel SNC. Viene eliminato per metabolismo epatico e si ritrova nella bile come composto inattivo. Gli effetti avversi sono analoghi a quelli degli altri azoli, in più si manifestano dei problemi visivi appena dopo l’assunzione. CASPOFUNGIN È il primo farmaco approvato con funzione antimicotica della classe delle echinocandine. Meccanismo d’azione: inibisce la produzione del D-glicano che è un componente essenziale della parete micotica causando quindi lisi e morte cellulare. Spettro antimicotico: limitato a aspergillo e candida. È il farmaco di prima scelta nei pazienti che non hanno risposto agli azoli o all’amfotericina. Farmacocinetica: il farmaco non è assorbito per via orale e quindi va dato esclusivamente per via parenterale. Si lega estesamente alle proteine plasmatiche ed ha emivita di circa 10 ore. Il catabolismo avviene per idrolisi ed N-acetilazione da parte del fegato con escrezione in egual misura dalle urine e dalle feci. Effetti avversi: febbre, eruzioni cutanee, nausea, flebiti, vampate di calore (mediate dalla liberazione di istamina). Non deve essere somministrato insieme a ciclosporina. È molto costoso. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 83. Farmaci antifungini topici Le infezioni cutanee fungine sono dette dermatofitosi e sono associate ad infezioni da parte di funghi che crescono principalmente sulla superficie cutanea utilizzando cheratina come sostanza nutritiva. In questo caso quindi si preferiscono le somministrazioni topiche di antifungini in modo da massimizzare l’azione localmente. MICONAZOLO, CLOTRIMAZOLO, ECONAZOLO Si tratta di derivati azolici che risultano estremamente tossici da somministrare per via orale o parenterale e pertanto il loro impiego si limita all’utilizzo cutaneo topico. Essi hanno lo stesso meccanismo d’azione degli altri azoli e anche lo stesso spettro antimicotico del ketoconazolo. Impiego in: Dermatiti da contatto Irritazione vulvare ed edema Il miconazolo ha causato emorragie in pazienti che assumevano warfarin anche per via topica e quindi è sconsigliato il suo utilizzo in pazienti in TAO. Nel trattamento delle candidosi vulvari non c’è una marcata differenza con la nistatina. NISTATINA La nistatina è un antibiotico polienico che ha un meccanismo d’azione e una struttura chimica che richiama l’amfotericina. Trova un impiego topico nelle candidosi. La sua estrema tossicità non consente la somministrazione parenterale. Tuttavia può essere dato per via orale in quanto l’assorbimento gastrointestinale è trascurabile e il farmaco si ritrova del tutto nelle feci. Si usa oralmente per trattare le candidosi orali o intestinali. Gli effetti avversi sono molto rari non essendoci assorbimento ma talvolta possono comparire nausea e vomito. GRISEOFULVINA Si tratta di un farmaco antifungino che agisce principalmente contro le dermatofitosi delle unghie e della cute. Tuttavia topicamente non ha effetto e pertanto per agire sui tessuti superficiali deve essere ingerito ed assorbito per poi essere depositato attraverso il circolo nei tessuti ricchi di cheratina. In questa sede svolge la sua azione che è quella di bloccare la formazione del fuso mitotico impedendo la replicazione fungina e di conseguenza è un fungistatico. Il trattamento deve essere prolungato per almeno 6-12 mesi Agisce efficacemente contro: Trichophyton Microsporum Epidermophyton Tigna non responsiva ad altri antibiotici Viene assunto come preparazione di cristalli finissimi e l’assorbimento aumenta se assunto insieme a cibi ricchi di grassi. È possibile una resistenza data dalla perdita del sistema di captazione energetica. È un induttore del citocromo P-450 ed aumenta il metabolismo di molti farmaci tra cui gli anticoagulanti orali potendo renderli inefficaci. Viene escreto attraverso il rene, può dare dei problemi a livello epatico. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 È controindicata nei pazienti con porfiria perché può aggravare gli attacchi acuti. I pazienti in trattamento non devono assumere sostanze alcoliche perché il farmaco potenzia gli effetti dannosi dell’alcol. È risultata teratogena in animali da laboratorio. Ad oggi è stata completamente rimpiazzata dalla terbinafina per la cura delle dermatofitosi delle unghie. TERBINAFINA Si tratta di un farmaco essenzialmente utilizzato per il trattamento delle dermatofitosi e soprattutto delle onicomicosi (infezioni fungine delle unghie). È meglio tollerato e più efficiente in questo campo che la griseofulvina e l’itroconazolo, inoltre ha anche una durata della terapia molto inferiore rispetto alla griseofulvina (3 mesi). Il meccanismo d’azione prevede l’inibizione della squalene epossidasi responsabile della formazione dell’ergosterolo. Per inibire la squalene epossidasi umana sono necessarie dosi molto più elevate del farmaco. Lo spettro d’azione è attivo contro i dermatofiti e la candida. Viene somministrata per via orale, si lega alle proteine plasmatiche e viene depositata sulla cute, unghie e nell’adipe. L’emivita è di 200-400 ore, il che indica un probabile rilascio ritardato del farmaco da questi tessuti. Viene escreta nelle urine. Si può ritrovare in parte nel latte materno ed è quindi sconsigliata nelle donne in allattamento. Tra gli effetti avversi ci sono: Disturbi gastrointestinali (nausea, vomito, dispepsia) Eruzioni cutanee Disturbi visivi e del gusto Alterazioni enzimi epatici La rifampicina riduce i suoi livelli ematici mentre la cimetidina li aumenta. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIPROTOZOARI E ANTIELMINTICI ANTIMALARICI E ANTIAMEBICI; ANTIELMINTICI 84. Farmaci antimalarici: classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati La malaria è una malattia infettiva acuta che si genera a seguito della puntura di una zanzara infetta che rilascia protozoi nel sito di iniezione che poi vengono trasportati in circolo. Si tratta di una malattia molto pericolosa e presente in modo endemico in alcune zone del mondo. Il parassita incriminato appartiene al genere Plasmodium e può essere di 4 tipi: - Plasmodium falciparum: agente più importante e più frequente che causa la malaria maligna o terzana - Plasmodium vivax: responsabile della terzana benigna e causa una forma più lieve della malattia - Plasmodium malariae: responsabile della malaria quartana, di comune riscontro nelle regioni tropicali. - Plasmodium ovale: di raro riscontro Tuttavia possono esistere facilmente anche infezioni di più microrganismi contemporaneamente e per questo si rende necessario un trattamento multifarmacologico. La malaria maligna è una patologia che si manifesta classicamente con febbre alta persistente, ipotensione ortostatica ed eritrocitosi massiva (responsabile di un accumulo di globuli rossi negli arti inferiori che provocano gonfiore e rossore). L’eritrocitosi può facilmente ostruire i capillari e determinare fenomeni ischemici fatali se non si interviene prontamente. Il periodo di incubazione è di: - 7-14 giorni per il falciparum, - 8-14 giorni per vivax e ovale (per alcuni ceppi di vivax l’incubazione si può protrarre per 8-10 mesi, per ovale tale periodo può essere ancora più lungo) - 7-30 giorni per malariae Nel caso di malaria post-trasfusionale (oggi evento rarissimo) si ha un’incubazione proporzionale al numero di parassiti trasfusi e al tipo. La chemioprofilassi inadeguata può prolungare il periodo di incubazione. Il ciclo vitale del plasmodium prevede una fase extraumana di replicazione sessuata e maturazione a sporozoita nella zanzara. La zanzara punge e libera gli sporozoiti che sono diretti al fegato. Entrano negli epatociti e qui si verifica una prima fase di replicazione asessuata che li trasforma in schizonti. Gli schizonti epatocitari sono formazioni composte di moltissimi parassiti replicanti, questi vanno poi incontro a rottura ed immissione in circolo di merozoiti i quali penetrano ognuno in un globulo rosso infettandolo. All’interno dei globuli rossi i merozoiti diventano trofozoiti maturi ed immaturi e a questo punto inizia un’altra fase di replicazione asessuata con schizonti più piccoli rispetto alla fase epatocitaria e vengono nuovamente prodotti merozoiti che lisano il globulo rosso e sono pronti ad infettare un nuovo eritrocita. In alcuni casi però i merozoiti prodotti si trasformano in gametociti maschile e femminile che vengono prelevati dalla zanzara femmina al cui interno si ha la fase di riproduzione sessuata e la formazione di sporozoiti. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 I parassiti si collocano all’interno del globulo rosso perché necessitano dell’emoglobina per il loro nutrimento e la scindono in aminoacidi. Tuttavia i gruppi eme vengono liberati e sarebbero tossici per il parassita se non fosse che essi vengono accumulati in composti detti emozoine non più tossici. Farmaci utilizzati contro l’infezione acuta e per la profilassi: - Primachina - Clorochina - Chinina - Meflochina - Pirimetamina - Sulfamidici (sulfadossina) - Artemisina - Proguanil - Doxaciclina Questi si dividono in composti ad azione immediata o quasi (clorochina, chinina, meflochina) e in composti ad azione più ritardata (pirimetamina, proguanil, sulfamidici). Chiaramente i farmaci hanno dei bersagli diversi in base alla fase evolutiva del parassita in quanto certi farmaci agiscono nelle forme esoeritrocitarie, mentre altri sono selettivi per i parassiti contenuti all’interno degli eritrociti. PRIMACHINA (schizonticida tissutale) È una 8-aminochinolina che elimina le forme esoeritrocitarie primarie di plasmodium falciparum e vivax e quelle secondarie di vivax e ovale. È l’unico farmaco in grado di curare del tutto la malaria da vivax e ovale, il quale può rimanere insediato nel fegato per molto tempo dopo la scomparsa dagli eritrociti. È attivo però solo per le forme tissutali ed ematiche e non è efficace per le forme di schizonti intraeritrocitari. Essa riesce anche ad avere un’azione sui gametociti eliminandoli, qualunque sia il tipo di plasmodium e in questo modo interrompe anche la trasmissione della malattia. Visto che non possiede azione anti-schizonte eritrocitario viene associata ad altri farmaci. Meccanismo d’azione: non è ancora del tutto noto ma si pensa che abbia un’azione ossidante per questi parassiti provocando la loro lisi. Tuttavia questi effetti ossidanti si ritorcono anche sull’organismo stesso e può comparire emolisi e metaemoglobinemia. Tutte le specie di plasmodium possono instaurare una resistenza alla primachina. Farmacocinetica: è ben assorbita per via orale e non si concentra nei tessuti, è rapidamente ossidata in composti intermedi che hanno attività antimalarica, non si sa quale sia il vero intermedio schizonticida. Effetti avversi: Anemia emolitica: soprattutto in pazienti con deficit di G6PDH a causa dell’attivit{ ossidante del farmaco Disturbi gastrointestinali: specie se associata a clorochina Metaemoglobinemia: occasionale Agranulocitosi in pazienti affetti da LES o AR Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Controindicata in gravidanza CLOROCHINA (schizonticida ematico) Si tratta di una 4-aminochinolina che è stata il fondamento terapeutico della malaria causata dal falciparum. Oggi il problema delle resistenze alla clorochina ha ridimensionato il suo utilizzo. Essa agisce sulla fase intraeritrocitaria del parassita ed è selettiva per le forme asessuate. È meno efficace nei confronti di vivax. Meccanismo d’azione: il meccanismo è complesso in quanto il farmaco penetra negli eritrociti e nel plasmodio. Il plasmodio possiede un vacuolo acido in cui avviene la degradazione dell’Hb ad aminoacidi. La clorochina essendo una base debole penetra nel vacuolo e non riesce più ad uscire per intrappolamento ionico. In questo modo viene aumentato il pH del vacuolo che risulta quindi inefficace nella degradazione dell’Hb. Contemporaneamente però agisce anche legandosi all’eme liberato dall’Hb e impedendo alle molecole di eme di aggregarsi a formare la emozoina. L’accumulo di eme e il pH elevato del vacuolo sono tossici per il parassita e ne risulta una lisi sia del parassita che dell’eritrocita. Sembra essere implicato anche un terzo fattore che è l’ostacolo alla formazione del DNA. Il meccanismo sembra accomunare diversi farmaci come la meflochina e la chinidina. Resistenza: il fenomeno della clorochino-R sta diventando un problema grave in quanto sempre più specie di plasmodium sono resistenti al farmaco. Il meccanismo sembra mediato dalla formazione di una glicoproteina P legata alla membrana del parassita responsabile dell’estrusione del farmaco. Tale glicoproreina sembra coinvolta anche in fenomeni di resistenza ai farmaci antitumorali. Si è visto che il verapamil e la ciclosporina riducono l’esternalizzazione della proteina. Impieghi terapeutici: Malaria da falciparum Malaria da vivax (meno efficace) Amebiasi extraintestinale Azione antinfiammatoria: impiego occasionale nell’AR e nel LES. Farmacocinetica: viene somministrata oralmente e necessita di circa 5 giorni per curare la malaria da falciparum sensibile. Si distribuisce in tutto l’organismo concentrandosi negli eritrociti, nel fegato, nei reni, nei tessuti contenenti melanina, nella milza, nei polmoni e nei leucociti. Pertanto ha un ampio Vd. Raggiunge il SNC e attraversa la placenta. È dealchilata dalle ossidasi a funzione mista del fegato ed escreta con le urine. La velocità di escrezione aumenta se si acidificano le urine. Effetti avversi: Basse dosi: quasi nessuno Alte dosi: fastidio intestinale, prurito, cefalea, disturbi visivi (si consiglia esame oftalmoscopico periodico). Si può avere riduzione della colorazione del letto ungueale e delle mucose. Usare cautela in pazienti con alterazione della funzionalità epatica e con problemi cardiaci in quanto si lega ai recettori canali HERG del potassio potendo causare aritmie. Può aggravare le dermatiti da Sali d’oro. Pazienti con porfirie o psoriasi non dovrebbero assumerla perché potrebbe esacerbare gli attacchi. CHININA (schizonticida ematico) Questo farmaco viene impiegato essenzialmente per le emergenze insieme al suo stereoisomero chinidina. Può essere data in urgenza per via endovenosa anche se normalmente è assunta per via orale. Il meccanismo d’azione è l’inibizione della formazione dell’emozoina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Usi terapeutici: il farmaco è usato solo nei casi severi di malaria resistenti ad altri antimalarici come la clorochina. Attualmente in caso di resistenza alla clorochina si somministra chinina + pirimetamina + sulfamidico. Essa si distribuisce in tutto l’organismo e può raggiungere il feto. L’alcalinizzazione delle urine riduce la sua escrezione. Effetti avversi: Cinconismo: serie di sintomi caratterizzati da nausea, vomito, tinnito e vertigini, sono tutti sintomi reversibili e non sono un motivo di sospensione della terapia. Anemia emolitica: in caso di test di Coombs positivo che indica anemia emolitica è necessario interrompere il trattamento Interazioni farmacologiche: potenziamento dei bloccanti neuromuscolari, aumento dei livelli di digossina. Il suo assorbimento è ritardato se assunta insieme ad antiacidi contenenti alluminio Fetotossicità MEFLOCHINA (schizonticida ematico) Si tratta di un farmaco che viene impiegato singolarmente nel trattamento della malaria da plasmodium falciparum resistente agli altri farmaci. Meccanismo d’azione: ancora ignoto ma sembra danneggiare la membrana del parassita. Usi terapeutici: malaria da falciparum singolarmente quando è resistente ad altri farmaci. Farmacocinetica: è assorbita bene per via orale e si distribuisce nel polmone e nel fegato. Ha un tempo di dimezzamento di 17 giorni perché si concentra nei tessuti ed è sottoposto ad un ricircolo enteroepatico ed enterogastrico. Subisce esteso metabolismo ed è eliminato con le feci. Le reazioni avverse prevedono: nausea, vomito, capogiri fino a disorientamento, depressione e allucinazioni. Può verificarsi una complicanza cardiaca come aritmie o arresto cardiaco se data insieme alla chinina. Sono state identificate forme di resistenza. PIRIMETAMINA (schizonticida ematico e sporontocida) Essa è un inibitore della sintesi dell’acido folico ed è impiegato per la risoluzione dell’infezione e guarigione radicale. Il farmaco in più ha anche un’azione sporontocida per cui uccide i parassiti nell’intestino della zanzara (quando essa assume il farmaco insieme al sangue umano) riducendo drasticamente la trasmissione della malattia. Il meccanismo d’azione è il blocco della diidrofolato reduttasi del plasmodio, per inibire quella umana servono dosi molto più elevate. Da sola è efficace contro il falciparum. Viene impiegata anche contro il malariae ed ha un impiego clinico anche contro l’infezione da toxoplasma gondii associata ad un sulfamidico. Come effetti avversi si può presentare un’anemia megaloblastica in caso che le dosi siano eccessive e che ci sia un’interferenza con la produzione dei globuli rossi. Questa anemia può essere antagonizzata con leucovirina. ARTEMISINA (schizonticida ematico) Si tratta di un farmaco estratto da una pianta che ha la capacità di agire inibendo il plasmodium falciparum ed è impiegato nelle forme di resistenza a più farmaci e nelle infezioni di grado severo. Spesso per il trattamento acuto si utilizzano chinina e derivati dell’artemisina (provenienti sempre dalla stessa pianta cinese). Il meccanismo d’azione sembra essere la produzione di radicali liberi nel vacuolo acido e l’interazione con proteine della membrana parassitaria. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Sono disponibili formulazioni orali, rettali ed endovenose ma l’emivita molto breve non consente il suo utilizzo in chemioprofilassi. Metabolizzate dal fegato ed eliminate con la bile. Effetti avversi comprendono nausea, vomito e diarrea ma in generale è un farmaco privo di effetti collaterali evidenti. A dosi molto elevate può dare allungamento del tratto QT. FANSIDAR Associazione di pirimetamina e sulfadossina. Si tratta di uno schizonticida ematico. Chemioprofilassi antimalarica Ad oggi i viaggi in regioni e zone colpite da malaria prevedono la profilassi sia comportamentale che farmacologica, tuttavia questa non è sempre efficace e sicura al 100% a causa delle possibili resistenze dei plasmodi ma anche della inadeguata compliance del paziente sia per posologia inadeguata sia per gli effetti collaterali fastidiosi. In alcuni casi la profilassi crea anche tossicità e per questo motivo è sconsigliata in certi pazienti. Nella scelta del trattamento profilattico vanno presi in considerazione: - Itinerario (zone più o meno a rischio) - Rischio di acquisizione di plasmodi clorochino-R - Precedenti reazioni allergiche ai farmaci antimalarici - Condizioni di salute e attività svolta dal viaggiatore. Sempre necessario associare profilassi comportamentale. I farmaci vanno assunti a partire da 1-2 settimane prima del viaggio (oppure 1-2 giorni prima se si usa il proguanil o la doxiciclina), vanno continuate durante il viaggio e non vanno sospese prima di 4-5 settimane dopo il ritorno dal viaggio. Devono essere assunti a stomaco pieno e con abbondanti quantità di acqua. Nell’ambito delle clorochino-resistenze l’OMS ha suddiviso le aree di destinazione in 3 categorie: A: zone in cui la malaria non è frequente e non c’è stata ancora resistenza. Il farmaco di scelta è la clorochina B: zone in cui non è frequente la malaria ma in cui sono stati segnalati casi di farmacoresistenza. Il trattamento può essere fatto con clorochina da sola oppure associata a proguanil portando con sé una scorta di dose terapeutica di meflochina oppure con associazione di pirimetamina e sulfamidico. C: malaria endemica ed elevati livelli di clorochino-resistenza. Profilassi raccomandata con meflochina optando in casi di controindicazioni con clorochina + proguanil. Il trattamento con la meflochina consiste in una compressa a settimana a partire da 1 settimana prima della partenza, seguita da dosi settimanali durante il viaggio (preferibilmente allo stesso giorno ogni settimana) e prolungata per 4 settimane dopo la partenza dall’area endemica. Per prevenire la selezione di ceppi resistenti alla clorochina è sconsigliato prolungare la terapia oltre i 3 mesi. Zone a basso rischio (America centrale, Cina): clorochina Zone a medio rischio (India, Nepal, Pakistan): clorochina + proguanil o clorochina da sola Zone ad alto rischio (Africa sub-sahariana, bacino amazzonico): meflochina, doxiciclina o proguanil + clorochina. I gruppi particolarmente a rischio sono le donne in gravidanza e i bambini: - Gravidanza: aumento di rischio di parto pretermine, aborto e mortalità neonatale e morte della madre. Sono sconsigliati i viaggi in tutte le zone a rischio malarico soprattutto clorochino-R. Se il viaggio non si può rimandare si fa una profilassi molto Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - attenta con clorochina da sola o associata a proguanil, dopo le 12 settimane si può usare anche meflochina. È opportuno che le donne fertili non abbiano una gravidanza fino a 3 mesi trascorsi dopo il termine del ciclo profilattico con meflochina e per 1 settimana con doxiciclina. Allattamento: frammenti di farmaci passano nel latte materno ma sono inefficienti per trattare il lattante che va sottoposto alla profilassi normale adeguata all’et{. Pediatria: i bambini sono a rischio di contrarre la malaria e di svilupparla in un modo grave. È sempre sospettabile una malaria quando il bambino torna da un posto tropicale con febbre alta. I bambini piccoli dovrebbero evitare tali viaggi. La profilassi ideale è la clorochina e il proguanil. La doxiclina è sconsigliata prima degli 8 anni, mentre la meflochina è sconsigliata sotto i 3 mesi mentre il complesso pirimetaminasulfamidico è sconsigliato sotto il mese. Queste raccomandazioni vanno effettuate per i viaggiatori che soggiornano per un mese, oltre al mese bisogna rivolgersi alle unità sanitarie locali per le modalità della continuazione del trattamento (per evitare le resistenze). Se si sospetta la malattia si fa l’esame diretto del sangue. Se il campione non mostra nulla ma il soggetto è sospetto si proseguono le analisi ematiche ogni 12-24 ore per 3 giorni. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 85. Farmaci antiamebici: classificazione, meccanismo d’azione, spettro antimicrobico, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati L’amebiasi è una patologia infettiva derivata dall’infezione da parte di Entamoeba Histolytica che viene acquisita dall’esterno attraverso l’ingestione di acque o cibi contaminati da residui fecali contenenti cisti dell’ameba. Infatti l’E. Histolytica è un protozoo che subisce un ciclo vitale esterno al corpo sotto forma di cisti resistenti all’ambiente esterno ed un ciclo vitale interno all’organismo sotto forma di trofozoita che si replica. L’ameba giunge sotto forma di cisti fino all’intestino crasso e qui viene liberata la forma attiva cioè i trofozoiti che si moltiplicano ed invadono la parete intestinale del crasso ulcerandola oppure si limitano a nutrirsi delle specie batteriche presenti nell’intestino. I trofozoiti sono poi trasportati lentamente verso il retto dove si riformano le cisti originarie ed essi vengono espulsi con le feci sotto forma di cisti. L’amebiasi può essere manifestata clinicamente sotto forma di: - Infezione acuta - Infezione cronica La presentazione sintomatologica può essere molto varia dall’assenza di sintomi ad una diarrea lieve per arrivare ad una dissenteria fulminante. La terapia non è rivolta solo al paziente patologico ma anche al portatore che può fungere da serbatoio. Classificazione dei farmaci amebicidi Amebicidi luminali: agiscono solo nei parassiti del lume intestinale (iodochinolo, dilossanide furoato, paromomicina) Amebicidi sistemici: agiscono sui parassiti dislocati nella parete intestinale e nel fegato (responsabili dell’ascesso epatico amebico) (clorochina, emetina e deidroemetina) Amebicidi misti: hanno una duplice azione (metronidazolo) Molto spesso per effettuare un trattamento completo contro l’ameba è necessario somministrare i farmaci antiamebici insieme ad antibiotici in modo tale da ridurre la flora batterica intestinale che è un substrato utilizzato dall’ameba per nutrirsi. Vengono usati tetraciclina e paromomicina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 METRONIDAZOLO Il metronidazolo è un farmaco amebicida misto con molteplici funzioni non solo nel trattamento dell’amebiasi. Esso è tossico non solo per le amebe ma anche per i microrganismi anaerobi compresi i batteri e per le cellule ipossiche e anossiche. Meccanismo d’azione: alcuni parassiti protozoari anaerobi comprese le amebe possiedono proteine trasportatrici di elettroni a basso potenziale redox che partecipano alla rimozione degli elettroni dopo le reazioni metaboliche. Il metronidazolo possiede un gruppo azotato che accetta elettroni formando dei composti ridotti citotossici che si legano alle proteine e al DNA e determinano lisi dell’ameba. Usi terapeutici: Infezione da Entamoeba histolytica (sopprime i trofozoiti) Infezione da Trichomonas vaginalis Infezione da Giardia lamblia Infezioni da cocchi anaerobi e bacilli anaerobi gram negativi (bacterioides) e gram positivi (clostridi) Colite pseudomembranosa (farmaco di scelta) Ascessi cerebrali causati da questi microrganismi Helicobacter Pylori Resistenza: non è un problema terapeutico ma alcuni ceppi di trichomonas hanno dimostrato resistenza. Farmacocinetica: il metronidazolo viene assorbito per via orale insieme ad un amebicida luminale come la dilossanide furoato e l’abbinamento assicura un’efficacia di guarigione superiore al 90%. Si distribuisce bene in tutti i tessuti e liquidi. Raggiunge concentrazioni terapeutiche nei liquidi vaginali e seminali, nella saliva, nel latte materno e nel LCR. Il metabolismo dipende dall’ossidazione della catena laterale e successiva glucuronazione. Il trattamento con induttori del sistema enzimatico delle ossidasi come il fenobarbital fa aumentare il metabolismo del farmaco mentre la cimetidina che lo inibisce allunga la durata d’azione. Il farmaco si accumula nei pazienti con epatopatia lieve. Viene escreto con le urine. Effetti avversi: Gastrointestinali: nausea e vomito, epigastralgie e crampi addominali Senso di sapore metallico Moniliasi orale (infezione da parte di un lievito) Problemi neurotossici (raramente) Assunzione con alcol dà effetto simil-disulfiram IODOCHINOLO Si tratta di un amebicida luminale efficace contro i trofozoiti luminali e anche le cisti di entamoeba histolytica. Gli effetti avversi comprendono eruzioni cutanee, diarrea e neuropatia periferica. Anche una neurite ottica può avvenire. DILOSSANIDE FUROATO Utile nei portatori asintomatici delle cisti. È sempre un amebicida luminale. Viene assunta per via orale e poi idrolizzata nella mucosa intestinale. Il 90% del farmaco viene assorbito ma non è efficace perché la porzione attiva è quella che non viene assorbita. Quel 90% dei assorbimento sistemico sembra responsabile dei pochi effetti collaterali come flatulenza, secchezza delle fauci, prurito e orticaria. È controindicato nelle donne gravide. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 PAROMOMICINA Si tratta di un antibiotico aminoglicosidico che non viene praticamente assorbito per via orale e quindi agisce esclusivamente sul lume. Pur avendo un effetto amebicida diretto probabilmente per interazione con la membrana del parassita e fuoriuscita di componenti essenziali, svolge la sua azione antiamebica mediante l’eliminazione della flora intestinale. In questo modo riduce il substrato nutritizio delle amebe. Ha azione anche sulla tenia. Alcuni effetti avversi possono essere sofferenza gastrointestinale e diarrea. CLOROCHINA Antiamebico sistemico che elimina i trofozoiti dalla parete intestinale e dagli ascessi epatici. Insieme al metronidazolo e alla dilossanide furoato svolge la sua azione antiamebica nelle infezioni gravi già disseminate al fegato e alla parete intestinale. Non ha azioni sul parassita nel lume. Viene impiegata estesamente anche nella malaria. EMETINA E DEIDROEMETINA Sono farmaci alternativi per il trattamento dell’amebiasi e svolgono il loro ruolo interagendo con la sintesi proteica bloccando l’allungamento della catena. Sono alcaloidi dell’ipecacuana e il loro utilizzo è praticamente scomparso a causa dei loro effetti avversi importanti. La deidroemetina è più tollerata che l’emetina. La via preferita è l’iniezione intramuscolare. L’emetina si concentra nel fegato dove persiste per un mese dopo una singola somministrazione. L’emivita è di 5 giorni. Essi sono presentano una certa tossicità ed il trattamento con tali farmaci non dovrebbe prolungarsi oltre i 10 giorni. Tra gli effetti sfavorevoli ci sono dolore al sito di iniezione, nausea, cardiotossicità, debolezza neuromuscolare, capogiri ed eruzioni cutanee. Riepilogo del trattamento amebicida nei vari casi: 1. Portatore asintomatico di cisti: iodochinolo o paromomicina o dilossanide furoato 2. Diarrea / dissenteria extraintestinale: metronidazolo + iodochinolo o paromomicina o dilossanide furoato 3. Ascesso amebico epatico: clorochina + metronidazolo o emetina Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 86. Farmaci per la terapia delle infezioni da nematodi, trematodi e cestodi: classificazione, meccanismo d’azione, impieghi terapeutici ed effetti indesiderati Gli elminti o vermi sono una categoria di agenti infettivi pluricellulari che colpisce l’uomo. Esistono 3 specie di vermi interessanti per la patologia umana: - Nematodi: si tratta di vermi veri e propri con una bocca, un apparato digerente ed un ano, provocano infezioni intestinali ma anche del sangue e dei tessuti vari - Trematodi: si tratta di platelminti a forma di foglia che si classificano in base all’organo che infettano (distomi epatici, distomi polmonari…) - Cestodi: possiedono un corpo piatto e si attaccano direttamente all’intestino. Sono segmentati e non possiedono bocca e tubo digerente come i trematodi. Le maggiori appartenenti a questo genere sono le tenie. NEMATODI I farmaci per il trattamento dei nematodi sono - Mebendazolo - Pirantel pamoato - Albendazolo - Ivermectina - Dietilcarbazina - Tiabendazolo MEBENDAZOLO Meccanismo d’azione: si lega ai microtubuli ed impedisce il loro assemblaggio nello scheletro completo, in più inibisce la captazione di glucosio. Il verme quindi viene paralizzato ed eliminato con le feci. Usi terapeutici: Tricuriasi Ascaridiasi Anchilostomiasi Ossiuriasi Farmacocinetica: è praticamente insolubile in soluzione acquosa e viene assunto come pastiglie da masticare ma l’assorbimento è molto scarso proprio perché deve avere un effetto massimo sull’apparato gastroenterico ed evitare la tossicit{ sistemica. Se si vuole che venga assorbito maggiormente deve essere assunto insieme ad un pasto con cibi ricchi di grassi. Effetti avversi: praticamente privo di tossicità anche se si possono presentare dolori addominali e diarrea. È controindicato nelle donne in gravidanza per possibili effetti teratogeni ed embiotossicità. PIRANTEL PAMOATO Meccanismo d’azione: agisce inibendo la depolarizzazione perché si lega ai recettori nicotinici del sistema neuromuscolare del parassita e li rende costantemente attivi. In tal modo il verme si paralizza e viene eliminato con le feci. Usi terapeutici: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Ascaridiasi Ossiuriasi Anchilostomiasi Farmacocinetica: è assorbito per via orale e agisce nel tratto intestinale Effetti avversi: sono molto lievi e comprendono nausea, vomito e diarrea. TIABENDAZOLO Meccanismo d’azione: interazione con i microtubuli Usi terapeutici: Strongiloidiasi Trichinelliasi Larva migrante cutanea Farmacocinetica: viene assunto per via orale ed assorbito. È idrossilato nel fegato ed eliminato con le urine. Effetti avversi: anoressia, vertigini, nausea e vomito. È stata segnalata una patologia a carico del SNC. Ci sono stati casi di eritema multiforme e sindrome di Steven-Johnson che hanno avuto anche casi fatali. Controindicato in gravidanza IVERMECTINA Meccanismo d’azione: si lega ai canali del cloro del parassita e li rende costantemente attivi eliminando il cloro all’esterno. In tal modo provoca una depolarizzazione del parassita che si paralizza. Usi terapeutici: Oncocercosi (prima scelta) Strongiloidiasi (una tra le prime scelte) Larva migrante cutanea. Farmacocinetica: assorbimento per via orale ma non passa nel LCR. Non va dato in caso di meningite perché può entrare nel SNC e dare effetti collaterali. Effetti avversi: controindicato in gravidanza ed in meningite. DIETILCARBAMAZINA Meccanismo d’azione: immobilizzazione delle microfilarie rendendole suscettibili ai meccanismi di difesa dell’ospite. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Usi terapeutici: Filariasi (farmaco di prima scelta associato in genere all’albendazolo) Farmacocinetica: assorbito dopo somministrazione orale ed escreto con le urine. Effetti avversi: alcalosi urinaria ed insufficienza renale sono responsabili della riduzione del dosaggio. Le reazioni avverse in genere sono proporzionali alle reazioni dell’ospite agli organismi uccisi e quindi si possono avere febbre, malessere, reazioni cutanee, mialgia, artralgia e cefalea. TREMATODI Il farmaco d’elezione per il trattamento dei trematodi (che nel nostro continente sono praticamente inesistenti) è il Prazinquantel. PRAZIQUANTEL Meccanismo d’azione: agisce stimolando i canali del calcio in modo tale da paralizzare il verme. Usi terapeutici: schistosomiasi e altre infezioni da trematodi. Viene talora utilizzato anche per le infestazioni da cestodi come la cisticercosi. Farmacocinetica: assorbimento buono per via orale, e penetra nel liquor. Ha tempo di dimezzamento molto breve perché ampiamente metabolizzato dal fegato. Si ritrova nella bile. L’eliminazione avviene con la bile e con le urine. I metaboliti non sono attivi. Effetti avversi: sonnolenza, capogiri, anoressia, malessere. È sconsigliato nella gravidanza. Sono state descritte interazioni farmacologiche dovute ad aumento del metabolismo con desametasone, carbamazepina e fenitoina. Cimetidina invece aumenta il praziquantel. Controindicato nella cisticercosi oculare perché potrebbe danneggiare l’organo. CESTODI I principali farmaci usati per i cestodi sono: Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 - Niclosamide Albendazolo NICLOSAMIDE Meccanismo d’azione: inibisce la produzione energetica per blocco della conversione anaerobia dell’ADP in ATP per cui il parassita si trova senza energia. Contemporaneamente sono però necessari dei lassativi in quanto è fondamentale eliminare tutti i frammenti del verme e non solo lo scolice in quanto se alcuni frammenti inerti sono lasciati nell’intestino possono essere assorbiti e dare cisticercosi. Non è attivo per le uova di tenia. Farmacocinetica: somministrazione orale con un lassativo Effetti avversi: mai assumere alcol per almeno 1 giorno dopo la somministrazione del farmaco. ALBENDAZOLO Questo farmaco agisce come gli altri derivati benzimidazolici sui nematodi interferendo con i microtubuli, tuttavia svolge il suo ruolo più importante nei cestodi e nella cisticercosi. Usi terapeutici: Cisticercosi Malattia idatidea Farmacocinetica: assorbito per via orale. L’assorbimento aumenta se assunto insieme a cibi ad alto contenuto lipidico. Metabolizzato ampiamente dal fegato ed escreto con le urine. Alcuni metaboliti mantengono l’attivit{. Effetti avversi: quando è usato per le infestazioni da nematodi è di breve durata (1-3 giorni) e non dà effetti avversi a parte un po’ di nausea e cefalea. Quando è usato nella malattia idatidea in cui necessita di 3 mesi c’è il rischio di epatotossicit{ e raramente agranulocitosi e pancitopenia. Per il trattamento delle forme del SNC si associano effetti avversi dovuti alla reazione infiammatoria come cefalea, vomito, ipertermia, convulsioni ed alterazioni mentali. Non deve essere dato in gravidanza e nei bambini sotto i 2 anni. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 ANTIVIRALI FARMACI IMPIEGATI NELL’INFEZIONE DA HIV E ALTRI ANTIVIRALI 87. Classificazione dei farmaci antivirali I virus sono parassiti endocellulari obbligati che non possiedono una parete propdia né una membrana cellulare ma sono formati da una capsula glicoproteica detta capside contenente il materiale genetico sotto forma di DNA o di RNA. Essi necessitano assolutamente della cellula ospite per vivere e non sono in grado di compiere processi metabolici. Sfruttano le funzioni metaboliche della cellula ospite e si replicano avvalendosi di molti processi metabolici dell’organismo. Per questo motivo esistono molti farmaci antivirali ma pochi sono selettivi per il ciclo di replicazione virale in quanto inevitabilmente vengono colpite anche le funzioni metaboliche dell’organismo. La terapia antivirale è ulteriormente complicata dal fatto che i sintomi si manifestano in uno stadio tardivo quando già i virus si sono estesamente replicati e in una fase in cui gli antivirali possiedono una minor efficacia terapeutica. Alcuni farmaci antivirali hanno scopo profilattico. Solo alcuni gruppi di virus rispondono ai farmaci antivirali disponibili. Per semplificazione i farmaci antivirali sono stati raggruppati in base ai virus bersaglio. Per le epatiti il farmaco di scelta è certamente l’IFN; poi a seconda del virus coinvolto (HAV, HBV, HCV) è diverso l’approccio farmaceutico; in caso di infezione da HCV si associa all’ IFN la ribavarina mentre in caso di infezione da HBV il farmaco di scelta è la lamivudina. Tra gli antierpetici molto importante è aciclovir che si utilizza per infezioni meno gravi come herpes labiale (in formulazione topica) o infezioni erpetiche in pz immunodepressi (formulazioni per via sistemica). Il valaciclovir viene scisso per idrolisi in valina e aciclovir ed è un pro farmaco dell’aciclovir. Altri farmaci importanti sono il foscarnet e il ganciclovir. Per l’infezione da HIV si utilizzano inibitori della trascrittasi inversa, inibitori delle proteasi, inibitori della fusione e inibitori dell’integrasi. I più recenti sono efavirenz e enfuvirtide. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Trattamento delle infezioni respiratorie virali Le infezioni respiratorie principali sono l’influenza di tipo A e di tipo B oltre al virus respiratorio sinciziale (VRS). Il trattamento preferenziale per l’influenza però è il vaccino, i farmaci antivirali vengono impiegati quando i pazienti sono allergici al vaccino, quando il vaccino non copre la variante virale infettante e quando i pazienti non sono vaccinati ma sono a rischio come persone che vivono in case di riposo. Si possono suddividere in diverse categorie: - Inibitori della neuroaminidasi - Inibitori della denudazione virale - Ribavirina AMANTADINA E RIMANTADINA Si tratta di farmaci della classe degli inibitori della denudazione virale. Lo spettro terapeutico è limitato all’influenza A e sono inefficaci per la forma B. sono ugualmente efficaci sia nel trattamento che nella prevenzione. Essi riducono la gravità e la durata dei sintomi se somministrati entro le prime 48 ore dopo l’esposizione al virus. Nessuno dei 2 ostacola la risposta immunitaria al vaccino antinfluenzale e possono essere dati entrambi in aggiunta al vaccino. Sono efficaci nel 70-90% per prevenire l’infezione se il trattamento è iniziato al momento dell’esposizione al virus. Meccanismo d’azione: non è ben noto ma si pensa che il farmaco vada ad interagire con la proteina M2 della membrana virale che funge da canale ionico. Il canale è utile nella fusione della membrana virale con la membrana cellulare e quindi essi impediscono l’ingresso del virus nella cellula. (inibizione della formazione dell’endosoma). Farmacocinetica: vengono assorbite dopo somministrazione orale. L’amantadina entra nel SNC mentre la rimantadina non penetra nel liquor. La rimantadina è sottoposta ad esteso metabolismo epatico mentre l’amantadina viene escreta immodificata con le urine. Effetti avversi: per l’amantadina riguardano soprattutto il SNC. Si possono avere insonnia, vertigini e atassia. Usato con cautela nei pazienti con disturbi psichiatrici, aterosclerosi cerebrale, epilessia o alterata funzione renale. La rimantadina non entrando nel SNC ha meno effetti neurologici. Entrambi provocano alterazioni gastrointestinali. Devono essere usati con cautela nelle donne in gravidanza perché alcuni studi le hanno evidenziate come embriotossiche. ZANAMIVIR E OSELTAMIVIR Si tratta di farmaci inibitori delle neuroaminidasi. Essi impediscono la liberazione di nuovi virioni dalla cellula infettata in quanto la neuroaminidasi si lega alla membrana cellulare e determina la fuoriuscita dei virioni con conseguente lisi cellulare. Sono efficaci sia per l’influenza A che B e non interferiscono con la risposta immunitaria a seguito del vaccino contro influenza A. sono stati proposti nei confronti dell’H5N1 (aviaria). Essi prevengono l’infezioni se somministrati prima dell’esposizione mentre hanno un effetto modesto se somministrati entro le prime 24-48 ore dall’inizio dell’infezione. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Alleviano i sintomi dell’influenza e riducono la durata mediana di 1,5 giorni. La loro efficacia è stata dimostrata in soggetti altrimenti sani se il trattamento è iniziato entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi. Meccanismo d’azione: inibendo la neuroaminidasi i virioni si accumulano sulla superficie interna della membrana cellulare ma non riescono a fuoriuscire. Farmacocinetica: l’oseltamivir è un profarmaco attivato dal fegato. Assunto per via orale. Lo zanamivir non è attivo per via orale ma solo per via inalatoria o intranasale. Sono eliminati immodificati con le urine. Effetti avversi: - Oseltamivir: disturbi gastrointestinali - Zanamivir: irritazione nasale e del tratto respiratorio potendo anche causare asma. Non va usato in pazienti asmatici o in BPCO. Resistenza: si sono verificati negli ultimi anni episodi di virus con mutazioni della neuroaminidasi che sono resistenti ai farmaci. Tuttavia sembrano virus più innocui. RIBAVIRINA Si tratta di un composto molto attivo nei confronti sia dei virus a RNA che a DNA. È efficace nel trattamento dei lattanti affetti da VRS e anche in combinazione con l’interferone per il trattamento dell’epatite C. Meccanismo d’azione: è un derivato della guanosina e viene trasformato nei derivati 5’fosfati tra cui il più importante è il trifosfato che esercita la sua azione inibendo la formazione di GTP e prevenendo il rivestimento dell’mRNA virale e bloccando l’RNA polimerasi RNAdipendente. I virus che hanno già mRNA preformati sono parzialmente resistenti al trattamento con ribavirina. Farmacocinetica: efficace per via orale ed endovenosa, l’assorbimento è aumentato se assunto insieme a cibi grassi. Nelle infezioni respiratori si utilizza sotto forma di aerosol come nel caso del VRS. La distribuzione del farmaco è in tutti i tessuti ma si è dimostrata una impenetrabilità del SNC. Farmaco è eliminato con le urine. Effetti avversi: a seguito di assunzione orale si verifica anemia dose-dipendente. Descritto anche aumento della bilirubina. L’aerosol sembra essere più sicuro. Importante il monitoraggio. Controindicata in gravidanza per possibili effetti teratogeni. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 88. I farmaci per l’infezione da HIV: classificazione, meccanismi d’azione ed effetti indesiderati Un tempo il trattamento dell’HIV era volta a ridurre la frequenza delle infezioni opportunistiche. Un notevole progresso nella terapia anti-HIV si è avuta a partire dal 1996, con l’introduzione degli inibitori della proteasi e successivamente degli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa. È stato l’inizio dell’era della “highly active antiretroviral therapy” (HAART), cui ha fatto seguito un significativo prolungamento della sopravvivenza e la riduzione di infezioni opportunistiche e di decessi. Se la HAART viene iniziata precocemente dopo l’infezione da HIV ed utilizzata costantemente, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni supera il 90%. L’attuale terapia dell’infezione da HIV è dunque basata su varie combinazioni di farmaci appartenenti alle seguenti classi: • Inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa (NRTI) • Inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inversa (NNRTI) • Inibitori delle proteasi (PI) • Inibitori della fusione • Inibitori dell’integrasi (nuova classe) La raccomandazione attuale per la terapia iniziale è somministrare due volte NRTI con un PI o un NNRTI. La scelta della combinazione appropriata si basa sulle caratteristiche genotipiche e fenotipiche del virus, sulla carica virale, sui fattori propri del pz come i sintomi della malattia e le malattie concomitanti, sull’impatto delle interazioni farmacologiche e sulla facilit{ di aderenza al regime terapeutico. I principi che guidano la politerapia sono: - aumentare al massimo l’inibizione della replicazione virale - minimizzare la tossicità dei farmaci Farmaci anti-HIV Inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa Inibitori delle proteasi saquinavir zidovudina ritonavir stavudina indinavir didanosina nelfinavir lamivudina amprenavir abacavir opinavir/ritonavir tenofovir Inibitori della fusione: zalcitabina enfuvirtide Inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inv. Inibitori dell’integrasi efavirenz raltegravir (da poco in nevirapina commercio) delavirdina Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 I) Inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa (NRTI) Gli NRTI sono analoghi dei ribosidi naturali (nucleosidi o nucleotidi contenenti ribosio) e sono privi del gruppo 3’-idrossile; quando tali farmaci entrano nella cellula essi sono fosforilati ai corrispondenti analoghi trifosfato che sono incorporati preferenzialmente nel DNA virale ad opera della trascrittasi inversa; dato che il 3’idrossile è assente non può formarsi il legame 3’-5’ fosfodiestere tra un nucleoside trifosfato entrante e la catena di DNA in formazione ponendo termine all’allungamento della catena del DNA. L’affinit{ per la DNA polimerasi dell’ospite è minore anche se si ritiene che molti degli aspetti tossici degli NRTI siano dovuti all’inibizione della DNA polimerasi mitocondriale in taluni tessuti. E’ importante stare attenti alla tossicit{ additiva quando si somministra più di un NRTI. Ad eccezione della lamivudina e abacavir tutti gli altri sono stati associati a casi di epatossicità potenzialmente letale, caratterizzata da acidosi lattica ed epatomegalia con steatosi. Tali farmaci agiscono all’interno della cellula dunque non si può fare il monitoraggio delle conc plasmatiche. ZIDOVUDINA (AZT) E’ approvata per l’uso nei bambini e negli adulti e per prevenire l’infezione prenatale nelle donne in gravidanza ed è raccomandata anche per la profilassi. Per esercitare la sua attività antivirale deve essere trasformata nel corrispondente nucleoside trifosfato dalla timidina chinasi dei mammiferi Riduce la carica virale e aumenta il numero delle cellule CD4+. E’ bene assorbito dopo somministrazione orale; se è assunto con il cibo i livelli massimi possono essere più bassi ma non è influenzata la quantità totale di farmaco assorbito. Il passaggio della BEE è eccellente e il farmaco ha un t1/2 plasmatico di circa 1 h e un t1/2 intracellulare di circa 3 h. La maggior parte è coniugata con acido glucoronico nel fegato ed escreta nelle urine. Nonostante la sua apparente specificità è tossica per il midollo osseo; nei pz che ne ricevono dosi elevate si presentano anemia e leucopenia di severe; sono frequenti anche cefalee e convulsioni (pz in fase avanzata). La tossicità è potenziata dalla contemporanea somministrazione di probenecid, paracetamolo, lorazepam e cimetadina. DIDANOSINA (DDL) E’ somministrata in associazione ad altri farmaci antivirali e ha dimostrato di essere efficace negli adulti e bambini. Dopo essere entrata nella cellula ospite è biotrasformata in ddATP che è incorporata nella catena del DNA e causa l’interruzione dell’allungamento della catena. A causa della sua labilità in ambiente acido si somministra in forma di compresse masticabili tamponate o in una soluzione tampone; l’assorbimento è buono se assunta a digiuno mentre il cibo causa diminuzione dell’assorbimento. Penetra nel LCR ma in misura minore di AZT. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Un effetto tossico importante è la pancreatite che può essere fatale e richiede il monitoraggio dell’amilasi sierica; la tossicit{ che limita la dose è la neuropatia periferica. ZALCITABINA (DDC) E’ usata in associazione all’AZT. E’ trasformata nel trifosfato attivo che blocca l’allugamento della catena. Si assorbe bene per via orale ma il cibo o gli antiacidi a base di magnesio/alluminio riducono l’assorbimento. Si distribuisce in tutto l’organismo, ma l’ingresso del LCR è più basso che AZT. L’urina è la principale via di escrezione. Eruzioni cutanee e stomatiti sono comuni ma si risolvono con il trattamento ripetuto; la neuropatia periferica è la principale reazione tossica. STAVUDINA (D4T) Deve essere trasformata nel trifosfato che inibisce la trascrittasi inversa e causa interruzione dell’allungamento della catena del DNA. Si assorbe quasi completamente dopo ingestione orale e non è influenzato dal cibo. Passa attraverso la BEE e viene eliminato in genere per via urinaria. La reazione tossica più importante e comune è la neuropatia periferica. LAMIVUDINA (3TC) E’ approvata per il trattamento dell’HIV in associazione con AZT ma non deve essere usata con ddC. Ha buona biodisponibilit{ dopo somministrazione orale e dipende dal rene per l’escrezione; è ben tollerato. ABACAVIR E’ un analogo della guanosina disponibile per l’uso nei bambini e negli adulti con AIDS che non tollerano i trattamenti di uso corrente o che non hanno risposto ad essi. E’ bene assorbita per via orale. Gli effetti collaterali comuni comprendono disturbi GI, cefalea e vertigini; i soggetti sensibilizzati non devono essere trattati nuovamente con il farmaco a causa del rischio di reazioni avverse gravi. TENEFOVIR E’ convertito dagli enzimi cellulari a difosfato che rappresenta l’inibitore della trascrittasi inversa. Può manifestarsi resistenza crociata con altri NRTI. Deve essere assunto con il cibo per aumentare la biodisponibilità. L’eliminazione è renale. I disturbi GI sono frequenti e comprendono nausea, diarrea e vomito. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 II) Inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inversa (NNRTI) I NNRTI sono inibitori non competitivi ed altamente selettivi della trascrittasi inversa di HIV1; si legano all’enzima a livello di un sito adiacente al sito attivo, determinando una modificazione conformazionale che induce l’inibizione dell’enzima. Non necessitano dell’attivazione da parte degli enzimi cellulari. Il loro vantaggio principale consiste nell’assenza di effetto sui precursori delle cellule ematiche dell’ospite e nell’assenza di resistenza crociata con NRTI. Presentano delle caratteristiche comuni quali R crociata, interazioni farmacologiche, elevata incidenza di reazioni da ipersensibilità comprese le eruzioni cutanee. NEVIRIPINA E’ utilizzata in combinazione con altri farmaci antiretrovirali per il trattamento delle infezioni da HIV-1 negli adulti e nei bambini e riduce il rischio di trasmissione verticale durante la gravidanza. E’ bene assorbita per via orale e il suo assorbimento non è influenzato da cibo e antiacidi. E’ lipofilico e penetra nel feto, nel latte materno e nel SNC. L’eliminazione è renale. Gli effetti collaterali più frequentemente osservati sono rappresentati da eruzioni cutanee, febbre, cefalea e aumento delle transaminasi sieriche (rischio di epatotossicità fatale). Sono state riscontrate reazioni avverse cutanee di grado severo come la Sindrome di StevenJohnson e la necrosi epidermica tossica. Aumenta il metabolismo degli inibitori delle proteasi (ma non sono necessaria aggiustamenti di dosaggio), contraccettivi orali ketoconazolo, metadone, chindina, teofillina e warfarin. DELAVIRDINA E’ utilizzata in associazione a AZT e ddl. E’ rapidamente assorbita dopo somministrazione orale e non è influenzata dalla presenza di cibo; è legata all’albumina plasmatica in modo quasi totale. L’eliminazione è sia per via fecale che urinaria. L’effetto collaterale più comune è l’eruzione cutanea; sono stati segnalati anche nausea, vertigini e cefalea. Inibisce il metabolismo dei farmaci che dipendono dal citocromo P-450 compresi tutti gli inibitori delle proteasi EFAVIRENZ Comporta un incremento della conta delle cellule CD4+ e una riduzione della carica virale, effetti comparabili a quelli ottenibili dagli inibitori delle proteasi in combinazione con NRTI. Dopo somministrazione orale risulta ben distribuito, compreso a livello del SNC; la biodisponibilit{ aumenta con l’assunzione del farmaco con cibo ricco di grassi. A dosi terapeutiche risulta legato all’albumina plasmatica in modo quasi totale; un t1/2 di oltre 40 h fa sì che si raccomandi la singola somministrazione giornaliera. La maggior parte degli effetti collaterali è tollerabile ed è a carico del SNC comprese vertigini, cefalea, sogni vividi e perdita della concentrazione; quasi la metà dei pz trattati lamenta questi disturbi che in genere si risolvono nell’arco di alcune settimane. L’eruzione cutanea è un altro effetto collaterale comune. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 III) Inibitori della proteasi Sono farmaci molto potenti che hanno cambiato il decorso della malattia. Meccanismo d’azione Sono inibitori reversibili dell’aspartil proteasi dell’HIV, responsabile della scissione della poliproteina virale in un certo numero di enzimi essenziali e diverse proteine strutturali. Mostrano inoltre un’affinit{ di 100 volte superiore verso enzimi dei virus HIV-1 e HIV-2 rispetto a quella per proteasi umane; ciò è responsabile della loro tossicità selettiva. L’inibizione impedisce la maturazione delle particelle virali e comporta la produzione di virioni non infettanti. Il trattamento di pz naive (cioè che non hanno mai ricevuto una terapia contro HIV) con un inibitore delle proteasi (ad eccezione del saquinavir che ha biodisponibilità bassa) e due NRTI comporta la riduzione della carica virale fino a valori non rilevabili nel 60-95% dei pz. Farmacocinetica La maggior parte presenta una scarsa biodisponibilità orale; i cibi ricchi di grassi aumentano la biodisponibilità di alcuni di essi come nelfinavir e saquinavir), mentre la riducono per indinavir. Sono tutti substrati del CYP3A4; il metabolismo è esteso e solo una piccola quota è escreta nelle urine immodificata. L’aggiustamento dei dosaggi non è necessario in presenza di deterioramento della funzione renale La distribuzione in alcuni tessuti è influenzata dal fatto che gli inibitori della proteasi sono substrati per la gpP, una pompa di efflusso per molti farmaci; la presenza di questa pompa nei cellule dei capillari cerebrali può limitare l’accesso nel SNC. Sono quasi del tutto legati alle proteine plasmatiche, in particolare alla gp acida α1 (che aumenta in risposta a traumi e interventi chirurgici). Effetti avversi Gli inibitori delle proteasi possono causare parestesie, nausea, vomito e diarrea. Possono manifestarsi anche alterazioni del metabolismo del glucosio e dei lipidi, compresi diabete, ipertriglicerolemia e ipercolesterolemia. La somministrazione cronica di questi farmaci comporta la ridistribuzione del grasso corporeo, che prevede la perdita di grasso alle estremità e il suo accumulo a livello addominale e alla base del collo (“gobba del bisonte”) e ingrandimento del seno. Resistenza Si manifesta sottoforma di accumulo di mutazioni graduali del gene della proteasi; le mutazioni iniziali determinano la ridotta abilità del virus a replicarsi; tuttavia man mano che le mutazioni si accumulano emergono virioni con livelli di R elevati nei confronti delle proteasi Interazioni farmacologiche Essi sono potenti inibitori degli isoenzimi CYP; ad es. si può sedazione eccessiva da midazolam, sanguinamento da warfarin, depressione respiratoria da fentanil. In aggiunta gli induttori degli isoenzimi CYP possono comportare l’abbassamento a valori subottimali dei livelli plasmatici degli inibitori delle proteasi, contribuendo a fallimento terapeutico; perciò vanno evitati farmaci come rifampicina, barbiturici e carbamazepina. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 SAQUINAVIR Presenta una bassa biodisponibilità che può essere aumentata con la formulazione in capsule molli, con l’associazione con ritonavir e con l’assunzione con cibi ricchi di grassi. La diffusione nei tessuti è considerevole e l’eliminazione avviene principalmente per metabolismo, seguito dall’escrezione biliare. Il suo t1/2 è 7-12 h e dunque richiede dosaggi multipli giornalieri. La delavirdina inibisce il suo metabolismo e ne aumenta i livelli plasmatici; la rifampicina, l’efavirenz e la nevirapina aumetano invece il suo metabolismo e devono essere evitati. Gli effetti collaterali più comuni comprendono cefalea, fatica, diarrea, nausea e altri disturbi GI. RITONAVIR Dopo somministrazione orale la biodisponibilità è del 60% e non è influenzata da cibo; ha però gusto sgradevole (sono necessari supplementi). Ha un t1/2 di 3-5 h; i principali meccanismi di eliminazione sono metabolismo e escrezione biliare. E’ utilizzato come ottimizzatore farmaceutico degli inibitori della proteasi in quanto è un inibitore degli isoenzimi del citocromo P-450. Effetti collaterali sono nausea, vomito e diarrea. INDINAVIR E’ molto efficace sia in pz naive che già trattati e determina effetti prolungati in associazione con gli inibitori della trascrittasi inversa. E’ bene assorbito per via orale ed è il farmaco meno legato alle proteine (60%); è necessario l’ambiente acido dello stomaco per l’assorbimento (è ridotto con l’assunzione di cibi). Presenta metabolismo e clearance epatica e il dosaggio deve essere ridotto in presenza di insufficienza epatica. Presenta un t1/2 molto breve (1,8 h). E’ un farmaco ben tollerato, con i soliti sintomi GI e la cefalea che sono gli effetti collaterali predominanti; la particolarità è la tendenza a causare nefrolitiasi e iperbilirubinemia (è importante idratazione adeguata). Risulta inoltre particolarmente gravosa la ridistribuzione del grasso corporeo. NELFINAVIR E’ un inibitore delle proteasi non peptidico; è bene assorbito e non richiede restrizioni rigide all’uso di cibi o liquidi. Subisce il metabolismo per opera di molti isoenzimi CYP e il suo t1/2 è di 5 h. La diarrea è l’effetto collaterale più comune e può essere controllata con l’utilizzo di loperamide. AMPRENAVIR E’ utilizzato in combinazione con almeno due NRTI. Il suo lungo t1/2 consente la somministrazione 2 volte/gg, ma le grandi dimensioni e il numero di capsule (sedici) al gg può ridurre la compliance del pz; la somministrazione concomitante con ritonavir riduce la complessità del regime terapeutico. LOPINAVIR Mostra benefici nei pz che non hanno risposto ad altri inibitori della proteasi. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Possiede una biodisponibilità intrinseca bassa, migliorata però dalla introduzione di una basse dose di ritonavir nella formulazione. E’ ben tollerato e le reazioni avverse più comuni sono a livello dell’apparato GI. Gli induttori enzimatici e iperico devono essere evitati perché riducono le concentrazioni plasmatiche del lopanivir. ATAZANAVIR E’ bene assorbito per via orale e il cibo aumenta il suo assorbimento e la sua biodisponibilit{. E’ altamente legato alle proteine e subisce un estesa biotrasformazione dal CYP3A4; è escreto principalmente nella bile. Il suo t1/2 è di 7 h, tuttavia necessita di una singola somministrazione giornaliera. E’ un inibitore competitivo della glucoronil transferasie l’ittero rappresenta un effetto collaterale noto A livello cardiaco determina prolungamento di PR e rallenta il battito cardiaco. Riepilogo Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 IV) Inibitori della fusione virale L’enfuvirtide è un inibitore della fusione dell’HIV; affinché il virus possa entrare nella cellula ospite, deve fondere la sua membrana con quella della cellula ospite: ciò viene realizzato attraverso modifiche conformazionali della gp41, che si ha nel momento in cui HIV si lega alla cellula dell’ospite. L’enfuvertide lega la gp41 impedendo la modifica conformazionale. La sua biodisponibilit{ per iniezione sottocutanea è di circa l’ 85%. Spesso si hanno reazioni al sito di iniezione; negli studi clinici di fase III è stato segnalato un aumento del tasso di polmoniti batteriche nei pazienti trattati con enfuvirtide rispetto ai controlli. Altri effetti avversi comuni nei pazienti trattati con il farmaco comprendono neuropatia periferica, insonnia, inappetenza e perdita di peso, mialgia e linfoadenopatia. L’enfuvirtide (in associazione ad altri antiretrovirali) è indicata per il trattamento dell’infezione da HIV in pazienti gi{ trattati in cui vi sia prova di replicazione virale nonostante il trattamento antiretrovirale continuato. E’ un farmaco molto costoso. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 89. Farmaci per il trattamento delle epatiti virali I virus delle epatiti - A, B, C, D, E - presentano ciascuno una patogenesi che implica in modo particolare la replicazione negli epatociti e la loro distruzione. HBV e HCV sono le cause più comuni di epatiti croniche, cirrosi e K epatocellulare e rappresentano le uniche forme per le quali sia disponibile un trattamento terapeutico. L’HBV si tratta con interferone α e lamivudina anche se tale terapia combinata non è più efficace della lamivudina in monoterapia. L’HCV risponde all’associazione interferone α e ribavirina. Interferoni Costituscono una famiglia di gp inducibili naturali che interferiscono con la capacità dei virus di infettare le cellule; la loro attività è maggiore in vitro, in vivo l’attivit{ antivirale si è rivelata deludente. Sono sintetizzati attraverso la tecnologia del DNA ricombinate; ne esistono tre tipi (α, β, γ). L’IFN Α-2B è stato approvato per il trattamento dell’HBV e HCV, dei condilomi acuminati, nonché di tumori quali leucemia a cellule capellute e sarcoma di Kaposi. L’IFN Β ha dimostrato efficacia nel trattamento della sclerosi multipla. Meccanismo d’azione Non è completamente chiaro ma pare coinvolga l’induzione di enzimi nella cellula ospite che inibiscono la traduzione dell’RNA virale e infine causano la degradazione dell’mRNA e del tRNA virali. Farmacocinetica L’IFN non è attivo per via orale ma può essere somministrato per via sottocutanea, e.v. e a livello della lesione; una quota molto piccola si rileva nel plasma e tale presenza non è correlata alle risposte cliniche. La captazione cellulare e il metabolismo a livello epatico e renale sono responsabili della scomparsa degli IFN nel plasma; si ha una trascurabile eliminazione per via renale. Il fissaggio dell’IFN a molecole di polietilenglicole prolunga il suo t1/2, al punto che può essere impiegato a un dosaggio di una volta a settimana. Effetti avversi Comprendono sintomi di tipo influenzale al momento dell’iniezione come febbre, brividi, mialgia, atralgia e disturbi GI: tali effetti cessano con le somministrazioni successive. Le principali tossicità comprendono depressione del midollo osseo come granulo citopenia, neurotossicità con sonnolenza e disturbi del comportamento, un grado severo di stanchezza e perdita di peso, disordini autoimmuni come tiroidite e problemi cardiovascolari (insufficienza cardiaca congestizia). Rare sono ipersensibilità acuta e insufficienza epatica. Lamivudina E’ un analogo della citosina e inibisce sia la DNA polimerasi di HBV sia la trascrittasi inversa di HIV. Deve essere fosforilata dagli enzimi cellulari dell’ospite alla forma trifosfato (forma attiva) che inibisce in modo competitivo la DNA polimerasi di HBV a concentrazioni che presentano effetti trascurabili sulla DNA polimerasi dell’ospite. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Il t1/2 intracellulare del trifosfato è più lungo di molte ore rispetto a quello plasmatico e ciò consente una somministrazione diradata; il trattamento cronico è associato con la riduzione dei livelli di DNA dell’HBV nel plasma, con il miglioramento dei marker biochimici e con la riduzione dell’infiammazione epatica. La LAMIVUDINA è assorbita in modo adeguato dopo somministrazione orale e si distribuisce in tutto l’organismo. Il suo t1/2 è di 9 h circa; il 70% è escreto immodificato nelle urine. In presenza di insufficienza renale di grado moderato (clearance della creatinina inferiore a 50 mL/min) si rende necessaria la riduzione delle dosi. E’ molto ben tollerata, con rare segnalazione di cefalea e vertigini. Ribavirina La RIBAVIRINA è un analogo sintetico della guanosina; è efficace nei confronti di un ampio spettro di virus a RNA e a DNA. E’ approvato in USA e in Europa l’uso combinato di ribavirina + interferone- 2b (oppure, più di recente ribavirina + interferone- 2a) per il trattamento dell’epatite cronica C. La ribavirina viene prima trasformata nei derivati 5'-fosfato, il prodotto più importante dei quali è il composto ribavirina-trifosfato, che si è supposto eserciti la sua azione antivirale inibendo la sintesi di mRNA virale. La ribavirina è efficace per via orale ed endovenosa; l’assorbimento del farmaco aumenta se esso è assunto con cibi grassi. Si utilizza in aerosol nel trattamento delle infezioni da VRS. Studi sulla distribuzione del farmaco nei primati hanno mostrato ritenzione in tutti i tessuti, salvo l'encefalo. Il farmaco e i suoi metaboliti sono eliminati nelle urine. Gli effetti collaterali descritti nella somministrazione di ribavirina comprendono una anemia dose – dipendente (monitoraggio con emocromo); è stato anche descritto un aumento della bilirubina. A causa degli effetti teratogeni negli animali da esperimento, la ribavirina è controindicata in gravidanza Adefovir L’ADEFOVIR è un analogo nucleotidico fosforilato ad adefovir difosfato, che è quindi incorporato nel DNA virale: ciò porta all’interruzione dell’ulteriore sintesi di DNA impedendo la replicazione virale. Si somministra una volta/gg ed è escreto con le urine (45% sottoforma di composto attivo); la clearance è influenzata dalla funzionalità renale. Nei pz trattati con adefovir si manifesta sia la riduzione della carica virale sia il miglioramento della funzionalità epatica; in circa il 25% dei pz la sua sospensione può avere come risultato l’esacerbazione severa dell’epatite. Non presenta interazioni farmacologiche significative ma deve essere usato con cautela nei pz con I.R. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Entecavir E’ un analogo della guanosina efficace contro i ceppi di HBV resistenti alla lamivudina. Dopo fosforilazione intracellulare compete con il substrato naturale per il legame alla trascrittasi inversa. Risultano migliorate infiammazione e cicatrizzazione. Si somministra una volta al giorno. Subisce sia filtrazione glomerulare sia secrezione tubulare ed è metabolizzato in maniera limitata; la funzionalità renale deve essere valutata periodicamente e devono essere evitati farmaci nefrotossici. I pz devono essere tenuti sotto stretta osservazione dopo la sospensione del trattamento a causa della possibile insorgenza di epatiti di grado severo. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 90. Farmaci attivi contro i virus erpetici Gli herpes virus sono associati a un'ampia gamma di malattie, per es., herpes facciale, encefalite virale e infezioni genitali, queste ultime particolarmente pericolose per il neonato durante il parto. I farmaci efficaci contro questi virus realizzano le loro azioni nella fase acuta dell'infezione virale e sono privi di effetto nella fase latente. Con l’eccezione del foscarnet, sono tutti analoghi delle purine o delle pirimidine e inibiscono la sintesi del DNA. ACICLOVIR L’aciclovir è diventato uno dei farmaci virali più prescritti grazie alla sua efficacia nei confronti degli herpes virus (HSV-1 e HSV-2, HZV e EBV). L’uso più comune è nella terapia delle infezioni genitali da herpes; si somministra anche a scopo profilattico ai pz sieropositivi prima del trapianto del midollo e dopo quello cardiaco per proteggere tali individui durante i trattamenti immunosoppressivi dopo un trapianto. Meccanismo d’azione E’ un analogo della guanosina a cui manca una parte della zucchero e viene monofosforilato all'interno della cellula dalla timidina kinasi, enzima codificato dagli herpes virus; l'analogo monofosfato viene trasformato nelle forme di- e trifosfato dalle cellule dell’ospite. L'aciclovir trifosfato compete con la desossiguanosina trifosfato (dGTP) come substrato per la DNA polimerasi virale, viene incorporato esso stesso nel DNA virale, provocando l'interruzione prematura della catena di DNA; il legame irreversibile della catena nascente che contiene l'aciclovir con la DNA polimerasi virale inattiva l'enzima (è meno efficace nei confronti dell’enzima dell’ospite). Farmacocinetica La somministrazione può avvenire per via endovenosa, orale o topica (l’efficacia delle applicazioni topiche è però dubbia); il farmaco si distribuisce bene in tutto l'organismo, liquido cefalorachidiano compreso. L'aciclovir viene parzialmente metabolizzato in un composto inattivo. L'eliminazione nelle urine avviene sia per filtrazione glomerulare sia per secrezione tubulare (si accumula nei pazienti con insufficienza renale). Effetti avversi Gli effetti collaterali dipendono dalla via di somministrazione. Per esempio, l'applicazione topica può essere seguita da irritazione locale; dopo somministrazione orale possono presentarsi cefalea, diarrea, nausea e vomito. Nei pazienti che ricevono alte dosi del farmaco o in quelli disidratati la somministrazione endovenosa può essere seguita da una temporanea alterazione della funzione renale. Resistenza In alcuni ceppi virali resistenti sono state trovate timidina kinasi e DNA polimerasi alterate o carenti. Si manifesta resistenza crociata con altri farmaci simili. GANCICLOVIR La mancanza di effetti degli analoghi nucleosidici disponibili sulle infezioni da citomegalovirus (CMV) ha portato alla sintesi dell’analogo dell'aciclovir, ganciclovir Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 E’ attualmente disponibile per il trattamento della retinite da CMV nei pz immunocompromessi e per la profilassi del CMV nei pz trapianti. Il ganciclovir viene attivato mediante la trasformazione nel nucleoside trifosfato da parte di enzimi virali e cellulari; il citomegalovirus è carente di timidina kinasi e, perciò, forma il trifosfato attraverso un’altra via. Il nucleotide inibisce la DNA polimerasi virale in modo competitivo e può essere incorporato nel DNA riducendo la velocità di allungamento della catena. Viene somministrato per via endovenosa e si distribuisce a tutto l'organismo, LCR compreso. L’escrezione nelle urine avviene per filtrazione glomerulare e per secrezione tubulare; come l'aciclovir, il ganciclovir si accumula nei pazienti con insufficienza renale. Gli effetti avversi comprendono una neutropenia dose dipendente di grado elevato; il trattamento combinato con zidovudina può aggravare la neutropenia. Negli animali da esperimento, il ganciclovir è cancerogeno nonché embriotossico e teratogeno. Sono stati trovati ceppi di CMV resistenti che presentano bassi livelli di ganciclovir trifosfato. FOSCARNET A differenza della maggior parte dei farmaci antivirali, il foscarnet non è un analogo purinico o pirimidinico; è un derivato del pirofosfato. Nonostante la sua ampia attività antivirale in vitro, è approvato solo per il trattamento della retinite da citomegalovirus nei pazienti immunodepressi infetti da HIV, specialmente se l’infezione è resistente al ganciclovir. Agisce inibendo irreversibilmente le DNA e RNA polimerasi virali, ponendo così termine all’allungamento della catena. Una mutazione della struttura della polimerasi è responsabile dei virus resistenti (non è comune la R crociata tra foscarnet e ganciclovir o aciclovir). Si assorbe scarsamente per via orale e deve essere iniettato per via endovenosa; deve essere somministrato frequentemente per evitare recidive quando si abbassano le concentrazioni. Si disperde in tutto l’organismo; una quota maggiore del 10% penetra nella matrice ossea che poi lascia lentamente. Il farmaco progenitore viene eliminato nelle urine per filtrazione glomerulare e secrezione tubulare. Gli effetti avversi comprendono nefrotossicità, anemia, nausea e febbre; in seguito a chelazione con cationi bivalenti, si osservano anche ipocalcemia e ipomagnesiemia. Oltre a ciò, sono state descritte ipokaliemia, ipofosfatemia, convulsioni e aritmie. Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 Riepilogo dei principali agenti virali Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010 BIBLIOGRAFIA ed ICONOGRAFIA - Howland, Mycek. Le basi della farmacologia. Zanichelli Goodman & Gilman. Le basi farmacologiche della terapia. Il manuale. Mc-Graw Hill. Materiale didattico utilizzato a lezione e disponibile per gli studenti di Medicina e Chirurgia Appunti di lezione Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010