Il complesso sotterraneo di San Clemente - The

S. Clemente – pag. 1
Il complesso sotterraneo di San Clemente
THE UNDERGROUND ROOMS OF S. CLEMENTE - The underground complex of S.
Clemente shows better than any other how in Rome several strata of culture superimposed one
to another leaving each one his. own trace which contribute io create that mark of continuity.
Even synthetizing to the maximum extent, in the S. Clemente compkx we find four
stratifications at least.
1)
2)
3)
4)
Building under the lower basilica, with a perimetric wall opus quadratum of tufa and framed
with travertine. 1oo roman feet large (29,60 m.), winding inside an internai courtyard.
Building behind the above-mentioned structure (westwards) definitely erected noi before the
middle of the IInd centu A.D. .
Brick building of the IIlrd century, wherein ai fissi religio meetings were held and that date
was transformed into th present lower basilica.
In this basilica a series of extraordinary frescoes, m dating back to the XIth century, ore
preserved.- The Miracle of S.
Clemente, The Mass of S. Clemente, The Legend of S.
Alexius.
The upper church, buiti by Pasquale II over the paleochristian structure which was abandoned
after the Normans (Roberto il Guiscardo) destroyed it in 1084. (Luciani)
Il complesso archeologico di S. Clemente sorge nella vallata tra il Colle Oppio e il Celio. Sul
fondo di queste due colline passavano due vie, le quali, lungo il tratto del nostro complesso,
correvano parallele. La prima seguiva il tracciato dell'odierna via SS. Quattro, che secondo il
Lanciani corrisponderebbe alla via Papale, in quanto il papa la percorreva quando dal Laterano
doveva recarsi in centro; la seconda era la via Labicana, che possedeva lo stesso tracciato
dell'attuale, e distava quindi dal lato nord della basilica circa 40 metri. La prima strada,
dall'Anfiteatro Flavio a poco prima della chiesa, segnava il limite sud della III regione augustea,
quella di Iside e Serapide. San Clemente appartenne di conseguenza alla 111 regione civile e in
seguito alla 111 ecclesiastica.
La sistemazione dell'attuale via di S. Giovanni in Laterano, che fiancheggia la chiesa, risale alle
trasformazioni di Sisto V, ma gli studiosi non sono concordi nell'asserire se questa si impostò o
meno su un tracciato romano (1). Quello che è certo, è che all'altezza della chiesa, a circa 5,20
m. di profondità (2), si rinvennero dei poligoni di selce caratteristici di un lastricato stradale.
La primitiva basilica di S. Clemente, oggi sotterranea, si venne ad impiantare nella seconda metà
del IV secolo nel contesto di una domus romana del 111 secolo. La casa sorge a sua volta sul
perimetro di un edificio precedente racchiuso da forti muri formati con blocchi di tufo e cornice
di travertino. Quest'ultimo è separato da uno stretto passaggio largo appena 80 centimetri da
un'insula in cui nel 111 secolo si venne ad impiantare un Mitreo.
La basilica inferiore è molto più larga della superiore. Fu P. Mullooly a scoprirla nel 1865, e
anch'essa è (come la superiore) a tre navate separate da colonne, con una sola abside
semicircolare situata nel lato ovest della nave maggiore e naturalmente, sul lato opposto, con una
facciata preceduta da un atrio (fig. 1).
La navata sinistra della chiesa inferiore corrisponde alla navata sinistra della chiesa superiore,
mentre la navata mediana è larga tanto da corrispondere alla navata mediana e destra della chiesa
sovrastante, la navata destra infine, si estende oltre il perimetro della chiesa superiore, cioè sotto
le cappelle e la sagrestia con i vani secondari aggiunti. Il pavimento della chiesa superiore
corrisponde esattamente al livello dei capitelli della chiesa inferiore.
Questa sovrapposizione di differenti costruzioni, questo modo secondo il quale gli elementi
dell'edificio preesistente furono usati per la costruzione medioevale, si ripete nella relazione
esistente tra la chiesa inferiore e le costruzioni romane che l'hanno preceduta.
Proprio queste «stratificazioni architettoniche» fanno si che il complesso di S. Clemente possa
dimostrare meglio di ogni altro, come a Roma diversi strati di cultura si siano sovrapposti l'uno
all'altro, lasciando ognuno le proprie tracce che hanno contribuito a creare quell'impronta di
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continuità.
Pur volendo sintetizzare al massimo, nel complesso di S. Clemente ci sono almeno quattro
stratificazioni:
1)
Edificio sottostante la basilica perimetrato da un muro in opus quadratum di tufo con
cornice di travertino.
2) Costruzione in laterizio adiacente e in parte sottostante l'abside della chiesa (con fasi
precedenti), in cui vi si installò successivamente un mitreo. 1 3) Costruzioni impostate nel
111 secolo sull'edificio al punto 1 e sue trasformazioni in basilica.
4) La chiesa medioevale superiore.
Si potrebbero aggiungere i resti di edifici precristiani che si trovano nell'area del convento.
Naturalmente in queste brevi note accenneremo soltanto alla basilica inferiore, ai suoi affreschi,
e agli edifici sotterranei, escludendo quindi la chiesa superiore edificata, come l'altra basilica del
Celio, Ss. Quattro Coronati, da Pasquale 11, dopo che i Normanni nel 1084 avevano distrutto la
precedente.
La basilica paleocristiana diruta, interrata fino a quasi l'altezza dei capitelli, venne abbandonata
nel rialzamento dei livelli, ma se ne utilizzarono parzialmente i muri.
Proprio in quella che è oggi la chiesa sotterranea, avvenne nell'anno 1099, l'elezione al Soglio
Pontificio di Pasquale II, che era riuscito a tenerla in piedi alla meglio, chiudendo quattro dei
cinque archi della polifora d'ingresso e murando diverse colonne della navata sinistra. In questo
periodo dunque l'edificio venne ridotto in larghezza in modo che l'attuale muro esterno
settentrionale (della navata destra) coincidesse col colonnato di divisione tra la navata centrale e
quella laterale destra.
Nella basilica superiore (3) vennero utilizzati alcuni arredi presbiteriali, quali i plutei con il
monogramma di Giovanni Il (532-535), provenienti dall'inferiore.
1) L'edificio a blocchi di tufo con cornice di travertino
I resti più antichi dell'intricato complesso archeologico di S. Clemente si riferiscono ad un
edificio rettangolare di dimensione e utilizzazione, almeno in parte, sconosciute.
L'edificio romano si trova sotto la parte principale della chiesa inferiore ed è delimitato da muri
di grossi blocchi di tufo bugnati con partizioni interne in opus mixtum, ha una pianta che misura
29,60 (100 piedi romani) in larghezza, mentre per la lunghezza gli studiosi non sono concordi tra
loro in quanto la parete su questo lato non è ispezionabile. Lo stesso Mullooly riporta misure
contrastanti: 52 m. (176 feet) in un primo momento, poi, nel 1869, la misura viene aumentata a
64 m. (210 feet), e nel 1873 a 125 m. (410 feet) per la cornice di travertino e a 152,4 (500 feet)
per il muro di tufo (4). Il Brownlow (5) riporta la misura alla prima espressa dal Mullooly, 64
m., mentre il Nolan la misura 122 m. (400 feet). Sia lo Junyent che il Krautheimer (6) ipotizzano
un'estensione approssimativa senza impegnarsi in misure.
Il grande muro in blocchi di tufo, alcuni avanzi del quale sono visibili in tutta la sua altezza, è
realizzato con sette filari più un filare di blocchi di travertino. Il primo filare è largo 90 cm.,
mentre gli altri 60 cm., lasciando quindi una doppia risega di 15 cm. su entrambe le facce, il
filare di travertino è largo di nuovo 90 cm. presentando anch'esso una bugnatura. Il
mastodontico muro poggia su di una solida fondazione il cui inerte è composto prevalentemente
da schegge di selce.
Questo grande edificio rettangolare si snodava su di un cortile interno e sviluppava, da nord a
sud perpendicolari ai muri, una fila di stanze o celle, coperte con volte a botte, non comunicanti e
aperte tutte verso lo spazio centrale, con dimensione di 4,30 m. (14 e mezzo piedi romani) in
larghezza e spessore dei muri 0,60 m. (2 piedi romani) (fig. 2).
Quale fosse l'utilizzazione di un siffatto edificio è domanda ancora senza risposta. Faceva forse
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parte di un edificio pubblico? Era forse un deposito o un magazzino (horrea)? Ospitava attività
industriali?
Potrebbe trattarsi infatti, sia di una dependance della Zecca imperiale (Moneta), la quale era
molto vicina, se non ne invadeva addirittura l'area di S. Clemente (7); sia, si potrebbe mettere in
collegamento con il Colosseo: cioè che fosse utilizzato come attrezzeria per le scenografiche
quinte e sipari che venivano utilizzati nell'arena (8).
Anche la datazione presenta qualche problema, pur se l'opinione più diffusa tra gli archeologi
consiste nel collegarla tra la fine del 1 e il principio del Il secolo d.C. (9). Dei trenta bolli laterizi
rinvenuti negli scavi 1864-66 e 1870-72 (10) la maggior parte sono della prima metà del Il secolo
e gli altri sono del 1-11-111-IV secolo.
Prima del definitivo abbandono furono effettuati in questo edificio alcuni lavori di sistemazione,
i più importanti dei quali furono un rialzamento del pavimento di 80 cm. E l'applicazione di un
rivestimento sulle pareti delle celle in opus signinum. Ad un accurato esame si è constatato che
questi cambiamenti condizionarono non poco lo sviluppo volumetrico dell'edificio, in quanto,
specialmente il rialzamento pavimentale, causò il successivo smantellamento del soppalco che si
trovava nella parte superiore delle celle. Questa constatazione è avvalorata dall'osservazione dei
fori per l'alloggiamento dei travi trasversali che dovevano sorreggere il tavolato del secondo
piano e che si trovano sullo spiccato delle volte: il sollevamento del pavimento avrebbe lasciato
un'altezza tale per cui un uomo non sarebbe potuto stare in piedi nel vano inferiore!
2) L'edificio in laterizio in cui vi si installò un mitreo
Dietro all'edificio precedentemente analizzato, verso ovest, se ne sviluppò un'altro, costruito non
prima della metà del Il secolo (11), nel quale interno, intorno al secondo quarto del 111 secolo, vi
fu installato, nel cortile o forse in una stanza interna, un mitreo (12) (fig. 3).
Questo edificio si presenta completamente diverso per planimetria e,struttura a l'edificio
chiamato a blocchi di tufo con cornice di travertino, dal quale era separato da uno stretto
passaggio, è conservato per molti tratti del pianterreno e del primo piano, di cui sono visibili
importanti resti sul lato est (forse possedeva un terzo piano) ed è situato con il suo primo piano
ad un livello di 60 cm. più alto delle volte dell'edificio contiguo (fig. 4). là incerto dove fosse
l'ingresso di questa che sicuramente fu una casa privata, il pianterreno della quale consisteva in
quattro file di camere (di cui due con volta decorata con stucchi) lungo quattro corridoi che
circondavano un cortile interno mentre una scala conduceva al piano superiore.
La larghezza nord-sud era quasi sicuramente superiore a 100 piedi romani (come l'edificio
contiguo), mentre la larghezza più attendibile è di 32,50 m.
La vistosa decorazione, anche di un buon livello, di stucchi e affreschi, appartiene alla fase più
tarda dell'utilizzazione dell'edificio, a quella fase cioè in cui si installò il santuario per il culto
misterico del dio Mitra (fig. 5). In realtà nell'originaria fase il complesso architettonico era
molto spoglio, almeno nel pianterreno che si conosce meglio.
In questo edificio, che si è ipotizzato fosse una domus privata soprattutto per la particolare
affinità con alcune insulae ostiensi (1 3), per realizzare il Mitreo furono chiuse alcune porte ed
aperte delle altre, ma in particolare questo fu «arricchito», lungo i muri, dai caratteristici banconi
in muratura per gli adepti, da una nicchia con la statua dei dio, dall'ara mitraica che fu rinvenuta
fuori del santuario priva della parte superiore (14). Tutto il complesso fu abbondantemente
intonacato (strato ancor oggi visibile) per tentare la diminuzione dell'umidità.
Dopo la definitiva distruzione il santuario fu chiuso per sempre, ma tutti gli altri ambienti
restarono in uso.
Al di sotto di questa domus, troviamo resti di una precedente costruzione, tagliata all'altezza del
pavimento dell'edificio cosiddetto del Mitreo, che fu da quest'ultimo parzialmente utilizzato per
fondazione.
Dovrebbe trattarsi di un edificio di pianta diversa, ma orientato allo stesso modo del
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superiore..Molto simili sono pure le cortine, tanto che cronologicamente le due fasi non
dovrebbero distanziarsi più di 50 anni, e con precisione l'edificio del Mitreo tra il 90-96 d.C.
(fine del regno di Domiziano), l'edificio al di sotto tra il 41-54 d.C. (15). Sembrerebbe che
quest'ultimo edificio sia stato distrutto violentemente: lo lascerebbero pensare sia alcune tracce
d'incendio sui muri, sia un immediato ed eccessivo rialzamento (più di due metri) che, può essere
giustificato soltanto da un livellamento di macerie. superfluo concludere affermando che
l'incendio in questione è quello del 64 d.C.
3) L'edificio in laterizio del 111 secolo e sue trasformazioni in basilica
Dopo che l'edificio del Mitreo fu costruito, intorno alla metà del III secolo, il piano superiore
della costruzione di tufo fu abbandonato e distrutto (forse a causa di un rialzamento del livello) e
un edificio superiore fu costruito sopra la arte inferiore rimanente (16).
Per la datazione di questo edificio, risulta prezioso un collo d'anfora vinaria, rinvenuto nel 1970
in una stanza dell'edificio a blocchi di tufo, che porta dipinta la data del 216 d.C., con i nomi dei
consoli Sabino e Anullino. Questo collo, altre anfore rinvenute, alcune sepolture (fig. 6), la
muratura (17), puntualizzano la 230-240 d.C.
Pur essendo oggi visibile, la parte settentrionale, quella meridionale e parzialmente quella
orientale (danneggiato è il solo lato ovest), il perimetro dell'edificio, ma soprattutto lo sviluppo
interno, pone dei quesiti irrisolubili.
E’ quasi certo comunque, che in- questo edificio si tenessero dapprima delle riunioni religiose, e
che in seguito fu trasformato nella attuale basilica inferiore (fig. 7).
Già prima che una serie di lavori la trasformassero definitivamente in chiesa absidata, l'edificio
subì una serie di cambiamenti.
Questo era caratterizzato da una grande sala, divisa probabilmente in due o tre navate da file di
pilastri e colonne, comunicante attraverso aperture con l'esterno, non prima di aver attraversato
dei «filtri» quali cortili o portici.
Questo sviluppo architettonico fa supporre che l'edificio in questione sia identificabile col titulus
di Clemente, di cui parlano le fonti, ma ovviamente non si può negare che il grande pianterreno
fosse semplicemente una hall d'ingresso.
Nel IV secolo, comunque, a quest'aula furono aggiunti l'abside, che raggiunse il piano superiore
dell'edificio del Mitreo e si mise con questo in comunicazione tramite nuove porte, e il
quadriportico, si ridussero le porte d'ingresso alle navate laterali, si tamponarono alcune delle
aperture laterali mentre il coro fu ricavato dall'unione di due edifici privati preesistenti, si demolì
il precedente muro di fondo.
All'interno la basilica fu completata realizzando due file di colonne che dividevano l'ambiente in
tre navate, ognuna delle quali aveva nove arcate (fig. 8).
Forato il muro di fondo fu realizzata l'abside di forma semicircolare, formata di mattoni
nell'angolo destro e, nelle sue parti principali, di opus mixtum composto alternativamente di
mattoni e piccoli tufi.
Alla distanza di 2,50 m., dall'angolo destro dell'abside, una apertura immetteva in un vano
laterale, anch'esso di opus mixtum, questo potrebbe far pensare che esistessero anche i pastofori.
Per la costruzione delle navate minori sembra che sia stato conservato in un primo periodo il
livello della casa romana a mattoni. Il pavimento originale era naturalmente più basso, in quanto
l'attuale copre le basi delle colonne della navata maggiore.
Prospiciente la navata fu eretto un nartece (fig. 9), lungo 95 piedi romani (28,05 m.) e largo 14
piedi romani (4,15 m.). 1 suoi avanzi consistono in due archi che si aprono di fronte alle entrate
delle navate, larghi 10 piedi romani (2,95 m.) ognuno, e sostenuti da pilastri di opus mixtum. «Il
pilastro a Sud dell'arco Nord, interamente conservato, ha la forma di una L, provando così che il
nartece era continuato da due portici verso Est in modo da includere un atrio e che gli archi
dinanzi alle navate minori connettevano nartece e portici. Nella facciata il nartece fu sorretto da
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sei colonne, due delle quali si conservano. Sono distanti l'una dall'altra 2,90 m. (10 piedi
romani) ed alte ognuna 3,45 m. (12 piedi romani) incluse le basi e i capitelli; recano pulvini, la
cui forma triangolare dimostra che il nartece si apriva verso l'atrio per mezzo di archi» (18).
Successivamente la basilica fu decorata, spesso a spese di privati (soprattutto Beno de Rapiza e
Maria macellaria) con affreschi esaltanti la leggenda del Santo e i Misteri della fede cristiana.
Prima del X secolo il pavimento venne rialzato per la seconda volta, raggiungendo il livello di 37
cm. sopra l'originale, e dopo la distruzione di Roberto il Guiscardo del 1084, questo venne
ulteriormente sollevato raggiungendo i 55 cm. sopra l'originale.
Oggi vediamo, soprattutto nella navata centrale, resti di un impiantito a tessere di mosaico che
compongono una decorazione a grandi fiori dai larghi petali (fig. 10). L'opinione più diffusa lo
attribuisce a Giovanni Il (19) mentre lo Yunyent lo attribuisce ad un reimpiego di marmi
asportati dalle catacombe datandolo all'VIII-IX secolo (20). La distruzione dei Normanni
danneggiò gravemente la chiesa e l'intero quartiere circostante, le aperture rimaste vennero
chiuse, la fila sinistra delle colonne murate, ma presto si decise di abbandonare definitivamente
la chiesa e a tale scopo fu realizzato un muro per tutta la larghezza della nave maggiore atto a
sostenere il colonnato ed i muri della costruendo basilica superiore.
Tutto l'impianto si presenta molto irregolare. Ad esempio la luce delle colonne della navata
principale varia da 3,52 a 3,98 m. Fusti, basi e capitelli sono molto diversi tra loro (naturalmente
sono stati tolti da vari edifici), sopra alcuni capitelli inoltre, si è stati costretti, per raggiungere
un'altezza costante, a creare una specie di pulvino in mattoni.
Le colonne che attualmente sono nella basilica inferiore sono 17: 7, delle 8 originarie, del
colonnato nord; 5, delle 8 originarie, del colonnato sud; 2 delle 6 originarie del lato ovest del
quadriportico e 3 delle 4 originarie della polifora d'ingresso. Tra queste 8 sono uguali a coppie,
mentre tutte le altre sono di materiali e dimensioni delle più svariate
(fig. 11). Stesse irregolarità si riscontrano nelle basi.
Per il Deichmann (21) è impossibile che l'architettura paleocristiana romana del IV-V secolo
presentasse una così evidente disomogeneità (22). Per questo autore, si tratterebbe di una
successiva sostituzione, realizzata dopo la costruzione dell'intero
edificio: qualcosa di simile a quanto avvenne a S. Maria in Cosmedin (23).
La pittura
La chiesa sotterranea di S. Clemente custodisce una serie di affreschi considerati sia dal punto di
vista squisitamente artistico che conservativo, eccezionali.
Questi affreschi sono datati dall'origine stessa della chiesa al XII secolo, data in cui i resti della
diruta basilica furono completamente interrati per permettere la costruzione di una nuova chiesa
al di sopra. Vi troviamo capolavori di puro stile bizantino, quale la Madonna col Bambino
dell'Vlll sec. (fig. 12), affreschi del IX, sec., quale il Giudizio Universale (fig. 13) o il Funerale
(fig. 14), ma soprattutto opere realizzate tra il 1084 (devastazione di Roberto il Guiscardo) e
l'abbandono, attribuite alla scuola romana, con propri, distinti caratteri. Tra queste ultime, tre
importantissimi affreschi, due con Leggende di S. Clemente e uno con la Leggenda di S. Alessio
(che tratteremo in particolare), e altre minori, come Daniele tra i leoni, S. Biagio che risana un
fanciullo, nel nartece, il Trasporto del corpo del Santo (per alcuni Clemente per altri Cirillo)
dalla basilica Vaticana a quella di S. Clemente. Un'iscrizione ci fa conoscere il nome della
donatrice di quest'ultimo: Maria macellaria, cioè dedita al commercio delle carni, per timore di
Dio e per rimedio dell'anima sua.
In. questi affreschi troviamo da una parte la volontà di rompere la staticità dell'arte bizantina,
dall'altra un particolare influsso di modelli classici: le architetture degli sfondi e gli ornati di
palmette rammentano modelli antichi.
Il Miracolo di S. Clemente (fig. 15) è situato nel nartece: il Santo era seppellito in una cappella
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subacquea del Mar Nero, nella quale aveva trovato la morte, ma una volta all'anno il mare si
ritirava prodigiosamente per permettere ai suoi innumerevoli fedeli di recarsi a venerare la tomba
del martire. Ma bisognava stare molto attenti alla immediata «chiusura delle acque». Un anno
avvenne che una madre vi dimenticasse il figlioletto. Questa impetrò dal Santo di ritrovarlo
ancora vivo, e infatti quando le acque si riaprirono il bambino fu ritrovato in buona salute.
Miracolo di S. Clemente!
La madre commossa, ancora scapigliata, ritrova il figlio, lo riprende in collo mentre le acque
gravano intorno al sacello. L'avvenimento viene localizzato da chiari veli del ciborio, annodati
con sottile senso plastico, e inquadrato con schematici pesci che insieme ai colori (verdi e gialli
su bianco) simboleggiano l'acqua del mare; sulla destra un canestro eucaristico «verticalizza»
degli steli gialli, analoghi a quelli catacombali. Sotto il dipinto è maestosa la figura del Santo
entro un clipeo, e a questo si rivolgono i membri della famiglia del donatore, Beno de Rapiza,
cioè egli stesso, la moglie Maria, la bambina Altilia, il bambino Clemente e un'altra donna.
Trattasi, insomma, di un ritratto familiare, rarissimo per quei tempi.
Ancora a Beno de Rapiza si deve l'affresco sito nella navata centrale della Messa di S. Clemente
(fig. 16). L'episodio saliente è al centro (della parte superiore rimangono solo scarsi avanzi),
dove S. Clemente è ripreso mentre celebra la Messa, nell'istante preciso del Pax Domini, che
secondo la tradizione sarebbe stato da questo Santo introdotto nel rito. Nella zona inferiore i
servi del tiranno Sisinno credono di afferrare Clemente per trascinarlo in prigione, invece,
avendo perduto improvvisamente la vista, legano una colonna.
I servi molto si adoperavano per il trasporto, ma, visto il peso della colonna, non riusciva loro
agevole. Allora il padrone li chiama per nome: Cosmaro, Carvoncello, Albertello. Quest'ultimo
dice al compagno che sta spingendo una stanga sotto la colonna: «falite dereto colo palo,
Carvoncello», mentre Cosmaro incita i compagni a tirare con la corda: «trai», e Sisino li incita a
sforzarsi non dopo averli rimproverati: «Fili de le pute traite». Siamo di fronte al primo
monumento del volgare italiano, o meglio romanesco. S. Clemente al contrario parla ancora in
latino: «(ob) duritiam cordis v(est)ris saxa (sic) traere meriustis» (24).
Tutta la scena del trasporto della colonna, tuttavia, potrebbe essere interpretata come una
rappresentazione reale della costruzione della chiesa, mentre Sisinno potrebbe essere
un'aggiunta.
La Leggenda di S. Alessio (fig. 17), popolarissima nel medioevo, è una scena multipla. Prima di
descriverla vanno analizzati i «precedenti storici».
Alessio apparteneva all'alto patriziato romano, quando non ancora Santo, scappò di casa il giorno
delle nozze per emigrare in Oriente, dove visse come eremita. Dopo molto tempo decise di
tornare alla sua ricca -abitazione, ma senza farsi riconoscere.
A questo punto inizia la rappresentazione. Sulla destra il senatore Eufemiano (padre di Alessio)
cavalca seguito da un ufficiale e da uno spatario. Alessio gli si presenta per chiedergli la carità,
mentre dall'alto del palazzo sua moglie, ignara lo guarda. Poi Alessio è ospitato nella casa dove
per 17 anni resta ignoto e addetto ai più umili lavori: è ormai alla fine della sua vita per gli stenti
patiti. Il papa si reca da Alessio il quale gli confida uno scritto, alla vista del quale Eufemiano si
commuove e si umilia. A destra, nell'ultima scena, Alessio è già morto. Il papa leggendo lo
scritto svela chi veramente sia l'ignoto pellegrino. Il senatore e la moglie riconoscono il figliolo,
ma è troppo tardi! La moglie si getta piangendo sulle spoglie di Alessio.
Sopra la leggenda di S. Alessio troviamo un affresco con il Cristo in trono tra i SS. Gabriele e
Nicolò, Michele e Clemente (25), mentre in basso un fregio di uccelli e vasi di frutta.
Scavi archeologici tra XVIII e XX secolo
Si è già accennato a padre Mullooly quale scopritore del complesso sotterraneo di S. Clemente.
In realtà questa pur giusta attribuzione gli è conferita più per il suo pluriennale impegno, che per
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essere stato veramente il primo a scendere nel complesso sotterraneo di S. Clemente.
Già dal 1715, infatti, furono intrapresi i primi scavi nell'atrio della basilica. Questo si evince
dalla didascalia che il Lanciani trascrisse nella Forma Urbis (26 - fig. 18) ma è estremamente
arduo delimitarne i confini. Nel 1818 l'architetto Gau inizia degli scavi, di cui ci da notizia
Baunsen (27), e sembra che questi già prima del 1837 visitò gli ambienti sotto la sacrestia e vide
il muro della navatella e due colonne della basilica primitiva.
Fu proprio questa parte della chiesa inferiore che fu «riscoperta» dal Priore di S. Clemente
Joseph Mullooly, il quale ebbe il merito di riuscire a portare negli scavi, nel novembre 1857, la
Pontificia Commissione per l'archeologia Sacra. Al Mullooly si attribuisce la vera scoperta,
anche per aver attraversato, dopo essere entrato dalla sacrestia, delle stanze a volta, sia per aver
raggiunto il muro esterno della navata destra che perforò per arrivare alla parte alta delle
colonne.
Mentre l'irlandese Mullooly continuava i suoi scavi, la Commissione ne iniziò altri, volti in realtà
al recupero del sepolcro di S. Cirillo, per proprio, conto, diretti da De Rossi, nell'area dietro
l'abside della chiesa. Questi scavi durarono dal gennaio al giugno 1858 e furono sospesi a causa
dei conseguenziali dissesti statici. In quell'occasione fu vista «l'anticamera mitraica» con volta
decorata a stucco (fig. 19) e l'abside primitiva.
Fermo il lavoro della Commissione, l'infaticabile Priore riprese nel giugno 1858, con l'ausilio
scientifico dell'architetto Francesco Fontana (28) a cui debbono attribuirsi i sostegni di
puntellamento atti a sostenere la chiesa soprastante.
Nel 1858 si scavò quasi interamente la navata destra e si rinvennero affreschi importanti tra cui il
Giudizio (fig. 13) e la nicchia della Madonna Regina.
Agli inizi del 1860 tutta la navata era liberata, si trovò il muro di tufo trasversale, si vide lo
stretto passaggio tra i due edifici precristiani, ma terminarono pure gli aiuti economici della
Commissione. Il Padre irlandese decise di autofinanziarsi, dando immensa pubblicità in tutto il
mondo delle scoperte, ottenne una pioggia di sottoscrizioni (del Pontefice, del Clero e di
cittadini), nonché di studenti e religiosi, soprattutto anglosassoni, come «scavatori volontari».
Gli scavi portarono alla scoperta non solo di quasi tutta la basilica, ma anche degli ambienti
romani più antichi. In questa occasione il Mullooly scoprì l'affresco della Messa di S. Clemente
(fig. 16) e poco dopo le Storie di S. Alessio (fig. 17).
La pianta di R.H. Carpenter (fig. 20) mostra che nel 1863 si era scavata circa metà della basilica,
nel 1866 Pio IX visita gli scavi: la chiesa era quasi totalmente liberata e lo scalone di accesso,
ancora oggi in funzione (fig. 21), era stato appena costruito.
Nel 1870, per ultimo, il Mullooly scopre il Mitreo, che fu scavato e pubblicato quasi subito (29).
In seguito gli ambienti inferiori si allargarono e solo nel 1908, padre L. Nolan, un altro
domenicano irlandese, pensò al modo di risolvere il problema. Questi realizzò un lungo canale,
più di 600 metri in sotterranea, di drenaggio, che raggiunse un'antica fogna presso il Colosseo.
Dopo la campagna di scavo del 1924, eseguita dal Priore T. Garde, ne ebbe inizio una quarta nel
1937-38 eseguita dal Priore J.P. O'Daly e un'altra nel 1945-46, eseguita dal Priore R. Dowdall.
Tra il 1963-71, la Soprintendenza ai Monumenti del Lazio ha realizzato vasti restauri nella
basilica primitiva.
Roberto Luciani