StoriaElettromagnetismo_sintesi

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BREVE STORIA dell’ELETTROMAGNETISMO
Prof. Enrico Castello
La meccanica classica (cioè non comprendente le teorie della relatività e la meccanica quantistica), fu
la prima ad essere sviluppata, avendo avuto come base i lavori di Galileo Galilei (1564-1642) e soprattutto
quelli di Isaac Newton (1642-1727). Conseguentemente essa servì da modello per i successivi sviluppi
della fisica. Quanto detto trova conferma nel fatto che per molto tempo vi fu l’illusione di ridurre alla
meccanica tutta la fisica, mentre ciò non è possibile. L’elettromagnetismo costituisce infatti l’altro grande
pilastro della fisica classica il cui studio ne ha messo in luce la non riducibilità alla meccanica.
Lo sviluppo dell’elettromagnetismo come scienza secondo gli schemi che intendiamo oggi è assai
recente. Basti considerare che al tempo della morte di Newton, quando la meccanica aveva quasi assunto
la sua configurazione moderna, la maggior parte delle scoperte relative all’elettricità e del magnetismo
doveva esser ancora fatta. La fenomenologia dell’elettrostatica e della magnetostatica fu infatti esplorata
in larga misura nel XVIII secolo, mentre si deve aspettare l’Ottocento, un secolo ricco di scoperte di
grandissima importanza che hanno permesso geniali applicazioni, perché si giungesse ad una chiara
formulazione teorica dei fenomeni elettromagnetici.
Certamente i primi pionieri nel campo dell'elettromagnetismo, ma anche illustri scienziati come Volta,
Ampère, Faraday, Maxwell, Hertz, non avrebbero mai potuto immaginare quale enorme evoluzione
tecnologica avrebbe prodotto lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici. Basti pensare alla radio, al radar,
ai raggi X, alla televisione in bianco e nero e poi a quella a colori, al computer, al videoregistratore, al
lettore di Compact Disk, al forno a microonde, al telefono cellulare, ecc. Per essi tutti questi oggetti di uso
ormai quotidiano non potevano essere neppure lontanamente immaginati. Ma fra i tanti che contribuirono
allo sviluppo della società e dell'industria "elettrica" moderna almeno uno intuì per primo le implicazioni
economiche di quanto stava studiando. Si narra infatti che quando un uomo politico chiese a Faraday a che
cosa servissero le sue scoperte del 1831, egli abbia risposto: "Al momento attuale non lo so, ma un giorno
sarete in grado di tassarle".
Cosa si conosceva già: la bussola
La scoperta che un pezzo di magnetite (o di ferro precedentemente magnetizzato per contatto con la
magnetite) si dispone secondo la direzione Nord - Sud magnetica e la data della prima applicazione di
questa scoperta alla navigazione è argomento quanto mai discusso, tant'è che sono state proposte varie
origini e teorie. In definitiva i Cinesi, gli Arabi, i Greci, gli Etruschi, i Finlandesi e gli Italiani rivendicano
tutti l'invenzione della "vera" bussola.
Luigi Galvani (1737 - 1798), professore di anatomia a Bologna, osservò per caso nel 1771 che i
muscoli della rana subiscono una contrazione sotto l'azione dell'elettricità. Eliminando l'influenza di
qualsiasi fenomeno elettrico esterno, Galvani giunse alla conclusione che la fonte dell'elettricità che
faceva contrarre i muscoli della coscia della rana stesse proprio nel suo organismo (fu infatti molto
forviante l'inevitabile paragone con alcuni pesci in grado di dare forti scosse ai loro assalitori). Questa tesi
trovò subito il favore degli scienziati dell'epoca e un forte oppositore in Alessandro Volta.
Attorno al 1770, la fenomenologia dell'elettricità statica poteva dirsi nota. Si sapeva che esistono due
tipi di elettricità, che essa si conserva (cioè che la somma delle cariche positive e di quelle negative è
costante), che cariche di segno uguale si respingono e che cariche di segno diverso si attraggono e inoltre
si conoscevano gli isolanti e i conduttori. Una volta capiti questi fatti fondamentali, i tempi erano maturi
per una legge quantitativa per l'attrazione e per la repulsione. Essa fu stabilita grazie ai lavori di Charles
Coulomb (1736 - 1806) tra il 1784 e il 1789.
Egli scoprì che le forze magnetiche e quelle elettriche seguono la legge di Newton, cioè che esse sono
inversamente proporzionali al quadrato della distanza tra le cariche e direttamente proporzionali al
prodotto delle cariche stesse.
La Pila di Alessandro Volta
Alessandro Volta (1745 - 1827), professore di fisica a Pavia, studiò a fondo il fenomeno messo in luce
da Galvani, però sostenne che la fonte dell'elettricità non risiedesse nell'organismo vivente, ma piuttosto
nel contatto tra i due metalli diversi con cui era costruita la pinza usata per toccare i nervi della coscia di
rana. Riguardo la contrazione infatti, pur avvenendo anche usando pinze formate da un unico metallo, si
preferiva adottare quelle fatte con due metalli diversi, perché provocavano una contrazione maggiore.
Fu inevitabile che fra i due professori sorgesse una lunga discussione, cui Volta pose fine solo nel
1799, quando riuscì a realizzare un dispositivo per produrre elettricità, cui diede il nome di elettromotore
che non solo gli permise di smentire definitivamente le tesi dell'ormai scomparso Galvani, ma che
rappresentò anche una svolta importantissima per lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici (Vecchie
pile a colonna e Pila a corona di tazze).
Le osservazioni di Oersted
L'invenzione della pila di Volta rese possibile al fisico danese Hans Christian Oersted (1777 - 1851) di
notare nel 1820 un fenomeno molto interessante.
Un ago magnetizzato posto nelle vicinanze di un filo attraversato dalla corrente elettrica fornita da un
dispositivo voltaico viene deviato dalla sua posizione di equilibrio (Apparecchi per le esperienze di
Oersted). Oersted notò inoltre che il senso di deviazione cambia se si inverte il verso di percorrenza della
corrente che attraversa il filo ed espresse l'idea che l'azione della corrente elettrica si facesse sentire nello
spazio per mezzo di vortici, una buona intuizione del moderno concetto di campo magnetico.
Per la prima volta, dunque, si ebbe la certezza che l'elettricità e il magnetismo sono fenomeni legati tra
loro, dato che una corrente elettrica era in grado di influenzare un ago magnetico attraverso la produzione
di un campo magnetico dovuto al movimento di cariche all'interno del filo.
Faraday Ohm e Lenz – i fondatori della moderna elettricità
Nel 1821 Michael Faraday (1791 - 1867), lo scienziato che può essere considerato uno dei fondatori
della moderna elettricità, aveva pubblicato una memoria in cui mostrava come una corrente elettrica posta
in un campo magnetico riusciva a generare un movimento di rotazione, compiendo così lavoro. Attraverso
un dispositivo molto semplice, consistente in una bobina fatta di diversi avvolgimenti percorsa da corrente
e immersa in un campo magnetico costante, Faraday, ottenendo una rotazione della bobina quando essa
veniva percorsa dalla corrente, pose le basi per la realizzazione del primo motore elettrico della storia.
Egli fece inoltre vedere che tale rotazione poteva essere prodotta anche sfruttando il debole campo
magnetico terrestre: l'esperimento impressionò grandemente sia lui che i suoi contemporanei. A questo
grande sperimentatore si deve inoltre il concetto, fondamentale nella teoria dell'elettromagnetismo, di
"linea di forza", l'equivalente moderno di linea di campo.
Nei dieci anni in cui Faraday, preso dalle ricerche chimiche, trascurò l'elettromagnetismo
ebbero luogo i lavori di Georg Simon Ohm (1789 - 1854) sulla trasmissione dell'elettricità nei
corpi conduttori.
Ohm definì nel 1827 in modo più scientifico il concetto di forza elettromotrice riferita a un
generatore di corrente, distinguendola nettamente dall'intensità di corrente e stabilì inoltre la
legge che lega queste due grandezze. La famosissima legge di Ohm afferma che la tensione V ai
capi di un conduttore è direttamente proporzionale all'intensità di corrente I e che, in particolare,
essa è pari al prodotto dell'intensità di corrente che attraversa il conduttore per una grandezza
caratteristica del conduttore stesso, indicata comunemente con la lettera R, cui diede il nome di
resistenza. In formule: V = RI .
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Faraday, riprendendo i lavori sull'elettromagnetismo, scoprì l'induzione elettromagnetica nel
1831, quell'importantissimo fenomeno elettrico che aprì le porte all'era dell'elettricità.
Dopo che Oersted ebbe mostrato che una corrente elettrica erogata da una pila
di Volta produce un campo magnetico in grado di influenzare degli aghi magnetici posti nelle
immediate vicinanze del filo conduttore che la trasporta, fu subito ipotizzato che in qualche modo
fosse possibile realizzare il risultato opposto, cioè produrre una corrente elettrica con il
magnetismo e in tal senso furono intraprese assidue ricerche.
Faraday si accorse che la corrente elettrica indotta si manifestava in presenza di movimento
reciproco tra il magnete e il circuito elettrico: questa osservazione fu la chiave che gli aprì il
mondo dell'induzione, cioè di quel fenomeno proprio dei circuiti elettrici e più generale
dell'autoinduzione, che sta alla base dei principali processi di trasferimento di potenza da un
circuito in corrente alternata ad un altro a tensione diversa (trasformatore), di trasformazione
dell'energia meccanica in energia elettrica (alternatori e dinamo) e viceversa (motori elettrici).
Ma nel corso dei suoi esperimenti, Faraday riuscì anche a dimostrare che il movimento
reciproco tra circuito e sorgente magnetica non è l'unica causa alla base dell'insorgenza
dell'induzione, ma che pure un campo magnetico variabile nel tempo è capace di dar luogo
allo stesso fenomeno. Quest'ultimo risultato libera il fenomeno dell'induzione dal vincolo
rappresentato in apparenza dalla necessaria presenza per la sua comparsa di movimento reciproco
tra sorgente del campo magnetico e il circuito elettrico.
Alla luce degli esperimenti compiuti, Faraday dedusse infine la legge dell'induzione (Legge
di Faraday-Lenz): ogni volta che il flusso del campo magnetico concatenato con un circuito
varia nel tempo (per moto relativo o per variazione temporale del campo o ancora per entrambi i
fattori) si ha la comparsa nel circuito di una forza elettromotrice indotta e quindi di una corrente
elettrica. Il verso di circolazione di tale corrente (legge di Lenz) fu oggetto di studio del fisico
russo Emilij Christjanovic Lenz (1804 - 1865).
MAXWELL: l’unificazione tra l’elettricità e il magnetismo
Lo sviluppo della teoria matematica seguì a breve distanza la scoperta dei fenomeni legati
all'induzione e in generale al campo elettrico e a quello magnetico. Fra i teorici che vi
contribuirono spiccano i nomi di Karl Friedrich Gauss (1777 - 1855), di Wilhelm Weber (1804 1891) e dello scozzese James Clerk Maxwell (1831 - 1879).
In particolare, a quest'ultimo scienziato si deve la completa e rigorosa sintesi matematica dei
fenomeni elettromagnetici (e specialmente di quelli legati all'induzione) attraverso 4 equazioni
semplici e sintetiche (note come equazioni di Maxwell) contenute nell'opera, pubblicata nel 1863,
"Treactise on Electricity and Magnetism", un lavoro teorico che riassume in forma chiara e
coordinata l'insieme della teoria matematica alla base di tutti i fenomeni magnetici ed elettrici
osservati fin dai tempi più remoti. Le equazioni di Maxwell si possono considerare a ragione
l'equivalente nell'elettromagnetismo delle equazioni di Newton nella meccanica classica. Ma il
contributo di Maxwell all'elettromagnetismo è di portata ancor maggiore: egli formulò
un'ipotesi molto importante a proposito del campo elettrico e predisse la propagazione delle
onde elettromagnetiche.
I risultati fondamentali dell'elettromagnetismo scoperti fin qui possono così riassumersi:
1. ogni corrente elettrica genera un campo magnetico (come provato da Oersted) le cui linee di
forza avvolgono la corrente stessa;
2. in un conduttore che si muove “tagliando” le linee di un campo magnetico nasce un forza
elettromotrice (Faraday 1831);
3. un campo magnetico variabile nel tempo genera una forza elettromotrice (Faraday 1831) e
diretta conseguenza della presenza di un campo elettrico indotto, le cui linee di
forza avvolgono quelle del campo magnetico.
La nuova ipotesi di Maxwell rende certamente molto più simmetrici i ruoli dei campi elettrico
e magnetico, ma la conseguenza forse più interessante, per il gran numero di applicazioni che ne
derivarono, è che si può ottenere una propagazione ondulatoria.
Figura a lato: semplificando al massimo, la cosa si
può così interpretare: si consideri un filo conduttore
rettilineo in cui si faccia circolare corrente alternata a
partire da un certo istante. Quest'ultima produrrà nello
spazio circostante un campo magnetico variabile nel
tempo in modo alternato le cui linee avvolgono per
quanto visto il filo. Com'è intuitivo questo campo
alternato non si instaurerà istantaneamente ovunque,
ma coinvolgerà dapprima la regione vicina al filo e via
via lo spazio più lontano, come fanno le onde sulla
superficie dell'acqua di uno stagno a seguito al lancio
di un sasso. Il campo magnetico variabile che avvolge
il filo produce a sua volta un campo elettrico alternato
il quale è seguito da un campo magnetico e così via. Si
produce in definitiva intorno al filo un'onda
elettromagnetica costituita da un campo elettrico e uno
magnetico strettamente correlati.
L’ESPERIMENTO di HERTZ: create sperimentalmente le ONDE
ELETTROMAGNETICHE
Dovettero trascorrere circa vent'anni dalla previsione di Maxwell prima che si avesse un
riscontro sperimentale relativo alle onde elettromagnetiche ad opera di Hertz.
Il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857 - 1894) riuscì nel 1888 a generare onde
elettromagnetiche di intensità sufficiente perché potessero essere rilevate. Il lavoro scientifico di
questo scienziato, prematuramente scomparso per una grave forma di cancro alle ossa, si basa
sulla combinazione di una capacità analitica eccezionale con una straordinaria abilità come
sperimentatore.
Con opportuni strumenti Hertz poté misurare la lunghezza d'onda della radiazione
elettromagnetica, dimostrarne la natura ondulatoria e provare che tali onde si propagano alla
stessa velocità della luce, come previsto dalla teoria di Maxwell. Egli ritenne giustamente che
questi esperimenti fossero prove più che sufficienti della validità della teoria del fisico scozzese,
ormai morto da otto anni.
Marconi
Le onde hertziane, come venivano chiamate allora le onde elettromagnetiche, non tardarono ad
essere oggetto di pratiche applicazioni. Ad esempio nel campo della comunicazione, anche se il
telegrafo a filo costituiva un'innovazione assolutamente rivoluzionaria, esso però non risolveva il
problema di comunicazione tra la terra e i piroscafi e delle navi fra loro, soprattutto in caso di
emergenza. Perché non provare a trasmettere dei segnali telegrafici in codice Morse per mezzo
delle onde hertziane?
Questo fu l'intento di Guglielmo Marconi (1874 - 1937), l'inventore di un sistema pratico di
comunicazione senza l'impiego di cavi elettrici tra i punti di invio e di ricezione. È l'agosto del
1895 quando un colpo di fucile decreta l'invenzione della radio: per la prima volta un segnale
viene ricevuto oltre una collina grazie a un rozzo dispositivo costruito dallo stesso Marconi.
In seguito ci furono polemiche di priorità sulle sue scoperte, ma gli scienziati non tardarono a
riconoscerne i meriti raggiunti nel corso di un'intera vita dedicata al miglioramento della
telecomunicazione radio, giustamente premiata con il Nobel nel 1909.
Marconi fonda la "Wireless Telegraph Trading Company" per sfruttare commercialmente
all'estero il suo brevetto, non avendo trovato alcuna comprensione presso il governo italiano. Nel
dicembre del 1901 realizzò la sua seconda straordinaria impresa: un collegamento radio
attraverso l'Atlantico. Ricevendo presso S. John's (Newfoundland) segnali trasmessi attraverso
l'oceano da Poldhu in Cornovaglia, poté smentire l'opinione formulata da eminenti matematici
secondo la quale la curvatura della terra avrebbe limitato la comunicazione mediante onde
elettromagnetiche a una distanza di 100 - 200 miglia.
Il successo ottenuto ebbe naturalmente una forte eco nel mondo e, sebbene restasse ancora
molto da capire sulle leggi di propagazione delle onde radio nell'atmosfera e intorno alla terra,
ciò rappresentò il punto di partenza per il vasto sviluppo delle comunicazioni radio che si ebbero
nei decenni successivi, in gran parte dei quali Marconi continuò ad avere un ruolo di primo piano.
È il 1902 quando Marconi fu in grado di ricevere messaggi da una distanza di 700 miglia di
giorno e addirittura di 2000 miglia di notte. Egli infatti scoprì per primo che a causa della
riflessione che certe onde radio subiscono dalle regioni più alte dell'atmosfera terrestre, le
condizione di trasmissione e di propagazione sono alle volte più favorevoli di notte che di giorno.
Il telegrafo di Marconi non solo permette l'incredibile collegamento tra città lontanissime, ma
salva anche vite umane, come avvenne nel 1909 per i 2000 passeggeri del piroscafo Repubblic,
che fece naufragio nell'oceano Atlantico. Sull'Elettra, il panfilo che ha comprato
dall'ammiragliato britannico, Marconi continua i suoi studi. Nel 1924 riesce a trasmettere per la
prima volta la voce umana dall'Inghilterra all'Australia e nel 1930 dalla sua nave ancorata a
Genova accende l'impianto di illuminazione di Sydney: sono i prodigi della radio.
1905 L’annus Mirabilis: Einstein spiega l’effetto fotoelettrico
La scoperta dell'effetto fotoelettrico ebbe un ruolo fondamentale nella crisi della fisica classica, che
riconosceva alla radiazione elettromagnetica un comportamento prettamente ondulatorio, e nello
sviluppo della meccanica quantistica, che introduce il concetto di dualismo onda-particella.
L’effetto fotoelettrico era noto dal 1880: si sapeva che la luce poteva far emettere elettroni ad una
superficie metallica, producendo una debole corrente. La teoria ondulatoria classica prevedeva però
che, all'aumentare dell'intensità della luce incidente, aumentasse l'energia degli elettroni emessi. Nel
1902, il fisico tedesco Philipp Lenard mostrò invece che l'energia posseduta dai fotoelettroni non
dipendeva dall’intensità di illuminazione, ma unicamente dalla frequenza υ (o, equivalentemente,
dalla lunghezza d'onda λ) della radiazione incidente. L’intensità della radiazione, al contrario,
determinava l’intensità della corrente, ovvero il numero di elettroni strappati alla superficie
metallica. Il risultato sperimentale era inspiegabile ammettendo che la natura della luce fosse
unicamente ondulatoria.
Nel 1905 Albert Einstein spiegò
l'effetto
fotoelettrico
con
l’ipotesi
che
i
raggi
luminosi trasportassero particelle, chiamate fotoni, la cui energia è direttamente proporzionale alla
frequenza dell’onda corrispondente. Secondo la teoria formulata da Einstein, incidendo sulla
superficie di un corpo metallico, i fotoni cedono parte della propria energia agli elettroni liberi del
conduttore, provocandone l'emissione. In questa ipotesi, l'energia dell'elettrone liberato dipende
solo dall'energia del fotone, mentre l’intensità della radiazione è direttamente correlata al numero di
fotoni trasportati dall’onda, e dunque può influire sul numero di elettroni estratti dal metallo, ma
non sulla loro energia.
L’equazione più famosa di Einstein: E = mc2
Sempre nel 1905, Einstein pubblica quella che forse è la più conosciuta formula della fisica
moderna. Questa formula si fonda sul concetto che un corpo a riposo possiede la capacità di liberare
energia trasmutando tutta la sua massa o una parte in radiazione elettromagnetica: questo è il nuovo
paradigma einsteniano, mai concepito prima del 1905 da altri fisici, che si contrappone con il
paradigma newtoniano (secondo il quale, poiché il tempo è separato dallo spazio, in quanto
assoluto, la cinematica è completamente separata dalla dinamica, e perciò un corpo libero fermo
non possiede alcuna energia che possa trasformarsi in energia cinetica di irraggiamento). La
quantità
si chiama energia a ripos oed è posseduta da qualunque corpo o sistema fisico a
qualsiasi livello (microscopico, macroscopico, cosmico). La E nella formula rappresenta l'energia
totale meccanica del corpo (potenziale e cinetica), proporzionale alla massa a riposo. Ironia della
sorte volle che il pacifista Einstein avesse aperto la strada alla costruzione della più potente arma di
distruzione di massa che l’umanità abbia mai conosciuto: la bomba atomica (cfr. Ricerca Giordano
Lorenzo).
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