Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale (Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected]) Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale (Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected]) ⇑ k Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale (Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected]) Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale (Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected]) Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale (Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected]) • Libri di testo – G. Tanzella-Nitti, Lezioni di teologia fondamentale, Aracne, Roma 2007 – A. Strumia, Scienza e teologia a confronto, Fede e Cultura, Verona 2014 – A. Blanco - A.Cirillo, Cultura e teologia, Ares, Milano 2001 • L’esame – richiede due elaborati scritti e l’esame orale Caratteristiche generali dei testi • Il libro Cultura e teologia affronta il tema del rapporto tra la ragione e la fede, nelle sue varie articolazioni: – nel primo capitolo si approfondisce la nozione di cultura e si prendono in esame i vari modi in cui la fede influisce su di essa. – Nei successivi capitoli si passa a trattare della scienza della fede, la teologia, per approfondirne * il metodo * il valore per la vita cristiana * e i collegamenti con le scienze umane. • Il libro Lezioni di Teologia fondamentale affronta il tema della Rivelazione – nel suo mistero (cap. I) – e nelle sue modalità di trasmissione (cap. III) – oltre che nella sua credibilità (cap. IV) Il volume diviso in cinque capitoli (cap. II - La fede; cap. V - Le religioni) ed è corredato, in fondo, da un’antologia di testi del Magistero e di teologi. Obiettivo dello studio • Lo scopo di questa disciplina è quello di offrire la conoscenza – del metodo teologico – e dei fondamenti * della fede cristiana * e della teologia – così che ci si possa anche rendere conto della credibilità (attendibilità) della confessione di fede: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, il Signore. • L’ oggetto e la natura della Teologia Fondamentale vengono esposti nell’ Introduzione al manuale, che si articola in due paragrafi in cui si spiega – qual è il metodo – e quale la storia di questa disciplina. L’articolarsi dello studio L’ ordine logico consiglia: • di iniziare lo studio con l’ Introduzione alla Teologia • e di proseguire con Teologia fondamentale. Il lavoro prevede sei fasi di studio 1) la prima affronta il tema dell’ Introduzione alla Teologia 2) 3) le due fasi seguenti studiano i primi grandi argomenti della Teologia fondamentale: la Rivelazione, la sua trasmissione e la Fede; 4) 5) 6) le altre tre studiano la parte della Credibilità in se stessa e in rapporto alle religioni. Occorre redigere due elaborati scritti: il primo serve per verificare l’assimilazione dei capitoli riguardanti, la Rivelazione, la sua trasmissione e la Fede; l’ultimo elaborato, dopo aver studiato l’intero libro, serve a verificare specificamente l’assimilazione dei capitoli sulla Credibilità, sull’Introduzione alla Teologia e quelli sui rapporti tra il Cristianesimo e le altre religioni. Definizione Rapporto Ragione/Fede Introduzione alla Teologia Metodo Scientificità della Teologia Fonti in se stessa Quadro La Rivelazione riassuntivo la sua trasmissione La fede Teologia fondamentale in se stessa La credibilità in rapporto alle religioni in rapporto alle scienze I - PRIMA FASE DI STUDIO Introduzione alla Teologia - Sommario 1. Oggetto e fonti della teologia cristiana 2. Carattere scientifico della teologia 3. Carattere ecclesiale della teologia 4. Rapporti tra fede e ragione 5. Metodo teologico I - 1. Oggetto e fonti della teologia cristiana Una definizione PRIMO PASSO - Il termine “Teologia” È buona norma quando si affronta lo studio di una disciplina, partire da una definizione dei termini che si utilizzano per evitare equivoci e fraintendimenti, per quanto possibile. Domanda: che cos’è la teologia? San Tommaso d’Aquino, per estrarre una definizione dalle parole (nomi), partiva molto spesso dall’etimologia (origine e significato di una parola). L’etimologia del nome teologia significa letteralmente: • discorso su Dio, se intendiamo il termine greco logos come parola (verbum [«In principio erat Verbum», Gv 1,1]), o insieme di parole dotato di senso compiuto, cioè discorso; ma anche • ragionamento su Dio, se intendiamo logos come discorso logico (ratio), e quindi dimostrativo, come lo è un ragionamento corretto. Già dall’etimologia della parola teologia possiamo trarre due informazioni significative: • La prima è che la teologia ha come oggetto – proprio e primario Dio. – Ma non solo, può occuparsi anche di tutto il resto: l’uomo, il mondo, il lavoro, la scienza, la tecnica, l’amore, il senso della vita, le scelte personali, ecc., in quanto sono considerati in relazione a Dio. E così abbiamo una risposta alla prima parte del n. 1 (CT, c. II, §1, pp. 78 sg). • La seconda informazione è che la teologia è una forma di conoscenza sul suo oggetto che è Dio (se non lo fosse sarebbe insignificante). – Secondo la prima accezione dell’etimologia (teologia = discorso su Dio) è un discorso descrittivo sulla realtà di Dio, per quanto è possibile farne una non del tutto inadeguata. Oggi si parla di una teologia narrativa. E c’è chi sostiene che non si possa fare di più, ma solamente questo tipo di teologia. • Secondo l’altra accezione dell’etimologia (teologia = ragionamento su Dio), la teologia è addirittura un discorso argomentativo, dimostrativo e quindi una scienza vera e propria, se: Per scienza intendiamo, secondo l’accezione aristotelica: una disciplina in grado di condurre delle dimostrazioni di tipo deduttivo sul suo oggetto. E con questo abbiamo sfiorato anche il Punto 2 del Sommario (Carattere scientifico della teologia) SECONDO PASSO - La specificazione “Cristiana” - Le fonti della Teologia Il titolo del nosto Punto 1 “Oggetto e fonti della teologia cristiana” aggiunge al termine teologia, la specificazione Cristiana. Questo aggettivo (Cristiana) ci aiuta già ad incominciare a rispondere −→ alla seconda parte dello stesso punto 1 −→ che riguarda le FONTI della teologia cristiana Per brevità, in seguito, potremmo denotare la teologia cristiana semplicemente scrivendo la parola con al iniziale maiuscola: Teologia. Le fonti della Teologia • La fonte centrale e primaria della Teologia è Cristo stesso. • E, di conseguenza, anche tutto ciò che è in funzione di Cristo. In particolare, dal punto di vista temporale (storico): • ciò che lo precede parlando direttamente o indirettamente di Lui, • ciò che lui stesso è e ha detto di sé (rivelato), e • ciò che lo segue e trae sviluppo da Lui. In tutto questo sono implicite diverse affermazioni: 1. Nella Teologia, come in ogni scienza, si assumono per veri degli enunciati di partenza (in matematica si chiamano assiomi, in fisica sono i dati sperimentali, ecc.): questi dati, nel caso della Teologia, sono accettati per fede (ce ne occuperemo trattando della Teologia fondamentale). Il primo di questi dati è che Gesù Cristo è Dio e, quindi una scienza che si occupa di Lui, di quello che lo precede, di quello che ha detto e fatto e di quello che lo segue e trae sviluppo da Lui è un discorso su Dio (Teo-logia). 2. Una seconda affermazione implicita in quanto abbiamo detto, è che ciò che Cristo ha detto di sé e di tutto il resto, che noi non potevamo conoscere, per noi costituisce una rivelazione, cioè uno svelamento di verità (alétheia) che, almeno in parte, erano inaccessibili all’umana intelligenza. Ecco entrare in gioco, un po’ alla volta i termini che caratterizzano le fonti della Teologia: (a) La Rivelazione che riguarda i contenuti del discorso su Dio (Teo-logia) che hanno preceduto Cristo e che Lui ha spiegato in funzione di se stesso (Antico Testamento) e quelli ulteriori che Gesù ha comunicato per la prima volta ai suoi uditori, che li hanno poi fissati nei Vangeli e sviluppato negli altri scritti del Nuovo Testamento; (b) La Tradizione che riguarda la comprensione di quegli stessi contenuti a partire da ciò che si è sviluppato da Cristo e che ha come soggetto la Chiesa con il suo Magistero, deputato ad interpretarli autenticamente. Ecco identificate le tre fonti della Teologia: Rivelazione in Cristo Tradizione Magistero Va precisato, a questo punto che nella formula: Rivelazione in Cristo ha un peso essenziale anche la preposizione IN: essa ci dice che la Rivelazione, giunta al suo culmine, consiste in Cristo stesso, nella sua Persona e nella sua umanità: * vissuto con tutto quello che ha detto e fatto Si parla, in proposito di Cristo come evento, che comprende anche dei contenuti che, in quanto comunicati (rivelati), diventano fonte di una scienza su di Lui in quanto * che ha assunto una natura umana: Dio-uomo (cristologia) è Dio (Teo-logia) ed è il Salvatore degli uomini (soteriologia) I - 2. Carattere scientifico della Teologia Finora abbiamo • dato una definizione (nominale) della Teologia • detto qual è il suo oggetto • e abbiamo dichiarato quali sono le sue fonti. Ma abbiamo anche detto che la Teologia non è solo narrativa, ovvero della Rivelazione descrittiva dei contenuti della Tradizione delle dichiarazioni del Magistero ma è anche e soprattutto una scienza dimostrativa. Come ogni scienza anche la Teologia non si esaurisce nei suoi assiomi. • La geometria euclidea, ad esempio, non si esaurisce nell’enunciazione degli assiomi di Euclide, • né la fisica si ferma ai dati ricavati dagli esperimenti, elaborano delle dimostrazioni ma, a partire dagli assiomi e dai dati deducono delle conseguenze logiche formulano delle teorie Così anche la Teologia non può esaurirsi nei suoi assiomi (le sue fonti), ma per essere una scienza, deve servirsi della ragione, con le sue regole logiche e le conoscenze che ha acquisito tramite l’ esperienza e la riflessione anche prima di conoscere la Rivelazione, ovvero di incontrare Gesù Cristo. Questo bagaglio di conoscenze umane, derivanti dalla sola ragione, è ciò che cumulativamente viene chiamato, con una parola ormai in gran parte usurata, ma ancora comunque significativa, filosofia. Un po’ come: * si serve della matematica per elaborare le sue teorie la fisica ed inquadrare in questo modo i dati sperimentali analogamente (dove “analogamente” non significa “esattamente allo stesso modo”, ma “in modo simile, pur con le dovute differenze”): * si serve della filosofia per elaborare le sue teorie la Teologia inquadrando i dati delle sue fonti (Rivelazione, Tradizione, Magistero) I - 3. Carattere ecclesiale della Teologia Ed è già affiorato, così, anche il terzo punto che ci dice: La Teologia ha carattere ecclesiale. Non si può fare Teologia (con l’iniziale maiuscola) se non appartenendo alla Chiesa ed assimilandone • insieme alla Rivelazione (Scrittura, presenza sacramentale di Cristo), • anche la Tradizione (il modo di intendere la Rivelazione che nella fede della Chiesa si è consolidato unanimemente nel tempo [dottrina, liturgia: lex orandi-lex credendi]) • e il Magistero come autentico interprete della dottrina della fede e delle regole della liturgia. Questi elementi sono come le regole epistemologiche per la scienza che ha per oggetto Dio, in quanto si è rivelato in Gesù Cristo. Il rifiuto di uno di questi elementi porta a snaturare la Teologia. I - 4. Rapporto tra fede e ragione - I - 5. Metodo teologico Ecco che siamo entrati, insieme: • nel quarto punto: quello del rapporto tra fede e ragione: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità». (Fides et ratio, n. 1) • e nel quinto punto: quello del metodo teologico: «Bisogna tener conto del fatto che vi sono due generi di scienze. – Le prime procedono da principi conosciuti mediante la luce naturale dell’intelletto, come l’aritmetica, la geometria, ecc. – Le seconde procedono partendo da principi che sono conosciuti grazie alla luce di una scienza superiore: come l’ottica che segue i principi della geometria e la musicologia che segue quelli dell’aritmetica. In questo secondo modo la teologia è scienza: perchè procede da principi conosciuti attraverso la luce di una scienza superiore, che è la scienza di Dio e dei beati. Così come la musicologia crede ai principi che le comunica il matematico, così la teologia crede ai principi rivelati da Dio». (Summa Theologiae, parte I, quest. 1, art. 2) Osservazioni sul metodo teologico oggi Ai nostri giorni si rileva una debolezza della ragione e, di conseguenza nella filosofia come disciplina dimostrativa (scientifica). Occorre sottolineare come: «L’attuale rapporto tra fede e ragione richieda un attento sforzo di discernimento, perché sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l’una di fronte all’altra. La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere». (Fides et ratio, n. 48) Pare che si possano individuare tre strade che la teologia si può trovare a percorrere oggi: • quella narrativa, che, pur essendo forse quella oggi più percorribile, non può offrire un grado di sistematicità tale da essere una scienza dimostrativa; • quella di una teologia che potremmo chiamare autonoma, in quanto cerca di costruire da se stessa (in actu exercito), la filosofia che le serve per elaborarsi sistematicamente; • e, infine, quella della teologia tradizionale, che fa riferimento alle basi filosofiche della filosofia agostiniana / tomista, acquisendole come un punto di partenza che non tocca, di per sé, al teologo fondare. Naturalmente: • così come in fisica, per rimanere all’esempio di prima, – occorre una teoria matematica adatta per inquadrare certi dati degli esperimenti, – che non generi contraddizioni con i dati stessi (altrimenti si costruisce una teoria che non riguarda il mondo fisico reale, ma un mondo che non esiste), • analogamente in teologia occorre servirsi di filosofie – che non neghino i dati delle fonti (Rivelazione, Tradizione, Magistero), – ma siano almeno compatibili e, possibilmente, in armonia con essi. E uno dei primi registri con i quali verificare questa compatibilità è il fatto che per elaborare una teologia si utilizzi della Rivelazione una filosofia che non neghi quegli elementi che sono alla portata anche della sola ragione (revelatum per accidens) «Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione». (Fides et ratio, n. 83) «Alcune conoscenze si collocano oltre le possibilità conoscitiva di qualunque essere umano, come il fatto che Dio è uno e trino [. . . ] Queste non sono dimostrabili per via scientifica. Altre, invece, sono sì oltre la portata conoscitiva di alcuni uomini, ma non dell’uomo come tale. Ora quelle che sono raggiungibili per dimostrazione solo dai più capaci e preparati, ma rimarrebbero inaccessibili a quelli che non lo sono, possono essere rese alla loro portata mediante la divina rivelazione». (De Ver, q. 12, a. 2 co) Altrimenti non si ottiene una teologia cristiana, ma, nel migliore dei casi un discorso su un “dio” che è, almeno in certa misura arbitrario e frutto della propria soggettiva immaginazione, ma non è il Dio vero ed unico. Nel nostro Sommario della Prima fase di studio abbiamo finora esaminato i seguenti punti: 1. Oggetto e fonti della teologia cristiana 2. Carattere scientifico della teologia 3. Carattere ecclesiale della teologia 4. Rapporti tra fede e ragione 5. Metodo teologico che hanno a che fare, propriamente, con l’ Introduzione alla Teologia. Dobbiamo, ora, varcare il confine che ci introduce nell’area della Teologia Fondamentale dove avremo, inzialmente, da affrontare, i rimanenti punti del Sommario 6. Livelli della rivelazione divina: cosmica e storica 7. Rapporto tra rivelazione incoativa e pienezza della rivelazione 8. Rapporto tra Rivelazione e Parola 9. Rapporto tra Rivelazione e storia 10. Diversità di espressioni della Parola divina: nel creato, nell’Alleanza, sapienziale, profetica, in Cristo 11. Rapporto tra Rivelazione e verità 12. Rapporto tra Rivelazione e salvezza 13. Pienezza singolare e assoluta della autocomunicazione di Dio agli uomini in Cristo TEOLOGIA FONDAMENTALE INTRODUZIONE Anche qui occorre fare una premessa partendo dalla definizione dei termini. Una definizione PRIMO PASSO - Il termine “Teologia” Abbiamo già esaminato una definizione nominale del termine Teologia per cui possiamo passare direttamente al SECONDO PASSO - La specificazione “Fondamentale” Domanda: che cosa specifica questo aggettivo “fondamentale”, aggiunto alla parola Teologia TEOLOGIA FONDAMENTALE Lavoriamo anche in questo caso sul significato delle parole. L’aggettivo “fondamentale” ci richiama subito alla mente il sostantivo “fondamento/i”. Raffigurandoci la Teologia, come spesso si fa con il sapere, come un edificio costituito da varie parti e su più piani. Ecco che siamo indotti, almeno dal significato delle parole, a collocare la Teologia fondamentale al livello delle fondamenta dell’intero edificio teologico. Se, da un lato: • la Rivelazione in Cristo, la Tradizione e il Magistero sono le fonti della Teologia in quanto ci offrono il materiale da costruzione che da soli non riusciremmo a procurarci (contenuto della Rivelazione); • la filosofia (intesa anche in senso lato, come sapere umano che coinvolge anche un rapporto con le scienze) ci offre la strumentazione dimostrativa, insieme a quel materiale da costruzione di cui disporremmo anche senza la Rivelazione, con la sola ragione, • la Teologia fondamentale, proprio perché si colloca a fondamento, ci deve aiutare a mettere a fuoco, come suo * ragione =⇒ il rapporto tra e fede (punto 4) Oggetto * filosofia/scienza/religione =⇒ e quindi tra e le fonti proprie della teologia (Rivelazione, Tradizione, Magistero) Il metodo della Teologia fondamentale Possiamo affrontare questo lavoro seguendo due modalità di approccio (metodi) alternative, ma anche complementari: i) l’una parte dall’alto (top-down) cioè dal punto di vista della fede offrendo una lettura sapienziale: da Dio ⇓ verso l’uomo ii) l’altra parte dal basso (bottom-up), dal punto di vista della ragione offrendo una lettura filosofica, esistenziale, religiosa: dall’uomo verso Dio: verso Dio ⇑ dall’uomo (TF, pp. 13-14) «Tanto nell’ordine dell’esposizione come nella metodologia, si riconoscono in fondo due possibili strade da percorrere. — L’una adotta una prospettiva teologale, che partendo dalla Rivelazione, dalla ricchezza del mistero di Dio, si dirige quindi verso l’uomo; la discussione della Rivelazione è realizzata basandosi sulla logica interna della Parola di Dio, le categorie per comprenderla vengono prese dalla Rivelazione stessa e non da altre fonti, e si cerca poi di studiare la sua relazione organica con la Chiesa ed il suo Magistero. — L’altra strada adotta una prospettiva antropocentrica, che prende le mosse dalla situazione antropologica della creatura umana come creatura aperta alla Rivelazione» In questo secondo percorso: «Si comincia più facilmente parlando della fede e, sempre dalla prospettiva dell’uomo, vengono poi discusse la possibilità stessa di una rivelazione soprannaturale, la sua conoscibilità e intelligibilità, la possibilità di un discorso su Dio servendosi di parole umane, sottolineandone poi la loro rilevanza esistenziale; successivamente, si discute il contenuto oggettivo della Rivelazione ricorrendo essenzialmente al metodo dogmatico. Questa diversità di percorsi si rflette anche nella diversa scelta del punto di partenza per tutta la trattazione. Riferendoci ai quattro elementi centrali nell’oggetto della Teologia fondamentale – Rivelazione, credibilità, fede e trasmissione della Chiesa – è interessante notare che vi sarebbero dei motivi ragionevoli per cominciare la trattazione da uno qualsiasi di essi: a) Una trattazione che cominciasse dalla Rivelazione si presenterebbe fin dall’inizio segnata da un metodo spiccatamente teologico-dogmatico; essa porrebbe l’accento sulla iniziativa divina, sulla gratuità del suo messaggio, sulla sua eccedenza rispetto ad ogni aspettativa o domanda umana. b) Partendo invece dalla credibilità, si percorrerebbe un cammino ascendente, di carattere più marcatamente fenomenologico e antropologico, la cui finalità sarebbe riconoscere la Rivelazione come Parola adeguata, ragionevole, attraente, conforme alle aspirazioni della natura umana. c) Attribuire una certa priorità alla fede, equivarrebbe a partire da una prospettiva antropologica, con la differenza che, in questo caso, la fede verrebbe ora vista come condizione previa per riconoscere ed accogliere la Rivelazione; ma questo itinerario dovrebbe preoccuparsi di offrire un raccordo fra l’apertura dell’uomo alla Rivelazione e fede teologale propriamente detta. d) Un avvio della trattazione della Teologia fondamentale dalla realtà della Chiesa, infine, sottolineerebbe che la Rivelazione ci viene consegnata sempre nel flusso di una tradizione, all’interno di un contesto ecclesiale che ne media necessariamente non soltanto la trasmissione, ma anche la comprensione» (TF, pp. 13-14) La storia della Teologia fondamentale (cfr. TF, p. 15) Schematicamente possiamo dire che la Teologia fondamentale ha conosciuto tre momenti nella sua storia, che hanno caratterizzato il suo metodo, in funzione della necessità di confrontarsi con i problemi ecclesiali e le sensibilità culturali che le si presentavano nel contesto storico. 1° - In un primo momento (II-III secolo) essa si è articolata come apologetica: difesa della ragionevolezza della fede. 2° - Successivamente si è concentrata sull’esame filosofico dei preambula fidei e dei motivi di credibilità (epoca medievale). 3° - Poi si è sviluppata come percorso antropologico-esistenziale del soggetto che giunge all’incontro con Cristo (epoca moderna-contemporanea). Oggi si sta strutturando come vera e propria disciplina filosofico-teologica che studia i rapporti ragione/fede, scienza/fede, religione/fede, religioni/cristianesimo (Teologia delle religioni/e). Annotazione - Sul rapporto tra Teologia fondamentale e religione/i • «Se la Teologia fondamentale può essere interessata ad una riflessione generale sulla religione a motivo del collegamento di quest’ultima con i preamboli della fede [ricerca razionale], • alla Teologia della Rivelazione interessa solo richiamare quegli aspetti della religiosità umana che si collegano con una certa apertura dell’uomo ad un rapporto personale con l’Assoluto, e che coinvolgono pertanto anche una certa apertura ad una rivelazione della divinità [Rivelazione]» (TF, p. 27). C’è sempre un certo un raccordo tra religione e rivelazione in quanto, di fatto, non sono esistite delle religioni che non presumessero, attraverso i loro fondatori, o interpreti, di avere alla loro base una qualche forma di rivelazione che poteva essere orale, o scritta (libri ritenuti sacri), alla quale il seguace prestava una qualche forma di fede: «Una religione, o un culto divino, è una manifestazione di una qualche forma di fede». (Tommaso d’Aquino, IV Sent., d. 13, q. 2, a. 1, ad 4um) «La religione • reca necessariamente con sé una dimensione relazionale, – fra il soggetto e il divino – fra il soggetto e i membri della comunità • e implica una opzione esistenziale del credente. Un ultimo elemento riguarda il rapporto fra religioni naturali e religioni rivelate. Nella trattazione classica: 1. con le prime si indicavano quelle fenomenologie religiose nelle quali la divinità farebbe conoscere la sua presenza e la sua volontà essenzialmente mediante i fenomeni della natura 2. mentre con le seconde ci si riferiva a quelle tradizioni religiose nelle quali siamo in presenza di mediazioni storiche, di libri sacri o testimonianze documentali. Nel primo caso il rapporto con la divinità assume una dimensione tendenzialmente più soggettiva ed implicita, mentre nel secondo caso è più oggettiva ed esplicita, fino ad assumere una rilevanza storica». «La storia e la fenomenologia della religione hanno segnalato, nella seconda metà del Novecento, che tale distinzione non può mai assumere contorni così netti. – In primo luogo va osservato che la nozione di rivelazione, come abbiamo prima visto, è associata ad ogni esperienza religiosa autentica in quanto tale, e che anche la percezione del divino attraverso la natura è, essa stessa, una forma di rivelazione. Di fatto, non esistono religioni ove il rapporto con la divinità si affidi a canoni puramente naturali: vi è quasi sempre una riflssione su questi dati naturali, un’interpretazione affidata a mediatori, che si elabora e si trasforma in una tradizione di tipo storico. – Inoltre, anche le religioni rivelate, come quella ebraico-cristiana, riconoscono una manifestazione di Dio attraverso la natura come parte irrinunciabile del loro contenuto. Infine, mediatori e profeti sono presenti sia nelle religioni chiamate un tempo naturali, sia in quelle tradizionalmente indicate come rivelate sul mero piano fenomenologico, anche la differenza fra rivelazioni di tipo storico-pubblico ed illuminazioni di tipo privato a volte è meno definita di quanto si pensi». (TF, p. 33) Storia del rapporto tra ragione e fede A proposito del rapporto tra ragione e fede vale la pena esaminare il capitolo IV dell’enciclica “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II L’enciclica ripercorre, in quel capitolo, le tappe fondamentali della storia dell’incontro di fede e ragione I - Nella prima parte (positiva): le tappe • della costituzione dello spazio teorico che ha reso pensabile il cristianesimo, • fino all’elaborazione di una disciplina teologica; II - Nella seconda parte (negativa): le tappe del processo inverso che ha visto • la loro progressiva separazione, • fino alla disgregazione della stessa razionalità filosofica. Questa lettura di un percorso storico ha la funzione: • di documentare un metodo di lavoro (nella prima parte), e • di indicare i punti nodali problematici che oggi vanno sbloccati (nella seconda parte) – sia per l’utilità della fede, – che per il recupero della razionalità come tale. PRIMA PARTE - Il cammino comune di fede e ragione Tappa 1 - La liberazione della religione dal mito e la sua fondazione filosofica Tappa 2 - La costruzione dello spazio teorico per pensare il cristianesimo Tappa 3 - Il confronto tra la filosofia greca e la visione contenuta nella Rivelazione Tappa 4 - L’elaborazione della Teologia come scienza Tappa 1 - La liberazione della religione dal mito e la sua fondazione filosofica Anzitutto l’enciclica evidenzia come nel corso della storia del pensiero, prima ancora della rivelazione cristiana, sia stato necessario compiere un passo preliminare, fondamentale per costruire la stessa razionalità dimostrativa: si tratta del passaggio dal mito alla filosofia. «Uno degli sforzi maggiori che i filosofi del pensiero classico operarono, infatti, fu quello di purificare la concezione che gli uomini avevano di Dio da forme mitologiche. Come sappiamo, anche la religione greca, non diversamente da gran parte delle religioni cosmiche, era politeista, giungendo fino a divinizzare cose e fenomeni della natura. Fu compito dei padri della filosofia far emergere il legame tra la ragione e la religione. Allargando lo sguardo verso i principi universali, essi non si accontentarono più dei miti antichi, ma vollero giungere a dare fondamento razionale alla loro credenza nella divinità». «Si intraprese, così, una strada che, uscendo dalle tradizioni antiche particolari, si immetteva in uno sviluppo che corrispondeva alle esigenze della ragione universale. Il fine verso cui tale sviluppo tendeva era la consapevolezza critica di ciò in cui si credeva. La prima a trarre vantaggio da simile cammino fu la concezione della divinità. Le superstizioni vennero riconosciute come tali e la religione fu, almeno in parte, purificata mediante l’analisi razionale. Fu su questa base che i Padri della Chiesa avviarono un dialogo fecondo con i filosofi antichi, aprendo la strada all’annuncio e alla comprensione del Dio di Gesù Cristo». [Fides et ratio, n. 36] Tappa 2 - La costruzione dello spazio teorico per pensare il cristianesimo Giunti alle origini del cristianesimo la fede ha cercato di fondare la sua credibilità teoretica anzitutto utilizzando gli strumenti della logica dimostrativa e della filosofia. 1. Il primo lavoro da compiere, per garantire credibilità alla fede, riguardava la necessità di dimostrare la non contraddittorietà logica del contenuto della Rivelazione, (a) la sua non irrazionalità e, anzi, (b) la sua piena razionalità. E questo è stato uno dei compiti fondamentali degli Apologisti a partire dal II secolo. Il contenuto della rivelazione può oltrepassare le capacità della ragione di raggiungerlo da sola, ma non può essere accusato di essere contro le regole della logica e quindi ridicolizzato e screditato. 2. Un secondo compito, più durevole nel tempo e impegnativo, ha richiesto il lungo lavoro di rielaborazione delle stesse categorie filosofiche per ampliarne la capacità di contenere, fino a poter accogliere, senza eccessive limitazioni, la ricchezza concettuale della Rivelazione che andava oltre ciò che il filosofo da solo poteva elaborare. «Nella storia di questo sviluppo è possibile, comunque, verificare • l’assunzione critica del pensiero filosofico da parte dei pensatori cristiani. Tra i primi esempi che si possono incontrare, quello di Origene è certamente significativo. Contro gli attacchi che venivano mossi dal filosofo Celso, Origene assume la filosofia platonica per argomentare e rispondergli. Riferendosi a non pochi elementi del pensiero platonico, egli inizia a • elaborare una prima forma di teologia cristiana. Il nome stesso, infatti, insieme con l’idea di teologia come discorso razionale su Dio, fino a quel momento era ancora legato alla sua origine greca. Nella filosofia aristotelica, ad esempio, il nome designava la parte più nobile e il vero apogeo del discorso filosofico. Alla luce della Rivelazione cristiana, invece, ciò che in precedenza indicava una generica dottrina sulle divinità venne ad assumere un significato del tutto nuovo, in quanto definiva la riflessione che il credente compiva per esprimere la vera dottrina su Dio. Questo nuovo pensiero cristiano che si andava sviluppando • si avvaleva della filosofia, ma nello stesso tempo • tendeva a distinguersi nettamente da essa. La storia mostra come lo stesso pensiero platonico assunto in teologia abbia subito profonde trasformazioni, in particolare per quanto riguarda concetti quali l’immortalità dell’anima, la divinizzazione dell’uomo e l’origine del male». [Fides et ratio, n. 39] Tutto questo lavoro ha significato • la creazione dello spazio teorico – per rendere pensabile il cristianesimo nel quadro storico-culturale del tempo – e quindi vivibile, a pieno titolo, nella società di allora. • Basti pensare alla straordinaria opera di messa a punto di un teologici linguaggio adatto ad esprimere i contenuti della Rivelazione e filosofici formulati prima nella lingua greca, poi ripensati e tradotti in quella latina. «Persona est rationalis naturarae individua substantia» (“De duabus naturis et una persona Christi”, PL 64, 1343 D) L’esempio più formidabile di ampliamento di significato è offerto, quasi sicuramente, da una parola come “persona” (Boezio) che dal significato pagano originario di maschera teatrale è giunto ad indicare la persona umana, come ancora oggi la intendiamo, e le persone divine della Trinità. Tappa 3 - I Padri della Chiesa: confronto tra la filosofia greca e la visione contenuta nella rivelazione Un passo ulteriore fu quello: 1. di non limitarsi solamente a mostrare la non contraddittorietà dei contenuti della Rivelazione (primo passo), 2. né di accontentarsi di creare uno spazio teorico per la pensabilità di quei contenuti (secondo passo), ma 3. di mostrare addirittura la superiorità della concezione cristiana della realtà (mondo, uomo, Dio) rispetto alle filosofie, riconoscendo nel contempo quelli che erano gli elementi comuni. Il cristianesimo viene concepito: • oltre che come avvenimento storico dell’Incarnazione e della Redenzione • anche come portatore della vera filosofia. «Proprio qui si inserisce la novità operata dai Padri. • Essi accolsero in pieno la ragione aperta all’assoluto • e in essa innestarono la ricchezza proveniente dalla Rivelazione. L’incontro non fu solo a livello di culture, delle quali l’una succube forse del fascino dell’altra [. . . ] Oltrepassando il fine stesso verso cui inconsapevolmente tendeva in forza della sua natura, la ragione poté raggiungere il sommo bene e la somma verità nella persona del Verbo incarnato. Dinanzi alle filosofie, i Padri non ebbero tuttavia timore di riconoscere • tanto gli elementi comuni • quanto le diversità che esse presentavano rispetto alla Rivelazione. La coscienza delle convergenze non offuscava in loro il riconoscimento delle differenze». [Fides et ratio, n. 41] Con sant’Agostino, nel IV secolo cristiano, questa opera di elaborazione e sistematizzazione teologica, fondata sulla rielaborazione della tradizione platonica, raggiunge un vertice che sarà un punto di riferimento per tutti i teologi successivi. Tappa 4 - La scolastica: la teologia come scienza Con la Scolastica, e in particolare con sant’Alberto Magno e specialmente san Tommaso d’Aquino viene addirittura compiuta la fondazione e la messa a punto di una * come scienza dimostrativa e totalmente sistematica teologia basata sulla rielaborazione della filosofia aristotelica ma non senza includere alcuni elementi importanti della tradizione platonica (soprattutto quelli provenienti dallo Pseudo-Dionigi), come la dottrina della partecipazione. «Più radicalmente, Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. • Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, • così la fede suppone e perfeziona la ragione. Quest’ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi alla conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino. Pur sottolineando con forza • il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico • non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo esercizio del pensiero; la ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’ assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole». [Fides et ratio, n. 43] La chiave di volta, dal punto di vista logico-metafisico, di tutto il suo impianto sistematico sta nella dottrina dell’ analogia-partecipazione che permette alla ragione di compiere due grandi passi: • anzitutto di riconoscere modi e gradi di perfezione differenziati – nella realtà (ente), – nella sua conoscibilità (vero), – nel suo essere desiderabile e amabile (bene), – nell’organicità del suo essere un tutto (uno); • e insieme di elevarsi dall’esperienza dei gradi materiali e sensibili dell’essere alla conoscenza, pur limitata, ma vera, dei livelli superiori non immediatamente e adeguatamente conoscibili, ma neppure del tutto inaccessibili. E sembrano proprio questi i nodi verso i quali anche le scienze più avanzate paiono oggi, pur se ancora timidamente, aspirare nella loro ricerca di fondamenti. SECONDA PARTE - La progressiva separazione e contrapposizione di fede e ragione Tappa 1 - Univocità e nominalismo: il ruolo esclusivo della matematica Tappa 2 - La ricaduta della perdita dell’analogia sulla teologia Tappa 3 - La contrapposizione di fede e ragione Tappa 4 - La secolarizzazione della teologia e la rimozione dei fondamenti filosofico-metafisici Capitolo IV Tappa 1 - Univocità e nominalismo: il ruolo esclusivo della matematica Giunti al termine della costruzione dell’edificio delle grandi sintesi cristiane, la ragione sembra mettersi a guardare dall’alto la sua abile e perfetta opera ed essere tentata di compiacersi più di se stessa e della sua scienza, del suo potere di dominare la verità più che di contemplarla. Così, a partire proprio dal XIII secolo, dagli stessi contemporanei di san Tommaso: • si comincerà a comprendere sempre meno la lezione dell’analogia dell’ente e del vero • e, in nome di un maggior grado di certezza della conoscenza, ci si concentrerà sempre di più sull’ univocità, più facile da comprendere, più agevole da controllare. Questo modo di procedere apparirà addirittura, ad alcuni, come un servizio alla verità, anziché una limitazione, un miglioramento della scienza anziché un suo impoverimento qualitativo. Ma si tratterà di un potenziamento unilaterale di qualche aspetto della razionalità, soprattutto di quella matematica, a scapito degli altri. Tappa 2 - La ricaduta della perdita dell’analogia sulla teologia La ricaduta sulla teologia, della perdita dell’analogia, si farà sentire prima nell’univocità del pensiero protestante, poi nell’esasperazione quasi sofistica di certa tarda scolastica e infine nella riduzione della stessa teologia a pura narrazione. «Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant’Alberto Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione». [Fides et ratio, n. 45] Tappa 3 - La contrapposizione di fede e ragione, di teologia e filsoofia Gradualmente quegli aspetti della razionalità, che prima era concepita analogicamente, verranno a contrapporsi anziché integrarsi: • ciò che prima era riconosciuto come, in certa misura, reale (l’universale) • sarà considerato un puro nome (nominalismo). Il sapere passerà, un po’ alla volta, • da una struttura organica e analogica • ad una struttura dialettica: contrapposizione in luogo della integrazione dei diversi gradi di perfezione. «A seguito di un eccessivo spirito razionalista, presente in alcuni pensatori, si radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto a una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede. Tra le altre conseguenze di tale separazione vi fu anche quella di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale». [Fides et ratio, n. 45] L’enciclica continua, poi, la sua lettura della storia del pensiero occidentale riferendosi, allo sviluppo del pensiero filosofico e scientifico moderno e contemporaneo fino ai nostri giorni. «Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili, soprattutto nella storia dell’Occidente. • Non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite. • Nel secolo scorso, questo movimento ha toccato il suo apogeo. Alcuni rappresentanti dell’ idealismo hanno cercato in diversi modi di trasformare la fede e i suoi contenuti, perfino il mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo, in strutture dialettiche razionalmente concepibili. A questo pensiero si sono opposte diverse forme di umanesimo ateo, elaborate filosoficamente, che hanno prospettato la fede come dannosa e alienante per lo sviluppo della piena razionalità». [Fides et ratio, n. 46] Tappa 4 - La secolarizzazione della teologia e la rimozione dei fondamenti filosofico-metafisici A questo punto, ormai, il processo ha invertito la sua direzione: si cerca • da un lato di estrapolare alcune categorie teologiche cristiane svincolandole dalla Rivelazione (considerata come un supporto mitologico surrettizio) e trapiantandole in sistemi filosofici non cristiani; • dall’altro di rimuovere anche i fondamenti puramente filosofici che sono serviti all’elaborazione di una teologia come scienza. Questa operazione, tuttavia • ha trascinato con sé anche elementi indispensabili alla ragione filosofica come tale • che si è gradualmente trovata senza un fondamento su cui basarsi per poter procedere. «Come conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, infine, il nichilismo. Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa, senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità. Nell’interpretazione nichilista, l’esistenza è solo un’opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l’effimero ha il primato. Il nichilismo è all’origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio». [Fides et ratio, n. 46] E ancora: «Non è da dimenticare, d’altra parte, che nella cultura moderna è venuto a cambiare il ruolo stesso della filosofia. Da saggezza e sapere universale, essa si è ridotta progressivamente a una delle tante province del sapere umano; per alcuni aspetti, anzi, è stata limitata a un ruolo del tutto marginale. Altre forme di razionalità si sono nel frattempo affermate con sempre maggior rilievo, ponendo in evidenza la marginalità del sapere filosofico. Invece che verso la contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita, queste forme di razionalità sono orientate – o almeno orientabili – come “ragione strumentale” al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere». [Fides et ratio, n. 47] Ai nostri giorni sembra essere ormai completa la parabola discendente e si apre, come si è rilevato in precedenza, il problema di una rimessa punto delle basi della razionalità resa urgente • sia dal punto di vista esterno alla razionaltià (problema delle conseguenze socio-culturali sulla vivibilità della società) • che da quello interno alla razionaltià (problema dei fondamenti della conoscenza/scienza e della realtà). La Rivelazione (TF - Capitolo I) Dopo questa introduzione alla Teologia fondamentale ci occupiamo della prima delle sue fonti (Rivelazione, Tradizione e Magistero), e cioè della Rivelazione. I punti da affrontare sono riassunti nel già richiamato Sommario 6. Livelli della rivelazione divina: cosmica e storica 7. Rapporto tra rivelazione incoativa e pienezza della rivelazione 8. Rapporto tra Rivelazione e Parola 9. Rapporto tra Rivelazione e storia 10. Diversità di espressioni della Parola divina: nel creato, nell’Alleanza, sapienziale, profetica, in Cristo 11. Rapporto tra Rivelazione e verità 12. Rapporto tra Rivelazione e salvezza 13. Pienezza singolare e assoluta della autocomunicazione di Dio agli uomini in Cristo I - 6. Livelli della rivelazione divina: cosmica e storica Se per Rivelazione, • in senso proprio, la Teologia intende ciò che è stato rivelato esplicitamente da Dio mediante la sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) in Cristo (in vista di Lui, da parte di Lui e per suo mandato da parte degli Apostoli ed Evangelisti), • in senso analogico si può riconoscere anche una forma di rivelazione di Dio attraverso il Creato, accessibile con l’esperienza sensibile e con la sola umana ragione (e talvolta non senza l’aiuto della Grazia). Si parla in tal caso di una rivelazione cosmica, che viene distinta dalla rivelazione storica. Rivelazione cosmica Il termine cosmica indica che essa si manifesta nel cosmo per il fatto che esso • esiste • ed è accessibile a tutti gli uomini in tutti i tempi. Mentre il termine storica intende caratterizzare la Rivelazione come evento, l’evento di Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto, che ha una collocazione puntuale nella storia. La rivelazione cosmica suscita nell’uomo: • il senso religioso, come giudizio e sentimento personale e sociale (culturale) che lo porta a ritenere che: – esista un Creatore, – un destino oltre la morte (culto dei morti), – in taluni casi un giudizio dopo la morte, – una provvidenza divina che induce a pregarlo (oranti), – e talvolta la consapevolezza della disparità tra l’aspirazione dell’uomo alla felicità e la sua condizione umana inadeguata (limiti, sofferenza, morte, incoerenza) suscitando: i) la percezione di uno stato di decadimento dovuto ad una colpa primordiale (che la Bibbia spiegherà con il peccato originale), ii) la speranza e l’apertura all’ attesa di una salvezza che restituisca l’uomo a se stesso ristabilendo il giusto rapporto con Dio. («iustitia originalis», [Tommaso d’Aquino]) • il culto e la religione. Il senso religioso tende ad organizzare un culto (rendere a Dio un atto di gratitudine per quanto ci ha dato, anche se sproporzionato rispetto alla Sua dignità, ma corrispondente a tutto quanto siamo in grado di fare con le nostre sole forze) divenendo una religione codificata e istituzionalizzata. • L’ apertura alla possibilità e il desiderio di una rivelazione esplicita (storica) da parte di Dio, percepito nella rivelazione cosmica. Questo lo si può riconoscere nel fatto che le religioni tendono ad individuare dei testi sacri che ritengono in qualche modo rivelati, o almeno scritti per comando divino. Questo non dimostra la necessità della rivelazione storica, ma documenta l’attesa e la pensabilità di questa possibilità. Macrocosmo Orante Microcosmo • «Alla testimonianza che il mondo e le sue creature danno dell’esistenza di un Creatore il Magistero dei due Concili Vaticani non aveva riservato, in senso stretto, il termine rivelazione, avendo preferito impiegare termini come manifestazione, attestazione, nonché, appunto, testimonianza. • A partire dall’enciclica Fides et ratio (1998), e poi nel magistero ordinario di Giovanni Paolo II, il termine rivelazione compare in modo più frequente. • Dal punto di vista teologico-fondamentale non mancano motivi per considerare il mondo creato come parte dell’economia globale della Rivelazione. Vediamone alcuni: — la creazione viene presentata dalla Scrittura come effetto della Parola di Dio; così nel racconto della Genesi (cfr. Gen 1,3.6.9, ecc.) ed in vari luoghi dei libri sapienziali: “Per mezzo della sua parola sono stati fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera [...]. Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste” (Sal 32,6.9); — la Scrittura menziona esplicitamente la possibilità di conoscere l’esistenza di Dio partendo dalla considerazione delle cose create: cfr Sap 13,1-9; Rm 1,18-20; At 14,15-17; At 17,26-27; — la creazione è capace di rivelare qualcosa [attributi divini] del suo autore, perché la Scrittura invita gli uomini a dare gloria e lode a Dio attraverso la contemplazione delle sue opere; così il Sal 19: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia” (Sal 19,1-2); analogamente in Sal 104, Gb cc. 38 e 39, Sir cc. 42 e 43, ls 40,25-26; — infine il NT presenterà Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne e pienezza delle Rivelazione, come Logos mediatore del piano creativo di Dio e senso della creazione stessa: cfr. Gv 1,1-3; Col 1,1-18; 1Cor 8,6; Eb 1,2-3» (TF, p. 67) I - 7. Rapporto tra Rivelazione incoativa e pienezza della Rivelazione La pienezza della Rivelazione si compie in Gesù Cristo: • tutta la storia del popolo di Israele è orientata a Cristo • e in essa si modifica il modo di intendere – sia la religione – che la rivelazione correggendolo e purificandolo. «Occorre ribadire anzitutto il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo. Deve essere, infatti, fermamente creduta l’affermazione che nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), si dà la rivelazione della pienezza della verità divina: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27); “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18); “È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza” (Col 2,9,10)». (Dominus Iesus, n. 5) I - 8. Rapporto tra Rivelazione e Parola «La parola di Dio viene rivolta ai patriarchi, ad Abramo, a Mosé, ai profeti. L’espressione dabar Jahvè compare 242 volte nell’AT. Il suo significato è più ricco di quello del termine parola nelle lingue moderne: esso comprende • sia l’aspetto noetico [conoscenza] • che quello dinamico [azione] La parola di Dio non comunica solo un contenuto, né soltanto informa: essa è sempre anche una parola efficace che opera ciò che dice. Istruttivo in proposito il noto passo di Isaia 55,10-11: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” che ammette anche una lettura alla luce del Verbo incarnato» (TF, p. 37) Tutto questo sembra preparare remotamente quello che nella prospettiva cristiana sarà il sacramento: segno efficace della grazia che opera ciò che significa (cfr. CCC, n. 1131). Il Concilio Vaticano II metterà in grande rilievo questo aspetto, per cui la Rivelazione • non si limita solo a dei contenuti (dottrina proposta al credente, che pure rimane fondamentale e irrinunciabile) • ma precisa che questi contenuti sono parte integrante della stessa figura umana e personalità divina di Cristo. «Il cambio di prospettiva più significativo è che la Rivelazione non viene più discussa • solo nel suo aspetto oggettivo di contenuto • ma soprattutto nel suo aspetto personalista di auto-comunicazione del Dio vivo all’uomo, per invitarlo a partecipare alla comunione trinitaria. Così facendo, la nozione di Rivelazione riacquista un forte carattere cristocentrico, capace di assicurare ed esplicitarne • l’aspetto personalista • il suo carattere storico • e il suo contenuto eminentemente salvifico. La risposta della fede a questa comunicazione divina non si muove solo sul piano della conoscenza, ma su quello di tutta la persona, poiché sia la Rivelazione divina che la risposta umana sono un rapporto da persona a persona». (TF, p. 57) «Circa la natura e oggetto della Rivelazione, il testo più significativo per densità e contenuto è quello del n. 2 [della Dei Verbum]: “Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della natura divina. Con questa rivelazione infatti Dio invisibile per il suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé (ut eos ad societatem secum invitet in eamque suscipiat). Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi (gestis verbisque intrinseca inter se connexis), in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza manifestano e rafforzano la dottrina e la realtà significate dalle parole (doctrinam et res verbis significatas), e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La profonda verità poi, sia di Dio, sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione” (n. 2)». (TF, p. 57). I - 9. Rapporto tra Rivelazione e storia Con la storia del popolo di Israele si compiono in successione i grandi passaggi che preparano e trasformano la religione naturale fino a preparla a divenire la fede in Gesù Cristo unico Salvatore. A questi passaggi corrispondono delle: I - 10. Diversità di espressioni della Parola divina: nel creato, nell’Alleanza, sapienziale, profetica, in Cristo Possiamo riassumerli schematicamente così. 1. Dalla rivelazione cosmica all’Alleanza «Con te [Noè] io stabilisco la mia Alleanza». (Gn 6,18) «Quando l’esperienza religiosa del popolo di Israele viene posta per iscritto, la rivelazione di un Dio come Creatore e la sua conoscibilità attraverso le opere della creazione non è fra i primi contenuti ad essere tematizzati o sviluppati». (TF, p. 68) «Essa costituisce piuttosto una consapevolezza di fondo, qualcosa su cui si riflette in genere a partire dall’Alleanza, dal significato che questa ha per l’uomo, il cui peso nella formazione storica del popolo eletto è più grande di quello avuto dalla rivelazione di un Dio che fosse anche Creatore. Israele presuppone la comprensione del mondo in quanto creato e accede ad una fede nella creazione quasi come conseguenza della sua fede nel Dio liberatore, ricomprendendo così la creazione in relazione alla stessa Alleanza. Per la mentalità degli ebrei, la dipendenza totale del mondo da Dio non ha bisogno di essere creduta, perché appartiene già al loro modo di pensare: – Dio è il Creatore (cfr 2 Mac 1,24-25; Gdt 9,12). Tuttavia i rapporti fra creazione ed Alleanza restano assai stretti. – La fede in Dio creatore sostiene i momenti in cui l’Alleanza viene messa alla prova da vicende storiche avverse e se il ruolo dell’Alleanza fu determinante per la formazione religiosa di Israele, quello della fede in un Dio creatore lo fu certamente per la formazione religiosa del genere umano come tale, di cui la stessa sacra Scrittura è testimone, almeno nell’immagine di Dio trasmessa da alcuni libri sapienziali (Giobbe, Proverbi, Sapienza)». (TF, p. 68) «Una corretta posizione della fede nella (o della rivelazione della) creazione va valutata ricordando che l’affermazione che il Dio di Israele ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che vi si trovano attraversa di fatto tutta la Scrittura. Essa è come un ritornello costante nelle sue pagine (cfr Es 20,11, Ne 9,6), in particolare nel libro dei Salmi (cfr Sal 23,1-2; 88,12; 113,15; 146,6; ecc.). Nel NT Gesù stesso utilizzerà questa medesima espressione per rivolgersi al Padre: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra? (Mt 11,25, ecc.)» (TF, p. 68). «Nella storia delle religioni il caso di un’Alleanza fra un popolo monoteista e la sua divinità suprema non ha precedenti al di fuori della religione di Israele». (TF, p. 72). «In senso generale, il termine Alleanza indica un patto bilaterale fra due persone, stabile nel tempo, stipulato con un carattere di solennità davanti a Dio e al popolo; nella sua prassi vi troviamo spesso un pasto comune, un banchetto, associato ad un atto di culto, ovvero ad un sacrificio, che diviene un modo per sanzionare il carattere sacro dell’Alleanza stessa». (TF, p. 73) 2. Noè - Alleanza/Benedizione «Facendo astrazione dal primitivo rapporto con Dio dei nostri progenitori – in qualche modo anch’esso riconducibile alla categoria dell’Alleanza è con la figura di Noè che la Rivelazione introduce in modo più esplicito tale categoria. Nel contesto del nuovo ordine cosmico immediatamente successivo al diluvio universale, l’ Alleanza di Dio con Noè assume il carattere di una grande benedizione che sancirà la fedeltà del cosmo all’ordine stabilito da Dio. Noè non è tuttavia chiamato a compiere specifiche promesse in tale patto. L’idea che l’umanità non debba ora più percorrere i cammini della corruzione e della malvagità, causa del castigo divino, resta però implicita in tutto il contesto (cfr. Gen 9)» (TF, p. 75). 3. Abramo - Alleanza/Elezione «E tuttavia con la vocazione di Abramo quando l’Alleanza si radica, e le sue promesse e le sue esigenze si fanno progressivamente più esplicite. L’Alleanza viene collegata alla sua elezione come capostipite di un grande popolo». (TF, p. 75) «Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome». (Gn 12,2) 4. Mosè - Alleanza/Promessa «Il contesto biblico più profondo e più solenne della rivelazione di Dio come Dio dell’Alleanza è quello dell’Esodo. Con la sua rivelazione a Mosè e la liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto, le promesse divine progrediscono verso il loro compimento e si collocano in continuità con i giuramenti fatti ad Abramo, Isacco, Giacobbe (cfr Es 2,24; Lv 26,42). Il contenuto dell’ Alleanza-promessa – si arricchisce con l’impegno di introdurre Israele in una terra promessa – e soprattutto, l’Alleanza viene associata alla consegna della Legge: gli israeliti si impegneranno a vivere il Decalogo solennemente consegnato da Iahvè, e Iahvè si impegnerà a spianar loro il cammino verso Canaan (cfr Es cc. 19-24). – L’Alleanza stipulata fra Dio e il suo popolo è ratificata dal banchetto sacrificale della cena pasquale che precede l’uscita dall’Egitto (cfr. Es 12,1-14) e, nel contesto della grande teofania che accompagna la consegna della legge, da un pasto consumato sul monte Sinai (cfr. Es 24,10-11)». (TF, p. 76) «Così riepiloga il Deuteronomio il valore della legge nell’Alleanza sinaitica. “Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore vostro Dio ha ordinato di insegnarvi, perché le mettiate in pratica nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore tuo Dio osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così sia lunga la tua vita. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e cresciate molto di numero nel paese dove scorre latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto” (Dt 6,1-3). La legge può considerarsi come figlia primogenita dell’Alleanza e resta sostanzialmente legata a due dati basilari: l’amore su cui si fonda e la santità verso cui indirizza». (TF, pp. 76-77) 5. Lo sviluppo storico - Davide e la sua discendenza «Una volta consolidata la presenza di Israele nella terra promessa, David diviene protagonista di un rinnovo dell’Alleanza di Iahvè con il popolo eletto (cfr 2 Sam 7). Anche in questo caso risaltano i caratteri della gratuità, sia per il modo con cui avviene l’elezione di David (cfr 1 Sam 16,10-12), sia per la sproporzione fra ciò che David offrirà e ciò che Dio gli prometterà (cfr. 2 Sam 7,1-16)». «A partire dal regno di David, le promesse-benedizioni divine si collegano esplicitamente ad una dinastia, appunto quella di David. È la promessa di un discendente/discendenza grazie al/ alla quale il regno di Israele non avrà mai fine e sarà stabile per sempre. La rivelazione di Dio e la sua nuova benedizione vengono poste in continuità con la liberazione dall’Egitto e la costituzione di Israele come popolo di Dio (cfr 2 Sam 7,22-25)» (TF, p. 78). 6. I profeti - La promessa di una Alleanza nuova, interiore «Con il ministero profetico di Geremia e di Ezechiele nel periodo dell’esilio babilonese, torna alla ribalta il tema dell’Alleanza, ma questa volta con la promessa di una Alleanza nuova, interiore, legata all’adempimento della legge nel proprio animo ed al rinnovamento dei cuori (cfr Ger 31,31-33; Ez 36,26-27). Anche in questi contesti non mancano i caratteri della gratuità divina: è Iahvè che scriverà questa legge nei cuori, è Iahvè che rimuoverà un cuore di pietra per donare un cuore di carne ed infondere nei suoi eletti il suo stesso Spirito». (TF, p. 78). 7. La tradizione sapienziale - Preghiera, condotta morale e grandi temi «Attraverso la parola sapienziale, la Rivelazione divina pare giungere all’uomo ed esprimersi secondo tre grandi ambiti. – la rivelazione nella preghiera e per mezzo della preghiera, – la rivelazione della condotta morale che occorre seguire per vivere in pienezza la propria umanità, ovvero il progetto creatore di Dio nei confronti dell’uomo – la rivelazione delle risposte ai grandi temi della vita umana: – la vita – la morte – il male, ecc.» «La tradizione sapienziale va considerata come una modalità coerente ed unitaria di trasmissione della Parola divina. – Essa non si identifica con la legge e, almeno per una certa parte dei libri in questione, vanta una antichità paragonabile a quella di altre tradizioni storiche di Israele. – Essa manifesta che la Parola di Dio può comprendersi anche prestando ascolto alle cose. Tale ascolto necessita raccoglimento e riflessione, anzi la parola stessa che viene ascoltata procede da tale riflessione». (TF p. 79) La letteratura sapienziale realizza una sorta di incontro tra • rivelazione cosmica • e rivelazione storica e così sembra preparare il futuro incontro tra • la Tradizione semitica • e quella filosofica del mondo greco in vista della sintesi cristiana. «Alcuni testi importanti, che gettano ulteriore luce su questo argomento, sono contenuti nel Libro della Sapienza. In essi l’Autore sacro parla di Dio che si fa conoscere anche attraverso la natura. Per gli antichi lo studio delle scienze naturali coincideva in gran parte con il sapere filosofico. Dopo aver affermato che con la sua intelligenza l’uomo è in grado di “comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi [...] il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura degli animali e l’istinto delle fiere” (Sap 7, 17.19-20), in una parola, che è capace di filosofare, il testo sacro compie un passo in avanti di grande rilievo. Ricuperando il pensiero della filosofia greca, a cui sembra riferirsi in questo contesto, l’Autore afferma che, proprio ragionando sulla natura, si può risalire al Creatore: “Dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia si conosce l’autore” (Sap 13, 5). Viene quindi riconosciuto un primo stadio della Rivelazione divina, costituito dal meraviglioso libro della natura, leggendo il quale, con gli strumenti propri della ragione umana, si può giungere alla conoscenza del Creatore» (Fides et ratio, n. 19). «Quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture precedentemente non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall’inculturazione nel pensiero greco-latino. Rifiutare una simile eredità sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia» (Fides et ratio, n. 72). 8. Cristo compimento della Rivelazione «La migliore introduzione alla centralità del Verbo incarnato nell’economia di tutta la parola divina è rappresentata dal solenne Prologo del vangelo di san Giovanni, letto alla luce delle sue risonanze veterotestamentarie: Giovanni 1,1-18» (TF, p. 89) «La centralità cristologica della Rivelazione è così esposta dalla Dei Verbum: “Dopo avere Iddio, a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei Profeti, ‘alla fine, nei nostri giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio’ (Eb 1,1-2)”. “Mando infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio (ut intima Dei enarraret). Gesù Cristo, dunque, Verbo fatto carne, mandato come uomo tra gli uomini, parla le parole di Dio (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera della salvezza affidatagli dal Padre. Perciò Egli, vedendo il quale si vede il Padre, con il fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di Sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua resurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito Santo, compie e completa la Rivelazione (Revelationem complendo perficit) e la corrobora con a testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L’economia cristiana, dunque, in quanto è Alleanza nuova e definitiva non passerà mai e non è da aspettarsi nessun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” (n. 4) «La Rivelazione divina ha nell’evento del Cristo la sua pienezza • tanto nel modo di realizzarsi • come nella portata del contenuto. Cristo è la parola definitiva e più perfetta che Dio dirige all’umanità. • Non soltanto perché, in quanto parola incarnata, è la parola più condiscendente pronunciata da Dio in favore dell’uomo • ma anche perché interpreta, decodifica e rivela il vero senso di ogni altra parola pronunciata da Dio. In Cristo, la parola divina trova • non solo la sua pienezza noetica (cioè la più alta rivelazione del suo contenuto concettuale) • ma anche la sua pienezza ermeneutica (cioè la rivelazione del suo vero significato e del suo senso). Si tratta di una centralità che abbraccia tutto l’orizzonte storico-salvifico, perché interessa tutte le grandi categorie della rivelazione biblica: • dall’ elezione • alla promessa • dall’ Alleanza • alla legge • dalla creazione • alla redenzione. Questa singolarissima posizione del Cristo nell’economia della Rivelazione fa sì che in lui si realizzi la logica di un universale concretum: una conoscenza ed una salvezza normative, di carattere universale, si compiono nella concretezza e nella cornice visibile di un evento storico determinato. L’ineffabilità, l’inconoscibilità e l’universalità di Dio si concretano misteriosamente nella storia e nel tempo nel mistero del Cristo. Ciò che per il pensiero filosofico resterebbe un paradosso, cioè la coincidenza di universale e di concreto diviene la legge fondamentale dell’economia della Rivelazione» (TF, pp. 90) Sintesi – «La creazione sussiste in Cristo ed è stata fatta in vista di Cristo: la manifestazione di Dio attraverso il cosmo è una certa preparazione dell’incarnazione della parola divina, e quindi preparazione di Cristo; – l’umanità di Cristo è pienezza della creazione, è la realtà creata più perfetta e più rivelatrice della grandezza di Dio; – in Cristo si rende già possibile la logica di una nuova creazione, che egli inaugura e conduce misteriosamente al suo compimento escatologico mediante la sua resurrezione gloriosa. – la creazione, nel suo sviluppo storico, ha raggiunto nel mistero dell’Incarnazione la sua pienezza dei tempi, il suo punto focale: a partire da Cristo è possibile leggere il senso cui la storia tende, interpretare il suo passato e comprendere la logica del suo futuro». (TF, p. 91). I - 11. Rpporto tra Rivelazione e verità «Inoltre, i Padri sinodali hanno messo in evidenza come al tema dell’ ispirazione sia connesso anche il tema della verità delle Scritture. Per questo, un approfondimento della dinamica dell’ ispirazione porterà indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità contenuta nei libri sacri. Come afferma la dottrina conciliare sul tema, i libri ispirati insegnano la verità: “Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità, che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere. Infatti, ‘tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona’ (2Tm 3,16-17gr.)” (Dei Verbum, n. 11)». (Benedetto XVI, Verbum Domini, n. 19) I - 12. Rapporto tra Rivelazione e salvezza «Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, “per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana” (Dei Filius, cap. 2). Il santo Concilio • professa che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione a partire dalle cose create” (cfr. Rm 1,20); • ma insegna anche che è merito della Rivelazione divina se “tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla umana ragione, può, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza d’errore” (ibidem)». (Dei Verbum, n. 6) I - 13. Pienezza singolare e assoluta della autocomunicazione di Dio agli uomini in Cristo «È anche ricorrente la tesi che nega l’ unicità e l’universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo. Questa posizione non ha alcun fondamento biblico. Infatti, deve essere fermamente creduta • come dato perenne della fede della Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, • Signore e unico salvatore, che nel suo evento di incarnazione, morte e risurrezione ha portato a compimento la storia della salvezza, che ha in lui la sua pienezza e il suo centro. Le testimonianze neotestamentarie lo attestano con chiarezza: – “Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo” (1 Gv 4,14); – “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29)». (Dominus Iesus, n. 13) – Nel suo discorso davanti al sinedrio, Pietro, per giustificare la guarigione dell’uomo storpio fin dalla nascita, avvenuta nel nome di Gesù (cf. At 3,1-8), proclama: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale dobbiamo essere salvati” (At 4,12). – Lo stesso apostolo aggiunge inoltre che Gesù Cristo “è il Signore di tutti”; – “è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio”; – per cui “chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome” (At 10,36.42.43). – Paolo, rivolgendosi alla comunità di Corinto, scrive: “In realtà anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e c’è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui” (1 Cor 8,5-6). – Anche l’apostolo Giovanni afferma: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17)». (Dominus Iesus, n. 13) – «Nel Nuovo Testamento, la volontà salvifica universale di Dio viene strettamente collegata all’unica mediazione di Cristo: “[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,4-6)». «Questo patrimonio di fede è stato riproposto dal recente Magistero della Chiesa: “Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto (cf. 2 Cor 5,15), dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché egli possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi (cf. At 4,12). Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana” (Gaudium et spes, n. 10). Deve essere, quindi, fermamente creduto come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta e compiuta una volta per sempre nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio». (Dominus Iesus, nn. 13-14)