Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale

Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale
(Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected])
Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale
(Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected])
⇑
k
Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale
(Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected])
Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale
(Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected])
Introduzione alla Teologia e Teologia Fondamentale
(Alberto Strumia - www.albertostrumia.it - [email protected])
• Libri di testo
– G. Tanzella-Nitti, Lezioni di teologia fondamentale, Aracne, Roma 2007
– A. Strumia, Scienza e teologia a confronto, Fede e Cultura, Verona 2014
– A. Blanco - A.Cirillo, Cultura e teologia, Ares, Milano 2001
• L’esame
– richiede due elaborati scritti e l’esame orale
Caratteristiche generali dei testi
• Il libro Cultura e teologia affronta il tema del
rapporto tra la ragione e la fede, nelle sue varie articolazioni:
– nel primo capitolo si approfondisce la nozione di cultura e si prendono
in esame i vari modi in cui la fede influisce su di essa.
– Nei successivi capitoli si passa a trattare della scienza della fede, la
teologia, per approfondirne
* il metodo
* il valore per la vita cristiana
* e i collegamenti con le scienze umane.
• Il libro Lezioni di Teologia fondamentale affronta il tema della Rivelazione
– nel suo mistero (cap. I)
– e nelle sue modalità di trasmissione (cap. III)
– oltre che nella sua credibilità (cap. IV)
Il volume diviso in cinque capitoli (cap. II - La fede; cap. V - Le religioni) ed è
corredato, in fondo, da un’antologia di testi del Magistero e di teologi.
Obiettivo dello studio
• Lo scopo di questa disciplina è quello di offrire la conoscenza
– del metodo teologico
– e dei fondamenti
* della fede cristiana
* e della teologia
– così che ci si possa anche rendere conto della credibilità (attendibilità)
della confessione di fede: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, il Signore.
• L’ oggetto e la natura della Teologia Fondamentale vengono esposti
nell’ Introduzione al manuale,
che si articola in due paragrafi in cui si spiega
– qual è il metodo
– e quale la storia
di questa disciplina.
L’articolarsi dello studio
L’ ordine logico consiglia:
• di iniziare lo studio con l’ Introduzione alla Teologia
• e di proseguire con Teologia fondamentale.
Il lavoro prevede sei fasi di studio
1) la prima affronta il tema dell’ Introduzione alla Teologia
2) 3) le due fasi seguenti studiano i primi grandi argomenti della
Teologia fondamentale: la Rivelazione, la sua trasmissione e la Fede;
4) 5) 6) le altre tre studiano la parte della Credibilità in se stessa e in rapporto
alle religioni.
Occorre redigere due elaborati scritti: il primo serve per verificare l’assimilazione
dei capitoli riguardanti, la Rivelazione, la sua trasmissione e la Fede; l’ultimo
elaborato, dopo aver studiato l’intero libro, serve a verificare specificamente
l’assimilazione dei capitoli sulla Credibilità, sull’Introduzione alla Teologia e quelli
sui rapporti tra il Cristianesimo e le altre religioni.


Definizione







Rapporto Ragione/Fede




 Introduzione alla Teologia  Metodo 


Scientificità della Teologia








Fonti






in se stessa

Quadro

 La Rivelazione 

riassuntivo 


la sua trasmissione







 La fede




 Teologia fondamentale 





in se stessa









 La credibilità 
 in rapporto alle religioni





in rapporto alle scienze
I - PRIMA FASE DI STUDIO
Introduzione alla Teologia - Sommario
1. Oggetto e fonti della teologia cristiana
2. Carattere scientifico della teologia
3. Carattere ecclesiale della teologia
4. Rapporti tra fede e ragione
5. Metodo teologico
I - 1. Oggetto e fonti della teologia cristiana
Una definizione
PRIMO PASSO - Il termine “Teologia”
È buona norma quando si affronta lo studio di una disciplina, partire da una
definizione dei termini che si utilizzano per evitare equivoci e fraintendimenti, per
quanto possibile.
Domanda: che cos’è la teologia?
San Tommaso d’Aquino, per estrarre una definizione dalle parole
(nomi), partiva molto spesso dall’etimologia
(origine e significato di una parola).
L’etimologia del nome teologia significa letteralmente:
• discorso su Dio, se intendiamo il termine greco logos come parola (verbum
[«In principio erat Verbum», Gv 1,1]), o insieme di parole dotato di senso
compiuto, cioè discorso; ma anche
• ragionamento su Dio, se intendiamo logos come discorso logico (ratio), e
quindi dimostrativo, come lo è un ragionamento corretto.
Già dall’etimologia della parola teologia possiamo trarre due informazioni
significative:
• La prima è che la teologia ha come oggetto
– proprio e primario Dio.
– Ma non solo, può occuparsi anche di tutto il resto: l’uomo, il mondo, il
lavoro, la scienza, la tecnica, l’amore, il senso della vita, le scelte
personali, ecc., in quanto sono considerati in relazione a Dio.
E così abbiamo una risposta alla prima parte del n. 1 (CT, c. II, §1, pp. 78 sg).
• La seconda informazione è che la teologia è una forma di conoscenza sul
suo oggetto che è Dio (se non lo fosse sarebbe insignificante).
– Secondo la prima accezione dell’etimologia (teologia = discorso su Dio)
è un discorso descrittivo sulla realtà di Dio, per quanto è possibile farne
una non del tutto inadeguata. Oggi si parla di una teologia narrativa.
E c’è chi sostiene che non si possa fare di più, ma solamente questo
tipo di teologia.
• Secondo l’altra accezione dell’etimologia (teologia = ragionamento su Dio),
la teologia è addirittura un discorso argomentativo, dimostrativo e quindi
una scienza vera e propria, se:
Per scienza intendiamo, secondo l’accezione aristotelica:
una disciplina in grado di condurre delle dimostrazioni
di tipo deduttivo sul suo oggetto.
E con questo abbiamo sfiorato anche il Punto 2 del Sommario (Carattere
scientifico della teologia)
SECONDO PASSO - La specificazione “Cristiana” - Le fonti della Teologia
Il titolo del nosto Punto 1 “Oggetto e fonti della teologia cristiana”
aggiunge al termine teologia, la specificazione
Cristiana.
Questo aggettivo (Cristiana) ci aiuta già ad incominciare a rispondere
−→ alla seconda parte dello stesso punto 1
−→ che riguarda le FONTI della teologia cristiana
Per brevità, in seguito, potremmo denotare la teologia cristiana semplicemente
scrivendo la parola con al iniziale maiuscola: Teologia.
Le fonti della Teologia
• La fonte centrale e primaria della Teologia è Cristo stesso.
• E, di conseguenza, anche tutto ciò che è in funzione di Cristo.
In particolare, dal punto di vista temporale (storico):
• ciò che lo precede parlando direttamente o indirettamente di Lui,
• ciò che lui stesso è e ha detto di sé (rivelato), e
• ciò che lo segue e trae sviluppo da Lui.
In tutto questo sono implicite diverse affermazioni:
1. Nella Teologia, come in ogni scienza, si assumono per veri degli
enunciati di partenza (in matematica si chiamano assiomi, in fisica sono i
dati sperimentali, ecc.): questi dati, nel caso della Teologia, sono accettati
per fede (ce ne occuperemo trattando della Teologia fondamentale).
Il primo di questi dati è che Gesù Cristo è Dio e, quindi una scienza che si
occupa di Lui, di quello che lo precede, di quello che ha detto e fatto e di
quello che lo segue e trae sviluppo da Lui è un discorso su Dio (Teo-logia).
2. Una seconda affermazione implicita in quanto abbiamo detto, è che ciò che
Cristo ha detto di sé e di tutto il resto, che noi non potevamo conoscere, per
noi costituisce una rivelazione, cioè uno svelamento di verità (alétheia) che,
almeno in parte, erano inaccessibili all’umana intelligenza.
Ecco entrare in gioco, un po’ alla volta i termini che caratterizzano
le fonti della Teologia:
(a) La Rivelazione che riguarda i contenuti del discorso su Dio (Teo-logia)
che hanno preceduto Cristo e che Lui ha spiegato in funzione di se
stesso (Antico Testamento) e quelli ulteriori che Gesù ha comunicato
per la prima volta ai suoi uditori, che li hanno poi fissati nei Vangeli e
sviluppato negli altri scritti del Nuovo Testamento;
(b) La Tradizione che riguarda la comprensione di quegli stessi contenuti a
partire da ciò che si è sviluppato da Cristo e che ha come soggetto la
Chiesa con il suo Magistero, deputato ad interpretarli autenticamente.
Ecco identificate le tre fonti della Teologia:
Rivelazione in Cristo
Tradizione
Magistero
Va precisato, a questo punto che nella formula:
Rivelazione in Cristo
ha un peso essenziale anche la preposizione IN:
essa ci dice che la Rivelazione, giunta al suo culmine, consiste in Cristo stesso,
nella sua Persona e nella sua umanità:
* vissuto
con tutto quello che ha detto
e fatto
Si parla, in proposito di Cristo come evento, che comprende anche
dei contenuti che, in quanto comunicati (rivelati), diventano fonte di una scienza
su di Lui in quanto
* che ha assunto una natura umana: Dio-uomo (cristologia)
è Dio (Teo-logia)
ed è il Salvatore degli uomini (soteriologia)
I - 2. Carattere scientifico della Teologia
Finora abbiamo
• dato una definizione (nominale) della Teologia
• detto qual è il suo oggetto
• e abbiamo dichiarato quali sono le sue fonti.
Ma abbiamo anche detto che




la Teologia 


non è solo narrativa, ovvero

della Rivelazione
descrittiva dei contenuti  della Tradizione
delle dichiarazioni del Magistero
ma è anche e soprattutto una scienza dimostrativa.
Come ogni scienza anche la Teologia non si esaurisce nei suoi assiomi.
• La geometria euclidea, ad esempio, non si esaurisce nell’enunciazione
degli assiomi di Euclide,
• né la fisica si ferma ai dati ricavati dagli esperimenti,

elaborano delle dimostrazioni





ma, a partire dagli assiomi e dai dati deducono delle conseguenze logiche





formulano delle teorie
Così anche la Teologia non può esaurirsi nei suoi assiomi (le sue fonti), ma per
essere una scienza, deve servirsi della ragione, con le sue regole logiche e le
conoscenze che ha acquisito tramite l’ esperienza e la riflessione anche prima di
conoscere la Rivelazione, ovvero di incontrare Gesù Cristo.
Questo bagaglio di conoscenze umane, derivanti dalla sola ragione, è ciò che
cumulativamente viene chiamato, con una parola ormai in gran parte usurata,
ma ancora comunque significativa, filosofia.
Un po’ come:
* si serve della matematica per elaborare le sue teorie
la fisica
ed inquadrare in questo modo i dati sperimentali
analogamente (dove “analogamente” non significa “esattamente allo stesso
modo”, ma “in modo simile, pur con le dovute differenze”):
* si serve della filosofia per elaborare le sue teorie
la Teologia
inquadrando i dati delle sue fonti (Rivelazione, Tradizione, Magistero)
I - 3. Carattere ecclesiale della Teologia
Ed è già affiorato, così, anche il terzo punto che ci dice:
La Teologia ha carattere ecclesiale.
Non si può fare Teologia (con l’iniziale maiuscola)
se non appartenendo alla Chiesa ed assimilandone
• insieme alla Rivelazione (Scrittura, presenza sacramentale di Cristo),
• anche la Tradizione (il modo di intendere la Rivelazione che nella fede della
Chiesa si è consolidato unanimemente nel tempo [dottrina, liturgia:
lex orandi-lex credendi])
• e il Magistero come autentico interprete della dottrina della fede e delle
regole della liturgia.
Questi elementi sono come le regole epistemologiche per la scienza che ha per
oggetto Dio, in quanto si è rivelato in Gesù Cristo.
Il rifiuto di uno di questi elementi porta a snaturare la Teologia.
I - 4. Rapporto tra fede e ragione - I - 5. Metodo teologico
Ecco che siamo entrati, insieme:
• nel quarto punto: quello del rapporto tra fede e ragione:
«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano
s’innalza verso la contemplazione della verità». (Fides et ratio, n. 1)
• e nel quinto punto: quello del metodo teologico:
«Bisogna tener conto del fatto che vi sono due generi di scienze.
– Le prime procedono da principi conosciuti mediante la luce naturale
dell’intelletto, come l’aritmetica, la geometria, ecc.
– Le seconde procedono partendo da principi che sono conosciuti grazie alla
luce di una scienza superiore: come l’ottica che segue i principi della
geometria e la musicologia che segue quelli dell’aritmetica.
In questo secondo modo la teologia è scienza: perchè procede da principi
conosciuti attraverso la luce di una scienza superiore, che è la scienza di Dio e
dei beati. Così come la musicologia crede ai principi che le comunica il
matematico, così la teologia crede ai principi rivelati da Dio».
(Summa Theologiae, parte I, quest. 1, art. 2)
Osservazioni sul metodo teologico oggi
Ai nostri giorni si rileva una debolezza della ragione e, di conseguenza nella
filosofia come disciplina dimostrativa (scientifica). Occorre sottolineare come:
«L’attuale rapporto tra fede e ragione richieda un attento sforzo di discernimento,
perché sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l’una
di fronte all’altra.
La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali
che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale.
La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza,
correndo il rischio di non essere più una proposta universale.
È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior
incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o
superstizione.
Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è
provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere».
(Fides et ratio, n. 48)
Pare che si possano individuare tre strade che la teologia si può trovare a
percorrere oggi:
• quella narrativa, che, pur essendo forse quella oggi più percorribile, non può
offrire un grado di sistematicità tale da essere una scienza dimostrativa;
• quella di una teologia che potremmo chiamare autonoma, in quanto cerca
di costruire da se stessa (in actu exercito), la filosofia che le serve per
elaborarsi sistematicamente;
• e, infine, quella della teologia tradizionale, che fa riferimento alle basi
filosofiche della filosofia agostiniana / tomista, acquisendole come un punto
di partenza che non tocca, di per sé, al teologo fondare.
Naturalmente:
• così come in fisica, per rimanere all’esempio di prima,
– occorre una teoria matematica adatta per inquadrare certi dati degli
esperimenti,
– che non generi contraddizioni con i dati stessi
(altrimenti si costruisce una teoria che non riguarda il mondo fisico
reale, ma un mondo che non esiste),
• analogamente in teologia occorre servirsi di filosofie
– che non neghino i dati delle fonti (Rivelazione, Tradizione, Magistero),
– ma siano almeno compatibili e, possibilmente, in armonia con essi.
E uno dei primi registri con i quali verificare questa compatibilità è il fatto che per
elaborare una teologia si utilizzi

della Rivelazione


una filosofia che non neghi quegli elementi 
 che sono alla portata anche
 della sola ragione
(revelatum per accidens)
«Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe
radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella
comprensione della Rivelazione».
(Fides et ratio, n. 83)
«Alcune conoscenze si collocano oltre le possibilità conoscitiva di qualunque
essere umano, come il fatto che Dio è uno e trino [. . . ] Queste non sono
dimostrabili per via scientifica.
Altre, invece, sono sì oltre la portata conoscitiva di alcuni uomini, ma non
dell’uomo come tale. Ora quelle che sono raggiungibili per dimostrazione solo
dai più capaci e preparati, ma rimarrebbero inaccessibili a quelli che non lo
sono, possono essere rese alla loro portata mediante la divina rivelazione».
(De Ver, q. 12, a. 2 co)
Altrimenti non si ottiene una teologia cristiana, ma, nel migliore dei casi un
discorso su un “dio” che è, almeno in certa misura arbitrario e frutto della propria
soggettiva immaginazione, ma non è il Dio vero ed unico.
Nel nostro Sommario della Prima fase di studio abbiamo finora esaminato i
seguenti punti:
1. Oggetto e fonti della teologia cristiana
2. Carattere scientifico della teologia
3. Carattere ecclesiale della teologia
4. Rapporti tra fede e ragione
5. Metodo teologico
che hanno a che fare, propriamente, con l’ Introduzione alla Teologia.
Dobbiamo, ora, varcare il confine che ci introduce nell’area della
Teologia Fondamentale
dove avremo, inzialmente, da affrontare, i rimanenti punti del
Sommario
6. Livelli della rivelazione divina: cosmica e storica
7. Rapporto tra rivelazione incoativa e pienezza della rivelazione
8. Rapporto tra Rivelazione e Parola
9. Rapporto tra Rivelazione e storia
10. Diversità di espressioni della Parola divina: nel creato, nell’Alleanza,
sapienziale, profetica, in Cristo
11. Rapporto tra Rivelazione e verità
12. Rapporto tra Rivelazione e salvezza
13. Pienezza singolare e assoluta della autocomunicazione di Dio
agli uomini in Cristo
TEOLOGIA FONDAMENTALE
INTRODUZIONE
Anche qui occorre fare una premessa partendo dalla definizione dei termini.
Una definizione
PRIMO PASSO - Il termine “Teologia”
Abbiamo già esaminato una definizione nominale del termine Teologia per cui
possiamo passare direttamente al
SECONDO PASSO - La specificazione “Fondamentale”
Domanda: che cosa specifica questo aggettivo “fondamentale”,
aggiunto alla parola Teologia
TEOLOGIA FONDAMENTALE
Lavoriamo anche in questo caso sul significato delle parole. L’aggettivo
“fondamentale” ci richiama subito alla mente il sostantivo “fondamento/i”.
Raffigurandoci la Teologia, come spesso si fa con il sapere, come un edificio
costituito da varie parti e su più piani.
Ecco che siamo indotti, almeno dal significato delle parole, a collocare la
Teologia fondamentale al livello delle fondamenta dell’intero edificio teologico.
Se, da un lato:
• la Rivelazione in Cristo, la Tradizione e il Magistero sono le
fonti della Teologia in quanto ci offrono il materiale da costruzione che da
soli non riusciremmo a procurarci (contenuto della Rivelazione);
• la filosofia (intesa anche in senso lato, come sapere umano che coinvolge
anche un rapporto con le scienze) ci offre la strumentazione dimostrativa,
insieme a quel materiale da costruzione di cui disporremmo anche senza la
Rivelazione, con la sola ragione,
• la Teologia fondamentale, proprio perché si colloca a fondamento, ci deve
aiutare a mettere a fuoco, come suo
* ragione
=⇒ il rapporto tra
e fede (punto 4)
Oggetto * filosofia/scienza/religione
=⇒ e quindi tra
e le fonti proprie della teologia
(Rivelazione, Tradizione, Magistero)
Il metodo della Teologia fondamentale
Possiamo affrontare questo lavoro seguendo
due modalità di approccio (metodi) alternative, ma anche complementari:
i) l’una parte dall’alto (top-down)
cioè dal punto di vista della fede offrendo una lettura sapienziale:
da Dio
⇓
verso l’uomo
ii) l’altra parte dal basso (bottom-up), dal punto di vista della ragione offrendo
una lettura filosofica, esistenziale, religiosa: dall’uomo verso Dio:
verso Dio
⇑
dall’uomo
(TF, pp. 13-14)
«Tanto nell’ordine dell’esposizione come nella metodologia, si riconoscono in
fondo due possibili strade da percorrere.
— L’una adotta una prospettiva teologale, che partendo dalla Rivelazione, dalla
ricchezza del mistero di Dio, si dirige quindi verso l’uomo; la discussione della
Rivelazione è realizzata basandosi sulla logica interna della Parola di Dio, le
categorie per comprenderla vengono prese dalla Rivelazione stessa e non da
altre fonti, e si cerca poi di studiare la sua relazione organica con la Chiesa ed il
suo Magistero.
— L’altra strada adotta una prospettiva antropocentrica, che prende le mosse
dalla situazione antropologica della creatura umana come creatura aperta alla
Rivelazione»
In questo secondo percorso:
«Si comincia più facilmente parlando della fede e, sempre dalla prospettiva
dell’uomo, vengono poi discusse la possibilità stessa di una rivelazione
soprannaturale, la sua conoscibilità e intelligibilità, la possibilità di un discorso su
Dio servendosi di parole umane, sottolineandone poi la loro rilevanza
esistenziale; successivamente, si discute il contenuto oggettivo della Rivelazione
ricorrendo essenzialmente al metodo dogmatico.
Questa diversità di percorsi si rflette anche nella diversa scelta del punto di
partenza per tutta la trattazione. Riferendoci ai quattro elementi centrali
nell’oggetto della Teologia fondamentale – Rivelazione, credibilità, fede e
trasmissione della Chiesa – è interessante notare che vi sarebbero dei motivi
ragionevoli per cominciare la trattazione da uno qualsiasi di essi:
a) Una trattazione che cominciasse dalla Rivelazione si presenterebbe fin
dall’inizio segnata da un metodo spiccatamente teologico-dogmatico; essa
porrebbe l’accento sulla iniziativa divina, sulla gratuità del suo messaggio,
sulla sua eccedenza rispetto ad ogni aspettativa o domanda umana.
b) Partendo invece dalla credibilità, si percorrerebbe un cammino ascendente,
di carattere più marcatamente fenomenologico e antropologico, la cui
finalità sarebbe riconoscere la Rivelazione come Parola adeguata,
ragionevole, attraente, conforme alle aspirazioni della natura umana.
c) Attribuire una certa priorità alla fede, equivarrebbe a partire da una
prospettiva antropologica, con la differenza che, in questo caso, la fede
verrebbe ora vista come condizione previa per riconoscere ed accogliere la
Rivelazione; ma questo itinerario dovrebbe preoccuparsi di offrire un
raccordo fra l’apertura dell’uomo alla Rivelazione e fede teologale
propriamente detta.
d) Un avvio della trattazione della Teologia fondamentale dalla realtà della
Chiesa, infine, sottolineerebbe che la Rivelazione ci viene consegnata
sempre nel flusso di una tradizione, all’interno di un contesto ecclesiale che
ne media necessariamente non soltanto la trasmissione, ma anche la
comprensione» (TF, pp. 13-14)
La storia della Teologia fondamentale (cfr. TF, p. 15)
Schematicamente possiamo dire che la Teologia fondamentale ha conosciuto
tre momenti nella sua storia, che hanno caratterizzato il suo metodo, in funzione
della necessità di confrontarsi con i problemi ecclesiali e le sensibilità culturali
che le si presentavano nel contesto storico.
1° - In un primo momento (II-III secolo) essa si è articolata come apologetica:
difesa della ragionevolezza della fede.
2° - Successivamente si è concentrata sull’esame filosofico dei preambula fidei
e dei motivi di credibilità (epoca medievale).
3° - Poi si è sviluppata come percorso antropologico-esistenziale del soggetto
che giunge all’incontro con Cristo (epoca moderna-contemporanea).
Oggi si sta strutturando come vera e propria disciplina filosofico-teologica che
studia i rapporti ragione/fede, scienza/fede, religione/fede, religioni/cristianesimo
(Teologia delle religioni/e).
Annotazione - Sul rapporto tra Teologia fondamentale e religione/i
• «Se la Teologia fondamentale può essere interessata ad una riflessione
generale sulla religione a motivo del collegamento di quest’ultima con i
preamboli della fede [ricerca razionale],
• alla Teologia della Rivelazione interessa solo richiamare quegli aspetti della
religiosità umana che si collegano con una certa apertura dell’uomo ad un
rapporto personale con l’Assoluto, e che coinvolgono pertanto anche una
certa apertura ad una rivelazione della divinità [Rivelazione]» (TF, p. 27).
C’è sempre un certo un raccordo tra religione e rivelazione
in quanto, di fatto, non sono esistite delle religioni che non presumessero,
attraverso i loro fondatori, o interpreti, di avere alla loro base una
qualche forma di rivelazione che poteva essere orale, o scritta (libri ritenuti
sacri), alla quale il seguace prestava una qualche forma di fede:
«Una religione, o un culto divino, è una manifestazione di una qualche forma di
fede».
(Tommaso d’Aquino, IV Sent., d. 13, q. 2, a. 1, ad 4um)
«La religione
• reca necessariamente con sé una dimensione relazionale,
– fra il soggetto e il divino
– fra il soggetto e i membri della comunità
• e implica una opzione esistenziale del credente.
Un ultimo elemento riguarda il rapporto fra religioni naturali e religioni rivelate.
Nella trattazione classica:
1. con le prime si indicavano quelle fenomenologie religiose nelle quali la
divinità farebbe conoscere la sua presenza e la sua volontà essenzialmente
mediante i fenomeni della natura
2. mentre con le seconde ci si riferiva a quelle tradizioni religiose nelle quali
siamo in presenza di mediazioni storiche, di libri sacri o testimonianze
documentali.
Nel primo caso il rapporto con la divinità assume una dimensione
tendenzialmente più soggettiva ed implicita, mentre nel secondo caso è più
oggettiva ed esplicita, fino ad assumere una rilevanza storica».
«La storia e la fenomenologia della religione hanno segnalato, nella seconda
metà del Novecento, che tale distinzione non può mai assumere contorni così
netti.
– In primo luogo va osservato che la nozione di rivelazione, come abbiamo
prima visto, è associata ad ogni esperienza religiosa autentica in quanto
tale, e che anche la percezione del divino attraverso la natura è, essa
stessa, una forma di rivelazione. Di fatto, non esistono religioni ove il
rapporto con la divinità si affidi a canoni puramente naturali: vi è quasi
sempre una riflssione su questi dati naturali, un’interpretazione affidata a
mediatori, che si elabora e si trasforma in una tradizione di tipo storico.
– Inoltre, anche le religioni rivelate, come quella ebraico-cristiana,
riconoscono una manifestazione di Dio attraverso la natura come parte
irrinunciabile del loro contenuto. Infine, mediatori e profeti sono presenti sia
nelle religioni chiamate un tempo naturali, sia in quelle tradizionalmente
indicate come rivelate sul mero piano fenomenologico, anche la differenza
fra rivelazioni di tipo storico-pubblico ed illuminazioni di tipo privato a volte è
meno definita di quanto si pensi». (TF, p. 33)
Storia del rapporto tra ragione e fede
A proposito del rapporto tra ragione e fede vale la pena esaminare
il capitolo IV dell’enciclica “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II
L’enciclica ripercorre, in quel capitolo, le tappe fondamentali della storia
dell’incontro di fede e ragione
I - Nella prima parte (positiva): le tappe
• della costituzione dello spazio teorico che ha reso
pensabile il cristianesimo,
• fino all’elaborazione di una disciplina teologica;
II - Nella seconda parte (negativa): le tappe del processo inverso che ha visto
• la loro progressiva separazione,
• fino alla disgregazione della stessa razionalità filosofica.
Questa lettura di un percorso storico ha la funzione:
• di documentare un metodo di lavoro (nella prima parte), e
• di indicare i punti nodali problematici che oggi vanno sbloccati
(nella seconda parte)
– sia per l’utilità della fede,
– che per il recupero della razionalità come tale.
PRIMA PARTE - Il cammino comune di fede e ragione
Tappa 1 - La liberazione della religione dal mito e la sua fondazione filosofica
Tappa 2 - La costruzione dello spazio teorico per pensare il cristianesimo
Tappa 3 - Il confronto tra la filosofia greca e la visione contenuta
nella Rivelazione
Tappa 4 - L’elaborazione della Teologia come scienza
Tappa 1 - La liberazione della religione dal mito e la sua fondazione filosofica
Anzitutto l’enciclica evidenzia come nel corso della storia del pensiero, prima
ancora della rivelazione cristiana, sia stato necessario compiere un passo
preliminare, fondamentale per costruire la stessa razionalità dimostrativa: si
tratta del passaggio dal mito alla filosofia.
«Uno degli sforzi maggiori che i filosofi del pensiero classico operarono, infatti, fu
quello di purificare la concezione che gli uomini avevano di Dio da forme
mitologiche.
Come sappiamo, anche la religione greca, non diversamente da gran parte delle
religioni cosmiche, era politeista, giungendo fino a divinizzare cose e fenomeni
della natura. Fu compito dei padri della filosofia far emergere il legame tra la
ragione e la religione. Allargando lo sguardo verso i principi universali, essi non
si accontentarono più dei miti antichi, ma vollero giungere a dare
fondamento razionale alla loro credenza nella divinità».
«Si intraprese, così, una strada che, uscendo dalle tradizioni antiche particolari,
si immetteva in uno sviluppo che corrispondeva alle esigenze della ragione
universale.
Il fine verso cui tale sviluppo tendeva era la consapevolezza critica di ciò in
cui si credeva.
La prima a trarre vantaggio da simile cammino fu la concezione della divinità. Le
superstizioni vennero riconosciute come tali e la religione fu, almeno in parte,
purificata mediante l’analisi razionale.
Fu su questa base che i Padri della Chiesa avviarono un dialogo fecondo con i
filosofi antichi, aprendo la strada all’annuncio e alla comprensione del Dio di
Gesù Cristo». [Fides et ratio, n. 36]
Tappa 2 - La costruzione dello spazio teorico per pensare il cristianesimo
Giunti alle origini del cristianesimo la fede ha cercato di fondare la sua credibilità
teoretica anzitutto utilizzando gli strumenti della logica dimostrativa e della
filosofia.
1. Il primo lavoro da compiere, per garantire credibilità alla fede, riguardava la
necessità di dimostrare la non contraddittorietà logica del contenuto della
Rivelazione,
(a) la sua non irrazionalità e, anzi,
(b) la sua piena razionalità.
E questo è stato uno dei compiti fondamentali degli Apologisti a partire dal
II secolo. Il contenuto della rivelazione può oltrepassare le capacità della
ragione di raggiungerlo da sola, ma non può essere accusato di essere
contro le regole della logica e quindi ridicolizzato e screditato.
2. Un secondo compito, più durevole nel tempo e impegnativo, ha richiesto il
lungo lavoro di rielaborazione delle stesse categorie filosofiche per
ampliarne la capacità di contenere, fino a poter accogliere, senza eccessive
limitazioni, la ricchezza concettuale della Rivelazione che andava oltre ciò
che il filosofo da solo poteva elaborare.
«Nella storia di questo sviluppo è possibile, comunque, verificare
• l’assunzione critica del pensiero filosofico da parte dei pensatori cristiani. Tra i
primi esempi che si possono incontrare, quello di Origene è certamente
significativo. Contro gli attacchi che venivano mossi dal filosofo Celso, Origene
assume la filosofia platonica per argomentare e rispondergli.
Riferendosi a non pochi elementi del pensiero platonico, egli inizia a
• elaborare una prima forma di teologia cristiana. Il nome stesso, infatti, insieme
con l’idea di teologia come discorso razionale su Dio, fino a quel momento era
ancora legato alla sua origine greca. Nella filosofia aristotelica, ad esempio, il
nome designava la parte più nobile e il vero apogeo del discorso filosofico. Alla
luce della Rivelazione cristiana, invece, ciò che in precedenza indicava una
generica dottrina sulle divinità venne ad assumere un significato del tutto nuovo,
in quanto definiva la riflessione che il credente compiva per esprimere la vera
dottrina su Dio.
Questo nuovo pensiero cristiano che si andava sviluppando
• si avvaleva della filosofia, ma nello stesso tempo
• tendeva a distinguersi nettamente da essa. La storia mostra come lo stesso
pensiero platonico assunto in teologia abbia subito profonde trasformazioni, in
particolare per quanto riguarda concetti quali l’immortalità dell’anima, la
divinizzazione dell’uomo e l’origine del male». [Fides et ratio, n. 39]
Tutto questo lavoro ha significato
• la creazione dello spazio teorico
– per rendere pensabile il cristianesimo nel quadro storico-culturale del
tempo
– e quindi vivibile, a pieno titolo, nella società di allora.
• Basti pensare alla straordinaria opera di messa a punto di un
teologici
linguaggio adatto ad esprimere i contenuti
della Rivelazione
e filosofici
formulati prima nella lingua greca, poi ripensati e tradotti in quella latina.
«Persona est rationalis naturarae individua
substantia» (“De duabus naturis et una persona
Christi”, PL 64, 1343 D)
L’esempio più formidabile di ampliamento di significato è offerto, quasi
sicuramente, da una parola come “persona” (Boezio) che dal significato pagano
originario di maschera teatrale è giunto ad indicare la persona umana, come
ancora oggi la intendiamo, e le persone divine della Trinità.
Tappa 3 - I Padri della Chiesa: confronto tra la filosofia greca
e la visione contenuta nella rivelazione
Un passo ulteriore fu quello:
1. di non limitarsi solamente a mostrare la non contraddittorietà dei contenuti
della Rivelazione (primo passo),
2. né di accontentarsi di creare uno spazio teorico per la pensabilità di quei
contenuti (secondo passo), ma
3. di mostrare addirittura la superiorità della concezione cristiana della realtà
(mondo, uomo, Dio) rispetto alle filosofie, riconoscendo nel contempo quelli
che erano gli elementi comuni.
Il cristianesimo viene concepito:
• oltre che come avvenimento storico dell’Incarnazione e della Redenzione
• anche come portatore della vera filosofia.
«Proprio qui si inserisce la novità operata dai Padri.
• Essi accolsero in pieno la ragione aperta all’assoluto
• e in essa innestarono la ricchezza proveniente dalla Rivelazione.
L’incontro non fu solo a livello di culture, delle quali l’una succube forse del
fascino dell’altra [. . . ] Oltrepassando il fine stesso verso cui inconsapevolmente
tendeva in forza della sua natura, la ragione poté raggiungere il sommo bene e
la somma verità nella persona del Verbo incarnato.
Dinanzi alle filosofie, i Padri non ebbero tuttavia timore di riconoscere
• tanto gli elementi comuni
• quanto le diversità che esse presentavano rispetto alla Rivelazione.
La coscienza delle convergenze non offuscava in loro il riconoscimento delle
differenze». [Fides et ratio, n. 41]
Con sant’Agostino, nel IV secolo cristiano, questa opera
di elaborazione e sistematizzazione teologica, fondata sulla
rielaborazione della tradizione platonica, raggiunge un vertice che
sarà un punto di riferimento per tutti i teologi successivi.
Tappa 4 - La scolastica: la teologia come scienza
Con la Scolastica,
e in particolare con sant’Alberto Magno
e specialmente san Tommaso d’Aquino
viene addirittura compiuta la fondazione e la messa a punto di una
* come scienza dimostrativa e totalmente sistematica
teologia
basata sulla rielaborazione della filosofia aristotelica
ma non senza includere alcuni elementi importanti della tradizione platonica
(soprattutto quelli provenienti dallo Pseudo-Dionigi),
come la dottrina della partecipazione.
«Più radicalmente, Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della
filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina.
La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida.
• Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento,
• così la fede suppone e perfeziona la ragione.
Quest’ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti
derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi
alla conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino.
Pur sottolineando con forza
• il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico
• non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza;
ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale
ragionevolezza.
La fede, infatti, è in qualche modo esercizio del pensiero;
la ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando
l’ assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta
libera e consapevole». [Fides et ratio, n. 43]
La chiave di volta, dal punto di vista logico-metafisico, di tutto il suo impianto
sistematico sta nella dottrina dell’ analogia-partecipazione che permette alla
ragione di compiere due grandi passi:
• anzitutto di riconoscere modi e gradi di perfezione differenziati
– nella realtà (ente),
– nella sua conoscibilità (vero),
– nel suo essere desiderabile e amabile (bene),
– nell’organicità del suo essere un tutto (uno);
• e insieme di elevarsi dall’esperienza dei gradi materiali e sensibili
dell’essere alla conoscenza, pur limitata, ma vera, dei livelli superiori non
immediatamente e adeguatamente conoscibili, ma neppure del tutto
inaccessibili.
E sembrano proprio questi i nodi verso i quali anche le scienze più avanzate
paiono oggi, pur se ancora timidamente, aspirare nella loro ricerca di
fondamenti.
SECONDA PARTE - La progressiva separazione
e contrapposizione di fede e ragione
Tappa 1 - Univocità e nominalismo: il ruolo esclusivo della matematica
Tappa 2 - La ricaduta della perdita dell’analogia sulla teologia
Tappa 3 - La contrapposizione di fede e ragione
Tappa 4 - La secolarizzazione della teologia e la rimozione
dei fondamenti filosofico-metafisici
Capitolo IV
Tappa 1 - Univocità e nominalismo: il ruolo esclusivo della matematica
Giunti al termine della costruzione dell’edificio delle grandi sintesi cristiane, la
ragione sembra mettersi a guardare dall’alto la sua abile e perfetta opera ed
essere tentata di compiacersi più di se stessa e della sua scienza, del suo
potere di dominare la verità più che di contemplarla.
Così, a partire proprio dal XIII secolo, dagli stessi contemporanei di san
Tommaso:
• si comincerà a comprendere sempre meno la lezione dell’analogia dell’ente
e del vero
• e, in nome di un maggior grado di certezza della conoscenza, ci si
concentrerà sempre di più sull’ univocità, più facile da comprendere, più
agevole da controllare.
Questo modo di procedere apparirà addirittura, ad alcuni, come un servizio alla
verità, anziché una limitazione, un miglioramento della scienza anziché un suo
impoverimento qualitativo.
Ma si tratterà di un potenziamento unilaterale di qualche aspetto della
razionalità, soprattutto di quella matematica, a scapito degli altri.
Tappa 2 - La ricaduta della perdita dell’analogia sulla teologia
La ricaduta sulla teologia, della perdita dell’analogia, si farà sentire prima
nell’univocità del pensiero protestante, poi nell’esasperazione quasi sofistica di
certa tarda scolastica e infine nella riduzione della stessa teologia a pura
narrazione.
«Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più
direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant’Alberto
Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la
filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e
le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di
ricerca.
A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si
trasformò progressivamente in una nefasta separazione». [Fides et ratio, n. 45]
Tappa 3 - La contrapposizione di fede e ragione, di teologia e filsoofia
Gradualmente quegli aspetti della razionalità, che prima era concepita
analogicamente, verranno a contrapporsi anziché integrarsi:
• ciò che prima era riconosciuto come, in certa misura, reale (l’universale)
• sarà considerato un puro nome (nominalismo).
Il sapere passerà, un po’ alla volta,
• da una struttura organica e analogica
• ad una struttura dialettica: contrapposizione in luogo della integrazione dei
diversi gradi di perfezione.
«A seguito di un eccessivo spirito razionalista, presente in alcuni pensatori, si
radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto a una filosofia separata e
assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede. Tra le altre
conseguenze di tale separazione vi fu anche quella di una diffidenza sempre più
forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una
sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per
screditarne ogni possibile riferimento razionale». [Fides et ratio, n. 45]
L’enciclica continua, poi, la sua lettura della storia del pensiero occidentale
riferendosi, allo sviluppo del pensiero filosofico e scientifico moderno e
contemporaneo fino ai nostri giorni.
«Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili, soprattutto nella storia
dell’Occidente.
• Non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno
si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana,
fino a raggiungere contrapposizioni esplicite.
• Nel secolo scorso, questo movimento ha toccato il suo apogeo. Alcuni
rappresentanti dell’ idealismo hanno cercato in diversi modi di
trasformare la fede e i suoi contenuti, perfino il mistero della morte e
risurrezione di Gesù Cristo, in strutture dialettiche razionalmente concepibili.
A questo pensiero si sono opposte diverse forme di umanesimo ateo, elaborate
filosoficamente, che hanno prospettato la fede come dannosa e alienante per lo
sviluppo della piena razionalità».
[Fides et ratio, n. 46]
Tappa 4 - La secolarizzazione della teologia
e la rimozione dei fondamenti filosofico-metafisici
A questo punto, ormai, il processo ha invertito la sua direzione: si cerca
• da un lato di estrapolare alcune categorie teologiche cristiane svincolandole
dalla Rivelazione (considerata come un supporto mitologico surrettizio) e
trapiantandole in sistemi filosofici non cristiani;
• dall’altro di rimuovere anche i fondamenti puramente filosofici che sono
serviti all’elaborazione di una teologia come scienza.
Questa operazione, tuttavia
• ha trascinato con sé anche elementi indispensabili alla ragione filosofica
come tale
• che si è gradualmente trovata senza un fondamento su cui basarsi per
poter procedere.
«Come conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, infine, il
nichilismo. Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare un suo fascino sui
nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa,
senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità.
Nell’interpretazione nichilista, l’esistenza è solo un’opportunità per sensazioni ed
esperienze in cui l’effimero ha il primato. Il nichilismo è all’origine di quella
diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più nessun impegno
definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio».
[Fides et ratio, n. 46]
E ancora:
«Non è da dimenticare, d’altra parte, che nella cultura moderna è venuto a
cambiare il ruolo stesso della filosofia. Da saggezza e sapere universale, essa si
è ridotta progressivamente a una delle tante province del sapere umano; per
alcuni aspetti, anzi, è stata limitata a un ruolo del tutto marginale. Altre forme di
razionalità si sono nel frattempo affermate con sempre maggior rilievo, ponendo
in evidenza la marginalità del sapere filosofico. Invece che verso la
contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita,
queste forme di razionalità sono orientate – o almeno orientabili – come “ragione
strumentale” al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere».
[Fides et ratio, n. 47]
Ai nostri giorni sembra essere ormai completa la parabola discendente e si apre,
come si è rilevato in precedenza, il problema di una
rimessa punto delle basi della razionalità
resa urgente
• sia dal punto di vista esterno alla razionaltià
(problema delle conseguenze socio-culturali sulla vivibilità della società)
• che da quello interno alla razionaltià
(problema dei fondamenti della conoscenza/scienza e della realtà).
La Rivelazione (TF - Capitolo I)
Dopo questa introduzione alla Teologia fondamentale ci occupiamo della prima
delle sue fonti (Rivelazione, Tradizione e Magistero), e cioè della Rivelazione.
I punti da affrontare sono riassunti nel già richiamato
Sommario
6. Livelli della rivelazione divina: cosmica e storica
7. Rapporto tra rivelazione incoativa e pienezza della rivelazione
8. Rapporto tra Rivelazione e Parola
9. Rapporto tra Rivelazione e storia
10. Diversità di espressioni della Parola divina: nel creato, nell’Alleanza,
sapienziale, profetica, in Cristo
11. Rapporto tra Rivelazione e verità
12. Rapporto tra Rivelazione e salvezza
13. Pienezza singolare e assoluta della autocomunicazione di Dio
agli uomini in Cristo
I - 6. Livelli della rivelazione divina: cosmica e storica
Se per Rivelazione,
• in senso proprio, la Teologia intende ciò che è stato rivelato esplicitamente
da Dio mediante la sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) in Cristo
(in vista di Lui, da parte di Lui e per suo mandato da parte degli Apostoli
ed Evangelisti),
• in senso analogico si può riconoscere anche una forma di rivelazione di Dio
attraverso il Creato, accessibile con l’esperienza sensibile e con la sola
umana ragione (e talvolta non senza l’aiuto della Grazia). Si parla in tal
caso di una rivelazione cosmica, che viene distinta dalla rivelazione storica.
Rivelazione cosmica
Il termine cosmica indica che essa si manifesta nel cosmo per il fatto che esso
• esiste
• ed è accessibile a tutti gli uomini in tutti i tempi.
Mentre il termine storica intende caratterizzare la Rivelazione come evento,
l’evento di Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto, che ha una collocazione
puntuale nella storia.
La rivelazione cosmica suscita nell’uomo:
• il senso religioso, come giudizio e sentimento personale e sociale
(culturale) che lo porta a ritenere che:
– esista un Creatore,
– un destino oltre la morte (culto dei morti),
– in taluni casi un giudizio dopo la morte,
– una provvidenza divina che induce a pregarlo (oranti),
– e talvolta la consapevolezza della disparità tra l’aspirazione dell’uomo
alla felicità e la sua condizione umana inadeguata (limiti, sofferenza,
morte, incoerenza) suscitando:
i) la percezione di uno stato di decadimento dovuto ad una colpa
primordiale (che la Bibbia spiegherà con il peccato originale),
ii) la speranza e l’apertura all’ attesa di una salvezza che restituisca
l’uomo a se stesso ristabilendo il giusto rapporto con Dio.
(«iustitia originalis», [Tommaso d’Aquino])
• il culto e la religione. Il senso religioso tende ad organizzare un culto
(rendere a Dio un atto di gratitudine per quanto ci ha dato, anche se
sproporzionato rispetto alla Sua dignità, ma corrispondente a tutto quanto
siamo in grado di fare con le nostre sole forze) divenendo una religione
codificata e istituzionalizzata.
• L’ apertura alla possibilità e il desiderio di una rivelazione esplicita (storica)
da parte di Dio, percepito nella rivelazione cosmica. Questo lo si può
riconoscere nel fatto che le religioni tendono ad individuare dei testi sacri
che ritengono in qualche modo rivelati, o almeno scritti per comando divino.
Questo non dimostra la necessità della rivelazione storica, ma
documenta l’attesa e la pensabilità di questa possibilità.
Macrocosmo
Orante
Microcosmo
• «Alla testimonianza che il mondo e le sue creature danno dell’esistenza di un
Creatore il Magistero dei due Concili Vaticani non aveva riservato, in senso
stretto, il termine rivelazione, avendo preferito impiegare termini come
manifestazione, attestazione, nonché, appunto, testimonianza.
• A partire dall’enciclica Fides et ratio (1998), e poi nel magistero ordinario di
Giovanni Paolo II, il termine rivelazione compare in modo più frequente.
• Dal punto di vista teologico-fondamentale non mancano motivi per considerare
il mondo creato come parte dell’economia globale della Rivelazione.
Vediamone alcuni:
— la creazione viene presentata dalla Scrittura come effetto della Parola di
Dio; così nel racconto della Genesi (cfr. Gen 1,3.6.9, ecc.) ed in vari luoghi
dei libri sapienziali: “Per mezzo della sua parola sono stati fatti i cieli, dal
soffio della sua bocca ogni loro schiera [...]. Egli parla e tutto è fatto,
comanda e tutto esiste” (Sal 32,6.9);
— la Scrittura menziona esplicitamente la possibilità di conoscere
l’esistenza di Dio partendo dalla considerazione delle cose create: cfr Sap
13,1-9; Rm 1,18-20; At 14,15-17; At 17,26-27;
— la creazione è capace di rivelare qualcosa [attributi divini] del suo autore,
perché la Scrittura invita gli uomini a dare gloria e lode a Dio attraverso la
contemplazione delle sue opere;
così il Sal 19: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani
annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte
alla notte ne trasmette notizia” (Sal 19,1-2);
analogamente in Sal 104, Gb cc. 38 e 39, Sir cc. 42 e 43, ls 40,25-26;
— infine il NT presenterà Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne e pienezza
delle Rivelazione, come Logos mediatore del piano creativo di Dio e senso
della creazione stessa: cfr. Gv 1,1-3; Col 1,1-18; 1Cor 8,6; Eb 1,2-3»
(TF, p. 67)
I - 7. Rapporto tra Rivelazione incoativa e pienezza della Rivelazione
La pienezza della Rivelazione si compie in Gesù Cristo:
• tutta la storia del popolo di Israele è orientata a Cristo
• e in essa si modifica il modo di intendere
– sia la religione
– che la rivelazione
correggendolo e purificandolo.
«Occorre ribadire anzitutto il carattere definitivo e completo della rivelazione di
Gesù Cristo. Deve essere, infatti, fermamente creduta l’affermazione che nel
mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è “la via, la verità e la vita”
(Gv 14,6), si dà la rivelazione della pienezza della verità divina: “Nessuno
conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e
colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27); “Dio nessuno l’ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18);
“È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in
lui parte alla sua pienezza” (Col 2,9,10)». (Dominus Iesus, n. 5)
I - 8. Rapporto tra Rivelazione e Parola
«La parola di Dio viene rivolta ai patriarchi, ad Abramo, a Mosé, ai profeti.
L’espressione dabar Jahvè compare 242 volte nell’AT. Il suo significato è più
ricco di quello del termine parola nelle lingue moderne: esso comprende
• sia l’aspetto noetico [conoscenza]
• che quello dinamico [azione]
La parola di Dio non comunica solo un contenuto, né soltanto informa: essa è
sempre anche una parola efficace che opera ciò che dice.
Istruttivo in proposito il noto passo di Isaia 55,10-11:
“Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza
avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il
seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia
bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e
senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”
che ammette anche una lettura alla luce del Verbo incarnato» (TF, p. 37)
Tutto questo sembra preparare remotamente quello che nella
prospettiva cristiana sarà il sacramento: segno efficace della
grazia che opera ciò che significa (cfr. CCC, n. 1131).
Il Concilio Vaticano II metterà in grande rilievo questo aspetto, per cui la
Rivelazione
• non si limita solo a dei contenuti (dottrina proposta al credente, che pure
rimane fondamentale e irrinunciabile)
• ma precisa che questi contenuti sono parte integrante
della stessa figura umana e personalità divina di Cristo.
«Il cambio di prospettiva più significativo è che la Rivelazione non viene più
discussa
• solo nel suo aspetto oggettivo di contenuto
• ma soprattutto nel suo aspetto personalista di auto-comunicazione del Dio
vivo all’uomo, per invitarlo a partecipare alla comunione trinitaria.
Così facendo, la nozione di Rivelazione riacquista un forte carattere
cristocentrico, capace di assicurare ed esplicitarne
• l’aspetto personalista
• il suo carattere storico
• e il suo contenuto eminentemente salvifico.
La risposta della fede a questa comunicazione divina non si muove solo sul
piano della conoscenza, ma su quello di tutta la persona, poiché sia la
Rivelazione divina che la risposta umana sono un rapporto da persona a
persona». (TF, p. 57)
«Circa la natura e oggetto della Rivelazione, il testo più significativo per densità
e contenuto è quello del n. 2 [della Dei Verbum]:
“Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il
mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo
fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi
della natura divina.
Con questa rivelazione infatti Dio invisibile per il suo immenso amore parla agli
uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli ed ammetterli alla
comunione con sé (ut eos ad societatem secum invitet in eamque suscipiat).
Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente
connessi (gestis verbisque intrinseca inter se connexis), in modo che le opere
compiute da Dio nella storia della salvezza manifestano e rafforzano la dottrina e
la realtà significate dalle parole (doctrinam et res verbis significatas), e le parole
dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto.
La profonda verità poi, sia di Dio, sia della salvezza degli uomini, per mezzo di
questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la
pienezza di tutta intera la rivelazione” (n. 2)». (TF, p. 57).
I - 9. Rapporto tra Rivelazione e storia
Con la storia del popolo di Israele si compiono in successione i grandi passaggi
che preparano e trasformano la religione naturale fino a preparla a divenire la
fede in Gesù Cristo unico Salvatore.
A questi passaggi corrispondono delle:
I - 10. Diversità di espressioni della Parola divina: nel creato, nell’Alleanza,
sapienziale, profetica, in Cristo
Possiamo riassumerli schematicamente così.
1. Dalla rivelazione cosmica all’Alleanza
«Con te [Noè] io stabilisco la mia Alleanza». (Gn 6,18)
«Quando l’esperienza religiosa del popolo di Israele viene posta per iscritto,
la rivelazione di un Dio come Creatore e la sua
conoscibilità attraverso le opere della creazione non è fra i primi contenuti
ad essere tematizzati o sviluppati». (TF, p. 68)
«Essa costituisce piuttosto una consapevolezza di fondo, qualcosa su cui si
riflette in genere a partire dall’Alleanza, dal significato che questa ha per
l’uomo, il cui peso nella formazione storica del popolo eletto è più grande di
quello avuto dalla rivelazione di un Dio che fosse anche Creatore.
Israele presuppone la comprensione del mondo in quanto creato e accede
ad una fede nella creazione quasi come conseguenza della sua fede nel
Dio liberatore, ricomprendendo così la creazione in relazione alla stessa
Alleanza.
Per la mentalità degli ebrei, la dipendenza totale del mondo da Dio non ha
bisogno di essere creduta, perché appartiene già al loro modo di pensare:
– Dio è il Creatore (cfr 2 Mac 1,24-25; Gdt 9,12). Tuttavia i rapporti fra
creazione ed Alleanza restano assai stretti.
– La fede in Dio creatore sostiene i momenti in cui l’Alleanza viene messa
alla prova da vicende storiche avverse e se il ruolo dell’Alleanza fu
determinante per la formazione religiosa di Israele, quello della fede in un
Dio creatore lo fu certamente per la formazione religiosa del genere umano
come tale, di cui la stessa sacra Scrittura è testimone, almeno
nell’immagine di Dio trasmessa da alcuni libri sapienziali (Giobbe, Proverbi,
Sapienza)». (TF, p. 68)
«Una corretta posizione della fede nella (o della rivelazione della) creazione
va valutata ricordando che l’affermazione che il Dio di Israele ha fatto il
cielo, la terra, il mare e tutte le cose che vi si trovano attraversa di fatto tutta
la Scrittura.
Essa è come un ritornello costante nelle sue pagine (cfr Es 20,11, Ne 9,6),
in particolare nel libro dei Salmi (cfr Sal 23,1-2; 88,12; 113,15; 146,6; ecc.).
Nel NT Gesù stesso utilizzerà questa medesima espressione per rivolgersi
al Padre: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra? (Mt 11,25,
ecc.)» (TF, p. 68).
«Nella storia delle religioni il caso di un’Alleanza fra un popolo monoteista e
la sua divinità suprema non ha precedenti al di fuori della religione di
Israele». (TF, p. 72).
«In senso generale, il termine Alleanza indica un patto bilaterale fra due
persone, stabile nel tempo, stipulato con un carattere di solennità davanti a
Dio e al popolo; nella sua prassi vi troviamo spesso un pasto comune, un
banchetto, associato ad un atto di culto, ovvero ad un sacrificio, che diviene
un modo per sanzionare il carattere sacro dell’Alleanza stessa». (TF, p. 73)
2. Noè - Alleanza/Benedizione
«Facendo astrazione dal primitivo rapporto con Dio dei nostri progenitori –
in qualche modo anch’esso riconducibile alla categoria dell’Alleanza è con
la figura di Noè che la Rivelazione introduce in modo più esplicito tale
categoria.
Nel contesto del nuovo ordine cosmico immediatamente successivo al
diluvio universale, l’ Alleanza di Dio con Noè assume il carattere di una
grande benedizione che sancirà la fedeltà del cosmo all’ordine stabilito da
Dio. Noè non è tuttavia chiamato a compiere specifiche promesse in tale
patto. L’idea che l’umanità non debba ora più percorrere i cammini della
corruzione e della malvagità, causa del castigo divino, resta però implicita in
tutto il contesto (cfr. Gen 9)» (TF, p. 75).
3. Abramo - Alleanza/Elezione
«E tuttavia con la vocazione di Abramo quando l’Alleanza si radica, e le sue
promesse e le sue esigenze si fanno progressivamente più esplicite.
L’Alleanza viene collegata alla sua elezione come capostipite di un grande
popolo». (TF, p. 75)
«Farò di te un grande popolo e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome». (Gn 12,2)
4. Mosè - Alleanza/Promessa
«Il contesto biblico più profondo e più solenne della rivelazione di Dio come
Dio dell’Alleanza è quello dell’Esodo.
Con la sua rivelazione a Mosè e la liberazione di Israele dalla schiavitù
dell’Egitto, le promesse divine progrediscono verso il loro compimento e si
collocano in continuità con i giuramenti fatti ad Abramo, Isacco, Giacobbe
(cfr Es 2,24; Lv 26,42).
Il contenuto dell’ Alleanza-promessa
– si arricchisce con l’impegno di introdurre Israele in una terra promessa
– e soprattutto, l’Alleanza viene associata alla consegna della Legge: gli
israeliti si impegneranno a vivere il Decalogo solennemente consegnato
da Iahvè, e Iahvè si impegnerà a spianar loro il cammino verso Canaan
(cfr Es cc. 19-24).
– L’Alleanza stipulata fra Dio e il suo popolo è ratificata dal banchetto
sacrificale della cena pasquale che precede l’uscita dall’Egitto (cfr.
Es 12,1-14) e, nel contesto della grande teofania che accompagna la
consegna della legge, da un pasto consumato sul monte Sinai (cfr.
Es 24,10-11)». (TF, p. 76)
«Così riepiloga il Deuteronomio il valore della legge nell’Alleanza sinaitica.
“Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore vostro Dio ha
ordinato di insegnarvi, perché le mettiate in pratica nel paese in cui state
per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore tuo Dio
osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo
figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così sia lunga la
tua vita. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice
e cresciate molto di numero nel paese dove scorre latte e miele, come il
Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto” (Dt 6,1-3).
La legge può considerarsi come figlia primogenita dell’Alleanza e resta
sostanzialmente legata a due dati basilari: l’amore su cui si fonda e la
santità verso cui indirizza». (TF, pp. 76-77)
5. Lo sviluppo storico - Davide e la sua discendenza
«Una volta consolidata la presenza di Israele nella terra promessa, David
diviene protagonista di un rinnovo dell’Alleanza di Iahvè con il popolo eletto
(cfr 2 Sam 7). Anche in questo caso risaltano i caratteri della gratuità, sia
per il modo con cui avviene l’elezione di David (cfr 1 Sam 16,10-12), sia per
la sproporzione fra ciò che David offrirà e ciò che Dio gli prometterà (cfr.
2 Sam 7,1-16)».
«A partire dal regno di David, le promesse-benedizioni divine si collegano
esplicitamente ad una dinastia, appunto quella di David. È la promessa di
un discendente/discendenza grazie al/ alla quale il regno di Israele non avrà
mai fine e sarà stabile per sempre. La rivelazione di Dio e la sua nuova
benedizione vengono poste in continuità con la liberazione dall’Egitto e la
costituzione di Israele come popolo di Dio (cfr 2 Sam 7,22-25)» (TF, p. 78).
6. I profeti - La promessa di una Alleanza nuova, interiore
«Con il ministero profetico di Geremia e di Ezechiele nel periodo dell’esilio
babilonese, torna alla ribalta il tema dell’Alleanza, ma questa volta con la
promessa di una Alleanza nuova, interiore, legata all’adempimento della
legge nel proprio animo ed al rinnovamento dei cuori (cfr Ger 31,31-33;
Ez 36,26-27).
Anche in questi contesti non mancano i caratteri della gratuità divina: è
Iahvè che scriverà questa legge nei cuori, è Iahvè che rimuoverà un cuore
di pietra per donare un cuore di carne ed infondere nei suoi eletti il suo
stesso Spirito». (TF, p. 78).
7. La tradizione sapienziale - Preghiera, condotta morale e grandi temi
«Attraverso la parola sapienziale, la Rivelazione divina pare giungere
all’uomo ed esprimersi secondo tre grandi ambiti.
– la rivelazione nella preghiera e per mezzo della preghiera,
– la rivelazione della condotta morale che occorre seguire per vivere in
pienezza la propria umanità, ovvero il progetto creatore di Dio nei
confronti dell’uomo
– la rivelazione delle risposte ai grandi temi della vita umana:
– la vita
– la morte
– il male, ecc.»
«La tradizione sapienziale va considerata come una modalità coerente ed
unitaria di trasmissione della Parola divina.
– Essa non si identifica con la legge e, almeno per una certa parte dei
libri in questione, vanta una antichità paragonabile a quella di altre
tradizioni storiche di Israele.
– Essa manifesta che la Parola di Dio può comprendersi anche prestando
ascolto alle cose. Tale ascolto necessita raccoglimento e riflessione,
anzi la parola stessa che viene ascoltata procede da tale riflessione».
(TF p. 79)
La letteratura sapienziale realizza una sorta di incontro tra
• rivelazione cosmica
• e rivelazione storica
e così sembra preparare il futuro incontro tra
• la Tradizione semitica
• e quella filosofica del mondo greco
in vista della sintesi cristiana.
«Alcuni testi importanti, che gettano ulteriore luce su questo argomento,
sono contenuti nel Libro della Sapienza.
In essi l’Autore sacro parla di Dio che si fa conoscere anche attraverso la
natura. Per gli antichi lo studio delle scienze naturali coincideva in gran
parte con il sapere filosofico. Dopo aver affermato che con la sua
intelligenza l’uomo è in grado di “comprendere la struttura del mondo e la
forza degli elementi [...] il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura
degli animali e l’istinto delle fiere” (Sap 7, 17.19-20), in una parola, che è
capace di filosofare, il testo sacro compie un passo in avanti di grande
rilievo.
Ricuperando il pensiero della filosofia greca, a cui sembra riferirsi in questo
contesto, l’Autore afferma che, proprio ragionando sulla natura, si può
risalire al Creatore: “Dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia
si conosce l’autore” (Sap 13, 5).
Viene quindi riconosciuto un primo stadio della Rivelazione divina, costituito
dal meraviglioso libro della natura, leggendo il quale, con gli strumenti
propri della ragione umana, si può giungere alla conoscenza del Creatore»
(Fides et ratio, n. 19).
«Quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture precedentemente
non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito
dall’inculturazione nel pensiero greco-latino.
Rifiutare una simile eredità
sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio,
che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia» (Fides
et ratio, n. 72).
8. Cristo compimento della Rivelazione
«La migliore introduzione alla centralità del Verbo incarnato nell’economia
di tutta la parola divina è rappresentata dal solenne Prologo del vangelo di
san Giovanni, letto alla luce delle sue risonanze veterotestamentarie:
Giovanni 1,1-18» (TF, p. 89)
«La centralità cristologica della Rivelazione è così esposta dalla Dei
Verbum:
“Dopo avere Iddio, a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei Profeti,
‘alla fine, nei nostri giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio’ (Eb 1,1-2)”.
“Mando infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno che illumina tutti gli uomini,
affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio (ut
intima Dei enarraret).
Gesù Cristo, dunque, Verbo fatto carne, mandato come uomo tra gli uomini,
parla le parole di Dio (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera della salvezza
affidatagli dal Padre.
Perciò Egli, vedendo il quale si vede il Padre, con il fatto stesso della sua
presenza e con la manifestazione di Sé, con le parole e con le opere, con i
segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua
resurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito Santo, compie e
completa la Rivelazione (Revelationem complendo perficit) e la corrobora
con a testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle
tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna.
L’economia cristiana, dunque, in quanto è Alleanza nuova e definitiva non
passerà mai e non è da aspettarsi nessun’altra rivelazione pubblica prima
della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” (n. 4)
«La Rivelazione divina ha nell’evento del Cristo la sua pienezza
• tanto nel modo di realizzarsi
• come nella portata del contenuto.
Cristo è la parola definitiva e più perfetta che Dio dirige all’umanità.
• Non soltanto perché, in quanto parola incarnata, è la parola più
condiscendente pronunciata da Dio in favore dell’uomo
• ma anche perché interpreta, decodifica e rivela il vero senso di ogni
altra parola pronunciata da Dio.
In Cristo, la parola divina trova
• non solo la sua pienezza noetica (cioè la più alta rivelazione del suo
contenuto concettuale)
• ma anche la sua pienezza ermeneutica (cioè la rivelazione del suo vero
significato e del suo senso).
Si tratta di una centralità che abbraccia tutto l’orizzonte storico-salvifico,
perché interessa tutte le grandi categorie della rivelazione biblica:
• dall’ elezione
• alla promessa
• dall’ Alleanza
• alla legge
• dalla creazione
• alla redenzione.
Questa singolarissima posizione del Cristo nell’economia della Rivelazione
fa sì che in lui si realizzi la logica di un universale concretum: una
conoscenza ed una salvezza normative, di carattere universale, si compiono
nella concretezza e nella cornice visibile di un evento storico determinato.
L’ineffabilità, l’inconoscibilità e l’universalità di Dio si concretano
misteriosamente nella storia e nel tempo nel mistero del Cristo. Ciò che per
il pensiero filosofico resterebbe un paradosso, cioè la coincidenza di
universale e di concreto diviene la legge fondamentale dell’economia della
Rivelazione» (TF, pp. 90)
Sintesi
– «La creazione sussiste in Cristo ed è stata fatta in vista di Cristo: la
manifestazione di Dio attraverso il cosmo è una certa preparazione
dell’incarnazione della parola divina, e quindi preparazione di Cristo;
– l’umanità di Cristo è pienezza della creazione, è la realtà creata più perfetta
e più rivelatrice della grandezza di Dio;
– in Cristo si rende già possibile la logica di una nuova creazione, che egli
inaugura e conduce misteriosamente al suo compimento escatologico
mediante la sua resurrezione gloriosa.
– la creazione, nel suo sviluppo storico, ha raggiunto nel mistero
dell’Incarnazione la sua pienezza dei tempi, il suo punto focale: a partire da
Cristo è possibile leggere il senso cui la storia tende, interpretare il suo
passato e comprendere la logica del suo futuro».
(TF, p. 91).
I - 11. Rpporto tra Rivelazione e verità
«Inoltre, i Padri sinodali hanno messo in evidenza come al tema dell’ ispirazione
sia connesso anche il tema della verità delle Scritture.
Per questo, un approfondimento della dinamica dell’ ispirazione porterà
indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità contenuta nei
libri sacri.
Come afferma la dottrina conciliare sul tema, i libri ispirati insegnano la verità:
“Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da
ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i
libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità,
che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere. Infatti,
‘tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e
formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per
ogni opera buona’ (2Tm 3,16-17gr.)” (Dei Verbum, n. 11)».
(Benedetto XVI, Verbum Domini, n. 19)
I - 12. Rapporto tra Rivelazione e salvezza
«Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i
decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, “per renderli
cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente
umana” (Dei Filius, cap. 2).
Il santo Concilio
• professa che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto
con certezza con il lume naturale dell’umana ragione a partire dalle cose
create” (cfr. Rm 1,20);
• ma insegna anche che è merito della Rivelazione divina se “tutto ciò che
nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla umana ragione, può,
anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti
facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza d’errore” (ibidem)».
(Dei Verbum, n. 6)
I - 13. Pienezza singolare e assoluta della autocomunicazione
di Dio agli uomini in Cristo
«È anche ricorrente la tesi che nega l’ unicità e l’universalità salvifica del mistero
di Gesù Cristo. Questa posizione non ha alcun fondamento biblico.
Infatti, deve essere fermamente creduta
• come dato perenne della fede della Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di
Dio,
• Signore e unico salvatore, che nel suo evento di incarnazione, morte e
risurrezione ha portato a compimento la storia della salvezza, che ha in lui
la sua pienezza e il suo centro.
Le testimonianze neotestamentarie lo attestano con chiarezza:
– “Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo” (1 Gv 4,14);
– “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29)».
(Dominus Iesus, n. 13)
– Nel suo discorso davanti al sinedrio, Pietro, per giustificare la guarigione
dell’uomo storpio fin dalla nascita, avvenuta nel nome di Gesù (cf. At 3,1-8),
proclama: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli
uomini sotto il cielo nel quale dobbiamo essere salvati” (At 4,12).
– Lo stesso apostolo aggiunge inoltre che Gesù Cristo “è il Signore di tutti”;
– “è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio”;
– per cui “chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo
del suo nome” (At 10,36.42.43).
– Paolo, rivolgendosi alla comunità di Corinto, scrive: “In realtà anche se ci
sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e
signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi
siamo per lui; e c’è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono
tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui” (1 Cor 8,5-6).
– Anche l’apostolo Giovanni afferma: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da
dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il
mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17)».
(Dominus Iesus, n. 13)
– «Nel Nuovo Testamento, la volontà salvifica universale di Dio viene
strettamente collegata all’unica mediazione di Cristo: “[Dio] vuole che tutti
gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo,
infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù,
che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,4-6)».
«Questo patrimonio di fede è stato riproposto dal recente Magistero della
Chiesa:
“Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto (cf. 2 Cor 5,15), dà
all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché egli possa rispondere alla
suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui
possano salvarsi (cf. At 4,12). Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e
Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana” (Gaudium et spes,
n. 10).
Deve essere, quindi, fermamente creduto come verità di fede cattolica che la
volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta e compiuta una volta per
sempre nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio».
(Dominus Iesus, nn. 13-14)