la cellula e la membrana cellulare in ecotossicologia e tossicologia

CAP.I
LA CELLULA
E LA MEMBRANA
CELLULARE IN
ECOTOSSICOLOGIA
E TOSSICOLOGIA
UMANA
1
Disclaimer: nello sviluppo del presente capitolo ci si è avvalsi, in parte, dei principi ottimamente
sviluppati dalle Prof.sse Giuliana Fassina e Paola Dorigo nel loro testo di Farmacologia Generale adattati e
modificati nel contesto del presente Corso di Ambiente e Salute per gli studenti della Laurea in Scienze
Ambientali.
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1.0.0.0.- Premesse
Un tossico xenobiotico, perché esplichi la sua azione sulla cellula, deve, prima di tutto
passare una barriera fondamentale che é rappresentata dalla membrana cellulare.
Non é, quindi inopportuna una revisione dei concetti relativi alla struttura della cellula e
della membrana citoplasmatica, in particolare. Vi sono, indubbiamente anche azioni esterne
alla membrana (azioni caustiche ecc.) ma, come concetto generale diremo che un tossico é
tale quando riesce a passare la membrana cellulare ed agire, successivamente sul materiale
endocellulare con inibizione di enzimi, alterazione di equilibri e/o, più drammaticamente,
incidere sul bagaglio genetico a livello del DNA.
Ne abbiamo già parlato in merito soprattutto al flusso di composti chimici attraverso la
membrana e alle leggi che governano tale flusso. É quindi importante esaminare un pò più il
dettaglio il ruolo e la struttura della membrana che riteniamo il punto cardine della
tossicodinamica di tutti i composti che agiscono sul citoplasma cellulare.
Il passaggio degli xenobiotici attraverso le membrane biologiche è funzione delle loro
caratteristiche chimico-fisiche, (dimensioni molecolari del xenobiotico, dalla sua solubilità in
acqua e nei lipidi, dal grado di ionizzazione e dalla relativa solubilità nei lipidi sia della forma
ionizzata che della forma non ionizzata) della dose di xenobiotico somministrato
iIn larga misura,poi, dipende dal grado e dalla velocità con cui lo xenobiotico viene
assorbito e poi distribuito ai tessuti, dal grado di legame con le proteine ematiche e tessutali,
dalla localizzazione dello xenobiotico a livello tessutale, dal grado e dalla velocità con cui lo
xenobiotico viene metabolizzato ed escreto.
Ora, assorbimento, distribuzione, biotrasformazione ed eliminazione degli
xenobiotici implicano il loro passaggio attraverso le membrane cellulari poiché gli
xenobiotici generalmente superano le diverse barriere organiche passando attraverso
le cellule e non tra le cellule.
Così, in definitiva, la membrana cellulare resta l'ostacolo comune a tutti i compartimenti
che lo xenobiotico attraversa nella sua distribuzione all'interno dell'organismo.
Più facile il superamento della membrana cellulare, più completo l'assorbimento
e ampia la distribuzione nell'organismo e viceversa.
Certamente non tutti gli xenobiotici superano le membrane cellulari con la stessa
velocità o con le stesse modalità. Ecco quindi l'importanza di conoscere il meccanismo con
cui lo xenobiotico le attraversa, poiché questo meccanismo condiziona la quantità di
xenobiotico che viene assorbita e distribuita.
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Fig. 1.1 Cellula animale e cellula vegetale
1.1.0.0.- La membrana cellulare
Le membrane biologiche delineano una frontiera, un confine tra organuli intracellulari e
citoplasma, tra cellula e cellula, tra cellula ed l’ambiente esterno. Assicurano inoltre il
mantenimento del contenuto intracellulare compatibile con le esigenze di lavoro e di vita della
cellula stessa o dei suoi costituenti grazie a precise e spesso specifiche proprietà di
permeabilità e capacità di trasporto di ioni e sostanze nutritive.
Queste ultime proprietà influenzano anche la distribuzione dei composti chimici fra lo
spazio extra ed intracellulare e tra citoplasma e strutture intracellulari. Le membrane
biologiche, quindi, non assolvono alla sola funzione meccanica di protezione della cellula o di
imitazione degli organuli subcellulari, ma sono implicate in molteplici attività fondamentali per
la cellula stessa come, ad esempio, il riconoscimento di materiale estraneo che è un
fenomeno dei processi immunitari.
La struttura delle membrane rappresenta il marchio d’identificazione della cellula, la
sua carta di identità. Membrane di cellule diverse posseggono strutture che le caratterizzano.
Grazie alla presenza di queste strutture specifiche, disposte alla superficie delle membrane,
ogni cellula viene riconosciuta dall'organismo o come propria, ed allora accettata, o come
estranea, ed allora essa determina la messa in opera di quei meccanismi di difesa di cui
l'organismo dispone.
Trattasi di meccanismi immunitari che, grazie a quella che viene chiamata risposta
immunitaria, assolvono il compito di neutralizzare ed eliminare tutto ciò che è estraneo
all'organismo ed, in quanto tale, possibilmente pericoloso, dannoso.
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La formazione e la conseguente specializzazione della membrana plasmatica
sono stati eventi determinanti per l’evoluzione della vita sulla Terra; infatti grazie alla sua
comparsa è cominciata la vera e propria costituzione di entità separate (cellule primordiali
senza alcuna organizzazione interna), capaci di operare una selezione altamente specifica
grazie alla funzione filtrante della membrana stessa.
Tutte le membrane hanno la stessa costituzione di base: un doppio strato lipidico
(bilayer) in cui sono immerse molecole proteiche, quasi sempre glicosilate, più o meno
complesse e voluminose che danno le caratteristiche di specificità funzionale alla membrana
stessa e alla quale sono legate tramite legami non covalenti.
Una struttura siffatta risulta intuitivamente ben definita dalla classica definizione di
“mosaico fluido” che ben rende conto delle fondamentali caratteristiche di dinamicità e
asimmetria di qualsiasi membrana.
Vediamo quindi di analizzare in dettaglio, seppur brevemente, le varie componenti e di
descrivere poi a sommi capi i meccanismi di trasporto attraverso la membrana per molecole
di piccole e grandi dimensioni.
1.1.1.0.- Struttura delle membrane biologiche.
Le membrane biologiche hanno di solito uno spessore variabile tra i 4.0 ed i 10.0 nm.
Sono composte essenzialmente da lipidi e proteine disposti in un modello estremamente
semplificato a formare una struttura trilaminare: una fascia esterna di natura proteica, una
fascia intermedia formata da uno strato lipidico bimolecolare ed una terza fascia, orientata
verso l'interno dell'ambiente cellulare, costituita ancora da materiale proteico. Su questa
distribuzione dei componenti sono stati elaborati diversi modelli di struttura delle membrane
cellulari di cui il più attuale è quello «a mosaico fluido».
In questo modello la continuità della membrana è data da uno strato bimolecolare di
fosfolipidi disposti in modo da orientare la parte apolare, (le catene idrocarboniose degli acidi
grassi che li costituiscono), verso la zona più interna della membrana (strato idrofobico) e la
parte polare, (le teste dei fosfolipidi costituite da glicerolo e basi organiche), verso l'ambiente
acquoso rispettivamente all'esterno e all'interno della membrana stessa.
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L'intelaiatura delle membrane cellulari è costituita da un doppio strato di lipidi le cui
teste idrofile formano le superfici interna ed esterna e le code idrofobe si uniscono al centro
della membrana; il doppio strato ha uno spessore di circa 4,5 nanometri.
Le proteine, che costituiscono gli altri componenti della membrana, possono essere di
due tipi. Alcune dette periferiche (a) sono disposte su entrambe le facce della membrana. Le
altre, dette integrali, penetrano nella membrana per un breve tratto (b) o, l'attraversano
completamente da sole o a coppie (e).
1.1.1.1.- Il doppio strato lipidico
Come si ricava dal nome, è una doppia sequenza in parallelo di molecole lipidiche
direzionate in modo preciso. Esso è la matrice di base della membrana oltre che la struttura
“portante” delle molecole proteiche, il cui buon funzionamento dipende in grandissima parte
dal mantenimento nel tempo e nello spazio delle caratteristiche proprie dei lipidi componenti.
Fig. 1.2 Il doppio strato lipidico della membrana cellulare.
La particolarità del doppio strato lipidico che subito risalta è il carattere anfipatico: i
lipidi sono costretti quindi a disporsi sempre e soltanto secondo una certa direzione, l’uno
rispetto all’altro sia nello stesso monostrato, sia nel bilayer, il che ha una ragione d’essere in
quanto rende conto di una struttura avente il minor contenuto in energia libera tra le possibili.
Ne deriva che la membrana grazie ai propri lipidi possiede le fondamentali proprietà di
autoaggregazione e autosigillazione. I lipidi che si rintracciano normalmente in una
membrana cellulare sono riconducibili a tre tipi: i fosfolipidi, il colesterolo ed i glicolipidi.
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Fig. 1.3 - Rappresentazione schematica della struttura di una membrana
biologica.
Nella fig.1.3 sono indicate con GP le glicoproteine nella superficie esterna della
membrana; catene disaccaridiche e oligosaccaridi che con residui terminali di acido sialico si
proiettano nello spazio intercellulare. G: gangliosidi sulla superficie esterna che proiettano
nello strato lipidico della membrana una catena a due atomi di carbonio e nello spazio
intercellulare danno origine a una porzione idrofilica contenente residui di acido sialico. MP"
monostrato proteico nella superficie esterna ed interna della membrana.
Le catene polipeptidiche si arrotolano in una caratteristica formazione ad elica. Gli
aminoacidi polari si trovano in superficie mentre gli aminoacidi idrofobici penetrano la regione
non-polare dello strato lipidico. Si possono vedere proteine che penetrano parzialmente nella
compagine lipidica e in un punto (al centro) vi è una proteina che attraversa in linea retta
l'intera zona lipidica. T: teste polari dei fosfolipidi. GL: glicerolo.CI: code idrocarburiche dei
fosfolipidi. Le code idrocarburiche possono essere costituite da acidi grassi saturi o insaturi;
queste ultime, più mobili, possono perdere il loro allineamento ordinato in seno alla
compagine lipidica. LL: strato lipidico bimolecolare costituito da fosfolipidi e colesterolo (il
nucleo steroidico è raffigurato in seno alla matrice lipidica). Il monostrato proteico (MP) e il
doppio strato lipidico (LL) costituiscono l'unità strutturale della membrana.
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I fosfolipidi sono molecole lipidiche caratterizzate dalla presenza di un gruppo fosfato
variamente sostituito (residui tipici sono: la colina e la serina- presenti rispettivamente
sempre e solo sulla faccia esterna ed interna della membrana -, l’etanolammina, l’inosotolo).
Tale fosfato è esterificato ad una molecola di glicerolo, a sua volta portante, sempre in
legame estereo, due molecole di acido grasso, in catena carboniosa da 14 a 24 atomi, di cui
uno saturo ed uno insaturo (in conformazione cis), che porta alla formazione di una tipica
“piega” nella struttura complessiva, avente funzione di ostacolarne l’impacchettamento.
I doppi legami sono importanti perché esaltano la fluidità del doppio strato lipidico, oltre
al fatto di contribuire ad abbassare la temperatura di congelamento della struttura.
Il residuo, il fosfato ed il glicerolo formano la cosiddetta testa idrofila (polare) del
fosfolipide, posizionata sempre verso l’esterno del bilayer, cioè esposta verso la faccia
esterna o interna della membrana, ma mai nell’interno del doppio strato lipidico. I due acidi
grassi formano invece la coda idrofoba (apolare) del fosfolipide, racchiusa sempre nella parte
interna della membrana.
Stando ferme queste condizioni, i fosfolipidi sono comunque in grado di subire dei
cambiamenti di posizione (movimenti accessibili), quali la diffusione laterale su di uno
stesso monostrato (circa 10 volte al secondo), la rotazione rispetto al gruppo fosfato, la
flessione delle code idrocarburiche e più raramente (all’incirca 1 volta ogni due settimane) il
cosiddetto flip-flop, cioè il passaggio da un monostrato all’altro. É importante valutare
appieno questi eventi per capire pienamente la definizione che si dà alla membrana di
“mosaico fluido”.
Il colesterolo, molecola caratterizzata dalla struttura ciclica centrale dello steroide,
piana e rigida, nella quale si individuano da un alto un gruppo di testa polare (residuo
idrossilico) e dall’altro un gruppo di coda idrocarburico apolare si inserisce tra i fosfolipidi (in
genere secondo un rapporto di circa 1 a 1) in modo direzionato ed esalta la stabilità
meccanica della membrana, regolandone al tempo stesso la fluidità.
I glicolipidi sono molecole composte da due acidi grassi esterificati ad una catena
variamente diramantesi (in toto da 1 a 15 zuccheri) di gruppi glucidici di diverso tipo. Sono
presenti soltanto sulla faccia esterna (circa il 5% dei lipidi totali) della membrana e quindi
contribuiscono in modo precipuo alla sua asimmetria.
Si distinguono in neutri e aventi carica: i primi, detti anche glicosfingolipidi, codificano
le differenze fra specie, fra individui della stessa specie e tra cellule dello stesso organismo,
fungendo quindi da marcatori cellulari; gli altri, detti gangliosidi, recano residui di acido
sialico (che è carico negativamente) e sono presenti in particolare a livello di neuroni (ne
costituiscono il 6% in massa).
Se genericamente si dice che il doppio strato lipidico è un “solvente” per le molecole
proteiche, risulta anche vero dalla breve descrizione delle caratteristiche proprie dei suoi
componenti che esso forma per le stesse l’ambiente funzionale più appropriato.
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Il bilayer lipidico che compone la membrana è per sua natura idrofobo: le sue
caratteristiche chimico-fisiche quindi, da sole, contribuiscono ad una selezione di base nei
confronti di tutte le molecole polari, anche se piccole. Certo il fatto di avere piccole
dimensioni favorisce il passaggio attraverso il doppio strato, ma sono le caratteristiche di
idrofobicità(filia) che fanno la differenza.
1.1.1.2.- Le proteine
La qualità e la quantità di molecole proteiche presenti in un doppio strato lipidico
determinano in modo univoco la funzionalità della membrana stessa.
Esse genericamente si suddividono in proteine periferiche, quando sono posizionate
in uno dei monostrati, e transmembrana, quando invece estrudono da una parte all’altra del
bilayer lipidico. Interessanti sono soprattutto queste ultime.
Nelle proteine transmembrana si individuano (prendendo come riferimento il
bilayer) una parte idrofila rivolta verso l’esterno ed una parte idrofoba verso l’interno, in modo
da assicurare la massima interazione con la componente lipidica della membrana stessa e
quindi la massima stabilità alla molecola, il che risulta naturalmente in una migliore
funzionalità (si ricordi infatti che una membrana il cui assetto lipidico sia alterato, funzionerà
pure in modo anomalo o parziale!).
Per lo stesso motivo, poi, si tratta in genere di strutture peptidiche ad α-elica o a βfoglietto, proprio perchè queste sono le strutture secondarie che assicurano il maggior
numero di legami idrogeno tra peptidi.
Una ulteriore suddivisione che si tende a fare tra le transmembrana è quella
basata sulla forma, per cui si riconoscono proteine bastoncellari, che sono in genere
recettori e marcatori cellulari, e proteine globulari, che fungono in genere da canali
proteici.
L’aver posto l’attenzione sulla necessità di mantenere una buona stabilità del
materiale proteico all’interno del bilayer lipidico, non deve creare confusione rispetto ad un
altro concetto fondamentale: la capacità cioè delle molecole proteiche di muoversi nello
stesso. Si pensi ad esempio per assurdo che cosa potrebbe significare per un sistema
enzimatico funzionante “a cascata” la non-fluidità della membrana.
Lipidi e proteine hanno una notevole libertà di movimento per quanto riguarda la
diffusione laterale in seno al doppio strato fosfolipidico. Un preciso grado di fluidità è molto
importante per il corretto funzionamento della membrana e per la sopravvivenza della cellula.
Infatti, è stato dimostrato che una membrana non assolve più alle sue funzioni biologiche
quando i lipidi sono presenti in forma rigida e compatta, come succede per l'esposizione delle
membrane alle basse temperature. D'altro canto un'eccessiva fluidità, quale quella che si può
avere alle alte temperature, comporta drammatici cambiamenti nella permeabilità della
membrana, che perde così ogni sua selettività, comportandosi come un sistema instabile in
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cui la funzionalità di gran parte delle proteine viene certamente compromessa. Un opportuno
grado di fluidità è pertanto indispensabile affinchè, a livello delle membrane biologiche, si
possano attuare importantissimi processi biochimici essenziali per la vita, quali reazioni
enzimatiche, processi di trasporto e la respirazione cellulare.
Le proteine inglobate meno profondamente nel doppio foglietto lipidico possono servire
alle interazioni delle membrane con l'esterno: con gli ormoni, con i neurotrasmettitori, con gli
autacoidi o con altre sostanze presenti in circolo (ad es. gli xenobiotici) che, combinandosi
con queste proteine più superficiali, meno profondamente inglobate nella struttura
membranosa, danno origine al trasferimento d’informazioni all'interno dell'ambiente cellulare.
Fig.1.4 Dislocazione delle proteine sulla membrana
L'interazione dell'agente esterno con il proprio recettore conduce ad alterazioni della
componente proteica o lipidica della membrana (o di entrambe) che possono ripercuotersi in
variazioni di attività di enzimi o di trasportatori o di altro. Tutti questi fenomeni sono resi
possibili dalla fluidità della componente lipidica della membrana.
Le proteine che invece attraversano l'intera compagine della membrana servono a fare
da ponte attraverso lo strato lipidico e possono permettere il passaggio di molecole che
altrimenti non varcherebbero la barriera idrofobica della membrana stessa. Alcune proteine
delimitano delle zone idrofile, dei canali attraverso cui fluiscono acqua, ioni e molecole idrofile
di piccole dimensioni come l'urea e l'alcool. La rigidità e la pervietà del canale dipendono
dalla fluidità della componente lipidica della membrana. Altre proteine esplicano la funzione
di trasportatori. I trasportatori possono oscillare dall'esterno all'interno.
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1.1.1.3.- I carboidrati
I glucidi presenti si trovano soltanto sul monostrato lipidico esterno della
membrana contribuendo alle caratteristiche di asimmetria. Si individuano come catene
laterali attaccate ai protidi o ai lipidi e si differenziano perciò in:
- glicoproteine (che sono la quasi totale maggioranza delle proteine totali di
membrana), caratterizzate dalla presenza di più catene glucidiche variamente differenziate
per qualità e quantità,
- glicolipidi (che sono circa 1 su 10 dei lipidi totali esterni), caratterizzati dalla
presenza di una sola catena glucidica.
Nel loro complesso i carboidrati formano uno strato esterno alla membrana
(ed alla cellula in toto) che viene chiamato in vario modo (rivestimento, mantello cellulare,
glicocalice; ben evidenziabile con una colorazione al rosso rutenio). Le funzioni di tali catene
glucidiche sono molteplici: ancorare le proteine e orientarle nella membrana; stabilizzarle,
soprattutto se di tipo periferico; svolgere funzione di riconoscimento inter/intracellulare,
funzionando da veri e propri marker.
Per il riconoscimento e, quindi, l’autorizzazione all’entrata dello xenobiotico, alla
superficie della membrana sono dislocati dei recettori specifici
atti a riconoscere e ad
interagire con determinati ormoni o neurotrasmettitori presenti nei liquidi biologici e che
rappresentano per la cellula dei messaggeri dell'ambiente esterno.
Fig.1.5 A sx: una proteina parzialmente immersa nel doppio strato lipidico
recepisce i messaggi dall’esterno, portati da ormoni e li trasmette a proteine
messaggeri all’interno. A dx; un dimero glicoproteico si proietta all’esterno della
membrana; nello stesso tempo una proteina cilindrica penetra all’interno della
membrana e si espande nello spazio intracellulare. La proteina esterna riconosce il
messaggero ed attiva la funzione catalitica dell’enzima di riferimento per lo
xenobiotico della parte interna.
A seconda del tessuto considerato, il messaggio ormonale o neuroumorale
trasmesso in sede intracellulare con la formazione di AMP ciclico si concreterà poi nella
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risposta biologica finale che sarà di natura fisiologica o metabolica in funzione delle
proteine.
Grazie ai movimenti d’oscillazione o di rotazione della proteina, resi possibile dalla
fluidità della membrana, la sostanza da trasportare, captata da uno specifico sito di legame,
viene trasferita dalla parte opposta della membrana e qui rilasciata. Tali trasportatori sono
deputati a trasferire molecole che da sole non potrebbero attraversare la membrana stessa.
Ne è esempio il glucosio, molecola estremamente idrofila che difficilmente potrebbe
allontanarsi dal solvente acquoso dell'ambiente extracellulare per entrare in una fase lipidica.
Le membrane biologiche costituiscono una barriera che non è superabile da tutti gli
xenobiotici. Essa ha una parte proteica ed una parte lipidica, in cui prevale la presenza di
fosfolipidi. Ai fini del trasferimento di materiale dall'esterno all'interno e viceversa si comporta
essenzialmente come una barriera lipidica.
Uno xenobiotico liposolubile supererà la barriera in grado proporzionale alla sua affinità
per i lipidi. Uno xenobiotico idrosolubile verrà respinto, a meno che non abbia un diametro
molecolare così ridotto (non superiore ai 4 A) da riuscire a passare sfruttando zone idrofile
della membrana. In ogni caso la struttura della membrana è tale che la sua permeabilità
differisce nei confronti di diversi ioni e molecole. Per ogni data membrana ci sono sostanze
che non passano affatto, altre che passano con un preciso meccanismo ed in genere tanto
più rapidamente quanto più sono liposolubili.
1.2.0.0.- Il passaggio degli xenobiotici attraverso le membrane biologiche.
Il motivo fondamentale per la necessità di studiare accuratamente la membrana
cellulare in ecotossicologia e tossicologia umana è che la membrana è il porto d’ingresso nel
sistema biologico animale ed umano per cui, se non si verifica il passaggio di membrana, non
ha senso parlare di tossicità. Conoscendo il comportamento della membrana nei confronti di
vari composti chimici, è possibile prevedere il destino di uno stressore chimico che arrivi a
contatto con essa.
Come prima indicazione orientativa si può dire che i requisiti fondamentali affinché un
xenobiotico venga ripartito a livello della membrana sono la sua idrosolubilità che consente
ch'esso sia in soluzione nei liquidi biologici, le sue dimensioni molecolari
che ne
condizionano il passaggio mediante particolari meccanismi di trasporto presenti nelle
membrane, ed infine la sua liposolubilità, che ne consente l'assorbimento per diffusione.
Gli xenobiotici non ionizzati sono liposolubili e diffusibili. Gli xenobiotici ionizzati sono
insolubili nei lipidi e non diffusibili meno che non possano usufruire di particolari meccanismi
di trasporto. Il grado di ionizzazione dipende dal pH, perciò, modificando il pH possiamo
influenzare l'assorbimento o l'eliminazione di un dato xenobiotico.
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Analizziamo, ora, con maggior dettaglio i principali processi mediante i quali i composti
xenobiotici passano la membrana cellulare. É chiaro che i processi si riferiscono a qualunque
composto chimico che si presenti con un certo gradiente di concentrazione a livello della
membrana cellulare e che venga riconosciuto, in ogni caso, come composto ricco di legami
energetici riutilizzabili e di atomi adatti ad un uso plastico (costruzione delle unità cellulari).
Nel nostro caso, trattando d’ambiente e salute, la considerazione sarà fatta per gli
xenobiotici ma la trattazione è, chiaramente, identica nel caso di un farmaco, di un nutriente
o, infine, di qualsiasi composto chimico.
1.2.1.0.- Fenomeni di trasporto
Il trasporto di uno xenobiotico atrraverso la membrana cellulare deve essere sempre
riferito all’energia. Questo vuol dire che anche il passaggio di materia transmembrana si
realizzerà solo se il livello energetico per il composto che trasmigra sarà, all’esterno della
membrana, superiore a quello che lo stesso composto ha nel citosol ossia all’interno della
cellula. La fugacità del composto o dei composti nel liquido che permea la membrana
all’esterno sarà superiore a quella interna (sommata alle resistenze di membrana). Per
raggiungere le condizioni di minima energia del sistema il composto passerà all’interno fino a
che le energie si bilanceranno (energia esterna = energia interna+ resistenze).
Ci si trova, quindi, anche nel caso del sistema fluido esterno-membrana strato
lipidico esterno- membrana strato lipidico interno-fluido interno di fronte ad un processi
di ripartizione tra due fasi: fluido esterno (comparto A) e fluido interno (comparto B), separati
da una interfaccia (attiva), la membrana cellulare. Se lo xenobiotico arriva alla membrana
(interfaccia), con una certa concentrazione (fugacità), al tempo zero è la massima possibile
poiché nell’interno della cellula lo xenobiotico non é presente (f=0). La condizione, ora, è
energeticamente inaccettabile poiché corrisponde a quella di uno squilibrio assai elevato.
Per tentare di raggiungere l’equilibrio, il sistema, deve “assestarsi”, spostando, in
funzione delle due diverse fugacità, moli di xenobiotico dal comparto A al comparto B.
In questa fase la massa del composto “fluisce” secondo un processo continuo.
Poiché, infatti, natura non facit saltus, il flusso di materia seguirà criteri quantitativi continui
definiti dalla differenza di fugacità e, in termini fenomenologici, dalla differenza in
concentrazione tra i due comparti.
Questo processo viene espresso dalla 1a legge di Fick.
Per chiarire le idee, supponiamo di introdurre una goccia di arancio di metile all’inizio di
un tubo pieno di acqua. L’osservazione dice che il colorante diffonde progressivamente fino a
che tutta l’acqua é colorata.
Peraltro, al tempo t = 0, la concentrazione del colorante nello strato infinitesimo iniziale
del tubo d’acqua é uguale alla concentrazione totale del colorante stesso ossia C = C0; man
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mano che passa il tempo, la colorazione del resto del tubo d’acqua assume progressivamente
colore sempre più intenso fino a che non si distingue differenza di colore tra le singole
sezioni. In questo momento non vi é, quindi, più passaggio di colorante o flusso di colorante
attraverso le sezioni del tubo d’acqua: abbiamo raggiunto una condizione d’equilibrio.
L’interpretazione termodinamica dice che al tempo zero la fugacità del colorante nella goccia
era elevatissima e zero nell’acqua circostante. Per arrivare all’equilibrio (Minima energia del
sistema e fugacità eguale per ogni goccia di colorante), ogni molecola di colorante doveva
diffondere fino a distanza infinita dalle proprie consorelle.
La stessa cosa succede a livello dell’interfaccia di una membrana biologica.
Se misuriamo, durante la fase dinamica, il flusso dello xenobiotico secondo l’asse x
(in unità di massa per unità d’area e per unità di tempo), possiamo esprimere la relazione tra il
flusso e la concentrazione esterna in:
Fx = −D dC a
dx
con dC/dx = al gradiente di concentrazione (fugacità) del composto in esame, D =
coefficiente di diffusione molecolare e a la sezione attraverso cui si valuta il flusso. Di solito a
è considerata unitaria e quindi non compare nella relazione usuale di Fick. D é tipico per lo
xenobiotico considerato e per il comparto in cui il composto diffonde. D é espresso in m2 s-1;
poiché la concentrazione C é espressa in moli m-3, il flusso F é espresso in moli m-2 s-1.
La relazione che esprime il flusso F é nota come la 1a legge
di Fick ed é una
espressione di leggi simili (conducibilità del calore, conducibilità elettrica ecc.) ove un
gradiente (dC/dx) é il motore che determina un flusso (F) di materia od energia attraverso
una interfaccia che provoca una resistenza (in realtà la somma di più resistenze date dalle
interazioni molecolari tra i vari composti in gioco) espressa globalmente dal coefficiente D.
D, coefficiente di diffusione, é misurato come rapporto tra superficie e tempo (m2 s1
) ed è un parametro che varia in dipendenza del tipo specifico di matrice (non è quindi un
parametro “esportabile”!), con la temperatura del mezzo e ovviamente con le
caratteristiche chimico-fisiche e la concentrazione della sostanza di cui si sta valutando la
mobilità; esso esprime in un certo senso la resistenza offerta dal mezzo o dalla matrice al
passaggio e quindi al trasporto di quel determinato composto;
C è la concentrazione della specie diffondente, generalmente misurata in moli m-3;
x rappresenta la distanza dalla sorgente o dal punto di massima concentrazione,
normalmente misurata in metri lineari;
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dC/dx, quindi, quantifica il gradiente di concentrazione, ovvero la variazione della
concentrazione C della specie diffondente nel mezzo lungo una prefissata direzione e
secondo un determinato verso al variare della distanza x; viene posto per convenzione il
segno meno per indicare che la diffusione netta avviene verso regioni del sistema a
concentrazioni sempre minori (ricordare il principio della fugacità)
F, con tali unità di misura, viene espresso in moli m-2s-1.
É chiaro, a questo punto, che la membrana plasmatica funge da barriera di
delimitazione tra una qualsiasi cellula e tutto ciò che sta al di fuori di essa.
La sua specializzazione però non finisce qui; essa funge anche da filtro selettivo,
nel senso che non si limita ad essere un ostacolo passivo, ma possiede per sue intrinseche
caratteristiche la capacità di "lasciare passare" e/o trasportare le molecole necessarie alla
cellula o, in direzione opposta, quelle di cui la cellula non necessita più, o ne fa richiesta
all'esterno.
Genericamente, si possono riconoscere due diversi tipi di fenomeni di trasporto,
quelli concernenti le molecole di piccole dimensioni e quelli che riguardano molecole di
grossa mole o insiemi di piccole molecole che vengono rilasciate in grande quantità.
Infine, considereremo un caso particolare, quello dei metalli pesanti, per l’importanza sempre
crescente del loro ruolo ecotossicologico ed ecologico nei fenomeni di tossicità ambientale
ed umana.
Potremo dividere i processi di trasporto in due blocchi: processi entropici e processi
sintropici. I primi sono dovuti a differenze di fugacità ai due fronti della membrana ed i
processi di trasporto si verificano senza apporto di energia dal sistema; nel secondo caso
necessita energia prodotta attraverso il metabolismo cellulare.
1.2.1.1.0.- Trasporto di grandi molecole.
1.2.1.1.1.- Processi entropici: i processo passivi
Il fenomeno del trasporto passivo viene, a sua volta, genericamente suddiviso in:
- diffusione semplice (a cui si è accennato sopra), che può essere normale, cioè
nient’altro che una diffusione, oppure con proteina canale, nel caso in cui serva comunque
creare un ambiente adatto per caratteristiche di polarità a che la molecola passi nello
spessore della membrana;
- diffusione facilitata, quando il passaggio è favorito da proteine vettrici, che
utilizzano a tale scopo il gradiente chimico, cioè la differenza di concentrazione tra una faccia
e l'altra della membrana della molecola da trasportare, e/o il gradiente elettrico, cioè la
differenza di carica elettrica esistente tra l'interno (negativo) e l'esterno (positivo) della
membrana [si tenga comunque presente che anche questa situazione non è casuale, ma
deriva a sua volta, principalmente, dall'azione di due proteine di trasporto che continuamente
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"lavorano" affinché il gradiente elettrochimico non decada, in quanto verrebbe meno il
cosiddetto potenziale di membrana assolutamente necessario alla vita della cellula].
Fig.1.6 Attivazione di un canale proteico da parte di uno xenobiotico che facilita,
così, il passaggio di ioni dall’esterno all’interno della cellula.
Non a caso, quindi, la diffusione semplice attraverso la membrana, il più immediato di
tutti i tipi di scambio fra l'esterno e l'interno della cellula, chiama in causa soltanto molecole
come l'ossigeno (O2), molecola piccola, simmetrica e idrofoba; l'anidride carbonica (CO2) che
è polare ma neutra; l'acqua (H2O) che con le sue caratteristiche di dipolo riesce ad
"incunearsi" tra i lipidi sfruttando di volta in volta le regioni con minore o maggiore polarità.
All'opposto, in tutti gli altri casi, si ha a che fare con una diffusione mediata, in cui
lo scambio è reso possibile solo grazie alla presenza di particolari componenti di membrana
che fungono o da canale o da veri e propri vettori.
16
Fig. 1.7 Schema di struttura di membrana e ipotetico meccanismo di trasporto.
Si ritiene che esistano sulla membrana dei «pori» o degli equivalenti funzionali degli
stessi. Il poro è rappresentato da una cavità interna ad una proteina la quale si estende
da parte a parte della membrana. Questo canale, di natura idrofilica, offrirebbe a
molecole idrosolubili un ponte di passaggio attraverso lo strato fosfolipidico.
É forse quest'ultimo il caso più interessante, in quanto chiama in causa le proteine
vettrici che sono per la maggior parte degli enzimi associati alla membrana.
Una molecola che deve essere introdotta nella cellula (o essere espulsa dalla
stessa) può compiere il passaggio come singola entità (uniporto) o insieme ad altre
molecole (cotrasporto), che possono a loro volta procedere nella stessa direzione
(simporto) o lungo la direttrice opposta (antiporto).
Un esempio di cotrasporto come simporto è quello che avviene nelle cellule batteriche,
che introducono contemporaneamente una molecola di glucosio con uno ione idrogeno (H+);
il cotrasporto come antiporto invece si osserva in tutte le cellule eucariotiche a livello della
pompa Na+-K+ ATPasi, in cui per ogni tre ioni Na+ che escono, due di K+ entrano.
La differenza sostanziale tra i vari sistemi di scambio consiste però nella necessità
o meno che avvenga uno dispendio energetico perchè lo scambio stesso abbia luogo. Si
parla allora di trasporto passivo, quando non entrano in gioco meccanismi energetici; di
trasporto attivo, nel caso contrario.
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Dobbiamo qui distinguere la diffusione per convezione (filtrazione), dalla diffusione
semplice attraverso i lipidi (diffusione passiva).
1.2.1.1.2.- Processi entropici: diffusione per convezione
Avviene attraverso zone idrofile della membrana chiamate canali e viene chiamata
anche filtrazione poiché implica il passaggio di un notevole volume di acqua, come
conseguenza di differenze di pressione idrostatica od osmotica attraverso la membrana. Il
volume di acqua che fluisce attraverso il canale trascina con sé qualunque molecola
idrosolubile di dimensioni molecolari sufficientemente piccole da passare attraverso il canale
stesso. La filtrazione è regolata allora da differenze di pressione idrostatica od osmotica ed
avviene secondo gradiente osmotico. La filtrazione è il meccanismo che più comunemente
trasferisce molte sostanze idrosolubili polari e non polari, purché di piccole dimensioni.
La grandezza dei canali differisce nelle varie parti dell'organismo. Le cellule endoteliali
dei capillari hanno canali larghi (40 A) attraverso i quali possono passare molecole così
voluminose come l'albumina (PM = 67.000). Queste molecole possono cioè trasferirsi, se pur
in grado limitato, dal plasma ai fluidi extracellulari. Di contro, i canali delle membrane dei
globuli rossi, dell'epitelio intestinale, e di molte altre membrane, non sono superiori ai 4 A di
diametro e perciò permettono il passaggio solo di acqua, di urea, alcool ed altre piccole
molecole idrosolubili.
Tali sostanze generalmente non attraversano i canali delle membrane cellulari se il loro
peso molecolare è superiore a 100-200. La membrana glomerulare è un tipico esempio di
membrana filtrante.
Molti ioni inorganici sono sufficientemente piccoli da passare attraverso i canali delle
membrane biologiche, ma il loro gradiente di concentrazione è generalmente determinato dal
potenziale di transmembrana (ad esempio per il Cl-) o dal trasporto attivo (ad esempio nel
caso del Na+ e del K+).
Benché non sia nota la natura dei componenti della membrana implicati in questo
trasferimento, la pervietà del canale e la velocità del passaggio dipende dalla quantità di acidi
grassi insaturi e di colesterolo presenti entro la struttura della membrana.
1.2.1.1.1.1.- Processi entropici: diffusione attraverso i lipidi.
Il processo avviene attraverso la fase lipidica della membrana ove transitano solo
sostanze liposolubili. Questo trasferimento è direttamente proporzionale alla grandezza del
gradiente di concentrazione attraverso la membrana e al coefficiente di ripartizione lipidiacqua del xenobiotico.
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Più elevato il coefficiente di ripartizione, più elevata la concentrazione di xenobiotico
nella membrana e più veloce la sua diffusione. Ad equilibrio raggiunto, la concentrazione di
xenobiotico libero è la stessa da entrambi i lati della membrana, qualora lo xenobiotico non
sia un elettrolita. Per tutti i composti ionici, invece, le concentrazioni all'equilibrio
dipenderanno dalla differenza di pH attraverso le membrane, che può influenzare lo stato di
ionizzazione della molecola da ciascun lato della stessa, dal gradiente elettrico per lo ione.
In definitiva, per quanto concerne la diffusione semplice, la membrana si comporta
come una lamina lipidica attorniata all'esterno e i all'interno dall'acqua, cosicché tre sono le
barriere da superare: una lipidi-acqua all'esterno, una solo lipidica al centro e un'altra rivolta
all'interno della cellula costituita ancora da lipidi-acqua. Sostanze polari, fortemente idrofile
formano forti legami idrogeno con l'acqua e di conseguenza restano come imprigionate nella
fase acquosa all'esterno della membrana.
D'altra parte, sostanze contenenti principalmente gruppi non polari, si accumulano
nella componente lipidica delle membrane. Sostanze invece capaci di diffondere rapidamente
attraverso la membrana (etanolo) contengono sia raggruppamenti debolmente polari che
gruppi non polari e la loro velocità di diffusione dipende soprattutto dal gradiente di
concentrazione e dal coefficiente di ripartizione tra lipidi e fase acquosa.
Molti xenobiotici sono elettroliti deboli, acidi o basi deboli che sono molto più liposolubili
che idrosolubili nella loro forma non ionizzata, ma molto più idrosolubili della forma ionizzata.
Di conseguenza, solo le molecole non ionizzate diffondono facilmente attraverso le
membrane. La proporzione tra xenobiotico non ionizzato e xenobiotico ionizzato dipende dal
pKa (grado di ionizzazione) di ogni dato composto e dal pH del medium ove viene a trovarsi
lo xenobiotico.
Così l'assorbimento, la distribuzione e l'escrezione di tali xenobiotici è influenzata dal
pH dei liquidi organici a differenti livelli. Poiché variando il pH varierà anche la tendenza di un
xenobiotico a ionizzarsi, modifiche di pH possono influenzare la possibilità o meno di un
xenobiotico a superare le membrane cellulari.
1.2.1.2.1.- Processi entropici: trasporto facilitato.
Il termine descrive il trasporto tramite intervento di un trasportatore o carrier che opera
senza dispendio di energia, cosicchè i movimenti della sostanza trasportata avvengono solo
secondo gradiente elettrochimico e non contro di questo.
Tale meccanismo, che è saturabile ed altamente selettivo per xenobiotici aventi precise
conformazioni strutturali, è indispensabile al trasporto di composti endogeni la cui velocità di
movimento attraverso le membrane biologiche per semplice diffusione potrebbe essere nulla
o troppo lenta. Il trasportatore incrementa, in questo caso, la velocità di movimento.
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Fig.1.8 Meccanismo di trasporto mediante proteina trasportatrice che, ruotando,
si affaccia alternativamente all’interno od all’esterno della cellula
La combinazione tra la molecola trasportatrice e la sostanza che deve penetrare
attraverso la membrana è specifica, nel senso che ciascun trasportatore può combinarsi solo
con una sostanza o con un numero limitato di sostanze aventi comune struttura chimica.
Il processo ping-pong raffigurato nel disegno rappresenta un ipotetico meccanismo di
trasporto attraverso le membrane. Il trasportatore è costituito da una proteina immersa nella
matrice lipidica della membrana. Esso presenta una specifica affinità per la sostanza da
trasportare (l’esagono nero). Il processo di.trasporto implica una variazione della
configurazione spaziale della struttura proteica del trasportatore, tale da permettere che il sito
di legame con la sostanza da trasportare si trovi alternativamente dislocato all'esterno o
all'interno della membrana. Così, sulla superficie esterna della membrana si crea il
complesso sostanza-proteina); all'interno della cellula, variazioni di affinità tra sito di legame
e sostanza trasportata inducono il rilascio della sostanza stessa in sede citoplasmatica.
La combinazione ricorda quella tra substrato ed enzima, o tra xenobiotico ed il suo
recettore ed implica la formazione di un complesso intermedio, xenobiotico-trasportatore,
diffusibile nella componente lipidica della membrana. La quantità di sostanza che si combina
con il trasportatore dipende dalla sua concentrazione nella fase acquosa in contatto con la
membrana e dal numero di siti di legame disponibili sul trasportatore, i quali saranno
necessariamente limitati. Il complesso xenobiotico-trasportatore permette il trasferimento del
xenobiotico dalla parte esterna a quella più interna della membrana, ove lo xenobiotico viene
rilasciato.
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Fig.1.9 Trasporto ping-pong
Poiché la concentrazione del complesso è più alta nella parte della membrana ove
avviene la sua formazione, esso chiaramente si muoverà secondo il suo gradiente di
concentrazione e cioè verso la parte interna della membrana. Il trasportatore libero, d'altra
parte, è più concentrato nella parte della membrana ove avviene la cessione del xenobiotico
trasportato, cosicché il trasportatore libero muoverà in senso inverso, nella direzione opposta
a quella del complesso xenobiotico-trasportatore. In questo modo il trasportatore fa la spola
da una parte e l'altra della membrana per semplice diffusione.
1.2.1.2.0.- Processi sintropici: trasporto attivo
Si parla di trasporto attivo invece nel caso in cui sia necessaria la scissione di un
legame ad alto contenuto energetico affinché il trasporto possa avvenire. Si ha che fare
allora con una proteina vettrice di tipo enzimatico, capace di legare con altissima affinità in un
sito specifico, nella maggior parte dei casi, una molecola di ATP (adenosintrifosfato), la cui
perdita di un fosfato in legame estereo e conseguente trasformazione in ADP
(adenosindifosfato) libera sufficiente energia da permettere una modifica conformazionale
della proteina stessa che si traduce nel passaggio da una faccia all'altra della membrana
della molecola da trasportare.
1.2.1.2.2.- Trasporto attivo.
Il passaggio per diffusione passiva non spiega il passaggio di tutti gli xenobiotici
attraverso le membrane cellulari. Alcune sostanze vengono trasportate attraverso la
membrana contro il loro gradiente di concentrazione o contro il gradiente elettrico e,
apparentemente, contro il gradiente di fugacità
Ciò significa che è necessaria dell’energia metabolica per guidare tali movimenti ed il
processo è detto di trasporto attivo o processo di trasporto sintropico.
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Per trasporto attivo s’intende, in pratica, il rapido trasferimento di molti acidi organici e
di molte basi attraverso il tubulo renali, i plessi corioidei, la parete intestinale, la placenta e
nelle cellule epatiche. Le caratteristiche di tale trasporto attivo sono: selettività, saturabilità,
richiesta d’energia che proviene dal metabolismo cellulare, inibizione competitiva ad
opera di sostanze strutturalmente correlabili a quelle normalmente trasportate e capacità di
operare contro un gradiente elettrochimico.
Tale meccanismo può giocare un ruolo importante nel meccanismo d'azione gli
xenobiotici che sono soggetti al trasporto attivo o che interferiscono con il trasporto attivo di
metaboliti naturali o di neurotrasmettitori. Esempi di trasporto attivo sono la secrezione di H+
nel succo gastrico e nelle urine, la captazione di iodio da parte delle cellule nella tiroide, il
riassorbimento del glucosio e degli aminoacidi dalle urine nel sangue e la pompa del Na+ che
espelle attivamente gli ioni Na+ scambiandoli con il K+ nella maggior parte delle cellule
eccitabili. La pompa del Na+ trasporta Na+ e K+ attraverso la membrana sia contro gradiente
elettrico che chimico. Altri ioni, come il Ca2+, vengono attivamente espulsi dalle cellule con
meccanismi di trasporto attivo.
Alcuni xenobiotici attraversano le membrane solo grazie all'esistenza di un trasporto
attivo. Esempio ne è la secrezione di penicilline nei tubuli renali e nella bile. Molti xenobiotici
lasciano il liquido cerebrospinale per immettersi nel torrente circolatorio grazie all'esistenza di
sistemi di trasporto propri a cellule di speciali regioni del cervello.
Il grado di specificità dei sistemi di trasporto suggerisce che essi sono molto
probabilmente di natura proteica. È stato infatti dimostrato che possono essere inibiti da
xenobiotici che inibiscono la sintesi proteica o da composti che reagiscono con le proteine.
Poiché i trasportatori possiedono siti specifici con cui si combinano le sostanze che
vengono trasportate, composti aventi configurazione chimica o carica ionica simile possono
competere tra di loro per uno stesso trasportatore e l'uno può inibire il trasporto dell'altro.
Gli xenobiotici, oltre che competere tra di loro per uno stesso trasportatore, possono
anche legarsi al trasportatore e bloccarlo, inibendo così il trasferimento di substrati endogeni
senza essere trasportati.
1.2.1.3.0.- Trasporto di grandi molecole
1.2.1.3.1.- Fagocitosi e Pinocitosi
Quando la cellula ha la necessità di estrudere o includere grosse molecole o una
quantità consistente di piccole molecole, mette in atto un sistema di trasporto diverso che
risponda ai requisiti di facilità di gestione di ingombro nel primo caso e di velocità di
passaggio da un compartimento all'altro, nel secondo caso. A seconda che la direzione del
passaggio sia verso la cellula o verso l'esterno della stessa si parla rispettivamente di
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endocitosi e di esocitosi, fenomeni che hanno le stesse identiche basi biochimiche: le
proprietà autoaggreganti e autosigillanti del bilayer lipidico.
L'endocitosi è il processo che porta all'incameramento all'interno della cellula di
una o più sostanze. Essa comincia con l'invaginazione della membrana plasmatica in un
punto particolare della superficie (spesso a livello delle cosiddette "fossette rivestite") che ha
<<sentito>> la presenza della/e sostanza/e grazie ad un sistema di recettori-ligando.
L'invaginazione procede fino al contatto fisico dei due poli opposti della membrana da cui il
processo si è innescato, con conseguente fusione, chiusura e distacco di una vescicola
endocitotica portante all'interno il materiale. Se il processo interessa dei liquidi o dei soluti
viene chiamato pinocitosi; se invece vengono incamerati detriti o microorganismi, si parla di
fagocitosi. In ogni caso all'interno della cellula avviene la fusione di più vescicole tra loro e la
risultante si fonde con i lisosomi primari, con formazione di lisosomi secondari in cui avviene
di norma la digestione (in senso lato) del materiale fagocitato, pronto a questo punto ad
essere variamente utilizzato.
L'esocitosi è invece il processo per cui avviene l'apertura verso l'esterno della
cellula di vescicole (vacuoli) con conseguente perdita del contenuto degli stessi. Grazie a
questa operazione la cellula inoltre può implementare il corredo lipidico e proteico della
membrana, portare all'incorporazione di nuove sostanze nella matrice extracellulare, far
diffondere nei fluidi interstiziali e/o nel sangue nutrimento e/o messaggeri cellulari.
Deve essere chiaro che i due processi non devono essere interpretati come l'uno
opposto all'altro. Nel caso dell'endocitosi la membrana è quella esterna ed in effetti il
contenuto della vescicola non entra mai a contatto con il citoplasma, nemmeno quando esso
è fisicamente all'interno della cellula. I vacuoli di esocitosi invece provengono dall'apparato di
Golgi (per gemmazione controllata) con proteine appositamente sintetizzate e incorporate nel
reticolo endoplasmatico, che subiscono modificazioni e smistamento. Ciò permette con tutta
probabilità che endocitosi ed esocitosi abbiano una regolazione distinta.
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Fig.1.10 Processo di fagocitosi (inglobamento di solido) e di pinocitosi
(inglobamento di liquido e/o sospensioni colloidali)
Tra le caratteristiche che permettono di distinguere le membrane biologiche dalle
membrane inerti vi è la capacità di fagocitosi e di pinocitosi.
Dal greco, fagocitosi indica «ingestione cellulare», mentre pinocitosi indica che «la
cellula beve»; in entrambi i casi, cioè, la parola è indicativa del meccanismo cellulare cui si
riferisce.
Nella fagocitosi, estroflessioni del protoplasma si muovono a incapsulare materiale
solido (ad esempio batteri) che si trova all'esterno della cellula. I fagosomi che così si
formano affondano nel citoplasma dove si fondono con i lisosomi: le membrane si rompono e
gli enzimi lisosomiali digeriscono le particelle inglobate nel fagosoma.
Nella pinocitosi la membrana cellulare forma un canale di entrata in cui piccole
particelle in soluzione colloidale o fluidi extracellulari fluiscono verso l'interno della cellula.
L'invaginazione della membrana si chiude e si formano vescicole isolate che possono
fondersi a formare globuli di dimensioni più vaste. Con questi meccanismi, molecole di
grosse dimensioni, altrimenti incapaci di attraversare le membrane, possono essere assunte
dalle cellule per pinocitosi o per fagocitosi.
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1.2.1.4.0.- Processi di trasporto di metalli
Riportiamo, nella figura che segue, i quattro processi di trasporto prevalenti attraverso
la membrana citoplasmatica dei metalli:
1. Processi di trasporto carrier-mediated.
Sono quelli in cui alcune proteine (L) formano, con il metallo, un complesso solubile
nei lipidi, ML; il complesso diffonde entro la membrana, ed il metallo può essere rilasciato nel
citosol (il contenuto acquoso della cellula vivente). La maggior parte dei metalli entra nella
cellula attraverso questo percorso.
2. Processi di trasporto attraverso i canali proteici.
Ioni del metallo possono essere trasportati fra le proteine che si estende attraverso la
membrana e che presentano molti gruppi idrofilici.
3. Processi di trasporto per diffusione passiva.
Specie del metallo che sono solubili nei lipidi (non polari) si possono dissolvere nella
membrana e rapidamente attraversarla. Questo processo è invocato spesso spiegare
l’uptake rapido di metalli-alchili da organismi unicellulari.
4. Processi di trasporto per endocitosi.
Fig. 1.11 Processi di trasporto dei metalli attraverso la membrana
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1.2.3.0.0.- La ricezione d’informazioni o stimoli trasmessi dall'ambiente extracellulare
Le membrane biologiche possono avere dei siti atti a recepire dei messaggi, delle
informazioni provenienti dall'ambiente esterno. Questi siti sono particolari strutture chimiche,
dette «recettori» atte a trasmettere all'interno della cellula i messaggi di ormoni, di
neurotrasmettitori, di autacoidi presenti nell'ambiente extracellulare. Gli xenobiotici possono
interferire nella trasmissione di messaggi fisiologici a livello di questi specifici siti recettoriali.)
La conduzione dell'impulso nervoso è un fenomeno strettamente legato alle
membrane. Esso però si realizza soltanto nelle membrane di cellule eccitabili: nervosa o
muscolare.
A questo punto appare chiaro che le membrane biologiche, lungi dall'essere delle
barriere rigide, statiche, immutabili nel tempo, assolvono invece svariati ed importanti compiti.
Questi possono essere caratteristici per ogni tipo di cellula e possono variare per il
sopraggiungere di influenze esterne (arrivo di ormoni, di neurotrasmettitori, gli xenobiotici) o
comunque per il mutare delle condizioni ambientali. È importante allora conoscere le
proprietà strutturali delle membrane dal punto di vista fisiologico, patologico e farmacologico.
Sotto l'aspetto farmacologico, la comprensione dei fenomeni di membrana può aiutare
a rendere più efficiente o più selettivo l'assorbimento degli xenobiotici (i quali, prima di
giungere alla loro sede d'azione, devono superare un gran numero di barriere, rappresentate
appunto da membrane biologiche) oppure a ritardarne l'escrezione (a livello renale) così da
prolungarne la durata d'azione.
La superficie esterna della cellula possiede una netta carica negativa (da non
confondersi con la differenza di potenziale tra i due lati della membrana) che è dovuta
largamente alla presenza di residui di acido sialico delle glicoproteine. Tale acido sembra
implicato in un numero importante di funzioni cellulari.
La porzione glucidica della membrana (la parte esterna della membrana è ricca in
glicolipidi e glicoproteine) è probabilmente importante nel conferire proprietà antigeniche alla
superficie cellulare stessa. Gli ioni Ca2+, infine, si legano alla membrana e giocano un ruolo
determinante nel controllare la permeabilità della membrana e nell'aumentarne la resistenza
meccanica favorendo, probabilmente, legami crociati nella parte proteica della membrana
esterna.
Tale ione forma inoltre legami con l'acido sialico e con i componenti fosfolipidici delle
membrane, cosicché i complessi che ne derivano sembrano controllare la permeabilità della
membrana ad altri ioni.
In generale, minore la quota di Ca2+ legato alla membrana, maggiore la permeabilità
della membrana agli altri ioni. Ci sono dati abbastanza significativi che dimostrano come,
laddove le cellule sono in contatto tra di loro, vi sia un minor contenuto di Ca2+ legato alla
membrana.
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Questa zona di aumentata permeabilità ionica crea aree di bassa resistenza che
facilitano la comunicazione tra le cellule, comunicazione resa possibile dalla fluidità della
componente lipidica della membrana.
A conclusione di quanto detto risulta evidente che i rapporti chimico-fisici e spaziali tra
le due componenti fondamentali delle membrane, fosfolipidi e proteine, sono non solo
importanti per il normale espletamento di tutte le funzioni delle membrane biologiche, ma
sono anche sensibili ad agenti esterni, siano essi ormoni, chemiotrasmettitori, tossine,
antigeni o xenobiotici, capaci tutti di modificare l'ordinamento strutturale del mosaico fluido
comunicando così determinate informazioni alle cellule. La fluidità della membrana, e in
particolare la libertà di movimento delle proteine in seno al doppio foglietto lipidico, è una
sorta di organo di senso delle cellule, le quali recepiscono così il linguaggio delle membrane.
Ciò permette alle membrane di svolgere un ruolo essenziale in quasi tutte le principali
funzioni cellulari.
1.2.4.0.0.- Proprietà chimico-fisiche degli xenobiotici e loro influenza sul passaggio
attraverso le membrane
Quanto finora esposto rappresenta una panoramica dei possibili meccanismi atti a
consentire il trasferimento degli xenobiotici da una parte all'altra delle membrane cellulari.
Resta tuttavia da sottolineare, come già accennato in precedenza, che tale trasferimento è
condizionato dalle caratteristiche chimiche, strutturali e funzionali delle membrane (di cui
abbiamo ampiamente discusso), ma è anche determinato dalle proprietà chimico-fisiche gli
xenobiotici. Vediamo ora in quale modo tali proprietà ne condizionano il passaggio attraverso
le membrane biologiche.
In generale, molti xenobiotici hanno molecole troppo ingombranti per poter passare
attraverso i pori, i canali esistenti nelle membrane, e quindi essi devono pertanto superare la
barriera costituita dalle membrane per diffusione attraverso la componente lipidica della
membrana stessa.
Nella grande maggioranza gli xenobiotici elettroliti deboli sono o acidi deboli o basi
deboli, presenti in soluzione sia nella forma dissociata che in quella indissociata. Spesso al
pH dei liquidi biologici sono solo parzialmente dissociati. La quota indissociata è in genere
liposolubile e soltanto questa può attraversare le membrane biologiche per semplice
diffusione attraverso i lipidi di membrana.
Di contro, la frazione dissociata è di solito incapace di penetrare la barriera lipidica a
causa della sua bassa solubilità nei lipidi. Nel caso che la parte ionizzata di un elettrolita
debole possa passare attraverso i canali di membrana, si distribuirà dai due lati della
membrana stessa in accordo al potenziale di transmembrana, esattamente come uno ione
inorganico ed in accordo al gradiente di concentrazione
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La distribuzione di un elettrolita debole è comunque determinata dal suo pKa e dal
gradiente di pH attraverso la membrana. Dal momento che solo la forma indissociata della
sostanza è, come già detto, liposolubile e lipodiffusibile, la capacità di un xenobiotico ad
attraversare la membrana più o meno rapidamente dipenderà in stretta misura dalla
sua tendenza a ionizzarsi in soluzione acquosa ad un determinato pH. Questa capacità,
cioè il grado di ionizzazione di un composto ad un determinato pH, è indicato dal pKa.
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