Lo stato sociale per non aver bisogno dello psichiatra

PATRONATO
Lo stato sociale per non aver bisogno dello psichiatra
Come persona che opera nel sociale mi trovo sovente a riflettere su questo
tema, spinto dall’analisi e dalle proposte che sociologi, economisti e politici, per
varie ragioni, ci propongono in continuazione. I primi per metterci in guardia
che la socialità non risponde più ai bisogni dei cittadini, i secondi per dirci che
se non si trovano nuove forme di finanziamento, per alcune prestazioni (come
ad esempio per la pensione) in un futuro non lontano non ci sarà più la copertura finanziaria. Infine, non di rado, sentiamo i politici dire che c’è bisogno dell’innalzamento dell’età pensionabile per non mandare in bancarotta il sistema.
di Antonio Cartolano
In tutto questo c’è del vero ma ci sono
anche verità che non si dicono, o
ancora peggio, verità che si nascondono. Vediamo di portarne alcune alla
luce per evidenziare come alcuni problemi di carattere prevalentemente di
natura sociale ed economica si risolvono con interventi della psichiatria, che
non risolve i problemi di chi non
riesce a pagare le bollette alla fine del
mese, che fa salire i costi sanitari alle
stelle e che fa pagare all’intera comunità la mancanza di risposte da parte
dei politici.
Alcuni casi particolari per entrare
meglio nella problematica. Ci sono
migliaia di lavoratrici e lavoratori che a
seguito della perdita del posto di lavoro hanno dovuto ricorrere alle cure
dello psicologo o dello psichiatra perché caduti in depressione. Stiamo parlando di persone che hanno come
unica fonte di sostentamento le proprie braccia e il proprio intelletto. Poi,
una volta esaurito il diritto alla disoccupazione e finito il calvario delle visite mediche da parte dell’Assicurazione
invalidità (AI), di fronte al rifiuto dell’invalidità e senza più uno sbocco
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il dialogo 2/07
occupazionale perché considerati vecchi (a 50 anni?) o perché con una professione che non risponde alle necessità del mercato del lavoro, non rimane
che l’assistenza sociale, con tutte le
umiliazioni che comporta. In questo
modo si è ferita la speranza e la dignità della persona non permettendogli di
mettere i propri talenti al servizio della
società e si è gravato la società di costi
sanitari e sociali. Sono queste le risposte che uno stato sociale di una nazione progredita sa dare?
Altro caso. Abbiamo in Svizzera
120’000 persone che sono state escluse dal diritto alle cure sanitarie dalle
casse malati perché non pagano i
premi. In molti casi ciò avviene dopo
che il mandato del precetto era divenuto esecutivo, vale a dire dopo verifica dell’impossibilità di pagare i premi.
Si tratta quindi di persone che si trovano in carenza di beni. Molti di loro
lavorano, forse precari oppure sotto
pagati, e non riescono a far fronte ai
costi della vita. Ma uno stato sociale
degno di questo nome deve o non
deve garantire la salute dei cittadini?
Sappiamo che non ci sono ricette
magiche... ma ci deve essere da parte
dei politici l’obbligo civile e morale per
cercare le soluzioni a questi bisogni.
Questi due casi stanno a dimostrare
che c’è il rischio di creare uno stato
sociale che invece di rispondere ai
bisogni delle persone li spinge verso la
povertà.
Sappiamo che questo stato sociale è
stato pensato e creato per rispondere a
dei bisogni diversi da quelli che i cittadini vivono oggi. Rispetto ai primi
decenni dalla seconda guerra mondiale, oggi i posti di lavoro sono diminuiti e sono cresciuti di pari passo i fattori di instabilità, di insicurezza e di
incertezza: è in questo contesto che
vanno cercate e garantite le protezioni
sociali. Se non si trovano ora le soluzioni, domani una grande fascia della
società sarà psicofarmaco-dipendente.
Certamente c’è il problema di come
finanziare il tutto in una società che ha
toccato la crescita zero delle nascite (si
spera che i nuovi emigrati, vista la giovane età, si diano da fare) e che vede
galoppare l’invecchiamento della
popolazione. Le proposte non mancano: da alcuni anni, luminari della
sociologia ed esperti dell’economia
propongono di aumentare l’IVA
oppure di prelevare dalla fiscalità una
percentuale da devolvere allo stato
sociale o infine di pensare alla ridistribuzione dei beni per non permettere
che pochi ricchi diventino più ricchi e
tanti poveri diventino più poveri.
Senza uno stato sociale che dia garanzie per la salute, per il lavoro e per la
pensione si mette a rischio la coesione
e la stabilità sociale del paese.