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SEPSI E SHOCK SETTICO
La confusione sulla terminologia da adoperare è ancora molta: in Europa, fin dagli inizi del ‘900, sepsi e
setticemia venivano usati come sinonimi di una medesima condizione caratterizzata da infezione batterica o
micotica generalizzata con batteriemia persistente. Nel 1992 una conferenza di specialisti di medicina
toracica e intensiva ha suggerito l’uso del termine SIRS (Sistemic Inflammation Response Sindrome) per
indicare una condizione caratterizzata da precisi parametri:
temperatura > 38 °C o < 36 °C
frequenza cardiaca: > 90/min
frequenza respiratoria: > 20l/min o PaCO2 < 32 mmHg
leucociti ematici > 12000/mm3 o < 4000/mm3 o ancora + del 10% di polimorfonucleati immaturi
quando il paziente ha una SIRS clinicamente diagnosticata con causa infettiva accertata allora si parla
di sepsi. A proposito del paziente settico però ci sono una serie di altre condizioni diverse, chiamate
comunemente con i seguenti nomi:
batteriemia (o fungemia): presenza di batteri o funghi vitali nel torrente circolatorio, con positività
alle emocolture
setticemia: denominazione generica per evidenziare una malattia sistemica causata dalla diffusione
di microbi o loro tossine nel circolo ematico
SIRS: sindrome sistemica da risposta infiammatoria; è una definizione fatta su parametri puramente
clinici, pertanto non fa distinzione tra eziologia infettiva e non
Sepsi: SIRS con eziologia microbica sospetta o comprovata
Sepsi severa (sindrome settica): sepsi accompagnata da uno o più segni di disfunzione organica,
ipoperfusione, ipotensione, acidosi metabolica, obnubilamento acuto mentale, oliguria e ARDS; per
parlare di ipotensione la pressione sistolica deve essere < 90 mmHg o comunque 40 mmHg al di sotto
dei valori abituali, senza altra causa apparente
Shock settico: sepsi con le alterazioni precedentemente descritte più con insufficienza acuta e
duratura del flusso arterioso refrattaria alla reidratazione con liquidi, con conseguente deficit di
perfusione tissutale
Shock settico refrattario: forma non responsiva alla terapia reidratativi e vasopressoria, che dura
più di 1 h
MOF: Multiple Organ Failure, fase terminale dello shock con disfunzione grave di 1 o più organi
che richiede l’intervento terapeutico per il mantenimento dell’omeostasi interna
Eziologia
Virtualmente qualunque classe di microrganismi, sia batteri che miceti, può causare sepsi. La batteriemia è
un fattore spesso presente nella sepsi ma non è affatto sufficiente. Come pure non è necessario, in quanto
anche la diffusione locale o sistemica di tossine o molecole di segnale possono sollecitare la risposta.
Il 20-40% dei pazienti con sepsi severa presenta emocolture positive (2 prelievi fatti ad almeno 45’ di
distanza l’uno dall’altro), percentuale che sale a 40-70% in caso di shock settico conclamato. La maggior
parte delle infezioni è da singole specie di batteri, solo il 15-20% dipende da miceti o associazioni di batteri.
Nei pazienti con emocolture negative si procede all’isolamento di materiale infetto prelevato localmente.
batteri gram +
Stafilococcus Aureus
Naso e cute
Stafilococchi coagulasi negativi
Cute
Enterococco
Intestino
Pneumococco
Rinofaringe
Streptococchi Viridanti
Ororinofaringe e intestino
Batteri gram Escherichia Coli, Kleibsiella, Enterobacter, Serratia, Intestino (orofaringe in caso di dismicrobismo?)
Proteus, Pseudomonas
Salmonella
Intestino, animali
Brucella
animali
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Epidemiologia
Negli USA 100000 persone ogni anno muoiono per setticemia: 2/3 dei casi interessano pazienti
ospedalizzati. L’incidenza della setticemia non è affatto diminuita negli ultimi anni per una serie di malattie
concomitanti predisponesti alle infezioni, e cioè:
Diabete mellito
Malattie linfoproliferative
Cirrosi epatica
GUstioni
Procedure mediche invasive
Farmaci immunosoppressori
Sostanze stupefacenti
Cateteri vascolari
G+
Dispositivi meccanici permanenti
Neutropenia
funghi
Chemioterapia ad ampio spettro
Alla fine le condizioni predisponesti maggiori rimangono l’invecchiamento della popolazione, con aumento
della prevalenza delle malattie cronico-degenerative o comunque debilitanti sul sistema immune. Con la
presenza di fattori predisponesti dell’ospite l’infezione può partire da un serbatoio endogeno (es. il naso e la
cute per lo S. aureus, l’intestino per i G- saprofiti coliformi)
Fisiopatologia e patogenesi
La risposta settica viene avviata quando i microrganismi commensali superano le barriere mucocutanee.
Questo è il primum movens per l’instaurazione di un focolaio sepsigeno, posto “a cavallo” del sistema
circolatorio; il focolaio può essere:
tromboflebitico
endocarditico
linfangitico (febbre tifoide)
empiemico
in una minoranza di casi i microbi sono introdotti direttamente in circolo e non vi è evidenza di nessun
focolaio infettivo.
Altrimenti l’ingresso nel torrente circolatorio si verifica solo quando sono state superate le difese innate o
acquisite, che sono perciò critiche in tal senso.
Azione dei componenti strutturali dei microbi
L’LPS è meglio studiato componente dei batteri G-: si sa ad es. che la risposta ad esso è mediata da una
plasmaproteina chiamata LBP, che trasferisce l’intero complesso al CD14 espresso sulla superficie di
monoliti, macrofagi e neutrofili. Questa interazione sollecita prontamente la produzione di mediatori come il
TNFa, che ne amplifica il segnale.
Inoltre il lipopolisaccaride può attivare il fattore XII di Hageman e tramite questo la via delle chinine; infine
può attivare il C’ per via alternativa portando alla produzione di fattori chemiotattici per i neutrofili (C5a) e
fattori liberanti istamina (C3a).
Oltre all’LPS, vi è una classe particolare di Ag, capaci di interagire non già con le regioni ipervariabili delle
Ig e del TCR ma con il loro idiotipo, cioè con una regione esterna a variabilità assai più limitata. Queste
sostanze sono perciò dette superantigeni e sono gli acidi teicoici dei G+, la TSST-1 o tossina dello shock
tossico, e la tossina A di S. pyogenes).
Risposta dell’ospite
Nella sepsi vi sono complesse interazioni tra componenti microbici, leucociti e mediatori umorali ed
endotelio vasale. Tali relazioni si estrinsecano attraverso un complicato network citochinico dal quale
dipendono molti aspetti clinici della malattia.
Ad esempio il TNF è una citochina che alle normali concentrazioni con cui è prodotta esercita per lo più
effetti paracrini (come attivazione endoteliale, aumento del metabolismo dell’acido arachidonico e
potenziamento del burst ossidativo del macrofago). Invece introdotta ad alte dosi in animali da laboratorio è
capace di riprodurre molti aspetti della sepsi, tra cui febbre, tachicardia, tachipnea, mialgia, leucocitosi e
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sonnolenza; a dosi ancora maggiori si ha shock ipotensivo (dovuto a vasodilatazione e aumento della
permeabilità vasale), CID e morte.
Il TNF è certamente per queste proprietà la tossina centrale dello shock settico ma ve ne sono altre
importanti dotate di proprietà simili come l’IL-1β, l’IFN-γ, e l’IL-8; con l’aggravarsi della sepsi si amplia
anche il pattern di citochine prodotto, tant’ è che si elevano sopra la norma circa 30 mediatori infiammatori:
a questo punto risulta estremamente difficile bloccare il processo e sia gli animali che l’uomo muoiono
inevitabilmente.
Oltre alle citochine rivestono sicura importanza i mediatori di derivazione fosfolipidica come la PGE2 e la
prostaciclina, che determinano vasodiltazione periferica generalizzata, il trombossano, potente aggregante
piastrinico e mediatore di ischemia da vasocostrizione; il ruolo dei leucotrieni è più incerto anche perché la
risposta endotossica è normale nei topi con knock-out del gene per la lipossigenasi.
Fattori della coagulazione: la deposizione di fibrina intravasale, la trombosi e la CID, sono tutti aspetti
caratteristici della sepsi. Il processo mediato dal TNFα, che promuove l’espressione sui monociti del
fattore tissutale, che si lega al fattore VIIa della coagulazione per formare un complesso in grado di attivare
i fattori X e IX (quindi sia la via intrinseca che estrinseca). La coagulazione è inoltre promossa dall’LPS,
capace di attivare direttamente il fattore XII di Hageman ( cascata coagulativa e liberazione di chinine)
Il risultato è che si verifica coagulazione diffusa ed emorragia per depauperamento dei fattori plasmatici
della coagulazione.
Il C5a, introdotto sperimentalmente in cavie induce ipotensione, vasocostrizione polmonare, neutropenia (per
extravasazione leucocitaria) e aumentata permeabilità vascolare dovuta al danno endoteliale.
Quest’ultimo è probabilmente il meccanismo di danno comune verso i tessuti: lo stravaso di liquidi, l’edema
e la microtrombosi riducono l’apporto e l’utilizzazione di O2 da parte dei tessuti stessi. Mediatore principale
del danno endoteliale è ancora una volta il TNFa, ma sono importanti anche gli enzimi rilasciati dai
neutrofili, e dai radicali dell’O2 che fanno parte dell’arsenale antimicrobico dei macrofagi.
Ruolo del nitrossido: numerose evidenze indicano che l’attivazione della Nos inducibile sarebbe in grado di
produrre grandi quantità di NO, e che esso ad elevate concentrazioni sarebbe il mediatore principale dello
shock settico, o meglio principalmente del suo aspetto principale e più grave, l’ipotensione e l’ipoperfusione.
Tuttavia partecipano anche altre molecole, come le b-endorfine, la bradichinina e il PAF, visto che topi
knock-out per il gene dell’iNOS sono comunque suscettibili a sviluppare lo shock endotossico.
Meccanismi di controllo: l’organismo mette in atto complessi e poco definiti meccanismi per autolimitare il
processo infiammatorio controproducente, anche se la maggior parte delle volte essi si rivelano insufficienti.
I glucocorticoidi inibiscono la produzione di citochine e di metabolici dell’acido arachidonico e sono
protettivi nei confronti dello shock settico quando somministrati precocemente: quasi sempre si riscontra
infatti in vivo un picco di cortisolo, dovuto anche alla condizione di stress metabolico.
Anche gli inibitori endogeni delle citochine (come l’antagonista del recettore per l’IL-1) o le citochine ad
azione anti-infiammatoria, come l’IL-10 e il TGF-b. La presenza di questi mediatori rende i linfociti
prelevati dal paziente settico meno responsivi all’azione dell’LPS.
CLINICA
Il quadro clinico della sepsi si compone di 3 aspetti:
1. stato tossinfettivo acuto: febbre, cefalea, astenia, mialgia, lingua secca/fuligginosa
2. segni sistemici: brividi, splenomegalia
3. segni di metastasi infetta: ecthima gangrenosum, osteomielite, lesioni cutanee
a queste si accompagnano alterazioni di parametri ematici come gli indici infiammatori aspecifici e nelle fasi
avanzate alterazioni dei profili biochimici d’organo, segno di compromissione mono- o multiorganica.
L’andamento clinico della sepsi può essere:
1. acutissimo: es. sindrome di Waterhouse-Fridericksen (sindrome settica del bambino con necrosi
emorragica bilaterale dei surreni e morte in 24-48 h)
2. acuto: germi virulenti, quadro condizionato dalla risposta dell’ospite
3. subacuto: germi poco virulenti che approfittano di condizioni predisponesti dell’ospite (es.
endocarditi batteriche da streptococchi viridanti)
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Classicamente lo shock settico attraversa tre fasi:
fase pre-ipotensiva
è dominata generalmente dalla febbre, che può essere molto alta ma non in tutti i pazienti, anzi alcuni sono
addirittura ipotermici; l’assenza di febbre è più comune nei neonati, negli anziani nei soggetti alcolizzati o
con sindrome uremica; si può avere anche obnubilamento del sensorio, tachicardia, ipossiemia con tachipnea
compensatoria (che produce ipocapnia da iperventilazione se gli scambi gassosi polmonari non sono
ostacolati), e ipoperfusione renale
fase ipotensiva 1 (VASODILATATORIA)
in questa fase le resistenze vascolari periferiche cominciano a cadere e i liquidi extravasano negli spazi
perivascolari: tutto ciò si traduce in un diminuito precarico e in ipotensione (prima diminuisce la diastolica,
poi anche la sistolica), nonostante sia presente tachicardia ed elevata portata cardiaca; la cute si presenta
calda e arrossata, al contrario di come appare negli altri tipi di shock (cardiogeno, ipovolemico, ostruttivo
extracardiaco) tutti caratterizzati da bassa portata cardiaca fin dall’inizio; il flusso urinario scende fino alla
soglia dell’anuria (20 ml/h) e fanno la loro comparsa le prime possibili gravi complicanze dello shock
settico: la CID e la ARDS
fase ipotensiva 2 (della DEPRESSIONE MIOCARDICA)
entro 24h dall’esordio conclamato dello shock settico nella maggior parte dei pazienti si verifica una
considerevole depressione della funzionalità miocardia, evidenziata dalla diminuzione della FE e
dall’aumento dei volumi telediastolici e del precarico, che permettono almeno inizialmente di mantenere
invariata la portata cardiaca nonostante la bassa FE; la depressione miocardica è molto probabilmente dovuta
all’acidosi e all’ipossiemia prolungata; la cute diventa fredda e algida per l’attivazione adrenergica, è
presente tachicardia associata a ritmo di galoppo per la presenza di un III tono.
Altri aspetti
L’ipotensione e la CID predispongono all’acrocianosi e alla necrosi ischemica dei tessuti periferici, come le
dita, ma anche il tratto GE, soprattutto lo stomaco, che è sede di ulcere acute (di Curling) che possono
causare emorragie digestive alte che aggravano la condizione di shock. Più rara è la necrosi ischemica
dell’intestino.
La cute può presentare anche cellulite, pustole, bolle e lesioni emorragiche dovute alla disseminazione
metastatica ematogena dei microbi nei tessuti molli. Talvolta tali lesioni sono fortemente indicative del
germe in causa, ad es.:
• petecchie cutanee o porpora  N. meningitidis o febbre delle montagne rocciose (se il soggetto è
stato punto da una zecca in un’area di endemia
• ecthima gangrenosum  si osserva quasi esclusivamente in soggetti neutropenici con infezione da
P. aeruginosa: si tratta di una lesione bollosa con edema circostante e necrosi emorragica centrale
• eritroderma generalizzato  S. aureus o S. pyogenes
l’ittero colestatico spesso precede gli altri segni di sepsi ed è dovuto a disfunzione epatocellulare o
canalicolare
Complicanze maggiori
L’ARDS o “polmone da shock” è una conseguenza a livello distrettuale di una condizione generalizzata di
aumento della permeabilità capillare, con accumulo di liquidi negli alveoli che interferisce negativamente
con gli scambi gassosi ( ipossiemia refrattaria all’O2, PaO2 < 60 mmHg) e con la meccanica respiratoria
( diminuzione della compliance o elastanza). Questo quadro si verifica nel 25-50% dei pazienti settici e la
sepsi peraltro ne è la causa più frequente. Clinicamente (e radiologicamente) è indistinguibile da una
polmonite da P. carinii (detta polmonite “a fiocchi” per la presenza di infiltrati opachi diffusi sia interstiziali
che alveolari). La situazione può rapidamente peggiorare a causa della
L’insufficienza renale nella maggior parte dei casi è da causa pre-renale (ipoperfusione e danno capillare)
ma poi tende a diventare renale perché si ha la NTA (necrosi tubulare acuta) o nei casi più gravi addirittura
necrosi corticale acuta: i pazienti mostrano oliguria, iperazotemia, proteinuria e cilindri ialino-epiteliali nelle
urine; altri pazienti invece si presentano con segni di GN acuta o nefrite tubulo-interstiziale. Il danno renale,
assai frequente, impone di non usare tra gli antibiotici gli aminoglicosidi, data la loro nefrotossicità accertata.
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Nei pazienti con sepsi subacuta della durata di settimane-mesi, può instaurarsi una polineuropatia “da
malattia critica” che produce debolezza dei muscoli distali e può rendere obbligatoria la ventilazione
assistita.
Laboratorio
Nelle fasi iniziali si ha leucocitosi, ma in pazienti defedati può aversi neutropenia fin dall’inizio. I neutrofili
possono contenere granulazioni tossiche e vacuoli citoplasmatici. Quando si instaura la CID diminuisce
fortemente il numero di piastrine, aumenta il tempo di protrombina, si riduce il fibrinogeno e aumenta il
dimero D plasmatico (proteina derivata dalla scissione endogena della fibrina da parte del plasminogeno).
Quando la sepsi diventa più grave si alterano gli indici di funzionalità renale e/o epatica: se il germe
responsabile è un Clostridio può esservi emolisi attiva.
Durante le fasi iniziali della sepsi l’iperventilazione provoca alcalosi, poi con l’affaticamento dei muscoli
respiratori, l’ARDS e l’accumulo di acido lattico subentra di solito acidosi metabolica, con aumento del gap
anionico, accompagnata da ipossiemia, prima correggibile con l’ossigenoterapia, poi refrattaria ad essa. I
pazienti diabetici sviluppano più frequentemente di altri sepsi iperglicemia, anzi la sepsi stessa può scatenare
la chetoacidosi, che aggrava ulteriormente l’ipotensione.
Diagnosi
Test specifici al 100% non ce ne sono ma dati suggestivi includono febbre o ipotermia, tachicardia,
leucocitosi o leucopenia in un paziente con provata infezione; sono di aiuto anche reperti come la
trombocitopenia, alterazioni acute dello stato mentale, ARDS e IRA.
Tuttavia la risposta del paziente settico è assai varia: per es. il 36% può avere normotermia, il 40% eupnea e
il 33% leucociti nella norma.
Occorre anche vagliare tutte le eventuali cause di SIRS non infettiva, come pancreatite, ustioni, traumi,
insufficienza surrenalica, embolia polmonare, aneurisma dissecante aortico, IMA, emorragie occulte,
tamponamento cardiaco ecc…
Per la diagnosi eziologica è necessario l’isolamento del germe dal sangue o da una sede localizzata di
infezione: le sepsi da G- danno di solito una batteriemia estremamente modesta e sono necessari molti
prelievi ed incubazione prolungata delle emocolture. Lo S. aureus invece cresce più facilmente in un tempo
inferiore alle 48h. Emocolture persistentemente negative contro l’evidenza possono dipendere da una
precedente terapia antibiotica, dalla mancata disseminazione ematica oppure da esigenze particolare del
microrganismo in coltura. Altre volte invece i microbi possono essere osservati e riconosciuti direttamente su
strisci di sangue periferico, tanto sono concentrati: è il caso delle sepsi pneumococciche in individui
splenectomizzati o nella meningococcemia fulminante.
La determinazione dell’endotossiemia con il test al limulus o il dosaggio di citochine specifiche possono
avere un valore prognostico ma hanno ancora un valore clinico assai limitato.
Terapia
La sepsi costituisce un’urgenza medica, oltre che chirurgica (in limitati casi in cui occorra eliminare il
focolaio settico, ad es. un ascesso addominale). Le misure terapeutiche devono essere volte a:
assicurare un supporto alle principali funzioni d’organo (cardiaca, respiratoria e renale)
eliminare il microbo responsabile e il focolaio settico
trattare eventuali malattie di base dei pazienti, che influenzano pesantemente il decorso
Il supporto emodinamico, respiratorio e metabolico consiste nel ripristino della volemia, che deve essere
attuato in fase ipotensiva 1 per garantire la per fusione tissutale e prevenire l’acidosi e la cardiodepressione.
Ciò si fa con soluzione salina allo 0,9% - 1-2 litri in 1-2 h – monitorando continuamente la PVC (e la
pressione di incuneamento capillare polmonare, per evitare un sovraccarico del piccolo circolo). La diuresi
va mantenuta almeno sopra 30 ml/h: dovrebbero bastare semplicemente i liquidi, altrimenti si dà un diuretico
dell’ansa. La maggior parte dei pazienti risponde bene e la PAM si mantiene al di sopra di 60 mmHg, con
portata cardiaca superiore a 4 l/min. Se queste linee guida non sono sufficienti occorre instaurare:
• terapia inotropica: dopamina (preferibile per il suo effetto dilatatorio sul circolo renale ottenibile a
basse dosi), dobutamina (agente agonista β1 selettivo)
• terapia vasopressoria
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Nei pazienti con ipotensione refrattaria e sepsi da N. meningitidis, oppure con anamnesi di terapia
glucocorticoidea prolungata, oppure TBC disseminata, si può avere insufficienza surrenalica acuta, da
trattare con idrocortisone acetato.
L’intubazione endotracheale è indicata nelle seguenti condizioni: ipossiemia progressiva refrattaria ad O2
terapia, ipercapnia, segni di fatica dei muscoli respiratori.
Il bicarbonato è talvolta somministrato in presenza di acidosi grave, con Ph intorno a 7.
La CID, se complicata da sanguinamenti cospicui va trattata con trasfusione di plasma fresco congelato e
piastrine.
Nelle sepsi subacute di lunga durata un apporto parenterale ipercalorico può diminuire l’impatto negativo per
le condizioni generali dell’ipercatabolismo proteico.
Agenti antimicrobici: in attesa del risultato dell’emocoltura e dell’antibiogramma va intrapresa subito una
terapia empirica ad ampio spettro sulla base del sospetto clinico (nei pazienti immunocompetenti e adulti una
b-lattamico ad ampio spettro come la piperacillina e il tazobactam o l’imipenem). È preferibile la
somministrazione endovena, per tanti motivi (vomito, possibilità di controllare la c.p. e adeguarla
rapidamente in caso di insufficienza renale). La terapia specifica, che il più delle volte è fatta con un solo
agente chemioterapico, va protratta per 2-3 settimane, ma ciò dipende da diversi fattori come la sensibilità
del microbo, la sede dell’infezione tissutale e l’efficienza del drenaggio chirurgico posizionato. Per
l’endocardite subacuta va invece continuata per 1 mese o più.
Le linee guida indicano un uso aggressivo dei chemioterapici: vanno preferiti quelli ad azione battericida
(quindi i macrolidi, le tetracicline, il cloramfenicolo, la clindamicina e i sulfamidici non vanno bene),
somministrati a dosi elevate (picchi > MBC e livelli battericidi persistenti per tutte le 24h)
Ovviamente il focolaio settico va individuato e quando possibile rimosso immediatamente: i cateteri venosi a
permanenza vanno tolti e la loro punta strisciata su agar-sangue per l’esame colturale; lo stesso i sondini
nasali ( sinusiti da G- nosocomiali). Per l’individuazione i eventuali ascessi profondi ci si avvale delle
comuni tecniche di imaging.
Nonostante tutte queste misure il 25-35% dei pazienti con sepsi severa e il 50% di quelli con shock settico
muoiono nei successivi 30 giorni: i decessi tardivi sono imputabili a infezione mal controllata, complicanze
della terapia intensiva e insufficienza d’organo. Per questo sono allo studio ulteriori misure in grado di
bloccare la cascata infiammatoria:
• agenti antiendotossine: sfortunatamente non sono stati più efficaci del placebo in 2 studi clinici; si è
scoperto retrospettivamente che l’Ab monoclonale contro il lipide A utilizzato non legava il proprio
bersaglio con la necessaria affinità; sono allo studio Ab modificati e coniugati polimixina-destrano
per adsorbire l’LPS
• anticitochine (metilprednisolone): neanche questi hanno abbassato il numero dei decessi rispetto al
placebo, poiché l’inibizione della sintesi dei mediatori centrali dello shock settico compromette
anche le capacità di difesa antimicrobica, e quindi l’efficacia della chemioterapia.
La misura migliore rimane quindi la prevenzione: essa va fatta soprattutto in ospedale, dove c’è il > numero
di casi di sepsi, limitando l’uso e la durata di cateteri a permanenza, la durata di neutropenia grave (<
500/mm3), le procedure invasive e l’impiego indiscriminato di antibiotici e glucocorticoidi.
È importante anche la prevenzione terziaria, che si basa sul pronto riconoscimento dello shock in fase
iniziale e sul tempestivo trattamento con le misure suddette.
STREPTOCOCCIE
Sono malattie infettive sostenute da streptococchi tramite 3 meccanismi:
1. Invasione diretta dei tessuti (forme invasive): piodermiti, ascessi, erisipela, setticemie, tonsillite,
febbre puerperale, polmoniti
2. Azione delle tossine (forme tossiche): scarlattina
3. Reazione differita dell’organismo di natura immunologica o meglio immunoallergica (malattie
metastreptococciche): RAA, glomerulonefrite poststreptococcica, eritema nodoso, porpora di
S.H.
Gli streptococchi sono cocchi gram + capsulati che possiedono sulla membrana cellulare:
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proteina M dotata di potere antifagocitario interferisce con l’attivazione del complemento, ha potere
patogeno e determina la formazione di Ab che proteggono dalle reinfezioni dello stesso sierotipo. Gli
streptococchi possono essere suddivisi in base alla proteina M in 80 sierotipi.
proteina T è un marker epidemiologico ma non rappresenta un fattore di virulenza
acidi lipoteicoici importanti per l’adesione alle membrane
polisaccaride C: o antigene C di superficie permette di distinguere 18 sierotipi dalla A alla R
(classificazione di Lancefield)
Alcuni streptococchi non tipizzabili per proteina M sono tipizzabili per proteina T.
In base alla capacità di produrre emolisi se incubati in agar-sangue gli streptococchi vengono distinti in:
1. α-emolitici: che producono emolisi incompleta (viridanti); pneumococchi, gruppo B e D
commensali del cavo orofaringeo; possono determinare granulomi ed endocarditi batteriche
subacute.
2. β-emolitici: che producono emolisi completa; Pyogenes, Agalactiae, Milleri, enterococchi; sono
commensali del cavo orale.
3. γ-emolitici o anemolitici: che non producono emolisi, gruppo B e D, Streptococcus mutans che
determina carie dentaria e peptostreptococchi anaerobi obbligati, saprofiti del cavo orale che se
vanno incontro a virulentazione determinano infezione dei tessuto necrotici con ascessi che hanno il
caratteristico odore putrido
gli streptococchi β-emolitici sono quelli dotati di maggiore potere patogeno.
gli streptococchi patogeni per l’uomo sono rappresentati da:
streptococchi β-emolitici di gruppo A (Pyogenes) hanno il maggiore potere patogeno, sono responsabili di
forme invasive, scarlattina, RAA, glomerulonefrite
streptococchi β-emolitici di gruppo B (Agalactiae) che colonizzano la vagina e sono responsabili di
polmoniti, infezioni neonatali e infezioni vaginali
streptococchi β-emolitici di gruppo C e G: infezioni faringee
streptococchi β-emolitici di gruppo D (enterococchi o non enterococchi): infezioni urinarie, setticemie,
endocarditi, colangiti
streptococchi β-emolitici di gruppo F (Milleri): meningiti, endocarditi, infezioni suppurative
Infezioni da streptococco Β -emolitico di gruppo A
Gli streptococchi di gruppo A determinano infezioni clinicamente evidenti o inapparenti e sono responsabili
del 2% delle URI (infezioni del tratto respiratorio superiore).
La massima incidenza è in inverno e primavera, la trasmissione è infatti interumana diretta e favorita dal
freddo umido e dai contatti stretti (diffusione intrafamiliare).
Ci sono numerosi portatori sani a livello del naso e del faringe.
Gli Streptococchi di gruppo A producono numerose tossine:
streptolisina O
streptolisina S
streptochinasi
ialuronidasi
proteasi
NADG (nicotinamide-adenina-dinucleotide-glicoidrolasi)
Tossina eritrogenica (nei batteri infettati da fagi lisogeni)
Gli enzimi hanno la funzione di facilitare la diffusione batterica e rendono fluido il pus. Determinano la
comparsa di Ab specifici che permettono di documentare l’infezione (TAOS, Streptozyme).
INFEZIONI A PATOGENESI INVASIVA
Comprendono piodermiti (infezioni suppurative del derma), ascessi, erisipela, tonsillite essudativa, febbre
puerperale, polmoniti.
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Faringo-tonsillite streptococcica (angina streptococcica)
Colpisce soprattutto tra 5-15 anni. La diffusione avviene per contagio diretto, secrezioni salivari o nasali ed è
favorita da sovraffollamento e mesi invernali. I portatori sani faringei sono 15-20%.
La durata è di 2-4 giorni.
Si possono manifestare in 2 forme:
angina eritematosa: intenso arrossamento e congestione del faringe e delle tonsille
angina essudativo-follicolare: presenza di essudato giallo-grigiastro cremoso
la sintomatologia è quella tipica delle faringotonsilliti: inizio brusco con febbre elevata, faringodinia intensa
(angina), disfagia orofaringea, tumefazione dei linfonodi regionali (linfadenite consensuale) in particolare
angolo-mandibolari.
All’EO si nota faringe arrossato (rosso vivo), tonsille aumentate di volume con essudato confluente, giallobiancastro, cremoso non debordante.
La diagnosi viene fatta tramite tampone nasofaringeo e TAOS-Steptozyme.
La malattia è in genere autolimitante ma può complicarsi con diffusione alle cavità paraorali con sinusite,
otite media, mastoidite, otite suppurativa, ascesso tonsillare o con le malattie metastreptococciche.
Si possono avere anche ascessi tonsillari o paratonsillari che richiedono un drenaggio chirurgico in quanto
lo scolo in basso delle secrezioni purulente potrebbe determinare una diffusione al mediastino con
conseguente mediastinite.
Nei primi 3-4 anni di vita sono più frequenti le forme atipiche con rinorrea e sono più facili le complicanze
suppurative.
Poiché la migliore prevenzione di queste complicanze è rappresentata dal trattamento radicale dell’infezione
acuta, è importante che questa venga esattamente diagnosticata e differenziata da altre forma di tonsillite
eritematosa o essudativa (mononucleosi, difterite, adenovirosi).
Criteri di diagnosi differenziale sono:
assenza di rinite e bronchite
linfoadenopatia angolomandibolare (al contrario della linfadenite cervicale diffusa che si ha in corso di
infezione virale, più diffusa)
leucocitosi neutrofila (assente nelle forme virali)
aumento del TAOS (NB: non durante l’angina ma 15 giorni dopo)
tampone faringeo positivo
la terapia viene fatta con penicillina o macrolidi (profilassi primaria di RAA).
La terapia viene fatta non con penicillina G ma con penicillina ritardo che assicura una copertura di 10
giorni (la penicillina benzatina assicura una copertura anche per 1 mese).
Non vanno utilizzati sulfamidici.
dermatosi piogeniche o piodermiti (forme cutanee)
sono lesioni cutanee causate da ceppi nefritogeni.
Sono rappresentate da:
forme dermico-epidermiche (impetigine contagiosa)
colpisce bambini tra i 2-5 anni. La diffusione avviene per contagio diretto, contaminazione ambientale o
attraverso vettori ed è favorita dal clima umido.
Si può avere inoculazione intradermica tramite abrasioni, traumi minori o punture di insetti.
È una eruzione papulosa circoscritta che evolve in vescicola pustola e squamo-crosta gialliccia mielicerica
(lo Streptococco è isolabile al di sotto della crosta) che determina prurito e bruciore ma non dolore.
La lesione guarisce in alcuni giorni lasciando spesso una macchia pigmentaria transitoria.
La localizzazione è per lo più nelle zone scoperte ed in particolare al volto ed alle mani.
Se l’infezione si approfonda nel derma si verifica necrosi (echtyma).
L’impetigine può comparire anche su altre affezioni cutanee in particolare lesioni tramutatiche superficiali,
dermopatie eczematose, herpes, ustioni ed in questo caso si parla di impetiginizzazione.
Il TAOS è basso, al contrario che nella faringo-tonsillite
Si può avere come complicanza la glomerulonefrite ma non la RAA.
forme dermiche (erisipela)
è una infezione suppurativa del derma profondo e dell’ipoderma, caratterizzata da febbre, sintomi sistemici e
leucocitosi. Il contagio può essere autogeno (portatori sani a livello del naso e delle tonsille) o esogeno.
Colpisce soprattutto bambini e adulti > 20-50 anni.
L’impianto è favorito da traumatismi come ferite vaccinazioni, innesto di orecchini e piercing.
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L’inizio è brusco con febbre con brivido, antro 24 ore si forma una placca rilevata eritemato-edematosa di
colorito rosso vivo, lucente a superficie liscia a buccia d’arancio, a margini netti e rilevati che tende a
diffondersi spesso con un apprezzabile margine sollevato (segno dello scalino: alla palpazione si avverte
come uno scalino tra la zona di cute colpita e quella sana). La lesione è accompagnata da bruciore e dolore.
La zona centrale tende a diventare più chiara mano man mano che la lesione si estende in periferia.
La tumefazione è particolarmente evidente nelle zone ricche di tessuto connettivo come ad esempio i
genitali, viso, padiglione auricolare.
È presente linfangite con linfoadenopatia consensuale.
La guarigione avviene tramite desquamazione entro 10 giorni in assenza di terapia ma tende a recidivare.
Può complicarsi con glomerulonefrite ma non RAA.
La terapia si basa su penicillina G e in caso di allergia macrolidi.
La fascite necrotizzante è una complicazione dell’erisipela in pazienti immunodepressi o diabetici.
Il quadro è drammatico ed inizia con febbre elevata e setticemia, la cute diventa violacea e le bolle evolvono
in escare.
L’unico trattamento è quello chirurgico.
forme ipodermiche (ascesso, flemmone)
È un processo suppurativo del derma profondo e dell’ipoderma che si manifesta soprattutto negli arti
inferiori ed in particolare in pazienti diabetici. Il pus che si produce in queste lesioni è molto fluido, per la
produzione da parte dello streptococco di vari enzimi litici, che favoriscono la sua invasività diretta.
Compare una placca eritematosa e infiltrata, calda e dolente, con linfangite e linfadenite satellite. Segue poi
l’ascessualizzazione della placca ed il suo svuotamento (spontaneo o chirurgico).
La terapia è antibiotica soprattutto nella fase iniziale, dopo l’ascessualizzazione è necessaria l’incisione
chirurgica.
INFEZIONI A PATOGENESI TOSSICA
Sono rappresentate essenzialmente dalla scarlattina che è una malattia esantematica causata da ceppi di
streptococco infettati da un fago lisogeno che sono in grado di produrre una tossina eritrogenica in vivo.
Il periodo di incubazione è di 2-5 giorni, il periodo di invasione o prodromico è di poche ore cioè è
praticamente assente perciò l’inizio è brusco con febbre ed angina streptococcica.
Si ha quindi la formazione di:
esantema: maculo-papula di 1-2 mm che rappresenta la lesione elementare che tende a confluire con
quelle circostanti; può rimanere tra le lesioni un po’ di cute integra ma pur sempre lievemente eritematosa a
causa della capillarite causata dalla tossina che determina stravaso di eritrociti nell’interstizio con
degradazione dell’Hb in emosiderina (per questo la digitopressione sull’esantema determina il segno della
mano gialla itterica); l’esantema inizia alla radice degli arti e diffonde sia alle estremità che al tronco, sono
risparmiati labbro superiore, inferiore e mento cioè la regione circumorale (maschera di Filatow). La
capillarite determina fragilità vascolare che si può evidenziare con la prova del laccio che determina lesioni
petecchiali a valle. Nelle pieghe cutanee (ex. gluteo o ascelle) dove c’è sfregamento sono presentì strie rosse
sempre dovute al danno capillare
enantema (a livello delle mucose del cavo orale): la lingua appare inizialmente impanata cioè bianca con
bordi rossi, poi compaiono dei puntini rossi dovuti all’ipertrofia delle papille gustative (lingua a fragola
invertita) quindi scompare il bianco e rimane l’ipertrofia (lingua a lampone) e si ha la desquamazione che
determina perdita della lucidità (lingua opaca) e successiva riepitelizzazione con ritorno alla lucidità (lingua
verniciata)
Il decorso è di 5-7 giorni.
La risoluzione dell’esantema si verifica tramite desquamazione furfuracea al tronco e lamellare sul
palmo della mano e sulla pianta del piede (la pelle si stacca a grossi lembi: segno del guanto e del calzino).
La diagnosi si basa oltre che sul quadro clinico anche su dati di laboratorio:
Elevati incidici aspecifici di malattia (VES, PCR…)
Neutrofilia ed eosinofilia
Tampone faringeo positivo
Sieroconversione del TAOS (incremento del titolo anticorpale di circa 4 volte in 2 campioni di siero raccolti
all’inizio della malattia e dopo 15 giorni) e Streptozyme
Si possono avere complicanze tossiche precoci (miocardite, nefrite interstiziale) e artrite (diversa dalla RAA)
+ le stesse complicanze della faringite streptococcica.
La terapia è la stessa della faringite streptococcica.
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MALATTIE METASTREPTOCOCCICHE
Sono rappresentate da 2 malattie mutuamente esclusive cioè che sono determinate da diversi ceppi di batteri:
Malattia reumatica: causata da ceppi reumatogeni positivi per la proteina M che danno faringotonsillite
(ma non piodermite), è rara prima dei 5 anni e ha un massimo di incidenza tra 5-15 anni
Glomerulonefrite post-streptococcica che è causata da ceppi nefritogeni negativi per la proteina M che
determinano piodermiti, colpisce spesso prima dei 5 anni
Altre streptococcie a patogenesi immunologica sono l’eritema nodoso (aspecifico) e la porpora di S. H che
può anche essere determinata da farmaci.
Malattia reumatica
Viene anche definita febbre reumatica o reumatismo articolare acuto.
È una malattia infiammatoria sistemica ad andamento acuto o subacuto recidivante che coinvolge il cuore, le
articolazioni, la cute ed il SNC (gangli della base) e si manifesta quindi clinicamente con poliartrite,
pancardite, corea e manifestazioni cutanee.
Rappresenta una sequela tardiva, che insorge nel 2-3% dei pazienti, di una infezione delle alte vie aeree (in
genere una faringite) sostenuta dallo Streptococco β− emolitico di gruppo A.
L’infezione insorge dopo un periodo di latenza di 2-3 settimane (necessario per montare la risposta immune)
da angina streptococcica che in 1/3 dei casi decorre asintomatica.
La probabilità dell’insorgenza è correlata alla durata ed alla gravità della faringite.
L’incidenza della malattia reumatica ha subito una progressiva riduzione con il miglioramento delle
condizioni di vita, il miglior controllo terapeutico delle infezioni streptococciche, la riduzione della virulenza
dei ceppi e la diagnosi precoce.
N.B. l’infezione è responsabile non solo della malattia reumatica ma anche delle singole recidive cioè le
recidive sono dovute ad una reinfezione da parte dello Streptococco β−emolitico di gruppo A.
La prima infezione in genere ha un picco di incidenza tra i 5-15 anni ed è rara prima dei 20 anni, recidive si
possono avere anche in età più avanzata.
L’incidenza del primo episodio dopo angina streptococcica si ha nello 0.3-3% dei casi mentre l’incidenza di
recidive in seguito a reinfezione è > 50%.
Eziopatogenesi
La malattia non è invasiva, infatti le lesioni tissutali sono sterili e l’emocoltura è negativa.
La patogenesi è di tipo immunologico determinata dalla cross-reazione tra gli anticorpi contro gli antigeni
streptococcici ed Ag self:
gli Ag della proteina M cross-reagiscono con il sarcolemma del muscolo cardiaco e scheletrico
polisaccaride C cross-reagisce con le glicoproteine delle valvole cardiache
proteine della capsula con sinovia articolare
membrana cellulare con neuroni del nucleo caudato e subtalamico
il processo infiammatorio colpisce fibroblasti valvolari, neuroni, miofibrille del muscolo liscio e componenti
connettivali.
Gioca un ruolo fondamentale la predisposizione genetica.
Le lesioni si verificano a carico del tessuto connettivo di molteplici organi.
Le lesioni anatomo-patologiche fondamentali sono i noduli (o corpi) di Aschoff, che si trovano
prevalentemente nel miocardio a livello del connettivo interstiziale, in sede perivasale.
l’evoluzione è nella sclerosi e cicatrice in sede perivasale.
Le lesioni cardiache determinano la cosiddetta cardiopatia reumatica.
I noduli di Aschoff possono essere presenti anche nel pericardio e nell’endocardio determinando un
completo coinvolgimento del cuore (pancardite reumatica):
miocardite
pericardite fibrinosa o sierofibrinosa
i noduli di Aschoff si trovano nel tessuto sottosieroso.
Si possono formare aderenze tra epicardio parietale e viscerale e si può avere evoluzione in pericardite
costrittiva.
Endocardite verrucosa
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Si formano a livello dell’endocardio delle verruche costituite macroscopicamente da escrescenze
corpuscolari distribuite soprattutto a livello valvolare in corrispondenza del margine di chiusura della
valvola in un’unica filiera detta a corona di rosario.
Le verruche tendono a formarsi sul margine di chiusura poichè questo è più soggetto a traumatismo sia per i
fenomeni di apertura e di chiusura che per la forte pressione sanguigna e quindi presenta più facilmente
lesioni di disepitelizzazione su cui possono impiantarsi le verruche.
Per questo motivo le valvole sono più colpite dal lato che vede il flusso: la faccia atriale per la valvola
mitralica e quella ventricolare per la valvola aortica. Microscopicamente la verruca è formata da un trombo
di fibrina e piastrine, le lesioni di disepitelizzazione dell’endocardio infatti determinano trombosi.
Le verruche dell’endocardite reumatica sono formate in superficie da trombi e nello spessore dell’endocardio
dai noduli di Aschoff.
In fase acuta si ha dilatazione ed insufficienza valvolare.
Dal cercine iniziano a proliferare vasi, la valvola si vascolarizza e si ha organizzazione del trombo che
diventa aderente (dando luogo alla verruca) e non da emboli.
La vascolarizzazione della valvola facilita l’impianto di una endocardite batterica. La scoperta di un
microvaso sull’endotelio valvolare è indice di una pregressa endocardite reumatica poichè la valvola non è
normalmente vascolarizzata e riceve nutrimento direttamente dal flusso con cui è in contatto.
Le verruche tendono a guarire per fibrosi determinando vizi valvolari semplici, doppi o combinati.
Nel 75% dei casi si verifica interessamento esclusivo della valvola mitrale mentre nel 25% dei casi si ha
interessamento sia della mitrale che dell’aortica.
Le alterazioni valvolari fondamentali sono costituite dall’ispessimento dei lembi, dalla fusione e
dall’accorciamento delle commissure e dall’ispessimento e fusione delle sorde tendinee.
La presenza di tessuto fibroso e di calcificazioni tra le commissure valvolari da origine all’immagine di
stenosi a bocca di pesce.
Si può avere calcificazione della valvola aortica.
L’endocardite reumatica non colpisce sono le valvole ma può colpire anche l’endocardio parietale e cordale
(endocardite valvolare, parietale e cordale).
Clinica
La malattia esordisce dopo alcune settimane dall’infezione streptococcica con il tipico quadro tossinfettivo:
febbre elevata, malessere, sudorazione, cefalea, dolori addominali, vomito etc.
Sono inoltre presenti manifestazioni specifiche:
artrite
75%
Cardite
40-50%
Corea
15%
Noduli sottocutanei
<10%
Eritema marginato
<10%
L’artrite è una forma poliarticolare acuta ad andamento migrante, prevalentemente a carico delle grandi
articolazioni che si manifesta con artralgia, tumefazione, arrossamento ed estrema dolorabilità.
Le articolazioni vengono colpite in successione e quindi guariscono spontaneamente senza alterazioni
funzionali residue (restitutio ad integrum).
In genere una articolazione viene colpita una sola volta.
L’endocardite si manifesta come insufficienza mitralica isolata (soffio sistolico di punta) o associata ad
insufficienza aortica.
La miocardite determina ritmo di galoppo, tachicardia sproporzionata alla febbre (dissociazione del polso)
e alterazioni elettrocardiografiche della conduzione e del ritmo (extrasistoli, blocco atrioventricolare,
blocco di branca soprattutto dx) per interessamento del tessuto di conduzione da parte dei noduli.
 Alterazioni all’ECG sono onda T invertita o piatta, slivellamento del tratto ST, P-R > 0.2 (non diagnostico
di cardite). Un’aritmia frequente è la fibrillazione atriale che predispone all’insorgenza di trombosi atriale
con possibilità di embolizzazione sistemica.
Sono presenti inoltre toni parafonici (segno di sofferenza cardiaca) e soffi da rigurgito causati dalla
dilatazione cardiaca.
La pericardite si manifesta con dolore precordiale, versamenti (incremento dell’aia di ottusità cardiaca) e
sfregamenti pericardici, all’ECG inversione dell’onda T e sopraslivellamento del tratto ST.
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L’interessamento del SNC determina la corea minor che è una sindrome neurologica che si manifesta
tardivamente fino a 6 mesi di distanza, la diagnosi infatti è difficile per la correlazione alla precedente
infezione streptococcica.
È caratterizzata da movimenti involontari afinalistici, improvvisi, rapidi, che non diminuiscono con il
riposo, scompaiono con il sonno e si accentuano con gli atti volontari.
È presente anche labilità emotiva, debolezza muscolare e tics.
Le manifestazioni cutanee sono rappresentate dai noduli sottocutanei e dall’eritema marginato.
I noduli sottocutanei sono noduli di 0.1-1 cm, duri, non dolenti, ricoperti da cute mobile non infiammata,
localizzati in corrispondenza dei tendini o sulla superficie estensoria delle prominenze ossee o su ossa piatte
del cranio (noduli di Meynet). Sono formati da noduli di Aschoff giganti.
L’eritema marginato è costituito da macule o papule eritematose asintomatiche, fugaci e migranti, che
presentano un centro chiaro e margini irregolari (alone giallastro a carta geografica) tendono a confluire in
forme di aspetto serpiginoso. L’eritema cioè tende a scomparire al centro e a fondersi in periferia con aspetto
a carta geografica.
Il decorso è regressivo nel corso di settimane o mesi (2-3 mesi nel caso della cardite).
Dopo la prima manifestazione, la vulnerabilità dell’organismo alla riattivazione aumenta e si verificano
infezioni streptococciche ricorrenti con sintomatologia clinica analoga e manifestazioni più gravi e più
diffuse. Si può avere inoltre l’interessamento delle altre sierose: pleura e peritoneo.
Diagnosi
Si basa oltre che sull’evidenza clinica di una infezione streptococcica anche su 2 criteri maggiori o 1
maggiore + 2 minori:
criteri maggiori
Poliartrite
Cardite
Corea
Eritema marginato
Noduli di Meynet
Criteri minori
Pregresso episodio di MR
Febbre
Artralgie
PR > 0.2
Indici aspecifici di malattia infettiva alterati
Per la diagnosi è inoltre necessaria anche la dimostrazione di recente infezione Streptococcica: positività di
TAOS o Streptozyme, positività alla coltura su tampone o evidenza di scarlattina.
È importante la diagnosi differenziale con artrite reumatoide, porpora di S.H., reumatismo focale e malattia
da siero.
Le indagini di laboratorio evidenziano positività di TAOS e Streptozyme, leucocitosi neutrofila, incremento
dei VES e proteine di fase acuta.
Terapia
Normalmente il decorso della malattia è verso la regressione spontanea in alcune settimane ma c’è una
elevata tendenza alla recidiva.
È importante l’eradicazione dell’infezione e la profilassi delle recidive (profilassi secondaria) tramite
penicillina benzatina 1.200.000 UI/mese i.m. ogni 28 giorni per 10 anni (in presenza di cardite per tutta la
vita).
N.B. la recidiva è sempre conseguenza di una reinfezione dello streptococco perciò è fondamentale la
prevenzione secondaria.
La terapia della malattia reumatica si basa sull’acido acetilsalicinico (100-120 mg/kg/die in 4-6
somministrazioni, salicilemia 25-35 mg%) e prednisone 1mg/Kg/die in caso di caridite.
La durata della terapia dipende dalla normalizzazione degli indici aspecifici di malattia, in genere per le
forme lievi è di 1 mese mentre per le forme gravi di 2 mesi.
STAFILOCOCCIE
Sono malattie causate da infezione diretta da parte degli Stafilococchi o da ingestione delle loro tossine.
Comprendono:
infezioni a carico di cute, annessi cutanei e mucose
infezioni degli organi interni e generalizzate
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malattie a patogenesi tossinica
gli Stafilococchi sono presenti in 3 specie: Aureus, Epidermidis e Saprofiticus.
gli Stafilococchi sono cocchi gram + con crescita a grappolo, capsulati, asporigeni, anaerobi facoltativi.
Fermentano il glucosio in anaerobiosi in 5 giorni (a differenza dei micrococchi).
Hanno facile crescita sui comuni terreni di coltura dove formano colonie grandi, rotondeggianti, rilevate ed
opache.
La notevole alofilia li rende capaci di svilupparsi anche ad elevate concentrazioni di NaCl tali da inibire lo
sviluppo di altri batteri (terreni selettivi – es terreno di Chapman con NaCl al 7,5%).
In passato il marcatore di patogenicità era la produzione di pigmento giallo (lo S. aureus prende infatti il
nome dal pigmento mentre S. epidermidis e S. saprofiticus); oggi invece il marker di patogenicità è la
produzione di coagulasi: essa è un isoenzima che si combina con un fattore plasmatico e forma la
stafilotrombina che ha azione analoga alla trombina (trasforma il fibrinogeno in fibrina):
 coagulasi positivi: Aureus patogeno
 coagulasi negativi: Epidermidis e Saprofiticus considerati non patogeni, ma possono diventarlo in
base alle condizioni dell’ospite
I principali fattori di virulenza degli Stafilococchi sono:
capsula che ha funzione antifagocitaria, opera la chemiotassi dei PMN e facilita l’adesione a materiali
sintetici (cateteri, protesi, giunture e shunt) i ceppi privi di capsula sono meno invasivi
parete cellulare (peptidoglicano + acidi teicolici) determina attivazione del complemento che sta alla base
dello shock tossico, gli acidi teicolici hanno funzione di adesione
gli Stafilococchi producono numerose esotossine ed enzimi:
1. emolisine α, β, γ, δ provocano la lisi di eritrociti e PMN con rilascio di enzimi lisosomiali che
provocano danno ai tessuti (azione dermonecrotica)
2. tossina esfoliativa o epidermolitica che è responsabile della sindrome della cute ustionata o
dermatite esfoliativa (SSS)
3. tossina della sindrome da shock tossico TSS1 (o enterotossina F) che è prodotta dallo S. Aureus
ed è un superantigene in grado di determinare la produzione di citochine
4. enterotossina termostabile acido-stabile che è presente in 5 diversi tipi A, B, C, D, E, prodotta in
situ (enterocolite Stafilococcica) o assorbita attraverso le mucose (tossinfezione alimentare)
5. penicillinasi o β− lattamasi che è un enzima che determina variazione delle PBP e viene acquisito
tramite plasmidi
6. stafilochinasi o fibrinolisina che converte il plasminogeno in plasmina enzima proteolitico che è in
grado di scindere i coaguli di fibrina
La patogenesi delle infezioni stafilococciche si basa su diverse tappe: penetrazione nei tessuti, liberazione di
tossine ed enzimi, richiamo di PMN, infiammazione, trombosi dei piccoli vasi, necrosi, colliquazione con
formazione di pus giallo-cremoso, con un PH acido che impedisce la diffusione dei farmaci e li inattiva
perciò è importante l’evacuazione (“ubi pus ibi evacua”)
Il principale meccanismo di difesa immunitaria contro gli Stafilococchi è rappresentato dai PMN e dal C’.
Fattori predisponenti alle infezioni stafilococciche sono: tumori, leucomi, diabete (alterazioni del PH e
della composizione del sudore), infezioni respiratorie (alterazione della barriera mucosa), ustioni e altre
dermatosi (riduzione della barriera cutanea), malattia granulomatosa con deficit di PMN, malattie con
aumento delle IgE, endoplastiti (cateteri, protesi).
Fondamentali sono i deficit qualitativi e quantitativi dei PMN e del C’.
Gli Stafilococchi sono ubiquitari in quanto sono tra i più resistenti all’ambiente esterno tra i batteri
asporigeni.
Epidemiologia
Il principale serbatoio è l’uomo, infatti fanno parte della normale flora batterica commensale, nella cute, nel
tratto respiratorio superiore e del tratto GI. I portatori sani (continui o discontinui) arrivano al 40-70% della
popolazione e da tale condizione può derivare una infezione endogena. Negli ospedali il 50-100% del
personale è portatore di ceppi antibiotico-resistenti.
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Un problema della terapia delle stafilococcie è l’insorgenza di germi penicillina-resistenti soprattutto negli
ospedali che viene acquisita soprattutto tramite plasmidi.
I ceppi penicillino-resistenti vengono trattati con penicilline antistafilococciche (meticillina) o cefalosporine,
ma ciò ha selezionato ceppi meticillina-resistenti MRSA che non sono sensibili alle cefalosporine (crossresistenza con le cefalosporine).
Vanno utilizzati quindi vancomicina o teicoplanina anche se ultimamente sono comparsi anche ceppi
vancomicina e teicoplanina-resistenti. La resistenza agli antibiotici ha origine plasmidica e viene acquisita
tramite trasduzione.
INFEZIONI CUTANEE
Sono più frequenti nei bambini e nei giovani adulti in particolare durante la pubertà.
Impetigine stafilococcica
Si manifesta soprattutto sulla cute umida e glabra, durante l’estate, tende a recidivare ed è meno contagiosa
dell’impetigine streptococcica.
Insorge soprattutto intorno alle narici o alla barba ed è caratterizzata da bolle che si trasformano in pustole,
quindi si rompono danno origine a squamo-croste mieliceriche e guariscono con restitutio ad integrum.
Pemfigo endemico del neonato
È una infezione neonatale che si manifesta con una eruzione bollosa impetiginoide altamente contagiosa che
diffonde a tutto l’ambito cutaneo (esclusi palmo della mano e pianta del piede) e che si associa a
compromissione generale.
Follicolite
È una infezione superficiale del follicolo pilifero, caratterizzata dalla formazione di una pustola centrata da
un pelo con alone eritematoso, la cui rottura determina fuoriuscita di pus e formazione di una squamo-crosta
mielicerica. Si può associare all’impetigine. L’agente causale è lo S. Epidermidis.
Sicosi della barba
È una follicolite cronica dei peli della barba, caratterizzata da pustole gementi pus dalle quali i peli si
asportano con facilità.
Foruncolo
È una infezione profonda del follicolo pilifero e della ghiandola sebacea ad esso annessa che si manifesta con
una flogosi necrotico-suppurativa che porta alla formazione di un cencio necrotico.
Si presenta come un nodulo caldo, dolente e centrato da un pelo; quindi si forma un cratere a contenuto
purulento da cui escono pus e sangue, infine viene espulsa una concrezione grigio-giallastra che costituisce il
cencio necrotico.
L’agente causale è lo S. Aureus.
La foruncolosi recidivante si verifica quando si ha il ripetersi di foruncoli subentranti per periodi di tempo
prolungati. Colpisce soprattutto in condizioni di PH alcalino o neutro, umidità, uso incongruo di antibiotici.
La terapia antibiotica topica infatti può selezionare ceppi resistenti, perciò è meglio un antisettico liquido che
tra l’altro non lascia umidità (al contrario della crema) la quale facilita l’impianto dei batteri.
Condizioni predisponenti sono diabete, alcolismo e obesità.
Il foruncolo maligno della faccia colpisce il naso o il labbro superiore, da qui tramite il plesso venoso della
faccia i cocchi raggiungono l’orbita e quindi tramite i linfatici la cavità cranica determinando una
tromboflebite del seno cavernoso con diffusione alle meningi e quindi meningite ed ascesso cerebrale.
Favo
Si realizza quando più foruncoli confluiscono interessando le parti molli fino alla fascia muscolare.
Si presenta come un piastrone rilevato di colorito rosso vivo duro e infiltrato molto doloroso, su cui dopo
alcuni giorni compaiono pustole a sede follicolare che si aprono formando crateri dai quali fuoriescono pus,
sangue e detriti necrotici fino alla espulsione dei cenci.
Le sedi più frequenti sono quelle irritanti da contatto come collo e natiche.
Idrosadenite
È un processo suppurativo a carico delle ghiandole sudoripare apocrine a livello del cavo ascellare,
dell’areola mammaria o delle regioni genitali.
Appaiono come noduli duri, congesti, profondi e spesso molto dolenti che si aprono all’esterno emettendo
pus denso giallastro e sangue. Hanno spesso un decorso cronico e sono favorite dalla depilazione e dall’uso
di deodoranti antitraspiranti.
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Patereccio o perionissi piogenica
È una infezione suppurativa delle falangi distali lungo i bordi e sul tetto dell’unghia.
Il perinichio diventa eritematoso, tumido, teso, lucente, molto dolente e pulsante; il pus defluisce attraverso
le tasche periungueali e scolla la lamina ungueale. È presente linfoadenopatia epitrocleare e ascellare e sono
facili le recidive. Complicazioni sono l’osteomielite delle falangette e la diffusione flemmonosa alla mano.
Flemmone o cellulite
È un processo suppurativo del derma profondo e dell’ipoderma che si manifesta soprattutto negli arti
inferiori ed in particolare in pazienti diabetici.
Compare una placca eritematosa e infiltrata, calda e dolente, con linfangite e linfadenite satellite.
Si ha in genere l’ascessualizzazione della placca ed il suo svuotamento spontaneo o chirurgico.
La terapia è antibiotica soprattutto nella fase iniziale, dopo l’ascessualizzazione è necessaria l’incisione
chirurgica.
Mastite puerperale
È una infezione suppurativa del capezzolo favorita dal traumatismo della suzione e dal tugore della
ghiandola che determinano la formazione di ragadi che tendono ad infettarsi.
Orzaiolo
Infezione suppurativa delle ghiandole lacrimali.
Ascesso sottocutaneo
Frequente a livello gluteo, è dovuto ad iniezioni di sostanze che fissano i germi senza una adeguata
disinfezione.
Infezione di ferite traumatiche, chirurgiche e ustioni
INFEZIONI MUCOSE
Congiuntivite
Otite media
Sinusite
Tonsillite
Uretrite, prostatite, balanite
Tracheite
INFEZIONI DEGLI ORGANI INTERNI
Polmonite sfafilococcica
La polmonite da Stafilococco (che è facilmente chemioresistente) tende ad essere necrotica con formazione
di microascessi.
Gli Stafilococchi dal rinofaringe colonizzano l’albero bronchiale e quindi il parenchima polmonare, favoriti
da condizioni come influenza, BPCO e cardiopatie croniche scompensate (polmonite da ipostasi).
La polmonite si può manifestare con focolaio unico (polmonite lobare) o focolai multipli (broncopolmonite).
Il quadro clinico è più variabile rispetto alla forma Pneumococcica e va da forme paucisintomatiche a forme
fulminanti con rapida evoluzione verso l’IRA.
Si può verificare anche il cosiddetto foruncolo del polmone per ascessualizzazione di una polmonite a
focolaio unico e la foruncolosi polmonare, secondaria in genere a diffusione ematogena del microrganismo.
Nel bambino è frequente lo pneumatocele dovuto allo svuotamento di un ascesso in un bronco con
formazione di bolle tipiche causate dal meccanismo a valvola.
Osteomielite
È causata dallo Stafiloccoccus Aureus che raggiunge le ossa per via ematica.
Colpisce soprattutto bambini e giovani, può essere una manifestazione post-traumatica o post-operatoria e si
può associare ad artrite purulenta.Interessa in genere le ossa lunghe in particolare a livello della cartilagine di
accrescimento che è quella più riccamente vascolarizzata dove iniziano i processi di ascessualizzazione
(quando cessa l’accrescimento non c’è più infezione). L’esordio clinico è brusco con febbre elevata, stato
generale compromesso e forti dolori ossei.
L’Rx è negativo nelle prime 2 settimane, poi mostra il caratteristico segno della bara con il cadavere dentro
(dovuto a rimaneggiamento osseo): zona centrale con densità aumentata (dovuta a calcificazione per
fenomeni di ossificazione) e zona periferica con riduzione di ossificazione.
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Infezioni renali
Caratterizzate da pielonefrite che si può complicare con l’ascesso renale con eventuale diffusione ad ascesso
pararenale.
Infezioni cerebrali
Meningite purulenta (letalità del 30-40%) e ascesso peridurale (spesso iatrogeni, nosocomiali), ascesso
cerebrale (misto con anaerobi).
Altre infezioni
Artrite purulenta, empiema della colecisti, piomiosite purulenta.
SEPSI STAFILOCOCCICA
Le sepsi acute sono sostenute dallo Stafilococcus Aureus ed hanno una prognosi grave con frequenti
localizzazioni metastatiche a diversi organi.
Le sepsi Stafilococciche sono particolarmente temute nei reparti chirurgici, di rianimazione o terapia
intensiva dove spesso sono causate da microrganismi selezionati dall’antibiotico-terapia.
La localizzazione a livello endocardico da luogo all’endocardite batterica acuta (causata dallo S.Aureus
nel 70% dei casi) che coinvolge in genere la mitrale ed è letale nel 40-80% dei casi. Nei tossicodipendenti si
può avere interessamento della tricuspide con emboli settici polmonari.
Raramente si hanno sepsi acute da S. Aureus privo di capsula che determinano shock settico con CID che
può simulare la sindrome di Waterhause-Friederichsen.
Si possono anche avere sepsi subacute da Stafilococchi coagulasi-negativi, associati a endocarditi
subacute e endoplastiti (infezioni di protesi valvolari, cateteri venosi etc.); in questi casi è necessario
sostituire la protesi dopo terapia che sterilizza la sede di impianto altrimenti si verifica reinfezione.
STAFILOCOCCIE A PATOGENESI TOSSINICA
Sindrome dello shock tossico TSS1
È causata dalla tossina della sindrome dello shock tossico che è prodotta dallo S. Aureus, la quale funziona
da superantigene determinando la produzione di una vasta gamma di citochine.
L’assorbimento della tossina avviene da focolai infettivi a livello della cute o delle mucose, soprattutto nelle
mucose vaginali in caso di uso di tamponi vaginali assorbenti durante le mestruazioni o nella mucosa
intestinale in caso di enterite.
La sindrome si manifesta con un quadro tossinfettivo acuto (febbre, cefalea, alterazioni del sensorio)
accompagnato da:
 Congiuntivite
 Diarrea e vomito
 Rash disseminato con desquamazione cutanea
 Shock ed ARDS
 Danno miocardico ed aritmie
La letalità è del 30%, la terapia è sintomatologica e si basa sulla rimozione del focolaio infettivo da cui viene
immessa in circolo la tossina.
L’emocoltura è negativa (si tratta di una tossiemia) ed è presente ipoalbuminemia, incrmento di GOT, GPT
e CPK e piastrinopenia (no CID).
Sindrome della cute ustionata o dermatite esfoliativa SSS
È causata dalla immissione in circolo della tossina esfoliativa o epidermolitica prodotta da alcuni ceppi
presenti a livello di focolai infettivi.
Colpisce soprattutto i bambini in genere in seguito a onfalite o circoncisione infetta.
È presente febbre e lesioni cutanee diffuse: la cute si presenta diffusamente arrossata e dolorabile, si formano
bole e flittene (come nelle ustioni di 1° e 2° grado) e quindi si ha esfoliazione della cute a grossi lembi
(pianori clivaggio= strato granuloso), analogamente a quanto avviene nel pemfigo (segno di Nikosky +).
La terapia si basa su antibiotici e reidratanti (no steroidi).
La prognosi è buona.
Tossinfezione alimentare stafilociccica
Enterocolite stafilococcica: vedi tossinfezioni alimentari
Diagnosi
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L’isolamento dei batteri può essere fatto dai diversi campioni biologici: alimenti, tampone faringeo, ascessi,
emocoltura.
L’esame microscopico con colorazione di gram evidenzia cocchi gram + a grappolo.
La coltura viene fatta su agar sangue (presente alone di emolisi) o su terreno selettivo MSA (mannite, sali,
agar).
Terapia
Le lesioni cutanee benigne come foruncoli guariscono spontaneamente mentre le raccolte purulente di
maggiori dimensioni vengono trattate con evacuazione chirurgica.
Se le lesioni cutanee sono profonde va associata terapia antibiotica generale come anche in caso di sepsi e
infezioni d’organo.
La terapia è in genere prolungata e deve essere mirata in base all’antibiogramma, in base al quale possono
essere usati diversi antibiotici:
Penicilline semisintetiche penicillinasi-resistenti (la maggior parte degli Stafilococchi produce
penicillinasi): meticillina
Cefalosporine da non utilizzare in caso di Stafilococchi meticillina resistenti in quanto questi sono crossresistenti con le cefalosporine
Vancomicina e teicoplanina attive sui ceppi meticillina-resistenti
Utili in associazione:
 Rifampicina
 Aminoglicosidi
 Cotrimoxazolo
 Fluorochinoloni
 Acido fusidico
 Fosfomicina
La terapia è di associazione in quanto compare facilmente resistenza (penicillina semisintetica +
aminoglicosidi/rifampicina).
ENDOCARDITE INFETTIVA
È la forma di endocardite più frequente.
È una affezione a decorso acuto o subacuto dovuta ad invasione batterica di un’area focale di endocardio
valvolare o parietale accompagnata da una batteriemia persistente che determina uno stato di sepsi in cui gli
Ag microbici sono rilasciati direttamente in circolo ed anche la risposta immunitaria avviene direttamente nel
torrente circolatorio.
Nella maggior parte dei casi si parla di endocardite batterica ma possono essere implicati anche miceti,
rickettsie e virus.
Epidemiologia
Le caratteristiche epidemiologiche della malattia hanno subito notevoli cambiamenti begli ultimi decenni a
causa dell’aumento dell’età media della popolazione, del declino della malattia reumatica, dei progressi della
cardiochirurgia, dell’antibioticoterapia e della grande diffusione della tossicodipendenza.
In era preantibiotica il 90% delle infezioni era dovuta allo Streptococcus Viridans, colpiva più
frequentemente individui giovani con valvulopatia reumatica. Generalmente i pazienti venivano osservati
nelle fasi avanzate della malattia.
Oggi sono spesso implicati diversi agenti infettivi, la malattia è spesso contratta in ambiente ospedaliero o
per l’uso di droghe e i pazienti vengono in genere osservati nelle fasi iniziali della malattia.
Il rapporto maschi/ femmine è di 2:1.
Eziopatogenesi
I germi che raggiungono l’endocardio tramite batteriemia.
Le condizioni di batteriemia si possono aver in seguito a :
o affezioni del cavo orale come estrazioni dentarie, ascessi e stomatiti
o infezioni dell’apparato urogenitale
o infezioni cutanee come piodermiti
o cateterismo
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la batteriemia può essere anche fugace quando sono interessati batteri ad alta adesività: streptococchi,
pseudomonas e stafilococchi.
condizioni predisponenti sono rappresentate da:
o esito di una endocardite reumatica
o cardiopatie congenite che determinano a causa di uno shunt lesioni endocardiche da getto
o impianto di protesi e pacemaker
o uso di stupefacenti endovena
o alcolismo
o cardiochirurgia (complicazioni infettive)
i germi infatti tendono più facilmente ad impiantarsi su valvole che presentano già delle alterazioni
strutturali.
Perché si abbia una endocardite in ogni caso è necessario che si abbia una condizione predisponente che porti
alla formazione di una soluzione di continuo dell’endocardio con conseguente trombosi: sui trombi infatti si
impiantano i batteri, l’ulteriore deposizione di fibrina e di piastrine li protegge dalla fagocitosi favorendone
la sopravvivenza e la proliferazione e determina la formazione delle vegetazioni.
Generalmente il danno endoteliale si ha quando una corrente di sangue molto rapida passa da una camera ad
alta pressione ad una a bassa pressione attraverso un orifizio ristretto che determina il gradiente pressorio.
Immediatamente a valle dell’orifizio si ha una riduzione della pressione laterale del sangue (effetto Venturi)
e della nutrizione dell’endocardio. Le caratteristiche del flusso favoriscono sia il danno endoteliale che la
deposizione di germi sull’endocardio immediatamente a valle dell’orifizio.
Un’altra zona particolarmente predisposta è il margine di chiusura valvolare che risente maggiormente dello
stress emodinamico.
L’endocardite infettiva può anche essere di natura fungina (endocardite micotica) frequente nei
tossicodipendenti e negli immunodepressi.
Anatomia patologica
Le lesioni caratteristiche di un’endocardite batterica acuta o subacuta sono le vegetazioni che sono
formazioni spesse friabili ed estese. Al contrario dell’endocardite reumatica non hanno disposizione a filiera
e non sono localizzate solo sul margine di chiusura ma interessano tutta la faccia della valvola. La
vegetazione è formata essenzialmente da un trombo di fibrina e piastrine al cui interno si trovano batteri.
Le vegetazioni si formano nel 90% dei casi a sinistra sulla valvola mitrale ed aortica ma possono
coinvolgere anche il cuore di destra soprattutto in caso di tossicodipendenti o di vizi cardiaci congeniti.
All’interno del trombo i batteri si replicano dando origine a colonie batteriche che si possono trovare sia in
superficie che in profondità del trombo.
Spesso le vegetazioni possono essere il punto di partenza di batteriemie fugaci con tipica febbre
intermittente che sale con brividi e scende con sudorazione. Durante l’ascesso febbrile l’emocoltura è
positiva.
Nel 5% dei casi di endocardite nessun microrganismo viene isolato dal sangue (endocarditi a coltura
negativa) a causa della localizzazione profonda dei microrganismi all’interno delle vegetazioni, i quali non
vengono immessi in circolo.
I batteri hanno attività litica e pertanto tendono a lisare il trombo, visto che la vegetazione è friabile il flusso
ematico stacca facilmente degli emboli settici. Se l’embolo è di grandi dimensioni può provocare infarto o
ascesso d’organo
1. se ostruisce completamente il lume del vaso determina subito infarto
2. se non ostruisce il lume del vaso l’embolo libera i batteri che diffondono nel parenchima formando
l’ascesso che può anche essere multiplo
visto che le vegetazioni possono formarsi anche nella valvola aortica di fronte all’origine delle coronarie
l’embolo può anche provocare infarto del miocardio o miocardite batterica.
Nel caso di endocardite micotica nelle vegetazioni si trovano le ife fungine.
La risposta immunitaria determina anche sequele di tipo immunologico caratterizzate da formazione di ICC
che determinano vasculite dei vasi periferici e glomerulonefrite diffusa.
La vasculite dei capillari determina la formazione di petecchie emorragiche sulla cute e sulle mucose, sono
tipiche le petecchie orali, renali e retiniche.
Endocardite batterica acuta EBA
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è una infezione a carattere distruttivo che insorge in una valvola precedentemente sana (o protesi valvolare)
sostenuta da un germe altamente virulento.
Ha durata < 6 settimane.
I principali germi implicati sono:
o stafilococcus aureus 70% dei casi
o streptococco Pyogenes
o pneumococco
o enterococco
o pseudomonas Aeruginosa
o brucella
le vegetazioni causano erosioni e ulcerazioni dei lembi valvolari fino a formare cavità ascessuali
(endocardite vegeto-ulcerante).
Ciò può determinare rottura delle corde tendinee con insufficienza valvolare acuta o alterazione del profilo di
apertura o di chiusura valvolare che provoca un soffio aspro e mutevole (perchè si ha una variazione dinamica
dell’alterazione, al contrario dei vizi valvolari stabili).
Le lesioni dopo adeguata terapia antibiotica vanno incontro a sterilizzazione e progressiva organizzazione e
fibrosi che può anche dare luogo calcificazioni, lasciando come esiti delle piccole escrescenze nodulari
fibrocalcifiche.
Complicazioni
o Le vegetazioni possono estendersi dai lembi delle valvole AV alle corde tendinee ed ai muscoli
papillari con possibile rottura.
o Nei casi di endocardite aortica si possono formare aneurismi nei seni di Valsava.
o L’infezione si può estendere all’anello determinando ascessi.
o I germi oltre alle valvole possono anche colonizzare l’endocardio parietale e l’intima dei vasi dando
luogo ad endoarteriti.
o Nella persistenza del dotto arterioso di Botallo si formano delle tasche secondarie ad alterazioni da
getto in cui si impiantano facilmente i batteri.
o L’interessamento dell’endocardio parietale può portare a rottura del setto interventricolare.
Nelle valvole sono frequenti i reperti di vascolarizzazione.
Endocardite batterica subacuta EBS
È una forma a decorso insidioso e decorso protratto che insorge su di una valvola dove sono già presenti
lesioni ed è sostenuta da germi a bassa virulenza.
La durata è > 6 settimane.
I principali germi implicati sono:
o streptococcus viridans
o streptococcus epidermidis
o enterococco
o streptococchi anaerobi o microaerofili
la lesione preesistente è sede di formazione di trombi che funzionano da trappola per i batteri
le lesioni sono meno destruenti e possono andare in contro a completa guarigione: le valvole già interessate
in precedenza da lesioni infatti sono ispessite e sclerotiche e pertanto sono più resistenti e non vanno incontro
ad ulcerazione.
La storia naturale della malattia può essere così riassunta:
1. penetrazione del germe (frequentemente attraverso manovre invasive, cateterismo vascolare, urinario
ecc…)
2. batteriemia
3. impianto dei batteri sull’endocardio e formazione del focolaio sepsinogeno
4. sepsi alimentata dall’immissione in circolo di emboli settici periodici (rari) o di una quantità modesta
ma continua di germi dovuta al fatto che il focolaio sepsinogeno meglio si trova direttamente nel
sangue  batteriemia persistente, la cui entità dipende dal tipo di agente interessato (ex. è bassa per
l’enterococco)
5. formazione di focolai metastatici suppurativi o di infarti asettici
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6. produzione di anticorpi e formazione di IC circolanti che possono essere responsabili di sequele di
tipo immunologico
Clinica
Febbre: nell’EBS è di tipo remittente e non supera i 39° mentre nell’EBA spesso supera i 40°
soffi cardiaci mutevoli e variabili, causati da diverse alterazioni valvolari quali ulcerazione della valvola,
dilatazione del cuore o dell’anello valvolare, rottura di corde tendinee o formazione di vegetazioni
voluminose
epatosplenomegalia soprattutto nelle forme subacute
petecchie su cute e mucose
lesioni di Janeway = piccole macchie emorragiche o eritematose sul palmo delle mani o sulla pianta dei
piedi
noduli di Osler = papule sottocutanee dolorose di colore rosso vivo localizzate sui polpastrelli delle dita
macchie di Roth = emorragie retiniche
glomerulonefrite di Lohlein: microematuria glomerulare (emazie dismorfiche), proteinuria e cilindri
eritrocitari, più frequente nelle forme subacute
complicazioni cardiache:
disfunzioni valvolari
pericardite suppurativa
infarto miocardico
ascessi cardiaci
complicazioni emboliche:
infarto o ascesso splenico
infarto renale
embolie cerebrali che causano emorragie con manifestazioni neurologiche
se l’agente infettivo è a bassa virulenza gli infarti settici e gli ascessi metastatici sono rari mentre sono più
frequenti se i microrganismi hanno una elevata petogenicità.
nell’EBS i sintomi compaiono insidiosamente e sono caratterizzati da febbricola soprattutto serale,
sudorazioni notturne, astenia, affaticamento, anoressia, perdita di peso, artralgie, mialgie, sintomi neurologici.
Nell’EBA l’esordio è solitamente brusco e preceduto da una infezione suppurativa (meningite
pneumococcica, tromboflebite settica, cellulite streptococcica, ascessi staffilococcici).
Diagnosi
La diagnosi di endocardite batterica viene fatta tramite emocoltura. Le emocolture vanno effettuate prima
dell’inizio della terapia antibiotica.
Nelle endocarditi la batteriemia è in genere persistente e pertanto non è necessario un grande numero di
emocolture, ma ne vanno effettuate almeno 3 durante l’ascesso febbrile o subito prima di esso.
Le norme di antisepsi e sterilità durante il prelievo devono essere scrupolose: disinfettare con alcol iodato la
cute del paziente e dell’operatore. La quantità di sangue deve essere abbondante e sufficientemente diluita.
Nell’EBA sono necessarie 3-4 emocolture con prelievi effettuati ogni 15 minuti, mentre nell’EBS in cui la
necessità di terapia non è così urgente possono essere effettuate un numero maggiore di emocolture (6-8).
Nel 5-10% dei casi le emocoltura sono negative e pertanto non è possibile precisare l’eziologia
dell’endocardite (endocardite ad emocoltura negativa).
È molto importante anche la visualizzazione delle vegetazioni tramite l’ecocardiografia transesofagea
positiva nell’85% dei casi.
La VES è elevata ed è presente una anemia normocitica normocromica lieve o moderata (anemia da
disordine cronico?).
I leucociti possono essere normali o poco aumentati nella EBS mentre nella EBA è presente una spiccata
leucocitosi.
Spesso si ha anche la presenza di crioglobuline e fattore reumatoide (Reuma test +).
Terapia
L’assenza di vasi sulla vegetazione spiega la necessità di una terapia protratta per 1-3 mesi con farmaci
battericidi.
È importante la determinazione di MIC, MBC e KR, prove di sinergismo e attività batteriostatica o
battericida nel siero per selezionare gli antibiotici e il dosaggio e la durata di somministrazione.
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Nell’EBA a causa della rapida evolutività è giustificata una terapia empirica prima della risposta
dell’emocoltura mentre nelle EBS in genere è meglio attendere i risultati dell’emocoltura in modo da
intraprendere una terapia mirata.
Una terapia antibiotica profilattica è indicata in tutti i pazienti portatori di valvulopatia o di protesi valvolari
prima di affrontare un intervento sul cavo orale, vie respiratorie, apparato GI e urogenitale.
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INFLUENZA
È una malattia infettiva acuta caratterizzata dall’interessamento delle alte vie respiratorie da parte dei virus
influenzali A-B-C.
Il nome influenza deriva dalla credenza che fosse dovuta all’influsso malefico degli astri.
I virus influenzali appartengono al genere orthomixovirus che è un virus a RNA con nucleocapside a
simmetria elicoidale mantellato.
All’interno della matrice tra il capside e il mantello è presente la proteina M, mentre nel mantello si trovano
2 glicoproteine:
Emoagglutinina HA che rappresenta l’antirecettore virale che si lega all’acido sialico presente sulle cellule
dell’epitelio delle vie respiratorie (ma anche sulle emazie tanto che è in grado di produrre emolisi) e
promuove la penetrazione del virus al loro interno, va frequentemente in contro a mutazioni e si hanno 4
varianti H0, H1, H2, H3
Neuroaminidasi NA che scinde il legame con l’acido sialico e facilita il passaggio del virus da una cellula
all’altra, va incontro a mutazione anche se con minore frequenza dell’emoaglutinina e si hanno 2 varianti N1
e N2
Gli Ab verso questi Ag di superficie sono protettivi.
I 3 sierotipi si distinguono per l’Ag RNP (ribonucleoproteico) ma possono variare per gli Ag di superficie
attraverso 2 meccanismi:
Antigenic drift (“deriva” antigenica) che avviene ogni 2-3 ani e comporta una variazione minima del virus
tanto che gli Ab prottettivi nei confronti della variante precedente cross-reagiscono assicurando una
protezione parziale che limita la diffusione del virus, ciò determina l’insorgenza di epidemie limitate
Antigenic shift (mutazione antigenica) che avviene ogni 10-20 anni e comporta la completa sostituzione dei
caratteri antigenici tanto che i vecchi Ab sono inefficaci e il virus può diffondersi ampliamente determinando
una pandemia
La specie A presenta sia antigenic drift che shift e quindi è associato a epidemie diffuse e pandemie,
mentre la specie B che presenta solo antigenic drift è associata ad epidemie sia locali che diffuse e la specie
C che ha una relativa stabilità antigenica è associata a casi sporadici ed episodi epidemici minori.
La nomenclatura attuale dei ceppi si basa su: tipo, sottotipo, luogo di isolamento, n° di ordine, anno di
isolamento, formula antigenica.
Le ultime pandemie sono state quella del 1957-58 (asiatica) H2N2 e quella del 1968-69 H3N2, nel 1977 è
ricomparso il ceppo H1N1 ma ha continuato a circolare la variante H3 N2.
Il serbatoio è costituito dall’uomo e la modalità di trasmissione è inalatoria tramite le goccioline di flugge.
Clinica
Il periodo di incubazione è di 1-3 giorni.
L’inizio è brusco con febbre elevata (39-40°) subcontinua per 1-2 giorni con polso concordante, malessere
generale, artromialgia, rachialgia, epistassi, cefalea retrorbitaria.
Successivamente compaiono i sintomi respiratori: rinite, starnuti, farngodinia, raucedine, tosse secca,
dolore urente retrosternale (tracheite).
Possono anche essere presenti sintomi oculari: lacrimazione, bruciore, fotofobia, dolore nel movimento degli
occhi; digestivi: nausea, anoressia, vomito, dolore addominale e diarrea.
La durata della sintomatologia è di circa 3-5giorni, poi la febbre cala per lisi con sudorazione e rimane un
senso di prostrazione, la tosse stizzosa può permanere a lungo (convalescenza prolungata).
L’EO mostra segni di bronchiolite.
Si possono avere complicanze dovute all’azione diretta del virus o a superinfezioni batteriche.
La polmonite virale è rara e compare dopo 2-3 giorni.
Il decorso è rapido e può determinare gravi fenomeni asfittici.
È presente dolore toracico, tosse insistente, espettorato rosa-salmone o emorragico, tachicardia dispnea e
cianosi.
L’EO obiettivo mostra rantoli a piccole bolle e in fasi terminali ipofonesi diffusa.
L’RX torace mostra infiltrati nodulari diffusi bilaterali.
Le indagini di laboratorio evidenziano leucocitosi neutrofila e incremento della VES (minore che nelle forme
batteriche).
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Vi possono essere anche complicanze probabilmente su base immunoallergica rappresentate dalla miocardite
e dalla nevrassite demielinizzante o encefalite emorragica.
La superinfezione batterica può essere precoce o tardiva ed è favorita dall’alterazione dell’epitelio
respiratorio ed in particolare dalla riduzione della clearance muco-ciliare.
Si manifesta come otite, sinusite (che possono anche complicarsi con meningite purulenta), bronchite,
broncopolmonite.
Le broncopolmonite da superinfezione batterica possono essere dovute a Pneumococco, Haemophilus
Influenzae e soprattutto allo Stafilococcus Aureus.
Sono particolarmente a rischio di forme gravi cardiopatici, broncopneumopatici, anziani, donne in
gravidanza, pazienti con patologie croniche epatiche o renali.
Si ha una ripresa della febbre e compare tosse produttiva, si ha leucocitosi neutrofila e spiccato incremento
della VES.
Diagnosi
Può essere fatto l’isolamento del virus dalle secrezioni nasofaringee con colture cellulari (uovo embrionato o
cavità amniotica).
L’infezione può essere dimostrata dalla sirologia (fissazione del complemento).
Terapia
La terapia con amantadina dovrebbe essere iniziata entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi: 100 mg os x 2
al giorno per 3-5 giorni negli adulti, 150 mg /die in 2 somministrazioni per i bambini.
L’amantadina può essere utilizzata anche a scopo profilattico (chemioprofilassi).
Per il controllo della febbre va utilizzato il paracetamolo; l’acido acetilsalicilico non va utilizzato in
particolare nei bambini per il rischio di sindrome di Reye.
Gli antibiotici non dovrebbero essere utilizzati nell’influenza non complicata (tranne che nei pazienti a
rischio) in quanto non sono di alcun beneficio ed alterano la flora delle prime vie respiratorie, permettendo la
superinfezione da parte di un ceppo resistente.
Se il paziente invece sviluppa una polmonite batterica va iniziata la terapia antibiotica prima di ottenere i
risultati colturali, poiché lo Stafilococcus Aureus è in genere implicato va usato un macrolide o una
penicillina semisintetica.
Prima di iniziare la terapia comunque va fatto un esame colturale e batteriologico dell’espettorato in modo da
poter successivamente fare una terapia mirata.
Sono stati realizzati programmi vaccinali ogni anno prima del verificarsi dell’epidemia influenzale nella
comunità.
Il vaccino non previene necessariamente l’infezione ma comunque ne riduce la gravità e le complicanze,
determina immunità per 6 mesi.
È utile soprattutto nei soggetti a rischio di complicazioni.
INFEZIONI RESPIRATORIE ACUTE (IRA)
Sono malattie infettive in cui l’apparato respiratorio rappresenta la principale o esclusiva localizzazione
dell’agente patogeno.
Nonostante la molteplicità degli agenti patogeni le forme cliniche sono uniformi.
Classificazione:
1. infezioni delle alte vie respiratorie:
rinite (rhinovirus, parainfluenza, RSV, Adenovirus – batteri – r. allergica)
faringotonsillite (angina):
eritemato-essudativa: adenovirus, parainfluenza, RSV, S. β-emolitico, Haemophylus, meningococco
pseudomembranosa: EBV, difterite
vescicolare: Coxsackie A (herpangina)
ulcero-necrotica
otite media
laringo-tracheo-bronchite stenosante
croup difterico
pseudocroup: parainfluenza 1-2-3, influenza A e B, Adenovirus, RSV, morbillivirus, VZV – edema
laringeo e subglottideo, essudato denso e vischioso, tossiemia generale
bronchite
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2. infezioni delle basse vie respiratorie:
bronchiolite
polmonite/broncopolmonite
nell’80% dei casi l’eziologia è virale, i principali virus implicati sono:
adenovirus
rhinovirus
paramyxovirus (virus parainfluenzale e virus respiratorio sinciziale)
echovirus
coxsackievirus
la diffusione è ubiquitaria.
Vi è una variazione stagionale con massima incidenza in inverno e primavera, dovuta alla riduzione delle
temperatura (che riduce la motilità delle ciglia vibratili e aumenta la vitalità dei virus) e all’umidità (che
aumenta la stabilità delle goccioline di flugge).
Il serbatoio è l’uomo.
Le modalità di trasmissione avvengono direttamente tramite contatto con le goccioline di flugge o
indirettamente attraverso mani, fazzoletti, uso di posate o altri oggetti contaminati di recente dalle secrezioni
infette.
Il periodo di incubazione varia da 1-10 giorni e il periodo di contagiosità si estende solitamente per tutta la
durata della malattia in fase acuta.
La moltiplicazione dei microorganismi a livello delle vie respiratorie determina danno diretto o danno
indiretto dovuto alla risposta dell’ospite.
Croup
attraversa tipicamente quattro stadi:
1. Febbre, raucedine, tosse abbaiante con stridore inspiratorio
2. ostruzione respiratoria: stridore, tirage, cornage
3. ipossia-ipercapnia: agitazione, sudorazione, tachipnea, pallore
4. lesioni atossiche irreversibili: cianosi e arresto respiratorio
DD: croup difterico, pseudocroup virale, epiglottide acuta da H. influenzae
Terapia: eziologia-sintomatica (steroidi per ridurre l’edema, fluidificanti per il muco
ADENOVIROSI
Sono infezioni delle prime vie respiratorie associate a segni extrapolmonari.
Gli adenovirus sono virus a DNA, con capside icosaedrico, sprovvisti di mantello che fuoriescono dalla
cellula per lisi (effetto citopatico).
Essendo virus nudi, privi di mantello sono resistenti all’essicamento, ai detergenti e all’acidità gastrica.
Sono presenti circa 30 sierotipi, quelli patogeni sono i “tipi bassi”: 1-7, 11, 14, 21.
I sierotipi 8 e 9 sono responsabili di congiuntivite epidemica in Giappone.
Il contagio è interumano.
Vi è notevole diffusione dell’infezione (5-10% delle IRA, soprattutto in inverno).
L’immunità è sierotipo-specifica e duratura.
L’incidenza è stagionale: inverno-primavera per le infezioni respiratorie e primavera-estate per le infezioni
oculari.
Clinica
Gli adenovirus sono responsabili di diversi quadri clinici:
Malattia respiratoria acuta indifferenziata
È causata dall’adenovirus 3-4-7-14-21. è detta anche “malattia delle reclute” poiché tende a colpire i nuovi
arrivati (non immunizzati) in una comunità affollata.
Il periodo di incubazione è di 5-6 giorni.
L’esordio è graduale con febbre senza brivido e segni generali quali malessere, cefalea, artromialgia,
faringite, tonsillite, tosse.
La febbre cede per lisi entro 2-4 giorni.
La convalescenza è lunga (1-2 settimane) e caratterizzata da sintomi respiratori.
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Febbre adenofaringocongiuntivale
Causata dagli adenovirus 1-2-3-5-7-14.
È una sindrome contagiosa febbrile con contemporanea presenza di faringotonsillite (simile alla
streptococcica con essudato biancastro), linfoadenopatia laterocervicale (NB: nell’angina streptococcica
SOLO angolo-mandibolare), congiuntivite congestizia-follicolare bilaterale dolorosa scarsamente secretiva
che dura per 3-14 giorni. Tali segni possono essere tutti e tre presenti o 2 soltanto (in genere però la faringite
è sempre presente)
Congiuntivite epidemica
causata dagli adenovirus 8-9.
Il periodo di incubazione è di 10 giorni.
Si manifesta con una congiuntivite follicolare con adenopatia preauricolare con piccole opacità corneali che
scompaiono in 2 settimane-2 anni. L’immunità è duratura.
Esantemi minori
possono essere di tipo morbilliforme, rubeoliforme, scarlattiniforme e sono causati dagli adenovirus 1-2-3-47.
Forme rare
sono rappresentate dalle adenomesenteriti dell’infanzia (con quadro simile ad appendicite e all’addome
acuto), cistite acuta emorragica (nel bambino o nel paziente immunodepresso, gastroenterite acuta (da
adenovirus non coltivabili).
Diagnosi
Il virus può essere isolato dal tampone faringeo, tonsillare o congiuntivele.
In coltura cellulare determina effetto citopatico.
Possono essere fatte prove di neutralizzazione sfruttando gli Ag di gruppo.
INFEZIONE DA VIRUS RESPIRATORIO SINCIZIALE
Il virus respiratorio sinciziale appartiene al genere Paramyxovirus che comprende anche il morbillivirus, il
virus parainfluenzale e il virus della parotite.
È un virus ad RNA, con capsule elicoidale, mantellato con glicoproteine di superficie tra cui la proteina F
che è responsabile dell’attività fusogena che determina la penetrazione del virus all’interno della cellula
ospite e il passaggio da una cellula all’altra con formazione di sincizi.
L’infezione è ubiquitaria è la diffusione avviene per contagio interumano diretto, visto che il virus ha una
scarsissima resistenza all’ambiente esterno
Si verificano epidemie nei mesi invernali, tutti i bambini che attraversano 2-3 epidemie si infettano.
A 4 anni Ab nei confronti del virus sono presenti in tutti i soggetti.
Il virus colonizza le prime vie respiratorie e determina danno cellulare mediato dalla risposta immunitaria
dell’ospite (non c’è effetto citopatico) cioè con meccanismo immuno-allergico.
La malattia è grave nella prima infanzia e nel lattante dove non è presente immunità mentre le successive
infezioni sono meno gravi.
Le IgA secretorie determinano immunità locale protettiva, mentre le Ig circolanti non proteggono in casi
gravi.
Clinica
Le manifestazioni cliniche sono molteplici:
o adulti e adolescenti: rinite, faringo-tonsillite, otite media
o anziani: bronchite acuta/bronchite cronica riacutizzata
o bambini: bronchiolite (< 2 anni), polmonite (3-5 anni)
o pseudocroup
come si nota la malattia da RSV è più grave nella prima infanzia, poi con lo sviluppo dell’immunità le
reinfezioni sono sempre meno gravi, tranne che nell’anziano dove vi sono condizioni favorenti (calo delle
difese specifiche e aspecifiche, stasi polmonare).
la diagnosi viene fatta tramite l’isolamento del virus dalle secrezioni respiratorie.
La coltura è difficile in quanto ci sono poche cellule permissive.
Non è presente effetto citopatico ma formazione di sincizi.
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Bronchiolite
È una sindrome ad eziologia virale che colpisce i bambini di età < 2 anni caratterizzata da infiammazione
con ostruzione delle utime diramazioni bronchiali.
Oltre all’RSV, raramente si possono avere forme da virus parainfluenzale o adenovirus.
La massima incidenza si ha nel 2° trimestre di vita in quanto prima dei 3 mesi si ha la presenza di Ab materni
protettivi.
È presente infiammazione con ispessimento della parete dei bronchioli dovuta ad edema ed infiltrato
linfomonocitario fino all’occlusione del lume da parte dei detriti cellulari e del muco.
Quando l’ostruzione è completa l’aria viene intrappolata e successivamente riassorbita con fenomeni di
atelettasia, quando l’ostruzione è parziale invece si crea un meccanismo a valvola con un quadro di enfisema.
Le alterazioni non sono uniformemente distribuite per cui accanto a zone atelettasiche e enfisematose ci sono
zone di parenchima integro.
Le conseguenze fisiopatologiche sono rappresentate da compromissione degli scambi gassosi che nelle
forme meno gravi interessano soltanto l’ossigeno con ipossia e nelle forme più gravi anchela CO2 con
ipercapnia.
Clinica
Il periodo di incubazione è di 1-7 giorni.
L’inizio è caratterizzato da sintomatologia di interessamento delle alte vie respiratorie che dura per 1-3
giorni, con assenza di febbre o febbricola rinorrea e tosse secca.
Poi compare in modo acuto spesso drammatico il quadro tipico della bronchiolite:
o polipnea e dispnea inspiratoria con rientramento del giugulo e degli intercostali e tirage (retrazione
della fossa sopraclaveare con evidenzia dei muscoli accessori in quanto l’incremento delle resistenze
al flusso aereo determina l’impiego dei muscoli respiratori accessori)
o cianosi, pallore e agitazione
o tosse secca continua di tipo parossisitico (pertussoide)
o tachicardia dissociata dalla temperatura corporea (180/200 al minuto)
o alterazione delle condizioni generali
all’EO sono presenti segni di enfisema acuto: riduzione del murmure vescicolare, fini rantoli subcrepitanti
diffusi, sibili, ipofonesi, torace espanso e basi ipomobili.
Con l’evoluzione benigna della sintomatologia rimangono solo segni di bronchite.
Possibili complicanze sono: otite catarrale media (virus) o purulenta (batteri), superinfezioni batteriche,
disidratazione, disordini metabolici, scompenso cardiocircolatorio.
L’evoluzione è favorevole nel 90% dei casi, mentre nell’1-10% è letale squilibri idroelettrolitici ed acidobase determinati dall’ipercapnia o per scompenso cardiocircolatorio.
Diagnosi
Leucociti e VES sono per lo più =.
L’ECG evidenzia tachicardia sinusale, p polmonare, asse elettrico deviato a destra, T piatto.
L’Rx torace evidenzia irregolarità di areazione per atelettasie multiple variabili, accentuazione della trama
broncovascolare, infiltrazioni peribronchiali e ingrandimento degli ili.
È presente inoltre il quadro dell’enfisema con torace espanso, coste orizzontalizzate, diaframma piatto, aree
di iperdiafania.
Terapia
Si basa sull’ossigenoterapia e sulla ribavirina (in aerosol).
Va fatta anche terapia di supporto con liquidi e correzione delle alterazioni metaboliche e acido-base.
Non vanno usati broncodilatatori per l’immaturità delle strutture bronchiolari per cui mancano i recettori per
questi farmaci. Anche per gli steroidi non è provata una sicura attività.
Gli antibiotici vanno usati soltanto in caso di complicanze batteriche.
POLMONITE
È una infiammazione acuta o subacuta del parenchima polmonare che interessa l’alveolo e/o l’interstizio.
Classificazione epidemiologica:
1. polmonite acquisita in comunità (CAP)
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2. polmonite nosocomiale o ospedaliera acquisita da pazienti entrati in ospedale per altri motivi, con
permanenza di almeno 72 ore (periodo di latenza) provoca in genere da agenti aggressivi e invasivi
che hanno una forte resistenza agli antibiotici
classificazione clinica-eziologica
polmonite atipica sostenuta da germi non comuni (intracellulari) che non rispondono ai comuni
antibiotici come penicillina e derivati (ma rispondono ai macrolidi)
polmonite tipica (o lobare franca) causata da germi extracellulari, si manifesta clinicamente con i
reperti clessici dell’addensamento polmonare
classificazione anatomopatologica:
polmonite alveolare prevalentemente batteria o micotica, causata da Streptococco Pneumoniae
(Pneumococco), Klebsiella Pneumoniae, Haemophilus Influenzae, Legionella pneumophyla
polmonite interstiziale da Micoplasma, Clamidia, Rickettzia, Coxiella burnetii, Bordetella Pertussis,
virus
polmonite necrotizzante ascessuale che è caratterizzata da necrosi parenchimale e formazione di
ascessi, causata da piogeni o anaerobi soprattutto saprofiti della cavità orale in corso di polmonite ab
ingestis, in genere associata a condizioni favorenti locali o sistemiche
possono essere implicati nella genesi della polmonite anche agenti opportunistici come: aerobi gram – (E.C.
proteus, enterobacter, Serratia, Pseudomonas), bramhanella catarralis, stafilococchi coagulasi negativi,
streptococchi anemolitici, Bacterioides ed altri anaerobi, Pneumocystis Carinii.
in base all’estensione:
polmonite lobare o franca = coinvolge un ampia porzione di un lobo polmonare o un intero lobo,
sopratutto i lobi inferiori
polmonite lobulare o broncopolmonite = coinvolge uno o più lobuli, in genere è caratterizzata da
focolai multipli e sparsi che possono confluire interessando un intero lobo (polmonite pseudolobulare)
polmonite segmentaria che colpisce un segmento in particolare la lingula (segmento anteriore) in
generale sono più colpiti i lobi inferiori, il lobo medio e la lingula perchè sono poco ventilati e quindi i
germi sono eliminati con maggiore difficoltà.
Epidemiologia
In Italia c’è stata una riduzione di incidenza. L’incidenza attuale 4-12 per 100000.
Eziopatogenesi
Modalità di trasmissione:
 aspirazione dei microrganismi che colonizzano normalmente l’orofaringe (soprattutto in caso di
polmonite ab ingestis)
 inalazione di particelle aerosolizzate infette
 disseminazione ematica o linfoematica da una sede extrapolmonare di infezione
 inoculazione diretta (ferita o intubazione)
 diffusione per contiguità da una sede adiacente di infezione; transtoracica (ex. ferita settica) o
trasdiaframmatica (ex. flora batterica intestinale)
Fisiopatologia
Il polmone in condizioni di normalità è sterile. L’infezione polmonare si manifesta quando i meccanismi di
difesa sono deficitari o le resistenze dell’ospite si abbassano. Anche l’entità e l’evoluzione dell’infezione
dipende dal bilancio tra virulenza dell’agente patogeno e difese dell’ospite.
Meccanismi di difesa delle vie aeree e del parenchima polmonare sono rappresentati da:
 filtro naso-faringeo che assicura la depurazione dell’aria inspirata tramite l’arresto delle particelle
di diametro superiore a 2-4µ e tramite una azione di spazzolamento operata dall’epitelio mucoso
ciliato che spinge il muco verso il faringe dove viene inghiottito
 clereance mucociliare tracheobronchiale, l’epitelio cilindrico pseudostratificato è provvisto di
ciglia che si muovono in maniera ritmica e coordinata determinando un movimento del muco verso
l’orofaringe da cui esso viene inghiottito o espettorato
 tosse
 riflesso epiglottideo
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 fagocitosi ad opera dei macrofagi alveolari
 Ab soprattutto IgA ma anche IgG o IgM
 Linfociti T
Fattori predisponenti alle infezioni polmonari sono dunque:
 Perdita o soppressione del riflesso della tosse: coma, anestesia, alterazioni neuromuscolari,
farmaci (sedativi e oppiacei), dolore toracico (di tipo pleurico accentuato dalla tosse), tutte queste
condizioni possono anche portare ad aspirazione del contenuto gastrico
 Alterazione dell’apparato muco-ciliare: fumo di sigaretta, inalazione di gas caldo o corrosivo,
malattie virali e disturbi di origine genetica (sindrome delle ciglia immobili)
 Riduzione di attività fagocitica e battericida dei macrofagi: alcol, fumo, anossia, intossicazione da
O2
 Congestione ed edema polmonare (polmonite epostatica)
 Accumulo di secrezioni: fibrosi cistica e occlusione bronchiale (BPCO o carcinoma
endobronchiale)
 Infezioni virali che determinano necrosi delle cellule ciliate
 Fattori predisponenti sono anche connessi ad una riduzione generale delle resistenze dell’ospite di
tipo immunologico:
Immunodeficienze
Ipogammaglobulinemia (soprattutto per le forme da germi capsulati)
Splenectomia funzionale (ex. da drepanocitosi)
Deficit del complemento
Coma (assenza del riflesso epiglottideo e della tosse)
Periodo neo-perinatale o senile
Vasculocerebropatie
BPCO
Malattie croniche debilitanti
Neoplasie (riduzione delle difese immunitarie)
Diabete (riduzione delle difese immunitarie)
Farmaci immunosoppressori o citostatici
Trapianto d’organo (terapia immunosoppressiva)
Alcol colonizzazione facilitata dell’orofaringe, riduzione di difese meccaniche ed umorali (gram- e
Legionella)
Malnutrizione
Fumo aumento dei fattori di adesione agli alveoli
In particolare fattori di rischio per le polmoniti nosocomiali sono:
 Tecniche diagnostiche invasive con strumenti non sterili (broncoscopia, pleuroscopia)
 endoscopia
 Trattamento immunodepressivo o citostatico
 Antibioticoterapia indiscriminata o cronica che determina chemioresistenza
 Terapia cortisonica protratta (asma, sarcoidosi)
 Spostamento dei malati
 Edifici ospedalieri malsani
Anche l’istituzionalizzazione (ricovero per anziani) determina un fattore di rischio dovuto all’età e alla
comunità chiusa.
Diagnosi
Nel 30-50% dei casi non si riesce a fare una diagnosi eziologica. Si può tenere conto della stagionalità:
Inverno: Streptococco
Postinfluenzali: Pneumococco, Stafilococco, Haemophylus influenzae
Se sono colpiti più membri della famiglia in genere si tratta di agenti atipici in particolare Clamidia.
Spesso sono presenti forme miste causate da agenti tipici e atipici.
La BPCO si associa frequentemente a infezioni da Haemophilus, Pneumococco o germi gram- della flora
batterica intestinale.
I gram- colpiscono soprattutto anziani, etilisti e ospedalizzati.
Nell’anziano sono frequenti infezioni da Enterobatteri, Haemophilus, Pneumococco e Pseudomonas.
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Bambini
Adulti
Malati cronici
anziani
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Polmonite interstiziale
virus
micoplasma
80
0
5
60
5
5
5
0
Polmonite alveolare
Gram+
Gram10-20
0-5
30
40
50
35
60
La diagnosi batteriologica viene normalmente effettuata sull’espettorato raccolto con paziente in decubito
opposto rispetto alla lesione e testa in basso. L’espettorato però può essere contaminato da germi
commensali dell’orofaringe come Streptococcus Pneumoniae, Staphylococcus Aureus, Haemophilus
Influenzae, Branhamella Catarralis, alcuni bacilli gram-. Non sono mai commensali Legionella e
Mycobacterium Tuberculosis.
Per evitare la contaminazione viene fatto prima del prelievo uno sciacquo con soluzione fisiologica.
Il campione deve essere portato in laboratorio entro 2 ore altrimenti la flora commensale elimina quella
patogena.
Per definire la validità di un campione di espettorato è necessario far precedere ad un esame colturale un
esame citologico dell’espettorato: la prevalenza di cellule squamose (più di 10 per campo) indica che il
materia le proviene in buona parte dal cavo orale e quindi vi è contaminazione mentre la prevalenza di PMN
(più di 10 per campo) depone per la validità del campione (criteri di Barlet per il giudizio di idoneità di un
espettorato per l’esame batteriologico).
Alternativamente si può fare la coltura sul materiale proveniente da agoaspirazione in corso di broncoscopia
o sul BAL.
In caso di polmoniti con intrattabilità terapeutica in cui è necessario fare diagnosi eziologica si può ricorrere
alla puntura transcricoridea, puntura transtoracica o biopsia a torace aperto.
Indagini sierologiche si basano sul confronto tra titolo anticorpale del siero di fase acuta e del siero
convalescente o su unico campione di siero. In questo caso la diagnosi viene formulata solo a posteriori e
non è quindi utile nell’immediato per la scelta terapeutica.
Clinica
la sintomatologia è diversa nell’anziano rispetto all’adulto.
Tosse
Dolore pleurico
Compromissione psichica
Addensamenti polmonari
Estensione
del
danno
vascolare stabilizzato
Tachipnea
Scompenso cardiaco
febbre
adulto
+
+
+
-
Anziano
++
+
+
+
+
+-
Fattori prognostici sfavorevoli:
Bassa temperatura
Tachipnea (>20 min)
Insuff. Respiratoria (pO2 = 55 mmHg)
Batteriemia
Leucopenia < 10000
Terapia
La scelta terapeutica è spesso empirica e basata sulle condizioni in cui è stata acquisita l’infezione, sulla
presentazione clinica, sulle alterazioni radiografiche, sull’analisi dell’espettorato.
POLMONITE BATTERICA O TIPICA
È una polmonite alveolare e purulenta.
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Si può manifestare come polmonite lobare o broncopolmonite in base alla quantità dei microrganismi e alle
resistenze dell’organismo: una carica elevata di microrganismi tende a dare una polmonite lobare, una carica
bassa una broncopolmonite. La polmonite lobare difficilmente colpisce vecchi e bambini ed è rara, mentre la
broncopolmonite è più frequente negli anziani.
L’agente eziologico nel 95% dei casi è rappresentato dallo Pneumococco, nel 5% da altri agenti
(Haemophilus Influenzae, Stafilococcus Aureus, Klebsiella Pneumoniae, Pseudomonas)
L’ingresso avviene attraverso le vie aeree e in genere si verifica una iniziale infezione delle vie aeree
superiori con conseguente aspirazione bronchiale delle secrezioni infette che porta alla successiva
localizzazione polmonare.
Lo pneumococco è un cocco gram + capsulato con aspetto a fiamma di candela: 2 cocchi con forma
allungata ed alone sfumato dovuto alla capsula.
In base agli antigeni capsulari sono distinguibili 86 sierotipi, i tipi bassi 1-23 sono patogeni, mentre i tipi alti
24-86 sono opportunisti.
L’antigene capsulare ha la funzione di proteggere dalla fagocitosi, l’antigene capsulare solubile ha una
azione aggressinica di blocco delle opsonine.
Gli Ag capsulari avocano Ab protettivi che sono in grado di provocare l’opsonizzazione.
Gli pneumococchi possono anche dare sepsi, meningiti ed altre forme extrapolmonari (sinusiti, otiti,
mastoiditi, artriti, endocarditi, sierositi).
Anatomia patologica
La polmonite lobare non trattata evolve attraverso i 4 stadi classici:
1. congestione
si nelle prime 24-48 ore e corrisponde alla colonizzazione batterica del parenchima polmonare che coinvolge
soprattutto il lobo medio ed i lobi inferiori. È dovuto a iperemia vascolare e formazione di essudato
intralveolare in cui sono presenti PMN e batteri (edema infiammatorio).
Vi è una riduzione della crepitazione (subcrepitazione). La pleura è liscia o appena opacata in quanto ancora
l’interessamento pleurico è modesto.
Microscopicamente è presente essudato intralveolare ricco di batteri con materiale proteinaceo e rari
eritrociti e PMN (alveolite sierosa).
L’iperemia determina dilatazione dei capillari del setto alveolare.
2. epatizzazione rossa
macroscopicamente si ha accentuazione delle modificazioni della prima fase cioè ulteriore incremento di
volume, peso e consistenza (simile a quella del parenchima epatico). È presente una pleurite fibrinosa o
fibrinopurulenta dovuta alla diffusione del processo infiammatorio per contiguità alla superficie pleurica.
N.B. la pleurite purulenta viceversa è una complicanza della polmonite lobare dovuta all’impianto dei batteri
nel cavo pleurico. La pleurite fibrinosa è responsabile di dolore puntorio e sfregamenti pleurici. Il crepitio
è assente.
Il colore diventa più rosso perchè si ha ulteriore dilatazione dei capillari e passaggio dei globuli rossi
all’interno dell’alveolo.
Microscopicamente visto che il processo infiammatorio determina incremento di permeabilità capillare e
diapedesi si ha presenza all’interno dell’alveolo di numerosi PMN, eritrociti e formazione di fibrina.
Spesso si forma un coagulo endoalveolare che offusca la normale architettura alveolare. Questa fase
corrisponde clinicamente all’emissione di espettorato di colore roseo.
3. epatizzazione grigia
macroscopicamente si ha un ulteriore incremento di volume, peso e consistenza del polmone. Il colorito è
grigio, la crepitazione assente. La superficie di taglio appare grigia, granulosa e asciutta. L’alveolo è ripieno
di macrofagi e PMN che fagocitano i batteri.
L’essudato purulento e fibrina comprimono la parete settale dell’alveolo schiacciando i capillari alveolari.
Verso la fine di questa fase il coagulo endoalveolare si retrae e si stacca, si ha così la cessazione della
compressione sui capillari e il ripristino della vascolarizzazione.
4. risoluzione
macroscopicamente permane l’incremento di volume e peso ma la consistenza diventa più flaccida.
Ricompare il crepitio (subcrepitazione). I neutrofili e i macrofagi vanno incontro a lisi e liberano enzimi che
digeriscono la fibrina (digestione del coagulo endoalveolare). La ricomparsa della vascolarizzazione fa in
modo che arrivino dal sangue enzimi fibrinolitici che digeriscono la fibrina.
L’essudato alveolare da denso diventa sempre più liquido di cui una parte viene riassorbita tramite i linfatici
ed il sangue e una parte viene eliminata tramite l’espettorazione.
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Si arriva in genere alla restitutio ad integrum resa possibile dal fatto che l’infiammazione alveolare
(alveolite) non altera in genere le pareti alveolari ma rimane confinata all’interno del lume alveolare.
attualmente l’osservazione di queste fasi è diventata sempre meno frequente a causa del precoce intervento
della terapia antibiotica.
Complicanze
carnificazione polmonare che consiste nell’organizzazione dell’essudato con esito in fibrosi (si associa a
organizzazione della fibrina a livello pleurico con formazione di aderenze pleuriche)
ascesso polmonare a causa della distruzione del parenchima e necrosi tissutale (soprattutto in caso di
Pneumococco di tipo 3 o Kleibsiella)
empiema per diffusione dei batteri al cavo pleurico
risoluzione ritardata se c’è un preesistente difetto del setto per cui il coagulo non viene rapidamente
allontanato (>21 giorni)
disseminazione batterica (batteriemia) che può complicarsi con sepsi (i germi capsulati non danno CID a
meno che non vi siano dei deficit immunitari) e disseminazione metastatica con meningite, endocardite e
artrite (in epoca preantibiotica era frequente la triade del Marchiofava: polmonite, endocardite, meningite)
la broncopolmonite è preceduta sempre da una bronchite o bronchiolite.
Macroscopicamente è caratterizzata da focolai di consolidamento disseminati o confluenti che interessano
soprattutto i lobi inferiori, dove più facilmente tendono a ristagnare i secreti.
Le aree si consolidamento più spesso sono multilobari e frequentemente bilaterali.
I focolai hanno in genere un diametro di 3-4 cm, sono lievemente rilevati asciutti, granulosi di colore da
grigio-rossastro a giallastro ed hanno margini scarsamente delimitati. Le lesioni elementari sono analoghe a
quelle della polmonite lobare ma sono asincrone cioè sfalsate nel tempo poichè i germi arrivano in tempi
diversi. La lesione è in genere profonda e raramente subpleurica.
Solo nel caso in cui la lesione è subpleurica si ha la pleurite fibrinosa.
Esistono 2 forme:
a focolai disseminati in cui non c’è mai interessamento pleurico
a focolai confluenti (pseudolobare) in cui ci può essere interessamento pleurico
In genere la broncopolmonite guarisce spontaneamente ma può dare luogo ad ascesso polmonare o
rarissimamente a carnificazione polmonare con fibrosi polmonare circoscritta.
Fisiopatologia
L’essudato infiammatorio determina ispessimento della barriera alveolocapillare con riduzione degli
scambi gassosi che determina ipossia che non si associa a ipercapnia a causa dell’iperventilazione
compensatoria. ( cianosi e dispnea).
La cianosi è massima nell’epatizzazione rossa quando la presenza dell’essudato riduce l’ossigenazione del
sangue senza impedirne il circolo con aumento del rapporto V/Q, mentre nello stadio di epatizzazione grigia
la cianosi si riduce perchè la compressione dei capillari determina l’esclusione delle zone interessate dalla
circolazione polmonare (rapporto V/Q normale).
In questa fase inoltre la polmonite lobare non trae giovamento dall’ossigenoterapia perchè le zone colpite
sono escluse sia dalla ventilazione che dalla perfusione.
Clinica
L’esordio è in genere brusco con febbre alta (39-41°) e brividi improvvisi.
La febbre è continua o subcontinua nella polmonite da pneumococco mentre è continuo-remittente nella
polmonite da altri batteri ed è intermittente nella polmonite stafilococcica.
Il paziente accusa malessere generale con spiccata adinamia ed è presente cianosi, dispnea e tachicardia.
Spesso è presente un dolore toracico di origine pleurica puntorio localizzato in corrispondenza del focolaio
broncopneumonico, accentuato dalla tosse e dalla respirazione che determinando l’interruzione del respiro
profondo determina tachipnea e polipnea (respiro superficiale).
La tosse dapprima secca diventa produttiva con espettorato mucopurulento e talvolta croceo (rugginoso),
soprattutto nelle fasi finali.
Nella polmonite da anaerobi l’espettorato è marroncino e maleodorante, nella polmonite da Pseudomonas è
verdastro e nella polmonite da Stafilococco è purulento e denso.
Può essere presente herpes labialis (riacutizzazione dovuta ad abbassamento dell’immunità CM).
In alcuni pazienti si può avere distensione addominale da meteorismo che può essere di entità tale da
assumere l’aspetto di un ileo paralitico.
Nell’evoluzione spontanea si ha sfrebbramento per crisi dopo 7-9 giorni con sudorazione profusa.
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Quando si instaura terapia antibiotica si ha un miglioramento del quadro clinico in circa 24 ore ma nel 50%
dei pazienti la temperatura si normalizza dopo 4-6 giorni.
Diagnosi
All’esame obiettivo l’emitorace interessato è ipoespansibile, è presente ottusità dovuta al consolidamento
polmonare, aumento del FVT, rantoli crepitanti soprattutto nel periodo iniziale (crepitatio index) e nella
fase di risoluzione (crepitatio redux) e eventualmente un soffio bronchiale (nella fase di epatizzazione
rossa in cui il consolidamento è tale da non permettere l’ingresso di aria).
È presente broncofonia: facendo pronunciare al paziente il numero 33 sembra che il suono parta dalla zona
addensata.
La pleurite parapneumonica o reattiva determina sfregamenti pleurici e il soffio pleurico.
L’Rx torace mostra un area di opacità omogenea e densa a contorni netti con estensione lobare o sublobare.
È spesso presente un broncogramma aereo cioè la proiezione dell’immagine iperchiara del bronco pervio
sullo sfondo di del parenchima opaco.
È in genere presente una spiccata leucocitosi neutrofila fino a 15-25000 con presenza anche di forme
immature come forme a banda (non segmentate) o metamielociti.
L’esame colturale dell’espettorato permette di giungere alla diagnosi eziologica tramite esame a fresco e
poi esame colturale.
In forme particolarmente gravi possono essere utilizzate anche tecniche invasive quali biopsia, puntura
retrosternale e broncoscopia con biopsia o BAL (iniezione di sostanza fisiologica tramite l’endoscopio e poi
aspirazione).
Va fatta anche l’emocoltura che è positiva nel 30% dei casi e la ricerca dell’antigeni solubili nel sangue e
nelle urine tramite latex test, che è una metodica che non viene inficiata dall’antibioticoterapia perché la
distruzione batterica determina un incremento dell’eliminazione dell’Ag.
È importante la diagnosi differenziale con la lobite tubercolare (in cui si vede il complesso primario),
atelettasia polmonare (non ci sono rantoli perché non passa aria e si ha assenza del MV, l’area collassata è
meglio delimitata) e infarto polmonare (il dolore precede la febbre e si ha emottisi).
Terapia
Di solito la polmonite lobare si risolve spontaneamente dopo 7-10 giorni, ma se va in contro a complicazioni
può anche portare a morte.
1. Polmonite da Pneumococco: penicillina G (ampicillina, cefalosporine, rifampicina, teicoplanina).
2. Polmonite da Stafilococco: cloxacillina, rifampicina, teicoplanina, vancomicina.
3. Batteri gram negativi anaerobi: aminoglicosidi, piperacillina.
4. Anaerobi: cefoxitina, metronidazolo, clindamicina.
L’antibiotico di prima scelta delle CAP è la claritromicina, mentre nei pazienti ospedalizzati,
immunodepressi o comunque > 60 anni è consigliabile l’associazione tra una cefalosporina di III generazione
e un aminoglicosidi o un carbapenemico.
È disponibile anche la vaccinazione antipneumococcica costituita da numerosi Ag capsulari di diversi
sierotipi.
Polmonite stafilococcica
la polmonite da Stafilococco (che è facilmente chemioresistente) tende ad essere necrotica con formazione di
microascessi.
Gli Stafilococchi dal rinofaringe colonizzano l’albero bronchiale e quindi il parenchima polmonare.
Condizioni favorenti sono influenza, BPCO e cardiopatie croniche scompensate (polmonite da epostasi).
La polmonite si può manifestare con focolaio unico (polmonite lobare) o focolai multipli (broncopolmonite).
Il quadro clinico è più variabile rispetto alla forma Pneumococcica e va da forme paucisintomatiche a forme
fulminanti con rapida evoluzione verso l’IRA.
Si può verificare anche il cosiddetto foruncolo del polmone per ascessualizzazione di una polmonite a
focolaio unico (?) secondaria in genere a diffusione ematogena del microrganismo.
Nel bambino è frequente lo pneumatocele dovuto allo svuotamento di un ascesso in un bronco con
formazione di bolle tipiche causate dal meccanismo a valvola (pneumocele).
Ascesso polmonare
È un processo necroticosuppurativo del parenchima polmonare (polmonite purulenta necrotizzante).
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In era preantibiotica l’agente eziologico più frequente era lo Pneumococco, oggi è più frequente una
eziologia polimicrobica.
Sono frequentemente interessati Stafilococcus Aureus e Streptococchi e germi anaerobi normalmente
localizzati nel cavo orale.
Il meccanismo patogenetico più importante è rappresentato dall’evoluzione di una polmonite da
aspirazione per cui fattori predisponenti sono:
infezioni del cavo orale
alterazione della deglutizione (coma, anestesia)
ostruzione delle vie aeree di tipo meccanico da corpi estranei o neoplasie
ostruzione delle vie aeree di tipo funzionale da BPCO
particolarmente seria è l’aspirazione di contenuto gastrico poichè contribuiscono all’infiammazione anche
l’azione irritante del cibo e l’azione lesiva del succo gastrico.
Altre cause di ascesso polmonare sono:
complicazione di infezioni batteriche soprattutto in pazienti immunodepressi
embolie settiche soprattutto da tromboflebiti e endocarditi batteriche vegetanti che determinano infarto
settico
carcinoma endobronchiale che determina ostruzione con atelettasia o subocclusione con ristagno di
secrezioni che favoriscono episodi broncopneumonici ricorrenti
diffusione da focolai di infezione in organi contigui: esofago, cavo pleurico, spazio subfrenico, colonna
vertebrale
ferita penetrante
disseminazione ematogena ( a differenza dell’ impianto di un embolo settico si ha la presenza solo dei
germi senza materiale trombotico e sono presenti tanti piccoli ascessi multipli, foruncolosi, anziché solo
alcuni più grandi)
anatomia patologica
i focolai ascessuali hanno dimensioni variabili da pochi millimetri ad ampie cavità di 5-6 cm, possono
interessare qualsiasi parte del polmone ed essere singoli o multipli.
Gli ascessi da aspirazione sono molto più frequenti nel polmone di destra poichè il bronco principale di
destra forma un angolo rispetto alla trachea che è meno marcato rispetto a quello del bronco di sinistra e sono
in genere singoli.
La localizzazione inoltre è in rapporto alla posizione del paziente:
paziente in piedi: segmenti basali del lobo inferiore di destra
paziente in decubito laterale destro: segmento apicale del lobo inferiore, segmento basale del lobo superiore
paziente in decubito laterale sinistro: segmento superiore del lobo inferiore
Gli ascessi che si hanno come complicanza di polmoniti o bronchiectasie sono invece multipli diffusi e a
localizzazione basale.
Gli ascessi conseguenti a batteriemia o emboli settici sono multipli e possono colpire qualsiasi regione del
polmone (più frequenti in lobi superiori che sono più colpiti da infarto polmonare)
Se l’ascesso è di piccole dimensioni tende alla guarigione che è accelerata dalla terapia antibiotica, se invece
diventa di grandi dimensioni difficilmente tende a guarire ed è necessaria la terapia chirurgica che evita
l’insorgenza di complicazioni.
Complicazioni
quando l’ascesso è subpleurico tende a determinare, analogamente alla polmonite, una pleurite fibrinosa
circoscritta, se però l’ascesso si apre nel cavo pleurico si ha la diffusione dei microrganismi nel cavo pleurico
con formazione di una pleurite purulenta fino all’empiema
se si forma una fistola tra ascesso e cavo pleurico e c’è comunicazione tra l’ascesso ed un bronco si realizza
una fistola broncopleurica che provoca uno pneumotorace detto piopneumotorace
l’apertura dell’ascesso nel mediastino da origine a mediastinite
dall’ascesso possono partire emboli settici che determinano ascessi a distanza in particolare l’ascesso
cerebrale
quando un ascesso (primario) si apre in un bronco durante la espulsione parte del suo contenuto (pus o
materiale necrotico contenente batteri) viene diffuso nelle parti declivi rispetto al bronco drenante con
formazione di ascessi secondari che a differenza degli ascessi multipli sono asincroni
il materiale necrotico della cavità ascessuale non drenata diventa facilmente sede di infezioni sovrapposte da
parte di saprofiti e lo stato di infezione continua porta alla gangrena polmonare con formazione di ampie
cavità
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clinica
l’esordio può essere acuto con sintomatologia simile a quella di una polmonite: febbre, brividi, dolore
toracico, tosse con escreato purulento di odore fetido in caso di infezione da anaerobi.
A volte invece se l’ascesso è la complicanza di un episodio infettivo la sintomatologia è più sfumata.
Può anche essere presente tosse senza espettorato.
Quando un ascesso di dimensioni grandi si svuota in un bronco si può avere la vomica rappresentata da
emissione di abbondante quantità di espettorato purulento e emorragico.
Se alla vomica segue il totale svuotamento dell’ascesso si può assistere al miglioramento del quadro clinico.
All’esame obiettivo è presente ottusità, riduzione del murmure e crepitii circoscritti.
Diagnosi
All’Rx torace è presente un addensamento omogeneo nel cui contesto appare precocemente un’area più
chiara segno dell’escavazione.
La presenza di un’immagine escavata con all’interno livelli idroaerei è indice di svuotamento dell’ascesso in
un bronco.
La broncoscopia permette il prelievo del materiale purulento dal bronco di drenaggio su cui può essere fatto
l’esame microbiologico.
I dati di laboratorio evidenziano leucocitosi neutrofila ed incremento della VES.
POLMONITE ATIPICA
È così chiamata per differenziarla da quella tipica cioè quella lobare. Viene infatti definita come in
infiammazione acuta con caratteristiche cliniche e radiologiche diverse dalla polmonite Pneumococcica.
Al contrario della polmonite tipica infatti si ha mancanza di essudato alveolare e alterazioni infiammatorie a
focolai limitate al setto alveolare e all’interstizio (polmonite interstiziale).
È causata da vari microrganismi:
Mycoplasma Pneumoniae
Clamidia Pneumoniae
Rickettzie
Virus influenzali tipo A e B
Virus respiratorio sinciziale
Adenovirus
Rhinovirus
Virus parainfluenzale
Virus della varicella
Virus della rosolia
Ciascuno di questi agenti può causare una semplice infezione delle vie aeree superiori o una infezione più
grave delle basse vie respiratorie che è associata a elementi favorenti (i classici, età avanzata, malnutrizione
bla bla bla…)
La gravità della polmonite può dipendere anche da una superinfezione batterica: il coinvolgimento
bronchiale infatti può determinare necrosi dell’epitelio ciliato con riduzione della clereance muco-ciliare e
quindi aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche.
La polmonite atipica a volte inizia come polmonite interstiziale e poi evolve in broncopolmonite.
Anatomia patologica
La morfologia è indipendente dall’agente eziologico.
Macroscopicamente sono presenti aree congeste di colorito rossastro o rosso-bruno, subcrepitanti. Il peso del
polmone è moderatamente aumentato. La pleura è liscia, raramente si instaura pleurite (altra differenza
con la polmonite tipica). A differenza della polmonite tipica non si ha consolidamento polmonare.
Microscopicamente si ha dilatazione dei capillari e essudato ed infiltrato che determinano l’ispessimento del
setto alveolare.
Al contrario della polmonite tipica la cavità alveolare non è estesamente interessata, soltanto
parzialmente: l’elemento fondamentale infatti è la natura interstiziale del processo infiammatorio
virtualmente limitato alle pareti alveolari.
La risposta è prevalentemente di tipo linfocitario a livello interstiziale perivascolare, perilinfatico e
peribronchiale (al contrario della polmonite lobare in cui sono prevalentemente interessati i PMN).
Talvolta la necrosi degli pneumociti e la trasudazione di fibrina determina la formazione di membrane ialine
che riflettono quindi l’esistenza di un danno alveolare.
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Quando si ha danno alveolare grave e diffuso si determina l’ARDS che porta ad insufficienza respiratoria
(polmonite fulminante).
Clinica
Una caratteristica della polmonite atipica è la cosiddetta dissociazione clinico-patologica cioè il fatto che alla
sintomatologia clinica non corrispondano reperti all’esame obiettivo o questi sono molto scarsi (l’RX invece
da una immagine ben visibile).
L’esordio è in genere graduale con febbre remittente irregolare senza brividi.
In genere si ha tosse secca insistente anche se questa può essere anche assente.
L’escreato è scarso e mucoso, raramente striato di sangue se il processo infiammatorio porta alla rottura di
vasi.
È presente bruciore retrosternale tipo trachite che si accentua con i colpi di tosse.
Si ha cefalea, astenia e mialgia.
Difficilmente si hanno sintomi pleurici.
All’esame obiettivo non sono presenti particolari reperti.
In genere non si verifica ispessimento della barriera alveolo-capillare e quindi non si ha dispnea e cianosi.
Diagnosi
Nel 20% dei casi infatti l’esame obiettivo è completamente negativo.
All’Rx sono presenti opacità disomogenee a limiti non netti (a vetro smerigliato).
Alla spirometria nelle forme lobari o interstiziali si possono avere dei quadri di tipo restrittivo con
riduzione dei volumi statici e dinamici.
Gli esami di laboratorio evidenziano una linfocitosi con incremento relativo di monociti e linfociti ( non è
presente leucocitosi neutrofila).
La VES e gli altri indici aspecifici sono di poco alterati.
Terapia
Mycoplasma Pneumoniae: tetracicline, macrolidi.
Clamydia Psittaci: tetracicline.
Coxiella Burnetii: tetraciline, macrolidi.
Pneumocistis Carinii: cotrimoxazolo.
inizio
febbre
brivido
Dolore toracico
tosse
espettorato
Sindrome influenzale
Dispnea e cianosi
Frequenza del polso
Herpes labialis
EO torace
Rx torace
Leucocitosi neutrofila
VES e altri indici aspecifici
emocoltura
CIE latex
Sensibilità a penicillina
aminoglicosidi
Sensibilità a tetracilcine
macrolidi
Polmonite atipica
graduale
Remittente irregolare
assente
retrosternale
Secca stizzosa
mucoso
Presente
assenti
Bradicardia relativa
Assente
Povertà di reperti
Opacità
estese
smerigliato
assente
Variabili
negativa
negativa
e negativa
e positiva
a
Polmonite tipica
Brusco
Continua o subcontinua
Presente
Pleurico
Produttiva
Purulento rugginoso
Quasi sempre assente (può
precedere la polmonite in caso di
soprainfezione)
Presenti
Tachicardia
Spesso presente
Segni di addensamento
vetro Opacità dense
Presente
Alterate
Positiva
Positiva
Positiva
negativa
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Polmonite da Mycoplasma Pneumoniae
È detta anche polmonite atipica primaria ed è la più frequente forma di polmonite interstiziale.
Micoplasma Pneumoniae non possiede parete cellulare e pertanto non risponde alla penicillina.
La diffusione è ubiquitario a carattere endemico.
Colpisce tutte le età ma più frequentemente bambini e giovani adulti.
La modalità di trasmissione è interumana legata all’inalazione di goccioline provenienti dal nasofaringe o per
contatto diretto con una persona infetta o con oggetti contaminati di recente con secrezioni del naso o della
gola di un paziente con infezione acuta.
Sono colpite soprattuto comunità studentesche, militari, famiglie.
Si associa a epidemie di infezioni delle vie respiratorie superiori che poi possono progredire a polmonite.
L’incubazione è di 14 giorni.
La diagnosi viene fatta tramite indagini sierologiche (FC, EAI, IFA) che ricercano gli Ab verso il
microrganismo e tramite la ricerca del movimento sierologico aspecifico rappresentato dalle agglutinine a
frigore.
Polmonite da Clamydia Psittaci
È una antropozoonosi in cui il serbatotio animale è rappresentato da pappagalli (psittacosi) o uccelli in
particolari piccioni e colombe (ornitosi).
La Clamydia è uno schistomicete difettivo, parassita cellulare obbligato.
Il periodo di incubazione è di 12 giorni, i sintomi sono simili a quelli delle gravi forme batteriche, ci può
essere cefalea e alterazioni del sensorio.
In alcuni casi è presente eruzione cutanea.
Nel 30% dei casi è presente epatosplenomegalia.
Vi sono alterazioni degli indici aspecifici di malattia.
L’Rx torace spesso mima quello delle alveolite.
Polmonite da Clamydia Pneumoniae
Il contagio è esclusivamente interumano, l’incidenza dell’infezione è uguale a tutte le età con maggiore
predilezione per il giovane adulto.
Polmonite da Coxiella Burnetii
La Coxiella Burnetii è uno schistomicete difettivo parassita endocellulare obbligato che resiste
all’essiccamento.
È l’agente infettivo della cosiddetta febbre Q che è una antropozoonosi in cui il serbatoio è rappresentato da
ovini, bovini, caprini, cani e zecche.
Il periodo di incubazione è di 3 settimane.
La forma polmonare benigna dura 2-3 settimane.
La diagnosi è sierologica e tramite agglutinazione.
Complicanze sono rappresentate da endocariditi (visto che il microrganismo infetta gli endoteli).
Altre forme cliniche sono la febbre pura e l’interessamento neurologico (meningite?).
Malattia dei legionari
È così chiamata una forma di polmonite atipica (?) causata da Legionella Pneumophila un batterio gram –
che viene coltivato con difficoltà a causa delle sue notevoli esigenze nutrizionali.
Il serbatoio è a livello di acquitrini e terreni umidi, ma anche sistemi di refrigerazione e di riscaldamento e
sistemi di aria condizionata.
Generalmente è responsabile di CAP ma può dare anche epidemie ospedaliere (secondo la legge basta la
segnalazione di 2 casi in 6 mesi perché l’ospedale venga chiuso).
Colpisce soprattutto bambini, anziani e pazienti immunodepressi o debilitati.
Si trasmette tramite l’inalazione di aerosol contaminato.
La prima epidemia fu documentata nel 1976 e si verificò nei partecipanti ad un raduno dei reduci della II
guerra mondiale facenti parte dell’America Legion svoltosi a Philadelphia.
Anatomia patologica
È una broncopolmonite (alveolite) a focolai diffusi confluenti o non confluenti che frequentemente tende a
complicarsi con microascessi. Negli immunodepressi in particolare sono presenti ascessi con ampie aree di
colliquazione.
Spesso i focolai sono subpleurici e danno luogo ad una pleurite sierofibrinosa o fibrinoemorragica.
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Sono presenti Legionelle libere all’interno dei granuli dei macrofagi, la legionella infatti è un germe
intracellulare che parassita i macrofagi, inibisce la fusione del fagosoma con il lisosoma e si moltiplica
all’interno del macrofago per poi lisarlo alla fine.
Le lesioni hanno carattere distruttivo con tendenza all’organizzazione ed alla formazione di cicatrici.
Clinica
Il periodo di incubazione è di circa 6 giorni.
È presente febbre elevata con brividi, tosse, dispnea, dolore pleurico e sputo striato di sangue (per rottura di
piccoli vasi durante l’ascessualizzazione).
Sono presenti anche sintomi generali come malessere, cefalea, mialgie, anorresia, diarrea, nausea, vomito.
È presente anche bradicardia relativa e si può avere perdita del sensorio.
Si ha modesta leucocitosi ( non è presente leucocitosi neutrofila) e incremento della VES.
Sono presenti anche manifestazioni extrapolmonari quali anomalie neurologiche, pericardite, endocardite e
insufficienza renale.
Queste sembrano essere dovute alla produzione di numerose esotossine e di una endotossina.
La letalità è del 7-15%.
Diagnosi
All’Rx è presente addensamento polmonare e versamento pleurico.
L’interessamento sistemico determina incremento delle transaminasi, alterazione degli indici di funzionalità
renale e iponatremia.
La diagnosi eziologica viene fatta tramite indagini sierologiche o immunofluorescenza indiretta su
espettorato o aspirato transtracheale o biopsia polmonare.
La coltura non pone problemi di contaminazione perché il terreno è talmente selettivo che impedisce la
crescita di eventuali specie contaminanti.
È possibile anche la ricerca dell’Ag urinario della Legionella.
TUBERCOLOSI È una malattia infettiva cronica granulomatosa a prevalente localizzazione polmonare causata dal
Mycobacterium Tuberculosis (può anche non essere granulomatosa perché questo dipende dalle capacità di
risposta dell’ospite).
L’infezione da parte del germe costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente perchè si instauri la
malattia che si verifica infatti solo nel caso in cui si creino particolari rapporti tra il germe e l’ospite.
Infezione = condizione che consegue al contatto con il M.T. , viene espressa dall’ipersensibiità tubercolinica
Malattia = processo morboso secondario all’infezione caratterizzato da segni e sintomi clinici.
Epidemiologia
1/3 della popolazione mondiale presenta l’infezione (90-98% nei paesi invia di sviluppo, 60% di individui in
età lavorativa).
L’incidenza della malattia è di 8 milioni l’anno con una mortalità di 2.8 milioni.
In Italia fino al 1989-90 c’è stato un declino dell’incidenza poi c’è stata un inversione di tendenza dovuta
all’incremento di condizioni predisponenti quali HIV e immunodepressione.
Altri fattori predisponenti sono:
malnutrizione (anche in corso di malattia peptica o malassorbimento)
alcolismo
cirrosi
malattie croniche debilitanti
diabete
linfoma di Hodking
trattamento con corticosteriodi o immunosoppressori
malattie croniche polmonari
età avanzata (il soggetto con età > 65 è più suscettibile in particolare alla riattivazione)
in generale tutte queste condizioni determinano una incapacità di sviluppare e mantenere una immunità di
tipo cellulomediato.
La coninfezione con l’HIV in particolare determina una deplezione di linfociti T CD4+ molto grave (la TBC
d’altra parte può determinare la riattivazione del virus: effetto sinergico).
Sono molto importanti anche fattori genetici che determinano l’intensità della risposta immune (controllo
genetico della risposta immune): correlazione con aplotipi HLA.
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I geni di classe II determinano la differenziazione dei linfociti nei 2 sottotipi Th1 e Th2 : una prevalenza
della differenziazione in senso Th1 si associa ad una buona resistenza alla TBC ma anche ad una maggiore
tendenza alle allergie
Nel topo il gene BCG conferisce la resistenza
Il rischio di progressione della malattia è età correlato:
< 6 mesi
> 50%
< 4 anni
20%
4-13 anni
2-3%
13-25 anni
10%
25-60 anni
2-3%
> 60 anni
5-15%
Fattori che determinano una maggiore incidenza nei paesi in via di sviluppo sono:
affollamento
cattive condizioni igieniche
povertà
guerre civili
scarso impegno governativo
condizioni economiche scadenti
in passato venivano colpiti soprattutto bambini e giovani adulti, ultimamente si è avuto uno spostamento
dell’età in avanti.
La TBC diventa una malattia importante nel 1700 a causa del cambiamento delle condizioni
epidemiologiche: l’industrializzazione porta al sovraffollamento e quindi alla diffusione della malattia.
Inizialmente viene fatto un approccio chirurgico (chiusura delle caverne) e l’isolamento nei sanatori, dopo la
2° guerra mondiale vengono scoperti i farmaci antitubercolari che consentono un controllo dell’infezione,
con l’ampliamento degli schemi terapeutici inoltre si riducono i tempi di trattamento e non è necessario più
l’isolamento.
Negli anni ’80 si è avuto un nuovo incremento a causa dell’immigrazione, dell’infezione da HIV ,
dell’incremento dell’età media ed in generale di tutte quelle condizioni che portano ad un deficit della ICM.
Ora si registrano anche epidemie nosocomiali da ceppi multiresistenti.
La diffusione della malattia dipende dalle capacità di resistenza della popolazione.
Degli infettati il 90% è infetto ma non contagioso, il 10% è malato e di questi il 50% è contagioso, quindi di
tutti gli infettati il 5% è diffusore della malattia.
Per mantenere un trend di infezione stabile quindi un diffusore deve infettare almeno 20 persone (il 5% di 20
è 1).
Nei paesi industrializzati 1 diffusore in media determina 2-3 infezioni, mentre in Africa determina 10-14
infezioni.
Per il miglioramento delle condizioni socioeconomiche il trend era in diminuzione anche in era
prechemioterapica, la chemioterapia ha ridotto la contagiosità (per riduzione del periodo contagioso) e quindi
ridotto ulteriormente il trend.
Se la resistenza nativa di una popolazione si riduce vi è un incremento della contagiosità e quindi del trend.
Eziopatogenesi
La TBC viene contratta per infezione da parte di:
Mycobacterium Tuberculosis
Mycobacterium Bovis che viene ingerito tramite il latte non pastorizzato e determina TBC
intestinale
il Mycobacterium Tuberculosis o bacillo di Koch ha particolari caratteristiche:
Gram+, asporigeno, acido alcol resistente ciò ne permette l’identificazione con particolari tecniche di
colorazione (metodo di Ziehl-Nielsen);
aerobio stretto, per questo motivo infetta soprattutto le zone apicali del polmone ben ventilate e si accresce
più rapidamente nelle caverne, mentre non sopravvive in condizioni di necrosi caseosa
l’accrescimento è ritardato da PH acido (< 6.5), anaerobiosi, acidi grassi a lunga catena, condizioni che si
hanno in corso di necrosi caseosa
lenta moltiplicazione (circa 20 ore) e metabolismo ciò è legato al lento esordio e progressione della malattia
presenza di mutanti primitivamente chemioresistenti che rende necessaria una polichemioterapia
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presenza di lipidi di superficie che conferiscono resistenza alla disidratazione e agli agenti chimici, per
questo motivo i bacilli possono sopravvivere a lungo nell’ambiente esterno senza tuttavia moltiplicarsi (
possibilità di contagio anche indiretto)
sensibilità ai raggi ultravioletti (l’inattivazione del batterio alla luce solare)
i micobatteri inoltre sono in grado di sopravvivere all’interno dei macrofagi tramite l’inibizione della fusione
tra fagosoma e lisosoma (grazie alle cere che formano il fattore cordale)
Sono inoltre capaci di inibire in diversi modi la risposta immune.
Il M.T. possiede 2 principali tipi di polisaccaridi della parete cellulare:
arabinogalactano che induce la formazione di Ab
lipoarabinomannano che inibisce la distruzione intracellulare e la produzione di INFγ e quindi induce la
produzione della DTH
Epidemiologia
Vi sono 2 sorgenti di infezione:
Uomo: tramite espettorato emesso con la fonazione, lo starnuto o la tosse, ma anche tramite le altre
secrezioni biologiche, le urine e le feci (in corso di TBC miliare)
Bovini: tramite il latte infetto
Le vie di infezione principale sono:
1. Respiratoria
2. Intestinale
3. Cutanea tramite l’infezione di ferite (TBC cutanea)
Si può anche avere infezione durante il passaggio nel canale del parto (cheratocongiuntivite).
1. Il rischio di contagio è in funzione di diversi fattori:
carica batterica emessa: dipende dal tasso di produzione e eliminazione da parte del soggetto
contagioso, un paziente infetto può anche non essere infettante, la capacità di produzione dipende da
gravità e stadio di TBC, il maggiore pericolo è costituito dai pazienti portatori di caverne, in quanto
essendo queste lesioni comunicanti con l’albero bronchiale sono caratterizzate da un’alta pO2 che
favorisce la proliferazione batterica
frequenza e durata di esposizione al contagio: il rischio è maggiore per soggetti conviventi in
ambienti ristretti con pazienti che eliminano i bacilli con l’espettorato (ex. familiari); l’introduzione della
chemioterapia ha ridotto la durata del periodo contagiante a solo 4 gg
Condizioni dell’ambiente: gli ambienti chiusi, poco illuminati e scarsamente areati aumentano la
concentrazione dei bacilli nell’aria
Condizioni di recettività dell’ospite: condizioni generali e immunitarie
in una popolazione con resistenza nativa bassa:
individui infettati  10% sviluppano la malattia
malati  50% diventano diffusori
Per mantenere il trend di infezione stazionario 1 diffusore deve infettare almeno 20 persone
I micobatteri si trovano nell’ambiente all’interno dei cosiddetti nuclei bacilliferi (droplet) che vengono
trasportati dai flussi d’aria anche a notevoli distanze, la trasmissione quindi non è necessariamente diretta ma
può essere anche indiretta per contaminazione ambientale.
Essi hanno dimensioni di 1-3µ e contengono 1-3 bacilli vivi e vitali.
Patogenesi
Una volta inalati i nuclei bacilliferi di maggiori dimensioni vengono intrappolati nello strato mucoso delle
vie aeree e drenati all’esterno tramite la clearance mucociliare, le particelle più piccole (circa 50%) invece
penetrano fino a livello alveolare dove determinano una flogosi (alveolite siero-fibrino-emorragica) del
tutto aspecifica con essudato e numerosi PMN.
Successivamente subentrano i macrofagi alveolari che fagocitano attivamente i microrganismi.
Nei macrofagi non attivati i micobatteri sono in grado di sopravvivere e moltiplicarsi grazie al cosiddetto
fattore cordale che inibisce la fusione tra fagosoma e lisosoma.
Essi vengono quindi trasportati dai fagociti ai linfonodi satelliti dove si sviluppa una reazione infiammatoria
simile a quella parenchimale che determina la tumefazione ghiandolare (linfoadenopatia satellite).
L’insieme del focolaio di flogosi parenchimale e della linfoadenopatia collegati da fenomeni linfoangitici
prende il nome di complesso primario (di Ghon).
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Il complesso primario si localizza ai campi polmonari medi e inferiori: una TBC apicale è SEMPRE
secondaria a diffusione ematogena occulta.
Alla diffusione a livello dei LN locoregionali fa seguito infatti la disseminazione ematica (diffusione
linfoematogena occulta pre-allergica a rene, epifisi, corpi vertebrali, aree meningee juxta ependimali, aree
apicali polmonari).
I macrofagi funzionano anche da APC presentando gli Ag batterici processati tramite l’MHC II ai linfociti T
CD4+ che si differenziano nei 2 sottotipi:
Th2 che determinano l’attivazione dei linfociti B con produzione di Ab che svolgono la funzione di
opsonizzazione (non è ancora chiaro se questi Ab esercitino una funzione protettiva, anzi secondo alcuni
la presenza di elevati titoli anticorpali e associata a prognosi sfavorevole in quanto si associa ad una
riduzione della ICM)
Th1 che rilasciano IL2, CSF-GM e INFγ stimolano la risposta di tipo cellulomediato dando luogo
ad una risposta di ipersensibilità di tipo ritardato (DTH) (l’INF determina la produzione di idrossilasi
I che interagisce con la vitamina D che diventa calcitriolo che attiva il killing intracellulare dei
macrofagi)
L’ipersensibilità di tipo ritardato si manifesta in genere dopo 4 settimane dall’infezione e determina una
reazione di tipo specifico nei confronti del batterio rappresentata dalla formazione del granuloma
tubercolare o tubercolo.
Un ruolo chiave nella formazione del granuloma è svolto dal TNF e dal CSF-GM che determina il richiamo
di monociti dal circolo i quali si trasformano in macrofagi che a loro volta danno origine alle cosiddette
cellule epitelioidi che sono elementi altamente attivati a funzione secretoria (enzimi, citochine, radicali
ossidanti) e microbicida.
All’interno del focolai può anche crearsi una zona di necrosi tessutale (necrosi caseosa) che costituisce un
ambiente ostile alla sopravvivenza dei micobatteri. Ciò avviene in condizioni in cui la carica microbica è
elevata e si ha una maggiore produzione di TNF da parte dei macrofagi che vengono attivati dal
lipoarabinomannano.
La necrosi caseosa determina delle condizioni di riduzione del metabolismo dei bacilli (PH acido,acidi grassi
a lunga catena, anaerobiosi) ed ha perciò lo scopo di distruggere il bacillo, ma determina anche delle lesioni
parenchimali.
In queste condizioni i micobatteri possono soccombere dando origine ad una lesione sterile o possono crearsi
delle condizioni di equilibrio per cui i batteri sopravvivono in condizioni di metabolismo molto torpido
(murati vivi) anche per tutta la durata della vita del paziente e possono riattivarsi in particolari condizioni
favorevoli. La riattivazione delle lesioni quiescenti sta alla base della TBC postprimaria endogena.
In una minoranza dei casi la capacità aggressiva dei batteri supera le capacità di difesa immunologiche e le
lesioni non vengono circoscritte ma il materiale caseoso va in contro a colliquazione formando un materiale
fluido che costituisce un ottimo materiale di coltura per M.T. che vi si moltiplica attivamente cosicchè
quando questo viene espulso attraverso le vie aeree si ha facilmente la diffusione dell’infezione nelle vie
aeree e il contagio tramite l’espettorato.
Mentre la caseosi è un meccanismo di difesa che ha effetti positivi la colliquazione rappresenta un evento
sfavorevole per il paziente in quanto con la formazione della caverna si modificano le condizioni di
ossigenazione a livello del focolaio e si creano le condizioni favorevoli per la proliferazione dei batteri,
inoltre tramite il drenaggio nel bronco si può avere la disseminazione ematogena.
Il materiale colliquato è più altamente infettivo e viene anche più facilmente eliminato all’esterno tramite i
bronchi.
In sostanza quindi il tipo di risposta dipende dal bilancio tra la produzione di TNF e INFγ:
IFN-γ è fondamentale perchè determina l’attivazione macrofagica e stimola l’immunità cellulo mediata
(aspetto produttivo)
TNF sta invece alla base della formazione della necrosi caseosa e quindi delle lesioni parenchimali (aspetto
distruttivo)
la produzione di TNF dipende dalla carica bacillare e da fattori inerenti all’ospite:
bassa carica bacillare: scarsa produzione di TNF e quindi assenza di lesioni polmonari
elevata carica bacillare: alta produzione di TNF e quindi danno polmonare
fattori positivi: acquisizione di resistenza ed immunità
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il 90% dei soggetti che va in contro a infezione non presenta malattia, si instaura l’ipersensibilità
tubercolinica e le lesioni decorrono in maniera asintomatica e si risolvono con un esito fibroso o
fibrocalcifico che spesso costituisce un reperto radiografico accidentale.
Nel 5% dei casi si sviluppa la malattia nel periodo immediatamente successivo al contagio cioè nel periodo
primario (TBC primaria) che generalmente si risolve spontaneamente.
Raramente la TBC primaria va in contro a complicazioni o a disseminazione per via broncogena o
ematogena dando luogo alla TBC miliare.
Nel restante 5% dei casi la malattia si manifesta nel periodo postprimario (TBC postprimaria) cioè a
distanza di tempo anche molto lunga dal contagio.
La TBC postprimaria può derivare da una riattivazione delle lesioni in cui i bacilli sono rimasti in condizioni
di latenza biologica (riattivazione endogena 95%) o molto più raramente per una seconda infezione da
parte di batteri provenienti dall’esterno (reinfezione esogena 5%).
Le lesioni del periodo postprimario sono di tipo specifico, cioè non si ha la ripetizione del complesso
primario, poichè i linfociti T sono già stati sensibilizzati al M.T. ma si forma subito il tubercoloma
espressione della DTH.
In base al potere di resistenza acquisito l’organismo risponde con 2 forme diverse:
1. forma produttiva o miliarica in caso di forte resistenza
Si verifica quando prevale la reazione granulomatosa è caratterizzata dalla formazione di un tubercoloma
compatto che può presentare un centro caseoso ma che non ha alcuna tendenza ad espandersi ed è
circoscritto da un vallo linfocitario e da una reazione fibroblastica che da luogo ad una evoluzione fibrosa o
fibrocalcifica senza comportare danni al parenchima polmonare.
2. forma essudativa in caso di scarsa resistenza
si verifica quando prevale la necrosi caseosa, è caratterizzata da tubercolomi ampi con tendenza
all’estensione ed alla confluenza che presentano un’estesa area centrale di necrosi caseosa che non è
circondata da una reazione fibrotica. L’evoluzione non è verso la fibrosi ma verso la colliquazione con
esteso danno al parenchima polmonare.
La formazione della caverna o tisiogenesi dipende da:
 colliquazione della necrosi caseosa (evento biologico perché dipende dalla presenza del bacillo di
Koch)
 distruzione del parenchima polmonare che determina riduzione delle fibre elastiche e quindi della
compliance e formazione di aderenze pleuriche che determinano trazione (evento meccanico)
A partire da tutte le forme che portano a necrosi caseosa, si può sviluppare una lesione caratteristica detta
tubercoloma.
Essa è una lesione simil-neoplastica (da cui il nome) caratterizzata dalla presenza di un centro caseoso,
stratificato o omogeneo, circondato da una capsula fibrosa, così denso da avere l’aspetto macroscopico di
una massa occupante spazio, radiologicamente visibile.
Anatomia patologica
Tubercolosi polmonare primaria (complesso primario e sua evoluzione)
Può svilupparsi oltre che nel polmone anche nell’intestino e nella cute.
Nel polmone predilige la parte superiore del lobo inferiore, la parte inferiore del lobo superiore soprattutto a
livello subpleurico dove c’è una elevata PO2.
L’infezione polmonare si manifesta inizialmente con una triade sintomatologica chiamata complesso
primario di Ghon.
Esso è caratterizzato da:
1. focolaio parenchimale subpleurico (di solito nel polmone di destra, nella scissura interlobare fra
superiore e medio)
2. linfangite consensuale (cioè dalla stessa parte del focolaio parenchimale) caratterizzata da strie
grigio-rossastre
3. Adenopatia satellite: linfonodi aumentati di volume e ridotti di consistenza, al taglio colorito
rossastro con punteggiatura giallastra (espressione di necrosi caseosa)
Poiché nella prima fase della infezione i micobatteri si disseminano per via ematogena, questo complesso
primario non si trova necessariamente solo nel polmone, e anche se la sua genesi in altri organi è un evento
raro, è comunque possibile.
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Questa evenienza rientra nel contesto dei complessi primari atipici.
In ogni caso, per i complessi extrapolmonari valgono le stesse cose riportate per quelli polmonari.
Il complesso primario si forma immediatamente, prima ancora che si verifichi l’ipersensibilità.
 Evoluzioni della lesione parenchimale:
Regressione o scomparsa: condizioni non favorevoli per il micobatterio. In questi soggetti il focolaio non si
organizza come cicatrice, e non si ha nessuna conseguenza dell’infezione, non è un evento favorevole
perché si sviluppa ipersensibilità ma non immunità e resistenza perciò una eventuale reinfezione esogena può
determinare una TBC pericolosa
Fibrosi o calcificazione: se il soggetto non presenta particolari complicazioni immunologiche e l’ambiente è
sano, la regola delle infezioni primarie attecchite è la guarigione per fibrosi o calcificazione (90%) La
piccola cicatrice che rimane non contiene micobatteri vitali.
Lesioni latenti: una piccola quantità di focolai rimane con una certa carica di micobatteri all’interno di una
reazione granulomatosa e fibrosa di contenimento. Questi (che possono essere localizzati in tutti gli organi
parenchimatosi dove si è diffuso il micobatterio) hanno una probabilità di riattivarsi in media del 5-10%. Le
condizioni che promuovono la riattivazione sono gli stati di stress e di deficit immunitario.
Progressione e disseminazione: l’evento più raro, possibili praticamente solo nei lattanti e negli
immunodeficienti, è la progressione a lesioni cavitarie (polmonite caseosa) e la disseminazione ematogena
immediata. Questa condizione, molto grave, si può avere anche per una carica batterica alta (tubercolosi
primaria progressiva) ed è inoltre più frequente nei bambini < 3 anni e nella pubertà
Complessi primari atipici
Ci sono alcune condizioni, dipendenti da molteplici fattori individuali e di carica batterica, in cui il
complesso primario non ha la morfologia descritta prima oppure differisce per altre caratteristiche. Questi
complessi primari sono detti atipici pur non essendo così rari, e hanno una notevole importanza diagnostica.
Impianto contemporaneo di BK con creazione di focolai multipli: come già ricordato, ciascuno di questi
focolai è identico al complesso di Ghon cioè ha la sua adenite satellite e lesione linfonodale caseosa
Focolaio caseoso gigante: questa complesso primario, che si manifesta con un granuloma di grandi
dimensioni che è difficilmente guaribile, può avere due evoluzioni insolite:
Formazione di una caverna primaria (detta così perché di solito le caverne sono legate alla tubercolosi
secondaria)
Propagazione endobronchiale con gravi conseguenze nel parenchima a valle
Polmonite e/o bronchite caseosa che si differenzia da quella della forma postprimaria perché vi è
necessariamente l’adenite satellite
Adenite ilare gigante: sviluppo preponderante delle lesioni linfonodali rispetto al focolaio parenchimale.
Tubercolosi sub-primaria
Si tratta dell’insieme di eventi che si accompagnano in alcuni casi alla tubercolosi primaria e che si svolgono
indipendentemente dal destino del complesso primario.
Sono infatti conseguenti alla iniziale disseminazione ematogena del bacillo di Koch, che è responsabile
anche del complesso primario.
Tubercolosi primaria tardiva
Si tratta della denominazione data ad un particolare caso di TBC primaria che colpisce soprattutto anziani
che hanno un sistema immunitario meno reattivo.
La causa risiede probabilmente in una precedente esposizione al BK con bassa carica bacillare in cui si è
avuta ipersensibilità senza acquisizione di resistenza.
Il focolaio parenchimale è caratterizzato da maggiore tendenza alla caseosi e minore fibrosi con tendenza alla
formazione di tisi e diffusione linfoematogena precoce e polmonite caseosa.
E’ molto simile alla tubercolosi nodulare tisiogena, ma non è una forma subprimaria perché la lesione
tisiogena parte da un complesso primario, solo poco sviluppato.
Anche l’interessamento linfonodale è scarso.
Non si può nemmeno definire una forma di TBC secondaria perché al momento della reinfezione non sono
presenti focolai con bacillo latente.
Tubercolosi post-primaria
Tubercolosi miliare
Fa seguito alla disseminazione linfoematogena a partire dai linfonodi ilari, ma anche da focolai
parenchimali del polmone e addirittura da focolai extraparenchimali.
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Di solito la diffusione è limitata al polmone dal fatto che il circolo linfatico drena nel cuore destro, e da qui il
sangue torna nuovamente la polmone. Il circolo capillare polmonari è solitamente abbastanza a maglie strette
da bloccare ulteriori diffusioni sistemiche della malattia.
Tuttavia non è infrequente la disseminazione ematogena proveniente dal polmone per shunt arterovenosi o
altro e quindi il coinvolgimento di molti parenchimi (rene, milza, fegato, retina e midollo osseo sono i
bersagli principali).
Il coinvolgimento isolato di altri organi senza interessamento polmonare è un evento molto raro.
Sono piccoli e numerosi e ricordano i grani di miglio (da cui miliare).
Tubercolosi cronica degli apici polmonari
È una forma di TBC post-primaria molto frequente 70-90% caratterizzata dalla riattivazione di un focolaio
apicale che decorre in maniera lenta e ha una evoluzione in genere benigna verso la regressione spontanea o
la calcificazione.
La localizzazione all’apice polmonare è dovuta all’elevata tensione di O2 e alla diffusione agevolata dalla
posizione eretta.
Clinica
I quadri di presentazione clinica della malattia sono notevoli ed eterogenei in quanto condizionati dalla
reattività del soggetto e dall’entità della carica infettante.
Sono presenti sintomi sistemici rappresentati da: febbricola pomeridiana, senso di freddo, sudorazioni
notturne, anoressia, perdita di peso, mialgia, astenia.
Sintomi locali sono invece:
 tosse secca e stizzosa in caso di lesioni chiuse o produttiva in caso di lesioni aperte (caverne in fase
di attività) con espettorato che può essere più o meno infettante
 emoftoe o emottisi, in condizioni di malattia avanzata in cui si ha erosione dei vasi bronchiali
 dolore toracico di tipo pleurico accentuato dal respiro profondo e dalla tosse (dovuto a pleurite
tubercolare)
 dispnea anche in rapporto al dolore toracico che limita i movimenti respiratori
le indagini di laboratorio possono evidenziare:
 incremento della VES
 ipergammaglobulinemia
 ipoalbuminemia
 anemia da disordine cronico
la TBC miliare può essere:
 acuta: se si ha la disseminazione del bacillo prima dello sviluppo della reattività tubercolinica
 moderata: in presenza di un focolaio polmonare cronico
 cronica: disseminazione progressiva in presenza di difese immunitarie compromesse; può avvenire a
distanza anche di molti anni dalla formazione del focolaio primario
nella TBC miliare sono presenti segni di insufficienza respiratoria acuta e di coinvolgimento
extrapolmonare:
 irritazione meningea (cefalea e rigidità nucale)
 epatosplenomegalia
 ascite
 alterazioni renali ( iponatremia)
 alterazioni ossee
 pericardite tubercolare
meningite tubercolare: generalmente è dovuta alla rottura di un tubercolo subependimale nello spazio
subaracnoideo, più che a diretta localizzazione ematogena. Si manifesta come complicanza della TBC
miliare dopo molte settimane di malattia, con un marcato coinvolgimento delle meningi alla base del
cervello, formazione di un essudato spesso, gelatinoso, dal ponte al chiasma ottico, che può consolidare e
occludere lo spazio subaracnoideo, dando origine a idrocefalo ostruttivo. Il coinvolgimento delle arterie
sotto forma di arterite obliterant può causare ischemia o infarto cerebrale.
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Inizia subdolamente con irritabilità, accompagnata da astenia e febbricola, poi da cefalea sempre più intensa
e vomito, arrivando alla sindrome meningea conclamata, accompagnata eventualmente da paralisi dei nervi
cranici. L’esito è letale nel 100% dei casi non trattati, in un tempo medio di 6 settimane.
Il liquor si presenta limpido e a glicorrachia diminuita: poiché tali caratteristiche si hanno anche nella
meningite linfomatosa è importante fare l’esame citologico per la ricerca di cellule atipiche se i micobatteri
non sono visibili all’esame microscopico diretto.
nella tubercolosi primaria possiamo distinguere 3 quadri sintomatici:
1. Regredibile: non da sintomi e guarisce subito, lasciando eventualmente segni di calcificazioni
linfonodali o parechimali
2. Sintomatica semplice: pochi disturbi respiratori aspecifici, simili a bronchite o broncopolmonite.
Regrediscono con l’acquisizione della resistenza
3. Sintomatica progressiva: in paziente defedato o anziano o lattante. In genere si ha una evoluzione
molto varia, da sintomi di TBC miliare diffusa, spesso accompagnata dalla meningite, a pleurite
essudativa, che può anche essere la manifestazione principale. L’interessamento dei linfonodi porta
alla aspirazione di materiale che deriva delle fistole con sviluppo di broncopolmonite, oppure alla
compressione e atelettasia bronchiale
Nella tubercolosi primaria inoltre si possono avere reazioni di sensibilizzazione rappresentate da:
Eritema nodoso: nodulo dermo-ipodermico prima rosso-violaceo che in seguito diventa giallo-verdastro e
quindi scompare senza lasciare sequele
Congiuntivite flittenulare: piccole flittene a livello della congiutiva
Diagnosi
L’esame obiettivo nella forma primaria è negativo se il focolaio primario è piccolo e situato in periferia, se
invece è superficiale e associato a notevole adenopatia si ha:
segno di Kramer = ipofonesi interscapolovertebrale a livello C2-C4
segno di De La Camp = ipofonesi sulle prime vertebre dorsali
nella tubercolosi postprimaria si ha nella fase iniziale una modesta ipofonesi sottoclaveare e rantoli
crepitanti mentre nella fase avanzata si ha ottusità, soffio bronchiale e rantoli bollosi o cavitari.
All’anamnesi va indagata la sede di provenienza del soggetto, le fonte eventuale di contatto e la frequenza di
contatto, la presenza di eventuali malattie che possono aver portato ad un deficit di ICM, la eventuale terapia
con immunosoppressori.
È molto importante indagare la presenza di infezione da HIV e la tossicodipendenza.
Di fronte ad un sospetto clinico vengono fatte indagini di I livello:
 test con tubercolina
 esame di espettorato (almeno 3 campioni al mattino a digiuno)
 Rx torace
La diagnosi di infezione viene fatta in base al test alla tubercolina che valuta la presenza di ipersensibilità
verso derivati proteici purificati del batterio (PPD) attraverso iniezione intradermica (test di Mantoux).
La reazione è standard: introduzione sottocute di 5 unità, non va praticata più profondamente per evitare il
wash out da parte del circolo.
La risposta viene valutata misurando il diametro maggiore dell’area di indurimento della cute che si sviluppa
entro 48-72 ore:
test positivo = diametro maggiore di 10 mm
test negativo = diametro minore di 5 mm
test dubbio = diametro compreso tra 5 e 10 mm
in genere l’area di indurimento è di 16-17 mm, nelle aree in cui le infezioni da MOTT sono ubiquitario le
reazioni di 5-12mm sono considerate negative, mentre nelle aree senza endemia da MOTT le reazioni da 512 mm sono sospette.
La riconversione a cutinegativo è dell’8% all’anno: per questo in persone con infezione di vecchia data si
può avere negatività e va ripetuto il test dopo 12-24 mesi il quale risulta invece positivo (effetto booster).
Vanno fatte indagini ripetute nel tempo per differenziare la cuticonversione dall’effetto booster.
Si può avere la presenza di falsi negativi in condizioni di depressione dell’ICM o in alcune forme di TBC
attiva in cui c’è un esaurimento di cellule infiammatorie. Falsi negativi si possono avere anche in condizioni
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di anergia (perdita della memoria immunologica?) in particolare nell’anziano, in questo caso il test va
ripetuto dopo 1 settimana in cui si può avere positivizzazione (conversione per effetto Pasteur di richiamo
immunologico).
La positività al test tubercolinico indica l’infezione (pregressa o in atto) e non lo stato di malattia.
La diagnosi di malattia tubercolare viene fatta tramite la dimostrazione di M.T. nei fluidi biologici, in primo
luogo l’espettorato, alternativamente il broncoaspirato, l’aspirato gastrico e il liquido pleurico.
Il liquido pleurico inoltre presenta linfocitosi e vi si può dosare l’adenosildeaminasi.
In caso di TBC miliare possono essere analizzati altri materiali come le urine in caso di interessamento
renale.
È importante che non sia stata fatta una chemioterapia per escludere cause infettive diverse dalla TBC con
antibiotici che hanno effetto anche sul M.T. perchè questo può condizionare la diagnosi.
Inizialmente viene fatto un esame microscopico diretto a fresco del materiale dopo colorazione con ZiehlNeelsen che può dare origine a falsi negativi pertanto fatta la coltura.
La coltura viene fatta su terreni solidi (Lowenstein Jensen, Middlebrook) in particolare il terreno di
Petragnani o liquidi con acido palmitico radiomercato, la crescita normalmente richiede 3-6 settimane ma
con metodi radioattivi si può ottenere in 2 settimane.
La dimostrazione del M.T. in coltura è importante perchè ne dimostra la vitalità e permette la diagnosi
differenziale con micobatteri apici che possono dare un quadro simile.
La diagnosi con i micobatteri atipici viene fatta tramite l’inibizione della crescita in presenza di NAP
(nitroacetilaminoidrossipropiofenone) e con sonde di DNA.
I micobatteri atipici o MOTT (Mycobacteria other than Tuberculosis) sono batteri saprofiti ubiquitari che
determinano numerosi quadri clinici e non sono sensibili alla terapia tradizionale per il MT, comprendono il
M. avium intracellulare che causa infezione sistemica soprattutto nei pazienti con deficit della ICM in
particolare con AIDS.
In attesa della risposta dell’esame colturale viene intrapresa comunque la terapia.
All’Rx torace la TBC primaria è caratterizzata dal corrispettivo radiologico del complesso primario:
 opacità polmonare dovuta al focolaio essudativo
 ingrandimento dell’ombra ilare omolaterale dovuta alla linfoadenopatia satellite
 strie a partenza ilare che si dirigono verso il focolaio corrispondenti alla linfoangite consensuale
 nella TBC secondaria non sono presenti i segni del complesso primario e il quadro radiologico delle
fasi iniziali può essere poco significativo.
Nelle forme circoscritte sono presenti ombre micronodulari soprattutto in regione apicale con gradi diversi
di radiopacità in base alla componente necrotica e al grado di fibrosi.
Nelle forma miliari disseminate le ombre micronodulari sono diffuse a tutti i campi polmonari.
Indagini di II livello sono rappresentate da:
metodiche colturali rapide
PCR su RNA (non DNA che è presente anche nei bacilli morti)
TAC che completa l’Rx torace
Terapia
In alcune categorie a rischio in caso di negatività alla tubercolina viene fatta la vaccinazione tramite
inoculazione di ceppi attenuati di M.bovis (bacillo di Calmette e Guerin BCG) che induce lo stato di
ipersensibilità.
Nei soggetti tubercolinopositivi a rischio può essere fatta un chemioprofilassi con isoniazide 300 mg/die per
6 mesi (12 mesi nei pazienti immunodepressi):
familiari di pazienti con TBC
soggetti immunodepressi per varie cause
soggetti HIV positivi
l’isoniazide possiede però epatotossicità, nei pazienti che non la tollerano può essere utilizzata rifampicina
600 mg7die per os per 6 mesi.
Il trattamento della TBC viene fatto con una combinazione di farmaci.
La polichemioterapia serve a evitare la chemioresitenza cioè la selezione di ceppi resistenti ad un
determinato farmaco data la frequenza di insorgenza di ceppi mutageni.
Una popolazione di bacilli tubercolari mai esposta a farmaci contiene mutanti resistenti al chemioterapico in
un rapporto di 1 su 106-8 , data la grande quantità di microrganismi presenti nelle lesioni cavitarie (109-11) è
inevitabile una terapia di combinazione fin dall’inizio.
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La terapia viene protratta per 6-9 mesi a causa della crescita lenta del batterio in modo da essere sicuri di
avere sterilizzato tutte le lesioni.
Attualmente la terapia di scelta è:
 isoniazide 300 mg
 rifampicina 600 mg
 pirazinamide 25-35 mg/Kg
 etambutolo 15-25 mg/Kg
per 2 mesi poi:
 isoniazide
 rifampicina
per i successivi 4-7 mesi.
Recentemente è stata vista la sensibilità alle ansamicine (rifabutina e rifapentina) che vengono utilizzate
soltanto in caso di resistenza al trattamento convenzionale o in presenza di effetti collaterali gravi.
Nei pazienti con AIDS la terapia è più aggressiva.
In aree con ceppi miltiresistenti possono essere utilizzati anche 5-6 farmaci.
È necessaria la valutazione della funzionalità epatica, visto che alcuni farmaci sono epatotossico e la
somministrazione di piridossina 25-50 mg/die nei pazienti predisposti alla neuropatia (diabetici, alcolisti o
pazienti con deficit nutrizionali).
È fondamentale monitorare la risposta alla terapia, tramite esame dell’espettorato (sia microscopico che
colturale) ogni settimana nelle prime 6 settimane di trattamento e 1 volta al mese dopo la negativizzazione
della coltura.
La persistenza dei sintomi dopo 3 mesi dall’inizio della terapia fa nascere il sospetto della presenza di
resistenza ai farmaci o di non aderenza alla terapia.
Per molti anni il presidio chirurgico principale è stato la collassoterapia, introdotta da Forlanini agli inizi del
XX sec. che prevedeva l’istituzione di uno pneumotorace al fine di favorire il collasso delle caverne e la loro
cicatrizzazione.
Altre metodiche furono usate per ovviare agli inconvenienti (presenza di aderenze fibrose). Tra queste:
Collassoterapia endoscopica di Jacobaeus: anestesia locale, istituzione di uno pneumotorace parziale e
introduzione di strumenti ottici e termocauterio per recidere le briglie aderenziali. Metodica storicamente
importante in quanto punto di partenza della chirurgia videotoracoscopica.
Pneuomotorace extrapleurico: scollamento della pleura parietale dalla fascia endotoracica.
Piombaggio: introduzione nel cavo pleurico creato con uno pneuomotorace di paraffina. Metodica non
scevra di gravi complicanze.
Frenico-exeresi: paralisi di un emidiaframma per far collabire le caverne. Complicanze funzionali gravi,
invalidanti e durature ne sconsigliarono presto l’uso.
Toracoplastica: Asportazione delle prime 3-5 coste. Intervento mutilante e spesso deformante.
Attualmente le indicazioni per la chirurgia recettiva della TBC tendono al massimo risparmio del parenchima
sano, contrariamente ai criteri ad es. di radicalità oncologica. Si preferiscono quindi segmentotomie (di
Nelson), enucleazioni (nel caso dei tubercolomi). Lobectomie si rendono necessarie per lesioni di vecchia
data cicatrizzate, soprainfettate, fistole bronco-pleuriche. Tavolta è necessaria la decorticazione in caso di
esiti fibroadesivi di pleurite.
L’empiema si tratta con drenaggio, antibiotico terapia sistemica e locale, oppure con l’empiemectomia, che
consiste nel rimuovere in toto il guscio che circoscrive la raccolta, cercando di trovare i piani di clivaggio
con la pleura viscerale e la fascia endotoracica.
Le stenosi si trattano con resezione più anastomosi termino-terminale.
Può essere necessaria l’asportazione del parenchima a valle perché irrimediabilmente alterato.
Il laser non va utilizzato perché possono causarsi perforazioni.
PLEURITE TUBERCOLARE
Nel periodo primario la pleurite costituisce una manifestazione di elevata reattività, mentre nella fase postprimaria essa può manifestarsi secondariamente a:
diffusione a partenza da un focolaio nel parenchima sottostante
propagazione da un linfonodo
disseminazione ematogena
Molto frequentemente si manifesta una pleurite siero-fibrinosa a carattere quindi essudativo.
Altre forme meno comuni sono le pleuriti fibrinosa secca, purulenta, emorragica, eosinofila.
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Possono derivare da un processo primario o post-primario, essere estese a tutto il polmone o localizzarsi in
posizioni circoscritte.
L’evoluzione della pleurite di solito è la formazione di briglie aderenziali con retrazione cicatriziale che
può anche essere importante e portare a grave deficit funzionale.
La pleura risulta ispessita con depositi di calcio, e nel cavo pleurico si repertano spesso blocchi di fibrina
oppure calcio.
Un forma oggi poco frequente ma molto grave è la pleurite purulenta, con formazione di essudato
empiemico diffuso, che deriva essenzialmente dalla rottura di sacche granulomatose sotto la pleura stessa, o
più frequentemente da una fistola bronco-pleurica.
la diagnosi si basa sull’esame colturale del liquido pleurico ma può essere difficoltosa a causa dello scarso
numero di microrganismi presenti nel campione.
Altre caratteristiche del versamento tubercolare sono il carattere essudativo (proteine > 50 g/l) il PH acido
la linfocitosi e la concentrazione di glucosio < 30 mg/dl.
È importante anche la ricerca dell’adenosindeaminasi (ADA) un enzima che si occupa della trasformazione
dell’inositolo.
La diagnosi definitiva di pleurite tubercolare può in alcuni casi derivare dalla dimostrazione dei tipici
granulomi su campioni di biopsia pleurica.
FORME DI TUBERCOLOSI MILIARE
Meningite tubercolare
Tubercolosi cutanea
Tubercolosi renale
È dovuta all’impianto del bacillo di Koch livello del parenchima renale per via ematogena.
L’infezione inizia a livello della corticale (visto che ha una elevata tensione di O2) dove si formano tubercoli
microscopici che nella maggior parte dei casi regrediscono spontaneamente.
In alcuni casi i tubercoli si ingrossano e si fondono con quelli contigui formando delle cavità che
distruggono il parenchima e si aprono a livello dei calici e della pelvi disseminando così i bacilli lungo la via
escretrice per via discendente.
A livello renale la fibrosi accentua il danno parenchimale e può determinare una stenosi serrata dei calici e
del giunto pielo-ureterale.
A livello ureterale si formano stenosi cicatriziali.
A livello vescicale la fibrosi determina una riduzione della compliance.
Dalla vescica i bacilli inoltre possono raggiungere anche prostata dotti deferenti e vescichette seminali
determinando alterazioni che possono portare fino all’infertilità.
Le forme renali chiuse evolvono in genere in maniera subclinica ma talvolta è presente dolore sordo a livello
delle logge renali.
Nelle forme aperte alla pelvi il dolore può essere intenso talvolta con i caratteri di colica renale dovuta al
passaggio di coaguli o materiale caseoso a livello dell’uretere.
Con il progredire dell’infezione lungo le vie urinarie diventano prevalenti i sintomi derivanti dal
coinvolgimento della vescica: disuria, urgenza minzionale, pollachiuria, nicturia e dolore soprapubico.
L’escrezione urinaria del bacillo di Koch è in genere intermittente per cui devono essere analizzati campioni
ripetuti di urina.
L’esame dell’urina rivela anche la presenza di piuria ed un PH acido (quando normalmente la piuria dovuta
ad altri tipi di infezione si associa a PH alcalino).
L’Rx diretta addome mette in evidenza calcificazioni multiple del parenchima renale.
L’ecografia e la TC mettono in evidenza i processi ulcero-caseosi.
L’urografia discendente può evidenziare caverne parenchimatose in comunicazione con calici deformati e
distorti e stenosi uretrali alternate a tratti più o meno dilatati.
Le complicazioni a livello renale e delle vie urinarie vanno trattate chirurgicamente.
Tubercolosi ossea
Si manifesta come osteomielite o artrite delle grandi articolazioni.
La massima incidenza è a 3 anni, ma si possono avere anche manifestazioni tardive.
La localizzazione alle vertebre da luogo alla spondilite tubercolare.
Peritonite tubercolare
La localizzazione a livello del peritoneo può fare seguito alla diffusione ematogena o per contiguità.
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La peritonite tubercolare si verifica con maggiore frequenza negli alcolisti con cirrosi dove può essere
confusa con la semplice ascite.
Possiamo distinguere una forma ascitica e una anascitica, fibrocaseosa o fibrosclerosante.
La sintomatologia è caratterizzata da un dolore addominale ad esordio graduale, diffuso, profondo, continuo
o subcontinuo, con nausea e vomito saltuari.
In caso di una forma fibroaderenziale si possono verificare episodi occlusivi o subocclusivi.
Sono presenti i sintomi generali: astenia, anorresia, anemizzazione, calo ponderale, febbricola.
L’obbiettività addominale è in genere negativa se non per la presenza di ascite.
La diagnosi deriva dall’esame colturale e chimico-fisico del liquido ascitico che non sempre consente di
evidenziare la presenza di bacilli tubercolari ma comunque assume delle caratteristiche peculiari: aumentata
concentrazione proteica, peso specifico > 1016, eccesso di linfociti, concentrazione di glucosio < 30 mg/dl.
A volte è necessaria la biopsia peritoneale per via laparotomia o laparoscopica.
La terapia è quella medica della TBC, le complicanze occlusive richiedono l’intervento chirurgico.
Tubercolosi intestinale
Può rappresentare la manifestazione primaria di infezione da M. bovis o essere la conseguenza della
deglutizione di micobatteri in corso di TBC cronica.
Sono presenti dolori addominali indeterminati.
Pericardite caseosa
È presente in corso di tubercolosi miliare.
Sono presenti i tipici noduli miliari e nel liquido pericardico c’è anche la componente caseosa.
Si ha precipitazione di calcio in corrispondenza dei 2 foglietti pericardici con evoluzione in pericardite
cronica fibrocalcifica costrittiva.
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ENTEROCOLITI
Sono malattie infiammatorie o ulceroinfiammatorie dell’intestino associate a sindrome diarroica.
Possono essere fatte diverse classificazioni:
criterio topografico
diffuse
segmentarie (appendicite, enterite regionale)
criterio patogenetico
specifiche
aspecifiche
criterio morfologico
catarrale
pseudomembranosa
suppurativa
granulomatosa
criterio eziologico
da causa nota
infettiva
non infettiva (ischemia, radiazioni, uremia, metalli pesanti, citotossici, antibiotici)
da causa sconosciuta (in assenza di morbo di Crohn o colite ulcerosa)
ENTEROCOLITI DI NATURA INFETTIVA
Sono dovute alla colonizzazione intestinale di batteri, virus o protozoi che possono localizzarsi
prevalentemente nell’intestino tenue o nell’intestino crasso o in entrambi.
Si possono distinguere in:
invasive quando l’infiammazione si estende a tutta la parete, sono provocate da batteri
enteroinvasivi che sono in grado di penetrare attraverso la mucosa ed alterarla producendo o meno una
tossina (Clostridium Difficilis, Escherichia Coli invasivo o enteroemorragico, Shigella, Salmonella,
Yersinia, Stafilococcus Aureus), la diarrea è di tipo muco-sanguinolento, si ha infiammazione della
mucosa intestinale e presenza di leucociti nelle feci, può essere presente febbre ed altri sintomi
generali come cefalea e mialgie
non invasive quando l’infiammazione non coinvolge l’intera parete intestinale sono provocate da
batteri non invasivi o enterotossigeni che agiscono mediante la produzione di una tossina senza
invadere la parete intestinale (Vibrio Cholerare, Escherichia Coli enterotossica), la diarrea è di tipo
acquoso (diarrea secretoria), non si ha infiammazione ne invasione della mucosa e non c’è
presenza di leucociti nelle feci, non è presente febbre ne sintomi di interessamento generale
le tossine prodotte dai batteri non invasivi agiscono con un meccanismo di diarrea secretiva agendo sui
meccanismi che nell’enterocita sono predisposti alla secrezione di ioni quali K+ e Cl-.
Le tossine prodotte dai batteri invasivi invece sono citossiche cioè provocano un danno tissutale diretto
mediante la necrosi delle cellule epiteliali.
La diarrea acuta infettiva può anche manifestarsi come intossicazione alimentare (non propriamente
infezione) tramite cibo contaminato da tossine batteriche (ex. Clostridium Botulinum, Staffilococcus
Aureus).
Quadri misti sono le cosiddette tossinfezioni in cui al danno della tossina si somma quello prodotto dai
microrganismi non invasivi presenti negli alimenti contaminati che si moltiplicano a livello intestinale
(Clostridium Perfrigenes, Bacillus Cereus, Vibrio Parahaemoliticus).
La maggior parte delle infezioni batteriche presentano un quadro istologico aspecifico: danno all’epitelio
superficiale, diminuita maturazione delle cellule epiteliali, aumento del numero delle mitosi, iperemia ed
edema della lamina propria, infiltrazione neutrofila di grado variabile della lamina propria e dell’epitelio.
Intossicazione stafilococcica
Insorge dopo ingestione di alimenti contaminati con l’enterotossina termostabile che viene prodotta da
numerosi ceppi di S.Aureus.
I cibi vengono contaminati tramite il contatto con le mani di persone infette o portatrici senza che i cibi
vengono poi cotti o refrigerati (in genere panna creme e mascarpone).
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Quando infatti i cibi rimangono per parecchio tempo a temperatura ambiente gli Stafilococchi
tossinoproduttori possono moltiplicarsi ed elaborare la tossina.
Il periodo di incubazione è breve di 1-6 ore. L’esordio è brusco con vomito, diarrea e crampi addominali,
sudorazione, scialorrea, cefalea e ipotensione arteriosa. Il vomito è una manifestazione clinica peculiare
probabilmente legata all’azione diretta dell’enterotossina a livello del SNC.
Non è presente febbre.
La diarrea non è di tipo infiammatorio: nelle feci non si ritrovano né leucociti, né eritrociti né tantomeno
stafilococchi.
Si ha una rapida remissione spontanea del quadro in 2-4 giorni, ma nel paziente anziano può essere
importante la reidratazione.
La diagnosi è per lo più clinica ed è facilitata in caso di interessamento simultaneo di più individui che hanno
consumato lo stesso cibo contaminato; il singolo caso invece è etichettato come gastroenterite acuta.
La diagnosi differenziale con le tossinfezioni alimentari si fa in base al periodo di incubazione che nella
forma stafilococcica è più breve.
BOTULISMO
È una intossicazione alimentare causata da una neurotossica prodotta dal Clostridium botulinum è un bacillo
gram +, sporigeno, mobile, anaerobio obbligato, è un saprofita del suolo e commensale dell’intestino di
alcuni animali.
Ne sono presenti almeno 7 tipi dalla A alla G ciascuno dei quali produce una tossina.
La tossina botulinica è termolabile e viene prodotta in condizioni di anaerobiosi stretta, PH alcalino e
temperatura di 30° (ma anche a temperatura di frigo, 4°C).
L’intossicazione alimentare si verifica per ingestione di cibo contaminato dalla tossina in particolare: carne
in scatola, prosciutto, insaccati, vegetali sott’olio, pesce in scatola.
Sono implicate soprattutto le conserve alimentari di produzione casalinga difficilmente cibi di produzione
industriale.
I caratteri organolettici dei cibi inquinati in genere non si alternano in modo evidente ma è molto
caratteristico il rigonfiamento delle scatole metalliche dovuto alla formazione di gas.
Una forma particolare di botulismo è quello da ferita in cui si verifica la contaminazione di una ferita da
parte delle spore con successiva germinazione e produzione di tossina da parte della forma vegetativa. Il
periodo d’incubazione in questo caso è sensibilmente più lungo.
Nel botulismo infantile (la forma più frequente) la tossina viene prodotta e assorbita nell’intestino a seguito
della germinazione delle spore. La colonizzazione avviene per ingestione di alimenti contaminati come il
miele ed è facilitata dall’incompleto sviluppo della flora locale. Anche alcuni casi di botulismo in cui non
sembra essere implicato alcun cibo seguono il modello infantile (botulismo adulto di tipo neonatale).
La produzione della tossina avviene lentamente (2-14 giorni) e l’azione della tossina è estremamente potente
tanto che ne basta una piccola quantità per provocare la malattia (dose letale: 0.0084 mg/os).
La tossina botulinica viene assorbita a livello di stomaco ed intestino e diffonde per via ematica andando ad
agire a livello delle sinapsi colinergiche dove inibisce a livello presinaptico la liberazione di acetilcolina.
Ciò determina paralisi flaccida non solo della muscolatura scheletrica ma anche della muscolatura liscia e
delle ghiandole.
Clinica
La malattia può andare da una forma molto lieve che non richiede l’intervento medico fino a una forma
grave che può portare a morte in 24 h.
Dopo un periodo di incubazione di 12-36 ore si ha inizio della sintomatologia con nausea, vomito e dolori
addominali. Non è presente febbre ne diarrea ed il sensorio è integro.
Compare quindi la paralisi muscolare flaccida che è di tipo simmetrico discendente con progressione
cranio-caudale dai nervi cranici fino alle estremità.
Inizialmente si ha visione offuscata e diplopia seguite da paralisi della muscolatura intrinseca ed estrinseca
dell’occhio (paralisi oculari del III-IV e VI paio di nervi cranici) con strabismo, ptosi palpebrale, midriasi,
anisocoria e paralisi dell’accomodazione.
Quindi compare paralisi del IX-X e XII nervo cronico con disturbi della deglutizione, disfagia, disfonia e
paralisi della lingua.
Si hanno inoltre paralisi neurovegetative con xerostomia, xeroftalmia, secchezza della gola (per blocco
delle ghiandole mucipare delle prime vie respiratorie), stipsi, ileo paralitico, ritenzione urinaria.
Il liquor è normale.
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La letalità è del 30-70% e la morte può intervenire per paralisi respiratoria o bulbare.
Diagnosi
È essenzialmente clinica, la diagnosi di conferma può essere fatta tramite l’isolamento della tossina
botulinica dal cibo contaminato. La dimostrazione della tossina nel siero del paziente mediante la prova
biologica nel topino è determinante ma presenta falsi negativi in caso di botulismo da ferita o infantile.
Anche l’evidenziazione della tossina nel vomito, nel succo gastrico e nelle feci è fortemente indicativa,
perché la condizione di portatore intestinale è rarissima. Non basta invece a fini diagnostici il solo
isolamento del germe dai cibi senza contemporanea dimostrazione della tossina.
Terapia
La terapia si basa sull’impiego dell’antitossina con siero polivalente di cavallo,la cui efficacia dipende
dalla precocità dell’assunzione.
È necessario procedere alla prova di sensibilità cutanea verso il siero di cavallo, in caso di negatività si
somministrano ev 50-100 ml di siero trivalente ABE da sostituire con le antitossine specifiche se si giunge a
tipizzazione.
La antitossina neutralizza la sola tossina circolante e quindi deve essere ripetuta. Quando il consumo degli
alimenti inquinati è recente viene fatta la lavanda gastrica altrimenti va fatto un clisma e purganti (solo se
non si è ancora instaurato un ileo paralitico).
L’uso della guanetidina che dovrebbe aumentare la liberazione di Ach non ha dato risultati soddisfacenti.
I pazienti devono essere sottoposti ad attento monitoraggio tramite spirometria e ossimetria per il rischio di
sviluppare insufficienza respiratoria: quando i valori si alterano del 30% in poche ore è imperativo il ricorso
all’intubazione endotracheale e alla ventilazione meccanica.
Altre tossinfezioni alimentari
TOSSINFEZIONE DA BACILLUS CEREUS
Fa seguito all’ingestione di cibi contaminati dall’enterotossina del Bacillus Cereus che è un bacillo gram +,
aerobio, sporigeno.
I cibi sono: farina di cereali, riso ed altri cibi secchi.
Il quadro è simile alla forma Stafilococcica con incubazione di 8-10 ore.
TOSSINFEZIONE DA VIBRIO PARAHAEMOLICUS
È causata dall’ingestione di cibi contaminati dall’enterotossina del Vibrio Parahaemoliticum che è un bacillo
gram -.
I cibi sono: pesce crudo, frutti di mare, crostacei consumati crudi o inadeguatamente cotti.
Il quadro clinico è simile a quello dell’enterite da Salmonella.
TOSSINFEZIONE DA CLOSTRIDIUM PERFRIGENES
È causata dall’ingstione di cibi contaminati dall’enterotossina del Clostridium Perfrigenes che è un bacillo
gram +, sporigeno.
I cibi interessati sono: carni (di grossa pezzatura) cotte in modo inadeguato o riscaldate, in quanto con la
cottura le forme vegetative vengono uccise mentre le spore sopravvivono ma se le carni vengono lasciate
raffreddare e consumate successivamente si ha germinazione delle spore che formano la tossina.
Il periodo di incubazione è di 8-20 ore.
Compare quindi diarrea con doloriaddominali di breve durata.
Non è presente febbre e le feci non sono infiammatorie.
La diagnosi si basa sull’isolamento di grandi quantità di Clostridium negli alimenti infetti e nelle feci.
Colite Pseudomembranosa
È una lesione necrotico flogistica del colon caratterizzata dalla formazione di pseudomembrane.
Eziopatogenesi
È detta anche colite iatrogena poiché nella maggior parte dei casi è dovuta alla somministrazione di
antibiotici ad ampio spettro che modificano la normale flora batterica intestinale favorendo la
colonizzazione dell’intestino de parte del Clostridium Difficilis un normale saprofita del colon che
determina danno della mucosa tramite la produzione di enterotossine.
Anche altri agenti infettivi possono essere implicati come Shigella, Stafilococco e Candida (anche in
esofago).
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La malattia può manifestarsi anche in assenza di terapia antibiotica in alcune situazioni particolari: in corso
di ischemia con infezione secondaria (ex. dopo interventi chirurgici, ustioni e shock) o anche in corso di
malattie croniche debilitanti.
Sono implicati diversi antibiotici, assunti per via IM fino da due settimane prima, o per via orale di recente,
di cui il principale è la clindamicina ma anche Vancomicina, Cefalosporine, Aminoglicosidi, Penicillina
possono modificare la flora batterica intestinale aerobica, uccidendola a spese di quella anaerobica.
Anatomia patologica
La malattia colpisce il colon principalmente a livello della flessura epatica e del retto-sigma.
Raramente viene colpito il piccolo intestino.
La caratteristica della malattia è la formazione delle pseudomembrane che sono caratterizzate da un
coagulo di detriti fibrino-purulento-necrotici e da muco che aderiscono alla mucosa colica lesa (non sono
delle vere e proprie pseudomembrane in quanto non sono costituite da uno strato epiteliale).
Nella colite da Clostridium Difficilis sono presenti delle alterazioni microscopiche peculiari:
nella lamina propria è presente un infiltrato di PMN che invade le cripte determinando la distruzione della
ghiandola.
Le cripte diventano ripiene di essudato purulento che fa eruzione sulla superficie epiteliale danneggiata e vi
aderisce determinando la formazione delle pseudomembrane.
Clinica
Clinicamente la malattia si manifesta con diarrea modesta o abbondante che può anche essere di tipo
mucosanguinolenta che in genere compare dopo alcuni giorni dall’inizio del trattamento antibiotico ma che
può comparire anche dopo 1-2 settimane dalla sospensione.
Diagnosi
Le membrane si osservano bene alla colonscopia e ciò unito alla coprocultura è sufficiente a fare una
diagnosi, fortemente indicata anche dalla sola anamnesi.
Terapia
La terapia specifica non è sempre necessaria, in quanto basta spesso sospendere la terapia antibiotica per
ottenere la guarigione.
L’antibiotico d’elezione contro il Clostridium Difficilis è la vancomicina.
INFEZIONI DA SALMONELLE
È una malattia infettiva acuta di tipo endemico-epidemico causata dal bacillo di Elberth o Salmonella
Tiphy.
La trasmissione della malattia avviene per via orofecale attraverso cibi infetti soprattutto carne, uova, latte e
derivati e cibi poco cotti o preparati su superfici contaminate o da manipolatori infetti.
La malattia è diffusa soprattutto nei mesi caldi.
L’infezione da Salmonella può determinare 2 condizioni (oltre a quella di portatore sano): enterite
(tossinfezione alimentare) o febbre enterica.
Tossinfezione alimentare
Dopo 4-6 ore dal consumo di cibo infetto si verificano i sintomi che durano da 2 giorni ad 1 settimana:
nausea, vomito, diarrea senza sangue, febbre, crampi addominali, mialgia, cefalea.
La Salmonella essendo resistente al PH gastrico si localizza a livello dell’intestino tenue, penetra negli
enterociti per endocitosi e sopravvive e si moltiplica all’interno della cellula.
Il microrganismo determina incremento della secrezione di liquidi tramite aumento di cAMP e rilascio di
prostaglandine.
Febbre enterica
Che comprende:
 febbre tifoide provocata da Salmonella Tiphy
 febbre paratifoide provocata da Salmonella Paratiphy (forma più mite)
eziopatogenesi
Sono state fatte diverse ipotesi sulla modalità di diffusione della Salmonella all’interno dell’organismo.
Ipotesi di Koch: tramite gli alimenti infetti la Salmonella invade direttamente l’intestino.
Ipotesi di Santarelli: tramite gli alimenti infetti la Salmonella raggiunge l’intestino dove viene bloccata
nell’anello di Waldayer e pre via ematica ricolonizza l’intestino.
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Ipotesi di Shottmuller: tramite gli alimenti infetti le Salmonella raggiungono la mucosa e sottomucosa
dell’intestino tenue, si localizzano nelle placche del Pejer e nei follicoli solitari e penetrano nei linfonodi
mesenterici e tramite il dotto toracico raggiungono il circolo ematico dove provocano una fugace batteriemia
(batteriemia primaria).
Si localizzano quindi nelle cellule reticolo-endoteliali di linfonodi, fegato, milza e midollo osseo al cui
interno si moltiplicano attivamente.
Dopo un certo periodo di tempo (che corrisponde al periodo di incubazione) raggiunta una notevole
consistenza numerica) passano di nuovo nel sangue provocando una batteriemia secondaria che persiste
alcuni giorni e determina febbre.
Si ha quindi la localizzazione in diversi organi tra cui il rene (eliminazione con le urine) e la colecisti da cui
attraverso la bile raggiungono l’intestino tenue provocando una colonizzazione secondaria della sua mucosa.
I microrganismi si localizzano di nuovo nelle placche del Pejer e nei follicoli solitari dove determinano una
infiammazione del tessuto linfatico già sensibilizzato.
Le placche del Pejer vanno incontro a ulcerazione e formazione di escare il cui distacco causa emorragia ed
in alcuni casi anche perforazione intestinale.
Nell’1-5% dei casi dopo un anno dalla guarigione si ha una infezione subacuta scarsamente sintomatica
dovuta al fatto che la Salmonella persiste a lungo a livello della colecisti.
Questi soggetti come anche i malati eliminano la Salmonella con le feci ma essendo apparentemente sani
sono tra le più pericolose sorgenti di infezione.
Anatomia patologica
Le lesioni anatomopatologiche della febbre tifoide interessano caratteristicamente l’ultima parte dell’ileo ed
evolvono in modo caratteristico attraverso 4 stadi che corrispondono approssimativamente ai 4 settenari in
cui classicamente viene suddiviso l’andamento clinico della malattia.
1° stadio: si osserva tumefazione delle placche del Pejer e dei follicoli solitari con aspetto encefaliode ed
accumulo di monciti-macrofagi con all’interno detriti batterici (cellule tifose).
2° stadio: nel tessuto linfatico sono presenti aree focali di necrosi che confluiscono tra di loro a formare un
escara (in genere di colore verdastro per la presenza della bile) che può anche cadere.
3° stadio: si ha colliquazione che determina il distacco dell’escara lasciando l’ulcera con fondo necrotico di
profondità variabile talvolta fino alla perforazione. Il distacco dell’escara può anche provocare la rottura di
un vaso con conseguente enterorragia. Le principali complicanze di questa fase sono dunque la
perforazione con peritonite e l’enterorragia.
4° stadio: si ha la formazione di tessuto di granulazione e rigenerazione epiteliale, scompare la necrosi e le
ulcere appaiono deterse con fondo pulito e poi lasciano il posto ad una cicatrice piana, liscia con puntini
nerastri (“a barba rasata”) che derivano dall’emorragia.
Il coinvolgimento extraintestinale determina:
o tumefazione della milza che appare di consistenza molle (tumore infettivo della milza)
o flogosi delle vie biliari e della colecisti che possono anche fare da serbatoio dell’infezione
o nel fegato, midollo osseo e linfonodi sono presenti piccoli focolai sparsi di necrosi parenchimale
all’interno dei quali vi sono aggregati di monociti-macrofagi detti noduli linfoidi
o fenomeni degenerativi cardiaci
o nefrosi tossica
o roseola tifosa cutanea = papula provocata dalla localizzazione della Salmonella nei capillari cutanei
o broncopolmonite
Clinica
L’incubazione è di 10-16 gg. Le manifestazioni differiscono tra i 4 settenari:
1. invasione: febbre che sale con andamento a dente di sega fino alla fine del primo settenario, quando
raggiunge 40-41°C; è accompagnata da cefalea, bradicardia relativa, epistassi, lingua a dardo
(impaniata al centro, rossa ai lati), sintomi digestivi (anoressia, stipsi, meteorismo, gorgoglio
ileocecale); è assente invece la sudorazione, anche quando il paziente sfebbra nel 4° settenario
2. stato: addome pastoso benché trattabile, febbre subcontinua (40° C) refrattaria al trattamento con
antipiretici, che provocano solo sudorazione, stato tifoso (obnubilamento del sensorio), splenomegalia molle, presenza di roseole tifose (maculo-papule di 5 mm, localizzate all’addome e ai fianchi in
numero di 7-8 circa, vi si può isolare la salmonella e sono patognomoniche), bronchite
3. periodo anfibolico: febbre intermittente o remittente, con notevole oscillazione; è il periodo può
pericoloso per complicazioni come perforazione intestinale ed enterorragia (se compaiono si
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modifica la formula leucocitaria  leucocitosi neutrofila – mentre nella salmonellosi non complicata
c’è eosinopenia) e nevrassite tifosa
4. sfebbramento: anche questo richiederebbe una settimana ma con un’adeguata terapia antibiotica dura
2-3 gg e impiegando anche uno steroide solo 1 giorno: lo steroide però non va impiegato da solo
perché produce solo una guarigione fittizia, mentre resta il pericolo delle complicanze
Diagnosi
Nel 1°-2° settenario è positiva l’emocoltura, che è l’esame dirimente insieme alla sieroagglutinazione
(reazione di Widal) che rivela la comparsa si Ab (agglutinine) nei confronti degli Ag batterici O ed H e che
comincia a positivizzarsi alla fine della 1° settimana.
La coprocoltura invece si positivizza solo nel 3° settenario e serve per stabilire solo lo stato di portatore
cronico ma NON per fare diagnosi.
Terapia
Ceftriaxone 500 mg x 3/die x 15 gg + ciprofloxacina
In passato il farmaco di 1° scelta era il Cloramfenicolo ma con questi la prognosi è migliore.
Esiste anche un vaccino con germi attenuati che garantisce una protezione per 2 anni.
COLERA
È una enterite acuta causata da Vibrio Cholerae, endemica in Asia ed epidemica in Europa (l’ultima
pandemia risale al 1961).
L’infezione si trasmette per via orofecale attraverso l’acqua ed i cibi contaminati o per contatto diretto con il
materiale fecale infetto (FFFF)
In particolare la trasmissione avviene tramite i frutti di mare mangiati crudi.
Il periodo di incubazione è di 2-3 giorni.
Il Vibrio Colerae è sensibile al PH gastrico perciò è necessaria una alta concentrazione di Vibrioni perché
questi possano superare la barriera gastrica e raggiungere l’intestino tenue (individui con acloridria sono
maggiormente suscettibili).
I vibrioni si moltiplicano nella superficie della mucosa intestinale dell’ileo (talvolta anche del colon) senza
penetrare nell’epitelio non sono cioè invasivi.
L’azione patogena viene svolta esclusivamente da una enterotossina la tossina colerica costituita da una
subunità A e 5 subunità B che la circondano come una corona. Le subunità B si legano ai recettori degli
enterociti costituiti dai gangliosidi M permettendo alla subunità di penetrare nel citosol.
Dalla subunità A si libera il frammento A1 che si lega alla proteina G che attiva l’adenilato ciclasi
innalzando i livelli intracellulari di cAMP che determina una ipersecrezione di elettroliti da parte degli
enterociti.
Gli elettroliti provocano per richiamo osmotico l’afflusso di un gran volume di acqua che nei casi più gravi
può anche raggiungere i 14 litri al giorno con più di 10 scariche l’ora (diarrea secretiva).
La tossina inoltre determina vasodilatazione dei capillari con trasudazione di liquidi.
Non essendo il batterio invasivo le alterazioni della parete intestinale sono minime e rappresentate da lieve
infiltrato infiammatorio della lamina propria e piccole lesioni all’apice dei villi.
Clinica
Clinicamente il colera si presenta bruscamente con numerose scariche diarroiche (anche 50-100 al giorno),
non precedute né accompagnate da febbre o dolori addominali ma da vomito.
Le feci si presentano acquose e biancastre e possono contenere fiocchi di muco assumendo l’aspetto ad
acqua di riso, peraltro hanno un odore dolciastro contrariamente a quanto si potrebbe immaginare. Esse sono
praticamente isotoniche con il plasma, infatti le concentrazioni dei vari elettroliti sono: [Na+]=130 mEq/l,
[Cl-]=95 mEq/l; le concentrazioni di HCO3- e di K+ sono rispettivamente doppie e quadruple di quelle del
plasma, motivo per cui la diarrea può portare ad acidosi e spasmi muscolari.
La diarrea profusa provoca disidratazione ( tachicardia, ipotensione con polso filiforme, marcata
emoconcentrazione, oliguria, sudorazione algida vischiosa, occhi infossati, guance scavate, naso affilato). Il
sensorio è integro tranne che nelle fasi che precedono l’exitus, che sopravviene nel 60% dei pazienti non
trattati.
Diagnosi
Il vibrione è isolabile ampiamente dalle feci: provvisoriamente esse possono essere mescolate ad acqua
peptonata, poiché il pH alcalino favorisce il vibrione, poi in altri terreni selettivi.
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Terapia
È imperativo innanzitutto reidratare il paziente, ma non con soluzione fisiologica semplice, poiché questa
provoca sovraccarico del cuore sinistro ed edema polmonare. Si usa una soluzione sostitutiva bilanciata così
composta: 5 g di NaCl, 4 g di NaHCO3, 1 g KCl in 1 litro di H20 (soluzione 5-4-1). Alternativamente può
essere usata la seguente preparazione: 600 ml di sol. Fisiologica, 400 ml di glucosata al 32%, 17 ml KCl, 25
ml di NaHCO3.
Visto che non è compromessa la capacità di assorbimento è stato definitivamente provato che la soluzione si
può dare x os, tuttavia se è presente vomito o se il paziente è parzialmente incosciente si procede
all’infusione EV; la velocità d’infusione può essere regolata in base a:
1. peso del paziente: va dato un volume di soluzione pari al 10% del peso corporeo nelle prime 24h (il
50% di questo nella prima ora dal ricovero)
2. peso specifico del plasma: VN=1025; per ogni unità di peso specifico in difetto infondere 4 ml di
soluzione
per valutare l’efficacia della reidratazione si misura la PA e la diuresi. Per la terapia di mantenimento si
calcolano tutte le perdite (i letti dei malati di colera hanno un buco centrale sotto con un secchio graduato…)
e si reinfondono (non le perdite ovviamente bensì altri liquidi).
Gli antibiotici servono ad abbassare la carica vibrionica più rapidamente: i più efficaci sono le tetracicline e i
fluorochinoloni (ciprofloxacina)
Profilassi: isolamento del paziente e denuncia del caso; chemioprofilassi con tetracicline e cotrimossazolo;
invito a uno stile di vita attento.
Enterocolite stafilococcica
È una infezione conseguente alla moltiplicazione dello Stafilococcus Aureus a livello della mucosa
intestinale.
Lo S.Aureus è un normale componente della flora batterica intestinale perciò la sintomatologia compare solo
quando esso viene a costituire la parte più cospicua della flora gram+ in genere per piazzamento della
normale flora commensale a causa di un trattamento antibiotico (cloramfenicolo, tetracicline, neomicina etc.)
o per riduzione dei poteri di difesa dell’ospite.
Sono più colpiti neonati e soggetti anziani.
I reperti anatomopatologici sono sovrapponibili a quelli della colite pseudomembranosa.
L’esordio si ha dopo alcune settimane dall’inizio della terapia antibiotica ed è brusco, caratterizzato da dolori
addominali, febbre, nausea, vomito e diarrea.
La diarrea è di tipo essudativo e la perdita di liquidi è cospicua e porta a disidratazione e squilibri
idroelettrolitici.
La terapia si basa sulla correzione degli squilibri idroelettrolitici e sull’interruzione degli antibiotici causali.
Si possono somministrare anche antibiotici attivi sullo S. Aureus come vancomicina e teicoplanina.
Enterite da Escherichia Coli
I tipi patogeni di escherichia Coli che determinano enterite sono:
ETEC enterotossigeni: sono la principale causa di diarrea infantile nei paesi sottosviluppati e di diarrea del
viaggiatore, devono la loro azione patogena alla produzione di 2 potenti enterotossine che determinano
diarrea secretiva
EPEC enteropatogeni: che determinano diarrea nei bambini, sono caratterizzati da una peculiare adesività
per le membrane degli enterociti e provocano diarrea mucosanguinolenta
EIEC enteroinvasivi: sono responsabili di una dissenteria simile a quella provocata da Shigella, invadono le
cellule della mucosa dell’intestino crasso al cui interno si moltiplicano provocandone la lisi
EAEC enteroadesivi: colonizzano l’intestino tenue provocando una diarrea persistente con vomito e
disidratazione
EHEC enteroemorragici: producono 2 potenti citotossine che entrano nel circolo ematico e si legano alle
cellule endoteliali dove stimolano il rilascio di citochine che provocano fenomeni emorragici a livello del
colon (colite emorragica) SNC e rene (sindrome uremico-emolitica: IRA, anemia emolitica
microangiopatica e trombocitopenia)
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Shigellosi o dissenteria bacillare
È caratterizzata da una breve periodo di incubazione, i sintomi sono rappresentati da violente scariche
diarroiche con feci prima acquose e poi mucosangionolente.
Il contagio avviene per via orofecale tramite acqua e cibi contaminati.
Le Shigelle vanno a localizzarsi a livello della mucosa del colon penetrano negli enterociti e si riproducono
all’interno dei vacuoli fagocitari.
Esse inoltre producono una potente enterotossica, la tossina di Shiga, che provoca la necrosi dell’epitelio del
colon tramite blocco della sintesi proteica.
La Shigella Dissenterie inoltre produce anche una esotossina simile a quella di E.C. enteroemorragico che
determina la sindrome uremico-emolitica.
Per quanto riguarda le alterazioni anatomopatologiche inizialmente un essudato fibrino-suppurativo ricopre
la mucosa a tratti e poi diffusamente producendo una pseudomembrana.
Si instaura quindi una reazione infiammatoria all’interno della mucosa intestinale con infiltrato
linfomonocitario nella lamina propria e ulcere superficiali con infiltrato di PMN.
Con la remissione della malattia le ulcere guariscono con la rigenerazione dell’epitelio mucoso.
Colite amebica
È causata da un parassita commensale dell’intestino crasso detto Entamoeba Histolitica.
La trasmissione dell’infezione avviene per via orofecale tramite acqua e cibi contaminati.
L’Entamoeba viene ingerita sotto forma di cisti che sotto l’azione del succo gastrico si trasforma in
trofozoita che rappresenta la forma metaboliticamente attiva la quale invade le pareti del colon e produce
enzimi citolitico che determinano danno tissutale con formazione di ulcere.
I parassiti vengono eliminati con le feci sotto forma di trofozoiti nelle forme acute e di cisti nelle forme
croniche e nello stato di portatore.
La capacità patogena del parassita dipende dalla sua trasformazione dalla forma minuta alla forma invasiva
in seguito a diversi stimoli e situazioni dell’ospite: flora batterica intestinale, stato di nutrizione, condizioni
del sistema immune.
All’infezione per tanto può far seguito:
Stato di portatore sano in cui il trofizoita è presente in forma minuta, rappresenta un serbatoi dell’infezione
in quanto elimina la cisti con le feci
Amebiasi intestinale in cui il trofoziota è presenta in forma magna invasiva che penetra nella mucosa,
invade le cripte attraverso cui si apre un varco nella lamina propria e determina danno con formazione di
ulcere (tipicamente a forma di fiasco con un collo stretto ed un’ampia base) che possono determinare anche
perforazione con peritonite, clinicamente si ha diarrea mucosanguinolenta, raramente si può avere la
formazione di un ameboma caratterizzato da un focolaio di intensa risposta granuleggiante ai parassiti
In circa il 40% dei pazienti con dissenteria amebica i parassiti penetrano nei vasi portali ed embolizzato il
fegato producendo ascessi solitari o multipli (ascessi amebici epatici).
La diagnosi viene fatta tramite la ricerca del parassita nelle feci.
GASTROENTERITI VIRALI
Nei paesi sviluppati la diarrea infettiva rimane un importante causa di morbilità sia negli adulti che nei
bambini; gli agenti eziologici più frequenti sono due distinti gruppi di virus, i Rotavirus e i virus di Norwalk.
ROTAVIRUS
Appartengono alla famiglia delle Reoviridae e hanno la caratteristica di avere un genoma frammentato in 11
segmenti di RNA a doppia elica, motivo per cui i Rotavirus vanno incontro con elevata frequenza a fenomeni
di ricombinazione genetica (anche se non è noto quanto questo aspetto sia importante nel generare la
diversità antigenica).
L'infezione da Rotavirus è ubiquitaria e all'età di tre anni virtualmente ogni bambino ha contratto almeno una
volta l'infezione; nelle zone a clima temperato l'infezione segue l'andamento stagionale, verificandosi nei
mesi invernali. I rotavirus sono responsabili del 30-50% di tutti i casi diarrea che richiedono
ospedalizzazione o intensa reidratazione; benché la maggior parte dei casi interessi i bambini al di sotto dei
tre anni, si riscontrano frequentemente associati a diarrea negli adulti, particolarmente negli anziani e negli
immunocompromessi (malati di AIDS). Le infezioni subcliniche sono comunque la maggioranza dei casi,
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per lo più tra gli adulti, ma anche tra i bambini, nei quali conferiscono un'immunità che dura tre anni circa.
Negli adulti con bassi livelli di IgAs si possono verificare reinfezioni sintomatiche, che potenziano
l'immunità.
I rotavirus vengono abbondantemente eliminati con le feci ed è presumibile che la trasmissione avvenga per
via oro-fecale.
I rotavirus causano un'infezione litica delle cellule mature poste all'estremità dei villi dell'intestino tenue:
esse sono sostituite da cellule immature con inefficienti capacità assorbitive: la diarrea è quindi osmotica da
malassorbimento e può essere occasionalmente fatale. L'esordio dei sintomi è in genere brusco, con vomito e
diarrea e, in 1/3 dei casi, febbre anche superiore a 39°C. I sintomi gastroenterici, che si esauriscono tra il 2° e
il 6° giorno, sono accompagnati a sintomi respiratori, anche se non c'è evidenza che i rotavirus siano capaci
di replicarsi nelle cellule dell'apparato respiratorio.
Altre sindromi cliniche di volta in volta associate a infezione da rotvirus sono; sindrome di Reye,
meningoencefaliti, polmoniti, enterocoliti necrotizzanti, porpora di SH, CID ecc... Probabilmente nella
maggior parte dei casi questa associazione è casuale.
Diagnosi: esistono numerosi kit per la rilevazione degli Ag dei rotavirus direttamente in campioni di feci,
come pure le DNA probes; clinicamente invece non ci sono segni patognomonici, eccetto forse una maggiore
disidratazione.
Terapia: il più delle volte è sufficiente una terapia reidratante orale standard (solo nei casi gravi si rende
necessaria una reidratazione per via endovenosa). Poiché l'infezione da rotavirus è ampiamente diffusa anche
nei paesi sviluppati, è improbabile che possa essere prevenuta solo attraverso misure igienico sanitarie; per
quanto riguarda il futuro è allo studio un vaccino vivo attenuato.
VIRUS DI NORWALK E CALICIVIRUS ENTERICI CORRELATI
Rappresentano gli agenti eziologici più frequentemente studiati responsabili di gastroenteriti acute non
batteriche.
L'infezione da virus di Norwalk è assai comune e non ha andamento stagionale; il primo contatto si verifica
in un età considerevolmente più bassa nei bambini dei paesi meno sviluppati, in conseguenza del fatto che la
trasmissione è oro - fecale.
Tuttavia il virus di Norwalk è ritenuto responsabile di numerose epidemie di gastroenterite virale di origine
alimentare (cibi e acqua potabile), soprattutto in alberghi, navi da crociera e scuole. Il reale impatto della
diarrea da esso provocata nei paesi meno sviluppati è difficilmente quantificabile poiché l'epidemiologia va
differenziata da quella degli altri calicivirus enterici.
L'infezione è limitata al tratto prossimale di intestino tenue, al livello del quale si ha accorciamento dei villi,
iperplasia criptica e infiltrazione della lamina propria da parte di monociti e polimorfonucleati; non sono note
le cellule nelle quali si verifica la replicazione virale. Le alterazioni funzionali si riflettono in: steatorrea,
malassorbimento dei carboidrati e diminuiti livelli di alcuni enzimi dell'orletto a spazzola; non vi sono invece
alterazioni nell'attività dell'Adenil ciclasi.
Dopo un periodo di incubazione compreso tra 18 e 72 ore, la malattia esordisce improvvisamente con nausea
e crampi, seguiti da vomito (più nei bambini) e/o diarrea; metà dei pazienti presenta anche febbricola, cefalea
e mialgie. Le feci non sono infiammatorie. La malattia è generalmente lieve e ad auto risoluzione spontanea
nell'arco di un paio di giorni.
La maggior parte dei pazienti non sviluppa una resistenza a lungo termine (due o più anni) alla reinfezione; il
dato più curioso è che c'è una reazione paradossale tra livelli di anticorpi specifici nel siero e nell'intestino e
suscettibilità alla malattia: sembra quindi che la risposta immunitaria non sia il fattore determinante nella
protezione, per cui anche il ruolo di un'eventuale vaccinazione sarebbe dubbio.
Trattandosi di forme acute e a risoluzione spontanea, normalmente non è necessaria la diagnosi eziologica
(peraltro possibile con test radioimmunologici e immunoenzimatici) e nemmeno la terapia (solo nei casi
gravi è indicata la reidratazione).
ALTRI VIRUS PATOGENI ENTERICI
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Gli adenovirus enterici non coltivabili costituiscono una causa minore (10%) di diarrea nei neonati e nei
bambini, mentre il loro ruolo negli adulti e nei paesi meno sviluppati non è conosciuto; questo gruppo
differisce dagli altri adenovirus per fattori che includono la diversità dei sierotipi e lo spettro di di gestione
con enzimi di restrizione.
Gli astrovirus sono emersi come agenti comuni di diarrea in ospiti immunocompromessi (soprattutto
trapiantati di midollo osseo e affetti da Aids): la recente disponibilità di saggi diagnostici specifici e sensibili,
potrebbe ampliare la conoscenza della loro reale portata.
I coronavirus sono spesso responsabili di diarrea in una grande varietà di animali, ma le particelle virali
identificate nelle feci pazienti con diarrea non hanno le caratteristiche morfologiche di questi virus e
potrebbero rappresentare prodotti di degradazione batterica o frammenti cellulari.
INFEZIONI DA HERPES VIRUS
Gli herpes virus sono virus a DNA suddivisi in 3 sottofamiglie:
α-herpes virus: crescita rapida, scarsa selettività cellulare, effetto citopatico
herpes simplex di tipo 1 HSV 1
herpes simplex di tipo 2 HSV 2
varicella zoster HSV 3 o VZV
β-herpes virus: crescita lenta, selettività cellulare, effetto citopatico
citomegalovirus HSV 5 o CMV
herpes virus linfotropico HSV 6 e HSV 7
γ-herpes virus: crescita lenta in cellule linfoidi, integrazione nel genoma virale con
immortalizzazione (oncogenicità)
virus di Eipstein Barr HSV 4 o EBV
HSV 8
Gli herpes virus sono virioni rotondeggianti di 120 nm di diametro, il genoma è formato da una molecola di
DNA lineare bicatenaria rivestita da un capside icosaedrico avvolto in un mantello (costituito dalla
membrana citoplasmatica e nucleare della cellula ospite e da glicoproteine di origine virale) che rende il
virus sensibile al PH acido, ai solventi ai detergenti ed all’essicamento.
Il virus comunque è relativamente stabile a temperatura ambiente ma ha scarsa sopravvivenza nell’ambiente.
Lo spazio tra il capside ed il mantello è chiamato tegumento e contiene proteine ed enzimi virali.
Il ciclo di replicazione inizia con l’endocitosi mediata da recettore (le glicoproteine dell’envelope
riconoscono il R e inducono Ab neutralizzanti) si ha quindi il rilascio del nucleocapside nel citoplasma e la
migrazione del genoma nel nucleo.
La trascrizione del genoma avviene in 3 fasi:
1. attivazione da parte delle proteine del tegumento dei geni immediati che trascrivono le proteine
immediate che regolano la trascrizione del genoma
2. proteine precoci che sono enzimi tra cui la DNA-polimerasi che determina la replica del genoma
3. proteine tradive che sono proteine strutturali che regolano l’assemblaggio del virione
l’assemblaggio del virione avviene all’interno del nucleo ed il virus gemma dalla membrana nucleare (in
coltura infatti si hanno inclusioni nucleari).
Nel caso dell’EBV si ha integrazione dei geni virali nel genoma della cellula ospite, il provirus non rimane
totalmente quiescente ma si ha l’espressione di geni virali selettivi (geni regolatori).
La trasformazione cellulare è documentata soltanto per i virus linfotropici:
EBV: linfomi B e T, carcinoma nasofaringeo, leiomiosarcoma
HSV 8: linfomi, sarcoma di Kaposi, malattia di Castelman multicentrica
Il tropismo dipende dal tipo di virus:
HSV e HZV : cellule epiteliali e fibroblasti
CMV: fibroblasti
EBV: linfociti B
HSV 6 e 7: linfociti T CD 4
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La trasmissione dell’infezione avviene da individui con virus in attiva replicazione, ad eccezione di
trasfusioni e trapianti in cui il virus può essere in fase di latenza.
La trasmissione può avvenire per contatto diretto:
Lesioni infette: HSV 1 e 2 e VZV
Rapporti sessuali: HSV 2 e CMV
Saliva: EBV, HSV 6 e 7
Sangue e trapianti: CMV e EBV
O per contatto indiretto:
Inalazione di aerosol: VZV
Trasfusioni trapianti: CMV, EBV
Per quanto riguarda la patogenesi ci sono 3 meccanismi di danno:
1. azione diretta
lesioni cutanee o mucose HSV, HZV
lesioni viscerali HSV; VZV, CMV
2. azione immunomediata
eritema polimorfo
complicanze ematologiche (anemia emolitica, trombocitopenia)
complicanze neurologiche (postinfettiva)
3. trasformazione neoplastica
linfomi B, carcinoma nasofarigneo EBV
sarcoma di Kaposi HSV 8
HERPES SIMPLEX
I virus di tipo 1 e 2 si differenziano per Ag di superficie e Antirecettori che ne determinano il tropismo:
mucosa orale HSV 1 genitale HSV 2 e congiuntivele entrambi
L’HSV prevale nell’infanzia mentre l’HSV 2 nella pubertà.
L’ingresso avviene attraverso la mucosa o la cute abrasa, si ha quindi la replica a livello delle cellule
epiteliali.
L’infezione può essere asintomatica o manifestarsi con la presenza di vescicole espressione dell’effetto
citopatico del virus.
La risposta immunitaria che è sia umorale che cellulo-mediata e porta alla guarigione clinica.
Gli Ab limitano la diffusione del virus, l’immunità cellulomediata è fondamentale per la risoluzione
dell’infezione, in sua assenza si ha disseminazione del virus.
Dalla sede di infezione primaria quindi il virus migra in modo retrogrado lungo le terminazioni nervose
sensitive e raggiunge i gangli sensitivi corrispondenti: trigemino HSV 1 e lombosacrale HSV 2.
Qui il virus infetta i neuroni dove stabilisce una infezione latente che dura per tutta la vita e rende l’individuo
una fonte perenne di contagio.
Il virus va incontro a riattivazione in seguito a vari stimoli: stress, malattie concomitanti, traumi locali,
febbre, esposizione ai raggi solari o elevate temperature, sbalzi ormonali.
Si ha quindi la diffusione periferica nella sede di infezione primaria del virus riattivato e ricorrenza
dell’infezione con produzione delle stesse lesioni.
Le infezioni ricorrenti sono in genere meno severe e di minore durata rispetto alla primaria a causa
dell’instaurarsi di una memoria immunologica.
Clinica
L’infezione primaria è frequentemente asintomatica o si può manifestare con:
gengivostomatite e faringite (HSV 1): è più frequente nei bambini e meno negli adulti; dopo un
periodo di incubazione di 2-12 giorni, compare febbre ed angina, vescicole o ulcerazioni piatte dolorose
di tipo aftoso su base eritematosa, sulla mucosa orale e faringea, lingua, gengive, palato molle estese alle
labbra. Spesso le vescicole si estendono alla cute perilabiale. È presente linfoadenopatia satellite, i
linfonodi sono palpabili e dolenti. Si risolve in 14-21 giorni. Non è facile la diagnosi differenziale con
eritema multiforme, forme infettive, sindrome di S.J.
Herpes cutaneo (HSV 1 e 2): è più frequente nella seconda infanzia e nell’adulto che spesso si
contagia per motivi professionali (medici, dentisti, infermieri) o nella pratica degli sport. Le lesioni che
compaiono sulla parte superiore del corpo sono dovute all’HSV 1 mentre quelle che compaiono nella
parte inferiore all’HSV 2, quelle a livello delle mani possono essere dovute ad entrambi i virus. Si ha la
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comparsa delle classiche vescicole spesso accompagnata a febbre ed adenopatie. L’herpes cutaneo
traumatico è dovuto alla penetrazione del virus attraverso soluzioni di continuo (punture, abrasioni,
escoriazioni, ustioni) con formazione di vescicole e febbre e linfoadenopatia. L’herpes cutaneo
disseminato caratterizzato dalla disseminazione dell’eruzione cutanea a vaste superfici cutanee o a tutto
il corpo. Si verifica quando sono presenti condizioni di immunodepressione.
Herpes oculare (HSV 1): si verifica rigonfiamento e congestione della congiuntiva
(congiuntivite)con opacità superficiale della cornea e la comparsa di un linfonodo retroauricolare
palpabile. Sono presenti vescicole sulla cute e sul bordo palpebrale. Si può avere anche interessamento
corneale sotto forma di piccole lesioni puntiformi (cheratocongiuntivite).
Herpes genitale primitivo: dopo incubazione di 2-7 giorni compare febbre, adenopatia inguinale
bilaterale, lesioni vescicolari a livello della vulva, vagina, perineo, ano, glande, pene. Nella donna si può
avere anche interessamento cervicale ed è stata avanzata l’ipotesi che l’HSV 2 possa essere un cofattore
insieme al papilloma virus per il cancro della cervice uterina. È importante la diagnosi differenziale con
la sifilide in cui si ha una maggiore infiltrazione dei tessuti, con lesione più consistente, non dolorosa ed
in genere singola. L’herpes genitale ha la tendenza a recidivare maggiore delle altre manifestazioni
erpetiche ed è particolarmente doloroso.
Le ricorrenze sono caratterizzate da segni sistemici meno severi e coinvolgimento locale meno esteso, si
manifestano con:
Herpes labialis
È localizzato nella regioneperilabiale inferiore o superiore, si manifesta come una eruzione
eritematopapulosa spesso preceduta da prurito e bruciore dacui si formano vescicole superficiali a grappolo
che tendono a confluire e successivamente si rompono lasciando una abrasione da cui geme liquido che si
rapprende formando squamo-croste che si distaccano senza lasciare cicatrici (che si formano soltanto in caso
di superinfezione).
Herpes ocularis
È caratterizzato a differenza dell’infezione primaria dal costante coinvolgimento della cornea, mentre è rara
la congiuntivite.
La cheratite si manifesta come una tipica ulcera dendridica.
Herpes genitalis
Si possono anche avere forme cliniche particolari:
Encefalite erpetica
È ritenuta la più frequente encefalite sporadica, rappresentando il 10-20% di tutte le encefaliti acute.
Per lo più è espressione di una infezione primaria, ma si può osservare anche nel corso di ricorrenze.
La propagazione del virus al SNC può avvenire per via ematogena o attraverso i tronchi nervosi.
È una forma di encefalite necrotico emorragica con localizzazione temporale, asimmetrica.
È presente una modesta pleiocitosi liquorale.
Le convulsioni localizzate o generalizzate si osservano più frequentemente che in altre encefaliti virali e i
segni meningei sono presneti nel 50% dei casi. Caratteristiche sono le turbe psichiche: turbe della
personalità, sindromi allucinatorie, deficit mnemonici ma anche turbe del linguaggio.
L’evoluzione verso il coma è frequente e il decorso è spesso rapido e drammatico.l’esito è letale nel 40% dei
casi ma anche tra quelli che evolvono a guarigione permangono esiti neuropsichici gravi nell’80% dei casi.
Infezioni neonatali HSV 2
Sono dovute a diffusione retrograda del virus (infezioni congenite) o a infezione durante il passaggio nel
canale del parto (infezioni connatali).
Il rischio è maggiore se l’infezione è stata acquisita recentemente.
Le manifestazioni possono essere lievi e localizzate o disseminate.
L’infezione congenita si manifesta alla nascita con ittero, epatosplenomegalia, diatesi emorragica,
microcefalia, microftalmia, convulsioni, corioretinite e vescicole cutanee.
L’infezione connatale si manifesta dopo alcuni giorni o settimane spesso in un prematuro con lesioni cutanee
o mucose disseminate e lesioni necrotico-emorragiche a carico di vari organi (fegato, apparato respiratorio,
surreni), le lesioni sono generalizzate perché l’ospite è indifeso visto che non c’è passaggio di Ab materni.
Infezioni dell’ospite compromesso
Coinvolgono il paziente geriatrico, le gestanti, i pazienti con AIDS e i trapiantati.
Si verifica disseminazione ematogena del virus con manifestazioni generalizzate caratterizzate in particolare
da coinvolgimento respiratorio (tracheobronchiti, polmoniti) e gastrointestinale (esofagite, coliti, epatiti).
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Diagnosi
L’isolamento del virus può essere fatto dal liquido delle vescicole o dal raschiamento delle lesioni, dalla
saliva, dalle secrezioni vaginali, dal liquor.
Un esame rapido e semplice è il test citodiagnostico di Tzanck che consiste nello strisciare su un vetrino il
materiale ottenuto dal pavimento di una vescicola e colorare con Giemsa, esso evidenzia cellule giganti
multinucleate (visto che il virus è in grado di passare direttamente da una cellula all’altra formando sincizi) e
inclusioni nucleari (visto che il virus si replica all’interno del nucleo).
Può essere fatta ibridizzazione diretta del DNA sul campione o Ab monoclonali verso antigeni specifici (che
permette di differenziare HSV 1 da HSV 2) o coltura cellulare su cellule diploidi umane o cellule in linea
continua che evidenzia effetto citopatico entro 24-48 ore.
L’infezione primaria erpetica può essere provata dalla sieroconversione o dall’aumento del titolo anticorpale
ma richiede 15-20 giorni per dare risultati significativi. La sierologia invece non ha alcun valore in caso di
ricorrenze che non si associano ad un incremento del titolo anticorpale.
Terapia
La terapia in genere non è indicata nella maggior parte delle riattivazioni dell’ospite immunocompetenti,
mentre è indicata nelle forme primarie e nelle ricorrenze associate a complicanze e nell’ospite
immunodepresso.
Acyclovir 200 mg/Kg 5 volte al giorno per os per 10 gg
Acyclovir 5-10 mg/Kg 3 volte al giorno iv per 10 giorni
Sono stati segnalati ceppi R all’acyclovir in questo caso si usa il foscarnet (40 mg/Kg ogni 8 ore).
Si può fare anche una sieroprofilassi nei pazienti immunodepressi o in quelli immunocompetenti che
presentino un alto tasso di recidive, che si basa su una terapia di 7 giorni la mese per alcuni cicli.
Esiste anche una pomata ad azione topica di acyclovir al 3% o 5% che può essere utilizzata per le recidive.
Virus della varicella zoster (VZV)
È responsabile di 2 distinti quadri clinici:
1. Infezione primaria  varicella
2. Riattivazione dell’infezione  herpes zoster
Varicella
È una malattia infettiva acuta contagiosa caratterizzata dalla comparsa di un tipico esantema vescicolare non
doloroso (malattia esantematica).
Colpisce soprattutto bambini tra 1-13 anni, ma può colpire anche gli adulti.
L’incubazione è di 15 giorni, il periodo di invasione è assente, il periodo infettante va da 48 ore prima del
rash alla fase crostosa (5 giorni dopo la comparsa delle prime ondate di vescicole).
È una malattia altamente contagiosa: la trasmissione avviene per contagio diretto dal liquido contenuto nelle
vescicole o indiretto per via inalatoria (a differenza delle infezioni da Coxakiae), non molto frequente ma
possibile è contrarre l’infezione da un paziente affetto da herpes zoster.
Il virus colonizza le vie respiratori e attraverso i linfatici raggiunge il sangue dove determina una viremia
primaria, infetta quindi le cellule del SRE e da una viremia secondaria con la localizzazione definitiva a
livello della cute.
La replica all’interno delle cellule del derma porta a degenerazione balloniforme di queste con formazione di
vescicole ed anche necrosi con emorragie.
L’esordio è con febbre non elevata, malessere generale ed esantema maculo-papulo-vescicolare ad
evoluzione crostosa (la febbre e il malessere si manifestano contemporaneamente all’esantema = periodo di
invasione assente).
Le prime manifestazioni sono maculo-papule pruriginose che evolvono in vescicole con parete sottile,
contententi liquido limpido (a goccia di rugiada) e circondate da un alone eritematoso.
Successivamente il contenuto si intorbida, la vescicola si avvalla al centro cioè compare la cosiddetta
ombelicatura e successivamente si secca a formare una crosta che cade dopo alcuni giorni senza lasciare una
cicatrice. Sono presenti anche lesioni mucose di tipo erosivo-ulcerativo e linfoadenopatia generalizzata.
L’esantema dura circa 1-2 settimane.
Le caratteristiche peculiari dell’esantema sono:
o diffusione centripeta: compare inizialmente al tronco e all’addome quindi si estende agli arti, al
volto, alla mucosa orale e al quoio capelluto d.d. con vaiolo in cui si ha una diffusione centripeta
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esantema a cielo stellato cioè le lesioni sono asincrone e quindi in diverso stadio evolutivo perciò si
ha un polimorfismo (d.d con vaiolo in cui le lesioni sono sincrone monomorfe)
esantema senza evoluzione pustolosa ma con formazione direttamente di croste d.d. vaiolo in cui si
formano pustole con liquido torbido all’interno
assenza di cicatrice d.d. vaiolo
assenza del periodo di invasione d.d. vaiolo in cui c’è periodo di invasione con febbre
vescicole piccole e ombelicate
possibili complicanze sono:
o atassia cerebellare 20 giorni dopo l’esantema
o encefalite nello 0.1-0.2% dei casi, con letalità del 5-20% e sequele nel 15% dei sopravvissuti (a
differenza del morbillo) quindi va fatta la terapia anche con antiedemigeni
o polmonite primaria varicellosa che colpisce il 20% di adulti, soprattutto immunocompromessi
o sindrome di Reye in caso di somministrazione di aspirina, perciò va somministrato paracetamolo
per abbassare la febbre
nell’immunocompromesso si può avere:
o progressivo coinvolgimento degli organi interni (polmone, fegato, SNC)
o porpora varicellosa caratterizzata da estesa necrosi con emorragie: ematemesi, melena, ematuria,
epistassi (associata a trombocitopenia dovuta all’azione diretta del virus o a patogenesi
immunologica)
o varicella gangrenosa (evoluzione ulcerosa e necrotizzante delle vescicole)
la varicella congenita è rarissima (il rischio di infezione in gravidanza è minimo) si manifesta con anomalie
oculari, ipoplasia degli arti e deficit neurologici.
la varicella perinatale è più grave e più frequente: essendo l’ospite indifeso (in assenza di Ab materni
protettivi) si ha diffusione del virus, progressivo interessamento sistemico con letalità del 30%.
Zooster
È la reinfezione da parte dell’VZV caratterizzata da eruzione vescicolosa dolorosa con distribuzione
metamerica nella cute innervata da un ben determinato tronco nervoso.
Naturalmente questa malattia non si trasmette direttamente ma solo tramite la rosolia.
Sono colpiti esclusivamente i soggetti con pregressa infezione da VZV.
Sono prevalentemente interessate le età avanzate ed i soggetti con deficit della ICM, in particolare pazienti
diabetici, tanto che l’herpes zoster può rivelare la presenza di un diabete.
Dopo l’infezione primaria infatti si verifica una fase di latenza del virus nei gangli nervosi sensitivi cui può
seguire una riattivazione a causa della riduzione della ICM. Il virus diffonde lungo le terminazioni nervose
sensitive fino a raggiungere il distretto cutaneo innervato dal ganglio (dermatomero) dove provoca
nuovamente rash cutaneo associato a forti dolori (fuoco di S. Antonio). È presente una fase pre-eruttiva
caratterizzata da febbre, dolore, parestesie, iperestesie sul dermatomero.
Compaiono quindi le vescicole dermoepidermiche, profonde con tetto resistente, tipicamente riunite a
grappolo, che seguono la distribuzione radicolare e si estendono trasversalmente nel tronco e
orizzontalmente negli arti. Le lesioni sono quasi sempre monolaterali e si arrestano nel rafe mediano. Si può
avere linfoadenopatia dolente.
Le lesioni regrediscono in 2-4 settimane lasciando spesso cicatrici permanenti, depresse, discromiche.
Normalmente la replicazione virale viene controllata ed un secondo attacco di zoster è raro.
Il dolore può essere particolarmente lancinante e difficilmente controllabile.
Possono essere interessate le sedi di distribuzione di nervi sia cranici che spinali.
Le principali sedi di localizzazione sono torace, collo, volto, regione lombare e sacrale.
L’interessamento del nervo oftalmico può determinare cheratocongiuntivite, del frontale lesioni del cuoio
capelluto, della fronte e della metà mediale della palpebra superiore e del ganglio genicolato eruzioni del
padiglione auricolare e palato molle con perdita del gusto (sindrome di Hunt).
La localizzazione in regione lombosacrale può causare anche disturbi viscerali quali stipsi, disuria e coliche.
Nel 2-5% dei casi si può avere generalizzazione dell’infezione.
Si possono aver complicazioni come la nevralgia posterpetica che persiste per mesi/anni.
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Diagnosi
Si basa sull’isolamento del virus dai fluidi delle vescicole e coltura su fibroblasti embrionari umani dove si
evidenziano tipiche cellula multinucleate contenenti inclusi intranucleari eosinofili.
I test sierologici sono diagnostici se evidenziano la presenza di IgM o sieroconversione per la varicella (nello
zoster vi sono solo IgG).
Terapia
La terapia della varicella è sintomatica: antipiretici (non aspirina ma paracetamolo), antistaminici e antisettici
o antibiotici per ridurre le sovrainfezioni.
In caso di pazienti immunodepressi va fatta l’ospedalizzazione e la somministrazione di acyclovir 10 mg/Kg
ev per 3 volte al giorno per 15 giorni.
I pazienti immunodepressi ed i neonati non immuni (infezione materna la termine della gravidanza) vanno
protetti tramite profilassi passiva basata su Ig iperimmuni che prevengono o attenuano la sintomatologia.
È disponibile anche un vaccino vivo attenuato che da protezione nel 94-100% di bambini sani e nell’89100% di bambini immunodepressi (6-64% di rash).
Nell’herpes zoster la somministrazione di acyclovir 800 mg 5 volte al giorno per os per 5 giorni riduce la
durata dell’eruzione e la sintomatologia dolorosa.
Nei soggetti immunodepressi è necessario il ricovero ospedaliero e la somministrazione di acyclovir 10
mg/Kg 3 volte al giorno iv per 5-15 giorni.
Anche il valacyclovir 1 g 3 volte al giorno os per 7-10 giorni è in grado di ridurre la durata della
sintomatologia dolorosa. Le Ig non svolgono nessuna azione preventiva nello Zoster.
MONONUCLEOSI INFETTIVA
È una malattia infettiva acuta, scarsamente contagiosa, caratterizzata da febbre, angina, adenopatie,
splenomegalia, leucocitosi e presenza in circolo di monociti atipici.
È frequente negli adolescenti (massima incidenza 13-25anni) dei paesi industrializzati, mentre nei paesi in
via di sviluppo colpisce prevalentemente i bambini dove in genere decorre in modo asintomatico.
Dopo la guarigione come anche nella forma asintomatica il virus continua ad essere eliminato in grandi
quantità con la saliva per oltre un anno e l’eliminazione prosegue poi in modo saltuario per tutta la vita.
La trasmissione avviene per via orofaringea con la saliva tramite il bacio o il contatto con oggetti
contaminaati come bicchieri, piatti etc. ed anche attraverso il sangue.
Il virus infetta inizialmente le cellule epiteliali dell’orofaringe poi i linfociti B che possiedono il recettore
C3b o CR 2 del sangue e del tessuto linfatico dove provoca una infezione di tipo immortalizzante.
I linfociti B infatti vengono stimolati a proliferare indefinitivamente ed inoltre si verifica una attivazione
policlonale con produzione di anticorpi eterofili che comprendono anche di auto-Ab contro eritrociti e
piastrine che sono responsabili di eventuali manifestazioni di anemia e piastrinopenia autoimmune.
I linfociti B trasformati presentano degli Ag di superficie che evocano la risposta cellulo-mediata dei linfociti
T suppressor che appaiono come linfociti atipici che non sono quindi quelli infetti ma quelli attivati nei
confronti di questi ultimi.
Tutto ciò determina una specie di reazione di rigetto che si esprime con interessamento degli organi del
sistema reticolo-endoteliale (linfoadenomegalia ed epatosplenomegalia).
Clinica
Dopo un periodo di incubazione di 30-50 giorni si ha un esordio brusco con febbre (generalmente abbastanza
elevata), malessere generale, faringodinia, cefalea e mialgia.
L’angina che si manifesta anche con odinofagia e disfagia, è in genere di tipo pseudomembranoso (anche
eritematosa, essudativa o ulcerosa) come quella difterica dalla quale si differenzia per il fatto che la
pseudomembrana costituita da cellule infiammatorie non si dissolve in acqua.
È presente linfoadenopatia generalizzata, splenomegalia ed epatomegalia con incremento delle
transaminasi e rash cutaneo nel 15% dei casi (dopo ampicillina nel 90%).
Possibili complicanze sono:
o rottura di milza dopo traumatismo per attività fisica, perciò è indicato il riposo
o ostruzione laringea
o sindrome emorragica rara, da piastrinopenia autoimmune
o anemia emolitica autoimmune
o forme neurologiche <1%: encefaliti, meningiti, sindrome di Gullain-Barrè
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l’EBV agisce anche come cofattore del linfoma di Burkitt e del carcinoma nasofaringeo che per la sua
maggiore frequenza in Cina sembra anche essere associato a predisposizione genetica e tipo di
alimentazione.
L’EBV può causare anche un linfoma a cellule B in pazienti con deficit del cromosoma X in cui si ha un
deficit di produzione dei linfociti T suppressor con conseguente mancato controllo dei linfociti B infetti che
si espandono dando luogo ad un quadro leucemico (sindrome linfoproliferativa X-linked).
Diagnosi
È presente una linfomonocitosi con presenza di monociti atipici variabili per forma, dimensioni e morfologia
del nucleo, con citoplasma azzurrofile, sarcoplasma e caratteri intermedi tra linfociti, monociti e
plasmacellule.
L’EBV cresce in vitro soltanto nei linfociti B o in cellule epiteliali nesofaringee, non determina effetto
citopatico, ma nelle cellule infettate il DNA virale è presente nel nucleo in forma episodica o integrato nel
genoma.
Dopo l’infezione le cellule che contengono il genoma virale integrato possono essere coltivate
indefinitivamente e vengono denominate cellule trasformate o immortalizzate.
Non viene fatta la coltura cellulare, mentre sono importanti le prove sierologiche:
o reazione di Paul-Bunnel: test di agglutinazione con siero del paziente ed eritrociti di montone che
esprimono 3 tipi di Ag: F, S, M; quest’ultimo è quello condiviso con l’EBV: se si verifica
agglutinazione, per vedere quali tipi di Ab siano responsabili si procede con la reazione di Davidson
o reazione di Davidson: il siero viene aggiunto a rene di cavia che adsorbe gli Ab anti F ed S; se il
siero stesso mantiene le proprietà agglutinanti nella reazione di Paul-Bunnel  test+
o ricerca di IgM antiEB-VCA o antigene capsidico che sono tipici della fase acuta dell’infezione e
quindi importanti per la diagnosi
conversione di anticorpi antiEB-NA o antigene nucleare, le IgG raggiungono un picco nella 3°-4° settimana
della malattia e possono persistere per tutta la vita
è importante la diagnosi differenziale con leucomi acuta, sindrome similmononucleosica (CMV, HIV,
toxoplasma, Herpes), Listeriosi, Diferite.
Terapia
La terapia è sintomatica: gli steroidi sono indicati soltanto in caso di severa ostruzione faringea,
piastrinopenia o anemia emolitica.
INFEZIONE DA CITOMEGALOVIRUS
È una infezione estremamente diffusa: 70-80% nei paesi industrializzati e 100% in Africa.
La percentuale di infezione varia in base all’età:
o 30% ad 1 anno: infezioni congenite (passaggi attraverso la placenta) o perinatali (passaggio nel
canale del parto o allattamento)
o 40-80% a 10 anni: infezioni congenite o perinatale e infezioni trasmesse per via inalatoria
o 90-100% nell’adulto: infezioni congenite o perinatali, infezioni trasmesse per via inalatoria, sessuale
(sperma, secrezioni cervicali, saliva) o tramite sangue, emoderivati e trapianti (virus in fase latente)
il CMV si replica in fibroblasti, cellule epiteliali, macrofagi e PMN.
Una volta acquisito il virus determina una infezione primaria che può essere sintomatica o asintomatica,
quindi permane in forma latente e si può riattivare in seguito a condizioni di deficit della ICM determinando
una infezione secondaria o riattivazione.
Clinica
Infezione congenita
Il rischio di infezione da madre a figlio varia in base al periodo di gestazione: (1° e 2° trimestre 12.5%, 3°
trimestre 37%); nell’infezione primaria il rischio è del 50% di cui il 25% è asintomatica, nelle infezioni
secondarie, grazie alla parziale protezione svolta dagli Ab materni è del 10% e le infezioni sono sempre
asintomatiche.
È presente viruria positiva entro 7 giorni.
Alla nascita si manifesta con la malattia citomegalica (letargia, ARDS, convulsioni, poi compare ittero,
epatosplenomegalia, rash petecchiale, coinvolgimento multisistemico). Sequele sono rappresentate da
microcefalia e corioretinite.
Infezione perinatale
Il rischio di infezione nel parto e nel post-partum (allattamento) è del 57%.
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L’infezione in genere decorre asintomatica, ma può manifestarsi con sindrome simil-mononucleosica e si
possono avere sequele subdole come ipoacusia fino alla perdita dell’udito e ritardo mentale.
La viruria in questo caso diventa positiva entro 4-8 settimane.
Infezione nell’ospite immunocompetenti
L’infezione in genere decorre asintomatica, ma può manifestarsi anche con malattia febbrile pura, sindrome
simil-mononucleosica.
Si possono associare alla sindrome simil-mononucleosica anche: pneumopatia interstiziale, epatite
granulomatosa (con incremento di transaminasi e γ-GT), meningoencefalite, miocardite, trombocitopenia o
anemia emolitica e sindrome di Guillain-Barrè.
Infezione nell’immunodepresso
Condizioni di rischio sono: trapianti d’organo, AIDS, emolinfopatie, immunodepressione farmacologica.
Il trapianto d’organo può rappresentare un cofattore dell’infezione primaria.
Nei trapiantati d’organo l’infezione da CMV è associata spesso a GVHD (graft-host-disease) o HVGD (hostversus-graft-disease) con rigetto dell’organo trapiantato.
GVHD è un importante cofattore della polmonite da CMV del trapiantato di midollo, mentre HVGD è un
importante cofattore nella epatite da CMV dopo trapianto di fegato da donatore positivo.
Le espressioni cliniche dell’infezione da CMV nell’immunodepresso sono diverse:
o polmonite interstiziale che è la manifestazione più tipica, ha un andamento acuto che evolve verso
l’ARDS con IRA o un andamento lento e progressivo nei pazienti con AIDS
o corioretinite emorragica ( evolve verso la cecità)
o epatite in genere anitterica ma itterica nei trapiantati di fegato
o rinite emorragica frequente nei pazienti con AIDS
o interessamento gastroenterico ulcerativo (in particolare esofagite e stomatite)
o meningoencefaliti, radicolomieliti, mieliti ascendenti
o adrenaliti (?)
Diagnosi
È impossibile su base esclusivamente clinica, necessita quindi di una conferma laboratoristica.
L’isolamento del virus su colture di fibroblasti umani dove determina la formazione di grandi inclusioni
nucleari e citoplasmatiche, richiede tempi molto lunghi (4 settimane) perciò vengono usate metodiche di
isolamento rapide:
o ricerca di antigeni immediati-precoci sui PMN circolanti
o ricerca di antigeni precoci-immediati su colture in shell vials (24-48 ore)
o utilizzazione di probes per ibridizzazione del DNA su campioni bioptici
inoltre può essere fatta la ricerca di IgM specifiche che è utile per la diagnosi delle infezioni primarie.
Poiché l’antigenemia è positiva prima delle manifestazioni cliniche nei pazienti con AIDS è utile il
monitoraggio della viremia ogni settimana perché questa precedendo la localizzazione permette di fare una
terapia preventiva.
Anche nei pazienti immunodepressi è utile una profilassi post-esposizionale in tutto il periodo in cui è
presente immunodepressione.
Terapia
Non è necessaria nel paziente immunocompetenti, mentre è utile nel paziente immunodepresso (per tutto il
periodo di immunodepressione) e nelle infezioni congenite (paziente immunimmaturo):
Ganciclovir 5 mg/Kg per 2 volte al giorno iv per 21 giorni, quindi 5 mg/Kg/die iv di mantenimento. Poco
consigliato nei trapiantati di midollo perché mielotossico
Foscarnet 60 mg/Kg per 3 volte al giorno per 21 giorni, poi 60 mg/Kg/die iv di mantenimento. Meno
mielotossico ma più nefrotossico
La immunoprofilassi passiva con Ig anti-CMV è utile nel ridurre il rischio di infezione primaria.
ESANTEMI INFETTIVI
Eruzioni cutanee localizzate o diffuse, che possono comparire anche in corso di allergie, intossicazioni e altre
manifestazioni da ipersensibilità ad altre sostanze.
La diagnosi clinica non è sempre agevole, ma possono essere indicativi i seguenti criteri:
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tipo di lesione elementare: maculo-papulare, con eventuale evoluzione a vescicola (morbillo,
rosolia); vescicole (HSV 1 e 2, VZV, Coxsackie, rickettsiosi varicelliforme), petecchie emorragiche
(meningococcemia, febbre bottonosa e montagnosa, febbri emorragiche, tifo petecchiale)
dimensioni: maculo-papule piccole  scarlattina, intermedie (2-3 mm)  rosolia, grandi (>5 mm)
 morbillo
distribuzione topografica: scarlattina: diffusione sincrona in tutto l’organismo; morbillo e rosolia:
diffusione cranio-caudale
periodo d’invasione: è l’intervallo di tempo che intercorre tra l’inizio delle manifestazioni cliniche
(solitamente febbre e altri sintomi sistemici) e l’inizio dell’esantema; è di 3-5 giorni nel morbillo, mentre
è assente nella rosolia,
evoluzione: senza desquamazione; desquamazione furfuracea, lamellare o mista (tipica della
scarlattina  desquamazione furfuracea al tronco e lamellare agli arti (segno del guanto e del calzino)
MORBILLO
È una malattia infettiva febbrile, acuta e contagiosa, caratterizzata da un esantema maculo-papuloso che
insorge dopo una fase di invasione dominata da un interessamento di tipo mucositico.
Eziologia: il virus del morbillo è un paramixovirus che è un virus ad RNA, di forma sferica, 100-250 nm,
con nucleocapside di struttura elicoidale e mantellato che lo rende non resistente al trattamento con
tensioattivi e all’esposizione per qualche ora a temperatura ambiente.
Nel mantello si trovano le glicoproteine M (proteina della matrice), H (responsabile dell’ingresso nelle
cellule che esprimono CD 46) ed F (responsabile della fusione del mantello con la membrana cellulare).
La proteina F è responsabile anche di un particolare effetto citopatico: la fusione delle cellule infette che
esprimono la proteina F determina la formazione dei sincizi che favoriscono il passaggio del virus da una
cellula all’altra senza esporlo all’azione di Ab neutralizzanti.
In coltura su cellule di rene di scimmia infatti si osserva la formazione di cellule a stella cioè cellule giganti
multinucleate con inclusi intranucleari.
Epidemiologia: il morbillo è una malattia molto contagiosa poiché il virus resiste all’ambiente esterno; vi
sono cicli epidemici ogni 3-5 anni con epidemia che dura 3-4 mesi. La vaccinazione ha determinato la
scomparsa della malattia ma non della circolazione del virus, cosicchè si possono avere casi di malattia tra
cluster di persone non raggiunte dal programma vaccinale (immigrati ecc…).
Il contagio avviene per contatto interumano diretto o indiretto per via inalatoria ed il periodo contagioso va
dall’inizio del periodo di invasione all’inizio del periodo esantematico.
Clinica
Il virus si localizza a livello delle cellule epiteliali delle alte vie respiratorie, infetta quindi i linfociti ed i
monociti determinando una viremia primaria cui fa seguito la localizzazione nel SRE con una viremia
secondaria da cui il virus si localizza in tutti gli organi ed in particolare a livello di cute e mucose.
Il periodo di incubazione è di 10-14 giorni.
Il periodo di invasione è di 3-5 giorni ed è caratterizzato da febbre, malessere generale, rinite, bronchite,
congiuntivite con edema palpebrale, lacrimazione e fotofobia.
Alla fine compaiono le macchie di Koplik patognomoniche, costituite da piccole macchie biancastre “a
spruzzo di calce” con alone eritematoso periferico, localizzate sulle mucose delle guance a livello del 2°
molare.
Si passa quindi al periodo esantematico in cui compare il rash macolo-papuloso che compare inizialmente a
livello retroauricolare e lungo al linea di impianto dei capelli, diffonde al volto non risparmiando la regione
circumorale (a differenza della scarlattina) e quindi al tronco ed agli arti non risparmiando il palmo delle
mani e la pianta del piede (diffusione cranio-caudale)
La macula è di dimensioni > 5 mm, tende a confluire, ha durata di 5-7 giorni e termina con desquamazione
furfuracea.
La febbre cede per lisi il giorno dopo la diffusione dell’esantema agli arti.
Possibili complicanze a livello dell’apparato respiratorio sono: laringite stenosante o croup (afonia, dispena
con crisi di soffocazione, rientramenti inspiratori toracici e IRA), pneumopatie interstiziali, complicanze
batteriche (otiti medie, sinusiti, mastoiditi, polmoniti) e nell’immunodepresso polmonite a cellule giganti. Si
verificano in occasione della seconda viremia: il virus lede la scala mobile mucociliare e facilita anche la
superinfezione batterica.
Complicanze a carico del SNC sono:
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1. encefalomielite che si verifica in fase di convalescenza nello 0.1-0.2% dei casi, è una forma di tipo
demielinizzante, analoga alle altre encefaliti postinfettiva e postvaccinali a patogenesi
immunoallergica, è mortale nel 15% dei casi e nel 30% dei casi lascia sequele
2. panencefalite sclerosante subacuta SSPE è una encefalopatia molto grave, progressiva, di tipo
degenerativo, che insorge in 1 caso su 1.000.000, insorge a distanza dall’infezione (tutti i casi finora
documentati sono di età compresa tra 5 e 20 anni) ed è causata da un virus mutato per i geni che
codificano per le proteine M, H e F con difetto di assemblaggio e alterata risposta immune al virus
modificato; l’esordio è insidioso con deterioramento delle funzioni intellettive, mioclonie diffuse
simmetriche, assenza di febbre; l’EEG evidenzia ritmo di base lento ed irregolare, parossismi di alti
voltaggi di singola onda lenta o breve bouffee di attività lenta che corrispondono sul piano clinico
alle mioclonie; l’evoluzione è verso lo stupore, cecità, demenza, decerebrazione e morte nell’arco di
soli 6 mesi – 2 anni
Manifestazioni cliniche atipiche
 pazienti vaccinati con vaccino ucciso (che non induce anticorpi verso la proteina F che facilita la
diffusione del virus): periodo di invasione ridotto a 1-2 giorni, rash orticarioide, maculo-papulare,
emorragico, vescicolare, assenza di diffusione cranio-caudale.
 immunodepressi in cui nel 40% dei casi non è presente rash e si ha una maggiore frequenza di
polmonite (58%) e encefalite (20%), o nei pazienti con HIV in cui è assente il rash nel 27% dei casi
e vi è polmonite nell’82%.
Diagnosi
Si basa sulla presenza di IgM specifiche (non sieroconversione perché il periodo di incubazione è troppo
lungo: solo per le malattie infettive in cui l’incubazione è maggiore di 2-3 settimane la sieroconversione può
avere valore diagnostico).
Terapia
Può essere fatta l’immunoprofilassi passiva in persone a rischio di una forma severa (chemioterapia,
radioterapia, HIV) con Ig 0.25-0.5 ml/Kg im.
È disponibile un vaccino vivo attenuato facoltativo che non va effettuato nelle donne in gravidanza e negli
individui con deficit di ICM. Il vaccino è generalmente somministrato in forma trivalente (MMR: measles,
mumps, ribella) all’età di 15 mesi e poi più tardi nell’infanzia. Il vaccino determina rash dopo 1 settimana
nel 5-15% dei casi.
ROSOLIA
È una malattia infettiva acuta contagiosa (ma meno del morbillo), caratterizzata da esantema, febbre e
linfoadenopatia.
È causata dal virus della rosolia o rubivirus che appartinene alla famiglia delle Togeviridae.
Ha forma sferica, 55-60 nm di diametro, RNA monocatenario, capside icosaedrica costituito dalle proteine
C, mantello con glicoproteine transmembranarie E1 ed E2. Presenta un effetto citopatico tardivo.
Epidemiologia: la rosolia è una malattia contagiosa che presentava epidemie ogni 6-9 anni in epoca
prevaccinale. Colpisce soprattutto bambini di 5-9 anni, ha una contagiosità inferiore al morbillo.
La trasmissione avviene per contatto diretto o indiretto per via inalatoria.
Il periodo di contagiosità va da 10 giorni prima a 15 giorni dopo il rash.
I neonati con rosolia congenita eliminanno il virus fino a 18 mesi dopo la nascita costituendo una pericolosa
fonte di contagio.
L’infezione determina una immunità non completa tanto che sono possibili reinfezione asintomatiche dopo
l’infezione primaria, soprattutto in soggetti con bassi titoli di Ab anti emagglutinina (< 1:64); fortunatamente
le reinfezioni non si accompagnano a viremia e ciò è importante soprattutto nelle donne in gravidanza.
Nei vaccinati nell’84% dei casi si ha reinfezione.
Patogenesi: segue lo schema consueto: il virus si localizza nella mucosa orofaringea, da qui diffonde
attraverso i linfatici nel sangue dove determina una viremia primaria, quindi si moltiplica nel SRE determina
una viremia secondaria e si localizza a livello della cute dove determina le manifestazioni esantematiche che
sono derivate da manifestazioni di tipo immunologico.
Clinica
Nel 50-60% dei casi l’infezione decorre asintomatica.
Il periodo di incubazione è di 12-13 giorni, nei bambini non è presente periodo di invasione, mentre negli
adulti questo può essere presente e manifestarsi con febbre ed anorresia.
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L’esantema si manifesta con piccole maculo-papule di colorito roseo, non confluenti che durano per 3 gionri
e poi svaniscono senza desquamazione. L’esantema inizia sulla fronte e sul collo e poi diffonde agli arti e al
tronco (diffusione craniocaudale). Talvolta sono presenti sul palato molle delle lesioni petecchiali non
patognomoniche (macchie di Forscheimer).
 È presente linfoadenopatia soprattutto retroauricolare e latero-posterocervicale.
In circolo si ha aumento di monociti e plasmacellule.
Possibili complicanze sono:
• artriti delle grandi e piccole articolazioni di durata di 1 mese soprattutto nelle donne
• trombocitopenia con manifestazioni emorragiche
• encefaliti con decorso grave, letalità del 20-50% che colpiscono soprattutto gli adulti (1:5000 casi di
malattia)
Rosolia congenita (fetopatia rubeolica)
Il rischio che l’infezione primaria contratta dalla madre procuri danni al feto varia in base al periodo di
gestazione:
o 65-80% nei primi 2 mesi (aborti e difetti multipli)
o 30-35% nel 3° mese (difetto singolo)
o 10% nel 4° mese
o basso fino alla 20° settimana (sordità)
l’embriopatia rubeolica è una sindrome malformativa caratterizzata dalla classica triade:
1. malformazioni cardicache: pervietà del dotto arterioso di Botallo, tetralogia di Fallot, difetto
interventricolare, comunicazione interatriale, stenosi polmonare, miocardiopatia
2. lesioni oculari: cataratta, microftalmia, retinopatia, glaucoma congenito,
3. difetti del SNC: microcefalia, idrocefalo, ritardo mentale, sordità
la fetopatia rubeolica è una forma morbosa che prosegue dopo la nascita con lesioni evolutive:
porpora trombocitopenica, anemia emolitica, epatiti, miocarditi
lesioni ossee asintomatiche
diabete mellito
la panencefalite progressiva rubeolica colpisce soprattutto soggetti tra 8-19 anni e in particolare pazienti
con rosolia congenita.
È caratterizzata da deterioramento delle facoltà intellettive, mioclonie, atassia cerebellare (manca nella
SSPE), decorso afebbrile. Dal punto di vista istologico la lesione fondamentale è rappresentata da
demielinizzazione, gliosi, infiammazione a manicotto perivascolare e meningea.
Diagnosi
Si basa sulla ricerca delle IgM specifiche anche nelle reinfezione.
In gravidanza viene fatta la biopsia placentare a 12 settimane, PCR su cordocentesi o liquido amniotico o
IgM sul sangue fetale (> 22 settimane) che non possono essere trasmesse dalla madre al contrario delle IgG.
Le IgM materne non garantiscono la non trasmissione madrefeto.
Terapia
La terapia è sitomatica.
La vaccinazione con virus vivo attenuato è facoltativa, ha una efficacia del 95% e può dare rosolia attenuata
con artriti soprattutto negli adulti.
Non va effettuata in donne in gravidanza poichè il virus attenuato determina viremia e può infettare il feto,
anche se non si conoscono i suoi effetti teratogeni.
È raccomandata a tutte le donne prepuberi e in età fertile: costoro devono evitare una gravidanza entro i 3
mesi successivi dalla vaccinazione.
Le Ig sopprimono i sintomi ma non la viremia, perciò la immunoprofilassi passiva ha uno scarso impiego.
MEGALOERITEMA INFETTIVO (5° MALATTIA)
Il Parvovirus B19 è il più piccolo dei virus a DNA avendo un diametro di 20 nm, ha un capside icosaedrica,
assenza di mantello, è resistente all’inattivazione a 56° per 1 ora.
Possiede 3 proteine virali magiori, una non strutturale e due capsidiche, non ha varianti antigeniche.
La trasmissione avviene per via inalatoria o parenterale tramite sangue e derivati.
Il virus ha un tropismo peculiare per i precursori eritrocitari (eritroblasti, megacariociti) soprattutto
quando questi si trovano in attiva replicazione come in caso di eritropoiesi compensatoria o nella vita fetale.
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Il recettore cellulare è il complesso antigenico P presente anche sulle cellule endoteliali che determina il
passaggio transplacentare.
L’infezione determina un blocco della produzione di eritrociti per 4-8 giorni che determina una crisi aplasica
nei soggetti con alto turnover eritrocitario.
La formazione di IC determina il rash e la poliartropatia immunomediata.
Clinica
Megaloeritema infettivo o quinta malattia
Si manifesta soprattutto tra i 2-12 anni. Il periodo di incubazione è di 5-15 giorni.
È presente periodo di invasione (durata 2-3 giorni) con febbre, cefalea, rinite e sintomi GI. Lo stato generale
tuttavia è ben conservato.
Dopo 2-5 giorni compare l’eritema maculo-papuloso a farfalla alle guance che risparmia la regione
circumorale e si estende progressivamente agli arti e al tronco (ma in molti soggetti può rimanere confinato
al volto).
Il rash può essere transitorio o ricorrente.
Sindrome artropatica
È una poliartropatia simmetrica simile alla AR che colpisce le mani, ginocchia, caviglie e polsi. La durata è
di 1-3 settimane. Vi possono essere ricorrenze. Compare per lo più negli adulti e talvolta non si accompagna
all’esantema.
Crisi aplasica transitoria
Si manifesta in pazienti con anemie emolitiche ereditarie (sferocitosi, microcitemia, talassemia, sferocitosi,
anemia emolitica autoimmune). Sono presenti febbre, malessere generale e cefalea, la crisi aplasica si
manifesta dopo 2-4 giorni. La risoluzione avviene entro 7-10 giorni.
Aplasia pura della serie rossa
In pazienti immunodepressi si verifica una infezione persistente del midollo con anemia cronica.
Sindrome emofagocitica virus associata
È caratterizzata da iperplasia istiocitaria, marcata emofagocitosi, citopenia.
Idrope fetale
Avviene per trasmissione intrauterina dell’infezione (rischio 30% maggiore nel II semestre).
Complessivamente è responsabile del 10-15% delle idropi non immuni.
Si verifica infezione fetale a livello del fegato con idrope generalizzata e grave anemia con evoluzione letale.
Il paramixovirus B 19 può causare anche meningiti a liquor limpido o miocariditi.
Diagnosi
Ricerca del DNA virale (durata 2-4 giorni) o IGM specifiche (durata 2-3 mesi).
Terapia
È sintomatica. Nei pazienti immunodepressi IgG iv ad alto dosaggio (0.4g/Kg/die per 5 giorni).
FEBBRE BOTTONOSA
È una malattia infettiva acuta esantematica febbrile causata dalla Rickettsia conorii che appartiene alla
famiglia delle Rickettsiales; sono coccobacilli gram-, immobili, pleiomorfe, che hanno componenti
antigeniche in comune con il Proteus Vulgaris. Sono parassiti endocellulari che riscono a sopravvivere
all’interno dei fagolisosomi al cui interno si moltiplicano.
La febbre bottonosa è un’antropozoonosi trasmessa dalle zecche in particolare la zecca del cane
(Riphycephalus sanguineus); è di difficile distinzione rispetto alla febbre maculosa delle Montagne Rocciose,
benche sia la specie di Rickettsia che del vettore siano diversi.
Serbatoi sono rappresentati da cani, conigli lepri ed anche gli stessi artropodi vettori che trasmettono
l’infezione alla propria progenie (trasmissione verticale).
La zecca si infetta pungendo un animale infetto e resta infestante per tutta la vita e trasmette l’infezione alla
sua progenie, l’uomo contrae l’infezione in seguito alla puntura della zecca.
L’ingresso avviene quindi a livello cutaneo nel punto in cui avviene la puntura, si ha quindi la diffusione a
livello linfatico ed ai piccoli vasi.
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La Rickettsia ha un particolare tropismo per le cellule endoteliali sia a livello sistemico che polmonare che
vengono infettate determinando endotelite a livello di arteriole, vene e capillari.
L’infiammazione determina anche rilascio di TNF che causa incremento della permeabilità capillare a livello
polmonare che può determinare ARDS.
Il periodo di incubazione è di 7-14 giorni.
Il periodo di invasione dura 3-4 giorni è caratterizzato da febbre elevata, cefalea, mialgie, può essere presente
compromissione del sensorio, nausea, vomito e dolori addominali. L’aumento della pressione liquorale può
far destare il sospetto di una meningite (magari da ARBOvirus). Nella sede di puntura della zecca è però in
genere presente la “macchia nera” (tache noire) che è un’escara che poi cade lasciando un’ulcera
accompagnata a linfoadenopatia satellite. Essa è fortemente indicativa.
Dopo 3-4giorni si ha il periodo esantematico con esantema maculo-papulare ad impronta emorragica di
tipo lenticolare che si propaga dagli arti inferiori a tutto il soma e non risparmia la regione palmo-plantare.
L’esantema di impronta emorragica impone la DD con la sepsi meningococcica, dove non c’è periodo
d’invasione.
La risoluzione si ha in 10-15 giorni.
La letalità è del 3-5% ed è dovuta a complicanze emorragiche, miocardite, insufficienza renale ed ARDS.
Diagnosi
La diagnosi differenziale con il morbillo si basa sull’assenza di mucositi e chiazze di Koplik e con la sepsi
meningococcica sul fatto che in questa non c’è periodo di incubazione.
La reazione di Weil-Felix è positiva a causa della presenza di Ag simili a quelli del Proteus (OX-19 e OX
2). La reazione di immunofluorescenza indiretta è positiva quando il titolo anticorpale è > 1:64.
Terapia
Tetracicline (doxiciclina) 100mg 2 volte al giorno per 7-10 giorni.
Ciprofloxacina 500 mg 3 volte al giorno per 5-7 giorni.
Cloramfenicolo 500 mg 4 volte al giorno o 30-50 mg/Kg in bambini < 8 anni (farmaco di scelta in età
pediatrica).
DIFTERITE
È una infezione acuta contagiosa causata dal Corynebacterium Diphteriae, con formazione di
pseudomembrane grigiastre a carico delle prime vie respiratorie.
Eziologia
Cocco gram +, aerobio, asporigeno, immobile.
Nelle colture i batteri sono presenti in diverse fasi di separazione e simulano gli ideogrammi dell’alfabeto
cinese perciò si dice che hanno disposizione “a lettere cinesi”.
Crescono in concentrazioni di tellurito di potassio tossiche per altri batteri e ciò viene sfruttato per allestire
terreni selettivi.
Presentano granulazioni metacromatiche polari e interne (reperto incostante negli stadi di quiescenza o su
crescita in presenza di sali di tellurio).
Si possono distinguere 3 differenti tipi: Gravis, Intermedius, Mitis.
I ceppi in grado di dare la difterite sono solo i ceppi tossinogenici infettati dal fago B che è in grado di
integrare il suo genoma sotto forma di profago e contiene il gene tox + responsabile della produzione della
tossina difterica.
Epidemiologia
Il Corynebacterium Difteriae è un parassita obbligato dell’uomo. La trasmissione avviene in modo sia diretto
che indiretto per via inalatoria, la contagiosità non è elevata (10-20%).
Individui a rischio sono soggetti non vaccinati o immunodepressi che dopo la vaccinazione non esprimo Ab
(individui non responsivi al vaccino).
La vaccinazione non protegge contro lo stato di portatore e non protegge oltre i 10 anni, ma ha diminuito la
probabilità di portatori di ceppi tossinogenici.
Il microrganismo possiede una modesta invasività e pertanto resta localizzato nella primitiva sede di
impianto mentre la tossina difterica oltre ad esplicare la sua azione locale diffonde nel sangue e determina le
manifestazioni sistemiche.
Patogenesi
La tossina difterica è una esotossina che blocca la sintesi proteica inibendo la incorporazione degli
aminoacidi attivati sui ribosomi.
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È responsabile di
 lesioni necrotiche locali che determinano la formazione delle pseudomembrane rappresentate da un
coagulo denso formato da fibrina, leucociti e cellule necrotiche
 fenomeni tossici sistemici: miocardite, demielinizzazione, NTA
Clinica
Il periodo di incubazione è di 2-4 giorni.
Le manifestazioni cliniche iniziali sono dovute alla localizzazione del batterio ed alla produzione locale della
tossina:
angina difterica (faringite)
è presente febbre moderata, malessere generale e astenia.
Il faringe si presenta arrossato, edematoso, coperto da essudato che tende a formare le pseudomembrane di
colorito grigiastro, maleodoranti, che non si sciolgono in soluzione, debordano dalle logge tonsillari ed
invadono palato molle, ugola, retrofaringe.
Sono molto tenaci ed aderenti ai piani sottostanti e si asportano con difficoltà lasciando la base di impianto
abrasa e sanguinante.
È presente linfoadenopatia laterocervicale e angolomandibolare (adenopatia satellite).
È importante la d.d con la mononucleosi in cui le pseudomembrane sono costituite da cellule e fibrina, non
debordano e si dissolvono in soluzione; è presente
Gli indici aspecifici di malattia sono alterati, è presente leucocitosi neutrofila e la risoluzione si ha in 8-10
giorni.
forma laringea
si formano le pseudomembrane che sono meno aderenti visto che è presente un epitelio cilindrico ciliato e
non pavimentoso pluristratificato.
può assumere un carattere di gravità nella fase acuta in quanto le pseudomembrane insieme all’edema
possono ostacolare il transito aereo soprattutto nei bambini piccoli, dove si può avere il tipico quadro
definito CROUP caratterizzato da dispnea inspiratoria, disfonia e stridore laringeo, che evolve verso
l’ostruzione laringea completa con soffocamento.
Importante la DD con pseudocroup del bambino.
forma tracheobronchiale
rinite difterica
è prevalente nel bambino piccolo ed è afebbrile. È presente una secrezione sieroematica dalle narici e piccole
ulcere rotondeggianti con pseudomembrane grigiastre (coriza difterica)
difterite cutanea
si manifesta con ulcere cutanee croniche non dolenti, non progressive, raramente segni tossici sistemici.
altre localizzazioni: onfalite, vulvovaginite, otite, congiuntivite
le manifestazioni sistemiche dovute all’azione della tossina si hanno soprattutto in caso di angina difterica
visto che il faringe è riccamente vascolarizzato. Le complicanze sono rappresentate principalmente da:
miocardite: compare in genere alla fine dell’angina. può comparire in forma subdola nel 66% dei
casi o con disfunzione cardiaca nel 10-25% dei casi. Dopo 1-2 settimane compaiono inizialmente segni
di alterata conducibilità elettrica (alterazioni ST e onda T, blocco AV di 1° grado o più severo,
dissociazione AV etc.) e quindi di insufficiente contrattilità (riduzione della PA, tachicardia
sproporzionata alla febbre, aia cardica ingrandita, toni parfonici, ritmo di galoppo, alterazione della
frazione di eiezione visibile all’ecocardiogramma, dispnea fino all’insufficienza cardiaca congestizia), si
hanno inoltre alterazioni enzimatiche simili all’infarto (incremento di GOT e CPK) e la letalità è del 5060%.
Neuropatie: sono complicanze tardive (dopo 2-3 settimane) dovute a fenomeni di
demielinizzazione, proporzionali alla severità dell’infezione primaria (non compaiono nelle forme lievi,
mentre nel 75% delle forme gravi). Nei primi giorni si ha paralisi del palato molle e del retrofarige con
rigurgito e rinolalia, successivamente compare paralisi dei nervi cranici II, IV e VII, dopo 2-10
settimane compaiono polinevriti degli arti inferiori simmetriche con debolezza, iperreflessia fino alla
paralisi totale (andamento discendente al contrario della sindrome di Guillain-Barrè che è ascendente).
La prognosi è buona con restitutio ad integrum.
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DD con botulismo: non è presente interessamento autonomico perciò non c’è midriasi, secchezza della fauci
etc… ma solo disturbi motori.
Diagnosi
Viene fatto l’isolamento dal tampone faringeo tramite esame diretto con colorazione di Neisser che
evidenzia i granuli metacromatici (indice di attiva replicazione) e le figure cinesi e coltura su terreni selettivi
(terreno di Loeffler o terreno al tellurio).
Terapia
Importante la terapia tempestiva con antisiero a base di antitossina difterica che neutralizza la tossina in
circolo prima del suo ingresso nelle cellule.
L’efficacia è inversa alla durata della malattia, la dose è diversa a seconda della localizzazione primaria
o 20-40.000 unità per la faringite
o 40-60.000 unità per le forme nasofaringee
o 80-100.000 unità per le forme > 3 giorni
la desensibilizzazione alla Besredka, consiste nella somministrazione frazionata di dosi progressive ogni 15
minuti:
0.05 ml di siero diluito al 1:20 sottocute
ml di siero diluito 1:10 sottocute
0.3 ml di siero diluito 1:10 sottocute
ml di siero indiluito sottocute
ml di siero indiluito sottocute
0.5 ml di siero indiluito intramuscolo
il siero rimanente diluito
è importante tenere a disposizione l’adrenalina e l’idrocortisone in caso di shock anafilattico.
10% con ipersensibilità a proteine di cavallo: test 1:10 in congiuntiva + adrenalina, test 1:10-1:100 sottocute
+ adrenalina.
Va fatta anche antibioticoterapia con penicillina e eritromicina per 14 giorni ed è necessario avere almeno 3
colture negative dopo gli antibiotici.
Nel sospetto diagnostico si deve iniziare la terapia in attesa dei risultati delle indagini di laboratorio.
Il vaccino è obbligatorio e viene fatto con anatossina associata a quelle tetanica e per tossica (vaccino
trivalente DPT), può essere fatto il richiamo nell’adulto.
Schema vaccinale: 3 dosi + 1 dose
Per vedere se l’individuo è immune verso la difterite viene fatto il test di Schock che consiste
nell’inoculazione intradermica di una piccola quantità di tossina: se gli Ab sono presenti si ha
neutralizzazione della tossina e nessuna reazione cutanea, se non sono presenti si ha edema localizzato con
necrosi nel punto di inoculazione.
PERTOSSE
Malattia acuta delle vie aeree ad andamento clinico tendenzialmente cronico causata da un batterio, la
Bordetella pertussis; i Cinesi la chiamano “tosse dei 100 giorni” per sottolinearne la notevole durata; l’altra
denominazione popolare “tosse canina” è in realtà poco appropriata perché il tipico “urlo” inspiratorio
abbaiante non è presente in tutti i pazienti. Il termine pertosse (lett.: tosse insistente) fu invece coniato da
Sidenham nel 1679 ed è ancora valido.
Agente eziologico
La B. pertussis fu isolata per la prima volta nel 1900 da Bordet e Gengou nel terreno di coltura che porta il
loro nome: altre specie correlate sono la B. parapertussis e la B. bronchiseptica: tuttavia poiché non
producono la tossina della pertosse causano affezioni respiratorie assai più lievi, oltretutto opportunistiche.
B. pertussis è un coccobacillo G- molto esigente in termine di coltura e a lenta crescita: cresce bene sul
terreno di Bordet e Gengou, arricchito di NADH, formando in 3-6 gg colonie puntiformi circondate da un
alone di emolisi.
Il solo ospite conosciuto è l’uomo.
La bordetella condivide con altri patogeni un meccanismo preciso per la regolazione dell’espressione dei
suoi fattori di virulenza in risposta ai diversi stimoli ambientali: questi meccanismi comprendono la
modulazione antigenica e la variazione di fase: secondo alcuni entrambe potrebbero facilitare l’eliminazione
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del microrganismo dal tratto respiratorio, diminuendo l’espressione dei fattori di adesione alla mucosa e
consentendo la sopravvivenza in condizioni ambientali ostili; oppure potrebbero permettere la sopravvivenza
in sede intracellulare, inducendo uno stato di quiescenza ed eliminando i bersagli antigenici della risposta
immune contro di essa.
Patogenesi
Il germe ha diversi fattori di virulenza:
fattori di adesione alla mucosa bronchiale: fimbrie e pili; le fimbrie inducono la produzione di agenti
agglutinanti e sono pertanto detti agglutinogeni (2 esempi possono essere l’emagglutinina filamentosa e
la pertactina: esse consentono l’adesione alle cellule ciliate ma anche di altro tipo); queste adesine
presentano sequenze ripetute di Arg e Asp e rientrano pertanto nella superfamiglia delle integrine
eucaristiche
tossine:
 citotossina tracheale ciliostatica: blocca la scala mobile mucociliare e predispone alla superinfezione
anche da parte di altri patogeni tipicamente polmonari e non
 adenil-ciclasi: blocca la fagocitosi
 LPS: differisce in parte dall’endotossina degli altri G- ma svolge lo stesso un ruolo in quanto Ab anti
LPS sono protettivi e l’LPS è una componente del vaccino antipertosse a subunità
 PT (tossina pertossica): conforme al modello generale delle esotossine enzimatiche batteriche, in
quanto possiede una subunità A in cui risiede la componente enzimatica e la subunità B, con
funzione di adesività; la subunità catalizza l’ADP-ribosilazione di certe proteine endocellulari
regolatrici come la proteina G; ciò produce una varietà disparata di effetti che comprendono
l’inibizione della migrazione linfocitaria, la sensibilizzazione all’istamina (in parte dovuta
all’aumentata produzione di IgE) e l’incremento della secrezione insulinica in risposta alla
stimolazione β-adrenergica
Ciò che in ultima istanza provoca la tipica tosse parossistica non è però ben chiaro: la PT riveste sicuramente
un ruolo poiché bambini immunizzati col solo tossoide sviluppano una malattia grave con frequenza
inferiore dell’80-90% rispetto ai controlli.
La sequenza patogenetica è la seguente:
1. colonizzazione del tratto respiratorio superiore e adesione alle cellule ciliate
2. moltiplicazione attiva
3. danno mucosale e induzione della tosse parossistica
Epidemiologia
La pertosse è estremamente contagiosa: la probabilità di infettarsi da parte di familiari non immunizzati del
malato è virtualmente del 100%. La trasmissione è per via aerea attraverso le goccioline di Flugge.
Prima dell’introduzione del vaccino in USA venivano riportati circa 150 casi x 100000 abitanti, con
epidemie ogni 3-4 anni. Lo zenith fu raggiunto negli anni ’40, in cui la pertosse fece più vittime della
difterite, della poliomielite, del morbillo, della meningite e della scarlattina messe assieme.
Dopo l’introduzione del vaccino DPT, l’incidenza è calata di 100-150 volte.
Al giorno d’oggi quasi la metà dei casi riguarda bambini di età inferiore a 1 anno: si è visto che circa la metà
di quelli che si ammalano non hanno ricevuto l’appropriato numero di dosi del vaccino.
Studi di sieroprevalenza effettuati sulla popolazione indicano però che la reale incidenza della malattia è
quasi 1000 volte superiore a quella stimata in base ai cai notificati CDC (Centro per la prevenzione e il
controllo della malattie).
L’elevata trasmissibilità facilita le epidemie nelle scuole, negli ospedali e persino nelle zone residenziali: la
pertosse sintomatica non diagnosticata degli adulti rappresenta una sicura fonte di contagio per i bambini di
prima e seconda infanzia e un fattore di perpetuazione della malattia, che invece potrebbe essere eradicata
totalmente, essendo la bordetella un patogeno esclusivamente umano senza particolari caratteristiche come la
mutazione antigenica.
In passato si riteneva che l’immunità naturale che lasciava la malattia fosse vita natural durante ma studi
recenti hanno dimostrato che essa viene persa dopo circa 20 anni, ma forse anche prima.
Clinica
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La pertosse è una malattia a carattere prolungato, della durata complessiva di 6-8 settimane, ma passibile di
strascichi qualora insorgano complicazioni come le polmoniti da superinfezione.
L’incubazione è per lo più di 7-10 giorni; i sintomi attraversano caratteristicamente 3 fasi:
catarrale (1-2 settimane): sintomi aspecifici come starnuti, rinorrea, tosse moderata, lacrimazione,
astenia e febbricola
parossistica (2-4 settimane): episodi parossistici di tosse intensa e stizzosa, costituiti da 10-30 colpi
di tosse per volta, che avvengono tutti entro un singolo ciclo respiratorio, elemento di aiuto nella
diagnosi differen-ziale; nei casi gravi l’accesso è così intenso e prolungato da procurare ingorgo della
vene del collo, protrusione dei bulbi oculari (per lo sforzo espiratorio), cianosi e il patognomonico “urlo
abbaiante” inspiratorio, dovuto a inspirazione forzata a glottide chiusa; la crisi è scatenata da stimoli
esterni come il contatto fisico o anche forti rumori. Spesso porta all’eliminazione di abbondante
espettorato viscoso e si accompagna a vomito alla fine dell’accesso (elemento anche questo indicativo di
pertosse). La febbre è generalmente assente in questa fase, ma si possono presentare le complicazioni.
Tipicamente nella fase parossistica si possono avere anche 25 attacchi nello stesso giorno, anche durante
il sonno
convalescenza: graduale attenuazione dell’intensità della tosse; questo stadio può durare diversi
mesi e può essere prolungato da soprainfezioni virali e batteriche che producono gravi riesacerbazioni
con ripresa della tosse parossistica daccapo (che gusto…)
negli adolescenti e adulti mancano 2 elementi chiave per la diagnosi clinica: l’urlo e la linfocitosi; per questo
ci si avvale sul piano clinico di altri elementi clinici come la dispnea durante l’attacco, la tosse notturna e una
sensazione di prurito nel retro della gola
Laboratorio
Reperto assai caratteristico ma non universale e la linfocitosi assoluta, con conte dei bianchi che vanno da
10000 a 30000 cellule e una linfocitosi del 75%: essa è probabilmente una conseguenza diretta dell’azione
della tossina visto che negli adolescenti e negli adulti, che hanno immunità antitossina, non si verifica.
Complicanze
Quelle più comuni sono di lieve entità: dipendono principalmente dall’aumento della pressione intratoracica
e sono l’emorragia subcongiuntivale e le petecchie nella parte superiore del tronco. Cianosi e apnea
prolungata sono comuni nei bambini (prevalenza del 20-50%), come anche la malnutrizione e la perdita di
peso per il vomito scatenato dall’attacco e per l’inadeguata assunzione calorica.
Le principali complicanze sono però:
polmoniti: generalmente da patogeni capsulati come S. pneumonite ed H. influenzae; la loro incidenza è
molto più alta nei bambini (21%) che negli adulti (solo 3%); i lattanti non immunizzati possono sviluppare
anche una forma di polmonite primaria da B. pertussis
complicanze neurologiche: per fortuna assai rare (encefalopatia: 0,7%, convulsioni: 2%); esse sono attribuite
al verificarsi di ipossia e ipoglicemia causata dalla tossina per tossica ed emorragie secondarie
all’ipertensione venosa, oppure all’azione di ipotetiche neurotossine o virus neurotossici
Diagnosi
Quella su base clinica è assai agevole (la fanno agevolmente anche i genitori); per la conferma dei casi
sospetti il gold standard è rappresentato dall’isolamento di B. pertussis dal tampone nasofaringeo. Il tampone
deve essere immediatamente seminato su un apposito terreno di trasporto o direttamente sul terreno di
Bordet-Gengou. Le colture sono positive entro 3-5 giorni in una % che raggiunge l’80% nei bambini se
l’esame è eseguito entro 2 settimane dall’esordio clinico. L’accuratezza diagnostica tuttavia diminuisce
rapidamente e dopo 4 settimane l’isolamento non è quasi mai possibile. La PCR su secrezioni nasofaringee
può migliorare l’accuratezza diagnostica in caso di pregressa somministrazione di antibiotici.
Passate 3-4 settimane la sierologia diventa l’unico mezzo a disposizione: per individui precedentemente
immunizzati non è necessario che ci sia la sieroconversione, basta un semplice aumento del titolo oltre 2DS.
Diagnosi differenziale: B. parapertussis causa una forma respiratoria più frusta, senza complicanze e
linofocitosi: essa è associata epidemiologicamente alla B. pertussis. Non esistono virus in grado di riprodurre
il quadro clinico tipico con urlo e linfocitosi, ma si deve ricordare che negli adulti questi sono assenti e allora
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occorre considerare anche altri patogeni come l’influenza, l’RSV, l’Adenovirus, il M. pneumoniae, la C.
pneumoniae e lo pneumococco.
Terapia
La terapia della pertosse diminuisce la durata della malattia e il periodo di contagio in quanto si propone di
eradicare il germe dal nasofaringe. Il trattamento d’elezione è l’eritromicina estolato al dosaggio di 50
mg/kg, da protrarsi per almeno 14 giorni per evitare ricadute. Anche gli altri macrolidi vanno bene: è stato
riportato un solo caso di resistenza all’eritromicina.
La terapia di supporto per crisi gravi prevede l’aspirazione delle secrezioni, la ventilazione con O2 e il
controllo degli episodi di cianosi-apnea prolungati (eventuale intubazione).
La somministrazione di glucocorticoidi e salbutamolo è più empirica che altro. I sedativi della tosse sono
acqua fresca.
Prevenzione
La profilassi dei contatti si fa con i chemioterapici, non con il vaccino: si usa sempre l’eritromicina; nei
bambini lo schema vaccinale va comunque intrapreso o continuato lo stesso.
Per l’immunizzazione è disponibile il vaccino DPT, costituito da bordetelle intere uccise combinati con il
tossoide del tetano e della difterite adsorbiti su un adiuvante (alluminio fosfato). Lo schema prevede 3 dosi
iniziali a intervalli di 2 mesi più alcune dosi di richiamo somministrate fino al 6° anno di età. Oltre i 6 anni la
vaccinazione non è raccomandate, tranne che per controllare epidemie nosocomiali.
L’efficacia protettiva è del 90% nei primi 2 anni, poi declina gradualmente: dopo 12-20 anni il rischio di
ammalarsi è quasi pari a quello della popolazione non vaccinata.
Il vaccino a cellula intera è associato a reazioni locali e febbre nel 30-50% dei casi: si può arrivare ad effetti
avversi molto gravi come ipertermia, pianto persistente a tonalità elevata, convulsioni, episodi ipotonici e
adinamici, anafilassi ed encefalopatia (non è chiaro se direttamente scatenata dal DTP o risultato di
concomitanti anomalie cerebrali).
In studi recenti vaccini cellulari a subunità hanno mostrato un’efficacia paragonabile a quella dei vaccini
interi senza i relativi effetti collaterali e negli Usa sono già approvati come dosi di richiamo tra il 15° e il 18°
mese e poi tra il 4° e il 6° anno.
Essendo la bordetelle un patogeno esclusivamente umano e pertanto è candidato all’eradicazione attraverso
l’immunizzazione di tutta la popolazione.
PAROTITE EPIDEMICA
infezione virale acuta, sistemica e contagiosa, il cui carattere distintivo principale è l’edema di una o
entrambe le ghiandole parotidi (carattere che però può eccezionalmente mancare).
Eziologia
Il v. della parotite (Mumps Virus) è un Paramyxovirus pleomorfo, con diametro variabile da 100 a 600 nm,
con un involucro provvisto di 2 tipi di glicoproteine:
HN: emagglutinina-neuraminidasi
F: Ag di emolisi e fusione cellulare
Esiste soltanto un tipo antigenico
Epidemiologia
L’incidenza della parotite epidemica è drasticamente diminuita (99%) dopo l’introduzione del vaccino,
avvenuta nel 1967 negli USA. La malattia è comunque endemica con sporadiche riaccensioni epidemiche.
Il periodo d’incubazione è di 14 giorni circa (con estremi documentati di 7 e 23 giorni): talvolta risulta
difficile da stabilire perché il soggetto può diffondere i virus prima dello sviluppo della malattia oppure
questa può essere subclinica.
L’infezione acquisita conferisce un’immunità a vita, l’immunizzazione ne garantisce comunque una di lunga
durata.
Patogenesi
La trasmissione avviene attraverso le goccioline di Flugge, la saliva, oggetti e indumenti contaminati. Il virus
replica nelle cellule epiteliali delle alte vie respiratorie e dà luogo a una viremia, cui fa seguito l’infezione
degli organi per i quali il virus manifesta tropismo (ghiandole salivari e SNC prima di tutto, ma anche gonadi
e pancreas).
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Clinica
I prodromi consistono in sintomi sistemici classici (febbre, artromialgia, anoressia). Solitamente entro 1-3
giorni si sviluppa la parotite, che è bilaterale ma all’inizio può essere asincrona; possono essere coinvolte
anche le ghiandole salivari minori, ma non da sole. L'edema della ghiandola è accompagnato da
ipersensibilità e può determinare disfagia, otalgia e disfagia, tuttavia regredisce del tutto entro una settimana.
L'orchite è la manifestazione più comune dopo la parotite nei maschi in età post puberale, sviluppandosi nel
20% dei casi circa, mentre l’ooforite nelle donne è molto meno comune. I testicoli diventano edematosi e poi
vanno incontro ad atrofia. Tuttavia essendo l'interessamento raramente bilaterale, la sterilità dopo la parotite
è rara.
La meningite asettica è un'altra comune manifestazione sia nei bambini che negli adulti: può svilupparsi
prima, durante, dopo o anche in assenza di parotite. È accompagnata da pleiocitosi linfocitaria e modesta
ipoglicorrachia (che può destare il sospetto di una meningite batterica). È generalmente a risoluzione
spontanea: soltanto occasionalmente possono aversi sequele neurologiche permanenti dovute a paralisi dei
nervi cranici (soprattutto l’VIII paio  sordità neurogena). Assai più rare sono le encefaliti e sindromi
neurologiche correlate come l'atassia cerebellare e la sindrome di Guillain-Barrè. L’encefalite in particolare
interessa frequentemente il sistema libico, con sintomatologia psichiatrica.
La pancreatite si presenta con dolore addominale: un valore elevato delle amilasi sieriche può essere
associato però sia alla parotite che alla pancreatite. Può essere colpito anche il pancreas endocrino (
variazioni della glicemia).
Altre complicanze insolite come la miocardite, tiroidite, nefrite, artrite e porpora trombocitopenica sono –
importanti; la parotite contratta nel corso del primo trimestre di gravidanza si associa a un elevato numero di
aborti spontanei, ma non a parto prematuro né ha malformazioni fetali.
Diagnosi
Viene posta facilmente in presenza di parotite acuta bilaterale con un'anamnesi di recente esposizione: vanno
però considerate le numerose cause possibili di edema bilaterale della parotite, come infezioni da altri virus
(Influenza A, Coxsackie), malattie metaboliche (diabete, uremia) e farmaci (tiouracile).
Quando la parotite è unilaterale o assente, o quando sono coinvolti altri organi è richiesta la diagnosi di
laboratorio.
Il virus può essere isolato nella saliva, nel faringe, nel liquor (in presenza di meningite) e nelle urine, dove
persiste per due settimane; cresce bene in un a varietà di colture cellulari (rene di scimmia e fibroblasti di
polmone fetale), dopo di che può essere rapidamente identificato con la metodica degli shell-vials.
Terapia
È solo sintomatica e si basa sull'uso di analgesici e impacchi con acqua fredda per lenire il dolore parotideo o
testicolare. Le Ig non hanno alcun valore, né per la profilassi né per la terapia.
Prevenzione: vaccino vivo attenuato (ceppo Jeryl Lynn), solitamente somministrato come parte del vaccino
morbillo - parotite – rosolia (MMR) all'età di 15 mesi e poi più tardi nell'infanzia. Il vaccino MMR, o quello
monovalente, è raccomandato a anche per maschi adolescenti non immunizzati, mentre va evitato in
gravidanza e in soggetti immunocompromessi.
TETANO
È una malattia infettiva con interessamento neurologico caratterizzata ipertono dei muscoli striati e da crisi
spastiche parossistiche provocati dalla tetanospasmina, una potente neurotossica prodotta dal Clostridium
Tetani.
I clostridi sono bacilli gram +, anaerobi, mobili, sporigeni, comprendono 4 specie patogene per l’uomo:
tetani, perfrigenes, botulinum e difficile.
Sono normalmente saprofiti che vivono nel suolo o commensali del tratto digerente dell’uomo o di alcuni
animali sotto forma di spore o forme vegetative.
Il C. tetani è ubiquitario e si trova nel suolo o nelle feci animali o talvolta umane.
L’uomo è un ospite occasionale del Clostridium Tetani che produce spore nell’ambiente le quali sono
altamente resistenti e riescono a sopravvivere per anni.
Le zone tetaningene dipendono da: insediamento di animali erbivori, terreni coltivati o concimati,
caratteristiche del suolo e del clima.
La malattia è più comune nelle zone rurali.
Nei pesi in cui non vi è un programma di vaccinazione predominano il tetano neonatale e quello dei bambini
mentre nei paesi in cui è obbligatoria la vaccinazione l’infezione si verifica in persone non raggiunte dal
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programmadi vaccinazione (immigrati) o in persone che non riescono a mantenere l’immunità acquistita
tramite il vaccino (anziani).
La maggior parte dei casi di tetano si verifica per contaminazione di una ferita penetrante o con lacerazione,
ma anche in caso di ustioni, congelamenti, manovre chirurgiche o uso droghe per inoculazione sottocutanea.
Il Clostridium Tetani è un microrganismo opportunista non invasivo.
L’infezione avviene in caso di lesioni di continuo della cute o delle mucose che consentono la penetrazione
delle spore.
È necessario che si crei un ambiente di anaerobiosi necessario perché si abbia la germinazione della spora in
forma vegetativa che è quella in grado di produrre la tossina tetanica.
Sono particolarmente a rischio infatti le ferite lacero-contuse in cui è presente tessuto necrotico, ritenzione di
corpi estranei, ustioni, aborti clandestini e anche le ferite nell’anziano che spesso soffre di insufficienza
arteriosa ( bassa pO2)
La tossina tetanica o tetanospasmina codificata da un plasmide, è un veleno potentissimo caratterizzato da
uno spiccato neurotropismo ed è quella che causa la sintomatologia clinica visto che il Clostridium non è
invasivo.
La tossina si lega ai gangliosidi ricchi di acido sialico presenti sui motoneuroni α nella placca
neuromuscolare dei muscoli striati, quindi tramite trasporto assonale retrogrado raggiunge il midollo spinale
dove per migrazione trans-sinaptica si localizza in altri neuroni in particolare i neuroni inibitori presinaptici
glicinergici e GABAergici che operano il riflesso inibitorio che porta la rilasciamento dei muscoli antagonisti
nel momento in cui si contraggono gli agonisti.
Ciò comporta la tipica rigidità o ipertono muscolare dovuto alla contrazione contemporanea sia dei muscoli
agonisti che degli antagonisti (paralisi spastica).
Nei casi gravi si verifica anche interessamento autonomico per azione soppressiva sulla inibizione dei
neuroni autonomica delle corna intermedio-laterali del midollo che determina incremento dei livelli di
catecolamine con aumento di attività ortosimpatica.
La tossina in casi particolari agisce direttamente sulla giunzione neuromuscolare inibendo la liberazione di
acetilcolina determinando paralisi flaccida (?) come accade nella paralisi faciale che si verifica nel tetano
cefalico.
Clinica
Il decorso clinico è influenzato dalla quantità di tossina prodotta e dalla lunghezza del tragitto necessario per
raggiungere il nevrasse.
Se la quantità di tossina prodotta è scarsa vi è diffusione retrograda solo dalle giunzioni neuromuscolari
distrettuali con interessamento dei muscoli locali (tetano localizzato) e il periodo di incubazione dipende
dalla lunghezza del tragitto da per correre (e anche dalla velocità di sviluppo delle forme vegetative).
Se la quantità di tossina è elevata si ha oltre alla retrodiffusione che interessa numerose giunzioni
neuromuscolari anche diffusione per via ematica o linfatica e interessamento di numerosi gruppi muscolari,
di cui i primi coinvolti sono quelli più vicini al nevrasse.
Il periodo di incubazione è quello che va dal contatto con la spora alle prime manifestazioni cliniche (trisma)
varia da 2 giorni (in caso di tetano cefalico) a 3 mesi ed è in media di 2-3 settimane.
Il periodo di invasione (onset) va dalle prime contrazioni muscolari alle prime crisi spastiche parossistiche
(ascessi tetanici).
Le manifestazioni cliniche sono progressive:
1. Contrazione dei muscoli masseteri e pterigoidei (trisma) che determina iniziale incapacità ad aprire
bene la bocca e poi la tipica smorfia o ghigno (riso sardonico)
2. Interessamento dei muscoli faringei con disfagia
3. Rigidità nucale
4. Contrazione dei muscoli dorsali (paravertebrali) con inarcamento del tronco e iperestensione degli
arti (opistotono)
5. Contrazione dei muscoli addominali con addome a barca (addome acuto)
Il periodo di stato è caratterizzato da crisi spastiche parossisitiche (ascessi tetanici) doorose, generalizzate o
localizzate che durano secondi-minuti con cianosi e sensorio conservato.
È pericoloso l’interessamento dei muscoli respiratori che determina riduzione della ventilazione ed il
laringospasmo.
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Nelle forme molto gravi si ha la sindrome simpatica maligna caratterizzata da incrementata liberazione di
catecolamine che determina: ipertensione, tachicardia, aritmie, vasocostrizione periferica, ipeersudorazione e
iperpiressia.
È importante la valutazione prognostica che ci permette di distinguere:
Tetano di 1° grado
ha un periodo di incubazione > 14 giorni, periodo di invasione > 6 giorni, sono presenti ascessi tetanici
circoscritti e brevi che evolvono in guarigione, manca disfagia.
Tetano di 2° grado
Il periodo di incubazione è di 7-14 giorni, periodo di invasione 3-6 giorni, si hanno contrazioni generalizzate
fin dall’inizio compresa la disfagia, la dispnea e la cianosi non sono gravi ma è necessario il ricovero in
rianimazione per la ventilazione assistita.
Tetano di 3° grado
Il periodo di incubazione è < 7 giorni, periodo di invasione < 3 giorni, gli attacchi sono generalizzati, intensi
e prolungati, è presente disfagia intensa fino alla polmonite ab ingestis, talvolta laringospasmo, è presente la
sindrome simpatica maligna, la letalità è > 50%.
La valutazione prognostica viene fatta su dati anamnesici in base in particolare al periodo di incubazione e di
invasione, è fondamentale valutare se il tetano tende a progredire oltre il 1° grado perché in caso di disfagia e
dispnea grave è indicato il trasferimento in unità di terapia intensiva.
In base alla porta di ingresso possiamo distinguere un tetano post-traumatico, neonatale, puerperale, postabortivo, chirurgico e criptogenetica, in base al quadro clinico un tetano cefalico, disfagico, ad dominotoracico e degli arti.
Il tetano neonatale si presenta come tetano generalizzato ed è spesso fatale, si sviluppa in bambini nati da
madri non adeguatamente immunizzate in genere dopo trattamento non sterile del cordone ombelicale.
Il tetano cefalico è una rara forma di tetano locale secondario a ferite alla testa o a otiti, si manifesta con
trisma o disfunzione di uno o più nervi cranici, il periodo di incubazione è di pochi giorni e la letalità è alta.
In generale il decorso del tetano è verso la guarigione in 2-8 settimane o la morte che può essere dovuta a
anossia acuta, collasso cardiocircolatorio, arresto cardiaco, infezioni.
Diagnosi
La diagnosi di tetano è posta completamente su base clinica.
È importante la diagnosi differenziale con:
o Processi infiammatori che possono dare rigidità riflessa locale con trisma
o Avvelenamento da stricnina che determina contrazione a partire dal tronco (assenza di trisma)
o Rabbia in cui gli spasmi muscolari sono seguiti da rilasciamento della muscolatura mentre nel tetano
sono inscritti in uno stato di contrazione muscolare generalizzata
L’EMG può mostrare una scarica continua delle unità motorie e una riduzione o assenza dell’intevallo silente
che si osserva normalmente dopo un p.d.a.
Terapia
Gli obiettivi della terapia sono:
1. Eliminare il focolaio infettivo che fornisce la tossina
Viene effettuata toilette chirurgica ( in caso di ferita lacero-contusa, con corpi estranei o ritensione di
materiale necrotico), disinfezione con agenti ossidanti (acqua ossigenata o ipoclorito), infiltrazione con Ig
antitetaniche della zona circostante e penicillina G ev o tetracicline nei pazienti allergici per eradicare le
forme vegetative fonte di produzione della tossina.
2. Bloccare la tossina non fissata al SNC (la tossina infatti si fissa irreversibilmente perciò la sua
attività può essere bloccata soltanto prima del legame al recettore)
viene fatta immunoprofilassi passiva con Ig umane antitetaniche im (siero antitetanico) in 2
somministrazioni di 3000 UI (250 UI intratecali >= 1000 UI im) che servono a neutralizzare la tossina.
3. prevenzione degli spasmi muscolari e terapia delle complicanze
effettuata con diazepam 5-10 mg ev ogni 6-8 ore (azione sedativa, antivonvulsivante, rilassante) o curarici
(pancuronio bromuro).
In caso di blocco della muscolatura respiratoria è fondamentale la respirazione assistita.
Inoltre è importante il monitoraggio arterioso di PH, pO2, pCO2 e PA e catetere urinario.
In caso di sindrome simpatica maligna è necessario l’utilizzo di β-blocanti e α−β bloccanti.
È necessaria anche una profilassi delle complicanze infettive e non infettive.
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La vaccinazione antitetanica è obbligatoria e si basa sull’anatossina inattivata in formaldeide in 4
somministrazioni (3° mese, 4-5° mese, 10-12° mese, 6° anno) insieme al vaccino antidifterico e
antipertossico.
Può essere fatto un richiamo ogni 10 anni volontario.
Può essere fatta una profilassi post-esposizionale in caso di sospetto contagio: nei soggetti vaccinati da meno
di un anno non si fa nulla, in quelli vaccinati da più di un anno si fa il richiamo, in quelli vaccinati da più di
10 anni il richiamo + l’immunoprofilassi passiva con Ig.
Nei soggetti che hanno ricevuto solo una dose di vaccino si fa una dose di vaccino + le Ig, nei soggetti non
vaccinati si fanno 3 somministrazioni di vaccino + le Ig.
Le Ig in 250 UI assicurano una copertura per 1 mese.
Il vaccino post-esposizionale deve essere effettuato entro 24 ore dalla contaminazione.
CARBONCHIO (ANTRACE)
È una antropozoonosi provocata dal Bacillus Antracis.
Il B. antracis è un bacillo G+ , capsulato, immobile, sporigeno che infetta gli animali in particolare ovini e
bovini.
La malattia interessa prevalenetemente l’ambiente agricolo ed industriale.
È stato usato nella guerra batteriologica nel 1967 in Russia per difussione delle spore da un laboratorio.
Non si ha contagio internumano ma soltanto dall’animale all’uomo. Gli animali infetti quando muoiono
vengono sotterrati e dalle carcasse si liberano i microorganismi che al contatto con il suolo si trasformano in
spore (nell’animale vivo sono presenti soltanto le forme vegetative) le quali vengo riportate in superficie dai
lombrichi o tramite l’aratura.
Le spore resistono nell’ambiente anche per 60 anni. Gli animali erbivori ingeriscono le spore e costituiscono
la fonte di contagio per l’uomo.
La trasmissione dell’infezione avviene tramite 3 modalità:
1. per via inalatoria: inalazione di particele veicolanti il Bacillus Antracis
2. per ingestione di carni non ben cotte di animali infetti
3. per penetrazione attraverso soluzioni di continuo della cute
fattori di virulenza del B. Antracis sono rappresentati da:
o Ag protettivo che permette l’ingresso all’interno delle cellule previa scissione da parte di
proteasi cellulari ed evoca Ab protettivi
o capsula
o Fattore edemigeno (Adenil ciclasi) che determina incremento della permeabilità capillare
con conseguente edema
o Fattore letale che determina necrosi cellulare con conseguenti lesioni necrotico-emorragiche
Antrace polmonare
Le particelle inalate vengono raggiungono gli alveoli polmonari dove vengono fagocitate dai macrofagi che
le trasportano ai linfonodi mediastinici e peribronchiali dove la produzione delle tossine determina una
linfadenite necrotico-emorragica.
Dopo un periodo di incubazione di 2-3 giorni (ma che può arrivare anche a 40 giorni) si ha un esordio
subdolo con sintomi simil-influenzali quindi si ha una brusca progressione verso l’ARDS con tosse
produttiva ed escreato emorragico.
Il quadro è quello di una polmonite con interessamento mediastinico (mediastinite emorragica) visibile
all’RX come ingrandimento del mediastino.
Frequentemente si ha setticemia con meningite (nel 70% dei casi) ad esito letale.
È importante la diagnosi differenziale con tularemia, forma polmonare della peste, psittacosi,
coccidiomicosi, istoplasmosi, polmonite da Mycoplasma o da Legionella.
Carbonchio cutaneo
Nella sede di inoculazione compare una piccola papula rotonda che evolve in vescicola con edema
perilesionale o un anello di vescicole satelliti.
La vescicola quindi si rompe lasciando un ulcera che si trasforma in escara che cade lasciando una cicatrice.
Può essere presente linfadenite distrettuale.
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Raramente si ha setticemia con interessamento cutaneo generalizzato e la prognosi è relativamente buona
(letalità del 10%).
La d.d. è con fasciti necrotizzanti da cocchi, tularemia, peste (in cui c’è linfoadenopatia massiva  bubboni),
ecthyma gangrenoso (infezione da Pseudomonas in pazienti neutropenici), punture da zecca.
Carbonchio gastrointestinale
Dopo 2-3 giorni dall’ingestione di alimenti contaminati si manifestano febbre, nausea, vomito e diarrea,
ematemesi e melena e intensi dolori addominali fino ad un quadro di addome acuto.
Si può avere febbre con brivido e compromissione del sensorio.
Raramente si hanno ulcere faringee con linfoadenopatia cervicale.
Diagnosi
L’isolamento del batterio può essere fatto da diversi campioni biologici a seconda della forma: liquido delle
vescicole, escreato, vomito o feci, liquor.
Può essere inoltre fatta l’emocoltura. B. anthracis cresce bene in agar-sangue; la manipolazione dei campioni
va fatta esclusivamente sotto cappa sterile.
Indagini di IF.
Terapia
In passato il farmaco di elezione era la penicillina G oggi invece ci sono stipiti penicillino-resistenti;
pertanto la terapia si basa su ciprofloxacina 400 mg/die ev per 7-14 giorni. Nella forma polmonare viene
affiancata da amoxicillina o altri chinolonici che superano la BEE (la ciprofloxacina non ha questa
caratteristica, pur essendo molto efficace in vivo.
La profilassi post-esposizionale si basa su:
ciprofloxacina 500 mg 2 volte al giorno o doxicillina 100 2 volte al giorno per 60 gg.
Oppure: Ciprofloxacina/doxicillina per 30 gg + 1 ciclo di vaccinazione
È possibile effettuare la vaccinazione tramite vaccino vivo attenuato produttore di Ab protettivi: 0.5 ml
sottocute al giorno 0, 14, 28 poi a 6, 12, 18 mesi e successivamente ogni anno. L’efficacia è del 92.5%.
MALATTIA DI LYME
È una malattia infettiva a decorso in più fasi causata dalla Borrelia burgdorferi, trasmessa dalla puntura di
una zecca del genere Ixodes.
La Borrelia Burgdorferi è stata responsabile di una epidemia del 1975 nell città di Lyme e fu isolata nel
1981, appartiene al genere Spirocheta (che comprende Treponema, Borrelia e Leptospira).
Le Spirochete sono microorganismi di forma allungata avvolta a spirale con caratteristiche intermedie tra
batteri e protozoi. Sono gram -, asporigeni, acapsulati, mobili. Non sono coltivabili in vitro e sono visibili al
microscopio ottico (tranne il Treponema che richiede il microscopio a contrasto di fase) dopo colorazione
con impregnazione argentica o MGG nel caso della Borrelia.
La Borrelia burgdorferi è microaerofilo flagellato, possiede una membrana citoplasmatica interna ed esterna,
è la più lunga, la più sottile e quella con meno flagelli di tutte le Borrelie.
La trasmissione all’uomo dell’infezione avviene tramite la puntura della zecca Ixodes che in Europa predilige
il clima caldo umido temperato, non oltre i 1200 m di altezza, specie vicino alle zone boschive.
Le zecche adulte che fanno un pasto breve parassitano i mammiferi mentre le zecche giovani (ninfe) che
fanno un pasto più lungo parassitano i roditori. Poiché la trasmissione della Borrelia richiede il contatto
prolungato i veri serbatoi dell’infezione sono i roditori.
La Borrelia si moltiplica nel punto di inoculo e quindi diffonde nel sottocutaneo e nei vasi.
Tramite la diffusione ematogena la Borrelia raggiunge diversi organi tra cui meningi, miocardio, retina,
muscoli, osso, fegato, milza e SNC.
L’invasività del batterio è causata all’adesione sulla sua superficie del plasminogeno e del suo attivatore che
ne determina la trasformazione in plasmina che rappresenta una potente proteasi.
La risposta immunitaria è tardiva (IgM dopo 6 settimane quindi IgG) e si hanno manifestazioni generali
indotte dal TNF e dall’IL-β e formazione di IC e crioglobuline.
La Borrelia negli individui non trattati è in grado di persistere per anni nelle articolazioni, nella cute e nel
SNC.
Clinica
Il periodo di incubazione assai variabile: da 3 a 30 giorni.
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Nei pazienti non trattati la malattia evolve caratteristicamente in 3 stadi (l’antibioticoterapia instaurata a
qualsiasi livello può modificare o sopprimere l’evoluzione):
1. Primo stadio
dura alcune settimane con autorisoluzione, è caratterizzato dal tipico eritema cronico migrante che è una
papula rossa che si espande formando una lesione anulare con bordi rilevati eritematosi e centro di colorito
accesso ad evoluzione vescicolare o necrotica.
La lesione è calda e dolorabile ed è presente linfoadenopatia regionale. Alcuni giorni dopo l’insorgenza della
lesione primitiva nel 50% dei casi si osservano lesioni secondarie simili. La regressione è spontanea e si
attua nell’arco di qualche settimana.
È presente inoltre febbre, malessere generale, cefalea e artromialgia.
2. Secondo stadio
Si presenta nei mesi successivi con alterazioni neurologiche: poliradiculonevrite, meningoradiculonevrite,
quindi meningite a liquor limpido, lieve encefalite, nevrite dei nervi cranici e mielite.
Nel 5% dei casi si verifica interessamento cardiaco con blocco A-V di grado variabile, miocardite e
pericardite.
Si ha inoltre astenia intensa, sintomatologia muscolo-scheletrica migrante soprattutto delle grandi
articolazioni (tipo monoartrite di breve durata).
La risoluzione clinica avviene in alcune settimane ma si possono avere recidive.
3. Terzo stadio (60% dei pazienti non trattati)
Dopo mesi o anni dall’esordio dell’infezione compaiono poliartriti a decorso intermittente o cronico di
durata maggiore (anche 1 anno) con artrite erosiva (presenza nel liquido sinoviale di neutrofili e IMC) a
carico delle grandi/piccole articolazioni.
È presente inoltre encefalomielite cronica demielinizzante progressiva con deficit del VII e VIII nervo cranico
(DD con sclerosi multipla) che interessa la memoria, l’umore, il sonno ed il linguaggio.
Può essere presente anche acrodermite cronica atrofizzante: lesione violacea che diventa quindi sclerotica ed
atrofica.
Diagnosi
La ricerca di IgM e IgG ha problemi di sensibilità e specificità: a causa della risposta tardiva dell’ospite si ha
positività nella fase acuta del 40%, dopo 4 settimane del 70%, dopo 6 settimane del 90%. Le IgM e le IgG
vengono ricercate o con tecniche immunoenzimatiche o con il Western Blot.
Nella neuroborreliosi è importante la ricerca degli Ab specifici nel liquor ed il rapporto tra Ig specifiche
liquor/ Ig specifiche sangue e Ig totali liquor/ Ig totali sangue:
se è 1 significa che si ha passaggio di Ig attraverso la BEE mentre se è > 1 significa che si ha produzione di Ig
in loco.
Questo è importante per la DD con il tetano in cui non ci sono Ig specifiche nel liquor e non c’è loro
produzione locale.
Nell’artrite si può fare la ricerca del genoma batterico con PCR.
Terapia
Va fatta per 3-4 settimane (anche per 2 mesi nelle artriti)
doxiciclina 100 mg x 2 os 21-28 giorni
amoxicillina 500 mg x 4 os 20-30 giorni
cefuroxime 500 mg x 2 im 20-30 giorni
ceftriaxone 2 g im 14-28 giorni
penicillina 5.000.000 x 4 ev 30 giorni nelle fasi avanzate della malattia
LEPTOSPIROSI
È una antropozoonosi sostenuta dalla Leptospira.
La Leptospira appartiene al genere delle Spirochete (poco colorabili con il metodo di Gram), è visibile in
campo oscuro (tendono a ruotare su loro stesse) o con impregnazione argentica, ha crescita lenta in terreni
contenenti alcoli o acidi grassi a lunga catena.
Le forme patogene appartengono alla specie Leptspira interrogans che è divisa in sierogruppi che hanno
l’antigene somatico in comune e differiscono per gli antigeni di superficie.
I diversi sierogruppi sono correlati ad un diverso serbatoio animale:
o L. batavia: Micromys minutus porcinus
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o L. icterohaemorragiae: ratto
o L. pomora: maiale
o L. canicola: cane
Gli animali sono portatori occasionali, transtitori o permanenti.
Nell’animale l’infezione si localizza a livello dei tubuli contorti di II ordine e del bacinetto renale e si ha
quindi eliminazione delle Leptospire con le urine.
Le Leptospire sono in grado di sopravvivere a lungo anche per mesi nelle acque stagnanti, nelle risaie e nel
fango che vengono contaminati dalle urine infette.
L’infezione dell’uomo avviene accidentalmente per contatto con la cute bagnata soprattutto in soggetti che
permangono a lungo in acqua come pescatori, in cui si verifica macerazione della cute da parte dell’acqua.
La penetrazione può avvenire anche attraverso le mucose come le congiuntive.
Dalla cute le Leptospire invadono il torrente circolatorio dando luogo ad una prima fase setticemica quindi
compaiono gli Ab specifici e scompaiono le Leptospire dal sangue circolante, si verifica infatti
opsonizzazione con presenza di IC e clearance RE (che può determinare sequele da IC).
La diffusione sistemica produce endotelite e vasculite sistemica; dopodiché si passa alla fase di localizzazione d’organo.
Le Leptospire hanno un particolare tropismo d’organo per meningi, corticale renale (tubuli contorti distali) e
fegato.
La gravità della malattia dipende dal sierotipo interessato e varia da forme asintomatiche a forme letali.
Clinica
Il periodo di incubazione è di 1-2 settimane.
Morbo di Weil (L. icterohaemorrhagiae)
Ha inizio brusco con brividi, febbre a 39-40°, mialgie intense e diffuse, artralgie, cefalea, anorresia, nausea,
vomito, congiuntivite, bradicardia relativa ed epatosplenomegalia (DD con normale quadro settico).
Questa sintomatologia dura per 5-7 giorni poi la febbre scende per lisi e si ha un intervallo apiretico di 1-2
giorni dopo di che compare la fase itterica con ittero color arancio (perché all’ittero si associa
vasodilatazione periferica: rosso+gialloarancione) ed epatomegalia con modico incremento delle
transaminasi (d.d. epatite virale), incremento della fosfatasi alcalina e iperbilirubinemia indiretta (per emolisi
e deficit di captazione).
L’altro aspetto importante è il danno renale con albuminuria, cilindruria (d.d. sindrome epatorenale),
microematuria, iperazotemia; spesso è necessario ricorrere alla diagnosi.
Si possono avere anche manifestazioni emorragiche dovute a capillarite e piastrinopenia come epistassi,
petecchie,emorragie congiuntiveli o polmonite o ARDS o miocardite.
Si verifica quindi caduta della febbre per lisi dopo 14-20 giorni con regressione dell’ittero e
dell’insufficienza renale. Quadri gravi sono caratterizzati da stato stuporoso e IRC.
Sindrome meningea a liquor limpido (L. pomona, L. canicola, L. batavia)
Il decorso è spesso bifasico con prima fase febbrile, poi miglioramento e quindi seconda fase con febbre e
sintomi meningei. Essendo una meningite a liquor limpido va distinta da quelle ad eziologia virale: in questo
caso la patogenesi è da IMC e non da azione diretta della Leptospira, che non è presente.
È presente cefalea intensissima, mialgie intense ed eventualmente esantema, e congiuntivite concomitante.
La durata è di circa 10 giorni.
Forme afebbrili pure
Il decorso è aspecifico, prevalgono le mialgie e vi è una lieve sofferenza epatica. La diagnosi è per lo più
retrospettiva anche perché sono a risoluzione spontanea.
Diagnosi
È presente leucocitosi neutrofila e incrmento della VES, aumento di CPK e FA.
L’emocoltura è positiva nella fase acuta mentre dopo 2-3 settimane l’isolamento delle Leptospire va fatto
nelle urine.
Le indagini sierologiche si basano su prove di agglutinazione: la sieroconversione è però tardiva, in quanto
richiede fino a 30 giorni.
Tecniche ELISA sono in grado di evidenziare IgM specifiche anche in 3-4° giornata.
Terapia
La terapia è tanto più efficace quanto più precoce. Si basa su penicilline (in alternativa cloramefenicolo o
tetracicline), ma l’efficacia non è comprovata nella fase tardiva della malattia.
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BRUCELLOSI
Zoonosi trasmessa dagli animali infetti. La malattia non ha caratteristiche cliniche estremamente specifiche e
ha molti sinonimi in base alla localizzazione geografica (febbre mediterranea, maltese, di Gibilterra, di
Cipro) o ai caratteri della febbre (febbre ondulante) o per la relativa somiglianza con la malaria e il tifo (es.
tifo intermittente).
Eziologia
Le specie di brucella (così chiamata dal medico inglese D. Bruce che la scoprì a Malta nel 1887) patogene
per l’uomo sono 4: B. melitensis (la + comune, acquisita per lo più dalle pecore e dai cammelli), B. abortus
(acquisita dai bovini), B. suis (dai maiali), B. canis (indovinate un po’ chi la trasmette…).
Le brucelle sono molto resistenti all’ambiente esterno: ad es. sopravvivono 40 giorni nei terreni essiccati
contaminati da feci e urine, ancor di più se c’è umidità; resistono bene anche al congelamento ma non dalla
bollitura, pertanto la pastorizzazione dei prodotti caseari è una misura assai valida.
Epidemiologia
L’incidenza globale della brucellosi non è facilmente decodificabile ma è comunque una malattia ubiquitaria:
solo alcuni Paesi nordici, la Svizzera, la Repubblica Ceca e Slovacca, la Romania, il Regno Unito, l’Olanda e
il Giappone. In Italia quindi è presente.
Nei Paesi industrializzati si pensa possa essere fino a 26 volte più diffusa di quanto dicano i casi notificati. I
maggiori fattori di rischio per l’esposizione e il contagio sono il consumo di formaggi d’importazione, i
viaggi all’estero e l’esposizione professionale (lavorazione della carne e dei derivati del latte).
Le modalità di trasmissione sono molteplici: quella attraverso l’ingestione di alimenti infetti è soltanto la più
comune; infatti può essere acquisito per via inalatoria dalla polvere di terreni contaminati o dal mantello
degli animali infetti, oppure attraverso soluzioni di continuo della cute, per autoinoculazione o attraverso la
congiuntiva.
Il contagio interumano diretto è possibile attraverso la placenta, con l’allattamento e, più raramente con i
rapporti sessuali.
Patogenesi
La brucella ha una PANtropismo, con particolare predilezione per il sistema reticolo-endoteliale: essa infatti
viene fagocitata dai PMN e dai macrofagi attivati. È infatti un parassita endocellulare, per cui può sviluppare
una risposta infiammatoria granulomatosa, anche con aspetti di caseificazione, di necrosi e di ascessualizzazione. Tra le citochine prodotte una preponderanza di IL-2 è protettiva perché stimola la sintesi di
interferone, che attiva i macrofagi. Al contrario l’IL-10 è dannosa perché limita l’efficienza della CMI. Le
brucelle possono così replicarsi indisturbate nei LN e nei tessuti del reticolo-endotelio in genere.
Clinica
Dal punto di vista clinico la brucellosi è una malattia ostica da diagnosticare poiché non ha punti fissi o
caratteristiche peculiari. Per es. l’incubazione è in genere di 1-3 settimane ma può protrarsi anche per alcuni
mesi, per cui anche un’eventuale rischio di esposizione presente in anamnesi va ponderato. I sintomi
esordiscono in maniera brusca (1-2 giorni) o graduale.
Tra i sintomi più comuni vi sono:
 febbre: non ha un andamento specifico ma può presentare un certo ritmo circadiano, con temperatura
normale al mattino e elevata nelle ore pomeridiane e serali
 brividi
 sudorazione (sudore che sa di urina di topo)
 cefalea
 mialgia
 artralgia: nella maggior parte dei casi si tratta di una poliartrite reattiva asimmetrica che interessa le
ginocchia, l’anca e il cingolo scapolare; il liquido sinoviale ha i caratteri classici della flogosi
(abbondanza di PMN, ridotta concentrazione di glucosio e aumentata di proteine e ridotta viscosità)
ed è positivo alla ricerca delle brucelle nella ½ dei casi
 anoressia e perdita di peso
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 dolore lombare: l’osteomielite brucellare colpisce più comunemente le vertebre lombari, iniziando
dall’estremità superiore del piatto vertebrale e da qui può progredire fino a interessare l’intero corpo
vertebrale e lo spazio discale
 stipsi
 odinofagia
 tosse secca
come si vede, nessuno è specifico di questa malattia e tutti quanti possono presentarsi da soli o associati a
uno o più degli altri segni-sintomi compresi nell’elenco, peraltro nient’affatto completo. Anche l’E.O. è
ingannevole in quanto i pazienti possono apparire sì pallidi, con linfadenopatia, epatosplenomegalia, artrite,
orchiepididimite, rash cutaneo, soffi cardiaci o polmoniti. Altri però appaiono perfettamente normali e in
buona salute.
Altri danni d’organo
Cuore: si può avere una pericardite, miocardite oppure un’endocardite: quest’ultima si sviluppa su valvole
precedentemente danneggiate ad es. per un RAA o per malformazioni congenite, e non è clinicamente
distinguibile dalle altre endocarditi batteriche; in era pre-antibiotica costituiva la principale causa di decesso
per brucellosi. I medici devono indicare ai laboratori microbiologici il sospetto clinico di brucellosi sulla
base di dati anamnestici-clinici, poiché sono necessari accorgimenti e terreni particolari per la coltura.
Vie respiratorie: modesta sindrome flu-like, laringodinìa, tonsillite e tosse secca; molto rari i casi di
polmonite, noduli multipli o solitari, ascesso polmonare ed empieva pleurico.
Tratto GE: lievi disturbi come vomito, nausea, stipsi o diarrea e dolore addominale acuto; un’eventuale
biopsia epatica, peraltro mai eseguita per questo scopo, potrebbe mettere in evidenza granulomi non
caseficanti, ascessi suppurativi o infiltrazione da parte di cellule mononucleate. L’epatosplenomegalia è
comune, talvolta accompagnata da ittero e movimento delle transaminasi.
Tratto genito-urinario: alla brucellosi sono state attribuite diverse affezioni quali l’orichiepididimite, la
prostatite, la dismenorrea, gli ascessi tubo-ovarici, la salpingite e la cervicite nelle donne, la pielonefrite in
entrambi i sessi; urinocolture positive nel 50% dei casi.
SNC: la neurobrucellosi è una manifestazione assai grave ma per fortuna infrequente; può manifestarsi con
quadri di meningoencefalite, ascessi multipli cerebrali e cerebellari, la rottura di aneurismi micotici, la
mielite, la sindrome di Guillàin-Barrè, la lesione dei nervi cranici, l’emiplegia e la sciatica. In particolare se
vengono interessati il III, IV e VI paio di nervi cranici si possono avere gravi danni oculari come neurite
retrobulbare, atrofia ottica e oftalmoplegia. Spesso sussiste ipertensione endocranica: il liquor è
macroscopicamente variabile, da limpido a torbido e ad emorragico, con proteine e linfociti aumentati; la
Brucella può essere isolata dal liquor.
Cheratiti, endoftalmiti, ulcere corneali e perfino distacco della retina sono possibili quando ci sia una
massiva contaminazione degli occhi.
Durante la gravidanza la Brucella può trovarsi nella placenta e nel feto e causa frequentemente aborto.
Le manifestazioni endocrinologiche possibili comprendono la tiroidine, l’insufficienza surrenalica e la
SIADH.
Diagnosi
Anche se l’emocoltura risulta negativa, la diagnosi di brucellosi viene considerata certa in presenza di un
quadro clinico compatibile, di un’esposizione probabile e dell’aumento dei livelli di agglutinine brucellari;
occorre dire infatti che le brucelle, avendo un tropismo particolare per il SRE spariscono velocemente dal
circolo ematico per situarsi per lo più a livello di fegato, milza e midollo osseo.
Gli antigeni usati per i testi sierologici sono cross-reagenti con le specie patogene di Brucella più diffuse,
eccetto B. canis.
Nelle zone endemiche è usuale il riscontro di elevati titoli anticorpali, per cui per confermare la diagnosi si fa
un ulteriore prelievo dopo 2-4 settimane per verificare un aumento del titolo: se sono elevate le IgM significa
che c’è stata un’esposizione recente, mentre le IgG indicano uno stato di malattia attiva.
Il sospetto di brucellosi va indicato al microbiologo, poiché le bottiglie per le emocolture vanno conservate
per un periodo prolungato, che può raggiungere le 6 settimane. Il 50% delle emocolture e il 70% delle
sternomielocolture sono positive con i procedimenti appropriati.
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La valutazione dei danni scheletrici si basa sulla radiografia convenzionale (mette in rilievo la presenza di
sclerosi ossea), sulla scintigrafia ossea (più sensibile nel documentare zone di aumentata fissazione a livello
delle articolazioni sacroiliache), sulla TC e sulla RMN (più accurate nella definizione dei danni vertebrali.
Terapia
Le linee guida prescrivono assolutamente l’impiego di un solo farmaco per un periodo limitato di tempo,
perché questa strategia si associa ad alto tasso di recidiva.
Lo schema raccomandato prevede l’associazione di doxiciclina + un aminoglicoside per 4 settimane, seguita
da doxiciclina + rifampicina per 4-8 settimane. La rifampicina abbassa i livelli plasmatici di doxiciclina, per
cui va aggiustato il dosaggio oppure impiegato un sostituto come la netilmicina.
La meningite brucellare, molto grave, si tratta aggiungendo ai suddetti farmaci altri 2 come i fluorochinoloni
e le cefalosporine di III generazione (entrambi efficaci in vitro).
In gravidanza invece, per prevenire l’aborto si preferisce usare il cotrimossazolo.
Affezioni gravi come l’endocardite possono richiedere la cardiochirurgia, per la rimozione di ascessi del
tronco aortico.
La terapia dovrebbe condurre alla remissione dei sintomi entro 4-14 giorni e la riduzione
dell’epatosplenomegalia in 2-4 settimane; tuttavia i pazienti vanno seguiti clinicamente e sierologicamente
per 2 anni, effettuando emocolture ogni 3-6 mesi.
Prevenzione
Si può intervenire sulla sorgente d’infezione, immunizzando gli animali e pastorizzando il latte. Il vaccino
umano è usato solo nei Paesi dell’ex URSS, Cina e Francia nelle categorie professionali a rischio, nelle quali
ha marcatamente diminuito le infezioni, ma solo per un periodo di 2 anni.
Prognosi
Già in era pre-antibiotica la letalità era bassa e per lo più dovuta ad endocardite. Oggi le cause di morte sono
tutte ampiamente prevenibili, tuttavia rimane il pericolo di complicanze neurologiche e muscolo-scheletriche
permanenti. Alcune di esse come la sordità neurosensoriale potrebbero essere dovuti alla meningite ma anche
alla streptomicina
LEISHMANIOSI UMANA
Il genere Leishmania comprende numerose specie in grado di dare differenti forme cliniche; il tipo di
malattia che si sviluppa dipende infatti da:
fattori inerenti il parassita
invasività
tropismo
virulenza
fattori inerenti l’ospite
tipo di risposta immune
3 sono le forme cliniche principali:
L. viscerale (in cui c’è un coinvolgimento generalizzato degli organi che fanno parte del SRE – milza,
midollo e fegato): causata dalle specie L. donovani, L. infantum e L. cagasi
L. cutanea del vecchio mondo: L. tropica, L. major, L. aethiopica…
L. cutanea del nuovo mondo: L. braziliensis, L. panamensis, L. mexicana ecc…
Patogenesi
L’infezione viene contratta attraverso la puntura da parte del vettore: nella sede di inoculo sottocutaneo si
produce una piccola papula, quasi in apparente (evidenza clinica del granuloma). Dopodiché lìevoluzione
dipende dalla complessa interazione tra virulenza parassitaria e risposta dell’ospite.
La Leishmania è un parassita endocellulare dei macrofagi e come tale si replica al loro interno resistendo ai
sistemi di killing aspecifici. L’uccisione del parassita è possibile solo con l’attivazione del macrofago ad
opera di una risposta immune specifica che si sviluppa nelle seguenti fasi:
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infezione del macrofago  produzione di Il-1 e TNF  attivazione dei L.Th e differenziazione verso il
subset Th1  produzione da parte di questi di un vasto spettro di citochine, tra cui l’IFN-g  potenziamento
burst ossidativo macrofagico (aumento Nos, mieloperossidasi ecc…)
Una risposta di tipo Th1 è protettiva, mentre una di tipo Th2 è dannosa, poiché i L. Th2 producono 2
importanti citochine che bilanciano gli effetti innanzi visti:
IL-4: inibisce l’attivazione e il killing macrofagico
IL-10: inibisce l’espressione delle molecole di MHC-II sulle APC e inibisce la sintesi di citochine ad azione
differenziativi verso il subset Th1.
L’importanza del tipo di risposta dell’ospite è stata compresa grazie ad evidenza sperimentali:
nel siero di pazienti con L. cutanea cronica distruttiva c’erano elevati livelli di IL-4, mentre in quelli affetti
dalla forma localizzata erano preponderanti IL-2 e IFN-g
evidenza dell’efficacia di Ab anti IL-4 in studi su L. sperimentale delle cavie
Come si noterà le caratteristiche del microbo, localizzazione a parte assomigliano a quelle dei micobatteri e
non a caso la lesione anatomo-clinica fondamentale della leishmaniosi e il granuloma.
Microbiologia
Le Leishmanie (appartenenti alla famiglia delle Trypanosomatidae) sono protozoi asessuati (si moltiplicno
esclusivamente per scissione binaria longitudinale) dixeni (cioè che compiono una parte del loro ciclo vitale
nell’insetto).
Le forme in cui si possono trovare sono:
promastigote: allungato, flagellato, presente nell’intestino dell’insetto
amastigote: rotondeggiante, senza flagello, citoplasma blu e nucleo rosso
Epidemiologia
Il vettore è rappresentato dai ditteri (moscerini) del genere Phlebotomus; serbatoio d’infezione sono invece i
cani, i piccoli roditori e, in India, l’uomo stesso, poiché il vettore è antropofilico. La malattia, pur nelle sue
varianti cliniche, è endemica nella penisola arabica, in America Latina, nell’Africa equatoriale,
nell’altopiano del Tibet e nelle regioni mediterranee. In Italia in particolare sono interessate le isole, il
Gargano e la costa tirrenica.
Le categorie maggiormente a rischio sono i bambini di età inferiore ai 10 anni, i giovani e gli adulti solo se
sovraesposti al vettore per ragioni professionali o di altro motivo e, naturalmente, i soliti sfigati pazienti con
deficit dell’immunità, soprattutto quella cell-mediated.
Clinica
L. VISCERALE
L’incubazione è di durata assai variabile: può andare da 10 gg fino anche a 34 mesi, con una media di 3-8
mesi; spesso è difficile da calcolare perché la lesione iniziale può passare inosservata, essendo poco
appariscente. Dalla sede di inoculo però gli amastigoti diffondono per via ematogena e infettano gran parte
delle cellule del SRE, con interessamento multiorgano.
Anche l’esordio è graduale e subdolo, con malessere e altri sintomi aspecifici. Compaiono poi via via i
seguenti sintomi (non necessariamente tutti):
febbre (intermittente o remittente, con picchi bi-quotidiani, a volte con andamento più bizzarro) in genere
ben tollerata
tosse
diarrea
epifenomeni emorragici (come epistassi, gengivorragie ecc…)
importanti segni clinici di accompagnamento sono invece:
splenomegalia ingravescente, accompagnata da epatomegalia e linfadenopatia generalizzata
(espressione di un’iperplasia diffusa del sistema reticolo-endoteliale)
leucopenia (con neutropenia relativa)
piastrinopenia
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anemia (normocromica-normocitica, di natura multifattoriale: emolisi, infiltrazione midollare,
ipersplenismo, emodiluizione)
ipergammaglobulinemia (a base larga, di tipo policlonale, dovuta ad attivazione di molteplici stipiti
di L. B)
VES aumentata (spesso < 100 dopo 1 h)
La cute si presenta sottile e secca, con una sfumatura grigiastra.
Per queste stigmate cliniche occorre porre diagnosi differenziale con: leucemie/linfomi, sepsi, brucellosi
(altro parassita dei macrofagi con interessamento multiorgano), tifo bacillare.
Diagnosi
Esame diretto dell’aspirato midollare per evidenziare i promastigoti (ben visibili perché lunghi e flagellati)
nelle cellule del SRE, oppure, se non si notano, sternomielocoltura su NNN (tipo di terreno).
Test sierologici (IF, ELISA)
L. CUTANEA DEL VECCHIO MONDO
Nota con diversi altri nomi, tra cui “bottone d’oriente” e “piaga di Baghdad”, rappresenta l’evoluzione della
papula che compare in sede d’inoculo. Si distinguono 3 forme:
forma “secca” : L. tropica – Lesione papulosa, rosso caminio, unica, estesa in profondità e in superficie (per
2-3 cm, con confini mal delimitabili), ad evoluzione necrotico-ulcerativa nel giro di qualche settimana
forma “umida” : L .major – Lesione di maggiori dimensioni, più scavata, ad evoluzione più rapida e di
prognosi peggiore; il nome le è stato conferito per la superficie ulcero-caseosa a carattere più umido rispetto
alla forma secca
forma cutanea diffusa: in questo caso la lesione non si ulcera ma rimane papula o nodulo, intorno al quale
si formano invece lesioni satelliti e metastatiche (più a distanza); predilige le aree cutanee più fredde.
L. CUTANEA DEL NUOVO MONDO
3 forme:
cutanea localizzata: lesioni ulcerative (simili alla forma secca)
cutanea diffusa: lesioni papulo-nodulari (simile alla forma diffusa del vecchio mondo)
mucocutanea:
espundia: lesioni granulomatose necrotizzanti mestastatiche a carico di orofaringe, naso e trachea
ecc… altamente destruenti (portano a mutilazioni gravi come quella del setto nasale); possono comparire
anche a distanza di tempo dalla lesione iniziale
pian bois: lesioni mucocutanee di aspetto verrucoso, prodotte dalla disseminazione per via linfatica
dei parassiti.
Terapia
Antimoniali pentavalenti come il PENTOSTAM (stibogluconato di sodio) e il GLUCANTIM (meglumine
antimoniato).
Hanno molti effetti collaterali nient’affatto trascurabili come anoressia, nausea/vomito/dolori addominali,
malessere, artromialgie ma soprattutto morte cardiaca improvvisa su base aritmica, dovuta ad allungamento
della ripolarizzazione (monitorare l’intervallo QT e l’onda T.
Se non tollerati si può usare l’Amfotericina B (in soluzione glucosata al 5%, in intralipid o in forma
liposomale).
Le recidive comunque sono frequenti e, nei pazienti HIV+ sfiorano il 70-80%.
MALARIA
È una malattia infettiva causata da protozoi del genere Plasmodium e trasmessa da zanzare del genere
Anopheles.
Il Plasmodium è un protozoo parassita che svolge il suo ciclo biologico tra 2 ospiti:
1. Un vertebrato in genere rappresentato dall’uomo che rappresenta l’ospite intermedio in cui compie la
riproduzione asessuale o schizogonia (tramite cariodieresi e citodieresi)
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2. La zanzara che rappresenta l’ospite definitivo in cui si svolge la riproduzione sessuale o sporogonia
Epidemiologia
Vi sono 4 generi di Palsmodium: Falciparum, Vivax, Ovale e Malariae.
L’infezione si contrae principalmente per puntura dell’Anopheles ma anche tramite trasfusioni di sangue
(malaria post-trasfusionale), aghi e siringhe contaminate (malaria dei TD) e passaggio transplacentare.
È stata descritta anche una malaria aeroportuale per infezione da zanzare trasportate da aerei provenienti da
zone endemiche.
Vi è un incremento delle infezioni nel tempo a causa dell’incremento dei viaggi e della diffusione delle
resistenze.
Il P. Vivax è endemico in America centrale e del Sud ed in Asia, il P. Malariae in queste zone ed anche in
Africa, il P. Falciparum ed Ovale in Africa.
Il P.Falciparum rappresenta il 90% dei plasmodi africani, massima endemicità nella savana e nella foresta.
Il 95% degli Africani è portatore del P.Falciparum, la malria in Africa è la prima causa di morte soprattutto
in età pediatrica.
La distribuzione dell’anemia falciforme, delle talassemia e del deficit di G6PD suggeriscono che queste
malattie comportino una protezione contro la Malaria e ciò ha una motivazione fisiopatologia soprattutto nel
caso della malaria perniciosa.
Il P.Vivax si trova anche in zone temperate, in quanto la presenza degli ipnozoiti permette la sopravvivenza
parassitaria anche in inverno quando manacano gli insetti vettori, il P.Falciparum al contrario si trova solo in
zone con presenza del vettore per tutto l’anno (mancano gli ipnozoiti).
Patogenesi
I plasmodi sono parassiti endocellulari il cui ciclo biologico si divide in diversi stadi:
1. fase schizogonica esoeritrocitaria o epatocitaria
la femmina dell’Anopheles tramite puntura inietta gli sporozoiti presenti sulle sue ghiandole salivari i quali
dal sangue raggiungono il fegato e penetrano negli epatociti all’interno dei quali si trasformano in schizonti
da cui originano un certo numero di merozoiti che passano in circolo (1 schizonte epatocitario da 103-4
merozoiti).
Una parte degli sporozoiti di P.Vivax ed Ovale entrano in una fase latente all’interno degli epatociti sotto
forma di ipnozoiti i quali sono responsabili di recidive a distanza (anche dopo 6-11 mesi).
2. fase schizogonica intraeritrocitaria
i merozoiti penetrano nei globuli rossi e si trasformano al loro interno in trofozoiti ad anello con castone così
chiamati per la presenza al loro interno di un vacuolo all’interno del quale viene degradata l’Hb. I parassiti
infatti ricavano energia a spese della cellula ospite. L’Hb viene degradata e l’eme viene trasformato in
emozina, un pigmento bruno che viene immesso nel sangue e viene fagocitato dai PMN.
Il trofozoita quindi si trasforma in schizonte da cui originano numerosi merozoiti che lisano l’eritrocita e si
riversano all’esterno andando a parassitare altri eritrociti (1 schizonte eritrocitario da 24-32 merozoiti).
Il ciclo schizogonico si ripete ogni 48 nella terzana e ogni 72 nella quartana e termina con la lisi degli
eritrociti che libera i parassiti ed il pigmento malarico che funziona da pirogeno endogeno causando i
caratteristico ascesso febbrile.
3. fase gametogonica
dopo alcuni cicli schizogonici i merozoiti all’interno degli eritrociti si differenziano nelle forme sessuate
rappresentate dal macrogametocita e dal microgametocita (questo rappresenta l’unico stadio infettante per
l’Anopheles femmina).
4. fase sporogonica
l’Anopheles femmina durante il suo pasto ematico acquisisce i gemetociti che si trovano all’interno dei
globuli rossi i quali a livello dello stomaco fuoriescono e diventano sessualmente maturi producendo
macrogameti (femminile) e microgameti (maschile).
Avviene quindi la fecondazione del macrogamete da parte del microgamete a formare uno zigote che si
trasforma in oocinete e quindi in ovocisti che da luogo a numerosi sporozoiti che migrano nelle ghiandole
salivari della zanzara.
Caratteristiche peculiari dei diversi tipi di Plasmodium:
Falciparum
Vivax
Ovale
Malariae
Eritrociti non modificati Eritrociti ingranditi e Eritrociti
lievemente Eritrociti
tendono
scolorati
aumentati di volume
diminuire di volume
a
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Trofozoiti anulari con 1-2
castoni
No
granulazioni,
in
qualche caso macchie di
Maurer, rosa-scuro
Parassitemia elevata
3-30%
anche
>1
trofozoita per gr
Schizonte con 12-24
merozoiti
Gametofiti a sigaro o a
banana
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Trofozoiti anulari con 1
castone
Granulazioni
intraeritrocitaria rosa fini
(granuli di Schuffner)
Parassitemia < 2%
1 trofozoita per gr
Schizonte con 16-24
merozoiti
Gametofiti rotondeggianti
Trafozoiti anulari con 1
castone
Granulazioni
color
porpora
(granuli
di
James)
Parassitemia < 1%
Trofozoiti anulari
castone
No granulazioni
con
Parassitemia bassa < 1%
Schizonte
a
banda
trasversale
Gametofiti piccoli
La risposta immunitaria è di tipo umorale indotta dalla presenza in circolo di merozoiti e schizonti eritrocitari
(non le forme epatiche latenti) si instaura lentamente e limita l’incremento della parassitemia ma non
conferisce protezione nei confronti dell’infezione, l’immunità permane soltanto se la stimolazione antigenica
è sempre rinnovata tramite reinfezioni come accade nei soggetti che si trovano in aree endemiche in si hanno
spesso infezioni asintomatiche.
Tale situazione detta premonizione e può essere persa quando i soggetti si allontanano dalla zona di endemia
per lunghi periodi di tempo.
Il P.Falciparum è l’unico parassita malarico che produce malattia microvascolare.
Nelle emazie parassitate infatti compaiono delle estroflessioni di membrana sotto forma di protuberanze che
determinano citoaderenza all’endotelio (l’espressione di recettori endoteliali è TNF dipendente) con danno
del microcircolo e sequestro in periferia delle emazie dovuto anche alla mire deformabilità delle emazie
parassitate.
Il sequestro periferico protegge il parassita dalla rimozione dal circolo ad opera del filtro splenico e dal
danno ossidativo per passaggi ripetuti attraverso il letto capillare polmonare a pO2 elevata.
In caso di anemia falciforme il sequestro delle emazie facilita la loro falcemizzazione (dovuta alla riduzione
della pO2) che determina la rottura dell’eritrocita con liberazione del parassita.
In questo modo l’anemia Falciforme protegge dall’infezione severa complicata da P-Falciparum ma non da
altri plasmodi in cui non si ha il sequestro in periferia.
La malaria da P.falciparum è caratterizzata inoltre da una elevata parassitemia che determina una maggiore
estensione e gravità della malattia mucrovascolare e una maggiore severità degli effetti metabolici che sono
rappresentati da:
o ipoglicemia: per deplezione del glicogeno epatico, consumo di glucosio da parte dei parassiti,
liberazione di TNF (anche liberazione di insulina in caso di terapia con chinino o chinidina)
o perossidazione dei lipidi causata dal ferro libero che determina formazione di radicali dell’O2
o acidosi lattica dovuta alla glicolisi anaerobia nei tessuti in cui gli eritrociti parassitari interferiscono
con il microcircolo e dalla produzione da parte del parassita
nell’infezione da P. Vivax ed Ovale che parassitano soltanto le emazie vecchie la parassitemia è limitata
dalla richiesta di emazie giovani e l’emolisi determina reticolocitosi.
Nella malaria da P.Malariae il parassita può persistere nel sangue fino a 30 anni e le manifestazioni sono
dovute alla formazione di IC.
Clinica
La gravità clinica della malaria dipende dalla specie di plasmodi, dalla carica parassitaria e dalla situazione
immunologica specifica dell’ospite.
I fattori legati all’ospite sono rappresentati dalla funzione di filtro operata dalla milza (in individui
splenectomizzati la malattia decorre in modo più grave) e dal sistema HLA (HLABw53 con polimorfismo
del promoter per il TNFα è proteggente).
Il periodo di incubazione è di 10-30 giorni (10-14 per P. Vivax, Ovale e Falciparum e 21-30 per P. Malariae).
Inizialmente è presente febbre irregolare preceduta da brivido con nausea vomito, cefalea, mialgia,
alterazioni del sensorio e ipotensione. I sintomi sono causati dall’attivazione dei macrofagi e dalla
produzione di citochine in particolare TNFα. È presente anche epatosplenomegalia dovuta all’iperplasia del
SRE in cui vengono distrutte le emazie parassitate. Può essere presente anemia emolitica.
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Dopo 2-3 cicli schizogonici si verifica la sincronizzazione del ciclo parassitario (poiché temperature > 40°
sono schizonticide) che determina la febbre tipica:
fase algida con brividi squassanti e freddo intenso
puntata febbrile
defervescenza con sudorazione
le puntate febbrili si ripetono ogni 48 ore per P. Falciparum, Ovale e Vivax (terzana) e ogni 72 ore per P.
Malariae (quartana).
L’evoluzione se il primo episodio non viene trattato è diversa a seconda della specie:
o P.Vivax e Ovale: recrudescenza (<8 settimane) o recidive (> 24 settimane) con sintomatologia più
lieve, febbre caratteristica fin dall’inizio e splenomegalia presente da subito
o P.Malariae: glomerulonefrite e sindrome nefrosica dovute ad IC
o P.Falciparum: guarigione o forme perniciose
La malaria perniciosa è caratterizzata da:
o Alterazioni neurologiche fino al coma dovute a alterazioni del microcircolo cerebrale, ipoglicemia,
acidosi lattica, febbre elevata e liberazione di NO che compensa il danno atossico con
vasodilatazione ma determina inibizione della neurotrasmissione
o Anemia con Hb < 7g causata dall’emolisi e dall’inibizione dell’emopoiesi causata dal TNF
o Edema polmonare (ARDS) causato dal TNF
o Insufficienza renale con oligoanuria, iperazotemia, emoglobinuria e proteinuria causata dalle
alterazioni microcircolatoria e dall’emoglobinuria dovuta all’emolisi (necrosi tubulare acuta da
pigmenti – motivo per cui la malaria perniciosa è chiamata anche black water fever)
o Ipoglicemia, alterazioni idroelettrolitiche, leucocitosi neutrofila
o Febbre continua, tachicardia e shock
o Ittero emolitico (iperbilirubinemia indiretta dovuta a emolisi)
o Alterazioni intestinali con crampi addominali, vomito e diarrea
Diagnosi
Si basa sulla dimostrazione del parassita all’esame diretto dello striscio di sangue durante il picco febbrile,
che da anche un orientamento sulla specie di Plasmodium in base a:
o Numero di castoni nei trofozoiti
o Numero di trofozoiti nel globulo rosso
o Parassitemia
o Morfologia dei globuli rossi
Si può fare anche la ricerca di Ab specifici tranne che nelle zone endemiche, dove chiaramente tutti gli
individui li possiedono.
Terapia
La scelta della terapia è in funzione della zone di acquisizione della malattia: solo in Egitto, Messico e
Arabia non è presente clorochino-resistenza.
1. Malaria da P.Vivax, Ovale Malariae (Falciparum sensibile alla clorochina)
Clorochina 600 mg per os, 300 mg dopo 6 ore, 300 mg dopo 24 ore, 300 mg dopo 48 ore
In caso di P.Vivax o Ovale anche primachina (che è in grado di distruggere le forme epatiche) 15 mg/die
per 14 giorni, è importante saggiare i pazienti per il deficit di G6PD (se G6PD < 10% non va usata
primachina, se 10-60% 45 mg/wK per 8 wK?). La primachina non va usata in donne in gravidanza e in caso
di malaria da trasfusione dal momento che non si sviluppa il ciclo esoeritrocitario epatico.
2. Malaria da P.Falciparum clorochino-resistente
Meflochina 1250 mg una tantum o meflochina 750 mg + 500 mg dopo 6 ore + 250 mg dopo 12 ore
Oppure chinino 650 mg x 3 per 7 giorni + doxicillina 100 mg x 2 per 7 giorni o chinino 650 mg x 3 per 7
giorni + fansidar 3 cpr una tantum
Oppure artesunato 4 mg/Kg al giorno per 3 giorni + meflochina (doxicillina in zone meflochina-resistenti)
in zone chinino-resistenti.
3. Malaria perniciosa
Chinino ev 600 mg x 3 (non può essere somministrato per os a causa di alterazione della coscienza) +
doxicillina 100 mg x 2 per 10 giorni
La doxicillina da problemi di fotosensibilizzazione che rappresenta quindi un problema nei viaggi in zone
tropicali.
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4. Malaria in gravidanza
Chinino + clindamicina 450 mg x 3
La profilassi si basa su:
prevenzione antivettoriale: evitare la permanenza all’estterno dopo il tramonto, zanzariere, condizionatori
d’aria, emanatori di vapori al pietro (insetticida), insetticidi spray e repellenti cutanei da applicare
ripetutamente sulle zone cutanee esposte
chemioprofilassi da una settimana prima a 4 settimane dopo la fine dell’esposizione:
clorochina 300 mg alla settimana (in zone non a rischio di esposizione al P.Falciparum clrochino-resistente)
controindicato in donne in gravidanza e bambini < 1 Kg.
Meflochina 250 mg alla settimana in zone a rischio per P.Falciparum clorochino-resistente o in alterantiva
doxicillina 100 mg al giorno.
TOXOPLASMOSI
È un infezione causata da Toxoplasma Gondii ubiquitaria in tutto il mondo ed estremamente diffusa.
Decorre nella maggior parte dei casi asintomatica ma la sua rilevanza clinica riguarda le forme congenita e
dell’immunodepresso.
Il Toxoplasma Gondii appartiene al genere Amicoplexa, classe Sporozoi, sottoclasse Coccidi ed è un
parassita endocellulare dixene che compie il suo ciclo biologico tra:
• ospite definitivo: gatto in cui si svolge la fase sessuata (sporogonia)
• ospite intermedio: animali tra cui l’uomo in cui si svolge la fase asessuata (schizogonia)
il ciclo biologico del toxoplasma avviene in 3 fasi:
1. fase intestinale nel gatto
il gatto ingerisce una oocisti infettante che si divide in numerosi trofozoiti i quali a livello dell’intestino del
gatto si trasformano in schizonti, merozoiti e quindi micro e macrogametociti che danno luogo ai gameti.
Il microgamete quindi feconda il macrogamete dando luogo ad uno zigote che quindi va a costituire l’oocisti
che viene eliminata con le feci.
2. fase esogena nell’ambiente
le oocisti sono una forma di resistenza in grado di sopravvivere per mesi nelle feci o nel suolo.
L’ingestione dell’oocisti da parte del gatti fa ricominciare il ciclo.
3. fase endogena extraintestinale nell’uomo
l’uomo ingerisce la cisti infettante il cui involucro protettivo viene digerito dai succhi gastrici e si ha la
liberazione degli sporozoiti che penetrano e si moltiplicano nelle cellule epiteliali dell’intestino dando luogo
ai merozoiti che per via linfatica ed ematica (parassitemia) raggiungono il sistema RE ed in particolare i
linfonodi dove si verifica iperplasia follicolare con gruppi di istiociti epitelioidi ai margini dei centri
germinativi e cellule monocitarie.
I merozoiti quindi quindi parassitano i macrofagi all’interno dei quali si trasformano in tachizoiti che
rappresentano la forma proliferativa responsabile della distruzione tessutale.
La risposta immune dell’organismo blocca la replicazione dei parassiti trasformandoli in bradizoiti che
permangono nel muscolo striato, nell’occhio e nel SNC in fase di latenza sotto forma di cisti.
Nei pazienti immunodepressi questa forma latente si può riattivare.
Per il controllo dell’infezione sono fondamentali sia l’immunità cellulo-mediata che l’immunità umorale.
Il toxoplasma è un parassita intracellulare che riesce a sopravvivere all’interno della cellula parassita tramite
la formazione di un vacuolo parassitoforo e l’inibizione della fusione con il lisosoma.
I parassiti opsonizzati penetrano nei macrofagi tramite il recettore FcR, l’invasione attiva dei macrofagi
attiva il killing intracellulare.
I linfociti CD4+ svolgono un ruolo centrale nella risposta immune in quanto secernono IL2 che attiva le
cellule NK (abili nel killing diretto del parassita) e stiomola la produzione di INFγ che aumenta il killing
macrofagico.
Svolgono un ruolo importante anche i linfociti CD8+ e le cellule LAK in grado di distruggere le cellule
parassitate.
L’IL-4 e IL-10 invece riducono il killing macrofagico.
La trasmissione dell’infezione può avvenire atraverso:
ingestione di carne cruda o poco cotta contente cisti
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ingestione di oocisti presenti nelle feci di gatto
trasmissione transplacentare
trasfusione di sangue (donatore in fase acuta con parassitemia)
trapianto di organo
Clinica
Toxoplasmosi acquisita del soggetto immunocompetente
Nel 90% dei casi evolve in modo asintomatico mentre nel 10% dei casi si ha un quadro clinico similmononucleosi con linfoadenopatia, febbre ed astenia.
La linfoadenomegalia è generalizzata o più spesso localizzata a livello cervicale.
Toxoplasmosi del soggetto immunodepresso
Nel paziente immunodepresso in particolare con AIDS si può avere la riattivazione dell’infezione latente con
diversi quadri clinici:
• toxoplasmosi cerebrale
si può manifestare con meningite, meningoencefalite, encefalomielite o encefalite.
Le lesioni sono multiple e focali e la localizzazione è alla giunzione corticomidollare.
Alla TC cranio sono presenti lesioni ipodense, con effetto massa, edema perilesionale e che prendono il
mezzo di contrasto in periferia.
• toxoplasmosi polmonare
indistinguibile dalla polmonite da Pneumocystis Carinii.
• toxoplasmosi oculare
relativamente infrequente nei pazienti con AIDS.
Toxoplasmosi congenita
L’infezione acuta in gravidanza è importante per il rischio di trasmissione al feto.
La trasmissione al feto per via transplacentare si verifica solo se l’infezione primaria avviene dopo il
concepimento e cioè durante la gestazione.
Il rischio di trasmissione è:
• 25% 1° trimestre: aborto, malformazioni congenite
• 40% 2° trimestre: morte intrauterina e forme connatali
• 60% 3° trimestre: neonato infetto apparentemente sano
clinicamente le manifestazioni della toxoplasmosi congenita si distinguono in:
 forme maggiori ad esordio clinico neonatale (fetopatia)
encefalomielite con tetrade di Sabin: idrocefalo, corioretinite, calcificazioni
cerebrali, ritardo mentale
toxoplasmosi generalizzata: ittero, epatosplenomegalia, manifestazioni cutanee e
disordini ematologici
 forme minori ad esordio clinico precoce
forme oculari isolate
forme neurologiche localizzate
forme itteriche isolate
 forme ad esordio clinico tardivo
forme neurologiche (ritardo psicomotorio, sindromi convulsive)
corioretiniti
la forma oculare può essere sia congenita (nella maggior parte dei casi) che acquisita.
È caratterizzata da corioretinite o panuveite monolaterale o bilaterale presente alla nascita o a distanza di
tempo (il secondo occhio può essere interessato anche a distanza di 20 anni).
Sono frequenti le recidive.
Diagnosi
È essenzialmente sierologica tramite toxo-test.
Il Dye-test (incubazione del siero del paziente con toxoplasma per vedere l’eventuale neutralizzazione da
parte di Ab) è stato soppiantato dall’immunofluorescenza diretta.
È importante la ricerca di IgM e IgG prima e subito dopo il concepimento.
In caso di sieronegatività la donna è a rischio di contrarre l’infezione durante la gravidanza (controllo
sierologico ogni mese).
In caso di sieropositività è importante valutare il titolo di IgM e IgG:
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infezione pregressa: assenza di IgM e presenza stabile di IgG
infezione in atto: presenza di IgM e IgG (le IgM rimangono fino ad 1 anno dall’infezione)
in caso di sospetta infezione congenita si fa la ricerca di IgM nel sangue cordale tramite funicolocentesi e poi
nel siero del neonato.
La presenza di IgM indica infezione del feto in quanto le IgM al contrario delle IgG non attraversano la
barriera placentare e quindi sono prodotte dal feto.
Si possono inoltre ricercare le sequenze di DNA specifiche per toxoplasma tramite PCR nel fluido
amniotico.
Terapia
In caso di diagnosi di toxoplasmosi in gravidanza va fatta terapia con spiramicina 2g al giorno fino al parto.
La toxoplasmosi nel soggetto immunocompetenti non necessita di terapia.
La terapia del paziente immunodepresso consiste in:
regime standard: pirimetamina 200 mg poi 50 mg die + acido folinico 10-20 mg die + sulfadiazina 4-6 g
die (4 dosi) / clindamicina 600 mg x 4 die.
Alternativa: cotrimoxazolo 120-160 mg x 4 die (o claritromicina, dapsone, pirimetamina).
È importante la prevenzione dell’infezione nella donna in gravidanza che si basa sull’evitare iil contatto con i
gatti, astenersi dal contatto con carne cruda o poco cotta, lavaggio ccurato di frutta e verdura che potrebbero
contenere oociti e monitoraggio sirologico.
MENINGITI
Malattie infiammatorie delle meningi e dello spazio subaracnoideo caratterizzate da un corteo di segni clinici
( sindrome meningea) e, sul piano laboratoristico da un aumento di leucociti nel liquor (pleiocitosi).
L’affezione può avere andamento acuto (< 28 giorni), subacuto e cronico.
Sindrome meningea
Il riscontro all’EO dei segni clinici della sindrome meningea (alcuni, non necessariamente tutti) è una
condizione necessaria per fare diagnosi di meningite.
Possiamo dividere le manifestazioni cliniche in 4 gruppi:
Segni di irritazione delle terminazioni nervose (cefalea, rigidità nucale, segno di Kernig e di Brudzinski,
Lasegue +, addome a barca, decubito a cane di fucile)
Segni di ipertensione endocranica (cefalea, vomito centrale a getto, bradicardia – discordanza del polso
arterioso, papilla da stasi)
Segni di irritazione dell’encefalo (delirio confuso, fotofobia, psicrofobia, convulsioni, sonnolenza, stupor,
coma)
Segni focali di deficit neurologici (paralisi dei nervi cranici – soprattutto il 4°, 6° e 7° paio, emiparesi,
afasia, alterazioni del campo visivo) – Il deficit del 6° paio di n.c. è fortemente suggestivo di aumento della
PIC.
Disturbi di tipo neurovegetativo (ritenzione urinaria fino al globo vescicole, respiro di Cheine-Stokes)
 in caso di sindrome meningea (meningismo), la rigidità nucale può essere l’unico segno presente. D’altra
parte invece essa è estremamente rara da riscontrare nei bambini.
Esame del liquor (rachicentesi lombare in L3-L4)
Permette di differenziare, indipendemente dalla loro eziologia, le seguenti condizioni:
meningismo
liquor con aspetto normale (“ad acqua di roccia”)
assenza di pleiocitosi liquorale (<6/mm3)
nessuna alterazione dei parametri biochimici
PIC aumentata (espressione di una condizione di irritazione dei plessi coriodei su base tossica o
tossinfettiva)
meningite sierosa
liquido limpido o lievemente citrino, smerigliato
pleiocitosi liquorale (con prevalenza di monociti)
glicorrachia normale/diminuita
protidorrachia normale/aumentata
meningite purulenta
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liquor purulento, torbido
pleiocitosi neutrofila
glicorrachia diminuita
protidorrachia aumentata
 PIC aumentata
emorragia subaracnoidea
liquor ematico (la DD con puntura traumatica sia fa tramite la conta differenziata tra leucociti ed emazia – in
caso di lesione traumatica di una vaso inoltre il liquor si schiarisce progressivamente per l’emostasi a livello
del vaso lesionato dall’ago)
le meningiti a liquor torbido (con presenza di + di 2000 x 106 leucociti/l), soprattutto se con glicorrachia
inferiore al 23% della glicemia e protidorrachia superiore a 2,2 g/l sono ad eziologia batterica nel 99% dei
casi.
Nelle meningiti a liquor limpido si pone invece il problema di differenziare le forme virali da quelle
batteriche (soprattutto quella tubercolare). La DD è possibile, ma non certa, solo in base alla glicorrachia, il
cui valore normale dovrebbe essere il 50-66% della glicemia misurata nello stesso momento.
1. Meningiti sierose a glicorrachia normale:
virali (compresa quella da HIV)
da vicinanza (ad un focolaio infettivo)
batteriche (Toxoplasma, Chlamydie/Rickettsie, Leptospire, B. burgdorferi)
2. Meningiti a glicorrachia diminuita
tubercolare
neoplastica (frequentemente emorragica)
micotica (C. neoformans, H. capsulatum)
batterica (brucelle, salmonella, treponemi e tutte le meningiti batteriche parzialmente trattate)
MENINGITE BATTERICA
Malattia infiammatoria su base infettiva della pia madre, dell’aracnoide, e dello spazio subaracnoideo attorno
all’encefalo, al MO e ai nervi ottici. Coesiste quasi sempre una ventriculite.
Epidemiologia
Resta una malattia con un’incidenza e una mortalità non trascurabile, soprattutto nei paesi a basso standard.
La frequenza con cui si isolano le varie specie batteriche responsabili è correlata all’età (vedi tabella). N.
meningitidis comunque rappresenta l’unico agente causale importante di meningite batterica epidemica.
L’introduzione del vaccino contro l’Haemophylus influenzae di tipo B ha ridotto l’incidenza delle infezioni
invasive, ivi compresa la meningite, ma sono aumentati i casi dovuti alla Listeria e agli aerobi G-.
Eziologia
Quasi tutti i casi provocati da H. influenzae si manifestano in età compresa tra 1 mese e 6 anni (nei soggetti
più anziani solo in presenza di condizioni predisponesti come sinusiti, otiti, polmoniti, trauma cranico con
liquorrea, diabete mellito e altri deficit immunitari. In genere la meningite è legata all’invasione sistemica del
batterio residente a livello del nasofaringe, analogamente a quanto succede per la N. meningitidis in individui
con deficit della properdina o delle componenti terminali del C’.
La meningite pneumococcica è la forma che si riscontra più frequentemente negli adulti (ma non dopo 60
anni); essa si associa frequentemente a focolai infettivi a distanza (polmonite, otite media, sinusite,
endocardite). Il tasso di mortalità è alto, 19-30%, soprattutto in presenza di deficit dell'immunità umorale
(splenectomia, mieloma multiplo, ipogammaglobulinemia).
La Listeria rende conto solamente di una piccola % dei casi, tutti però con mortalità elevata in neonati,
anziani, alcolisti e immunodepressi; può dare gravi epidemie di origine alimentare.
I bacilli aerobi G- costituiscono un’importante causa nei neonati e negli anziani, ma i casi di infezione,
perlopiù di origine ospedaliera, sono in aumento, soprattutto in soggetti debilitati, alcolisti e diabetici.
La meningite da S. aureus è piuttosto rara, tuttavia può manifestarsi come conseguenza della contaminazione
di shunt liquorali oppure secondariamente a endocardite infettiva.
Patogenesi
I batteri possono raggiungere delle meningi in diversi modi:
per contiguità attraverso focolai infettivi viciniori (otiti, sinusiti, mastoiditi) - meningite da vicinanza
direttamente dall'esterno (traumi cranici con deiscenza meninge e liquorrea)
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manovre invasive
disseminazione ematogena (la più comune)
I momenti patogenetici quindi sono:
colonizzazione del naso faringe: fimbrie adesive del meningococco, proteasi attive sulla IgA, danno a carico
delle cellule ciliate
invasione del circolo ematico: il meningococco penetra attraverso un processo di endocitosi, mentre
H.influenzae supera le giunzione serrate
batteriemia: i batteri patogeni esprimono sulla loro superficie un polisaccaride capsulare che permette loro di
sfuggire alla mia alternativa del complemento dell'ospite
invasione meningea: la sede e il meccanismo attuato dai batteri non sono ben noti; probabilmente avviene o a
livello dei seni venosi o a livello dei plessi corioidei, grazie all'elevato flusso ematico e alla presenza di
capillari finestrati
sopravvivenza nello spazio subaracnoideo: è facilitata dall'inefficienza dei meccanismi di difesa umorali
dell'ospite, quali:
• rapporto Ig siero:liquor = 800:1
• frazioni del C’ assenti (distrutti da proteasi batteriche?)
• deficit fagocitarlo nel liquor per difetto dell’opsonizzazione e della capacità battericida)
L'infiammazione dello spazio subaracnoideo, indotta dalla parete cellulare dei batteri in G+ e dall’LPS di
quelli G-, si rendere responsabile di una serie di conseguenze fisiopatologiche che determinano la sindrome
clinica:
• aumento della permeabilità della BBB (Brain Blood Barrier)
• edema cerebrale
• aumento delle resistenze al deflusso del liquor
• vasculite cerebrale/ diminuzione del flusso ematico/ perdita dell'autoregolazione
• aumento della PIC
La pleiocitosi neutrofila rappresenta una caratteristica fondamentale di infiammazione del liquor, ma non è
nota la via attraverso cui i neutrofili lo raggiungono, in quanto la presenza di molti dei fattori di adesione
endoteliali non è ancora stata dimostrata nell'endotelio cerebrale. I leucociti liquorali causano un aumento
della permeabilità della BBB nella fase tardiva della malattia, tramite la produzione di mediatori
infiammatori come IL-1, TNF e/o prostaglandine.
L’aumento della PIC è causato in primo luogo dalla comparsa di edema cerebrale, che può essere:
1. vasogenico: deriva prevalentemente dall’aumento della permeabilità della BBB
2. citotossico: dovuto a rigonfiamento delle cellule, è legato alla liberazione di fattori citotossici da
parte dei PMN o dei batteri stessi
3. interstiziale: legato all’ostruzione delle normali vie di deflusso del liquor
l’ipertensione endocranica può derivare anche da accumulo di essudato fibrino-purulento che interferisce con
il riassorbimento a livello delle granulazioni aracnoidee.
l’edema diffuso e l’aumento della PIC possono causare pericolose erniazioni cerebrali.
La perdita dell’autoregolazione del flusso ematico cerebrale comporta un rischio maggiore di lesione
cerebrale legato a un’ipotensione transitoria. La diminuzione del flusso produce localmente ipossia, acidosi
lattica liquorale che, insieme agli intermedi reattivi dell’O2 possono determinare encefalopatia.
La somministrazione di inibitori della NOs inducibile in animali da esperimento ha ridotto i danni da
eccitotossicità e anche le altre alterazioni fisiopatologiche.
Clinica
Vale quanto detto per la sindrome meningea. In più dell’85% dei pazienti i sintomi d’esordio sono
rappresentati da febbre, cefalea e rigidità nucale, con segni variabili di disfunzione cerebrale.
Accessi epilettici ripetuti si riscontrano più frequentemente nella meningite pneumococcica.
La comparsa di deficit neurologici focali ed encefalopatia può indicare un’ischemia corticale, aumento della
PIC o sviluppo di un empieva subdurale.
Un esantema si può presentare associato alla meningite da meningococco ma anche da rickettsie e da S.
aureus.
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Alcuni sottogruppi di pazienti presentano quadri più sfumati: nei neonati può mancare la febbre e la rigidità
nucale e gli unici segni sono allora apatia, pianto stridulo, rifiuto del cibo e altri segni piuttosto vaghi. Negli
anziani prevalgono sintomi insidiosi come torpore afebbrile.
Le complicazioni più importanti sono rappresentate da sequele neurologiche permanenti: circa un terzo di
coloro che sopravvivono a una meningite da G- riporta sordità, ritardo mentale, epilessia e anomalie
comportamentali.
Diagnosi
Si articola in 2 capisaldi:
diagnosi batteriologica
le caratteristiche del liquor sono già state elencate; da sottolineare che il liquor può essere torbido per
l’abbondanze di germi in assenza di una significativa pleiocitosi e ciò costituisce un segno prognostico
sfavorevole.
L’esame diretto del centrifugato di liquor colorato con Gram o Blu di metilene dovrebbe essere eseguito
perché ha una buona sensibilità (75%). L’esame colturale è positivo nell’80% dei casi, meno nei casi
parzialmente trattati, per i quali è opportuna la semina in terreni liquidi.
Sono stati elaborati altri test diagnostici di rapida esecuzione, qualora la colorazione risulti negativa, come la
CIE (ControImmunoElettroforesi) e la Latex Agglutination, ancor più rapida, sensibile e specifica. La PCR
può venire adoperata per rendere più facile la rilevazione di H. influenzae, menigococco, e Listeria.
La diagnosi strumentale (RX, TC, RMN) riveste un importanza minore tranne che nei seguenti casi:
presenza di papilledema e altri segni neurologici focali che suggeriscono la presenza di masse occupanti
spazio (in questo caso la rachicentesi deve essere posticipata alla TC/RMN; se però si ritiene la meningite
molto probabile si può iniziare una terapia antibiotica empirica)
Diagnosi differenziale
Numerosi processi sia infettivi che non possono essere responsabili di una sindrome meningea, tra cui:
focolai infettivi parameningei, empiema subdurale, meningoencefalite virale, neoplasie del SNC, sarcoidosi,
sindrome maligna da neurolettici, reazioni a farmaci e mezzi di contrasto radiologici.
Terapia
una volta identificato il micro organismo infettante in coltura il trattamento antibiotico può essere attuato in
maniera ottimale in base ai risultati dell'antibiogramma.
Per le meningiti dovute a N. meningitidis la penicillina G resta il farmaco di prima scelta (come alternativa
può essere usata la ampicillina).
La stessa terapia era praticata per la meningite pneumococcica, ma lo sviluppo di ceppi con resistenza
intermedia o elevata (se la MIC>2 microgrammi/ml) in alcune aree come la Spagna ha reso necessario
l'impiego di vancomicina + una cefalosporina di terza generazione, o in alternativa imipenem e fosfomicina.
Nella meningite da Haemophylus si dà ampicillina o, in presenza di ceppi produttori di b-lattamasi, una
cefalosporina di terza generazione (o in alternativa un fluorochinolonico come l’ofloxacina).
La Listeria è sensibile all'ampicillina e al cotrimossazolo.
Le meningiti causate da bacilli aerobi G- sono oggi trattate efficacemente con le cefalosporine di 3°
generazione: nei pochi casi che non rispondono si danno fluorochinoloni o, in ultima istanza, aminoglicosidi
per via intratecale.
Il trattamento empirico si basa ovviamente in primo luogo sull'età del paziente che condiziona la probabilità
dei vari microrganismi in causa: nei bambini con meno di un mese di vita è bene evitare di somministrare il
ceftriaxone, poiché esso si lega considerevolmente all'albumina, spiazzando la bilirubina, con pericolo di
kernittero.
La durata della terapia va dai sette giorni per la Neisseria ed Haemophylus ai 14 dello S. pneumoniae, alle 3
settimane dei bacilli G-; tuttavia ci si basa largamente sull'esperienza.
Oltre che dalla sensibilità dell'agente causale, la scelta dell'antibiotico è condizionata da problemi di ordine
farmacocinetico (capacità di attraversare la barriera ematoliquorale); le dosi di antibiotici non devono
diminuire fino alla fine del ciclo, poiché la diminuzione dell'infiammazione ripristina la normale
permeabilità della BBB.
Un rapido effetto battericida può causare il rilascio nel liquor di componenti batterici ad azione pro
infiammatoria, motivo per cui si ritengono utili i corticosteroidi somministrati insieme all’antibiotico (già
usati con profitto nella meningite da Haemophylus)
Terapia di supporto
Pazienti con segni di PIC possono beneficiare di un sollevamento della testa dal letto, dell’iperventilazione
(fino a una PaCO2 di 27-30 mmHg) e della somministrazione di farmaci iperosmolari (mannitolo).
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Eventualmente possono rendersi utili l’ossigenoterapia e il posizionamento di un catetere vescicale e di un
sondino nasogastrico.
MENINGITI VIRALI
I sintomi sono quelli classici della sindrome meningea, tuttavia non si arriva mai nei casi non complicati allo
stupor, al coma, alle convulsioni, alla paralisi dei nervi cranici o ad altri deficit focali. La cefalea associata in
questo caso è tipicamente localizzata in sede frontale o retro-orbitaria ed è spesso accompagnata da fotofobia
e da dolore durante i movimenti oculari. La febbre può essere accompagnata da malessere, mialgie,
anoressia, nausea e vomito.
Eziologia
Può essere determinata con tecniche sierologiche, colturali o, più efficacemente con la PCR. Benché i virus
neurotropi segnalati nella letteratura medica siano centinaia, le cause più comuni di meningite asettica sono:
enterovirus
ARBOvirus
HIV
HSV-2
Cause meno comuni ma pur sempre da tenere presenti sono: HSV-1, LCMV, virus della parotite. Rari invece
sono: Adenovirus, CMV, EBV, virus influenzali e parainfluenzali, virus del morbillo.
La netta stagionalità dei vari agenti eziologici può fornire indizi per la diagnosi.
Patogenesi
Colonizzazione delle superfici mucose (non necessaria per gli arbovirus, introdotti direttamente nel circolo
sanguigno da un vettore)
Disseminazione ematogena (o diffusione lungo i nervi olfattori – HSV-1)
Superamento della BBB (diretto, mediato da infezione delle cellule endoteliali o da leucociti infettati) 
infezioni di neuroni e cellule gliali
superamento della barriera emato-liquorale (epitelio dei plessi corioidei)  ingresso nello spazio
subaracnoideo e dispersione del virus nel liquor  flogosi delle cellule meningee ed ependimali
La risposta immunitaria si manifesta con l'innalzamento dei livelli liquorali di IL-6, IL-1b e IFN-g (ma non
di TNF, come avviene nelle infezioni batteriche. Lo sviluppo della risposta infiammatoria produce il
passaggio nel liquor di proteine e il reclutamento di linfociti B, che si trasformano in plasma cellule (
sintesi intratecale di Ig).
Diagnosi di laboratorio
esame del liquor: modesta pleiocitosi linfocitaria (conte cellulari sempre inferiori a 1000/mm3), leggera
protidorrachia, glicorrachia solitamente normale (può essere Reed o da del 10 -30% nella meningite da virus
della parotite); nessuna colorazione evidenzia alcun organismo nel liquor
esami colturali: sono generalmente di scarsa utilità, a causa delle basse concentrazioni di virioni nel liquor e
delle diverse procedure di isolamento necessarie; inoltre è solo i Coxsackie virus, gli Echov. e il virus della
parotite e della coriomeningite linfocitaria possono essere coltivati con profitto; da ricordare però che i virus
la possono essere isolati anche da altre sedi o liquidi corporei: la presenza di enterovirus nelle feci non è però
diagnostica poiché persiste per molte settimane
amplificazione degli acidi nucleici: molto utile soprattutto per infezioni da Herpesviridae
studi sierologici: nella maggior parte dei casi una diagnosi definitiva è posta solo a posteriori in base alle
riscontro di una siero conversione.
La sintesi intratecale di Ig, fortemente suggestiva di infezione del liquor, può essere desunta dall'indice
anticorpale liquor/siero:
(Ig liquorali specifiche/Ig liquorali totali)/(Ig sieriche specifiche/Ig sieriche totali)
valori maggiori o uguali a 1,5 indicano sintesi intratecale di Ig, mentre valori inferiori una lesione a specifica
della barriera EE.
Tramite elettroforesi su agarosio di campioni di liquor si possono evidenziare bande oligoclonali,
moderatamente suggestive di infezione da parte dell’HIV, HTLV, virus della parotite, PESS, panencefalite
post rubeolica.
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Esami ematochimici completi (emocromo con formula, conta delle piastrine, ematocrito, VES, elettroliti,
testa di funzionalità epatica, renale e pancreatica): possono dare qualche indicazione eziologia, visto il
diverso tropismo d’organo degli agenti in causa.
Statisticamente gli enterovirus costituiscono la causa più comune (80% dei casi ad eziologia identificata) e
dovrebbero essere sospettati sempre nei casi che si verificano nei mesi estivi.
I casi che insorgono nel tardo inverno o all'inizio della primavera, soprattutto nei maschi, possono essere
dovuti al virus della parotite epidermica, ipotesi avvalorata in presenza di lieve ipoglicorrachia, orchite,
pancreatine, da escludere invece in presenza di pregressa infezione o vaccinazione in anamnesi.
Se è presente una storia di contatto con un topolino, un animale domestico o un roditore, l'agente in causa
può essere l’LCMV (che produce anche esantema cutaneo e infiltrati polmonari).
Le infezioni da ARBOvirus si verificano tipicamente nei mesi estivi, hanno una precisa localizzazione
geografica e si presentano in forma epidermica, come è per tutte le malattie trasmesse da insetti vettori.
Altri esempi:
EBV: presenza di linfociti atipici nel sangue e nel liquor, dimostrazione di IgM specifiche, amplificazione
con PCR
VZV: segni/sintomi di varicella o zoster concomitanti
Diagnosi differenziale
vanno escluse innanzitutto le cause non virali:
meningite batterica trattata parzialmente
meningite micotica, tubercolare, sifilitica, parassitaria
infezione batterica che simula un'encefalite: Listeria, rickettsie, Coxiella, Brucella
meningite neoplastica
meningite secondaria a malattie infiammatorie e non infettive (es. sarcoidosi)
Terapia
Nei casi comuni il decorso è spontaneamente favorevole nell'arco di 7-15 giorni e non è richiesto il ricovero,
tranne che per i pazienti con deficit dell'immunità umorale (che beneficiano del trattamento con gamma
globuline per via EV), neonati con infezioni massive o casi dubbi.
L’acyclovir x os o E.V. può impiegato nei casi di meningite causata da Herpesviridae, l’AZT in quella da
Hiv.
A parte questi casi la terapia si limita al controllo di eventuali disturbi metabolici (soprattutto la SIADH), al
trattamento sintomatico della cefalea (alleviata dalla somministrazione di analgesici e dalla puntura lombare)
e dell'edema cerebrale.
Si impone inoltre la valutazione di un eventuale interessamento encefalitico, poiché molti virus sono in grado
di dare sia meningite che encefalite asettica.
ENTEROVIROSI
Gli enterovirus sono così denominati per la loro capacità di moltiplicarsi nel tratto gastrointestinale, anche se
non sono una causa importante di gastroenteriti.
Appartengono alla famiglia delle Picornaviridae e comprendono 67 sierotipi umani così suddivisi:
3 sierotipi di poliovirus
23 di coxsackie virus A,
6 di coxsackie virus B
31 di Echovirus
4 di Enterovirus
Il genoma è costituito da un singolo filamento di RNA, circondato da un capside icosaedrico formato da
quattro proteine virali (da VP1 a VP4 - VP1 è il principale bersaglio di anticorpi neutralizzanti).
Il recettore cellulare per i poliovirus appartiene alla superfamiglia delle immunoglobuline, quello per gli
Echovirus è l'integrina VLA-2 e quello per l'enterovirus 7 è il DAF (fattore accelerante il degrado).
L'infezione da poliovirus è limitata ai primati (uomo e scimmie antropomorfe), per la capacità delle
loro cellule di esprimere il recettore per il virus. Il poliovirus cresce bene cresce bene su linee cellulari
continue (HeLa, Hep2) dove manifesta una ECP rapido.
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Mancando di rivestimento lipidico gli enterovirus sono stabili in ambiente acido, compreso quello gastrico,
resistono ai comuni disinfettanti e possono persistere per giorni a temperatura ambiente. Resistenti anche
all’etere.
Patogenesi e immunità
I poliovirus sono i meglio studiati e il loro modello di infezione costituisce un prototipo per tutti gli
enterovirus.
Essi sono introdotti per via orale, infettano le cellule epiteliali della corsa nel tratto digerente dopodiché
diffondono e si replicano nel tessuto linfoide associato alle mucose (come le tonsille e le placche del Peyer).
Dopo aver raggiunto i linfonodi regionali, entrano nel sangue (prima viremia minore) e si replicano nelle
strutture del SRE. In alcuni casi i poliovirus raggiungono ancora sangue (viremia maggiore secondaria)
raggiungendo e replicandosi in vari organi, causando talvolta una malattia sintomatica. Il processo
patogenetico può però arrestarsi a uno qualunque degli stadi innanzi elencati, motivo per cui la maggior
parte delle infezioni sono asintomatiche.
Secondo recenti acquisizioni, i poliovirus raggiungono il SNC a attraverso i nervi periferici, penetrando al
livello della placca motrice.
I virioni possono essere isolati nel sangue da 3 a 5 giorni dopo l'infezione, prima dello sviluppo di anticorpi
neutralizzanti: la replicazione virale continua nel tratto gastroenterico (per più di tre settimane nell'orofaringe
e per più di 8 nell'intestino).
L'immunità umorale conferisce protezione a vita contro malattie causate dello stesso sierotipo ma non
previene l'infezione e la diffusione del virus, per le quali è necessaria l'immunità secretoria (IgAs).
Epidemiologia
Gli enterovirus sono ubiquitari e molte delle loro infezioni sono asintomatiche (90% di quelle da poliovirus e
50% di quelle da altri enterovirus). Nella maggior parte dei casi il periodo di incubazione varia da due a
quattordici giorni. Le infezioni sono più comuni nelle aree socioeconomiche più svantaggiate, poiché la
maggior parte degli enterovirus trasmessa per via oro-fecale; altre vie di trasmissione sono quella per via
aerea (importante per i coxsackie A21), per inoculazione diretta negli occhi (come l'enterovirus 70,
responsabile di congiuntivite acuta emorragica) e la trasmissione attraverso la placenta.
Diagnosi
Il metodo più usato è l'isolamento degli enterovirus su colture cellulari, anche se l'isolamento dalle feci o
dalle secrezioni faringee non prova che essi siano effettivamente associati con la malattia, poiché queste sedi
(soprattutto l'intestino) sono frequentemente colonizzate per settimane in pazienti con infezioni subcliniche.
In alcuni casi il virus può essere isolato solo dal sangue o solo dal liquor. È importante identificare gli
enterovirus responsabili di gravi infezioni durante le epidemie e differenziare i ceppi vaccinali di poliovirus
da altri enterovirus isolabili nel faringe e nelle feci. La PCR su liquor è molto sensibile (> 95%), specifica
(circa 100 %) ed è globalmente il migliore della cultura su linee cellulari (che spesso risultano negative nei
pazienti con immunodeficienza trattati con immunoglobuline), anche per l'elevato grado di omologia tra i
diversi sierotipi di enterovirus in posizione 5'- terminale del genoma, che permette l'individuazione con una
singola coppia di primer.
La diagnosi sierologica è limitata dall'ampio numero di sierotipi e l'utilità della sieroconversione è limitata a
studi epidemiologici (in tal caso il siero del paziente dovrebbe essere raccolto e congelato subito dopo l'inizio
della malattia e dopo quattro settimane).
Terapia
Nella maggior parte dei casi l'infezione da enterovirus non è grave e regredisce spontaneamente; nei pazienti
affetti da malattie cardiache, epatiche o del SNC, possono essere necessari trattamenti intensivi di supporto;
pazienti con ipogammaglobulinemia affetti da meningoencefalite cronica possono beneficiare della
somministrazione endovenosa, intratecale o intraventricolare di immunoglobuline. L'uso di Ig in alcuni casi
di infezione in neonati che non avevano acquisito anticorpi materni ha ridotto la viremia ma senza sostanziali
benefici clinici.
POLIOMIELITE
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Esistono 3 sierotipi di poliovirus: il tipo 1 è responsabile di epidemie, il 2 è endemico, il 3 dà raramente
epidemie (questo ovviamente in epoca pre-vaccinale). L’immunità è stabile ma tipo-specifica, cioè non c’è
immunità crociata!
Prima della vaccinazione era endemico in Nordafrica. In Italia prima del 1963 c’erano mediamente 5-6
casi/105 abitanti (tipo 1); dopo l’introduzione del vaccino Sabin appena 0,002 casi /105.
L'infezione da poliovirus è nella maggior parte dei casi asintomatica: dopo un'incubazione variabile da 5 a 40
giorni (media: 17), solo il 5% nei pazienti presenta sintomi prodromici aspecifici (quali febbre, malessere,
anoressia, faringodinia, disturbi dell’alvo, cefalea...) che di solito regrediscono in 3 giorni. L' 1% nei pazienti
presenta una meningite asettica sierosa (polio non paralitica): l'esame del liquor mostra in questi casi
pleiocitosi (polimorfonucleata nelle prime 24 h poi linfocitaria), glicorrachia e protidorrachia normale; la
sindrome meningea è accompagnata da febbre e disturbi neurovegetativi con iperidrosi.
Dopo il periodo prodromico c’è un periodo intervallare di guarigione apparente (o reale nelle forme che
non evolvono)
La malattia paralitica costituisce il quadro di presentazione meno comune: essa segue generalmente di 1 o
più giorni la meningite asettica (che costituisce il periodo pre-paralitico). Si distinguono diverse forme:
 forma spinale: compare inizialmente dolore al dorso, al collo e ai muscoli, seguito da rapido deficit
motorio, con distribuzione capricciosa assai varia a gruppi di muscoli o singole fibre, prossimale
(gambe, braccia, muscoli addominali) e compare durante la fase febbrile, senza progredire oltre
durante la defervescenza. All'E.O. si riscontrano deficit di forza, fascicolazioni, ipotonia e
iporeflessia. Non segni di deficit piramidale. Il sensorio è integro. La maggior parte dei pazienti
recupera alcune funzioni dopo settimane o mesi ma circa i 2/3 dei pazienti hanno esiti neurologici
permanenti dovuti alla rigenerazione delle fibre motrici superstiti che porta alla formazione delle
unità macromotrici (diminuita capacità di compiere movimenti fini e coordinati). Nella fase di
recupero c’è dissociazione albumino-citologica del liquor. Forma particolarmente grave è quella
ascendente tipo Landry (arti inf.  tronco, arti sup.  bulbo)
 forma bulbo-pontina: paralisi isolata mono o bilaterale dei nervi cranici VII, IX, X; disfagia e
insufficienza respiratoria per interessamento dei centri bulbari cardiorespiratori
 forma cerebellare: atassia e incordinazione motoria
 forma mesencefalica: oculoplegia e sonnolenza
 forma encefalitica: paralisi spastica (NB!), convulsioni, iperpiressia, coma
 in presenza di una paralisi spastica insorta di recente la possibilità di polio non va scartata!
Le forme con insufficienza respiratoria (quella bulbare soprattutto, ma anche le forme spinali o quelle con
disturbi della deglutizione  polmonite ab ingestis) sono le più gravi perché minacciano la vita del malato.
La malattia paralitica è meno comune nei bambini, motivo per cui è MENO diffusa nei Paesi meno sviluppati,
in cui la prima infezione si verifica in età precoce (talvolta quando sono ancora presenti gli Ab protettivi
materni).
La sindrome post polio si manifesta a distanza anche di 20-30 anni con una nuova comparsa di riduzione
della forza faticabilità, fascicolazioni, dolore e atrofia che interessano i muscoli già interessati dalla polio ma
non solo. La prognosi è comunque buona, con progressione molto lenta e periodi di stazionarietà anche
lunghi. Piuttosto che a un'infezione persistente o a una reinfezione, si ritiene che la sindrome post polio sia
determinata dalla disfunzione dei motoneuroni residui dovuti a senescenza.
Anatomia patologica
A livello del SNC si hanno fenomeni regressivi cellulari (cromatolisi, scomparsa corpi di Nissl, picnosi
nucleare seguiti da citolisi e neurofagocitosi) accompagnati da fenomeni infiammatori reattivi (infiltrati
linfomonocitari perivascolari). Le aree più colpite sono le corna anteriori del MS, soprattutto a livello del
rigonfiamento lombare e cervicale, nuclei dei nervi cranici, talamo/ipotalamo, verme cerebellare.
Le lesioni muscolari da denervazione consistono in atrofia, fibrosi e sostituzione con tessuto fibroadiposo.
Prognosi
La letalità oscilla tra il 3 e il 25% ed è particolarmente elevata nelle forme bulbari con insufficienza
respiratoria se non si interviene con ventilazione meccanica. Il recupero funzionale è difficilmente
prevedibile all’inizio ma si giova della fisiocinesiterapia riabilitativi.
Prevenzione
Dopo l'introduzione del vaccino i casi di poliomielite sono vertiginosamente diminuiti a partire dai primi
anni '60 in tutti i Paesi che l'hanno adottato, Italia compresa. 2 sono i tipi di vaccino attualmente usati:
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 IPV (Salk): vaccino con poliovirus inattivato in formalina; è raccomandato negli adulti poichè essi
presentano un modesto aumento del rischio di paralisi con l'altro vaccino
 OPV (Sabin): oral poliovirus vaccine, ottenuto per tutti e 3 i sierotipi attraverso passaggio in colture
di rene di scimmia;
Siccome i ceppi OPV differiscono da quelli selvaggi per un numero limitato di nucleotidi (circa 60) è
possibile che avvenga un processo di retromutazione che porta alla riacquisizione della patogenicità del
ceppo selvaggio (in effetti attualmente gli unici casi di poliomielite negli USA sono dovuti all'OPV): per
questo dal 1996 il CDC raccomanda il seguente schema vaccinale:
2 dosi di IPV-e: somministrati al 2° e al 4° mese
2 dosi di OPV: a 16-18 mesi e a 4-6 anni di età
Si prevede di poter eradicare la poliomielite nel mondo entro tempi brevissimi, così da eliminare il rischio di
polio da importazione. La vaccinazione è tanto più importante se si considera che la malattia non ha una
terapia specifica efficace.
INFEZIONI DA MENINGOCOCCO
La Neisseria meningitidis può causare diverse manifestazioni nosologiche, ma le più comuni (e temibili)
sono la setticemia e la meningite. L’andamento clinico è vario ma in alcuni casi può essere acutissimo, e la
morte sopravviene entro poche ore dall’esordio dei sintomi. Poche malattie possono competere con la
meningite meningococcica quanto a rapidità del decorso.
La N. meningitidis è un diplococco G- con aspetto tipico “a chicco di caffè”; cresce meglio in terreni
arricchiti (agar-sangue e agar-cioccolato) o selettivi a 37°C in CO2 al 10%.
È altamente sensibile al raffreddamento e all’essiccamento (aspetto che condiziona il tipo di contagio e la
possibile presenza di falsi negativi di campioni di tampone faringeo).
Le varie specie di Neisseria vengono differenziate sulla base della capacità di utilizzare zuccheri: ad es. N.
meningitidis utilizza glucosio e maltosio ma non lattosio e saccarosio (DD con altre Neisserie); essa inoltre
si distingue rispetto agli altri meningococchi per la presenza di una capsula polisaccaridica.
Ag: Sulla base degli Ag glicosidici capsulari le neisserie possono essere divise in 13 sierogruppi: di questi i
gruppi A, C, Y, W135 e 29E causano da soli il 99% delle infezioni meningococciche. Il gruppo A era
prevalente negli anni ’60; a partire dalla fine degli anni ’70 ha acquistato importanza il gruppo Y.
Epidemiologia
I meningococchi danno infezioni solo nell’uomo e il loro habitat usuale è il nasofaringe: il contagio è di
tipo interumano diretto, attraverso le gocce di Flugge e il contatto diretto; la neisseria infatti non sopravvive
a lungo in ambiente esterno.
Nei periodi non epidemici la % di portatori nella comunità è limitata a 10, ma può raggiungere 60 nelle
popolazioni chiuse in ambienti affollati. Nei periodi epidemici la % sale anche al 90%, poiché in tutti coloro
che hanno contatti con i malati la neisseria alberga nel rinofaringe.
I portatori possiedono Ab specifici contro il ceppo colonizzante: la colonizzazione progredisce solo in una
minoranza di casi e se ciò avviene è solo nei primi giorni dopo la colonizzazione, quando non si sono
ancora sviluppati gli Ab specifici.
Alcuni dati:
incidenza 1-2 casi x 105 abitanti (> nei primi 4 mesi dell’anno)
più colpiti sono i bambini di età compresa tra 6 mesi e 3 anni (incidenza di 10-15 casi x 105 ab.)
altro gruppo relativamente più a rischio sono gli adolescenti di 14-20 anni
l’incidenza può salire a 100 x 105 tra i contatti dei casi sporadici
epidemie a larga scala vengono regolarmente riportate dall’Africa, dalla Cina e dal Sud America:
essi sono quasi sempre causati dal serovar A: l’affollamento e il basso standard sociosanitario
rappresentano fattori di rischio determinanti
in Africa l’incidenza diminuisce nettamente con l’avventi della stagione delle piogge: è stato
ipotizzato che la polvere interferisca con la secrezione nasale di IgAs protettive
Patogenesi
Dopo l’adesione alla mucosa nasofaringea, i meningococchi capsulati vengono trasportati attraverso le
cellule epiteliali non ciliate entro grandi vacuoli fagocitari, a livello della sottomucosa, a diretto contatto con
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i vasi e le cellule. L’infezione nasofaringea è quasi sempre subclinica. Dopo una breve fase di adattamento i
germi passano in circolo, dove vanno incontro a due destini:
vengono eliminati dall’azione combinata del C’, degli Ab specifici e delle cellule fagocitarie
si moltiplicano a una ritmo nettamente superiore a quello della loro eliminazione
nel secondo caso la drammaticità del decorso è unica: un soggetto in buona salute può morire in poche ore
per shock irreversibile accompagnato da diatesi emorragica.
L’LPS svolge un ruolo centrale nella patogenesi della malattia: i suoi livelli plasmatici dosati correlano
abbastanza bene con la gravità della malattia. Nella malattia fulminante i livelli di LPS sono infatti i più alti
riscontrabili nell’uomo e provocano l’attivazione sistemica della dei sistemi connessi con la risposta
infiammatoria, vale a dire il C’, la cascata coagulativa, il sistema delle chinine, la fibrinolisi e la produzione
di citochine e NO. L’attivazioni di tali sistemi e le relative conseguenza sono state descritte a proposito dello
shock settico.
Pur essendo la meningococcemia disseminata una malattia essenzialmente batteriemica, la N. meningitidis ha
un marcato tropismo per le meningi e la cute, in minor misura anche per la sinovia, le sierose e i surreni: la
presentazione più comune complessivamente è costituita dalla meningite e dalla sepsi.
Il meningococco aderisce tenacemente all’endotelio cerebro-vascolare e passa attraverso la parete dei vasi
sanguigni con un meccanismo non noto; una volta penetrata la BBB (Brain-Blood Barrier) la permeabilità di
questa aumenta notevolmente per la produzione locale di citochine indotta dall’elevata concentrazione di
endotossina nel liquor (da 100 a 1000 volte superiore a quella di campioni di plasma prelevati
contemporaneamente negli stessi individui).
Immunità dell’ospite: la meningococcemia disseminata si verifica esclusivamente in individui che non
possiedono Ab protettivi nei confronti del ceppo in causa: in tal senso i neonati sono relativamente protetti
dagli Ab materni poi essi vengono rapidamente catabolizzati e l’incidenza aumenta, raggiungendo un picco
tra 6 e 12 mesi. Successivamente essa torna di nuovo a diminuire mano mano che vengono acquisiti gli Ab in
seguito alla colonizzazione ad opera di batteri strettamente correlati al meningococco ma non patogeni, come
la N. lactamica e la N. meningitidis non virulenta oppure E. coli K1. Queste specie di Neisseria agiscono
quindi da vaccini naturali, in modo che quando il meningococco patogeno colonizza il rinofaringe i bambini
possiedono già Ab opsonizzanti e citotossici verso un ampio spettro di meningococchi patogeni. Il
meningococco può persistere nel rinofaringe anche in presenza di elevati livelli sierici di Ab protettivi. Gli
Ab protettivi sono di 2 tipi:
• opsonizzanti (diretti verso Ag capsulari)
• batteriolitici (diretti verso Ag proteici) via C’: NON garantiscono protezione assoluta (5% dei malati
in corso di epidemie si ammalano)
L’integrità della cascata complementare è essenziale per la protezione, in quanto le Neisserie sono tra i pochi
batteri lisati direttamente dal MAC (Membrane Attach Complex): individui portatori di deficit delle proteine
della cascata terminale del C’ sviluppano attacchi ricorrenti di malattia meningococcica, anche se in forma
non grave, poiché la funzione opsonizzante del C’ è generalmente integra e anche perché la mancata lisi
plasmatici riduce la frazione di LPS liberato. La prevalenza di individui con deficit genetico del C’ è bassa
ma tale anomalia immunitaria può risultare anche da diverse malattie sistemiche come il LES e la GN
membrano-proliferativa.
Più grave invece è il deficit della properdina, una malattia legata al sesso che impedisce l’attivazione del C’
per via alternativa (cioè indipendente dall’anticorpo). Infine anche gli individui ipogammaglobulinemici
(deficit primitivo isolato di IgM o asplenia funzionale) hanno un rischio aumentato ma in essi la principale
suscettibilità è verso lo pneumococco.
È stata ipotizzata l’associazione tra infezione meningococcica e infezioni delle vie respiratorie alte, ma essa
si è rivelata debolmente significativa solo per l’influenza A.
Clinica
Tra lo spettro delle infezioni meningococciche la sequenza temporale tipica è la seguente:
infezione vie respiratorie superiori: una limitata % di pazienti lamenta sintomi generici come
febbre o prodromi quali rinorrea, tosse, cefalea, odinofagia; non è chiaro se essi siano da imputare
direttamente al meningococco oppure ad altri patogeni che ne facilitano la diffusione
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meningococcemia: 30-40% dei pazienti la presenta, pur senza segni clinici di meningite; la gravità
spazia ampiamente da modeste forme batteriemiche alla sepsi fulminante, con esordio improvviso
caratterizzato da vomito, rash cutaneo (maculo-papulare, petecchiale o ecchimotico), artralgie e
mialgie; la febbre è quasi sempre molto alta, tranne alcuni casi fulminanti, dove ci può essere invece
ipotermia accompagnata da un rash molto grossolano con formazione di estese ulcerazioni sovrapposte a
bolle emorragiche. A differenza delle sepsi causate da altri microrganismi, le petecchie non sono causate
solo dalla CID (che consuma i fattori della coagulazione), ma da un tropismo specifico per i vasi (
endotelite).
Segni prognostici sfavorevoli sono costituiti da:
• petecchie ampie e diffuse
• ipotensione
• riduzione della per fusione periferica
• assenza di segni di meningismo
Forma acuta fulminante (s. di Waterhouse-Fridericksen): molto aggressiva e ad evoluzione rapidamente
fatale (anche in meno di 10 h dall’esordio); l’incidenza è il 20% di tutte le meningococcemie. I segni clinici
sono quelli comuni dello shock settico, cui si aggiunge la porpora, che aumenta rapidamente di dimensione
estendendosi oltre che alla cute alle mucose e alcuni organi interni (soprattutto i surreni). La mortalità è
elevatissima, intorno al 50-60%, ed è dovuta per lo più a insufficienza cardiaca o respiratoria: coloro che
sopravvivono portano comunque lesioni cutanee permanenti, talvolta addirittura la mutilazione degli arti a
causa della gangrena. Anche la malattia di Addison di grado variabile è comune.
Forma cronica: sindrome rara (1-2% di tutti i casi di malattia meningococcica, quasi sempre in pazienti
con deficit del C’) della durata di settimane o mesi con eruzione maculo-papulare o petecchiale; è più
difficile da diagnosticare perché nei periodi afebbrili i pazienti possono apparire in ottima salute: tuttavia la
mancata diagnosi può portare all’instaurarsi della malattia disseminata.
Meningite meningococcica: la maggior parte dei pazienti mostra segni di irritazione meningea (triade
classica: cefalea nucale, fotofobia, vomito centrale, cui si aggiunge talvolta letargia), che non differiscono
significativamente da quelli associate alle meningiti da altri agenti eziologici (unico elemento presuntivo può
essere il rash ad impronta petecchiale). I lattanti spesso non hanno segni specifici ma solo la fontanella tesa e
allargata; i segni specifici sono sovente assenti anche negli anziani e nelle forme fulminanti. Con la
progressione della malattia invece possono comparire convulsioni, paresi dei nervi cranici ed emiparesi o
altri segni neurologici focali.
Manifestazioni meno comuni: comprendono l’artrite, la polmonite (x+ N. meningitidis di gruppo
Y, può dare batteriemie secondarie nel 15% dei casi), la congiuntivite e l’endoftalmite. In particolare
l’artrite colpisce le grandi articolazioni, ma i meningococchi raramente vengono isolati dal liquido
sinoviale: si tratta infatti di una forma immunologicamente mediata che non dà esiti particolari.
L’endocardite e la pericardite sono diventati quadri estremamente rari dopo l’introduzione degli
antibiotici.
Complicanze: le più temibili sono quelle neurologiche, che possono essere il risultato dell’infezione
diretta del parenchima cerebrale (è il caso della cerebrite o dell’ascesso), del danno dei nervi cranici
risultante dal passaggio di essi attraverso le meningi infiammate, di un infarto venoso o arterioso
(convulsioni, infarto), dell’edema cerebrale (ipertensione endocranica), di ostacolo al deflusso del liquor
(idrocefalo) e al versamento sottodurale ( effetto massa). Oltre a queste si può avere la riacutizzazione
dell’herpes labiale, analogamente a quanto avviene in corso di altre gravi infezioni acute.
Laboratorio
Di solito nella malattia disseminata i meningococchi possono essere isolati, oltre che dal sangue, dal liquor,
dalle lesioni petecchiali e dai fluidi posti all’interno delle cavità sierose, ma non dal liquido sinoviale.
Mediante test di immunoelettroforesi o agglutinazione in lattice è poi possibile evidenziare i polisaccaridi
capsulari gruppo-specifici nei liquidi corporei, ma con una sensibilità estremamente bassa (fino al 50% di
falsi negativi): tuttavia sono utili quando le emocolture sono falsamente negative per una precedente terapia
antibiotica; in questo caso risultano utili esami più sofisticati come la PCR su liquor. Per una diagnosi
retrospettiva ci si basa sulla sieroconversione durante la convalescenza.
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Altri dati di laboratorio, utili ma non affatto specifici sono la leucocitosi neutrofili (tranne nei pazienti con
forma fulminante che possono essere invece marcatamente neutropenici e/o piastrinopenici); il PTT aumenta
sempre in corso di CID.
Reperti indicativi di meningite sono l’ipertensione endocranica, la proteinorrachia, l’ipoglicorrachia e nella
maggior parte dei casi anche la pleiocitosi (100-20000 leucociti per campo).
Diagnosi
Nella fase acuta la meningococcemia disseminata non differisce apprezzabilmente da altre infezioni acute
sistemiche, come l’influenza o qualsiasi altra forma virale. Per questo in assenza di segni indicativi di
meningismo la malattia può essere misconosciuta all’inizio, mentre è essenziale una diagnosi tempestiva. Per
cui è opportuno ricercare attentamente, anche nelle pieghe cutanee, lesioni maculo-papulari che poi
progrescono a ecchimotiche e purpuriche (può essere opportuno segnarle con un pennarello per valutarne
l’evoluzione); esse possono ricordare quelle delle infezioni da Mycoplasma, Echovirus 9 o la febbre
bottonosa. Ogni paziente febbrile che presenti eruzione petecchiale deve essere tattato come se fosse affetto
da infezione meningococcica.
In assenza dell’esantema la meningite meningococcica non è distinguibile da quella causata da altri patogeni.
La diagnosi definitiva è fatta in base all’isolamento del germe da vari liquidi corporei e dagli aspirati
petecchiali: l’isolamento dal nasofaringe permette solo di stabilire la condizione di portatore.
Terapia
Innanzitutto si procede al prelievo di sangue per le emocolture; il trattamento va comunque iniziato subito
senza attendere i risultati. Nei pazienti ospedalizzati è opportuno praticare un accesso venoso diretto per gli
antibiotici; a domicilio, se ciò è difficoltoso, si può usare la via IM utilizzando un grande numero di accessi,
visto l’elevato volume di antibiotici da iniettare.
La penicillina G rimane il farmaco di scelta (20-24 x 106 U ev x 15 gg), ma prima dell’identificazione certa
del meningococco si usano cefalosporine di III generazione, poiché hanno una maggiore attività contro i
comuni patogeni capaci di causare meningite, scarsa tossicità e buona capacità di penetrazione attraverso la
BBB. Inoltre sono efficaci anche contro ceppi di N. meningitidis resistenti alla penicillina G, segnalati
soprattutto nel Sudafrica e in Spagna. Il cloramfenicolo può sostituire efficacemente la penicillina G nei
pazienti allergici.
Terapia di supporto: essendo il decorso imprevedibile, i pazienti devono essere mantenuti in strettissima
osservazione per le prime 48 h, monitorando la PA, il polso, la diuresi, la PVC e la temperatura centrale e
periferica. Segni prognostici negativi al momento del ricovero sono una bassa conta leucocitaria, un’eruzione
purpurica rapidamente progressiva e l’assenza di segni di meningismo.
In presenza di segni anche iniziali di evoluzione a shock settico devono essere attuate le misure di supporto
alla circolo e alla ventilazione polmonare. La dialisi permette una pronta correzione dell’acidosi e degli
squilibri elettrolitici, vista la frequente anuria escretoria associata e pertanto andrebbe fatta precocemente;
inoltre previene la NTA dovuta al meningococco.
Praticamente tutti pazienti con malattia disseminata grave sviluppano una CID marcata: il trattamento con
eparina non aumenta la sopravvivenza tuttavia può essere tentato in associazione con plasma fresco in
pazienti gravemente coagulopatici a rischio di sviluppo di gangrena: il plasma fresco serve a ripristinare i
livelli di antitrombina III, proteina C ed S (inibitori della coagulazione), che sono ridotti.
L’ipertensione endocranica viene trattata con la restrizione di liquidi, ma siccome ciò è controproducente per
lo shock, si preferisce usare il mannitolo (0,25-1 g/Kg).
Gli studi per stabilire l’efficacia di agenti anti-endotossine sono ancora in corso.
Prognosi
Una volta era infausta nella quasi totalità dei casi: con l’introduzione degli antibiotici è scesa al 10%, ma
rimane sopra il 50% nello shock settico: la maggior parte delle morti si verifica nelle prime 24-48 h dal
momento del ricovero. Anche i reliquari possono essere notevoli: essi comprendono sordità, paralisi dei
nervi cranici e deficit neurologici.
Principali criteri prognostici sfavorevoli: shock in atto, febbre > 40°C, mancanza di leucocitosi,
trombocitopenia, elevata antigenemia, età estrema.
Prevenzione
È indicata nelle seguenti categorie:
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•
•
•
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familiari di casi sporadici
viaggiatori che si recano in aree di epidemia
persone che vivono per lunghi periodi in ambienti affollati (ad es. reclute)
le misure da attuare prevedono
• chemioprofilassi con schemi specifici (rifampicina, ciprofloxacina, minociclina) o una tantum
(ceftriaxone); sulfadiazina se c’è evidenza epidemiologica che oltre il 90% dei ceppi è sensibile; la
penicillina non è efficace perché non eradica la Neisseria dall’orofaringe; la profilassi va fatta anche
nei malati trattati, prima della dimissione.
• vaccino: disponibile il vaccino polivalente diretto contro 4 serovar (A, C, Y, W135; l’Ag di gruppo
B non è immunogeno): esso ha efficacemente diminuito i casi di meningite tra le reclute; nei
bambini con < 2 anni la risposta anti C è però scarsa.
RABBIA
È una malattia infettiva acuta sostenuta dal Rhabdovirus che colpisce gli animali a sangue caldo e
accidentalmente l’uomo causando una encefalite di regola mortale.
Il Rhabdovirus è un virus ad RNA, con capside elicoidale mantellato che viene distrutto da calore, etere,
formalina ed alcol 70°.
Si riconoscono 2 tipi di rabbia:
• Rabbia urbana legata ad animali domestici in paricolare i cani (ma anche gatti, bovini, equini)
• Rabbia silvestre legata ad animali selvatici in particolare la volpe (in Europa) ma anche lupi,
sciacalli, ratti, scoiattoli, cervi e pipistrelli (in USA)
La malattia è diffusa lungo le catene montuose dell’arco alpino e appenninico.
Oggi la situazione è sotto controllo grazie alla vaccinazione delle volpi tramite polpette.
Il virus viene trasmesso dalla saliva degli animali rabici tramite morsicatura o graffiamento o lambimento di
zone cutanee lese.
Nel cane la saliva infetta da 3- giorni prima delle manifestazioni cliniche quindi nel dubbio è importante
tenere l’animale in osservazione.
La malattia si osseva nel 50% dei casi esposti e dipende la quantità di virus inoculato,innervazione della zona
di introduzione (massimo contagio in capo, collo e polpastrelli) e dal fatto che la cute sia esposta o ricoperta
da indumenti.
Il virus si replica a livello dei fusi muscolari che si trovano nella giunzione neuromuscolare, quindi diffonde
in via retrograda alle radici dorsali del midollo e quindi va ad interessare i neuroni midollari sensitivi, infine
ha diffonde per via transinaptica ascendente al SNC.
Nel SNC avviene la seconda replicazione del virus all’interno dei neuroni (non interessa le cellule della glia)
e quindi il virus diffonde in modo centrifugo lungo i nervi autonomici fino a raggiungere altri tessuti tra cui
le ghiandole salivari per cui viene eliminato con la saliva.
Il meccanismo di azione del virus è oscuro.
Anatomia patologica
Il cervello appare friabile, edematoso e congesto.
La necrosi neuronale è minima, mentre si ha interferenza con la neurotrasmissione.
Sono presenti caratteristiche inclusioni citoplasmatiche nelle cellule piramidali, ganglionari e nelle cellule
cerebellari del Purkinje dette corpi di Negri che appaiono come formazioni rotonde o ovalare di 1-15 µm
acidofile in sede paranucleare.
Si può avere interferenza con la neurotrasmissione.
I corpi di negri possono essere presenti anche a livello miocardico dove è presente miocardite.
Clinica
Nel cane si ha una fase prodromica di 2-3 giorni con febbre, anorresia ed irritabilità.
Nella forma furiosa che dura 3-7 giorni con tremori, agitazione, aggressività, spesso convulsioni, il cane
ringhia costantemente e mode animali ed oggetti, ala fine si ha morte preceduta da un breve periodo
paralitico.
Nella forma paralitica invece si ha paralisi della mandibola, salivazione eccessiva, crisi di soffocazione e
afonia, paralisi e morte.
Nell’uomo il periodo di incubazione è di 2-3 settimane.
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Il periodo prodromico è caratterizzato da febbre, anorresia, cefalea, nausea, faringodinia, parestesie nella
regione della morsicatura, cambio di personalità.
Nella forma furiosa si verifica ipereccitazione psichica e motoria per irritazione ed ipereccitabilità del SNC.
Le manifestazioni cliniche sono rappresentate da iperestesia cutanea, fotofobia, idrofobia, intolleranza ai
rumori, insonnia, agitazione, allucinazioni sensoriali olfattive e gustative, senso di paura.
Si ha inoltre aumento del tono muscolare con spasmi muscolari che si differenziano da quelli del teetano
perché mentre questi si inscrivono in uno stato di contrazione generalizzata quelle della rabbia terminano con
uno stato di rilasciamento muscolare.
Si ha febbre irregolare, tachicardia, aritmie cardiache, stipsi, ritensione urinaria, scialorrea con bava alla
bocca.
Si verificano anche crosi convulsive generalizzate con opistotono, spasmi dei muscoli respiratori e
aggressività.
La morte interviene in 4-5 giorni preceduta o non da manifestazioni paralitiche.
Nella forma paralitica manca la fase eccitatoria e si verifica paralisi ascendente che inizia dala regione
colpita dalla morsicatura e sale progressivamente fino ai centri bulbari, infine si ha coma e morte.
La prognosi è infausta: solo 4 casi al mondo sopravvissuti.
Diagnosi
Le indagini di laboratorio rivelano leucocitosi neutrofila, EEG alterato e ECG da danno miocardico.
È importante l’sservaazione dell’animale morsicatore per 10 giorni.
L’isolamento del virus può essere fatto da saliva, urine, liquor, secrezioni nasali e congiuntiveli, viene fatta
quindi coltura su cellule diploidi umane in linea continua.
Si può fare anche l’immunofluorescenza diretta su campioni bioptici per l’identificazione di Ag specifici.
All’autopsia si può fare dimostrazione dei corpi di Negri nell’Ippocampo e nel cervelletto.
Terapia
È importante lavare e disinfettare bene la ferita ciò riduce il rischio del 90%.
In caso di zone a basso rischio si fa l’osservazione dell’animale per 10 giorni, in caso di coparsa di
sintomatologia sospetta viene fatta la profilassi.
In zone a basso rischio o se non è stato ritrovato l’animale morsicatore si fa immunoprofilassi passiva con Ig
umane 20 UI/Kg (siero antirabbico) intorno alla ferita e lontano dall’inoculo del vaccino (se sono disponibili
solo Ig eterologhi la dose è doppia).
Viene quindi inoculato il vaccino im nel deltoide costituito da ceppi virali coltivati su cellule diploidi umane
inattivati (HDCV).
La terapia inoltre comprende ricovero in reparto intensivo, sedativi, respirazione assistita, curarizzazione ed
alimentazione parenterale.
Viene inoltre fatta la profilassi tramite vaccinazione di animali domestici e selvatici e delle popolazioni a
rischio: veterinari, laboratoristi, cacciatori, esposti a morsicature in zone a rischio.
Si somministrano 3 dosi di HDCV con richiami almeno ogni 2 anni.
In caso di morsicatura è sufficiente fare il richiamo del vaccino.
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AIDS
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La sindrome da immunodeficienza acquisita è una malattia caratterizzata dalla comparsa di infezioni
opportunistiche o particolari neoplasie in pazienti con deficit dell’ICM causato dall’infezione da HIV.
L’HIV o virus dell’immunodeficienza acquisita è un retrovirus (possiede cioè la trascriptasi inversa) che
appartiene ai lentivirus.
I retrovirus comprendono anche gli spumavirus e gli oncovirus.
Esistono 2 sierotipi di HIV: HIV -1 più comune in America, Europa ed Asia e HIV-2 più comune in Africa.
Ha una forma rotondeggiante e un diametro di 100 nm.
Il genoma è costituito da 2 molecole di RNA a polarità + unite da 2 proteine a formare un complesso
ribonucleoproteico che è contenuto in un core (capside) allungato di forma cilindrica formato da un’unica
proteina detta p24.
Nel capside si trovano i componenti necessari per la replicazione del virus cioè due copie del genoma RNA+,
molecole di t-RNA e alcuni prodotti del gene POL che codificano per trascriptasi inversa, proteasi e
integrasi.
Il capside è avvolto da un mantello al quale è dovuta la bassa resistenza del virus alle alte temperature e
all’acidità gastrica.
Il mantello contiene 2 glicoproteine che derivano per scissione proteolitica dalla gp 160 codificata dal gene
env e sono:
• Gp 120 extracitoplasmatica che rappresenta l’antirecettore capace di legarsi al CD4
• Gp 41 transmembranaria che ha attività fusogena
Il mantello deriva dalla gemmazione del virus dalla cellula ospite e pertanto contiene anche proteine
appartenenti alla membrana citoplasmatica di questa.
La fuoriuscita del virus dalla cellula infatti avviene tramite gemmazione o tramite la formazione di sincizi tra
la cellula infettata e quelle contigue, grazie all’azione fusogena della gp41.
Il genoma virale è costituito da diversi geni strutturali:
• GAG che codifica per le proteine del capside
• POL che codifica per la trascriptasi inversa, proteasi (che scinde le proteine prodotte),
endonucleasi-integrasi
• ENV che codifica per la gp 160
Vi sono inoltre geni regolatori importanti per l’avvio della trascrizione.
Le sequenze geniche sono caratterizzate da schemi di lettura aperti sovrapposti (ORF opening reading
frame) per cui un gene risulta essere parte di un altro con il risultato che da un singolo frammento genico può
essere ottenuta attraverso diversi schemi di lettura l’informazione per più di una proteina.
Pertanto l’HIV riesce a codificare con ORF più proteine dallo stesso tratto di genoma.
La penetrazione del virus all’interno della cellula avviene per endocitosi mediata da recettore.
L’antirecettore gp 120 si lega alla molecola CD4 presente su linfociti T, macrofagi e cellule dendridiche.
Sono possibili bersagli (cellule permissive) anche linfociti B, linfociti T CD8 e cellule della glia.
Il legame della gp 120 con il CD4 comporta la modificazione conformazionale della glicoproteina virale che
determina l’esposizione e l’attivazione della gp 41 che a sua volta interagisce con la membrana cellulare
inducendo la fusione di questa con il mantello del virus.
Perché si abbiano le modificazioni dell’envelope necessarie per la penetrazione del virus è necessaria
l’azione di 2 corecettori: il corecettore CX CR4 (che è responsabile dell’ingrasso dei ceppi T-tropici cioè
quelli che infettano prevalentemente linfociti T) e il corecettore CC CKR5 (che è responsabile dell’ingresso
dei ceppi M-tropici cioè quelli che hanno tropismo per le cellule di origine macrofagica).
Inoltre l’iterazione della regione ipervariabile V3 di gp 120 con CD 26 dei linfociti T attivati influenza il
tropismo, l’infettività e la formazione di sincizi.
Dopo la penetrazione il virus viene denudato dell’envelope ed inizia la fase di replicazione del genoma virale
all’interno del capside.
La trascriptasi inversa tramite la sua funzione DNA-polimerasica-RNA-dipendente sintetizza una prima
copia di DNA complementare ad una delle 2 catene di RNA del genoma utilizzando come primer il t-RNA e
tramite la sua attività ribonucleasica degrada l’ibrido DNA-RNA che si forma, quindi tramite la sua attività
DNA-polimerasica-DNA-dipendente sintetizza una seconda catena di DNA utilizzando come stampo quella
appena sintetizzata.
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Al termine della trascrizione il genoma virale è costituito da una duplice catena di DNA che viene trasportato
nel nucleo e la endonucleasi integrasi scinde il DNA della cellula ospite ed il DNA virale in un punto
preciso ed inserisce il provirus.
Il provirus si integra quindi nel DNA cellulare e dopo alcuni cicli replicativi rimane silente provocando una
infezione latente.
Occasionalmente il provirus può riattivarsi obbligando la cellula a produrre numerose particelle virali, in tal
caso il linfocita va incontro a morte.
L’HIV mostra una notevole variabilità genetica e fenotipica dovuta al fatto che l’informazione genetica
subisce ad ogni ciclo replicativo una serie di passaggi che comportano un elevato numero di errori di
trascrizione.
La trascriptasi inversa infatti rispetto alle normali polimerasi è meno fedele cioè compie un maggior numero
di errori di trascrizione.
Questa notevole variabilità genetica determina l’isolamento di diversi tipi di virus non solo da paziente a
paziente ma anche nello stesso paziente nel corso della malattia.
Per questo motivo sono consigliabili rapporti protetti anche tra pazienti entrambi infetti da HIV perché si può
avere tra trasmissione di sierotipi più virulenti o resistenti a farmaci.
È stato dimostrato che in alcuni soggetti resistenti all’infezione producono una notevole quantità di
particolari chemochine proinfiammatorie (RANTES, MIP-1α, MIP-2β) che attivano la chemiotassi e si
legano ai recettori CCR5 e CXCR4 che infatti rappresentano i corecettori per HIV.
È stato provato anche che forme alterate del corecettore CC CKR5 determinano resistenza all’HIV.
L’infezione viene trasmessa per:
• Via sessuale (è più a rischio la donna rispetto all’uomo per la più lunga permanenza dello
sperma in vagina)
• Via parenterale: tramite uso di aghi e siringhe infette (oggi non più trasfusione di sangue ed
emoderivati grazie allo screening dei donatori di sangue a partire dal 1985)
• Trasmissione verticale: transplacentare e durante il parto o l’allattamento
Anche se il virus viene emesso con diversi liquidi biologici (lacrime, saliva, urine, secrezioni bronchiali)
non si ha notizia di trasmissione in seguito al contatto con tali liquidi.
Non sono a rischio infatti i contatti interpersonali che si possono avere in luoghi pubblici come baci abbracci
etc. mentre manicure, pedicure, forbici e spazzolini da denti non costituiscono modalità di propagazione ma
di esposizione.
Non è stata documentata la trasmissione familiare.
L’HIV possiede minore infettività rispetto all’HBV:
• HIV non resiste all’ambiente esterno, concentazione nel sangue 104/ml
• HBV resiste all’ambiente esterno, concentrazione nel sangue 1013/ml
Sono molto rari i contagi del personale sanitario esposto a malati con AIDS (0.1-0.3% contro il 15-20% per
HBV).
Sterilizzazione di materiale contaminato con HIV
autoclave
1 atm
10 min
Pastorizzazione
56°
30 min
etanolo
90-95%
5 min
Acqua ossigenata
3%
10 min
ipoclorito
0.5%
5-10 min
Sterilizzazione materiale contaminato con HBV
autoclave
2 atm
ebollizione
100°
Storia
Primi casi nella seconda metà degli anni 70’ (documentazione postuma)
1981 San Francisco: omosessuali maschi
1982 tossicodipendenti, omosessuali, politrasfusi
1983 primi casi in Italia. Trasmissione eterosessuale
1984 primi casi in Umbria
1985 possibilità di diagnosi sierologica
20 min
30 min
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1995 avvento della triplice terapia
vi sono 3 modelli epidemiologici:
• Omosessuali maschi: USA e Europa del Nord
• Tossicodipendenti, donne, eterosessuali, infezioni connatali: Italia e Spagna
• Trasmissione eterosessuale: Africa
Recentemente si è osservato un incremento della trasmissione eterosessuale e il rapporto M:F=1:1.
Poiché è soggetta a denuncia solo l’AIDS e non l’infezione non si conosce l’incidenza di questa ma solo
quella della malattia conclamata.
L’incidenza dell’AIDS è diminuita grazie ai progressi della terapia ma non è diminuita l’infezione che anzi si
stima essere aumentata.
eziopatogenesi
La malattia è legata alla progressiva e continua deplezione delle cellule TH1, organizzatori centrali delle
risposte immune, e di tutte le cellule in generale CD4+, a seguito dell’effetto citopatico del virus, e alle
manifestazioni secondarie di tipo neurologico legate all’infezione diretta delle cellule nervose.
Una volta entrato, l’HIV viene trasportato dalle cellule follicolari dendridiche nelle zone paracorticali dei
linfonodi, dove si replica incessantemente fino a raggiungere un valore critico dopo il quale da una intensa
fase di viremia primaria, che si osserva nelle prime settimane dell’infezione.
La viremia produce una disseminazione ematica del virus in diversi tessuto compreso il SNC prima che
l’organismo monti una risposta immune efficace.
Questa fase corrisponde dal punto di vista clinico alla fase di infezione primaria acuta che si manifesta con
una sintomatologia simil-mononucleosica.
Nelle settimane successive la risposta immunitaria sia umorale che citossica determina un rapido declino
della quantità di virus sia circolante che intracellulare con un ripristino del numero di linfociti CD4+
circolanti con conseguente limitazione della diffusione sistemica.
Nei linfonodi infatti a livello dei centri germinativi i linfociti CD4 infetti vengono distrutti dai linfociti
citotossici CD8+ ed inoltre si verifica una risposta anticorpale neutralizzante con intrappolamento degli IC a
livello delle maglie del reticolo.
La risposta immune però non è in grado di eliminare completamente il virus che rimane stabile all’interno
dell’organismo sotto forma di infezione latente.
Il virus rimane infatti a livello linfonodale e probabilmente anche a livello di possibili “santuari
inaccessibili” in particolare il SNC.
Inizia così la fase di latenza clinica (cioè il periodo di asintomaticità) che non è però accompagnata da
latenza biologica in quanto è comunque presente replicazione virale (infezione cronica persistente).
Si stima infatti che circa 108-9 particelle virali vengano prodotte e rimosse ogni giorno nell’organismo in una
situazione di equilibrio dinamico.
Si verifica la distruzione dei linfociti con infezione attiva ma anche il ricircolo di quelli con infezione latente
che mantengono stabile l’infezione.
Inoltre si manifestano alterazioni funzionali dei linfociti CD4, CD8, dei linfociti B e delle cellule monocitomacrofagiche.
La replica virale è bassa nel sangue ed alta a livello linfonodale.
Contrariamente a quanto si pensa, non c’è nel virus una strategia mutazionale che gli porti qualche
vantaggio: in effetti, il virus che crea la risposta immune primaria e quello che riesce a sfuggire e a creare
uno stato cronico sono la stessa copia genomica, e quindi non è la variabilità che nelle fasi iniziali impedisce
all’organismo di evitare la cronicizzazione dell’infezione.
I meccanismi che invece appaiono importanti sono:
• Saturazione delle Apc follicolari con gli Ag del virus, che si estende anche ai CTL. Queste cellule, che
sono quelle in grado di controllare l’infezione, si espandono nella prima fase della disseminazione, ma in
seguito il loro clone viene deleto dalla iperstimolazione da parte delle APC follicolari.
• Localizzazione dei processi replicativi ed infettivi del virus nella zona paracorticale del linfonodo, dove
le cellule CTL sono presenti in concentrazione molto bassa e con poche eccezioni non ricevono uno
stimolo adeguato
• Cronicizzazione dell’infezione: dopo un certo tempo, le cellule infettate che non sono state lisate dai
CTL entrano nello stadio di portatrici del provirus integrato, senza esprimere gli Ag virali. A questo
punto, esse non sono più riconosciute dai CTL e non si può più eradicare l’infezione.
Inoltre a livello linfonodale i CD4+ infetti vengono eliminati dai CD8 ma infettano anche altri CD4.
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I CD4 distrutti quotidianamente vengono rimpiazzati grazie alla capacità rigenerativa del midollo ma questo
equilibrio è nella maggior parte dei pazienti temporaneo e successivamente il livello di CD4 scende
costantemente e inesorabilmente.
Infatti le cellule infettate vengono continuamente sostituite da altre che vengono contaminate e questo
processo subisce un massiccio incremento soprattutto in quelle condizioni in cui le cellule infette vengono ad
essere attivate come in caso di infezioni, allergie e stress che provocano la produzione di specifiche
citochine che attivano la proliferazione T determinando la cosiddetta slatentizzazione dell’infezione.
Ag, virus, citochine attivano infatti l’espressione del fattore di trascrizione cellulare NF-Kb che
normalmente determina la trascrizione dei geni che codificano per il recettore dell’IL-2, nelle cellule infette
inoltre questo fattore determina anche la trascrizione delle sequenze virali LTR che funzionano da
promotori ed enhancer per la trascrizione del provirus.
Questo spiega perché con il ridursi del numero dei CD4+ il quadro si aggrava rapidamente: ogni nuova
infezione aumenta la progressione della malattia, diminuisce il numero di TH1 attivi e aumenta la
suscettibilità a nuove infezioni, in un circolo vizioso che diventa rapidamente un quadro terminale.
Fondamentale inoltre è il ruolo degli organi linfoidi.
Tutti i pazienti con HIV hanno una iperplasia follicolare notevole, che rappresenta la reazione del sistema
immune alle cellule infette.
In alcuni pazienti tale attività si traduce in una linfoadenopatia generalizzata che corrisponde clinicamente
alla cosiddetta sindrome linfoadenopatica LAS caratterizzata da linfonodi tumefatti, non dolenti, mobili e
di consistenza parenchimatosa.
Inoltre la presenza di HIV è uno stimolo continuo alla proliferazione delle cellule che si sono già infettate
che replicandosi producono altre copie del virus.
E’ quindi un ciclo continuo che finisce per produrre da un lato un progressivo aumento della viremia e
diminuzione di CD4 funzionali, dall’altro una degenerazione del linfonodo (involuzione follicolare) con
diminuzione dell’efficienza del sequestro del virus dal circolo, cosa che ovviamente contribuisce ad
incrementare la viremia stessa.
Nelle fasi terminali della latenza clinica e nella malattia conclamata, il centro germinativo è completamente
distrutto e viene del tutto perduta la capacità di sequestro, cosi che il virus si riversa interamente nel
sangue (fase di riequilibrio: copie di RNA virale simili nel sangue periferico e nei linfonodi).
La rottura dell’equilibrio è denunciata dall’aumento dei valori di viremia plasmatica e quindi dalla caduta
del numero dei CD4+.
I valori di viremia plasmatica sono infatti responsabili della velocità di progressione della malattia verso
l’AIDS e quindi la morte.
La distruzione del sistema linfatico è responsabile assieme alla carenza di CD4 dell’incapacità di controllare
le infezioni.
Inoltre, nelle fasi terminali il virus diventa libero di riprodursi senza che il SI si opponga in alcun modo.
Patogenesi delle manifestazioni neurologiche
Gli effetti celebrali sono dovuti sia all’infezione del virus direttamente che all’immunosoppressione e
all’insorgenza di neoplasie.
Nel primo caso, ci sono diversi meccanismi di danno.
Le cellule infettate sono quelle della linea monocitica/macrofagica, che entrano nel cervello grazie
all’espressione di molecole di adesione come ICAM1 e VCAM1, che sono aumentate dalla presenza di
gp120 solubile nella cellula.
In effetti il virus che in genere si ritrova nel cervello è M-tropico.
Non sembra che il virus infetti direttamente i neuroni in vivo, anche se lo fa in vitro, ma comunque pare che
il galattosil ceramide delle cellule nervose sia un adatto recettore per la gp120.
Invece il danno provocato dal virus sui neuroni è indiretto, e mediato da:
- effetti tossici della gp120
- neurotossine secrete da macrofagi, astroglia e neuoroglia infettate che uccidono il neurone legandosi
all’NMDA
- citochine prodotte dalle cellule infette (IL1, IL6, TNF, TGFbeta, INF)
- eicosanoidi di cellule di derivazione monocitica attivate
Le manifestazioni neurologiche migliorano molto con la terapia antiretrovirale, soprattutto nei bambini.
Diagnosi
Si basa su metodi diretti e indiretti.
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Il test dell’AIDS è anonimo e l’infezione non è soggetta a denuncia mentre lo è l’AIDS.
Metodi indiretti
Valutano la risposta anticorpale (Ab specifici contro le proteine virali) che si sviluppa normalmente entro 3
mesi.
Il lasso di tempo che intercorre tra il contagio e la comparsa di Ab specifici è detta finestra immunitaria.
Il test di screening è l’ELISA, che si basa sull’assorbimento in una piastra con fissati antigeni dell’HIV 1 e
2 che vengono legati agli eventuali Ab del siero del paziente, che poi sono evidenziati con Ab anti Ig marcati
con un enzima.
Il test è economico, altamente sensibile (99,5%) ma poco specifico, per cui di fronte alla positività ELISA si
devono eseguire test di conferma.
Se la risposta del test è negativa va fatta l’anamnesi circa l’epoca del presunto contagio, in quanto se è il test
è stato effettuato prima di 6 mesi dal contagio va ripetuto perché potrebbe non essere avvenuta la
sieroconversione.
Se è positivo va di nuovo ripetuto perchè si possono avere FP, se è di nuovo positivo va fatto un tes di
conferma.
Il test di conferma è il western blotting che è una preparazione che contiene un lisato di HIV-1 o HIV-2
ottenuto da colture cellulari, parzialmente purificato dopo lisi celulare che viene frazionato nelle sue proteine
componenti tramite immunoelettroforesi.
La corsa elettroforetica consente infatti di separare le proteine in base al loro peso molecolare in diverse
bande di migrazione.
Successivamente le proteine vengono trasferite elettricamente su strisce di nitrocellulosa che diventano
quindi repliche del gel iniziale.
Aggiungendo alle strisce di nitrocellulosa il siero del paziente in caso di positività si verifica il legame degli
anticorpi in corrispondenza delle bande degli specifici Ag che viene evidenziata tramite metodo ELISA.
In corrispondenza delle bande si forma quindi un prodotto colorato facilmente apprezzabile.
Un altro test di conferma è il test RIBA che consente di differenziare HIV-1 da HIV-2.
Consiste nell’incubare il siero del paziente con strisce di nitrocellulosa dove sono stati blottati Ag
ricombinanti e peptidi sintetici di HIV-1 e HIV-2.
Criteri di interpretazione dei saggi di conferma:
positivo: presenza di reattività per almeno 2 bande tra p24, gp 41 e gp 120
negativo assenza di ogni banda reattiva
indeterminato: test con una o più bande reattive ma che non rientra nei criteri di positività
pazienti con ELISA negativo e test di conferma indeterminato necessitano di un monitoraggio longitudinale.
Falsi positivi: iperbilirubinemia, connettiviti gammopatie monoclonali.
Falsi negativi: fasi iniziali della sieroconversione, infezione con HIV-1 sottotipo endemico in Africa centrale
e occidentale, infezione da HIV-2 se il test è selettivo per HIV-1.
La positività al western è definita come la presenza di bande in corrispondenza di tutti e tre i prodotti di Env,
Gag e Pol, (almeno due fra gp160/120, gp41 e p24) ed è una prova conclusiva della positività da HIV.
Alcuni western sono dubbi per via del fatto che alcuni antigeni dell’HIV possono interagire con alcuni Ab
normalmente presenti (sono la p24 e la p55).
In questo caso deve essere eseguito un altro test dopo un mese.
Test diretti
In alcuni casi è necessario (ad esempio con ELISA negativo e western positivo) ricorrere alla PCR che è in
grado di evidenziare la presenza dell’RNA gnomico o del DNA del provirus in una fase molto precoce ed
antecedente alla sieroconversione.
La PCR è un metodo estremamente sensibile e precoce ma molto costoso.
I limiti di sensibilità sono 400 copie/ml (metodo standard) e 50 copie/ml (metodo ultrasensibile).
È essenziale in determinate circostanze:
diagnosi di trasmissione verticale dell’infezione: il neonato è sempre sieropositivo per la presenza degli
Ab materni che durano fino ad un anno ma può non essere infetto
fase precoce dell’infezione
determinazione quantitativa dell’HIV-RNA
È importante la valutazione sia qualitativa che quantitativa della viremia che è utile per il follow-up e per la
predittività dell’evoluzione della malattia.
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Il virus viene evidenziato sia nelle cellule infette in particolare i linfociti T (viremia cellulare) che nel
plasma (viremia plasmatica).
La viremia plasmatica indica la quantità di virus libero ed in grado di infettare altre cellule, mentre la viremia
cellulare indica la presenza di linfociti infetti ed in grado di trasmettere l’infezione.
La presenza di RNA nel citoplasma della cellula infetta è un segno di replica virale in atto mentre la
presenza di DNA integrato nel nucleo indica infezione latente (nel periodo di latenza 1 linfocita su 100 è
infetto e 1 su 1000 ha virus in replica).
Un parametro utile per eseguire un controllo della progressione della malattia è il dosaggio dell’antigene
p24 nel siero.
Esso risulta dapprima ad un brusco aumento di esso, poi si instaura la risposta specifica e i suoi livelli
scendono gradualmente (tendono a scomparire con la terapia), rimanendo comunque dimostrabili nel 30-50%
dei soggetti.
Infine, con la ripresa dell’attività virale, la [p24] aumenta gradualmente fino alla morte.
C’è correlazione diretta fra [p24] e aggressività della malattia, anche a parità di numero di CD4.
Esso può essere usato come test di screening precoce perché la p24 si trova in circolo prima degli Ab a cui è
sensibile l’ELISA.
Follow-up clinico di laboratorio
I test di controllo dell’evoluzione della malattia sono rappresentati da:
• Conta dei CD4
• Analisi quantitativa dell’HIV-RNA
La conta, che si fa ogni 6 mesi, viene correlata a differenti rischi infettivi in base alla classificazione CDC.
Conta CD4
1
> 500/mm3
2
200-500/mm3
3
< 200/mm3
A asintomatici
A1
A2
A3
Categorie cliniche
B malattie correlate
B1
B2
B3
C AIDS
C1
C2
C3
La gravità dell’infezione dipende più dal numero di CD4 cioè dallo stadio che dalla categoria clinica A-B-C
(sono rischio di infezioni opportunistiche A3 come C3).
Lo stadio sulla base della conta dei CD4 è importante per la terapia: nello stadio 1 viene fatta solo terapia
antivirale mentre nello stadio 3 viene fatta terapia profilattica contro le infezioni opportunistiche.
La categoria clinica C (AIDS) è soggetta a denuncia obbligatoria (non l’infezione).
La predittività dell’HIV-RNA è indipendente da quella dei CD4+: l’HIV-RNA indica la velocità di
progressione verso l’AIDS mentre la conta dei CD4 indica lo stato del sistema immunitario e quindi il
tempo necessario perché si raggiunga l’AIDS.
L’HIV-RNA > 104 indica una progressione verso l’AIDS entro 5 anni, una riduzione di 0.5 log ritarda la
progressione verso l’AIDS di 1.5 volte.
Il monitoraggio dell’HIV-RNA va effettuato immediatamente prima dell’inizio della terapia, 4-8 settimane
dopo e quindi ogni 3-4 mesi per monitorare la risposta alla terapia antiretrovirale.
Clinica
le manifestazioni cliniche dell’infezione variano a seconda dello stadio di progressione di questa.
Possiamo distinguere 3 fasi dell’infezione:
1. infezione primaria
Può decorrere in modo asintomatico.
Circa il 50 – 70% dei pazienti tende ad avere una serie di manifestazioni acute nel primo mese dopo
l’infezione (3-6 settimane) che si manifestano con una sindrome simil-mononucleosica.
I sintomi più comuni sono: febbre, faringite, linfangite, cefalea con dolori retroculari, anoressia, disturbi
digestivi, letargia.
Nell’infezione primaria è difficile porre la diagnosi tramite la ricerca di Ab specifici, mentre la ricerca di
DNA ed RNA virale tramite PCR può essere di maggior aiuto.
È caratteristico invece il riscontro di un linfocitosi con aumento dei linfociti T CD8 e riduzione dei linfociti
CD4 e conseguente inversione del rapporto CD4/CD8.
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In alcuni pazienti può essere presente una linfoadenopatia generalizzata (sindrome linfoadenopatica LAS)
caratterizzata da linfonodi ingranditi, non dolenti , mobili, di consistenza parenchimatosa.
La linfoadenomegalia è bilaterale e può interessare quasi tutte le stazioni ma in modo particolare quelle
retronucali, laterocervicali ed ascellari.
In una minoranza dei casi si osserva una meningite a liquor limpido.
2. latenza clinica
ha durata variabile di 8-12 anni ed è asintomatica.
In questo periodo di asintomatismo la malattia progredisce con una velocità che è proporzionale alla quantità
di HIV-RNA presente nel siero.
Con pochissime eccezioni, il numero dei CD4 diminuisce costantemente ad un ritmo di 50 u/ul all’anno.
3. fase sintomatica
prima della classificazione CDC si distinguevano 2 stadi clinici:
• ARC (AIDS related complex)
Questo stadio è il periodo di transizione fra la fase di latenza clinica e la fase di AIDS conclamato.
È caratterizzata da almeno 2 sintomi clinici (sudorazioni notturne, febbre persistente, astenia ingravescente,
diarrea intermittente, calo ponderale superiore al 10%, linfoadenopatia generalizzata e dermatite seborroica)
associate a 2 o più alterazioni del sistema immunitario correlabili all’infezione da HIV.
Sono frequenti le infezioni da Candida in particolare la candidosi orofaringea ed esofagea, riattivazione
dell’Herpes simplex con vescicole ed ulcere sanguinanti in regione anale, genitale ed orale, infezioni
disseminate che coinvolgono più dermatomeri da varicella zoster, verruche da papilloma virus.
Frequente è anche la dermatite seborroica.
Possono essere presenti anche complicanze muscolo-scheletriche come polimiositi, artriti settiche o artriti da
IC.
Si può manifestare anche la leucoplachia villosa orale caratterizzata da placche biancastre leucopatiche
localizzate al dorso della lingua dovute alla replicazione dell’EBV nelle cellule cheratinizzate del dorso della
lingua.
• AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita)
È una condizione clinica associata all’infezione da HIV in cui sono presenti infezioni opportunistiche o
particolari neoplasie associate ad una grave deplezione linfocitaria (CD4 < 200/mm3).
In questo stadio è necessaria una terapia di profilassi verso le infezioni opportunistiche.
Le uniche manifestazioni cliniche che non presuppongono necessariamente la deplezione linfocitaria e
quindi possono manifestarsi anche prima dell’AIDS sono il sarcoma di Kaposi, la linfoadenopatia
generalizzata e la TBC.
MANIFESTAZIONI CUTANEE IN CORSO DI AIDS
• Dermatite seborroica: è forse la principale manifestazione cutanea dell’AIDS conclamato, e si riscontra
in oltre l’85% dei pazienti. Rispetto alla forma comune, ha caratteristiche di aggressività decisamente
maggiori, è estesa e resistente alla comuni terapia.
• Tossidermia morbilliforme: si riscontra molto frequentemente, specie se è stato somministrato
cotrimossazolo a scopo terapeutico.
• eritema polimorfo grave
• Infezioni concomitanti: candidiosi orale, esofagea e genitale, herpes simplex e zoster, HPV,
leucoplachia villosa orale (un quadro particolare associato al virus di Epstein-Barr caratterizzato da
chiazzette biancastre ai lati della lingua simil-leucoplasiche)
Qualsiasi malattia dermatologica può cambiare aspetto in corso di AIDS conclamato.
MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE
Queste manifestazioni sono responsabili della maggior parte della mortalità.
Oltre all’HIV, un nutrito numero di virus e di batteri e alcuni tumori ne sono responsabili (toxoplasma,
CMV, micobacterium, sifilide, HTLV1).
Complessivamente colpiscono 1/3 dei pazienti, e quelle specifiche per l’AIDS conclamato sono solo la
demenza AIDS.
Il danno è legato alla infezione di macrofagi e glia o anche dalla produzione di citochine da parte di essi.
Praticamente tutti i malati hanno una infezione del SNC che però non sempre è sintomatica.
Eventi molto comuni sono pleiocitosi, isolamento del virus, proteinorrachia e sintesi intratecale di Ab.
• Meningite asettica: può apparire in tutte le fasi dell’infezione eccetto che in quelle avanzate, e si
manifesta con proteinorrachia, pleiocitosi e normoglicorrachia. In certi casi si ha meningite franca con
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nausea, vomito e fotofobia. La malattia classicamente compare nella fase acuta e tende a sparire durante
la fase successiva, risultando difficile il suo manifestarsi nella fase avanzata. Questo suggerisce che si
tratti di una malattia immunomediata.
• Encefalopatia da HIV o AIDS dementia complex: è un insieme di segni e sintomi che sono associati
alla fase terminale della malattia. Il principale è il declino delle capacità cognitive, di apprendimento e
di concentrazione, all’inizio indistinguibili dalla depressione o dall’affaticamento. In seguito possono
comparire alterazioni della deambulazione, andatura incerta, mancanza di equilibrio e difficoltà ad
eseguire movimenti rapidi alternati. L’eziologia non è del tutto chiarita, ma comunque riguarda la
microglia della sostanza bianca sottocorticale, cosa che cataloga la malattia come una demenza
subcorticale al pari del Parkinson e della Corea, ma distinta dall’Alzheimer. E’ difficile porre una
diagnosi di demenza AIDS, perché non è specifica la condizione di HIV nel liquor e si devono prima
escludere altre malattie. La terapia è incentrata sull’uso di farmaci antiretrovirali dai quali la malattia trae
vantaggio.
• Convulsioni: associate a parecchie delle infezioni che accompagnano l’AIDS, ma anche all’HIV stesso.
In molti pazienti la soglia convulsiva è bassa perché sono presentano squilibri elettrici.
• mielopatia: Il 20% dei pazienti AIDS ha una mielopatia, nel 90% dei quali essa è il frutto di una
demenza. Può assumere tre caratteristiche:
o Mielopatia vacuolare, identica alla degenerazione dei cordoni posteriori dell’AP, ma senza che
si evidenzi carenza di B12. Inizia con difficoltà atassiche della deambulazione e può progredire
fino alla perdita del controllo degli sfinteri, presentando aumento dei riflessi tendinei profondi e
Babinsky positivo.
o Atassia sensitiva dei cordoni posteriori
o Parestesie e disestesie delle estremità inferiori
A contrario di quel che avviene per la demenza, queste malattie non migliorano con la terapia antivirale e si
trattano in maniera sintomatica.
• Neuropatie periferiche: possono decorrere in varie forme e sono comuni. Tipica è una
demielinizzazione periferica infiammatoria che compare precocemente e comporta alterazioni della
sensibilità, del movimento e dei riflessi. L’eziologia è autoimmune come documentato dalla presenza di
infiltrati perivascolari. Altra cosa comune è la polineuropatia distale sensitiva, simmetrica e dolorosa,
dovuta invece ad una degenerazione assonale mediata dall’HIV che invece compare tardivamente. Si
manifesta con dolore alle mani e piedi di tipo bruciante. Accanto a queste due, esistono varie possibilità
di effetti collaterali della terapia. Di solito la terapia è sintomatica per il dolore.
• Miopatie: possono essere causate sia dall’HIV che dalla terapia, e hanno varia intensità clinica, dalla
sindrome asintomatica con aumento della creatina, alla mialgia con debolezza grave.
INFEZIONI OPPORTUNISTICHE IN CORSO DI HIV
Si tratta di solito di complicazioni tardive dell’infezione quando i CD4 scendono sotto a 200, e sono
sostenute sia da batteri e virus opportunisti che da franchi patogeni, i quali fanno registrare infezioni di
eccezionale gravità e frequenza inusuale.
Circa l’80% dei malati di AIDS muore per una di queste infezioni, più spesso di tipo batterico.
Infezione da Pneumocystis carinii
È la più comune infezione opportunistica in corso di AIDS.
È dovuta ad un protozoo ubiquitario e diffuso nell’ambiente che normalmente non determina pneumopatia
nel paziente immunocompetente.
Polmonite interstiziale con esordio subacuto con febbricola, sudorazione, tosse non produttiva e dispnea da
sforzo ingravescente.
Nei casi più gravi l’abbondante essudazione a livello alveolare determina compromissione degli scambi
respiratori ed il paziente diventa cianotico e dispnoico e muore per insufficienza respiratoria acuta.
L’Rx torace rivela il caratteristico aspetto “a vetro smerigliato”.
La diagnosi richiede la dimostrazione delle cisti o del trofozoita nell’espettorato o nel lavaggio
bronchioalveolare.
Oltre alla polmonite, possono essere presenti altre manifestazioni extrapolmonari che sono favorite dalla
profilassi contro la polmonite stessa.
Una importante è una infezione auricolare che può avere conseguenze anche serie sull’udito.
Inoltre ci sono: retinite, vasculite necrotizzante, ostruzione intestinale, linfoadenopatia, coinvolgimento del
midollo osseo, ascite, tiroidite.
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La terapia è basata sul cotrimossazolo = trimetoprim + sulfametossazolo al dosaggio di: 20 mg/Kg/die
trimetoprim + 100 mg/Kg/die sulfametossazolo in 3 dosi refratte per 21 giorni.
In alternativa: clindamicina (600 mg x 4 die) + primachina (15 mg/die) per 15 giorni.
È importante anche la profilassi primaria che viene fatta con cotrimossazolo 1 cp/die.
Toxoplasmosi
Responsabile del 60% delle lesioni al SNC e del 38% di tutte le infezioni secondarie.
È dovuta a riattivazione del Toxoplasma Gondii che dopo l’infezione primaria rimane in fase latente.
Si deve cercare di evitare il contagio, non mangiando carne cruda che potrebbe contenere i bradizoiti ed
evitando il contatto con i felini e con il terreno da loro contaminato, che possono portare le cisti.
L’infezione primaria di solito avviene nell’infanzia in forma asintomatica, ed è raro che la forma acuta si
verifichi nel malato di AIDS (anche se quando avviene si dissemina in modo spesso fatale a cuore, fegato,
polmoni e cervello).
La toxoplasmosi cerebrale si può manifestare con meningite, meningoencefalite, encefalomielite o
encefalite.
Le lesioni sono multiple e focali e la localizzazione è alla giunzione corticomidollare (?).
Alla TC cranio sono presenti lesioni ipodense, con effetto massa, edema perilesionale e che prendono il
mezzo di contrasto in periferia.
Altre manifestazioni comuni sono corioretinite, orchite, polmonite, ascite.
Terapia:
regime standard: pirimetamina 200 mg poi 50 mg die + acido folinico 10-20 mg die + sulfadiazina 4-6 g
die (4 dosi) / clindamicina 600 mg x 4 die.
Alternativa: trimetoprim/ sulfametossazolo 120-160 mg x 4 die (o claritromicina, dapsone, pirimetamina).
Glucocorticoidi per l’edema celebrale.
La profilassi viene fatta con dapsone 1 cp x 3 alla settimana o bactrim forte 1 cp die o pirimetamina 50
mg/die x os indefinitivamente.
Diarrea da protozoi
Criptosporidium, microsporidium e isospora belli sono i patogeni più comuni del tratto intestinale dei malati
di AIDS.
• Criptosporidium: diarrea intermittente che evolve in alcuni mesi verso una forma cronica, composta da
scariche di diversi litri al giorno di feci acquose, con crampi addominali e nausea (CD4<100),
intolleranza al lattosio e sindrome da malassorbimento. A questo si può aggiungere una manifestazione
di colangite con colecistite. Diagnosi su campioni di feci mettendo in evidenza le cisti
(coproparassitologia). L’infezione a vviene in seguito all’ingestione di cisti presenti in modo ubiquitario
soprattutto nelle verdure crude. La terapia si basa su paramomicina (500 mg x 4 die per 20 giorni) o
azitromicina (500 m/die per 15 giorni).
• Microsporidium è un endocellulare obbligato, che da una sintomatologia identica al precedente, e può
essere difficile da evidenziare nelle feci per via delle piccole dimensioni
• Isospora Belli: determina sindrome diarroica, la diagnosi viene fatta tramite coproparassitologia ma può
esser necessaria la colonscopia perché è un parassita intracellulare degli enterociti.La terapia si basa su
trimetoprim sulfametoxazolo ad alto dosaggio che ne impedisce le ricadute, altrimenti frequenti
• Giardia Lamblia: la diagnosi si basa sulla coproparassitologia e la terapia sul metronidazolo 750 mg x
3/die per os per 7 giorni
• Entamoeba Histolytica (amebiasi) è relativamente poco frequente nel paziente con AIDS ma determina
una forma particolarmente grave di diarrea con l’insorgenza di estese ulcerazioni intestinali con profuse
enterorragie e passaggio dei protozoi nel circolo portale con conseguente localizzazione epatica (ascesso
epatico). La diagnosi si basa sulla coproparassitologia e la terapia su paromomicina(500 mg x 3 /die per
os per 10 giorni) + metronidazolo (750 mg x 3/die per os per 15 giorni)
Infezioni da micobatteri atipici
Il Micobacterium Avium Complex MAC è un gruppo di batteri normalmente non patogeni per l’uomo, che
sono ubiquitari nei terreni e nell’acqua.
Nei pazienti con AIDS determinano una infezione disseminata con interessamento polmonare, splenico,
epatico, linfoghiandolare, gastrointestinale e midollare.
Sintomi:
febbre
sudorazione notturna
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calo ponderale
micobatteriemia nell’85% dei casi
aumento della ALP
pancitopenia
diarrea e dolori addominali
l’Rx polmone mostre un infiltrato nodulare di tipo miliare prevalentemente interstiziale ma anche diffuso
agli alveoli con adenopatia ilare e mediastinica.
La diagnosi si basa sulla dimostrazione di bacilli acido-alcol-resistenti nel midollo, nelle feci, nei linfonodi o
nel tessuto epatico.
La terapia di attacco si basa su rifabutina 300 mg/die + etambutolo 25 mg/Kg/die + amikacina 500 mg
x2/die.
Successivamente si sospende l’amikacina e si prosegue con uno schema soppressivo cronico che comprende
etambutolo 1g/die + azitromicina 500 mg/die + rifabutina 300 mg/die somministrate a giorni alterni.
Ci sono molti altri micobatteri atipici oltre al MAC che possono dare infezioni importanti nei malati di
AIDS:
• M. Kansasii: da infezioni polmonari con febbre e calo ponderale, che si associano a lesioni cavitarie o ad
una disseminazione di tipo miliare. E’ importante riconoscerlo perché ha una terapia specifica che è
molto efficace.
• Foruitum, Chelonee, Marinum, Scrofulaceum ecc possono dare lesioni cutanee.
• M. Gordonae, M. Xenopi non sono di solito patogeni per l’uomo, ma infettano l’acqua e in questi casi
curare le infezioni risulta difficile
Tubercolosi
Il malati di AIDS ha un rischio di contrarre la TBC attiva di 30 volte maggiore, e il 5% dei malati la contrae.
Nei pazienti con alta conta si ha la riattivazione dell’infezione polmonare con lesioni cavitarie, mentre nei
malati a bassa conta si tende alla forma miliare.
L’infezione può colpire osso, muscoli, fegato, encefalo, meningi, tratto gastro-intestinale, e dare anche
ascessi epatici e prostatici.
Il paziente nel 50% dei casi presenta anergia all’intradermoreazione.
La TBC è una delle poche manifestazioni secondarie dell’infezione da HIV che sia completamente curabile,
ma data la tendenza a sviluppare la resistenza ai farmaci, la terapia deve essere combinata, aggressiva e
protrarsi a lungo.
Se si definisce la sensibilità dei ceppi multiresistenti ai farmaci in modo esatto, la mortalità si abbassa.
Un’altra buona pratica è la protezione dei pazienti a rischio, o che siano positivi alla tubercolina, con un
trattamento profilattico con isoniazide.
Altre infezioni batteriche
Per lo più sono infezioni delle vie aeree o gastroenteriche, ma si osservano anche manifestazioni atipiche
della sifilide e di altre malattie.
• I malati sono particolarmente sensibili alle infezioni da germi capsulati, specie S. pneumonie e H.
influenzae, che sono responsabili delle frequenti polmoniti e delle otiti, che aumentano nei pazienti con
AIDS. Anche lo S. aureus fa registrare casi di infezioni con elevata frequenza, in particolare come
infezioni di catetere e piomiosite in associazione con lesioni muscolari.
• Salmonella, shigella, ed altri batteri intestinali nel 20% degli omosessuali maschi. Nei malati di AIDS la
shigellosi provoca una malattia grave. Anche Campylobacter si associa a diarrea con crampi addominali
ed eventualmente proctite, e tutte queste infezioni hanno una tendenza alla recidiva e sono resistenti alle
terapie.
• Treponema pallidum: la sifilide si manifesta negli HIV+ in maniera del tutto tipica, ma si possono anche
frequentemente osservare delle forme particolarmente aggressive e che decorrono in maniera atipica, con
lue maligna (vasculite necrotizzante con lesioni cutanee), febbri sconosciute, sindrome nefrosica e
neurosifilide. L’incidenza della neurosifilide, che si manifesta con meningite, retinite, sordità e lesioni
ischemiche, è particolarmente alta fra i consumatori di crack. La diagnosi, di solito affidata alla ricerca di
Ab, può risultare difficile per le anomali immunitarie del paziente AIDS, e quindi si ricorre alla ricerca
del batterio in campo oscuro (reazione treponemica diretta)
Candidiosi
Sono le più frequenti, e praticamente tutti i malati di AIDS ne hanno una, che spesso rappresenta l’esordio di
una immunodeficienza rilevante dal punto di vista clinico.
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Di solito il malato di AIDS non è associato alla candidiosi disseminata e il fungo interessa solo le mucose, a
causa del fatto che la malattia è controllata dai neutrofili che non sono particolarmente messi male nell’HIV.
Le manifestazioni della candidiosi sono:
• Mughetto infezione del cavo orale caratterizzata dalla comparsa di pseudomembrane biancastre
costituite da fibrina ed essudato su una base eritematosa che compiono a livello del palato e della lingua,
si ha bruciore e secchezza del cavo orale, nel caso in cui compaia disfagia con dolore retrosternale deve
essere sospettata l’estensione all’esofago
• vaginite
Estensione dell’infezione all’esofago, ai bronchi, agli alveoli.
Sono segni della malattia conclamata e decorrono quando la conta dei CD4 scende al di sotto di 100.
In caso di sospetta esofagite è necessario fare una esofagoscopia per differenziare l’esofagite da Candida da
altre infezioni opportunistiche che possono colpire il cavo orale (infezione da HSV o leucoplacia villosa
orale da CMV).
Nel caso di esclusivo interessamento orale (mughetto) la terapia si basa su fluconazolo 300 mg/die mentre in
caso di interessamento esofageo fluconazolo ev 400 mg/die.
Criptococcosi
È una infezione causata dal Criptococcus Neoformans che un fungo ubiquitario che si trova nell’ambiente.
Nei soggetti immunocompetenti determina infezioni polmonari asintomatiche contratte per inalazione del
fungo.
Nei pazienti con AIDS determina una pneumopatia sintomatica caratterizzata da infiltrati polmonari diffusi
con disseminazione ematogena e localizzazione a livello del SNC dove determina una meningoencefalite
subacuta.
In circa metà dei casi c’è interessamento polmonare (la porta di ingresso è il respiratorio per le spore) con
tosse, dispnea e infiltrati alveolari.
La TC cerebrale è negativa nel 70% dei casi, nel 30% invece sono presenti piccole lesioni ipodense multiple
circondate da un anello in cui si fissa il mezzo di contrasto.
La diagnosi si basa sulla ricerca diretta del criptococco sul liquor dopo coorazione con inchiostro di china
(che colora la capsula che è un elemento peculiare di questo fungo) e la ricerca dell’Ag polisaccaridico su
sangue e liquor.
La terapia si basa sull’amfotericina B ev 0.5-0.6 mg/Kg/die fino a 1.5-2 mg/Kg/die alla fine del ciclo
terapeutico.
Istoplasmosi
Istoplasma capsulatum è particolarmente frequente in specifiche aree di endemia, dove però infetta
raramente i soggetti normali mentre sono a rischio gli immunodepressi.
Il fungo è associato agli escrementi di pipistrello, e libera le spore nell’aria nelle vicinanze.
Nonostante sia tipicamente una infezione polmonare, nel malato di AIDS si presenta come una riattivazione
con diffusione disseminata.
Essa può dare:
coinvolgimento del SNC
epatosplenomegalia
ulcere cutanee
infiltrazione midollare con pancitopenia
rari sintomi polmonari, di solito blandi
Diagnosi: ricerca antigeni nel sangue e isolamento colturale dal sangue e dal midollo.
La terapia si basa su amfotericina B.
Infezioni da Herpes Virus
E’ il problema principale delle infezioni secondarie perché oltre a causare malattie agiscono tutti come
cofattori della replicazione dell’HIV.
• Citomegalovirus
Associato ad una conta di CD4 bassissima, sotto a 50.
Si tratta nel 95% dei casi di una riattivazione, che da segni soltanto in fase terminale, ma la replica del CMV
è dimostrabile già in precedenza.
Le manifestazioni più comuni sono:
 Retinite infiammazione necrotizzante con perdita irreversibile del campo visivo, ha un aspetto
oftalmoscopico caratteristico (essudati retinici giallastri circondati da lesioni emorragiche), è un marker
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di AIDS in quanto insorge quando CD4+ >100 ed evolve verso il distacco di retina (importante la d.d.
con la corioretinite da Toxoplasma)
 Colite non è emorragica e si associa ad anoressia e dimagrimento
 Esofagite dolori retrosternali ed odinofagia
 Polmonite interstiziale che è la manifestazione più tipica, ha un andamento un andamento lento e
progressivo, è caratterizzata dalla presenza delle tipiche cellule con inclusioni nucleari dovute all’effetto
citopatico del virus
 encefalite
Altri segni poco tipici sono:
-epatite anitterica (solo nei bambini)
-colangite sclerosante
-malattia polmonare clinicamente evidente (rara, ma è frequente l’infezione asintomatica del polmone).
La terapia si basa su:
Ganciclovir 5 mg/Kg per 2 volte al giorno iv per 21 giorni, quindi 5 mg/Kg/die iv di mantenimento.
Foscarnet 60 mg/Kg per 3 volte al giorno per 21 giorni, poi 60 mg/Kg/die iv di mantenimento.
La immunoprofilassi passiva con Ig anti-CMV è utile nel ridurre il rischio di infezione primaria.
• Herpes Simplex
Lesioni ricorrenti nella mucosa orale, genitale e anale, che diventano sempre più ricorrenti e dolorose al
progredire dell’AIDS.
In concomitanza con le lesioni orali spesso compare una esofagite, che si distingue dal CMV perché anziché
un’ulcera sola di grande dimensione, c’è una disseminazione di piccole lesioni.
Patereccio Herpetico in forma di vescicole pruriginose diffuse in forma più grave di analoghe
manifestazioni negli immunocompetenti.
Sia il simplex che lo zooster possono accompagnarsi ad una forma di retinite acuta dolorosa, diversa da
quella del CMV.
Terapia:
Acyclovir 200 mg/Kg 5 volte al giorno per os per 10 gg
Acyclovir 5-10 mg/Kg 3 volte al giorno iv per 10 giorni
Sono stati segnalati ceppi R all’acyclovir in questo caso si usa il foscarnet (40 mg/Kg ogni 8 ore).
• vaicella Zoster
La riattivazione dello zoster può essere una indicazione all’indagine per immunodeficienza, specie da HIV,
essendo una delle più frequenti manifestazioni precoci della malattia.
La malattia di solito decorre bene e non si ha quasi mai interessamento viscerale.
Invece se si verifica una infezione primaria (varicella) può essere letale.
In caso di varicella va fatta l’ospedalizzazione e la somministrazione di acyclovir 10 mg/Kg ev per 3 volte al
giorno per 15 giorni.
In caso di herpes zoster è necessario il ricovero ospedaliero e la somministrazione di acyclovir 10 mg/Kg 3
volte al giorno iv per 5-15 giorni.
• EBV
Molto frequente, si associa con il linfoma di Burkit e con la leucoplachia villosa orale, con lesioni che
possono essere confuse con la candida ma che comunque vanno incontro a remissione spontanea; indicano
un grave stato di immunodeficienza.
• HHV 6: induce la replicazione dell’HIV in modo molto potente, essendo linfotropo. Si
associa probabilmente alla retinite da CMV come fattore predisponente
• HHV 8: induce il sarcoma di Kaposi
Leucoencefalopatia multifocale progressiva LMP
È causata dal virus JC o SV 40 che appartiene alla famiglia Papovavirudae, genere Poliomavirus.
è una importante causa di morte nei malati di AIDS.
È una malattia virale lenta da riattivazione.
È presente demielinizzazione del SNC a focolai multipli in diverso stadio evolutivo.
L’infezione interessa l’oligodendroglia a livello della sostanza bianca.
Mancano segni di infiammazione (assenza di sindrome meningea).
Il decorso clinico è lento e si associa a deficit neurologici focali rapidamente progressivi senza segni di
ipertensione endocranica (perdita di attenzione, riduzione della capacità intellettiva).
Vi sono 2 modalità di decorso: morte entro 6 mesi o spontanee fluttuazioni per un periodo di 2-3 anni.
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Nei pazienti con AIDS la terapia antiretrovirale incide sulla patogenesi dell’infezione.
MALATTIE NEOPLASTICHE ASSOCIATE ALL’AIDS
Sarcoma di Kaposi
Neoplasia multifocale di origine vascolare che si manifesta con macchie, papule, placche e noduli di colorito
violaceo, a componente emorragica.
Si localizza alla cute, alle mucose e ai visceri.
Associazione con AIDS per via della sua eziologia virale (HSV di tipo 8) simile a quella del linfoma di
Burkit.
All’infezione, infatti, segue un processo di risposta immunitaria per cui si liberano dei mediatori in grado di
promuovere la proliferazione delle cellule endoteliali indifferenziate, le cellule di base della neoplasia.
Queste poi proliferano e producono citochine in grado di sviluppare altri vasi e fibroblasti.
Si possono distinguere 2 forme:
Forma classica o mediterranea
M/F 3:1
Età fra 50 e 80 anni
Bacino del mediterraneo, europa orientale e settentrionale
No familiarità
Forma epidemica
Segue l’epidemiologia di AIDS, specie omosessuali maschi (pochi casi fra tossicodipendenti o emofilici), in
quanto il virus HSV 8 si trasmette per via sessuale.
Forma endemica o africana
10% delle neoplasie dell’Africa, più frequente nei maschi (10:1), ma più grave nelle femmine.
Forma iatrogena
In pazienti sottoposti a trattamento con immunosoppressori.
Clinica
Forma classica o mediterranea
Insorge con macule rosso violacee, rotonde od ovali ma a margini frastagliati, asintomatiche, che si
localizzano nel piede o nella mano.
Queste macchie possono evolvere in papule o anche in noduli, di forma emisferica e liscia, consistenza
duro-elastica e colore violaceo.
I noduli più grandi si possono ulcerare.
All’inizio le lesioni sono unilaterali, poi aumentano e compaiono anche nell’altro lato, estendendosi verso il
centro fino a coinvolgere un arto intero.
Allora possono confluire in grandi chiazze, anche di diversi centimetri di diametro, con aree erosive e
ipercheratosi, che si infiltrano in profondità fino ad interessare il sottocute e anche i muscoli.
Spesso le lesioni cutanee sono accompagnate da edemi distali, dovuti all’interessamento dei linfatici, fino
all’elefantiasi.
Le localizzazioni viscerali sono a carico di linfonodi, GE, milza, polmoni, rene e fegato.
Queste in genere sono lesioni asintomatiche.
Una complicanza molto seria e piuttosto comune è rappresentata dall’emorragia gastroitestinale.
Le nuove lesioni non sono metastatiche, ma originano ex-novo dando alla malattia un carattere decisamente
multifocale.
Possibile l’insorgenza di altre neoplasie (specie linfomi).
Forma epidemica
Nella forma epidemica si hanno le stesse lesioni, ma compaiono principalmente nel volto, nei genitali, nella
punta del naso e nel palato, e assumono un aspetto lenticolare.
La comparsa di noduli al cavo orale o nella congiuntiva è tipica dell’HIV.
Frequenti sono i sintomi di infezione virale (malessere, febbricola, astenia, mialgie), perdita di peso,
linfoadenopatie e splenomegalia.
Forma endemica
È caratterizzata da manifestazioni edematose fin dall’inizio ed inseguito adenopatiche e viscerali.
Ha un decorso aggressivo e fatale.
Vi sono diverse varianti cliniche:
 nodulare benigna
 nodulare aggressiva
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 florida
 linfadenopatica
e si differenziano per la prognosi e il comportamento clinico.
La forma endemica è variamente aggressiva (la forma nodulare è come quella classica, quella aggressiva
molto più grave).
La forma florida ha un grave e precoce interessamento viscerale.
Forma iatrogena
Le lesioni possono essere limitate alla cute o avere distribuzione diffusa e spesso regrediscono con la
sospensione della terapia con immunosoppressori.
Istologia
Le macule sono aggragati di capillari, che si dispongono attorno a quelli cutanei, dilatati e irregolari, con un
infiltrato di linfociti e plasmacellule.
I noduli sono costituiti da una proliferazione di cellule fibrose con associati numerosi eritrociti intrappolati
fra i fasci di connettivo.
Essi, degenerando, possono formare dei globuli ialini eosinofili e dei depositi di emosiderina.
Decorso e terapia
Le lesioni solitarie vengono asportate o trattate con laser terapia o infiltrazione intralesionale di
chemioterapici.
Le macule e le papule sono sensibili alla crioterapia, mentre la radioterapia è indicata per le forme
disseminate muco-cutanee.
Nelle forme ad andamento aggressivo un protocollo polichemioterapico può indurre remissione o guarigione.
Linfomi
Aumenta l’incidenza di essi in tutte le immunodeficienze, e l’AIDS non fa eccezione.
In essa l’incidenza è al 6%, circa 120 volte maggiore che nei soggetti sani.
Al contrario del sarcoma di Kaposi, il rischio di linfoma cresce esponenzialmente al peggiorare della conta
dei CD4, ed è quindi di solito una manifestazione tardiva dell’infezione.
I linfomi associati all’AIDS sono 3:
- linfoma immunoblastico a cellule B di stadio III e IV
- linfoma di Burkit
- linfoma primitivo del SNC
Questi fenotipi sono probabilmente associati ad un elevato livello di attivazione policlonale B che si
verifica nell’infezione da HIV.
La malattia può interessare tutti i siti del corpo, si presenta con sintomi vari che sono di solito di natura “B
linfoide”, come febbre, sudorazione e dimagrimento.
Il sito extranodale di insorgenza più comune è il SNC, con il 60% delle origini, ed è associato a segni
neurologici focali, come cefalea, ottundimento, interessamento di singoli nervi cranici e convulsioni.
Si osservano delle lesioni di 3-5 cm con inclusione ad anello del mezzo di contrasto, similmente a quanto si
osserva nella toxoplasmosi.
Un altro 25% dei casi di insorgenza extranodale è il tratto digestivo, in qualsiasi forma e sito, e il midollo
osseo.
Displasia intraepiteliae della cervice e dell’ano
Associata al papillomavirus, è una condizione che predispone all’insorgenza di una neoplasia in loco e in
seguito alla formazione di una malattia invasiva.
Fino ad ora, si è osservata solo una modesta quota di incidenza in più nei pazienti AIDS, dovuta anche alle
abitudini sessuali di molti di loro.
Tuttavia, con l’estensione dell’epidemia a gruppi più eterogenei, e con l’aumento della sopravvivenza
all’infezione, ci si aspetta una ridefinizione del rapporto fra le due malattie.
SINDROMI ORGANO-SPECIFICHE
Quasi tutti gli organi sono bersaglio di una qualche manifestazione specifica della malattia da AIDS, ma non
tutte le manifestazioni hanno un agente eziologico secondario definito e vengono quindi considerate
manifestazioni considerate primitive dell’HIV.
Manifestazioni respiratorie
Ci sono due forme di polmonite idiopatica di non certa classificazione:
• Polmonite interstiziale linfoide: pediatrica, caratterizzata da un infiltrato leucocitario benigno,
provocato dalla attivazione policlonale dei linfociti B. E’ rara.
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Polmonite interstiziale non specifica: comune, fino ad 1/3 dei pazienti, con infiltrati di leucociti e
plasmacellule che si addensano attorno ai vasi sanguigni.
Oltre a ciò, nell’apparato respiratorio si osserva una alta incidenza di sinusiti a causa della frequenza delle
infezioni di streptococco ed hemofilus.
Manifestazioni ematologiche
• Soppressione midollare dovuta all’infezione da HIV che infetta i precursori delle cellule ematiche, ma
anche a micobatterio, funghi e linfomi.
• Anemia, presente nel 18% dei pazienti asintomatici, e nel 75% dei malati di AIDS. E’ di solito
contenuta, ma a volte raggiunge livelli tali da richiedere la trasfusione. Il caso più grave è l’associazione
con linfomi e con l’infezione da parvovirus B19. Altre condizioni predisponenti sono la tossicità dei
farmaci, e il malassorbimento derivato dalla patologia gastroenterica, con deficit di folati e di B12.
• Leucopenia, di solito modesta, dovuta soprattutto alla terapia antiproliferativa contro i linfomi e le
leucoplachie
• Piastrinopenia anche precoce con le caratteristiche della porpora trombotica trombocitopenica
• Linfoadenopatia comune, sia per la iperplasia follicolare reattiva dell’infezione primaria che per la
conseguenza delle secondarie, anche il linfoma di Kaposi può determinare linfadenite
Nefropatia
Molte volte condizionata dai farmaci, esiste anche la possibilità di una nefropatia diretta da HIV, simile a
quella che si osserva nei tossicomani.
Colpisce anche i bambini ed è associata alla razza nera più di frequente.
Tipicamente è una glomerulosclerosi segmentale focale, con intensa proteinuria senza ipertensione.
Evolve entro l’anno nell’insufficienza renale.
cuore
All’HIV nelle fasi tardive è associata una miocardiopatia dilatativa con insufficienza cardiaca congestizia.
Sebbene si trovi spesso l’HIV nel miocardio, non si sa se la malattia dipende da questo o dalla associazione
con la terapia.
Può essere presente una endocardite batterica acuta da S. Aureus nei tossicodipendenti attivi.
Alterazioni immunologiche e reumatiche
Sebbene siamo davanti ad una grave immunodeficienza, spesso si trovano manifestazioni che variano dalle
reazioni di ipersensibilità immediata ad un aumento di incidenza delle artriti reattive, fino alla linfocitosi
infiltrativa diffusa.
Le reazioni ai farmaci sono molto comuni, sia per la atipicità dei farmaci impiegati, che per la preponderanza
della risposta TH1 su quella TH2, come detto all’inizio.
Comunque, i pazienti AIDS non vanno mai incontro a reazioni anafilattiche, motivo per cui è possibile in
ogni caso continuare la terapia.
L’infezione da HIV presenta molti aspetti sovrapponibili ai quadri delle tipiche malattie autoimmuni, fra cui
importante è la attivazione policlonale B che trova riscontro nella produzione di Ab antifosfolipidi e
antinucleo.
Invece, alcune malattie autoimmuni risultano diminuite nella loro gravità in presenza delle infezioni da HIV,
come il lupus, l’artrite reumatoide, e anche l’immunodeficienza comune variabile, cosa che spinge a pensare
che per queste malattie sia necessaria la competenza del comparto TH1.
Unica malattia davvero aumentata è una variante atipica della S. di Sjogren, che normalmente è sostenuta dai
CD4 e qui invece dai CD8, e si accompagna ad infiltrato leucocitario nelle ghiandole salivari e nel polmone,
secchezza della congiuntiva e del cavo orale.
Aumentano spesso anche le artriti reattive che sono spesso scatenate da infezioni, ma anche forme
primitive che vengono classificate come artropatie da HIV, e sono forme subacute, non erosive e
scarsamente infiammatorie, delle anche e delle ginocchia, durano qualche settimana.
Invece la sindrome dolorosa articolare si manifesta con un dolore acuto al gomito o alle ginocchia che dura
2-24 ore e necessita a volte anche degli oppiacei, che può essere l’effetto diretto del virus sull’articolazione.
Alterazioni oculari
Diffusa in oltre il 50% dei casi.
Si tratta spesso di macchie di ischemia retinica da microangiopatia, con aspetto cotonoso e bordi irregolari.
Difficile distinguerle dalla retinite da CMV, ma sono al contrario benigne.
Nel resto dei casi, sono numerosi i virus e i batteri che danno alterazioni oculari.
Alterazioni endocrine e metaboliche
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Iponatriemia, associata alla sindrome da inappropriata secrezione di ADH, che produce ritenzione di
liquidi e diluizione del plasma. Se associata a iperkalemia, indica una insufficienza surrenalica
• Alta frequenza di disfunzioni genitali, maschili e femminili, di attribuzione varia fra terapia ed infezioni
secondarie.
Cachessia generalizzata¸definita come perdita di peso superiore al 10%, febbre, diarrea cronica, astenia per
più i 30 giorni.
E’ contenuta fra le condizioni che indicano uno stadio di AIDS conclamato, ed è attualmente la causa più
frequente di diagnosi di AIDS (95% di esordi).
Una sua caratteristica è la diffusa degenerazione fibrillare del muscolo con occasionale miosite.
Sembra essere un effetto diretto della presenza dell’HIV.
Terapia
La terapia antivirale ha ridotto l’incidenza dell’AIDS cioè l’evoluzione dell’infezione verso l’AIDS ed ha
aumentato la sopravvivenza dei pazienti con AIDS.
La speranza della terapia era quella di riuscire ad eradicare completamente l’infezione tramite una
soppressione completa della replicazione virale ma si è visto che a causa della presenza di cellule infette a
lunga vita (macrofagi) e della persistenza del virus nei santuari come il SNC questo non è possibile (almeno
prima di 20 anni?).
La terapia viene attualmente raccomandata ai pazienti con:
• Infezione acuta da HIV (entro 6 mesi dalla sieroconversione)
• Infezione sintomatica
• Pazienti asintomatici con linfociti T CD4 < 500/mmc o HIV-RNA > 5.000-10.000 copie/ml
(RT-PCR)
Gli obiettivi della terapia sono:
 Soppressione massima e duratura della replica virale
 Mantenimento della funzione immunitaria
 Miglioramento della qualità di vita del paziente
 Riduzione di morbosità e mortalità HIV-correlata
attualmente la terapia si basa su una triplice associazione (polichemioterapia).
Razionale delle associazioni:
tasso di moltiplicazione virale giornaliero = 109-1010 copie/die
tasso di mutazione giornaliero = 10-4-10 –5
ogni 10.000-100.000 particelle si evidenzia un mutante resistente alla terapia perciò ogni giorno abbiamo 10 5
particelle resistenti.
Virioni resistenti a 2 farmaci = 10-8
Virioni resistenti a 3 farmaci = 10-12
Virioni resistenti a 4 farmaci = 10-16
La sospensione del farmaco comporta in 24 ore il rimbalzo di HIV-RNA.
Il regime iniziale può essere rappresentato da diverse combinazioni:
• 2 NRTI + 1 IP
• 2 NRTI + efavirenz
• 2 NRTI + nevirapina
• 1 NRTI + 2 IP
la terapia comunque va adattata in base all’insorgenza di resistenza, potenziali interazioni farmacologiche
(anche con i farmaci utilizzati nelle infezioni opportunistiche), anorresia e dimagrimento, effetti collaterali
dei farmaci (in particolare mielodepressione e neuropatia).
La scelta dell’inibitore delle proteasi si basa sulla potenza antiretroviale e la biodisponibilità del farmaco.
Indinavir e ritonavir hanno una buona biodisponibilità al contrario del saquinavir, ma possiedono resistenza
crociata che non è presente nei confronti del saquinavir che può quindi essere impiegato successivamente.
Il ritonavir ha il problema di dover essere conservato a 4-8°.
Tra gli inibitori nucleosidici della trascripatasi inversa il farmaco di prima scelta è l’AZT anche per la sua
capacità di passare la BEE, ma possiede mielotossicità.
La lamividina 3TC ha azione sinergica con l’AZT.
L’associazione da preferire per la terapia di inizio è dunque costituita da AZT + 3TC + indinavir.
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In caso di intolleranza al’AZT si può utilizzare la stavudina d4T che non possiede mielotossicità ed è
sinergica con la 3TC (d4T + 3TC + indinavir).
Una possibilitàdi terpaia è anche la stimolazione del sistema immunitario tramite immunostimolatori.
Gli immunostimolatori però se utilizzati da soli peggiorano la situazione visto che sono i linfociti T ad essere
infettati, ma se vengono associati con gli inibitori della trascriptasi inversa (IL-2 + AZT) si hanno buoni
risultati (l’IL-2 da sola determinerebbe la proliferazione dei linfociti T e quindi anche dei virus).
Il GN-CSF non è utile poiché stimolando i PMN determina l’attivazione di linfociti e monociti ai cui interno
sono presenti i virus.
Il GM-CSF ha dato buoni risultati.
In pazienti con sarcoma di Kaposi si utilizzati l’INF-α.
Sono in studio vaccini con virus inattivato da utilizzare a scopo curativo e non profilattico ma i problemi di
un eventuale vaccino sono:
 instabilità genomica del virus
 progressione dell’infezione indipendentemente dalla risposta immune (anzi la risposta immune può
aumentare la progressione dell’infezione)
 il vaccino può determinare un incremento della replicazione virale
la risposta alla terapia va monitorata tramite il dosaggio quantitativo dell’HIV-RNA che va eseguito prima
dell’inizio della terapia, dopo 4-8 settimane e quindi dopo 3-4 mesi.
Il fallimento della terapia è evidenziato dalla presenza di HIV-RNA sopra-soglia (> 400 copie/ml) a 4-6 mesi
dall’inizio della terapia.
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EPATITI VIRALI
Ambedue i tipi di epatite trasmessi per via enterica si risolvono spontaneamente (tranne rare segnalazioni in
cui HAV sarebbe risultato la causa scatenante di un’epatite cronica attiva autoimmune in pazienti
geneticamente predisposti.
La storia delle epatiti croniche di rilievo è quella delle B, delle delta-B, e delle C. Fino al 1975 non si
conosceva altra forma di epatite trasmissibile per via parenterale che non fosse la B. Questo è stato
problematico fino al 1989. Infatti si parlava in quegli anni di una forma di epatite detta “non A non B” che si
trasmetteva con le trasfusioni, ma non esistevano test per identificarla.
L’HCV, scoperto nel 1989, è tutt’ora privo di un vaccino efficace, e l’epidemiologia ad esso correlata è
molto estesa. Si calcola che nel mondo ci siano 400 milioni di persone infette. Data la tendenza alla
cronicizzazione e alla progressione a cirrosi, questo dato è allarmante.
Il 10% delle non A non B è dovuto ad un’altra serie di agenti virali, E, F ed ultimamente anche G. Le ultime
due non sono incluse nei test sierologici di routine nelle donazioni di sangue.
EPATITE A
L’HAV appartiene alla famiglia delle picornaviridae (piccoli virus a RNA). Esistono 4 genotipi ma 1 solo
sierotipo. Può essere coltivato in linee cellulari.
Si trasmette per via orofecale: dopo aver oltrepassato lo stomaco (il virione è pH stabile), entra nella vena
porta e colonizza il fegato, dove replica attivamente negli epatociti e viene liberato per lisi; attraverso la bile
viene eliminato poi con le feci a partire anche da 10 giorni prima della comparsa dei sintomi.
Il periodo di incubazione è di 15-60 giorni: compaiono quindi astenia, dispepsia, disgusto per il fumo di
sigaretta (tipico nei fumatori), accompagnati da aumento delle transaminasi e del tempo di protrombina (che
torna normale con infusione di Vit K endovena se non c’è danno epatico massivo). Tuttavia in una
considerevole % dei casi l’infezione decorre asintomatica e l’80-90% degli individui possiede anticorpi
protettivi per esservi venuto a contatto.
Non tende a cronicizzare con guarigione completa in 1 mese.
Rarissimamente dà origine ad epatite fulminante (per lo più negli anziani con epatopatia cronica da HCV –
NON cirrosi; essi andrebbero preventivamente vaccinati.)
La diagnosi si basa sull’isolamento del virus dal sangue o dalle feci e su test sierologici:
• IgM compaiono con i sintomi ed indicano infezione in atto
• IgG compaiono 2-3 gg dopo le IgM e durano per tutta la vita, sono protettive ed indicano infezione
pregressa (utili per inchieste epidemiologiche: es. la sieroprevalenza in India è del 58%, USA 10%,
Svizzera 5%
Profilassi: generale (> igiene), specifica passiva (disponibili Ig da somministrare a viaggiatori occasionali
esposti, pazienti conviventi di malati), specifica attiva (con vaccino ucciso, utile per reclute e viaggiatori)
EPATITE B
Eziologia
L’HBV è un virus a DNA mantellato di 42 nm con un genoma di 3200 pdb. Fa parte della famiglia delle
HepaDNAviridae; può infettare oltre all’uomo lo scoiattolo, la marmotta e l’anitra pechinese (dehihohu, ce
l’ho messo perché è divertente).
Produce 4 proteine principali codificate da 4 geni sovrapposti (S,C,P,X). La replicazione avviene solo nel
fegato, ma il virus si trova anche in altri parenchimi. Ha una DNA polimerasi endogena, in grado di agire
anche da RNA polimerasi, e da transcriptasi inversa. Quindi a partire da un intermedio rna-, la dna-pol del
virus sintetizza una copia di dna+, con un meccanismo identico a quello dei retrovirus. Le proteine virali
invece vengono codificate sull’intermedio RNA-.
Dopo vari cicli di replicazione (infezione cronica) il DNA presente nel nucleo può integrarsi nel genoma
epatocitario determinando l’espressione dei geni virali. Ciò sembrerebbe essere alla base della correlazione
tra epatite B e epatocarcinoma.
Nel periodo iniziale dell’infazione si ha presenza in circolo di virioni insieme ad un eccesso di particelle di
HbsAg, HbeAg, DNA e DNA polimerasi.
Immunità
I principali marcatori di infezione da HBV sono:
• HBsAg, prodotto del gene S, corrispondente alle proteine di superficie del virione, compare durante
l’insorgenza dei sintomi e scompare prima della produzione degli anticorpi specifici (periodo
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finestra) dando origine al cosiddetto periodo di latenza.nei portatori sani e nell’epatite cronica non si
ha scomparsa di HbsAg ne comparsa di HbsAb.
• HBcAg, prodotto del gene C, corrisponde invece al core nucleo capsidico del virione, non si isola
mai nel siero, ma solo in coltura su biopsia epatica, in quanto rimane contenuto dentro l’epatocita o
si trova associato alle proteine di superficie
• HBeAg, proteina solubile prodotta dal gene C, ma con un sito trascrizionale diverso. E’ in pratica la
forma solubile del gene C, ed è il marker più attendibile di infezione da virus HBV.gli HbeAg hanno
elevati livelli durante il periodo di incubazione che dura 1-3 mesi, sono indice di attiva replicazione
virale e di trasmissività
• HBV DNA e HBV DNA-polimerasi sono gli indici più sensibili di replicazione virale e quindi di
alta contagiosità, la loro comparsa coincide con quella dell’HBeAg
Gli anticorpi contro il virus sono rappresentati da:
• HbsAb hanno funzione protettiva e la loro comparsa indica guarigione completa ed
immunità che dura per tutta la vita
• HbeAb compaiono più precocemente rispetto agli HbsAb (non c’è periodo di latenza),la
loro presenza indica scarsa o nulla trasmissività, non hanno funzione protettiva ma predittiva
in quanto indicano prognosi positiva. Nell’epatite cronica non si ha scomparsa di HbeAb ne
scomparsa di HbeAg
• HbcAg sono i primi a comparire sotto forma di IgM che indicano infezione recente e
permangono per tutta a vita sotto forma di IgG che indicano guarigione ed immunità.la loro
comparsa ha un importanza dal punto di vista diagnostico in quanto tra la scopmparsa
dell’HbsAg e la comparsa dell’HbsAb trascorre un periodo definito finatra immunologica in
cui l’unica prova dell’infezione è la presenza dell’HbcAb. Anche l’HbcAb non è un
anticorpo protettivo.
Il virus non è citolitico perciò il danno epatico è mediato dalla risposta immunitaria e dall’infiammazione.
A livello epatico sono presenti i cosiddetti corpuscoli di Mallory intracitoplasmatici dovuti all’aggregazione
delle particelle virali.
Epidemiologia
Attualmente l’HBV è la seconda causa di epatite virale, anche per via della prevenzione e della vaccinazione.
Tuttavia la prevalenza rimane alta nel mondo (300 milioni circa, la maggior parte dei quali concentrati in
Africa, dove il 10% della popolazione è siero+ ed è elevata anche l’incidenza dell’HCC primitivo.
L’HBV essendo dotato di mantello ha una buona resistenza nell’ambiente, rimane infatti vivo ed infettante
per 24 ore. Esso viene eliminato nel soggetto infetto tramite saliva, secreti vaginali, sperma, latte, lacrime,
sangue ed emoderivati. La concentrazione di virioni nei liquidi infettanti è molto alta (nel sangue anche
106/mm3).
La principale vie di trasmissione dell’epatite B è mediante inoculazione di sangue infetto o emoderivati, per
questo motivo è anche chiamata epatite da siero. La trasmissione parenterale può essere anche in apparente,
quando si verifichi ad esempio la penetrazione attraverso soluzioni di continuo di cute e mucose (ad es. con
lo spazzolino da denti o il pettine usati dal malato).
Il virus viene trasmesso anche per via sessuale e da madre a feto per via transplacentare o durante il
passaggio nel canale del parto.
Clinica
L’epatite B può manifestarsi in 3 forme:
• 85-90% tipica o autolimitante
• 5-10 cronica
cronica attiva che evolve verso la guarigione anche se tardiva
cronica persistente che evolve verso la cirrosi epatica
portatore sano
• 1-3% fulminante
la condizione di infezione è data dalla presenza dell’HbsAg, possono poi essere presenti diversi quadri
sierologici:
A. HbeAg+ DNA polimerasi + indica la presenza di virus replicante ed attivo e si associa a prognosi
peggiore
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B. HbeAb+ DNA polimerasi – DNA – indica che non c’è attività virale ma solo presenza di memoria
immunologica
C. Con agente δ + V°
D. Con agente δ - V°
La condizione A+C indica la situazione in assoluto peggiore.
Epatite acuta classica
Detta anche itterica, inizia con febbre, artriti ed esantema maculo-papulare su base immunitaria; fa seguito
poi il periodo itterico, che non è MAI accompagnato da febbre (se è presente  sospettare altre condizioni
concomitanti come colangiti e anemia emolitica).
Fattori prognostici negativi:
 clinici: torpore e inversione del rapporto sonno-veglia, segni di encefalopatia epatica, fegato
diminuito di dimensioni (x necrosi massiva e non per reale risoluzione del processo infiammatorio)
 laboratoristici: aumento del tempo di protrombina, aumento delle transaminasi GOT (isoforma
mitocondria-le)
Epatite B cronica
Dopo una fase iniziale ad alti livelli di replicazione il virus in cui si osservano in circolo i marcatori di
replicazione virale (HbeAg, DNA e DNA polimerasi) si integra nel genoma dell’epatocita, l’ HbcAg
scompare negli epatociti ed il danno necrotico infiammatorio diminuisce fino a scomparire del tutto.
Non sono più dimostrabili in circolo i marcatori di replicazione virale quali HbeAg, DNA e DNA polimerasi
mentre l’HbsAg continua ad essere presente.
Portatore cronico
È asintomatico e presenta nel siero la presenza di HbsAg senza altri marcatori di infezione. Non vi è
presenza di HbsAb perciò il soggetto ha la capacità di trasmettere la malattia. Inoltre questi soggetti hanno
una aumentata probabilità di andare incontro al CEC.
La probabilità di sviluppare una cronicizzazione dipende dall’età in cui è stata contratta l’infezione:
generalmente questa nei bambini produce un’infezione acuta clinicamente silente che sfocia al 90% in una
infezione cronica. Al contrario negli adulti la % di cronicizzazione è del 20% e la > parte di questi casi si
associa a infezioni acute di scarsa/nulla evidenza clinica.
In un follow-up di 13 anni si è visto che + di ¼ dei pz con ep. persistente progredisce verso la cirrosi.
Più importante forse, ai fini del calcolo del rischio di insufficienza epatica, è il grado di replicazione
dell’HBV: l’ep cronica cronica in fase replicativa (presenza di HbeAg e HBV-DNA nel siero, Ag
nucleocapsidici come HbcAg intraepatocitari, alta infettività e danno epatico) tende essere significativamente
più grave.
La malattia cronica si presenta come asintomatica (solo modesto movimento delle transaminasi) a una
malattia debilitante con sintomi classici. fino all’insufficienza epatica terminale, preceduta da esacerbazioni
passeggere. Spesso la diagnosi viene fatta quando compaiono i sintomi classici della cirrosi.
I dati di laboratorio consistono in un’ipertransaminasemia (che può fluttuare tra 100 e 1000), con l’Alt >
dell’Ast – il rapporto si inverte nella cirrosi. L’ALP non è indicativa e gli altri valori (bilirubina, PT,
protidemia) si alterano solo nelle fasi terminali.si osserva riduzione delle γ−globuline.
Terapia
i candidati migliori per l’avvio di una terapia antivirale sono pz. Immunocompetenti, con epatite B ben
compensata in fase replicativa, meglio se acquisita in età adulta e la cui durata sia + bassa possibile (<1,5
anni). La terapia si fa con IFNα e consiste in un ciclo di 4 mesi di iniezioni giornaliere sottocutanee di ca. 5
milioni di unità; essa produce una sieroconversione verso la fase non replicativa nel 40% dei casi. Un buon
risultato si accompagna anche a un’elevazione delle transaminasi, per l’effetto potenziante dell’IFN
sull’attività citotossica diretta contro gli epatociti infettati. Le recidive dopo la sieroconversione sono molto
rare (1-2%).
Complicanze: sintomi flu-like, insufficienza midollare, labilità emotiva e tiroidite autoimmune irreversibile,
+ altri sintomi collaterali quali rash cutaneo, alopecia, diarrea e formicolio alle estremità
Un’alternativa all’IFN sono i corticosteroidi, che usati a lungo sono sicuramente deleteri ma se sono
somministrati brevemente inducono un aumento dell’espressione degli Ag virali sulla membrana degli
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epatociti di modo che i L.T, una volta riacquistate le capacità pretrattamento potrebbero aggredire con +
efficacia le cellule infette.
Nei portatori asintomatici la terapia peggiora la malattia e aumenta l’entità del danno epatico mentre nelle
forme croniche terminali l’unica opzione valida è il trapianto di fegato.
Profilassi
In caso di presunto contagio viene fatta una immunizzazione passiva tramite IgG anti-HbsAg prese da
soggetti immunizzati che durano per circa 15 giorni (utili nelle infezioni connatali).
Il vaccino attualmente in uso è stato approntato tramite la tecnica del DNA ricombinante (trasfezione del
gene per l’HbsAg nel batterio innocuo Saccaromyces cerevisiae): la protezione dura 5-6 anni dopo di che
viene fatto un richiamo (la vaccinazione naturale è più efficace in quanto dura per tutta la vita). Il vaccino si
basa su 3 somministrazioni a distanza di 1 mese e 6 mesi; in Italia è obbligatorio dal 1991. La risposta è
eccellente nei bambini (100%), un po’ meno negli adulti
EPATITE D
L’HDV o agente δ è una particella virale difettiva a RNA- (1,7 Kbp) di 35 nm, che necessita della
contemporanea infezione epatica da parte del virus B (o di un altro HepaDNAvirus), per comporsi
correttamente ed entrare nella cellula. Infatti un virione D completo comprende un core D, diverso da quello
di HBV, e un mantello identico all’HBsAg.
Le modalità di trasmissione sono le stesse dell’epatite B.
Si può avere una coinfezione ad opera di HBV e HDV o una superinfezione di HDV in soggetti già infetti da
HBV.
L’infezione da HDV aumenta la gravità dell’epatite B: mentre la confezione con l’HBV non peggiora
significativamente la prognosi, la superinfezione è un’evenienza più rara ma anche molto più grave, poiché
può causare una necrosi epatica acuta fatale o accelerare enormemente la progressione a cirrosi.
La diagnosi viene fatta tramite la ricerca dell’HDV nel sangue o in biopsia epatica o tramite la ricerca di IgM
anti-HDV.
Il vaccino anti-epatite B protegge anche dall’epatite D.
Un aspetto sierologico particolare è la presenza di auto-Ab anti-LKM (Liver-Kidney Microsomes),
denominati anti-LKM3 per distinguerli da quelli dell’epatite autoimmune.
Terapia
L’IFNα può produrre remissioni durature e prolungata riduzione della replicazione virale ma sono
necessarie dosi molto alte e a lungo. Pz in fase terminale rispondono positivamente al trapianto e solitamente
solo il virus d recidiva nel fegato nuovo con < conseguenze.
EPATITE C
Il virus C è un virus simile ai flavivirus, a RNA- a singola elica. (9,5 Kbp). È abbastanza esistente
all’ambiente esterno ma essendo mantellato è sensibile al CCl4.
Il genoma è composto da:
 gene C22 (core
 geni E1-E2: envelope (altamente variabili!)
 geni per proteine non strutturali (ad attività enzimatica)
Il virus ha una alta capacità di mutare: in effetti l’infezione produce anticorpi in parte neutralizzanti (e
questo ne limita la diffusione ai familiari), ma questi sono di breve durata, e non sono protettivi né nei
confronti di una seconda infezione da parte dello stesso sierotipo, e né da parte di altri virus.
Si conoscono 6 sierotipi di virus C: 1a, 1b,1c, 2a, 2b, 2c (1a/b e 2a/b sono quelli presenti in Italia poichè
presentano una maggiore resistenza agli antivirali). Il tipo 1 appare essere più resistente all’interferone.
Ancora oggi è difficile identificare il virus C. I metodi di elezione, la PCR e l’ibridazione con sonde di DNA
rimangono costosi e complessi.
L’epatite C si trasmette tramite sangue ed emoderivati, incerta è la trasmissione sessuale e da madre a feto.
Il contagio non comporta necessariamente infezione poichè insieme al virus possono essere trasmessi anche
gli anticorpi.
Il periodo di incubazione è di 1-3 mesi più breve se la trasmissione è da emoderivati.
Il virus non è citolitico pertanto le lesioni epatiche sono il risultato della risposta immune e
dell’infiammazione.
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L’epatite c si presenta:
• 95% asintomatica
• 5% sintomi simil-influenzali
Nel 50% dei casi si ha l’evoluzione da epatite acuta in epatite cronica che spesso degenera in cirrosi che
predispone all’insorgenza del carcinoma epatocellulare.
La cronicizzazione sembra essere dovuta all’integrazione del genoma virale all’interno dell’epatocita.
L’HCV è considerato un virus cancerogeno a tutti gli effetti ed è la prima causa di epatocercinoma.
Clinica
L’infezione acuta è scarsamente rilevante: nella maggior parte dei casi decorre asintomatica; purtroppo la %
di cronicizzazione è oltre il 50%. L’epatite cronica si caratterizza per l’astenia (il sintomo +
frequenteancorchè generico), l’ittero è raro come pure le manifestazioni extra-epatiche, ad eccezione della
crioglobulinemia mista (o essenziale). Comunque sono possibili anche qui danni da IMC come la Sindrome
di Sjogren e la porfiria cutanea tarda. I valori delle transaminasi tendono a oscillare ma comunque sono bassi
nella malattia di vecchia data. Un aspetto interessante è la presenza di Ab anti-LKM1 analoghi a quelli
dell’epatite autoimmune, diretti contro una seq di 33 amminoacidi del P450 IID6 forse per una parziale
omologia con la poliproteina dell’HCV. Inoltre in alcuni pz questo reperto suggerisce una possibile
componente autoimmunitaria nella patogenesi.
Diagnosi
La diagnosi viene fatta tramite ricerca del virus e dell’RNA virale a livello sierico tramite PCR.
La presenza in circolo di HCV può essere indice di risposta immune ma non necesssariamente di attività
della malattia, mentre la presenza di RNA è indice dell’attività della malattia.
Un altro marcatore è l’HCV Ab anticorpo no protettivo che indica quasi sempre infezione.
L’intervallo di sieroconversione (cioè il tempo che intercorre tra l’infezione e la positivizzazione del test) è
di 20 settimane e ciò spiega l’impossibilità di uno screening sicuro dei donatori di sangue.
La prognosi a lungo termine di pz HCV+ politrasfusi non è tanto diversa da una popolazione di controllo
sana, poiché l’epatite cronica C-relata tende a progredire molto lentamente anche se con esito quasi sempre
grave. La progressione può essere + rapida in individui geneticamente predisposti, con alti livelli di HCVRNA nel sangue o con epatopatie concomitanti o deficit di α1 – antitripsina.
Terapia
IFNα2 b 3 milioni di unità per via sottocutanea 3 volte alla settimana per 6 mesi. Questo regime produce una
normalizzazione dell’Alt o una riduzione fino a rientrare entro 1 volta e mezzo il limite massimo nel 65% dei
pazienti (ma nel 50% se la terapia viene sospesa la malattia regredisce) e la guerigione nel 15%. Al contrario
dell’ep. B, nella C una risposta favorevole non si accompagna a un movimento delle transaminasi. Tuttavia
la risposta prolungata si riduce al 25% dei soggetti o anche meno. I pz che recidivano rispondono comunque
a un secondo ciclo di terapia, tranne quelli che hanno un aumento delle transaminasi, forse per la comparsa
di Ab anti-IFN.
La negativizzazione dei livelli di HCV-RNA non esclude la possibilità di recidiva. Paradossalmente i
pazienti che hanno una malattia lieve con scarso rischio di progressione nel tempo sono quelli che
rispondono meglio.
Alcuni studi clinici su piccolo campione indicano una > efficacia dell’IFN se somministrato insieme una
analogo nucleosidico come la ribavirina.
La terapia non è applicata ai pz con malattia lieve o asintomatica e nemmeno a quelli con cirrosi
scompensata (trapianto), con qualche rara eccezione se è presente crioglobulinemia sintomatica.
EPATITE E
Simile all’HAV, è un virus a RNA+ a singola elica, di 32 nm, a trasmissione orofecale, presente in Asia,
Africa e America centrale. Per molte caratteristiche appartiene agli alfavirus, ma è sierologicamente diverso
da ogni altro.
L’epatite E è clinicamente simile all’epatite A e si associa a gastrenterite.
Non è ancora disponibile un test di routine per lo screening. La malattia ha una letalità trascurabile tranne
nelle donne incinte dove inspiegabilmente raggiunge il 20%.
EPATITE G
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130
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Flavivirus a RNA da 9,4 Kbp con trasmissione parenterale scoperto nel 1960. Piuttosto raro, sebbene
identificabile solo con la PCR, sembra che non sia in grado di dare una infezione clinicamente evidente se
non in associazione con l’HCV.
In condizioni normali, nessuno dei virus elencati sembra in grado di dare un effetto citopatico diretto:
soprattutto per l’HBV, il più studiato, non è rara la presenza di soggetti asintomatici che sembrano
dimostrare l’incapacità del virione di dare danni alle cellule epatiche.
Si propende perciò verso la teoria del danno immuno-mediato. In effetti la presenza di un infiltrato
infiammatorio di T attorno alle aree di necrosi, e la tendenza alla cronicizzazione soprattutto in pazienti con
disordini immunitari sembrano confermare questa teoria.
Si ritiene che gli antigeni ai quali i T siano più reattivi sono quelli del capside virale (HBC e HBE Antigene).
Dall’altra parte, la presenza di un quadro clinico diverso a seconda del tipo di virus, l’enorme aggravamento
della clinica dell’epatite B nella infezione delta, la possibilità, nei pazienti HBV+, di danno al fegato
trapiantato durante la terapia immunosoppressiva post-trapianto indicano che la partecipazione diretta del
virus al danno non è trascurabile.
Nei bambini nati da madre infetta, l’infezione si protrae per tutta la vita in modo praticamente asintomatico,
cosa che depone per una sorta di tolleranza acquisita.