IL CONCETTO DI «NATURA UMANA» IN BIOETICA Mons. Giancarlo Grandis Vicario Episcopale per la Cultura, l’Università e il Sociale Diocesi di Verona Articolo pubblicato in «La coppia giovane» 16/3 (2003) 8-14. e in «La coppia giovane» 17/1 (2004) 7-16. «Chiunque si pone il problema di un’etica naturale, presuppone già con questo solo termine che esista “la natura” dell’uomo; ma che cosa significa, se applicato all’uomo, un concetto apparentemente così chiaro come quello di natura?» (ROMANO GUARDINI) «Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adatassimo a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di consideralo in modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di sopravvivere» (ELWYN BROOKS WHITE) 0. Introduzione Una riflessione sulle implicazioni di carattere antropologico e giuridico delle questioni riguardanti oggi la bioetica non può prescindere dall’affrontare una domanda preliminare che risulta quanto mai cruciale e decisiva per fondare e argomentare i giudizi etici di liceità e non liceità degli interventi tecnico/sperimentali sull’uomo: la domanda se esista o non esista una «natura umana» codificabile razionalmente da cui trarre una «legge naturale», culturalmente elaborabile, la quale ha poi i suoi riflessi sull’ambito del «diritto naturale». Di fronte allo sfondamento etico che la sperimentazione scientifica e le biotecnologie hanno oggi progressivamente operato sul versante della corporeità umana, il permanente interrogativo della storia del pensiero su chi è l’uomo e in modo specifico quale valenza di senso abbia il corpo umano s’impone in modo sempre più pressante. A partire dall’affermazione se sia data o non data una «natura umana» discendono due primati in bioetica che appaiono subito tra loro irriducibili se non addirittura opposti: il 1 G:\Cultura\Contributi sito vicario\TESINA_Il concetto di natura in bioetica - non corretta.doc primato dell’etica sulla tecnica (ma dove e come fondare tale primato?), il primato della tecnica sull’etica (ma in base a quali criteri regolare poi l’uso della tecnica?). È venuta meno oggi una riflessione filosofica sul fenomeno della vita, per cui essa si trova sempre più esposta e ormai consegnata al “potere” della tecnica. «Oggi – afferma Emmanuele Morandi presentando il saggio di Étienne Gilson, Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, che egli definisce un “gioiello filosofico” – la vita ha di fronte a sé non più un sapere, ma un “fare”, non più un fare all’interno di un sapere, ma un “fare” che vuole essere il suo proprio sapere, quello che si sprigiona dalla “tecnica” e dalla sua utopia, istallarsi sulla vita»1. Data la vastità e la complessità della questione, l’obiettivo di questo breve elaborato – richiesto al termine del corso di perfezionamento in Bioetica promosso dalla Università Cattolica del Sacro Cuore per ottenere il titolo previsto dal regolamento didattico dell’Ateneo – è necessariamente circoscritto. Si tratta di porre la questione della fondazione dell’etica a partire dal concetto di «natura umana», in altre parole, dell’essenza e della specificità dell’humanum, mostrando la problematicità ed anche l’equivocità a cui si va incontro quanto si usa il termine «natura» applicata all’uomo. Romano Guardini arriva ad affermare che la «natura» dell’uomo «consiste addirittura nel fatto di non averne una»2, anche se afferma la pertinenza di interrogarsi sulla natura dell’uomo: «L’uomo ha in generale una natura? L’ha certamente nel senso che non è qualcosa di indefinito», per cui «formulare una definizione della natura dell’uomo è possibile solo fino ad un certo punto, oltre il quale si finisce nell’indeterminato»3. Ma allora esiste veramente una natura umana che costituisce il presupposto imprescindibile per l’esercizio della responsabilità morale da parte della libertà umana? Si può parlare di «legge naturale» in riferimento all’etica e al diritto? Come mai il pensiero ufficiale della Chiesa, in tensione critica col pensiero moderno post-metafisico, considera la negazione della legge naturale e il dissolversi della teoria 1 MORANDI E., Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, Marietti, Genova 2003, p. X. 2 GUARDINI R., Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 18. 3 Ib., pp. 17.18. 2 aristotelica del finalismo della natura come la causa della deriva tecnicista della bioetica oggi, con imprevedibili conseguenze per il futuro dell’uomo?4 Sulla questione concernente la natura umana noi incontriamo uno dei punti conflittuali tra una bioetica elaborata alla luce del pensiero ebraico-cristiano e una bioetica cosiddetta laica che intende prescindere da ogni riferimento confessionale/religioso 5, trovando in esso uno dei motivi dell’incomunicabilità tra laici e cattolici nel dibattito politico concernente le questioni bioetiche6. Le veloci riflessioni che seguono intendono rimanere prevalentemente nell’ambito semantico del termine «natura», cercando con ciò di mostrare che chiarire il concetto di «natura dell’uomo» nella modernità – cioè dopo la reimpostazione del rapporto mente/corpo fatta da Cartesio il quale ha elaborato una nuova spiegazione che attingeva alla concezione meccanicistica e quantitativa con la quale il pensiero scientifico cominciava e interpretare la natura e il mondo7, – è preliminare per ogni fecondo dialogo in campo bioetico, allo stesso tempo sincero e rispettoso delle varie posizioni. Il lavoro, partendo dal una riflessione sul rapporto tra filosofia dell’essere ed esperienza della libertà per definire la specificità della natura dell’uomo (1), intende esaminare diacronicamente il concetto di natura nella storia del pensiero (2) allo scopo di precisare in che senso si possa parlare di ‘legge naturale’ in prospettiva etica (3). Si cerca poi di evidenziare lo specifico contributo del pensiero cristiano che ha introdotto il concetto di persona per definire l’uomo (4). Vengono quindi messe in relazione tra loro due concetti di ragione per rilevare una visione riduttiva della ratio intesa soltanto nella sua funzione calcolante (5). Da ultimo viene descritta l’etica della 4 Sui riflessi etici delle biotecnologie in relazione al futuro dell’uomo, cf DI PIETRO MARIA LUISA – SGREGGIA E. (edd.), Biotecnologie e futuro dell’uomo, V&P, Milano 2003. 5 Sui due punti di vista, quello religioso/cristiano e quello della laicità della dignità umana, cf GORMALLY L., La dignità umana: il punto di vista cristiano e quello laicista, in CORREA J. DE DIOS E SGREGGIA E. (edd.), La cultura della vita: fondamenti e dimensioni, LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 49-64. 6 Cf RUSCONI G.E., Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Einaudi, Torino 2000, pp. 13-18; POSSENTI V., Laici o laicisti? Un dibattito su religione e democrazia, Liberal, Firenze, 2002; SCARPELLI U., Bioetica Laica, Baldini&Castaldi, Milano 1998. 7 Cf SCARSINI DANIELA, Il corpo in occidente. Pratiche pedagogiche, Carocci, Roma 2003, p. 9. 3 responsabilità da intendere come rispetto per l’ordine dell’essere la cui intelligibilità non può essere negata, ma affermata a partire da una concezione sapienziale della ragione che può spingersi oltre lo sguardo utilitaristico proprio della ragione tecnica verso lo sguardo contemplativo proprio della ragione etica, antropologicamente fondata (6). 1. La natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà La domanda sull’identità dell’uomo risulta assai complessa, comportando, la sua definizione, l’affermazione dell’unità sostanziale8 di due elementi che sembrano tra loro in una opposizione alternativa: il regno dello spirito la cui legge è la libertà e il regno della materia la cui legge è il determinismo. Il rapporto tra essere e libertà in ordine alla definizione della natura umana attraversa tutta la storia del pensiero antropologico fino alla moderna concezione sartriana per cui l’uomo è la sua libertà, e proprio per questo non esiste nessuna natura umana se non quella che l’uomo liberamente diviene9. 8 La tesi dell’unità sostanziale di anima e corpo è uno dei punti più decisivi e qualificanti dell’antropologia tomista. Con la nascita della scienza moderna tale tesi è rimasta isolata e dimenticata. La responsabilità di ciò sembra debba essere attribuita a Cartesio che ha reimpostato il problema della relazione mente/corpo fornendo una spiegazione che attingeva alla concezione meccanicistica e quantitativa con la quale il pensiero scientifico cominciava e interpretare la natura e il mondo (cf SCARSINI, Il corpo in occidente, cit., p. 9), riducendo il concetto di vita a un meccanismo che ha in se il principio del movimento «senza invocare l’anima come motore esterno e immateriale» (ib., p. 10). Ma la vita non è una semplice «operazione» del vivente. Vivere è essere. «L’essere – afferma Aristotele – per i viventi è il vivere, e causa e principio di esso è l’anima» (De Anima, (II, 4; 415 b9-15), in SALMERI G., La vita e la persona. L’idea dell’uomo tra pensiero greco e fede cristiana, PUL, Roma 2003, p. 121). Tale tesi dell’unità sostanziale, che fa parte della visione cristiana dell’uomo, è stata ripresa dal Concilio Vaticano II sintetizzandola nella felicissima formula del «corpore et anima unus» (Gaudium et Spes, 14), che richiama la formula esperienziale tomista «idem ipse homo est qui percepit se intelligere et sentire» (Summa Theologiae, I, q. 76, a. 1). 9 «Io sono la mia libertà», si afferma nel dramma sull’esistenza umana Le mosche. Per Sartre, l’esistenza precede l’essenza. Così interpreta S. Grygiel: «Se l’uomo è prima la sua esistenza, la quale solo successivamente crea da se stessa la proprio essenza, ossia il contenuto (il cosiddetto mondo degli oggetti), allora dobbiamo dire che l’uomo è libero. Non vi è infatti in lui nulla che possa imporgli qualsivoglia legge e regola di comportamento. Non v’è in lui nessuna “natura”» (GRYGIEL S., Il dio delle mosche e la libertà dell’uomo, in ID., Il lavoro e l’amore, CSEO, Bologna 1983, pp. 12-13. 4 Alla definizione di ciò che è essenzialmente umano risultano quanto mai determinanti i due orizzonti di riferimento nei confronti dei quali non è possibile affermare nessuna neutralità: l’orizzonte trascendente e l’orizzonte immanente. «Trascendenza e immanenza – afferma D. Coccopalmerio – sono due formae mentis radicalmente diverse» che segnano una specie di spartiacque tra classicità e modernità. «Il pensiero classico testimonia la verità dell’essere in un ordine assoluto trascendente; il pensiero moderno testimonia la verità dell’essere in un ordine che si identifica e si esaurisce nel divenire nella natura e nella storia dell’uomo». La ricaduta sul problema dei diritti umani e sulla responsabilità etica degli scienziati è quanto mai decisiva e inquietante. Tutto ciò richiama l’ordine dell’essere e l’ordine del gioco: «per il pensiero classico il problema dei diritti umani è un problema che riguarda l’ordine dell’essere. Per il pensiero moderno, invece, il problema dei diritti umani riguarda l’ordine del gioco»10. Sia l’essere sia il gioco chiamano in causa la libertà dell’uomo, ma su versanti categoricamente diversi. Nel primo caso sul versante della responsabilità (come risposta all’ordine dell’essere), nel secondo caso sul versate della creatività (come libertà di creare nuovi ordini dell’essere in continuità e in alternativa con quello della natura). Nel primo caso l’uomo si sente chiamato a partecipare ad un progetto di vita che non è stato lui a creare, nel secondo caso è l’uomo stesso che si sente il dio della natura, non solo il suo custode, ma anche il suo manipolatore. Non a caso gli anglosassoni hanno coniato l’espressione Playing Good. Rostand l’aveva previsto già negli anni ’50: «Qualunque sia l’ultima parola sull’enigma vitale, il destino del biologo è tale da risultare senz’altro grandioso […]. Finirà per fabbricare la vita, per ricreare la struttura genetica e, autore di una nuova natura, si collocherà nella schiera degli dei»11. La libertà costituisce certamente l’elemento qualificante la natura dell’uomo. Tuttavia essa non può essere pensata come negazione dell’essere (nichilismo), ma come una sua espressione che colloca l’uomo nell’universo dell’etica. Per cui si può affermare che l’essere 10 COCCOPALMERIO D., La metafisica dei diritti della persona, in SGREGGIA E. – CALABRÒ G.P., I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Marco, Lungro di Cosenza 2002, p. 25. 11 Cit. da BRUGUÈS J.L. Fecondazione artificiale: una scelta etica?, SEI, Torino 1991, p. 7. 5 precede la libertà, senza che questo significhi che l’essere limiti nei confronti dell’uomo l’orizzonte delle libere scelte12. Parlare di natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà significa che per quanto concerne l’uomo il termine natura deve essere utilizzato in senso analogico rispetto a quello della natura extraumana. Il termine natura, infatti, può essere adoperato sia in senso cosmologico sia in senso antropologico. Parlare di natura in senso antropologico e non cosmologico significa riconoscere che «l’essere umano porta in sé autentiche determinazioni essenziali ed è inserito in ordinamenti che derivano a loro volta da determinazioni essenziali, che però vivono nella sfera della libertà: a questi essa può esprimere assenso o dissenso, può influenzare in modo giusto o sbagliato la vita umana, può edificarla o distruggerla»13. Sotto questo aspetto si può dire che «libero è sinonimo di naturale»14. E che quindi «se l’etica non si deduce dalla sola natura, e non si sviluppa senza o contro di essa, necessita di altro fondamento: la libertà, quale “soggettività metafisica, intendendo appunto per ‘metafisica’ che la libertà è l’unico principio nuovo, dopo e sopra la natura”»15. Di fronte alla frammentazione dei saperi conseguenza della perdita dell’unità dell’uomo, la scienza antropologica esige oggi, «una ripresa forte della filosofia dell’essere, tale da collocare il discorso sull’uomo al di là degli esiti problematici della modernità filosofica e 12 Secondo T. Styczeń, esponente della filosofia personalista dell’area polacca, la questione della libertà chiama in causa due antropologie tra loro radicalmente divaricate sul rapporto tra la verità. La prima antropologia dice che «l’esperienza rivela la libertà dell’uomo e l’uomo stesso come autodipendenza del rendersi dipendente dalla verità che non dipende da lui». La seconda «presenta la libertà dell’uomo e l’uomo stesso come autodipendenza pura, ossia come il potere di determinare la verità su di sé, e dunque il potere di costituire la sua propria essenza, la sua natura» (STYCZEŃ T., Essere se stessi e trascendere se stessi, in WOJTYŁA K., Persona e atto, Rusconi, Milano 2000, p. 725). In questo secondo caso l’essenza dell’humanum è ridotto alla libera autodeterminazione dell’individuo. Sul futuro dell’humanum, cf MARCHESINI R., Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002. 13 GUARDINI, Etica, cit., p. 20. 14 FARO G, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche(in dialogo con R. Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 291. 15 FARO, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R. Spaemann), cit., pp. 289-290. 6 scientifica»16. È nel contesto di questa ripresa della filosofia dell’essere e delle problematiche bioetiche che riguardano la manipolazione dell’humanum che va rivisitato il concetto di natura così come si è andato elaborando nella cultura europea e nel contesto della quale è nata la nuova scienza, che costituisce un elemento che caratterizza la stessa identità europea17. 2. Il concetto di natura La natura – afferma G. Cottier – «costituisce uno di quei dati originari la cui messa a fuoco è decisiva per lo sviluppo globale del pensiero filosofico e anche di quello teologico. Infatti, a seconda del modo in cui la natura viene conosciuta ed espressa concettualmente è possibile tracciare le linee di divisione e di opposizione tra i vari sistemi filosofici»18. Il termine natura, evidentemente, per la relazione che passa tra antropologia ed etica, è decisivo non soltanto per la filosofia e la teologia, ma anche appunto per l’etica. Abbiamo già ricordato che il concetto di natura non è univoco, ma polisemico. Esso, quindi, soprattutto quando è utilizzato in riferimento alla fondazione del comportamento e della responsabilità morale, va sempre esplicitato. La natura umana, infatti, non è identificabile alla sua natura biologica. La domanda su che cosa è natura attraversa tutta 16 MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La Civiltà Cattolica» 3513 (1996), p. 236. 17 Afferma H.G. Gadamer: «Se poi ci si interroga sul ruolo della scienza nel futuro dell’Europa, occorrerà partire da un presupposto la cui evidenza è, a mio parere, incontestabile: che cioè è proprio la scienza a definire l’identità europea come tale. La scienza ha dato forma all’Europa nel suo divenire storico e nella sua stessa estensione geografica. Ciò non vuol dire, ovviamente, che altre culture non abbiano ottenuto risultati importanti e duraturi in determinati settori del sapere scientifico [...]. Tuttavia si può senz’altro dire che solo in Europa la scienza ha creato un modello culturale autonomo ed egemone, e con segnata evidenza a partire dall’Età Moderna. Da quando il cammino della rivoluzione tecnico-scientifica si è esteso all’intero pianeta, il ruolo guida della scienza non è limitato, a dire il vero, alla sola Europa, ma è pur sempre europeo il modello a cui si richiamano ovunque la ricerca scientifica, l’istruzione scolastica e quella universitaria. Un'affermazione, questa, del tutto indipendente (si badi bene) da qualsiasi giudizio di merito sulle prospettive di un’umanità esposta al dominio della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche» (cit. da REALE G., Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’“uomo europeo”, Cortina, Milano 2003, p. XV). 18 COTTIER G., Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per l’etica bio-medica, in ID., Scritti di etica, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 150. 7 la storia del nostro pensiero occidentale chiamando in causa direttamente l’uomo (l’antropologia) nella sua facoltà intellettiva e razionale capace di rilevare da essa i significati di cui è pregna. La parola ‘natura’ ha la sua sorgente semantica nel participio futuro del verbo latino nasci (nascere). Esso indica ciò che approda all’esistenza per maturare nel divenire futuro, secondo modalità nell’uomo in parte necessarie (sviluppo fisico e psichico); in parte libere (progresso etico)»19. In greco, natura viene resa col termine physis che richiama sia il «crescere», ma anche il «produrre». Il genere femminile del termine, mantenuto anche in molte lingue moderne, «rimanda opportunamente alla donna in quanto madre e quindi “generatrice” di vita. Così la natura è quella dimensione della realtà in cui gli esseri vengono generati e crescono secondo un orientamento, una regola: è il mondo del “divenire” (il che nell’antichità veniva esteso anche agli oggetti inanimati dato che di fatto tutto era ritenuto “vivente”), senza però, costituire necessariamente una dimensione scissa dall’essere. Infatti, sempre alla luce dell’etimologia, la natura può definirsi anche, e significativamente, come “essere che si illumina, che appare”, dalla radice indoeuropea bhu che significa “essere” e risulta strettamente legata alla radice bha, che significa “luce”. La natura potrebbe configurarsi come “epifania significante e significativa dell’essere”». Accanto al termine physis «non è privo di interesse ricordare anche che il termine “cosmo” (gr. Kósmos) fa riferimento sia a “ordine”, “armonia”, sia a “ornamento” (si pensi a “cosmetico”). Esso, in base a tale etimologia, si presenta come la cornice e il fondamento strutturale della natura»20. Per il duplice significato di physis ricordato (crescere e produrre), naturale non dice necessariamente opposizione ad artificiale. «Natura e artificio costituiscono una coppia filosofica, un binomio correlativo in cui un termine richiama l’altro e il significato preciso dell’uno dipende dalla comprensione che si ha dell'altro. Spesso l’uso della categoria di naturale allude a qualcosa di genuino, di sicuro, di non 19 FARO G, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche(in dialogo con R. Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 301. 20 MONASTRA G., Natura, in TANZELLA-NITTI G. – STRUMIA A. (edd.), Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, Filosofia e Teologia, UUP-Città Nuova, Roma 2002, vol. 1, p. 1027. 8 ingannevole, mentre artificiale evoca il contraffatto, lo spurio, il manipolato, qualcosa che si presenta come imitazione, di solito maldestra, del naturale. Per lo più l’artificiale si dimostra perdente nei confronti del naturale: l’allattamento artificiale è considerato un succedaneo inadeguato dell’allattamento naturale, così come la mano artificiale applicata ad un arto mutilato vicaria ben miseramente la funzione dell’organo naturale. Volendo definire, in prima approssimazione, i due termini della coppia possiamo dire che naturale indica ciò che esiste indipendentemente dall’attività umana, mentre artificiale è ciò che esiste come prodotto dell’attività umana»21. Ciò che però qui è rilevante ai fini della nostra riflessione non è tanto seguire tutto l’itinerario semantico dei due termini naturale e artificiale, ma esaminare la ricaduta che il termine natura ha nell’ambito dell’etica attraverso l’espressione correlata di legge naturale. 3. La legge naturale Il concetto di legge naturale evoca un preciso orizzonte nel pensare la realtà che è propriamente quello creaturale. La legge naturale, come forma di partecipazione alla lex aeterna, richiama la sapienza e la volontà del Creatore. Essa custodisce le tracce che Dio ha lasciato nella sua creatura, le quali riflettono la sua sapienza e la sua volontà. Sono tracce però che vanno interpretate, per cui il passaggio dalla natura all’etica, da ciò che è e ciò che la libertà è chiamata a fare, non è diretto (l’etica non si deduce dalla natura), ma mediato dalla cultura. Il legale e il naturale non sono tra loro ostili, analogamente al naturale e artificiale, ma sono chiamati a coniugarsi insieme a servizio della libertà dell’uomo. Un conto però è il legale che nasce dal naturale e un conto è il legale che nasce da una normatività positiva. «Non esiste ostilità perpetua tra fysis e nomos, ma si deve riconoscere che: “le norme di legge sono accessorie [transitorie, contingenti], quelle di natura essenziali [permanenti]; quelle di legge sono concordate, non native; quelle di natura sono native, non concordate”»22. 21 FAGGIONI M.P., La vita tra natura e artificio, in «Studia Moralia» 33 (1995), p. 334. FARO G. , Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R. Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 290. 22 9 La legge naturale segnala alla libertà intelligente23 che l’uomo non può vantare un dominio illimitato sulla natura e a maggior ragione sul suo corpo. L’utopia baconiana secondo la quale la crescita esponenziale del potere tecnico avrebbe portato l’uomo alla pienezza della libertà si mostra fallace e viziata da pregiudizi di tipo dualista tenuti continuamente in vita dal positivismo, che pensa l’uomo unicamente come spirito e libertà, per cui il rapporto tra lui e il suo corpo avrebbe solamente carattere estrinseco. Questo dualismo antropologico – su cui la tecnica oggi si fonda per avvallare come progresso e come bene ogni applicazione dei risultati della ricerca scientifica identificando tecnica ed etica – non riconosce alla natura (e al corpo) nessun significato, essa è materia bruta a disposizione dell’efficacia tecnica e manipolatoria, e taccia di grossolano ‘biologismo’ chi discerne nelle leggi biologiche del corpo umano delle indicazioni circa il modo di condurre l’esistenza24. La legge naturale, quindi, lungi dal significare la sottomissione dello spirito alle leggi della natura biologica, è il prolungamento sul piano etico del significato che la natura ha sul piano teologico e metafisico. La normatività della natura scaturisce proprio dal fatto che essa è realtà che si rivolge all’intelligenza, è in se stessa intelligibile. La legge naturale come legge della ragione costituisce per l’uomo una specie da “radar ontologico” che lo guida in tutte le sue operazioni, senza per questo predeterminarlo25. 23 Pinckaers, nella sua ricostruzione delle fonti della morale cristiana secondo i criteri di rinnovamento suggeriti dal Concilio Vaticano II, ha mostrato come il Nominalismo di Occam (1295/1300-1350) si deve collocare all’inizio di un nuova concezione della libertà, che mostrerà la sua effettiva fisionomia in epoca moderna. Egli definisce questa nuova concezione come ‘libertà di indifferenza’, e la distingue da una diversa concezione della stessa, propria dei grandi pensatori cristiani, che chiama ‘libertà di qualità’. La libertà di indifferenza, pur risultando storicamente posteriore, tuttavia è oggi la più diffusa. Si veda, al riguardo, tutto il IV capitolo del suo saggio in PINCKAERS S., Le fonti della morale cristiana. Metodo, contenuto, storia, Ares, Milano 1992, pp. 385-467. La libertà – afferma Pinckaers – è «potenza stupefacente di innovazione e di cambiamento, ma anche di distruzione e di contraddizione» (ib., p. 396). 24 Cf COTTIER, Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per l’etica bio-medica, cit. p. 153. 25 L’espressione è di Coccopalmerio che così interpreta il pensiero di Tommaso sulle inclinazioni naturali, cf COCCOPALMERIO, La metafisica dei diritti della persona, cit., p. 28. Sulla concezione tomista della legge naturale come legge della ragione pratica cf RHONHEIMER M., Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell’autonomia 10 La legge naturale, in quanto rivelatrice di un ordine intrinseco dell’essere conoscibile dalla ragione, si costituisce poi di conseguenza come base per l’affermazione dei diritti della persona umana. A partire, quindi, dalla questione della natura umana e della legge naturale troviamo sulla via non soltanto le tematiche della bioetica, ma anche quelle del cosiddetto biodiritto26. 4. Lo specifico contributo del sapere cristiano alla definizione dell’humanum Non si può parlare di natura, di legge naturale e di diritti naturali in rapporto all’uomo e alla sua responsabilità nella gestione delle conoscenze scientifiche in ordine alla loro applicazione tecnica tacendo o ignorando l’influsso e il contributo che il pensiero cristiano ha dato riguardo alla definizione di ciò che è essenzialmente umano e del posto che l’uomo occupa nell’universo. Nella storia del pensiero europeo, in cui confluiscono la radice greca, la radice ebraico-cristiana e la radice illuministica, si possono individuare tre angolature tra loro connesse, ma anche diversificate, da cui l’uomo è considerato. La concezione ellenica è fondamentalmente una concezione «cosmocentrica». L’uomo fa parte della natura del cosmo è con essa si integra. Con l’avvento del cristianesimo, radicato a sua volta sull’ebraismo, l’asse si sposta e da una concezione «cosmocentrica» si passa ad una concezione «antropocentrica»27. Nell’orizzonte di questa concezione emerge il concetto di «persona» applicato all’essere umano in analogia con le persone divine di cui l’uomo è immagine e somiglianza (cf Gn 1,27). Con l’avvento del pensiero moderno – che si discosta dall’orizzonte della fede cristiana alla quale il concetto di persona si alimentava, e si sposta tutto verso la sola ragione – si passa morale, Armando, Roma 2001; cf anche VENDEMIATI A., La legge naturale nella Summa Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, ED, Roma 1995. 26 Sul rapporto tra legge naturale e diritti naturali cf il saggio di TIERNEY B., L’idea dei diritti naturali. Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico 1150-1625, il Mulino, Bologna 2002; sul rapporto tra diritto naturale e storia, cf STRAUSS L., Diritto naturale e storia, il melangolo, Genova 1990. 27 È significativo notare come elementi di antropocentrismo si trovano nel pensiero stoico. È stato accertato che essi sono di matrice ebraica introdotti dal fondatore di questa filosofia, Zenone, che era appunto di origine giudaica. 11 poco a poco dal concetto di persona a quello ben più ristretto di «individuo». Si deve alla “filosofia dei Lumi” l’aver ancorato nella società moderna il concetto di uomo-individuo, e quindi l’“individualismo”28. Si può notare come la tecnica risponda molto bene a questa concezione individualista dell’uomo e della libertà, in quanto funzionale ad assecondare i desideri individuali, in cui preponderante è l’aspetto egoistico del desiderio a scapito di quello altruistico su cui la concezione personalistica dell’uomo orienta. Infatti in questa concezione è il ‘tu’ a rivelare l’‘io’ e a introdurlo nella esperienza comunionale. L’antropologia di comunione attinge proprio dalla concezione personalistica dell’uomo come «essere per». Per questo, nell’orizzonte del pensare cristiano la persona umana «riveste un valore terminale nel contesto cosmico, in quanto capace di dire il tutto e, proprio per questo, chiamato a rapportarsi in verità al suo fondamento trascendente, e di rispondere, in termini di responsabilità e di amore, al dono di esistere»29. Le questioni sollevate dalla bioetica, che chiamano in causa in maniera così drammatica il futuro dell’uomo30, spingono ad interrogare il patrimonio della nostra cultura europea per trarre dal suo tesoro le linee di condotta che aprano davanti a noi un nuovo futuro di speranza, secondo la nota espressione di F. Hölderlin che «dove aumenta il pericolo, aumenta anche ciò che salva» (Patmos). Così, la tematica dello ‘specifico umano’ urge oggi nel panorama dei vari saperi che indagano sull’uomo, sulla sua origine e sul suo fine. Punto qualificante dell’antropologia di ispirazione cristiana è la caratterizzazione personale dell’Homo sapiens. Per caratterizzazione 28 Per questa ricostruzione, cf REALE, Radici culturali e spirituali dell’Europa, cit., pp. XIV-XV; cf anche tutto il cap. 5, Dal cosmocentrismo all’antropocentrismo: il concetto di uomo, pp. 79-97. 29 MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La Civiltà Cattolica» 3513 (1996), p. 231. Per una riflessione sull’identità relazionale dell’uomo in rapporto alle varie impostazioni bioetiche cf JERUMANIS A.M., La bioetica alla prova dell’identità relazionale dell’uomo, in «Rivista Teologica di Lugano» 8 (2003) 2, pp. 289315.Sulle varie teorie morali presenti nelle varie impostazioni bioetiche, cf anche MORDACCI R., Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Feltrinelli, Milano 2003. 30 Il carattere drammatico del nostro futuro a cui le moderne tecnologie ci hanno messo di fronte è stato autorevolmente evidenziato da M. Heidegger nella famosa intervista a Der Spiegel del 23 settembre 1966 e resa pubblica il 31 maggio del 1976: Ormai solo un Dio ci può salvare, in HEIDEGGER M., Ormai solo un Dio ci può salvare (a cura di Alfredo Marini), Guanda, Parma 1987. 12 personale si intende la sua capacità iscritta nella natura umana «di rapportarsi conoscitivamente ed esistenzialmente al Mistero trascendente, a Colui che sta a fondamento di ogni esistenza e di ogni emergenza»31. Sul tavolo delle problematiche bioetiche sono chiamati oggi a sedersi tutti i saperi che studiano l’uomo in un dialogo serrato che permetta di elaborare una antropologia adeguata alla natura metafisica della persona umana dotata di intelligenza (capax veri) e di libertà (capax boni). La tradizionale categoria ‘natura umana’ torna prepotentemente alla ribalta e necessita di essere ripensata e rifondata come categoria capace di indicare dentro quali limiti all’uomo tecnico è dato di poter intervenire nella realtà biologica di cui egli stesso fa parte integrante. «Dobbiamo tornare a riflettere intensamente sull’antica categoria di “natura umana”, per sviscerare la dinamicità, l’eticità e la creatività dell’essere e dell’autoperfezionarci»32. Ma di fronte a un nuovo concetto di ratio introdotto dalla scienza e dalla tecnica con l’applicazione del sapere matematico nell’analisi della realtà, allo scopo di sfuggire alla deriva tecnicista, ci si deve chiedere: qual è la razionalità adeguata capace di indagare sullo specifico umano? 5. Ratio technica e ratio ethica Nella nostra tradizione occidentale sono presenti tre saperi che si rifanno a tre razionalità che esigono di una loro integrazione: la razionalità filosofica, la razionalità teologica e la razionalità tecnica. Tra la razionalità filosofico/teologica e la razionalità tecnica esiste una differenza che va colta, valorizzata e riproposta a motivo del suo riflesso nell’esercizio della responsabilità morale. Mentre la razionalità tecnica è una razionalità calcolante che risponde alle finalità trasformative della realtà che tale razionalità si propone, la razionalità filosofico/teologica33 risponde alla domanda di senso che 31 MURATORE, L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, cit., p. 237. 32 MICCOLI P., L’esaltante avventura di essere persona, in Osservatore Romano del 18 settembre 2003, p. 3. 33 La differenza tra ragione filosofica e ragione teologica non sta nella domanda di senso, ma nel fondamento a cui tale domanda attinge. La domanda filosofica attinge dalla ragione 13 tale razionalità contiene nel suo approccio con la realtà e che si esprime attraverso la semplice domanda: che cosa è? Il sapere tecnico, rispetto al sapere sapienziale, «chiede alla scienza di corrispondere unicamente alle pretese manipolanti il mondo e la vita, nella totale indifferenza alla sua natura di sapere, che è invece l’essenza più propria della scienza»34. Continuando il pensiero di E. Morandi, «solo affermando la vocazione sapienziale della scienza e delle scienze è possibile pensare la non coincidenza tra scienza e tecnica, e quindi problematizzare la già avanzata istallazione della tecnica sulla vita, quella che sembra rendere neutralizzabile ogni domanda etica nel cuore stesso della scienza»35. Alla domanda quale etica per la bioetica?36, in analogia all’altra domanda che la precede quale antropologia o vita per la bioetica?37, diventa decisivo sottolineare la distinzione e la specificità dell’interrogativo etico rispetto all’interrogativo tecnico e l’inclusione di quest’ultimo nel primo. Se è già difficile affermare la neutralità dell’interrogativo tecnico già nell’ambito della natura cosmologica, diventa impossibile affermare la neutralità del «fare tecnico» nell’ambito dell’antropologia, per cui nell’orizzonte dell’etica – scienza chiamata a salvaguardare il bene della persona ut persona e non soltanto ut natura – rientra anche l’orizzonte della tecnica, avendo il primo carattere normativo nei confronti del secondo. Dal punto di vista antropologico, quindi, l’etica precede la tecnica e la norma. Ciò non significa imprigionare né quantomeno ridurre la libertà o misconoscere la bontà della tecnica. Significa solo affermare che la tecnica è a servizio dell’uomo e del suo bene. Ma qui si ritorna alla questione della fondazione del bene della persona che chiama in causa l’identità dell’uomo, vale a dire la sua ‘natura di uomo’. Nel pensiero cristiano, tale domanda l’uomo se la pone davanti a Dio, che riconosce trascendente il fenomeno, la domanda teologica, soprattutto quella ebraico-cristiana, attinge dalla autorivelazione di Dio allo scopo di poter vedere la realtà come la vede Dio che l’ha creata, cioè conoscendola come la conosce Dio, il quale ha su di essa uno sguardo contemplativo. 34 MORANDI E., Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, Marietti, Genova 2003, p. XII. 35 MORANDI, Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, cit., p. XIII. 36 Cf il saggio di AGAZZI E. (ed.), Quale etica per la bioetica?, Angeli, Milano 1990. 37 Cf SCOLA A. (ed.), Quale vita?. La bioetica in questione, Mondadori, Milano 1998. 14 come Creatore, e non davanti al cosmo di cui l’uomo fa parte, ma anche da cui l’uomo si differenzia qualitativamente: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? (sal 8,4-5). Il rischio di ributtare l’uomo nell’immanenza della natura cosmologica negandogli la dimensione trascendentale della sua natura e di identificare la ratio ethica con la ratio tecnica38, ha indotto un noto teologo moralista, J.L. Bruguès, a richiamare l’attenzione sulla necessità di affermare tre primati che rischiano di sfuggire alla mentalità utilitaristica moderna: 1. il primato del senso sul primato del fare; 2. il primato del diritto su quello del desiderio; 3. il primato dell’essere su quello della volontà39. 6. L’etica della responsabilità e l’ordine dell’essere Quest’ultimo primato ci riporta al punto di partenza: chi è l’uomo in rapporto al suo essere e al suo volere che si esprime attraverso le libere scelte? Come l’uomo può affermare il suo essere in relazione al suo volere? Oggi i vari sistemi etici che vengono elaborati in rapporto alle questioni bioetiche trovano un loro punto di convergenza attorno al principio responsabilità. L’uomo deve riscoprire in modo nuovo, e per alcuni versi inedito, la sua responsabilità verso il creato, verso se stesso, verso il suo futuro. Colui che ha richiamato e tematizzato il paradigma della responsabilità verso il futuro è stato il filosofo tedesco Hans Jonas40. Secondo Jonas l’etica della responsabilità si fonda sul primato dell’essere e costituisce un baluardo innalzato dalla coscienza per impedire al «Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forse senza precedenti e l’economia un impulso incessante […], di diventare una sventura per l’uomo»41. Secondo l’antropologia cristiana, il principio “responsabilità” si fonda sull’etica dell’amore come riconoscimento dell’essere nel suo 38 Cf Donum vitae, Intr., 4. Cf BRUGUES J.L., Les trois chocs de la bioéthique, in «NRT» 112 (1990), pp. 859-869. 40 Cf JONAS H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1993. 41 Ib., p. XXVII. 39 15 ordine, la quale etica attinge ad una concezione dell’essere come dono, cioè ad una concezione creaturale dell’esistenza (essere creato = essere donato). Chi in epoca moderna ha richiamato questo orizzonte etico a partire dalla prima legge morale così formulata: «segui, nel tuo operare il lume della ragione» è stato Antonio Rosmini (1797-1855). Secondo questo pensatore, considerato dalla Fides et Ratio tra in grandi maestri che hanno fatto una coraggiosa ricerca del rapporto tra fede e ragione42, la presenza dell’essere alla mente fa sì che «noi portiamo inserita da natura nell’anima nostra tutta la morale in germe, cioè quella legge prima, che è principio e fonte di tutte le altre, e il dettame dell’onesto e del giusto»43. E siccome la formula dell’intelligenza è la vista dell’essere universale, «così – afferma Rosmini – la formula della morale è l’amore universale, l’amore di tutti gli esseri, di tutti i beni, l’amore che tanto si stende quanto si stende la cognizione, cioè a dire all’infinito»44. Sempre secondo Rosmini, l’essere precede la volontà. E il fatto che lo preceda permette alla volontà di volerlo non come mero oggetto strumentale, ma di amarlo nel suo ordine. Sentiamo ancora il grande Roveretano: «Vale adunque un medesimo il dire “Segui il lume della ragione”, e il dire “Ama gli esseri tutti”; giacchè ciò che il lume della ragione ci mostra e ci presenta sono gli esseri, e ce li presenta acciocché noi li amiamo, essendo il lume della ragione quello che ci mostra in ogni essere un bene, in ogni essere un ordine interiore, cioè un ordine che riesce fuori dalla costituzione dell’essere stesso»45. Quindi non è l’essere a disposizione dispotica della volontà, ma la volontà ad essere chiamata a rispondere all’essere conosciuto come tale: «Vedemmo, che il lume della ragione non è che l’essere conosciuto, e che la volontà è la facoltà morale, quella che rende l’uomo autore delle sue azioni, e potremo convertire quella prima formola in un’altra più chiara, che dice, ‘doversi inclinare la volontà verso l’essere’, o sia doversi amar l’essere dovunque egli si percepisca, doversi amare ogni essere perché tale»46. 42 Cf Fides et Ratio, 73. Principi della Scienza Morale, c. I, a. III, p. 57. 44 Ib., c. IV, a. V. p. 107. 45 Ib., c. IV, a. V. p. 107. 46 Ib., c. IV, a. X, p. 116. 43 16 Da queste premesse, Rosmini, nell’ordine dell’essere, vede iscritti i tre fondamentali principi etici di un’etica dell’amore responsabile: 1. Ama le cose, in quanto sono a servizio della persona (dignità di mezzo); 2. Ama le persone in sé e per sé (dignità di fine); 3. Ama Dio al di sopra di ogni cosa (dignità infinita)47. 7. Per concludere Per concludere può risultare assai significativo riferire questo dialogo tra uno scienziato, Edoardo Bonicelli, è un filosofo, Umberto Galimberti, giornalista e autore di un famoso saggio su Psiche e techne48. Lo scopo è anche di riportare la questione sul piano giornalistico che è, nel bene e nel male, quello sul quale la gente della strada viene a conoscenza delle delicate problematiche che riguardano la sopravivenza dell’uomo sulla terra nel cui orizzonte Van Rensselaer Potter aveva coniato negli anni ’70 il fortunato neologismo bioetica come scienza per la sopravivenza. Il dialogo raccolto da Giovanni Maria Pace, che vuole richiamare l’attenzione sulla necessità di una maggior comunicabilità sui temi della bioetica tra pensatori che si rifanno a diversi orizzonti fondativi, ruota tutto attorno ad un interrogativo: e ora?49. Questa parte finale di dialogo che riportiamo è introdotto con una domanda su una questione particolare che ha suscitato dibattito qualche anno fa, l’introduzione sul mercato della cosiddetta «pillola dell’amore». La prospettiva è quanto mai interessante, perché si mette dalla parte della gente che si pone il problema che cosa fare e chi ascoltare. «– PACE Chi dobbiamo dunque ascoltare: la scienza, la psicologia, la Chiesa? – BONICELLI Personalmente ascolto tutti, valuto da chi provengono 47 Cf NEBULONI R., Amore e morale. Idee per la fondazione dell’etica, Borla, Roma 1992. Per una analisi del pensiero antropologico rosminiano in prospettiva etica, ci permettiamo di rimandare al nostro studio GRANDIS G., Il dramma dell’uomo. Eros/Agape & Amore/carità nel pensiero antropologico di Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2003, soprattutto il secondo capitolo. 48 Cf GALIMBERTI U., Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 2002. 49 Il testo riportato si trova in BONICELLI E. e GALIMBERTI G. con Giovanni Maria Pace, E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza, Einaudi, Torino 2000, pp. 154-157. 17 le varie affermazioni, se si tratta di chiacchiere senza base dimostrabile, oppure di cose fondate ma poco interessanti, faccio la media dei vari contributi e trovo la mia risposta. È un metodo che consiglio. – GALIMBERTI Hursserl [fondatore della Fenomenologia] diceva che la scienza è pur sempre una ideazione umana, e guai se l’umanità si fa guidare da una sola delle sue ideazioni. – BONICELLI Anche perché è materialmente impossibile farsi guidare solo dalla scienza… – GALIMBERTI Però a voi scienziati piacerebbe! – PACE Il tema della supremazia della tecnica è corso lungo tutto il nostro discorso. Vorrei ora avviarlo a conclusione. Galimberti ritiene davvero che il mondo sia dominato, se non dalla scienza, dall’onnipresente tecnica. – GALIMBERTI Non ancora, e in questo concordo abbastanza con Bonicelli. Gli uomini che verranno dopo di noi, quelli delle prossime generazioni, forse già i nostri nipoti saranno trasformati in senso tecnico, cioè avranno un rapporto con la tecnica meno problematico di noi che veniamo da uno sfondo umanistico. Noi siamo per così dire arretrati nell’accettazione indiscriminata della tecnica per ragioni psichiche, perché il nostro sentire è limitato. L’età della tecnica per me comincia dalla seconda guerra mondiale. Ancora negli ani Trenta la pianura padana era più o meno coltivata come al tempo dei babilonesi. Adesso è tutta una fabbrica: nei prati non vedo le immagini bucoliche delle foto d’epoca, ma industrie. In cinquant’anni c’è stata una completa conversione economica, con ricadute sociali significative. Ma la nostra psiche è lentissima nell’assimilare. Pensiamo per esempio al nostro sentimento: se muore un mio familiare, forse piango; se muore un mio vicino di casa, faccio le condoglianze ai parenti; se muoiono cinquemila Tutsi, è una notizia televisiva. Le capacità di reazione del mio sentimento, della mia percezione, della mia immaginazione sono limitatissime rispetto agli scenari tecnici. I bombardamenti Nato in Serbia erano uno scenario tecnico. E che cosa abbiamo provato? Non sappiamo rispondere, di fronte alle scene di macerie eravamo afasici, analfabeti emotivi. Perché il nostro sentimento è ancora a livello antropologico rispetto allo scenario dischiuso dalla tecnica, che lo oltrepassa. Questa distanza è il nostro pericolo: non riuscire a sentire gli effetti della 18 tecnica. In questa distanza sta il rischio. – PACE La tecnica è potente ma anche fragile. Forse l’intrinseca fragilità le impedirà di conseguire quel dominio del mondo che Galimberti paventa. – GALIMBERTI È vero, la tecnica è fragile. Vent’anni fa, quando ci fu il black-out a New York, successe il finimondo. Basta un terrorista per bloccare una città, pochi ferrovieri dei cobas riescono a far saltare il sistema ferroviario, è sufficiente uno sciopero dei controllori di volo per sconvolgere il traffico aereo. Il sistema è vulnerabile nei suoi snodi e gangli vitali: o funziona compatto o s’incaglia. C’è poi un’altra considerazione da fare: la tecnica riguarda un quinto dell’umanità, gli altri quattro quinti usano prodotti tecnici ma non hanno mentalità tecnica. Ora non è pensabile che il mondo vada avanti con quattro quinti dell’umanità che muoiono di fame affinché il mondo tecnico possa continuare a consumare l’80 per cento delle risorse. La sproporzione è inaccettabile, e anche questo è un punto di inabilità dello scenario tecnico nel quale ci inoltriamo. Ma il maggiore punto di instabilità è nel fatto che, nell’età della tecnica, la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere e quindi prendere posizione. In questo senso non siamo più i soggetti della nostra storia. – PACE Anche per Bonicelli la tecnica è fragile? – BONICELLI La tecnica non si contrappone all’umanesimo. Sono nati insieme e per ora continuano a procedere insieme. La tecnica è un prodotto dell’uomo e non potrebbe esistere senza la società, e dell’assetto sociale ha la stessa potenza e impotenza. Come la società, può essere colpita in infinite maniere. Se andava via la corrente cinquant’anni fa, quasi non ce ne accorgevamo. Oggi è la paralisi. La tecnica si basa su una serie cospicua di condizioni che vanno rispettate, altrimenti decade. Non so che cosa succederà tra cinquant’anni e onestamente non saprei a chi chiederlo. Posso solo dire che, se continuiamo così, ci sarà un aumento delle tecnologie e il mondo si complicherà ulteriormente. – PACE Con quali conseguenze sulla futura umanità? – BONICELLI Per come la vedo io, l’uomo è in un certo senso immutabile, ha radici solide che superano il divenire della Storia e assicurano una stabilità di fondo all’organizzazione sociale, quale che sia la sua forma. Insomma, l’uomo ne ha viste tante, ne ha passate 19 tante e ne ha risolte tante che non mi preoccuperei. Io sono ottimista. In qualità di biologo – anche se acquisito – ho, come dire, introiettato la visione di equilibrio, di sostanziale stabilità che l’Evoluzione suggerisce». Bibliografia consultata: saggi e articoli AA.VV., La legge naturale. Storicizzazione delle istanze della legge naturale. Le relazioni del convegno dei teologi moralisti italiani dell’Italia settentrionale (11-13 settembre 1969), EDB. Bologna 1970. AA.VV., Y a-t-il des valeurs naturalles?, in «Revue du Mauss» 19 (2002). BAUSOLA A., Natura e progetto dell’uomo, Vita e Pensiero, Milano 19952. CAFFARRA C., Ratio tecnica – Ratio ethica, in «Anthropotes» 5 (1989), pp. 129-146. COMPAGNONI F., Validità e attualità del concetto di natura umana nella questione dell’ingegneria genetica, in LORENZETTI L. (ed.), Teologia e bioetica laica, EDB, Bologna 1994, pp. 41-53. CORREA VIAL J. – SGREGGIA E. (edd.), Natura e dignità della persona umana a fondamento del diritto alla vita. Le sfide del contesto culturale contemporaneo. Atti dell’ottava assemblea generale della Pontifica Accademia per la Vita (Città del Vaticano, 25-27 febbraio 2002), LEV, Città del Vaticano 2003. COTTIER G., Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per l’etica bio-medica, in ID., Scritti di etica, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 150-176. EDITORIALE, “Chi è l’uomo?”. Differenza di natura tra l’uomo e l’animale, in «La Civiltà Cattolica» 3308 (1988), pp. 105-116. ID., “Che cos’è l’uomo?”. Il pensiero, l’intelligenza e il cervello, in «La Civiltà Cattolica» 3357 (1990), pp. 209-220. ID., “Chi è l’uomo?”. La libertà, la coscienza, l’anima spirituale, in «La Civiltà Cattolica» 3371 (1990), pp. 424-433. ID., “Chi è persona?”. Persona umana e bioetica, in «La Civiltà Cattolica» 3420 (1992), pp. 547-559. FAGGIONI M.P., La vita tra natura e artificio, in «Studia Moralia» 33 (1995), pp. 333-375. FARO G., Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R. Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, pp. 287-308. HABERMAS J., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino 2002. GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, Marietti, Genova 2003. 20 GORMALLY L., La dignità umana: il punto di vista cristiano e quello laicista, in CORREA J. DE DIOS E SGREGGIA E. (edd.), La cultura della vita: fondamenti e dimensioni, LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 4964. GUARDINI R., Natura – Cultura – Cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1983. ID., Lettere dal lago di Como. La tecnica e l’uomo, Morcelliana, Brescia 1993. MARCHESINI R., Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002. MARTÌNEZ R. – SANGUINETI J.J. (edd.), Dio e la natura, Armando, Roma 2001. MERLEAU-PONTY M., La natura. Lezioni di Collège de France 1956-1960, Cortina, Milano 1996. MOLTAMANN J., Scienza e Sapienza. Scienza e Teologia in dialogo, Queriniana, Brescia 2003. MONASTRA G., Natura, in TANZELLA-NITTI G. – STRUMIA A. (edd.), Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, Filosofia e Teologia, UUP-Città Nuova, Roma 2002, vol. 1, pp. 10271043. MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La Civiltà Cattolica» 3513 (1996), pp. 224-237. MORDACCI R., Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Feltrinelli, Milano 2003. PESSINA A., L’uomo e la tecnica: annotazioni filosofiche, in DI PIETRO MARIA LUISA – SGREGGIA E. (edd.), Biotecnologie e futuro dell’uomo, V&P, Milano 2003, pp. 3-16. PRIVITERA S., Concezioni antropologiche e bioetica, in ID., La questione bioetica. Nodi problematici e spunti risolutivi, ISB, Arcireale 1999, pp. 103-110. SALMERI G., La vita e la persona. L’idea dell’uomo tra pensiero greco e fede cristiana, PUL, Roma 2003, pp. 115-131. SGREGGIA E. – CALABRÒ G.P., I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Marco, Lungro di Cosenza 2002. SPAEAMANN R., Naturale e innaturale sono concetti moralmente rilevanti?, in Seconda navigazione-Annuario filosofico 1998, pp. 185-202. VANNI ROVIGHI SOFIA, Uomo e natura. Appunti per un’antropologia filosofica, Vita e Pensiero, Milano 1987. 21 Indice 0. Introduzione……………………………………………… p. 1 1. La natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà…. p. 4 2. Il concetto di natura………………………………………. p. 7 3. La legge naturale…………………………………………. p. 9 4. Lo specifico contributo del sapere cristiano alla definizione dell’humanum…………………………….…. 5. Ratio technica e ratio ethica……………………………... p. 11 p. 14 6. L’etica della responsabilità e l’ordine dell’essere………... p. 15 7. Per concludere……………………………………………. p. 17 Bibliografia………………………………………………. 22 p. 21