IL CONCETTO DI «NATURA UMANA»
IN BIOETICA
Mons. Giancarlo Grandis
Vicario Episcopale per la Cultura, l’Università e il Sociale
Diocesi di Verona
Articolo pubblicato in «La coppia giovane» 16/3 (2003) 8-14.
e in «La coppia giovane» 17/1 (2004) 7-16.
«Chiunque si pone il problema di un’etica naturale, presuppone
già con questo solo termine che esista “la natura” dell’uomo;
ma che cosa significa, se applicato all’uomo, un concetto
apparentemente così chiaro come quello di natura?»
(ROMANO GUARDINI)
«Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha
troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci
accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adatassimo
a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di consideralo in
modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di
sopravvivere»
(ELWYN BROOKS WHITE)
0. Introduzione
Una riflessione sulle implicazioni di carattere antropologico e
giuridico delle questioni riguardanti oggi la bioetica non può
prescindere dall’affrontare una domanda preliminare che risulta
quanto mai cruciale e decisiva per fondare e argomentare i giudizi
etici di liceità e non liceità degli interventi tecnico/sperimentali
sull’uomo: la domanda se esista o non esista una «natura umana»
codificabile razionalmente da cui trarre una «legge naturale»,
culturalmente elaborabile, la quale ha poi i suoi riflessi sull’ambito del
«diritto naturale». Di fronte allo sfondamento etico che la
sperimentazione scientifica e le biotecnologie hanno oggi
progressivamente operato sul versante della corporeità umana, il
permanente interrogativo della storia del pensiero su chi è l’uomo e in
modo specifico quale valenza di senso abbia il corpo umano s’impone
in modo sempre più pressante. A partire dall’affermazione se sia data
o non data una «natura umana» discendono due primati in bioetica che
appaiono subito tra loro irriducibili se non addirittura opposti: il
1
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primato dell’etica sulla tecnica (ma dove e come fondare tale
primato?), il primato della tecnica sull’etica (ma in base a quali criteri
regolare poi l’uso della tecnica?). È venuta meno oggi una riflessione
filosofica sul fenomeno della vita, per cui essa si trova sempre più
esposta e ormai consegnata al “potere” della tecnica. «Oggi – afferma
Emmanuele Morandi presentando il saggio di Étienne Gilson,
Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, che egli definisce un
“gioiello filosofico” – la vita ha di fronte a sé non più un sapere, ma
un “fare”, non più un fare all’interno di un sapere, ma un “fare” che
vuole essere il suo proprio sapere, quello che si sprigiona dalla
“tecnica” e dalla sua utopia, istallarsi sulla vita»1.
Data la vastità e la complessità della questione, l’obiettivo di
questo breve elaborato – richiesto al termine del corso di
perfezionamento in Bioetica promosso dalla Università Cattolica del
Sacro Cuore per ottenere il titolo previsto dal regolamento didattico
dell’Ateneo – è necessariamente circoscritto. Si tratta di porre la
questione della fondazione dell’etica a partire dal concetto di «natura
umana», in altre parole, dell’essenza e della specificità dell’humanum,
mostrando la problematicità ed anche l’equivocità a cui si va incontro
quanto si usa il termine «natura» applicata all’uomo. Romano
Guardini arriva ad affermare che la «natura» dell’uomo «consiste
addirittura nel fatto di non averne una»2, anche se afferma la
pertinenza di interrogarsi sulla natura dell’uomo: «L’uomo ha in
generale una natura? L’ha certamente nel senso che non è qualcosa di
indefinito», per cui «formulare una definizione della natura dell’uomo
è possibile solo fino ad un certo punto, oltre il quale si finisce
nell’indeterminato»3.
Ma allora esiste veramente una natura umana che costituisce il
presupposto imprescindibile per l’esercizio della responsabilità morale
da parte della libertà umana? Si può parlare di «legge naturale» in
riferimento all’etica e al diritto? Come mai il pensiero ufficiale della
Chiesa, in tensione critica col pensiero moderno post-metafisico,
considera la negazione della legge naturale e il dissolversi della teoria
1
MORANDI E., Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno,
Marietti, Genova 2003, p. X.
2
GUARDINI R., Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 18.
3
Ib., pp. 17.18.
2
aristotelica del finalismo della natura come la causa della deriva
tecnicista della bioetica oggi, con imprevedibili conseguenze per il
futuro dell’uomo?4 Sulla questione concernente la natura umana noi
incontriamo uno dei punti conflittuali tra una bioetica elaborata alla
luce del pensiero ebraico-cristiano e una bioetica cosiddetta laica che
intende prescindere da ogni riferimento confessionale/religioso 5,
trovando in esso uno dei motivi dell’incomunicabilità tra laici e
cattolici nel dibattito politico concernente le questioni bioetiche6.
Le veloci riflessioni che seguono intendono rimanere
prevalentemente nell’ambito semantico del termine «natura»,
cercando con ciò di mostrare che chiarire il concetto di «natura
dell’uomo» nella modernità – cioè dopo la reimpostazione del
rapporto mente/corpo fatta da Cartesio il quale ha elaborato una nuova
spiegazione che attingeva alla concezione meccanicistica e
quantitativa con la quale il pensiero scientifico cominciava e
interpretare la natura e il mondo7, – è preliminare per ogni fecondo
dialogo in campo bioetico, allo stesso tempo sincero e rispettoso delle
varie posizioni.
Il lavoro, partendo dal una riflessione sul rapporto tra filosofia
dell’essere ed esperienza della libertà per definire la specificità della
natura dell’uomo (1), intende esaminare diacronicamente il concetto
di natura nella storia del pensiero (2) allo scopo di precisare in che
senso si possa parlare di ‘legge naturale’ in prospettiva etica (3). Si
cerca poi di evidenziare lo specifico contributo del pensiero cristiano
che ha introdotto il concetto di persona per definire l’uomo (4).
Vengono quindi messe in relazione tra loro due concetti di ragione per
rilevare una visione riduttiva della ratio intesa soltanto nella sua
funzione calcolante (5). Da ultimo viene descritta l’etica della
4
Sui riflessi etici delle biotecnologie in relazione al futuro dell’uomo, cf DI PIETRO
MARIA LUISA – SGREGGIA E. (edd.), Biotecnologie e futuro dell’uomo, V&P, Milano 2003.
5
Sui due punti di vista, quello religioso/cristiano e quello della laicità della dignità
umana, cf GORMALLY L., La dignità umana: il punto di vista cristiano e quello laicista, in
CORREA J. DE DIOS E SGREGGIA E. (edd.), La cultura della vita: fondamenti e dimensioni,
LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 49-64.
6
Cf RUSCONI G.E., Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Einaudi,
Torino 2000, pp. 13-18; POSSENTI V., Laici o laicisti? Un dibattito su religione e democrazia,
Liberal, Firenze, 2002; SCARPELLI U., Bioetica Laica, Baldini&Castaldi, Milano 1998.
7
Cf SCARSINI DANIELA, Il corpo in occidente. Pratiche pedagogiche, Carocci, Roma
2003, p. 9.
3
responsabilità da intendere come rispetto per l’ordine dell’essere la cui
intelligibilità non può essere negata, ma affermata a partire da una
concezione sapienziale della ragione che può spingersi oltre lo
sguardo utilitaristico proprio della ragione tecnica verso lo sguardo
contemplativo proprio della ragione etica, antropologicamente fondata
(6).
1. La natura dell’uomo
in rapporto all’essere e alla libertà
La domanda sull’identità dell’uomo risulta assai complessa,
comportando, la sua definizione, l’affermazione dell’unità
sostanziale8 di due elementi che sembrano tra loro in una opposizione
alternativa: il regno dello spirito la cui legge è la libertà e il regno
della materia la cui legge è il determinismo.
Il rapporto tra essere e libertà in ordine alla definizione della natura
umana attraversa tutta la storia del pensiero antropologico fino alla
moderna concezione sartriana per cui l’uomo è la sua libertà, e proprio
per questo non esiste nessuna natura umana se non quella che l’uomo
liberamente diviene9.
8
La tesi dell’unità sostanziale di anima e corpo è uno dei punti più decisivi e qualificanti
dell’antropologia tomista. Con la nascita della scienza moderna tale tesi è rimasta isolata e
dimenticata. La responsabilità di ciò sembra debba essere attribuita a Cartesio che ha reimpostato il problema della relazione mente/corpo fornendo una spiegazione che attingeva
alla concezione meccanicistica e quantitativa con la quale il pensiero scientifico cominciava e
interpretare la natura e il mondo (cf SCARSINI, Il corpo in occidente, cit., p. 9), riducendo il
concetto di vita a un meccanismo che ha in se il principio del movimento «senza invocare
l’anima come motore esterno e immateriale» (ib., p. 10). Ma la vita non è una semplice
«operazione» del vivente. Vivere è essere. «L’essere – afferma Aristotele – per i viventi è il
vivere, e causa e principio di esso è l’anima» (De Anima, (II, 4; 415 b9-15), in SALMERI G.,
La vita e la persona. L’idea dell’uomo tra pensiero greco e fede cristiana, PUL, Roma 2003,
p. 121).
Tale tesi dell’unità sostanziale, che fa parte della visione cristiana dell’uomo, è stata
ripresa dal Concilio Vaticano II sintetizzandola nella felicissima formula del «corpore et
anima unus» (Gaudium et Spes, 14), che richiama la formula esperienziale tomista «idem ipse
homo est qui percepit se intelligere et sentire» (Summa Theologiae, I, q. 76, a. 1).
9
«Io sono la mia libertà», si afferma nel dramma sull’esistenza umana Le mosche. Per
Sartre, l’esistenza precede l’essenza. Così interpreta S. Grygiel: «Se l’uomo è prima la sua
esistenza, la quale solo successivamente crea da se stessa la proprio essenza, ossia il
contenuto (il cosiddetto mondo degli oggetti), allora dobbiamo dire che l’uomo è libero. Non
vi è infatti in lui nulla che possa imporgli qualsivoglia legge e regola di comportamento. Non
v’è in lui nessuna “natura”» (GRYGIEL S., Il dio delle mosche e la libertà dell’uomo, in ID., Il
lavoro e l’amore, CSEO, Bologna 1983, pp. 12-13.
4
Alla definizione di ciò che è essenzialmente umano risultano
quanto mai determinanti i due orizzonti di riferimento nei confronti
dei quali non è possibile affermare nessuna neutralità: l’orizzonte
trascendente e l’orizzonte immanente. «Trascendenza e immanenza –
afferma D. Coccopalmerio – sono due formae mentis radicalmente
diverse» che segnano una specie di spartiacque tra classicità e
modernità. «Il pensiero classico testimonia la verità dell’essere in un
ordine assoluto trascendente; il pensiero moderno testimonia la verità
dell’essere in un ordine che si identifica e si esaurisce nel divenire
nella natura e nella storia dell’uomo». La ricaduta sul problema dei
diritti umani e sulla responsabilità etica degli scienziati è quanto mai
decisiva e inquietante. Tutto ciò richiama l’ordine dell’essere e
l’ordine del gioco: «per il pensiero classico il problema dei diritti
umani è un problema che riguarda l’ordine dell’essere. Per il pensiero
moderno, invece, il problema dei diritti umani riguarda l’ordine del
gioco»10. Sia l’essere sia il gioco chiamano in causa la libertà
dell’uomo, ma su versanti categoricamente diversi. Nel primo caso sul
versante della responsabilità (come risposta all’ordine dell’essere), nel
secondo caso sul versate della creatività (come libertà di creare nuovi
ordini dell’essere in continuità e in alternativa con quello della
natura). Nel primo caso l’uomo si sente chiamato a partecipare ad un
progetto di vita che non è stato lui a creare, nel secondo caso è l’uomo
stesso che si sente il dio della natura, non solo il suo custode, ma
anche il suo manipolatore. Non a caso gli anglosassoni hanno coniato
l’espressione Playing Good. Rostand l’aveva previsto già negli anni
’50: «Qualunque sia l’ultima parola sull’enigma vitale, il destino del
biologo è tale da risultare senz’altro grandioso […]. Finirà per
fabbricare la vita, per ricreare la struttura genetica e, autore di una
nuova natura, si collocherà nella schiera degli dei»11.
La libertà costituisce certamente l’elemento qualificante la natura
dell’uomo. Tuttavia essa non può essere pensata come negazione
dell’essere (nichilismo), ma come una sua espressione che colloca
l’uomo nell’universo dell’etica. Per cui si può affermare che l’essere
10
COCCOPALMERIO D., La metafisica dei diritti della persona, in SGREGGIA E. – CALABRÒ
G.P., I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Marco, Lungro di Cosenza
2002, p. 25.
11
Cit. da BRUGUÈS J.L. Fecondazione artificiale: una scelta etica?, SEI, Torino 1991, p.
7.
5
precede la libertà, senza che questo significhi che l’essere limiti nei
confronti dell’uomo l’orizzonte delle libere scelte12.
Parlare di natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà
significa che per quanto concerne l’uomo il termine natura deve essere
utilizzato in senso analogico rispetto a quello della natura extraumana.
Il termine natura, infatti, può essere adoperato sia in senso
cosmologico sia in senso antropologico. Parlare di natura in senso
antropologico e non cosmologico significa riconoscere che «l’essere
umano porta in sé autentiche determinazioni essenziali ed è inserito in
ordinamenti che derivano a loro volta da determinazioni essenziali,
che però vivono nella sfera della libertà: a questi essa può esprimere
assenso o dissenso, può influenzare in modo giusto o sbagliato la vita
umana, può edificarla o distruggerla»13. Sotto questo aspetto si può
dire che «libero è sinonimo di naturale»14. E che quindi «se l’etica non
si deduce dalla sola natura, e non si sviluppa senza o contro di essa,
necessita di altro fondamento: la libertà, quale “soggettività
metafisica, intendendo appunto per ‘metafisica’ che la libertà è l’unico
principio nuovo, dopo e sopra la natura”»15.
Di fronte alla frammentazione dei saperi conseguenza della perdita
dell’unità dell’uomo, la scienza antropologica esige oggi, «una ripresa
forte della filosofia dell’essere, tale da collocare il discorso sull’uomo
al di là degli esiti problematici della modernità filosofica e
12
Secondo T. Styczeń, esponente della filosofia personalista dell’area polacca, la
questione della libertà chiama in causa due antropologie tra loro radicalmente divaricate sul
rapporto tra la verità. La prima antropologia dice che «l’esperienza rivela la libertà dell’uomo
e l’uomo stesso come autodipendenza del rendersi dipendente dalla verità che non dipende da
lui». La seconda «presenta la libertà dell’uomo e l’uomo stesso come autodipendenza pura,
ossia come il potere di determinare la verità su di sé, e dunque il potere di costituire la sua
propria essenza, la sua natura» (STYCZEŃ T., Essere se stessi e trascendere se stessi, in
WOJTYŁA K., Persona e atto, Rusconi, Milano 2000, p. 725). In questo secondo caso
l’essenza dell’humanum è ridotto alla libera autodeterminazione dell’individuo. Sul futuro
dell’humanum, cf MARCHESINI R., Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati
Boringhieri, Torino 2002.
13
GUARDINI, Etica, cit., p. 20.
14
FARO G, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche(in dialogo con R.
Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 291.
15
FARO, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R.
Spaemann), cit., pp. 289-290.
6
scientifica»16. È nel contesto di questa ripresa della filosofia
dell’essere e delle problematiche bioetiche che riguardano la
manipolazione dell’humanum che va rivisitato il concetto di natura
così come si è andato elaborando nella cultura europea e nel contesto
della quale è nata la nuova scienza, che costituisce un elemento che
caratterizza la stessa identità europea17.
2. Il concetto di natura
La natura – afferma G. Cottier – «costituisce uno di quei dati
originari la cui messa a fuoco è decisiva per lo sviluppo globale del
pensiero filosofico e anche di quello teologico. Infatti, a seconda del
modo in cui la natura viene conosciuta ed espressa concettualmente è
possibile tracciare le linee di divisione e di opposizione tra i vari
sistemi filosofici»18. Il termine natura, evidentemente, per la relazione
che passa tra antropologia ed etica, è decisivo non soltanto per la
filosofia e la teologia, ma anche appunto per l’etica.
Abbiamo già ricordato che il concetto di natura non è univoco, ma
polisemico. Esso, quindi, soprattutto quando è utilizzato in riferimento
alla fondazione del comportamento e della responsabilità morale, va
sempre esplicitato. La natura umana, infatti, non è identificabile alla
sua natura biologica. La domanda su che cosa è natura attraversa tutta
16
MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La
Civiltà Cattolica» 3513 (1996), p. 236.
17
Afferma H.G. Gadamer: «Se poi ci si interroga sul ruolo della scienza nel futuro
dell’Europa, occorrerà partire da un presupposto la cui evidenza è, a mio parere,
incontestabile: che cioè è proprio la scienza a definire l’identità europea come tale. La
scienza ha dato forma all’Europa nel suo divenire storico e nella sua stessa estensione
geografica. Ciò non vuol dire, ovviamente, che altre culture non abbiano ottenuto risultati
importanti e duraturi in determinati settori del sapere scientifico [...]. Tuttavia si può
senz’altro dire che solo in Europa la scienza ha creato un modello culturale autonomo ed
egemone, e con segnata evidenza a partire dall’Età Moderna. Da quando il cammino della
rivoluzione tecnico-scientifica si è esteso all’intero pianeta, il ruolo guida della scienza non è
limitato, a dire il vero, alla sola Europa, ma è pur sempre europeo il modello a cui si
richiamano ovunque la ricerca scientifica, l’istruzione scolastica e quella universitaria.
Un'affermazione, questa, del tutto indipendente (si badi bene) da qualsiasi giudizio di merito
sulle prospettive di un’umanità esposta al dominio della scienza e delle sue applicazioni
tecnologiche» (cit. da REALE G., Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita
dell’“uomo europeo”, Cortina, Milano 2003, p. XV).
18
COTTIER G., Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per
l’etica bio-medica, in ID., Scritti di etica, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 150.
7
la storia del nostro pensiero occidentale chiamando in causa
direttamente l’uomo (l’antropologia) nella sua facoltà intellettiva e
razionale capace di rilevare da essa i significati di cui è pregna.
La parola ‘natura’ ha la sua sorgente semantica nel participio futuro
del verbo latino nasci (nascere). Esso indica ciò che approda
all’esistenza per maturare nel divenire futuro, secondo modalità
nell’uomo in parte necessarie (sviluppo fisico e psichico); in parte
libere (progresso etico)»19. In greco, natura viene resa col termine
physis che richiama sia il «crescere», ma anche il «produrre». Il
genere femminile del termine, mantenuto anche in molte lingue
moderne, «rimanda opportunamente alla donna in quanto madre e
quindi “generatrice” di vita. Così la natura è quella dimensione della
realtà in cui gli esseri vengono generati e crescono secondo un
orientamento, una regola: è il mondo del “divenire” (il che
nell’antichità veniva esteso anche agli oggetti inanimati dato che di
fatto tutto era ritenuto “vivente”), senza però, costituire
necessariamente una dimensione scissa dall’essere. Infatti, sempre alla
luce dell’etimologia, la natura può definirsi anche, e
significativamente, come “essere che si illumina, che appare”, dalla
radice indoeuropea bhu che significa “essere” e risulta strettamente
legata alla radice bha, che significa “luce”. La natura potrebbe
configurarsi come “epifania significante e significativa dell’essere”».
Accanto al termine physis «non è privo di interesse ricordare anche
che il termine “cosmo” (gr. Kósmos) fa riferimento sia a “ordine”,
“armonia”, sia a “ornamento” (si pensi a “cosmetico”). Esso, in base a
tale etimologia, si presenta come la cornice e il fondamento strutturale
della natura»20.
Per il duplice significato di physis ricordato (crescere e produrre),
naturale non dice necessariamente opposizione ad artificiale. «Natura
e artificio costituiscono una coppia filosofica, un binomio correlativo
in cui un termine richiama l’altro e il significato preciso dell’uno
dipende dalla comprensione che si ha dell'altro. Spesso l’uso della
categoria di naturale allude a qualcosa di genuino, di sicuro, di non
19
FARO G, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche(in dialogo con R.
Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 301.
20
MONASTRA G., Natura, in TANZELLA-NITTI G. – STRUMIA A. (edd.), Dizionario
interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, Filosofia e Teologia, UUP-Città
Nuova, Roma 2002, vol. 1, p. 1027.
8
ingannevole, mentre artificiale evoca il contraffatto, lo spurio, il
manipolato, qualcosa che si presenta come imitazione, di solito
maldestra, del naturale. Per lo più l’artificiale si dimostra perdente nei
confronti del naturale: l’allattamento artificiale è considerato un
succedaneo inadeguato dell’allattamento naturale, così come la mano
artificiale applicata ad un arto mutilato vicaria ben miseramente la
funzione dell’organo naturale. Volendo definire, in prima
approssimazione, i due termini della coppia possiamo dire che
naturale indica ciò che esiste indipendentemente dall’attività umana,
mentre artificiale è ciò che esiste come prodotto dell’attività
umana»21.
Ciò che però qui è rilevante ai fini della nostra riflessione non è
tanto seguire tutto l’itinerario semantico dei due termini naturale e
artificiale, ma esaminare la ricaduta che il termine natura ha
nell’ambito dell’etica attraverso l’espressione correlata di legge
naturale.
3. La legge naturale
Il concetto di legge naturale evoca un preciso orizzonte nel pensare
la realtà che è propriamente quello creaturale. La legge naturale, come
forma di partecipazione alla lex aeterna, richiama la sapienza e la
volontà del Creatore. Essa custodisce le tracce che Dio ha lasciato
nella sua creatura, le quali riflettono la sua sapienza e la sua volontà.
Sono tracce però che vanno interpretate, per cui il passaggio dalla
natura all’etica, da ciò che è e ciò che la libertà è chiamata a fare, non
è diretto (l’etica non si deduce dalla natura), ma mediato dalla cultura.
Il legale e il naturale non sono tra loro ostili, analogamente al naturale
e artificiale, ma sono chiamati a coniugarsi insieme a servizio della
libertà dell’uomo. Un conto però è il legale che nasce dal naturale e un
conto è il legale che nasce da una normatività positiva. «Non esiste
ostilità perpetua tra fysis e nomos, ma si deve riconoscere che: “le
norme di legge sono accessorie [transitorie, contingenti], quelle di
natura essenziali [permanenti]; quelle di legge sono concordate, non
native; quelle di natura sono native, non concordate”»22.
21
FAGGIONI M.P., La vita tra natura e artificio, in «Studia Moralia» 33 (1995), p. 334.
FARO G. , Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R.
Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 290.
22
9
La legge naturale segnala alla libertà intelligente23 che l’uomo non
può vantare un dominio illimitato sulla natura e a maggior ragione sul
suo corpo. L’utopia baconiana secondo la quale la crescita
esponenziale del potere tecnico avrebbe portato l’uomo alla pienezza
della libertà si mostra fallace e viziata da pregiudizi di tipo dualista
tenuti continuamente in vita dal positivismo, che pensa l’uomo
unicamente come spirito e libertà, per cui il rapporto tra lui e il suo
corpo avrebbe solamente carattere estrinseco. Questo dualismo
antropologico – su cui la tecnica oggi si fonda per avvallare come
progresso e come bene ogni applicazione dei risultati della ricerca
scientifica identificando tecnica ed etica – non riconosce alla natura (e
al corpo) nessun significato, essa è materia bruta a disposizione
dell’efficacia tecnica e manipolatoria, e taccia di grossolano
‘biologismo’ chi discerne nelle leggi biologiche del corpo umano delle
indicazioni circa il modo di condurre l’esistenza24. La legge naturale,
quindi, lungi dal significare la sottomissione dello spirito alle leggi
della natura biologica, è il prolungamento sul piano etico del
significato che la natura ha sul piano teologico e metafisico. La
normatività della natura scaturisce proprio dal fatto che essa è realtà
che si rivolge all’intelligenza, è in se stessa intelligibile. La legge
naturale come legge della ragione costituisce per l’uomo una specie da
“radar ontologico” che lo guida in tutte le sue operazioni, senza per
questo predeterminarlo25.
23
Pinckaers, nella sua ricostruzione delle fonti della morale cristiana secondo i criteri di
rinnovamento suggeriti dal Concilio Vaticano II, ha mostrato come il Nominalismo di Occam
(1295/1300-1350) si deve collocare all’inizio di un nuova concezione della libertà, che
mostrerà la sua effettiva fisionomia in epoca moderna. Egli definisce questa nuova
concezione come ‘libertà di indifferenza’, e la distingue da una diversa concezione della
stessa, propria dei grandi pensatori cristiani, che chiama ‘libertà di qualità’. La libertà di
indifferenza, pur risultando storicamente posteriore, tuttavia è oggi la più diffusa. Si veda, al
riguardo, tutto il IV capitolo del suo saggio in PINCKAERS S., Le fonti della morale cristiana.
Metodo, contenuto, storia, Ares, Milano 1992, pp. 385-467. La libertà – afferma Pinckaers – è
«potenza stupefacente di innovazione e di cambiamento, ma anche di distruzione e di
contraddizione» (ib., p. 396).
24
Cf COTTIER, Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per
l’etica bio-medica, cit. p. 153.
25
L’espressione è di Coccopalmerio che così interpreta il pensiero di Tommaso sulle
inclinazioni naturali, cf COCCOPALMERIO, La metafisica dei diritti della persona, cit., p. 28.
Sulla concezione tomista della legge naturale come legge della ragione pratica cf
RHONHEIMER M., Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell’autonomia
10
La legge naturale, in quanto rivelatrice di un ordine intrinseco
dell’essere conoscibile dalla ragione, si costituisce poi di conseguenza
come base per l’affermazione dei diritti della persona umana. A
partire, quindi, dalla questione della natura umana e della legge
naturale troviamo sulla via non soltanto le tematiche della bioetica, ma
anche quelle del cosiddetto biodiritto26.
4. Lo specifico contributo del sapere cristiano
alla definizione dell’humanum
Non si può parlare di natura, di legge naturale e di diritti naturali in
rapporto all’uomo e alla sua responsabilità nella gestione delle
conoscenze scientifiche in ordine alla loro applicazione tecnica
tacendo o ignorando l’influsso e il contributo che il pensiero cristiano
ha dato riguardo alla definizione di ciò che è essenzialmente umano e
del posto che l’uomo occupa nell’universo.
Nella storia del pensiero europeo, in cui confluiscono la radice
greca, la radice ebraico-cristiana e la radice illuministica, si possono
individuare tre angolature tra loro connesse, ma anche diversificate, da
cui l’uomo è considerato.
La concezione ellenica è fondamentalmente una concezione
«cosmocentrica». L’uomo fa parte della natura del cosmo è con essa si
integra. Con l’avvento del cristianesimo, radicato a sua volta
sull’ebraismo, l’asse si sposta e da una concezione «cosmocentrica» si
passa ad una concezione «antropocentrica»27. Nell’orizzonte di questa
concezione emerge il concetto di «persona» applicato all’essere
umano in analogia con le persone divine di cui l’uomo è immagine e
somiglianza (cf Gn 1,27). Con l’avvento del pensiero moderno – che
si discosta dall’orizzonte della fede cristiana alla quale il concetto di
persona si alimentava, e si sposta tutto verso la sola ragione – si passa
morale, Armando, Roma 2001; cf anche VENDEMIATI A., La legge naturale nella Summa
Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, ED, Roma 1995.
26
Sul rapporto tra legge naturale e diritti naturali cf il saggio di TIERNEY B., L’idea dei
diritti naturali. Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico 1150-1625, il Mulino,
Bologna 2002; sul rapporto tra diritto naturale e storia, cf STRAUSS L., Diritto naturale e
storia, il melangolo, Genova 1990.
27
È significativo notare come elementi di antropocentrismo si trovano nel pensiero stoico.
È stato accertato che essi sono di matrice ebraica introdotti dal fondatore di questa filosofia,
Zenone, che era appunto di origine giudaica.
11
poco a poco dal concetto di persona a quello ben più ristretto di
«individuo». Si deve alla “filosofia dei Lumi” l’aver ancorato nella
società moderna il concetto di uomo-individuo, e quindi
l’“individualismo”28. Si può notare come la tecnica risponda molto
bene a questa concezione individualista dell’uomo e della libertà, in
quanto funzionale ad assecondare i desideri individuali, in cui
preponderante è l’aspetto egoistico del desiderio a scapito di quello
altruistico su cui la concezione personalistica dell’uomo orienta.
Infatti in questa concezione è il ‘tu’ a rivelare l’‘io’ e a introdurlo
nella esperienza comunionale. L’antropologia di comunione attinge
proprio dalla concezione personalistica dell’uomo come «essere per».
Per questo, nell’orizzonte del pensare cristiano la persona umana
«riveste un valore terminale nel contesto cosmico, in quanto capace di
dire il tutto e, proprio per questo, chiamato a rapportarsi in verità al
suo fondamento trascendente, e di rispondere, in termini di
responsabilità e di amore, al dono di esistere»29.
Le questioni sollevate dalla bioetica, che chiamano in causa in
maniera così drammatica il futuro dell’uomo30, spingono ad
interrogare il patrimonio della nostra cultura europea per trarre dal suo
tesoro le linee di condotta che aprano davanti a noi un nuovo futuro di
speranza, secondo la nota espressione di F. Hölderlin che «dove
aumenta il pericolo, aumenta anche ciò che salva» (Patmos).
Così, la tematica dello ‘specifico umano’ urge oggi nel panorama
dei vari saperi che indagano sull’uomo, sulla sua origine e sul suo
fine. Punto qualificante dell’antropologia di ispirazione cristiana è la
caratterizzazione personale dell’Homo sapiens. Per caratterizzazione
28
Per questa ricostruzione, cf REALE, Radici culturali e spirituali dell’Europa, cit., pp.
XIV-XV; cf anche tutto il cap. 5, Dal cosmocentrismo all’antropocentrismo: il concetto di
uomo, pp. 79-97.
29
MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La
Civiltà Cattolica» 3513 (1996), p. 231. Per una riflessione sull’identità relazionale dell’uomo
in rapporto alle varie impostazioni bioetiche cf JERUMANIS A.M., La bioetica alla prova
dell’identità relazionale dell’uomo, in «Rivista Teologica di Lugano» 8 (2003) 2, pp. 289315.Sulle varie teorie morali presenti nelle varie impostazioni bioetiche, cf anche MORDACCI
R., Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Feltrinelli, Milano 2003.
30
Il carattere drammatico del nostro futuro a cui le moderne tecnologie ci hanno messo di
fronte è stato autorevolmente evidenziato da M. Heidegger nella famosa intervista a Der
Spiegel del 23 settembre 1966 e resa pubblica il 31 maggio del 1976: Ormai solo un Dio ci
può salvare, in HEIDEGGER M., Ormai solo un Dio ci può salvare (a cura di Alfredo Marini),
Guanda, Parma 1987.
12
personale si intende la sua capacità iscritta nella natura umana «di
rapportarsi conoscitivamente ed esistenzialmente al Mistero
trascendente, a Colui che sta a fondamento di ogni esistenza e di ogni
emergenza»31. Sul tavolo delle problematiche bioetiche sono chiamati
oggi a sedersi tutti i saperi che studiano l’uomo in un dialogo serrato
che permetta di elaborare una antropologia adeguata alla natura metafisica della persona umana dotata di intelligenza (capax veri) e di
libertà (capax boni).
La tradizionale categoria ‘natura umana’ torna prepotentemente
alla ribalta e necessita di essere ripensata e rifondata come categoria
capace di indicare dentro quali limiti all’uomo tecnico è dato di poter
intervenire nella realtà biologica di cui egli stesso fa parte integrante.
«Dobbiamo tornare a riflettere intensamente sull’antica categoria di
“natura umana”, per sviscerare la dinamicità, l’eticità e la creatività
dell’essere e dell’autoperfezionarci»32.
Ma di fronte a un nuovo concetto di ratio introdotto dalla scienza e
dalla tecnica con l’applicazione del sapere matematico nell’analisi
della realtà, allo scopo di sfuggire alla deriva tecnicista, ci si deve
chiedere: qual è la razionalità adeguata capace di indagare sullo
specifico umano?
5. Ratio technica e ratio ethica
Nella nostra tradizione occidentale sono presenti tre saperi che si
rifanno a tre razionalità che esigono di una loro integrazione: la
razionalità filosofica, la razionalità teologica e la razionalità tecnica.
Tra la razionalità filosofico/teologica e la razionalità tecnica esiste una
differenza che va colta, valorizzata e riproposta a motivo del suo
riflesso nell’esercizio della responsabilità morale. Mentre la
razionalità tecnica è una razionalità calcolante che risponde alle
finalità trasformative della realtà che tale razionalità si propone, la
razionalità filosofico/teologica33 risponde alla domanda di senso che
31
MURATORE, L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, cit., p.
237.
32
MICCOLI P., L’esaltante avventura di essere persona, in Osservatore Romano del 18
settembre 2003, p. 3.
33
La differenza tra ragione filosofica e ragione teologica non sta nella domanda di senso,
ma nel fondamento a cui tale domanda attinge. La domanda filosofica attinge dalla ragione
13
tale razionalità contiene nel suo approccio con la realtà e che si
esprime attraverso la semplice domanda: che cosa è? Il sapere tecnico,
rispetto al sapere sapienziale, «chiede alla scienza di corrispondere
unicamente alle pretese manipolanti il mondo e la vita, nella totale
indifferenza alla sua natura di sapere, che è invece l’essenza più
propria della scienza»34. Continuando il pensiero di E. Morandi, «solo
affermando la vocazione sapienziale della scienza e delle scienze è
possibile pensare la non coincidenza tra scienza e tecnica, e quindi
problematizzare la già avanzata istallazione della tecnica sulla vita,
quella che sembra rendere neutralizzabile ogni domanda etica nel
cuore stesso della scienza»35.
Alla domanda quale etica per la bioetica?36, in analogia all’altra
domanda che la precede quale antropologia o vita per la bioetica?37,
diventa decisivo sottolineare la distinzione e la specificità
dell’interrogativo etico rispetto all’interrogativo tecnico e l’inclusione
di quest’ultimo nel primo. Se è già difficile affermare la neutralità
dell’interrogativo tecnico già nell’ambito della natura cosmologica,
diventa impossibile affermare la neutralità del «fare tecnico»
nell’ambito dell’antropologia, per cui nell’orizzonte dell’etica –
scienza chiamata a salvaguardare il bene della persona ut persona e
non soltanto ut natura – rientra anche l’orizzonte della tecnica, avendo
il primo carattere normativo nei confronti del secondo. Dal punto di
vista antropologico, quindi, l’etica precede la tecnica e la norma. Ciò
non significa imprigionare né quantomeno ridurre la libertà o
misconoscere la bontà della tecnica. Significa solo affermare che la
tecnica è a servizio dell’uomo e del suo bene. Ma qui si ritorna alla
questione della fondazione del bene della persona che chiama in causa
l’identità dell’uomo, vale a dire la sua ‘natura di uomo’. Nel pensiero
cristiano, tale domanda l’uomo se la pone davanti a Dio, che riconosce
trascendente il fenomeno, la domanda teologica, soprattutto quella ebraico-cristiana, attinge
dalla autorivelazione di Dio allo scopo di poter vedere la realtà come la vede Dio che l’ha
creata, cioè conoscendola come la conosce Dio, il quale ha su di essa uno sguardo
contemplativo.
34
MORANDI E., Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno,
Marietti, Genova 2003, p. XII.
35
MORANDI, Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno,
cit., p. XIII.
36
Cf il saggio di AGAZZI E. (ed.), Quale etica per la bioetica?, Angeli, Milano 1990.
37
Cf SCOLA A. (ed.), Quale vita?. La bioetica in questione, Mondadori, Milano 1998.
14
come Creatore, e non davanti al cosmo di cui l’uomo fa parte, ma
anche da cui l’uomo si differenzia qualitativamente: «Se guardo il tuo
cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che
cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne
curi? (sal 8,4-5).
Il rischio di ributtare l’uomo nell’immanenza della natura
cosmologica negandogli la dimensione trascendentale della sua natura
e di identificare la ratio ethica con la ratio tecnica38, ha indotto un
noto teologo moralista, J.L. Bruguès, a richiamare l’attenzione sulla
necessità di affermare tre primati che rischiano di sfuggire alla
mentalità utilitaristica moderna: 1. il primato del senso sul primato del
fare; 2. il primato del diritto su quello del desiderio; 3. il primato
dell’essere su quello della volontà39.
6. L’etica della responsabilità e l’ordine dell’essere
Quest’ultimo primato ci riporta al punto di partenza: chi è l’uomo
in rapporto al suo essere e al suo volere che si esprime attraverso le
libere scelte? Come l’uomo può affermare il suo essere in relazione al
suo volere? Oggi i vari sistemi etici che vengono elaborati in rapporto
alle questioni bioetiche trovano un loro punto di convergenza attorno
al principio responsabilità. L’uomo deve riscoprire in modo nuovo, e
per alcuni versi inedito, la sua responsabilità verso il creato, verso se
stesso, verso il suo futuro. Colui che ha richiamato e tematizzato il
paradigma della responsabilità verso il futuro è stato il filosofo
tedesco Hans Jonas40. Secondo Jonas l’etica della responsabilità si
fonda sul primato dell’essere e costituisce un baluardo innalzato dalla
coscienza per impedire al «Prometeo irresistibilmente scatenato, al
quale la scienza conferisce forse senza precedenti e l’economia un
impulso incessante […], di diventare una sventura per l’uomo»41.
Secondo l’antropologia cristiana, il principio “responsabilità” si
fonda sull’etica dell’amore come riconoscimento dell’essere nel suo
38
Cf Donum vitae, Intr., 4.
Cf BRUGUES J.L., Les trois chocs de la bioéthique, in «NRT» 112 (1990), pp. 859-869.
40
Cf JONAS H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi,
Torino 1993.
41
Ib., p. XXVII.
39
15
ordine, la quale etica attinge ad una concezione dell’essere come
dono, cioè ad una concezione creaturale dell’esistenza (essere creato =
essere donato).
Chi in epoca moderna ha richiamato questo orizzonte etico a partire
dalla prima legge morale così formulata: «segui, nel tuo operare il
lume della ragione» è stato Antonio Rosmini (1797-1855). Secondo
questo pensatore, considerato dalla Fides et Ratio tra in grandi maestri
che hanno fatto una coraggiosa ricerca del rapporto tra fede e
ragione42, la presenza dell’essere alla mente fa sì che «noi portiamo
inserita da natura nell’anima nostra tutta la morale in germe, cioè
quella legge prima, che è principio e fonte di tutte le altre, e il dettame
dell’onesto e del giusto»43. E siccome la formula dell’intelligenza è la
vista dell’essere universale, «così – afferma Rosmini – la formula
della morale è l’amore universale, l’amore di tutti gli esseri, di tutti i
beni, l’amore che tanto si stende quanto si stende la cognizione, cioè a
dire all’infinito»44. Sempre secondo Rosmini, l’essere precede la
volontà. E il fatto che lo preceda permette alla volontà di volerlo non
come mero oggetto strumentale, ma di amarlo nel suo ordine.
Sentiamo ancora il grande Roveretano: «Vale adunque un medesimo il
dire “Segui il lume della ragione”, e il dire “Ama gli esseri tutti”;
giacchè ciò che il lume della ragione ci mostra e ci presenta sono gli
esseri, e ce li presenta acciocché noi li amiamo, essendo il lume della
ragione quello che ci mostra in ogni essere un bene, in ogni essere un
ordine interiore, cioè un ordine che riesce fuori dalla costituzione
dell’essere stesso»45. Quindi non è l’essere a disposizione dispotica
della volontà, ma la volontà ad essere chiamata a rispondere all’essere
conosciuto come tale: «Vedemmo, che il lume della ragione non è che
l’essere conosciuto, e che la volontà è la facoltà morale, quella che
rende l’uomo autore delle sue azioni, e potremo convertire quella
prima formola in un’altra più chiara, che dice, ‘doversi inclinare la
volontà verso l’essere’, o sia doversi amar l’essere dovunque egli si
percepisca, doversi amare ogni essere perché tale»46.
42
Cf Fides et Ratio, 73.
Principi della Scienza Morale, c. I, a. III, p. 57.
44
Ib., c. IV, a. V. p. 107.
45
Ib., c. IV, a. V. p. 107.
46
Ib., c. IV, a. X, p. 116.
43
16
Da queste premesse, Rosmini, nell’ordine dell’essere, vede iscritti i
tre fondamentali principi etici di un’etica dell’amore responsabile: 1.
Ama le cose, in quanto sono a servizio della persona (dignità di
mezzo); 2. Ama le persone in sé e per sé (dignità di fine); 3. Ama Dio
al di sopra di ogni cosa (dignità infinita)47.
7. Per concludere
Per concludere può risultare assai significativo riferire questo
dialogo tra uno scienziato, Edoardo Bonicelli, è un filosofo, Umberto
Galimberti, giornalista e autore di un famoso saggio su Psiche e
techne48. Lo scopo è anche di riportare la questione sul piano
giornalistico che è, nel bene e nel male, quello sul quale la gente della
strada viene a conoscenza delle delicate problematiche che riguardano
la sopravivenza dell’uomo sulla terra nel cui orizzonte Van Rensselaer
Potter aveva coniato negli anni ’70 il fortunato neologismo bioetica
come scienza per la sopravivenza.
Il dialogo raccolto da Giovanni Maria Pace, che vuole richiamare
l’attenzione sulla necessità di una maggior comunicabilità sui temi
della bioetica tra pensatori che si rifanno a diversi orizzonti fondativi,
ruota tutto attorno ad un interrogativo: e ora?49.
Questa parte finale di dialogo che riportiamo è introdotto con una
domanda su una questione particolare che ha suscitato dibattito
qualche anno fa, l’introduzione sul mercato della cosiddetta «pillola
dell’amore». La prospettiva è quanto mai interessante, perché si mette
dalla parte della gente che si pone il problema che cosa fare e chi
ascoltare.
«– PACE Chi dobbiamo dunque ascoltare: la scienza, la psicologia,
la Chiesa?
– BONICELLI Personalmente ascolto tutti, valuto da chi provengono
47
Cf NEBULONI R., Amore e morale. Idee per la fondazione dell’etica, Borla, Roma 1992.
Per una analisi del pensiero antropologico rosminiano in prospettiva etica, ci permettiamo di
rimandare al nostro studio GRANDIS G., Il dramma dell’uomo. Eros/Agape & Amore/carità nel
pensiero antropologico di Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2003, soprattutto il secondo capitolo.
48
Cf GALIMBERTI U., Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano
2002.
49
Il testo riportato si trova in BONICELLI E. e GALIMBERTI G. con Giovanni Maria Pace, E
ora? La dimensione umana e le sfide della scienza, Einaudi, Torino 2000, pp. 154-157.
17
le varie affermazioni, se si tratta di chiacchiere senza base
dimostrabile, oppure di cose fondate ma poco interessanti, faccio la
media dei vari contributi e trovo la mia risposta. È un metodo che
consiglio.
– GALIMBERTI Hursserl [fondatore della Fenomenologia] diceva
che la scienza è pur sempre una ideazione umana, e guai se l’umanità
si fa guidare da una sola delle sue ideazioni.
– BONICELLI Anche perché è materialmente impossibile farsi
guidare solo dalla scienza…
– GALIMBERTI Però a voi scienziati piacerebbe!
– PACE Il tema della supremazia della tecnica è corso lungo tutto il
nostro discorso. Vorrei ora avviarlo a conclusione. Galimberti ritiene
davvero che il mondo sia dominato, se non dalla scienza,
dall’onnipresente tecnica.
– GALIMBERTI Non ancora, e in questo concordo abbastanza con
Bonicelli. Gli uomini che verranno dopo di noi, quelli delle prossime
generazioni, forse già i nostri nipoti saranno trasformati in senso
tecnico, cioè avranno un rapporto con la tecnica meno problematico di
noi che veniamo da uno sfondo umanistico. Noi siamo per così dire
arretrati nell’accettazione indiscriminata della tecnica per ragioni
psichiche, perché il nostro sentire è limitato. L’età della tecnica per
me comincia dalla seconda guerra mondiale. Ancora negli ani Trenta
la pianura padana era più o meno coltivata come al tempo dei
babilonesi. Adesso è tutta una fabbrica: nei prati non vedo le immagini
bucoliche delle foto d’epoca, ma industrie. In cinquant’anni c’è stata
una completa conversione economica, con ricadute sociali
significative. Ma la nostra psiche è lentissima nell’assimilare.
Pensiamo per esempio al nostro sentimento: se muore un mio
familiare, forse piango; se muore un mio vicino di casa, faccio le
condoglianze ai parenti; se muoiono cinquemila Tutsi, è una notizia
televisiva. Le capacità di reazione del mio sentimento, della mia
percezione, della mia immaginazione sono limitatissime rispetto agli
scenari tecnici. I bombardamenti Nato in Serbia erano uno scenario
tecnico. E che cosa abbiamo provato? Non sappiamo rispondere, di
fronte alle scene di macerie eravamo afasici, analfabeti emotivi.
Perché il nostro sentimento è ancora a livello antropologico rispetto
allo scenario dischiuso dalla tecnica, che lo oltrepassa. Questa
distanza è il nostro pericolo: non riuscire a sentire gli effetti della
18
tecnica. In questa distanza sta il rischio.
– PACE La tecnica è potente ma anche fragile. Forse l’intrinseca
fragilità le impedirà di conseguire quel dominio del mondo che
Galimberti paventa.
– GALIMBERTI È vero, la tecnica è fragile. Vent’anni fa, quando ci
fu il black-out a New York, successe il finimondo. Basta un terrorista
per bloccare una città, pochi ferrovieri dei cobas riescono a far saltare
il sistema ferroviario, è sufficiente uno sciopero dei controllori di volo
per sconvolgere il traffico aereo. Il sistema è vulnerabile nei suoi
snodi e gangli vitali: o funziona compatto o s’incaglia. C’è poi
un’altra considerazione da fare: la tecnica riguarda un quinto
dell’umanità, gli altri quattro quinti usano prodotti tecnici ma non
hanno mentalità tecnica. Ora non è pensabile che il mondo vada avanti
con quattro quinti dell’umanità che muoiono di fame affinché il
mondo tecnico possa continuare a consumare l’80 per cento delle
risorse. La sproporzione è inaccettabile, e anche questo è un punto di
inabilità dello scenario tecnico nel quale ci inoltriamo. Ma il maggiore
punto di instabilità è nel fatto che, nell’età della tecnica, la nostra
capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di
prevedere e quindi prendere posizione. In questo senso non siamo più
i soggetti della nostra storia.
– PACE Anche per Bonicelli la tecnica è fragile?
– BONICELLI La tecnica non si contrappone all’umanesimo. Sono
nati insieme e per ora continuano a procedere insieme. La tecnica è un
prodotto dell’uomo e non potrebbe esistere senza la società, e
dell’assetto sociale ha la stessa potenza e impotenza. Come la società,
può essere colpita in infinite maniere. Se andava via la corrente
cinquant’anni fa, quasi non ce ne accorgevamo. Oggi è la paralisi. La
tecnica si basa su una serie cospicua di condizioni che vanno
rispettate, altrimenti decade. Non so che cosa succederà tra
cinquant’anni e onestamente non saprei a chi chiederlo. Posso solo
dire che, se continuiamo così, ci sarà un aumento delle tecnologie e il
mondo si complicherà ulteriormente.
– PACE Con quali conseguenze sulla futura umanità?
– BONICELLI Per come la vedo io, l’uomo è in un certo senso
immutabile, ha radici solide che superano il divenire della Storia e
assicurano una stabilità di fondo all’organizzazione sociale, quale che
sia la sua forma. Insomma, l’uomo ne ha viste tante, ne ha passate
19
tante e ne ha risolte tante che non mi preoccuperei. Io sono ottimista.
In qualità di biologo – anche se acquisito – ho, come dire, introiettato
la visione di equilibrio, di sostanziale stabilità che l’Evoluzione
suggerisce».
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21
Indice
0. Introduzione………………………………………………
p. 1
1. La natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà…. p. 4
2. Il concetto di natura………………………………………. p. 7
3. La legge naturale………………………………………….
p. 9
4. Lo specifico contributo del sapere cristiano alla
definizione dell’humanum…………………………….….
5. Ratio technica e ratio ethica……………………………...
p. 11
p. 14
6. L’etica della responsabilità e l’ordine dell’essere………...
p. 15
7. Per concludere……………………………………………. p. 17
Bibliografia……………………………………………….
22
p. 21