Approfondimento
Le grandi eruzioni storiche
1600 a.C. La prima delle eruzioni catastrofiche di cui si
ha memoria storica è quella dell’isola greca di Santorini
(o Thira), nel mar Egeo (vedi al punto 1. A di seguito), che
provocò il collasso di più di metà dell’isola e un devastante tsunami, riconoscibile in tutti i sedimenti del mar Mediterraneo orientale.
79 d.C. L’eruzione esplosiva del Vesuvio seppellì Pompei
ed Ercolano sotto diversi metri di ceneri vulcaniche (vedi
a pag. 96).
1538 Il 28 settembre nella zona dei Campi Flegrei il mare
si ritirò all’improvviso di 370 m. Contemporaneamente gli
abitanti notarono che si stava formando un rigonfiamento
nel terreno, dal quale fuoriuscirono prima acqua calda e
fredda e dove, il giorno dopo, iniziò l’attività eruttiva che
cancellò il villaggio di Tripergole. Il 3 ottobre, ad eruzione
terminata, c’era una nuova collina, che fu chiamata Monte
Nuovo.
1631 Una nuova eruzione del Vesuvio provocò la morte
di circa 18000 persone.
1783-84 Il vulcano Laki, in Islanda, eruttò lava basaltica, ininterrottamente per 8 mesi. I vapori tossici associati
all’eruzione uccisero metà degli animali domestici, causando una grave carestia sull’isola.
1815 Eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, una
delle più violente registrate dalla storia: in 3 mesi fu
emessa cenere in tale quantità da causare cambiamenti
climatici su tutta la Terra.
In Europa mancò una vera estate per circa due anni e i
danni all’agricoltura furono enormi.
1831 Alla fine di giugno nasce dal mare, al largo di Pantelleria l’isola Ferdinandea, un vulcano sottomarino che
emerse
dall’acqua per un’altezza di 65 m e con una superficie di 4
km2. Nel gennaio 1832 l’isola era nuovamente al di sotto
del livello del mare, a causa dell’intensa erosione.
1883 Il vulcano Krakatoa (Indonesia) è teatro di una devastante esplosione, percepita fino a 5000 km di distanza, che distrusse i due terzi dell’isola dove sorgeva. Sulla
vicina isola di Giava molte decine di migliaia di persone
1. Catastrofici collassi di caldere
morirono a causa dello tsunami generato dall’esplosione
(vedi al punto 1.b di seguito).
1902 La nube ardente associata alla violenta eruzione
del vulcano La Pelée sull’isola della Martinica (Caraibi),
provocò la morte di oltre 30000 persone e la completa
distruzione della città di Saint Pierre (vedi al punto 2 di
seguito).
1943 Il 20 febbraio viene direttamente osservata, caso
unico nella storia, la nascita di un vulcano continentale, il
Paricutin, in Messico (vedi al punto 3 di seguito).
1963 Nasce dal mare l’isola vulcanica di Surtsey, vicino
alle coste dell’Islanda. L’isola è tuttora emersa.
1980 Il 18 maggio erutta, in una zona scarsamente popolata, il vulcano Mount St. Helens (Stati Uniti): l’eruzione, molto violenta, era stata prevista e causò perciò la
morte di pochissime persone (vedi al punto 4 di seguito).
1985 L’eruzione del Nevado del Ruiz in Colombia, la
prima dopo 400 anni di inattività, pur essendo di minore
importanza provocò un lahar, che causò la morte di circa
23000 persone (vedi al paragrafo 4).
1991 Il vulcano Pinatubo nelle Filippine era inattivo da
circa 600 anni. L’eruzione ha provocato lo sfondamento
di un fianco del vulcano, con l’emissione di una nube ardente.
L’eruzione vulcanica fu prevista dagli scienziati e pertanto vennero evacuate circa 200 000 persone, ma nonostante ciò 900 persone perirono. L’eruzione ebbe
importanti ripercussioni sul clima a causa dell’enorme
quantità di diossido di zolfo immessa a grande altezza
nell’atmosfera che ebbe come conseguenza una significativa diminuzione della temperatura media terrestre
registrata l’anno successivo.
2010 Il 20 marzo il vulcano Eyjafjoll, coperto dal ghiacciaio Eyjafjajokull, in Islanda, erutta una prima volta;
le polveri della successiva eruzione del 14 aprile 2010
hanno creato seri problemi al traffico aereo in Europa,
paralizzandolo completamente fino al 23 aprile. L’attività vulcanica è poi diminuita, fino a concludersi definitivamente in ottobre.
A. ISOLA DI SANTORINI (1600 A.C.) Santorini (Thira) è un’isola vulcanica, situata nel Mar
Egeo a nord di Creta, che presenta una caratteristica forma a mezza luna, aperta verso il lato
occidentale (fig. 35). Un tempo Santorini era un’isola con un vulcano, che ha dato luogo a un’enorme eruzione pliniana, simile a quella del Krakatoa (di cui esistono numerose testimonianze scritte e che viene utilizzata come modello geologico per spiegare l’evento di Santorini;
vedi di seguito). Gli studi geologici hanno ricostruito quattro fasi eruttive principali. Le prime
tre fasi sono caratterizzate dall’eruzione di grandi volumi di prodotti piroclastici (in particolare flussi piroclastici): nel sito archeologico di Akrotiri, sepolto dai relativi depositi, non
sono stati ritrovati corpi umani, perciò si ritiene che la popolazione fosse già fuggita dall’isola
prima dell’eruzione. La quarta fase è caratterizzata dal collasso della caldera che costituiva
l’edificio vulcanico: ciò ha provocato un violento tsunami, che ha investito le coste di Creta,
dove fioriva la civiltà minoica e l’evento potrebbe essere stato così devastante da provocare
la sua definitiva decadenza. Le due attuali isole principali rappresentano il bordo dell’antica
caldera, al cui centro è sorto un nuovo cono vulcanico, l’isola di Nea Kameni. Si pensa che il
mito di Atlantide, l’isola inghiottita nel mare descritta in uno dei dialoghi di Platone (Crizia),
sia l’antico ricordo dell’eruzione di Santorini.
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
1
35
Fig. 35.
L’isola di Santorini ripresa
da satellite: al centro della
caldera, per la maggior
parte sommersa, si trova
il cono vulcanico di Nea
Kameni (NASA).
Approfondimento
36
B. ISOLA DI KRAKATOA (1883)
Krakatoa è un’isola vulcanica disabitata nello stretto della
Sonda, tra le isole maggiori di Giava e Sumatra. Non essendoci abitanti, le testimonianze storiche dirette della
gigantesca eruzione pliniana del 1883 si devono a osservatori sulle navi di passaggio nello stretto. A partire dal
maggio 1883 i testimoni segnalano che l’isola è interessata da attività vulcanica intermittente, che provoca nella
zona onde inusitatamente alte.
Il 25 agosto del 1883 ha inizio la fase parossistica dell’eruzione: è avvistata un’immensa colonna eruttiva e si registra la caduta di ceneri e pomici, di dimensioni anche di
10 cm, fino alla distanza di 20 km dall’isola.
Il 27 agosto, tra le 5 e le 10 del mattino, si succedono quattro colossali eruzioni esplosive probabilmente causate da
infiltrazioni di acqua marina nella camera magmatica.
La potenza complessiva delle esplosioni fu cinquemila
volte superiore a quella della bomba atomica di Hiroshima e i boati furono percepiti fino a Perth in Australia
(3500 km di distanza) e alle isole Mauritius, nell’oceano
Indiano (4800 km di distanza). Tutto lo stretto della Sonda e parte della costa di Sumatra furono interessate dai
flussi piroclastici conseguenti al collasso della colonna
eruttiva in ogni eruzione. Tutte le quattro eruzioni furono
accompagnate da tsunami, con onde alte fino a 30 m, che
devastarono le isole di Giava e Sumatra e i loro effetti furono risentiti fino al Sud Africa. Dopo l’eruzione l’isola di
Krakatoa, che prima era costituita da tre coni vulcanici situati entro una caldera (fig. 36) era per buona parte scomparsa, lasciando come ricordo dell’eruzione una nuova
caldera profonda 250 m generatasi in seguito al collasso
di una porzione della caldera precedente.
Solo la metà me ridionale del cono vulcanico di Rakata
era sopravvissuto, come taglia to a metà lungo una falesia
verticale. La colonna eruttiva raggiunse i 27 km di altezza,
trasportando in piena stratosfera ceneri e gas vulcanici,
in particolare enormi quantità di diossido di zolfo, subito
trasformatosi in goccioline di acido solforico per interazione con il vapore acqueo (vedi al paragrafo 9).
Negli anni che seguirono la devastante eruzione, la temperatura della Terra diminuì in media di 1,2 °C.
Nel 1926 all’interno della caldera del Krakatoa sorse dal
mare un nuovo cono vulcanico, battezzato Anak Krakatoa
(il piccolo Krakatoa); questo cono è cresciuto rapidamente, raggiungendo attualmente oltre 300 m sul livello
dell’acqua. Quando un nuovo edificio vulcanico cresce
all’interno di una caldera, i vulcanologi parlano di “caldera risorgente”; questa è la situazione vulcanologica più
pericolosa, poiché indica chiaramente che sotto alla caldera c’è una camera magmatica attiva.
Fig. 36.
Ricostruzione degli effetti prodotti dall’eruzione nell’isola di Krakatoa nel 1883. L’isola inizialmente costituita da tre coni vulcanici, con una
lunghezza complessiva di circa 9 km a., andò quasi completamente distrutta, b. e si formò una nuova caldera per collasso della precedente. c. L’isola come si presenta oggi, con il vulcano Anak Krakatoa emerso all’interno della caldera nel 1926.
2. Segni premonitori trascurati: Mount Pelée (1902)
La drammatica eruzione del Mount Pelée, nell’isola di Martinica (Antille
francesi) fu preceduta da una serie di segni premonitori (vedi paragrafo 8)
che vennero del tutto sottovalutati: nella caldera del Mount Pelée (detta dello Stagno Secco) si formarono nuove fumarole (emissioni di vapore acqueo
e solfuro di idrogeno). Pochi giorni prima dell’eruzione, la caldera si riempì
d’acqua all’improvviso e si formò un lago. Si verificarono piccole eruzioni di
ceneri e pomici e tre giorni prima dell’eruzione principale il mare si abbassò
di 100 m e in seguito un’onda anomala allagò parte della città di Saint Pierre.
Lo stesso giorno parte della caldera collassò provocando un lahar che distrusse delle piantagioni. L’8 maggio del 1902 si avvertirono i primi segni di
attività vulcanica: in pochi minuti le linee del telegrafo si interruppero e con
una violenta eruzione si innalzò una colonna eruttiva di enorme ampiezza e
altezza, che oscurò il cielo (fig. 37a): il suo collasso provocò un flusso piroclastico, denso e nero e caldissimo (oltre 1000 °C), che investì Saint Pierre. Dei
30000 abitanti solo due sopravvissero. Nell’ottobre del 1902 una spina vulcanica (o protrusione solida) crebbe dal fondo del cratere dello Stagno Secco
con la velocità impressionante di 15 m al giorno, fino a toccare un’altezza di
300 m (fig. 37b): in seguito divenne instabile e crollò (marzo del 1903).
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
2
37
Fig. 37.
L’eruzione del Mount Pelé e in due foto
d’epoca:
a. la colonna eruttiva; b. la spina vulcanica
formatasi qualche mese dopo l’eruzione.
Approfondimento
3. La nascita di un vulcano: il Paricutin (1943)
La nascita di un vulcano continentale è stata per la prima volta osservata
direttamente in Messico il 20 febbraio del 1943. Un giovane contadino messicano, mentre arava il suo campo di mais, vide aprirsi una frattura nel terreno. Per diversi giorni il contadino riempì la frattura con dei sassi, ma ogni
volta la frattura si riapriva. Un giorno vide uscire del fumo dalla spaccatura
e tentò di spegnere quello che pensava fosse un incendio buttandovi sopra
della terra: sentì poi il suolo tremare e il terreno divenire inspiegabilmente
caldo, si spaventò e corse nel vicino villaggio di Paricutin a chiedere aiuto.
Tornato nel campo il contadino osservò che dalla frattura uscivano fumo,
ceneri e lapilli, in quantità sempre maggiori: il mattino successivo si era formato un cumulo di materiale alto alcuni metri e nello spazio di pochi giorni
si formò un cono vulcanico alto circa 100 m, al quale fu dato il nome di Paricutin, il villaggio ormai sepolto dalle ceneri vulcaniche.
Nel giro di un anno il cono di ceneri era alto 400 m; negli anni successivi
l’attività vulcanica, di tipo stromboliano, diminuì fino ad esaurirsi completamente nel febbraio del 1952 (fig. 38).
4. L’eruzione prevista: il Mount s. Helens
(1980)
L’eruzione del Mount S. Helens è stata la prima eruzione
ampiamente documentata da fotografie e brevi filmati che
hanno permesso di studiare il meccanismo eruttivo. Prima dell’eruzione il monte St. Helens era una delle montagne più alte dello Stato di Washington (USA), dai caratteristici fianchi simmetrici; il vulcano era quiescente dal
1857, ma lo studio dei depositi precedenti chiaramente
indicava che le eruzioni nel passato erano state frequenti.
L’attività del 1980 iniziò nel marzo, con diversi segni premonitori: uno sciame di terremoti via via più intensi, la
formazione di un cratere sommitale e il rigonfiamento del
fianco settentrionale del vulcano (fig. 39).
39
Fig. 38.
Il cono di ceneri del Paricutin attualmente alto
424 m.
Il 18 maggio 1980 un terremoto di grado 5,1 della scala Richter provocò un’enorme frana di roccia sul fianco
settentrionale della montagna. La frana, asportando una
parte di versante, diminuì la massa della montagna e di
conseguenza diminuì anche la pressione interna al vulcano; questo causò il rilascio immediato dei gas presenti al
suo interno, producendo così un’esplosione laterale. L’eruzione, che durò 9 ore, produsse una nube eruttiva e un
flusso piroclastico.
La zona circostante il Mount St. Helens non è densamente
abitata; inoltre, il vulcano era costantemente monitorato
e la popolazione era stata invitata ad allontanarsi, non appena fu notato che un fianco del vulcano si era
rigonfiato. Per questi motivi il bilancio delle vittime (57
persone) fu assai contenuto.
Fig. 39.
Nelle due fotografie, la
spettacolare eruzione del
monte St. Helens (USA),
avvenuta nel 1980 e
prevista alcuni mesi prima
grazie al rigonfiamento
della superficie. Nel disegno, ricostruzione delle fasi
successive che portarono
all’esplosione.
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
3