Dal concepito all’embrione: il problema di definire la vita nascente Sessione tematica: 3. Definizioni giuridiche e concetti tecnico-scientifici Abstract La dialettica fra la necessità di limitare gli ambiti applicativi delle regole e l’antico ammonimento sulla pericolosità delle definizioni, presente in ogni campo del diritto, assume speciale pregnanza quando si tratta addirittura di stabilire il confine della persona, ed insomma del diritto di avere diritti. Così, la necessità di formalizzare il momento della nascita, per i moderni requisito necessario e sufficiente della capacità giuridica, ha sempre occupato i giuristi, con le discussioni sui requisiti della vita o della vitalità, e persino quelle sulla capacità da riconoscere al nato deforme, con le antiche distinzioni fra monstrum e ostentum, oppure al soggetto venuto al mondo ma nonnatus, perché non partorito ma estratto dal corpo di una donna deceduta. Per la fase precedente alla nascita, i teologi hanno discusso sul momento in cui il corpo in formazione ricevesse l’anima, mentre i giuristi hanno elaborato le categorie del conceptus e del concepturus, su cui tuttora si impernia un ampio plesso di norme del diritto successorio e delle donazioni. Se, infatti, nella nostra tradizione giuridica l’inizio della persona coincide con la nascita, ciò nondimeno essa differenzia tali figure, per ricollegare al concepito posizioni soggettive, che recenti sentenze, in tema di responsabilità civile e di fondo patrimoniale, hanno ampliato, mentre il diritto penale arriva ad equiparare, ai fini dell’infanticidio, il feto durante il parto al nato. Ormai la rivoluzione biotecnologica ha, però, destabilizzato tutto questo sistema di definizioni, ed il diritto ha recepito nuovi termini: primo fra tutti quello di “embrione”, alla cui tutela sono state dedicate una serie di problematiche disposizioni. Invero, la legge italiana non definisce l’embrione, assumendo forse il termine come sinonimo di concepito, ancorché in medicina esso indichi una fase dello sviluppo successiva non solo al concepimento, ma anche agli stadi dello zigote, morula e blastocisti: proprio su questa carenza definitoria verte una delle questioni di costituzionalità ancora pendenti in materia. Frattanto, a fronte dei divieti legislativi di reificazione dell’embrione, sono fiorite operazioni interpretative volte ad individuare situazioni in cui gli stessi non possano operare, laddove non si sia ancora realizzata la fusione dei nuclei, oppure lo sviluppo cellulare non sia dipeso dalla fecondazione, ma dalla cosiddetta partenogenesi: un termine a metà fra biologia e mitologia, un po’ come l’altro utilizzato dalla norma che proibisce di produrre chimere. Nemmeno è chiaro il rapporto con le preesistenti discipline richiamate, in quanto, ad esempio, ai fini 1 successori l’embrione crioconservato andrebbe qualificato come concepito, ma parrebbe più ragionevole applicargli la disciplina del concepturo. Nel prossimo futuro andrà poi definito lo status dell’embrione geneticamente modificato, riflettendo sulle discriminazioni di cui potrebbe godere rispetto a soggetti procreati naturalmente, dotati di un genoma dovuto al caso e magari difettoso (ma capace delle mutazioni che consentono l’evoluzione), in una società dove i tests genetici sono sempre più alla portata di assicurazioni e datori di lavoro. Marco Rizzuti Dottore di Ricerca, ssd IUS/01 Assegnista di Ricerca, Università di Firenze 2