giacomo leopardi e gli orizzonti dell` infinito-nulla

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I NUOVI CRITICI
LABORATORIO CULTURALE

I NUOVI CRITICI
LABORATORIO CULTURALE
La collana intende ospitare le opere di critici esordienti, non accademici, che si esercitano quotidianamente nella lettura di opere
letterarie e poetiche sia italiane che straniere, nell’analisi cinematografica di film noti e meno noti, nell’interpretazione delle opere
d’arte del presente e del passato, nell’attenta fruizione di opere teatrali sia sperimentali che classiche. Una critica di chi legge, interpreta
e decifra giorno dopo giorno, con gli occhi ben aperti sul mondo.
Il presente volume è frutto di una mia ricerca post–laurea presso l’Università
degli Studi di Firenze. La genesi e la revisione di questo libro sono stati
seguiti dal prof. Sergio Givone.
Daria Roselli
Giacomo Leopardi e gli orizzonti
dell’infinito–nulla
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 
Indice
13
Introduzione
PARTE I
Il nulla e la sua ontologia
23
Capitolo I
Leopardi e il “perché” del nulla
1. 1. Il “nulla” come origine del “tutto”, 23 – 1.2. Il nulla e le sue radici:
l’infelicità umana tra “pessimismo storico” e “pessimismo cosmico”, 25 –
1.2.1 Il “pessimismo storico”: nulla, infelicità, amor proprio, 25 – 1.2.2 Il
“pessimismo cosmico”: nulla, infelicità, natura, 28
35
Capitolo II
Il nulla e l’essere: l’ontologia del nulla come risposta
al nichilismo
2.1. Dal “perché” del nulla al “nulla–niente”, 35 – 2.2. Leopardi nichilista:
l’interpretazione di E. Severino, 37 – 2.3. La risposta al nichilismo:
l’ontologia del nulla, 41 – 2.3.1. Il perchè di un’ontologia del nulla, 41 –
2.4. Il nulla come possibilità dell’essere. Verità e non–verità, 46
8
Indice
PARTE II
I livelli dell’infinito leopardiano.
Metafisica e ontologia
55
Capitolo I
La metafisica dell’infinito
1.1. Dal “nulla-infinito” all’ “infinito”, 55 – 1.2. La genesi del concetto di
“infinito” nel pessimismo storico, 57 – 1.3. La poetica dell’indefinito. “Infinito” e “indefinito”, 59 – 1.4. Ai primordi del livello estetico-metafisico
dell’infinito: la poesia L’Infinito, 64
71
Capitolo II
Dalla metafisica negativa all’ontologia dell’infinito
2.1. Superamento dell’indefinito e “pessimismo cosmico”, 71 – 2.2. Le Operette morali e l’infinito come immortalità, 73 – 2.3. La concezione metafisico-negativa dell’infinito, 78
83
Capitolo III
L’ontologia dell’infinito
3.1. Perché un’ontologia dell’infinito, 83 – 3.2. La natura come cagione
dell’infinito: la genesi del legame ontologico infinito–essere, 85 – 3.3. Ontologia e metafisica dell’infinito fra soggettività e oggettività, 90
Indice
9
PARTE III
L’infinito e il nulla fra metafisica e ontologia
97
Capitolo I
Il limite dell’identificazione infinito-nulla
1.1. Fino a che punto si può parlare di infinito–nulla?, 97 – 1.2. Identità metafisica tra “infinito” e “nulla”, 99 – 1.3. La definizione ontologica di “infinito” e il “nulla metafisico”, 103
109
Capitolo II
Ontologia del nulla e ontologia dell’infinito
2.1. Il perché di un confronto fra ontologie, 109 – 2.2. Infinito ed essere. Il
nulla e l’essere. Peculiarità e differenze, 111 – 2.2.1 Infinito ed essere. Nulla
ed essere. La “prossimità vicinante”, 117 – 2.2.2 Ontologia dell’infinito.
L’infinito come universalità soggettiva oltre il nichilismo, 120
127
Capitolo III
L’ infinito e il suo tendere ontologico al nulla
3.1. L’infinito ontologico come “tensione aperta” all’infinito–nulla metafisico, 127 – 3.2. L’infinito ontologico come “tensione specchiante” al nulla ontologico e soggettivo, 133
139
Capitolo IV
Gli orizzonti dell’infinito–nulla: uno sguardo oltre
il nichilismo
4.1. Infinito e nulla come abissi della libertà e della possibilità: infinita possibilità e possibilità infinita, 139 – 4.2. Essere e libertà: l’infinito–nulla come
abisso affermativo, 147
151
Bibliografia
Sigle
Nel testo verranno utilizzate le seguenti abbreviazioni per i testi
leopardiani:
Z = G. LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, ed. critica a cura di G.
Pacella, Mondadori, Milano 1991, seguito dal numero di pagina
dell’autografo leopardiano
OM= G. LEOPARDI, Operette morali, ed.critica a cura di O. Besomi, Mondadori, Milano 1979
C = G. LEOPARDI, Canti, ed. critica a cura di D. De Robertis, Il
Polifilo, Milano 1984
11
Introduzione
Chiunque pensi alla figura di Giacomo Leopardi, ha in mente un poeta. Il poeta “pessimista” di Recanati che ci ha lasciato
capolavori come L’Infinito, lo Zibaldone, e via dicendo. Per il
quale, molti pensano, la vita sia qualcosa da ripudiare poiché
non c’è speranza di essere felici su questa terra, perché, come
dice nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, “è funesto a chi nasce il dì natale”1.
Quindi, il Leopardi che sostiene che “tutto provenga dal nulla”2 e lì abbia ritorno. Il poeta, insomma, che ci porterebbe a
credere che sia meglio morire che vivere questa vita, in quanto,
com’egli scrive nello Zibaldone, “tutto è male[…]l’esistenza è
un male e ordinata al male, il fine dell’universo è un male”.3
Nell’immaginario collettivo questa è (salvo rari casi), l’idea
che molti hanno di Leopardi, il quale, certo, non si può negare
abbia privilegiato, all’interno della propria opera, gli aspetti più
tragicamente veri della vita. Dove, senz’altro, il non senso e
l’assurdità irrazionale di ciò che accade sembrano vincere sulla
logica e sulla ragione delle cose stesse.
Quel che però occorre chiarire, fin da subito, è un altro punto. Ossia che questo modo di vedere Leopardi non possa essere
l’unico. Precisando innanzitutto come tali idee leopardiane (e
anche il pessimismo, quindi), s’inseriscano in un quadro che è
ben più complesso di quel che si può pensare.
G. LEOPARDI Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, C, cit., v. 160.
Z, cit., vol. I, p. 1341, in cui egli afferma che “in somma principio delle cose e di
Dio stesso, è il nulla”.
3
Z, cit., vol. II, p. 4174.
1
2
13
14
Introduzione
Al di là della biografia leopardiana che certo giustifica, in
molta parte, la disposizione di Giacomo Leopardi a interpretare
la vita sotto una certa ottica che potremmo definire “negativa”,
dell’uomo “solitario”, chiuso rispetto al mondo della società,
nell’esclusione che rasenta l’isolamento (si pensi alla siepe
dell’Infinito4 che simboleggia proprio la “separazione” tra l’io e
ciò che sta al di là, in un mondo immaginario, che cerca di
sfuggire alla crudezza della vita quotidiana), si può dire che la
prospettiva leopardiana sull’esistenza abbia radici ben più profonde, che oltrepassano la sua stessa poesia. Perché, semplicemente, nascono da un pensiero. Il quale, pur non essendo sistematico, possiamo definire, a ragione, squisitamente filosofico.
Sull’opportunità o meno di definire Leopardi “filosofo” sono
stati stesi fiumi d’inchiostro.
C’è chi, come F. De Sanctis e Benedetto Croce5, han minimizzato la capacità speculativa di Leopardi a favore della sua
poesia, sottolineando solo il lato pessimista presente nella riflessione leopardiana.
E chi invece, come G. Gentile6 e A.Tilgher7 hanno rivalutato
l’importanza filosofica, in particolare, delle Operette morali evidenziando, al contrario, l’importanza di non ridurre la figura
leopardiana a quella del “semplice” poeta.
Lasciando aperto il dibattito, una cosa però è certa.
Dietro ad un testo monumentale come lo Zibaldone, che
sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione, perché è una miscellanea di pensieri che racchiudono buona parte dell’esistenza
4
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe che da tanta parte il guardo
esclude”, da G. LEOPARDI, L’infinito, C, cit., v. 1.
5
Rispettivamente in F. DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Ibis, Como 1983 e
B. CROCE in Poesia e non poesia, Laterza, Bari 1923.
6
In Poesia e filosofia in Giacomo Leopardi, Sansoni, Firenze 1939.
7
V. A. TILGHER, La filosofia di Giacomo Leopardi, Roma 1940.Tanto per citare i
primordi di un movimento critico che, dagli anni’40 ha inteso preparare la strada a diverse letture in proposito, non ultime quelle di un Leopardi “eroico”, impegnato in una
speculazione sul destino universale (si pensi al Leopardi “progressivo”, di C. Luporini,
in Leopardi progressivo), come le interpretazioni leopardiane di S. Timpanaro, (Alcune
osservazioni sul pensiero leopardiano, Pisa 1965), e W. Binni, (La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze 1973), che hanno teso a evidenziare una sostanziale integrazione fra
l’aspetto filosofico e quello poetico.
Introduzione
15
leopardiana, non è possibile minimizzare la portata di quello
che è, a tutti gli effetti, un pensiero, che se non è sistematico
come quello di un filosofo, preordinato in certe categorie schematiche all’interno delle quali si può asserire che sia opera filosofica, inevitabilmente però c’è. E vive non solo dentro lo Zibaldone. Ma in tutta l’opera di Leopardi. Dalla poesia alla prosa.
Premessa quindi l’esistenza di un “pensiero” leopardiano che
permea un po’ tutta l’opera di Leopardi, possiamo chiederci a
questo punto perché occorra interpretare Leopardi in maniera
diversa rispetto al dilagante nichilismo8 che purtroppo spesso
finisce con l’appiattire la figura del poeta di Recanati al semplice “pessimista”.
La risposta è ovvia.
Se interpretare Leopardi vuol dire cercare di sondare, attraverso una sorta di “pensiero poetante”9che scavi, cioè, dietro ai
versi leopardiani, l’autentica radice filosofica dei problemi esistenziali dell’uomo, individuando le ragioni ultime della sua riflessione, non ci si può fermare ad una concezione puramente
letterale di quel che si legge.
Si deve insomma “far parlare” la poesia e la prosa leopardiana, mostrando come, in verità, al fondo di ciò che sembra
8
Per nichilismo s’intende qui, in senso lato, qualsiasi posizione che tenda a sopprimere l’aspetto esistenziale della riflessione leopardiana, appiattendolo al mero diniego e rigetto nei confronti della vita dell’uomo, che si riduce a puro “niente”, come il
nulla da cui Leopardi la fa provenire. Una dimensione dove il tragico dell’esistenza non
emerge per il suo reale valore di ciò che è, bensì viene ridotto a non–valore, a non–
essere, che pare l’unica via di dispersione nella quale all’uomo non resta che rassegnarsi per poter vivere un’esistenza permeata unicamente dal divenire e dal non–senso.
Essendo impossibile in questa sede poter affrontare tutte le prospettive che inquadrano il pensiero leopardiano come nichilista, e per non disperdere quindi la nostra argomentazione in una molteplicità di teorie che non potremmo adeguatamente approfondire in quanto richiederebbero un’ampia trattazione a parte, prenderemo in esame in
questo testo, in particolare, la posizione di Emanuele Severino, che ben simboleggia un
nichilismo che vuol inquadrare il nulla di Giacomo Leopardi come puro “vuoto”, assenza di essere, negativamente inteso.
9
Per richiamare la nota espressione usata da Antonio Prete che evidenzia la compenetrazione di filosofia e poesia, due settori che, secondo Prete, hanno la loro radice
nell’immaginazione, la quale riguarda l’attività del poeta come quello del filosofo (da
A. PRETE, Il pensiero poetante, Feltrinelli, Milano 1996).
16
Introduzione
soltanto pessimismo si celi invece il cuore stesso dell’essere e
dell’esistenza di ciascuno di noi. E, in particolare, non la negazione di quest’essere, come parrebbe a prima vista, ma la possibilità dell’esistenza stessa.
Come fare quindi a mettere in luce questa realtà?
Il primo passo è quello di prendere in esame il concetto–base
che in Leopardi sembra, a tutti gli effetti, esprimere la regione
del negativo e del non–essere. Quindi, il nulla10. Principio delle
cose, radice ultima del Tutto11.
Capire, in una parola, come il nulla rappresenti, contro il nichilismo imperante12 la radice stessa della possibilità delle cose
di essere, attraverso l’ontologia del nulla13, chiara risposta al
nulla nichilista che vorrebbe questo nulla come puro niente, regione del non–essere, dove l’essere delle cose viene “inghiottito” nel divenire, e sottratto alla stessa possibilità di essere quel
che è.
L’Ontologia del nulla ci permette di interpretare in chiave
nuova il nulla leopardiano, restituendo a esso il proprio statuto
ontologico, il legame con quell’essere che solo il nulla conserva
e permette di fondare per com’esso effettivamente è perché,
semplicemente, ne costituisce la radice autentica che fa sì
ch’esso sia, pur, ovviamente, nella propria e innegabile caducità e fragilità. Il nulla che parrebbe quindi “niente”, nichilisticamente parlando, pura “assenza di fondamento”, sottratto al principio di ragione, e che solo l’ontologia, riportandolo al tò òn, a
ciò che è, permette di rileggere come fondamento di possibilità
delle cose di essere–e indirettamente–anche di libertà di esistere
nella loro, peculiare realtà.
Ma parlare di nulla significa anche parlare di infinito. Pur
nella problematica che ciò comporta. Quando Leopardi, nello
10
“Nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v’è ragione assoluta per cui
ella non possa non essere”, da G. LEOPARDI, Zibaldone, cit. p. 1341.
11
Ibidem.
12
In particolare, vedremo espressa tale idea nella posizione di E. SEVERINO, in Il
nulla e la poesia, BUR, Milano 2005.
13
V. S. GIVONE in Storia del nulla, Laterza, Roma-Bari 2006, in cap. 6, Uno
sguardo dal nulla, pp. 135 e ss.
Introduzione
17
Zibaldone, dice che “pare che solamente quello che non esiste,
la negazione d’essere, il niente, possa essere senza limiti, e che
l’infinito venga ad essere in sostanza lo stesso che il nulla”14
sembra, a tutti gli effetti, che infinito e nulla siano la stessa cosa.
E tuttavia, come vedremo, la questione non è così semplice.
Se da una parte, infatti, di infinito–nulla si può parlare metafisicamente, come quella meta tanto aspirata dall’uomo, eppur irraggiungibile, l’“al di là”(µεθά), di ciò che è finito, mortale, per
natura (φύσις), l’infinito rivendica qualcosa di più che non un
semplice legame metafisico con l’essere dell’uomo.
Ma di che si tratta, allora?
Nella metafisica non si risolve la nozione di infinito. Perché,
accanto ad essa, ve n’è un'altra di carattere ontologico, che recupera un legame autentico, originario, con l’essere stesso
dell’uomo che vive l’infinito, in prima persona, come aspirazione ad un’irraggiungibile e infinita felicità.
Quando Leopardi, nello Zibaldone, parla di infinito come
“tendenza ingenita o congenita all’esistenza”15, lì si trova la radice del problema ontologico dell’infinito.
L’infinito come sforzo, tensione (soggettiva) all’infinitonulla,(oggetto–metafisico), intrattiene un legame con l’essere,
in quanto congenito e innato all’uomo stesso. Un recupero ontologico, dunque. Proprio come il nulla. Ma con le dovute differenze. Perché, come vedremo, l’ontologia del nulla non è
l’ontologia dell’infinito. Il nulla, infatti, intrattiene con l’essere
un diverso legame rispetto a quello che, invece, ha l’infinito
verso il tò òn, ciò che è.
L’ontologia del nulla ci svela la possibilità del nulla di fondare le cose.
“In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla”16, dirà Leopardi nello Zibaldone. Frase, questa, che ribadi14
Z, cit., vol. II, p. 4178.
Ivi, p. 165, dove scrive “Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché
è ingenita o congenita coll’esistenza e perciò non può avere fine in questo o quel piacere, che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita”.
16
Z, cit., vol. I, p. 1341.
15
18
Introduzione
sce la natura autentica del nulla come “grund” dell’essere e
dell’esistenza universale. Ma proprio qui sta il punto. L’infinito,
come vedremo, pur nel suo duplice livello metafisico, e in particolare, ontologico, non è fondamento del reale come lo è il nulla visto in chiave ontologica. Altrimenti si cadrebbe in un dualismo di principi. Nulla e infinito, alla base del tutto. E invece
Leopardi ci parla di un nulla come origine del tutto. Anche se, si
potrebbe obiettare, esso è nulla–infinito.
Ma comunque ciò sia vero da un punto di vista solamente
metafisico, per cui il nulla e l’infinito possano dirsi tutt’uno,
come aspetto trascendente e oggettivo al quale tende l’uomo
nelle sue vesti mortali, finite, evitare un dualismo di principi alla base del reale impone, per coerenza, di non poter sostenere
che, come il nulla, anche l’infinito sia principio del tutto.
Vedremo, quindi, che l’ontologia del nulla e l’ontologia
dell’infinito corrono su una linea parallela ma, al tempo stesso
divergente. Nel senso che, pur intrattenendo, entrambi, un rapporto con il tò òn, ciò che esiste, tuttavia ciò non è sufficiente
per farci credere che le due ontologie siano identificabili. E, di
conseguenza, che parlando in termini ontologici, infinito e nulla
siano la stessa cosa.
Capire i livelli dell’infinito. Leggere il nulla in chiave ontologica. Relazionare infinito e nulla metafisicamente e ontologicamente. Sono i tre passi che ci permetteranno di chiarire la
portata filosofica del pensiero leopardiano e, in particolare, di
scardinare quell’idea troppo semplicistica che vorrebbe liquidare Leopardi come poeta del nulla–niente, pessimista, nichilista.
Questa operazione sarà possibile portando alla luce, soprattutto, il valore ontologico e, implicitamente, esistenziale della
riflessione di Leopardi.
L’ontologia del nulla (e con essa quella dell’infinito), ci
permetterà di oltrepassare la retorica idea di una filosofia che
voglia “annientare” l’uomo, per ridurlo a puro nulla, dove
l’infinito non sia altro che pura “dispersione”, o vuoto abisso
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