INNOVAZIONE AMMINISTRATIVA
E CRESCITA DEL PAESE
Rapporto con raccomandazioni
AMMINISTRAZIONE E MERCATO
Marco D’Alberti
Testo in corso di revisione
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AMMINISTRAZIONE E MERCATO
Marco D'Alberti
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le principali trasformazioni della regolazione pubblica dei
mercati e le riforme italiane. – 3. Le riforme di liberalizzazione. – 4. Le riforme di
privatizzazione. – 5. Semplificazioni, de-regolazioni e qualità della regolazione. – 6. Autorità
indipendenti. – 7. La disciplina della concorrenza. – 8. Conclusioni e proposte. I nuovi compiti
della legislazione e delle amministrazioni pubbliche.
1. Introduzione
Negli ultimi venti anni la regolazione dei mercati da parte dei poteri pubblici è
divenuta particolarmente complessa. Si è ampliato enormemente il quadro dei
regolatori, che non sono soltanto nazionali e sub-nazionali, ma sono sempre più
ultranazionali. La regolazione ultranazionale incide in diversi modi su quella nazionale.
Al tempo stesso, la regolazione ha subito trasformazioni importanti, privilegiando le
misure più caratterizzate da contenuti market friendly e più idonee a promuovere
liberalizzazioni, concorrenza, competitività.
Il presente scritto intende analizzare i recenti andamenti della regolazione pubblica
dell’economia; evidenziare i principali interventi normativi in Italia in alcune materie di
cruciale importanza; verificare il livello di adeguamento della nostra regolazione alle
norme e alle raccomandazioni provenienti dai regolatori ultranazionali; valutare
l’idoneità della regolazione economica italiana a promuovere la competitività del Paese
e delle sue imprese; individuare le disfunzioni e i rimedi necessari; mettere in luce il
ruolo che possono giocare le nostre amministrazioni pubbliche.
2. Le principali trasformazioni della regolazione pubblica dei mercati e le
riforme italiane
La globalizzazione economica ha portato con sé una globalizzazione giuridica1.
Si sono ampliate le funzioni svolte da organi internazionali che operano da tempo
nel campo dell'economia2. È così, fra l’altro, per l’International Monetary Fund (IMF) e
per la World Bank (WB)3. È stata istituita, nel 1994, la World Trade Organization, che
svolge un ruolo di regolazione importante in materia di commercio internazionale: è
questo il campo in cui è più compiuta e incisiva la regolazione ultranazionale, sul piano
normativo (tramite gli accordi WTO di libero scambio), politico-amministrativo
(mediante i rounds di negoziazione e i controlli sulle regolazioni “domestiche”), e
1
Si vedano, in proposito, GROSSI P., Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro italiano, 2002, V,
151; FERRARESE M.R., Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2000; EAD., Diritto
sconfinato, Bari-Roma, Laterza, 2006.
2
Si vedano: CASSESE S., Lo spazio giuridico globale, Bari-Roma, Laterza, 2003; ID., Oltre lo Stato, BariRoma, Laterza, 2006; KINGSBURY B., KRISCH N., STEWART R.B., The Emergence of Global
Administrative Law, 68 Law and Contemporary Problems 15 (Summer/Autumn 2005); D’ALBERTI M., La
régulation économique en mutation, in Revue du droit public, n. 1/2006, 231.
3
Sulla struttura e le funzioni dell’IMF: GUITIÀN M., The Unique Nature of the Responsibilities of the
International Monetary Fund, IMF, Pamphlet Series, n. 46, 1992; Financial Organization and
Operations of the IMF, IMF, Pamphlet Series, no. 45, 1998; SCHLITZER G., Il Fondo monetario
internazionale, Bologna, Il Mulino, 2004. Sulla WB: …
1
giurisdizionale (grazie alla risoluzione delle controversie relative all’applicazione degli
accordi)4.
Esistono numerose “reti” transnazionali formate da regolatori nazionali: ad esempio,
l’International Competition Network (ICN), composto da autorità nazionali di
concorrenza, o vari Fora o Networks di autorità competenti in materia energetica5.
Vi sono, infine, organismi regolatori “ibridi”, di natura mista, pubblica e privata,
come il Financial Stability Forum (FSF), che si occupa di regolazione dei mercati
finanziari6.
I regolatori internazionali, i Networks e gli organismi “ibridi” influiscono con
efficacia diversa sulla regolazione nazionale: talora in modo vincolante, come accade
per il WTO; talaltra con misure di soft law (quali raccomandazioni o standard), che sono
però idonee a produrre un hard impact, come avviene per i mercati finanziari; in altri
casi ancora, con mere forme di assistenza tecnica o di redazione di criteri meramente
indicativi, come è per le attività svolte dall’ICN.
Il ruolo svolto da simili regolatori ha aperto un ampio dibattito, che ha sottolineato
soprattutto i problemi della loro legittimazione, dell’accountability, della trasparenza
dei procedimenti utilizzati per giungere alle decisioni. Ne sono emersi limiti gravi legati
ad una scarsa “democraticità” di tali organismi, ad un diverso peso assicurato ai Paesi
sviluppati e a quelli in via di sviluppo, alla preminenza degli interessi della business
community sulle organizzazioni portatrici di interessi collettivi e diffusi e di valori non
mercantili7.
Si è, d’altro lato, progressivamente accresciuta l'influenza dell'europeizzazione.
Prima la Corte di giustizia di Lussemburgo, poi le Corti costituzionali degli Stati
membri, hanno sancito il primato del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali8.
La regolazione economica comunitaria dell'ultimo ventennio riveste grande
importanza9.
In particolare, si sono avute ampie liberalizzazioni nei settori dei servizi, privati e
pubblici: dai servizi finanziari alle telecomunicazioni, dal trasporto aereo all’energia
elettrica, dai servizi postali al gas; di recente è stata varata la direttiva generale sui
servizi nel mercato interno che completa il quadro delle liberalizzazioni. Se ne parlerà
più diffusamente nel paragrafo dedicato alle liberalizzazioni.
Alcune delle normative comunitarie incidono fortemente sull'organizzazione e sul
funzionamento delle amministrazioni nazionali: è così, ad esempio, per il settore delle
comunicazioni elettroniche, in cui le direttive comunitarie del 2002 dettano norme
sull’indipendenza dei regolatori nazionali e sulle procedure partecipative e di
consultazione degli interessati che essi devono rispettare nei loro processi decisionali.
Inoltre, il diritto comunitario ha progressivamente potenziato la politica, il principio
e le regole di libera concorrenza. La disciplina della concorrenza ormai, come si vedrà
più ampiamente in seguito, non regola soltanto i comportamenti delle imprese, ma
4
Sulla WTO: PICONE P., LIGUSTRO A., Diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, Padova,
CEDAM, 2002, e ivi ampia bibliografia internazionale.
5
Sulla struttura e sulle funzioni dell’ICN, varato nell’ottobre 2001, informazioni utili nel sito
www.internationalcompetitionnetwork.org. Sui Fora e sui Networks di autorità regolatrici in materia
energetica si veda D’ALBERTI M., Regulatory Networks, in Atti del World Forum on Energy regulation,
Roma, 2003.
6
Sulla struttura e le funzioni del FSF, istituito nell’aprile 1999, informazioni nel sito www.fsforum.org.
7
Si veda, in tal senso, STIGLITZ J.E., Globalization and Its Discontents, London, Penguin, 2002.
8
Si veda sul punto TESAURO G., Diritto comunitario, Padova, CEDAM, 2003.
9
Si veda in proposito CASSESE S., La nuova costituzione economica, Bari-Roma, Laterza, 2003.
2
costituisce un parametro di riferimento che la regolazione pubblica dei vari settori
economici deve tenere in considerazione e rispettare.
Infine, va sottolineato che diversi ordinamenti nazionali hanno introdotto riforme
significative della regolazione economica, sotto la spinta proveniente dai regolatori
sopranazionali. Un ruolo propulsivo di rilievo è stato svolto dall'Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), con i suoi programmi di Regulatory
Reform, volti a individuare revisioni delle regolazioni degli Stati aderenti idonee a
promuovere la concorrenza, a semplificare norme e procedure che possano ostacolare
eccessivamente le attività imprenditoriali, a rimuovere restrizioni all’accesso di
operatori economici in diversi mercati e all’esercizio dell’attività. Gli Stati hanno
mostrato livelli elevati di adeguamento alle linee di fondo dei programmi OCSE, tramite
peer reviews delle diverse legislazioni e regolazioni economiche nazionali. Si è
rafforzato, in tal modo, un dialogo "orizzontale" fra ordinamenti nazionali diversi per
l’individuazione di linee comuni di riforma.
In tale contesto complessivo, si deve ora esaminare l’evoluzione della regolazione
pubblica dell’economia in Italia negli ultimi anni, per evidenziare le innovazioni più
significative, le carenze e le disfunzioni, le correzioni da mettere in campo. Ci si
soffermerà su alcune materie essenziali della regolazione economica: liberalizzazioni,
privatizzazioni, semplificazioni, de-regolazioni e ri-regolazioni, autorità e indipendenti,
concorrenza.
3. Le riforme di liberalizzazione
Le politiche e le regole di liberalizzazione hanno avuto diffusione planetaria. Per
liberalizzazione qui s’intende la maggiore apertura dei mercati a più operatori e il free
trade, il libero scambio.
Sul piano internazionale, è da considerare soprattutto la disciplina del commercio
internazionale, che si è rafforzata ed ampliata a seguito dell’istituzione della WTO nel
1994. Il libero scambio riguarda oggi sia le merci che i servizi, in base alle regole
contenute rispettivamente nel General Agreement for Tariffs and Trade (GATT) e nel
General Agreement for Trade in Services (GATS). Si garantisce la libera circolazione di
beni e servizi a livello mondiale. A tal fine, si prevede la riduzione dei vincoli che nei
vari Stati membri della WTO (149) limitano il free trade. Il GATS, in particolare, ha un
ambito di applicazione molto esteso. Vi rientrano, di regola, tutti i tipi di servizi: quelli
privati, le public utilities di tipo imprenditoriale, e i servizi d’interesse generale. L’intera
gamma dei servizi, dunque, è sottoposta alle regole del free trade e della
liberalizzazione10.
Le liberalizzazioni hanno avuto una progressiva estensione nel sistema comunitario
europeo11. Basti pensare al settore dei servizi, privati e pubblici. Sono stati rimossi o
attenuati gli ostacoli che incidevano sull’accesso alle attività di fornitura dei servizi e
sul loro esercizio. Ad esempio, la liberalizzazione dei servizi bancari e finanziari ha
consentito - fra l’altro - una maggiore apertura dei relativi mercati tramite la riduzione
10
Sul GATS si vedano: HARTRIDGE D., Whither the Negotiations on Services?, in Le frontiere della
globalizzazione: negoziati commerciali e riforma dell’OMC, a cura di IAPADRE L. – PAGANI F., Bologna,
Il Mulino, 2001, p. 31; GEORGE S., Fermiamo il WTO, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 46 ss.; KRAJEWSKY
M., National Regulation and Trade Liberalization in Services, The Hague-London-New York, Kluwer
Law International, 2003.
11
Si veda in proposito CASSESE S., op. ult.cit. Per il settore dei servizi di pubblica utilità: NAPOLITANO G.,
Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, Il Mulino, 2005.
3
del potere discrezionale delle autorità pubbliche di vigilanza a rilasciare agli operatori
economici le autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività di impresa bancaria o
finanziaria.
Talora la liberalizzazione ha provocato l’erosione di rilevanti monopoli, come è
accaduto in diversi settori di servizi di pubblica utilità (le cosiddette public utilities).
È stata particolarmente cospicua la liberalizzazione delle telecomunicazioni, che ha
progressivamente sottratto i segmenti della filiera, i prodotti e i servizi alla precedente
situazione di monopolio e ha imposto agli Stati membri dell’Unione europea di
impiegare autorità di regolazione largamente indipendenti dal settore imprenditoriale e,
in certa misura, dai governi, e di utilizzare procedure regolatorie basate su di una ampia
consultazione con le imprese del settore12.
Il trasporto aereo è stato oggetto di un importante processo di liberalizzazione
comunitaria, che si è avviato negli anni Ottanta del XX secolo. Accanto alle
«compagnie di bandiera», autorizzate ad operare in condizioni di monopolio, si è
previsto che gli Stati membri siano tenuti ad autorizzare altre compagnie purché dotate
di determinati requisiti tecnici ed economici. Si è introdotta, inoltre, una progressiva
liberalizzazione della disciplina delle tariffe, che ha rimosso il precedente regime dei
prezzi amministrati dalle autorità pubbliche, con il solo limite del potere statale di
ritirare tariffe troppo alte o troppo basse e con l’eccezione dei cosiddetti obblighi di
servizio pubblico, che garantiscono a tutti il servizio aereo anche su rotte poco
remunerative a tariffe medie. È stato gradualmente esteso il diritto di cabotaggio fra i
diversi Stati della Comunità, cioè il diritto di imbarcare e di sbarcare passeggeri - e poi
anche merci - nel territorio di qualsiasi Stato all’interno della Comunità stessa13.
Nel settore ferroviario, le direttive comunitarie hanno previsto la liberalizzazione dei
servizi di trasporto - in particolare, dei servizi merci e dei servizi passeggeri
internazionali - lasciando riservate agli Stati le infrastrutture e le reti. Le direttive hanno
disposto che le imprese ferroviarie, nell’ambito degli orientamenti di politica generale
degli Stati membri, sono libere di disciplinare le modalità di fornitura dei servizi e di
stabilirne la tariffazione, fatte salve le attività gravate da obblighi di servizi pubblico14.
Sono state relativamente caute le direttive in materia di energia elettrica e di gas:
esse hanno previsto una liberalizzazione graduale della domanda e hanno consentito
maggiori aperture per la costruzione di nuovi impianti di produzione e per l’accesso alle
infrastrutture. Ancor più cauta è stata la liberalizzazione del settore postale, che riguarda
soltanto alcuni tipi di prodotti e di servizi.
Negli ultimi tempi l’Unione europea ha percorso la via di una disciplina generale
della liberalizzazione dei servizi, privati e pubblici, diretta a rimuovere o ad attenuare i
numerosi ostacoli che negli Stati membri continuano a incidere sull’avvio delle
rispettive attività e sul loro esercizio: in particolare, le autorizzazioni, le concessioni, le
approvazioni e altri tipi di misure burocratiche. La relazione della Commissione europea
sullo stato dei servizi nel mercato interno (del 2002) ha evidenziato l’esteso insieme di
questi ostacoli, normativi, burocratici e d’altra natura, sottolineando la gravità di tale
situazione in un contesto economico nel quale i servizi contano sempre di più in
12
Sulla liberalizzazione delle telecomunicazioni si veda PEREZ R., Telecomunicazioni e concorrenza,
Milano, Giuffrè, 2002.
13
Di particolare interesse Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), Indagine
conoscitiva Dinamiche tariffarie del trasporto aereo passeggeri, IC24, 2005.
14
Sul settore ferroviario, e più in generale sui trasporti, si veda RANGONE N., Trasporto, in corso di
pubblicazione in Enciclopedia giuridica, vol. XV, 2007.
4
rapporto al prodotto nazionale lordo degli Stati membri (in media attorno al 70%), e ha
evidenziato che gli ostacoli gravanti su un determinato servizio provocano un negativo
“effetto a catena” su tutti gli altri servizi e sulle attività industriali a causa dello stretto
legame che esiste fra servizi e attività manifatturiere.
Su questa base, la Commissione ha presentato una prima proposta di direttiva
comunitaria - nota come proposta Bolkestein - che è stata al centro di numerose critiche,
essendo stata da molti considerata troppo liberalizzatrice, eccessivamente ossequiosa nei
confronti della logica mercantile a danno dei valori sociali.
La direttiva è stata alla fine varata15, con molte modifiche rispetto alla proposta
iniziale: non si applica ai servizi non economici d’interesse generale, come l’istruzione
pubblica o la previdenza obbligatoria. Per i servizi d’interesse economico generale, di
tipo imprenditoriale - in sostanza le public utilities, come le telecomunicazioni o
l’energia - prevalgono le discipline di settore già dettate dalla normativa comunitaria. I
servizi privati costituiscono l’oggetto principale della direttiva: vi rientrano, fra gli altri,
i servizi di consulenza per le imprese, i servizi di certificazione, di intermediazione
mobiliare, d’ingegneria, la distribuzione, i servizi del turismo.
Nonostante i limiti, la direttiva prevede importanti regole e criteri per l’eliminazione
e la riduzione delle barriere incidenti sull'accesso ai servizi e sul loro esercizio. Alcune
restrizioni nazionali sono vietate, come quelle discriminatorie. Altre vanno sottoposte a
valutazione da parte degli Stati membri: si tratta delle misure non discriminatorie, ma
con effetti di limitazione della libera circolazione dei servizi, come le predeterminazioni
di tariffe o di prezzi minimi e massimi, o le limitazioni del numero degli operatori
ammessi in un mercato. L’opera di soppressione e di attenuazione delle restrizioni
nazionali al libero scambio dei servizi è svolta sotto il controllo di peer reviews che
coinvolgono la Commissione europea e gli Stati membri.
Come si è mossa l’Italia nel panorama europeo e mondiale delle liberalizzazioni?
Il legislatore italiano ha assicurato un buon livello di attuazione delle normative
comunitarie di liberalizzazione dei servizi. In alcuni settori è andato anche oltre la soglia
delle attività liberalizzate dall’Unione europea. Ad esempio, la legge italiana ha
liberalizzato tutti i tipi di servizi di trasporto ferroviario, merci e passeggeri, nazionali e
internazionali, mentre le direttive comunitarie hanno previsto un ambito più limitato di
liberalizzazione.
Nell’ambito delle public utilities, le attività economiche non liberalizzate, come la
gestione delle infrastrutture ferroviarie o la distribuzione dell’energia elettrica e del gas
agli utenti finali, restano servizi pubblici. La conseguenza pratica è che tali attività sono
soggette a regolazione più intensa da parte dei pubblici poteri, spesso contenuta in
contratti di servizio ed estesa anche alla determinazione di prezzi e tariffe.
Viceversa, le attività economiche liberalizzate, come il trasporto ferroviario o la
produzione di energia, divengono - in via di principio - attività libere d’impresa. La
conseguenza è che la regolazione è usualmente più limitata, ma restano comunque fermi
i controlli sulla sicurezza, sulla correttezza, sulla trasparenza e le verifiche antitrust. E
rimane la possibilità che le attività liberalizzate siano eccezionalmente gravate da
obblighi di servizio pubblico - cioè quegli obblighi che l’impresa non assumerebbe se
considerasse il proprio interesse commerciale - ovvero da obblighi di servizio universale
- aventi ad oggetto prestazioni di base a tutti gli utenti, nell’intero territorio nazionale, a
15
È la direttiva 2006/123/CE.
5
prezzi contenuti. Obblighi di servizio pubblico sono previsti nel settore ferroviario;
obblighi di servizio universale, ad esempio, nel settore delle telecomunicazioni.
Il buon livello di attuazione nazionale delle normative comunitarie di
liberalizzazione non significa che si sia realizzata una concorrenza effettiva16. La
liberalizzazione - come apertura dei mercati a più operatori e come free trade - è
presupposto necessario della concorrenza, ma non sufficiente. In molti dei settori
liberalizzati il livello di concorrenza è ancora insoddisfacente nel nostro Paese. La
telefonia fissa continua a risentire pesantemente dell’ex-monopolista; nell’energia i
«campioni nazionali» hanno un ruolo ancora determinante; i trasporti ferroviari si
aprono alla concorrenza solo nel settore merci; nei trasporti aerei l’incumbent continua a
godere di posizioni di assoluto vantaggio; nei servizi bancari e assicurativi si registra fra l’altro - scarsissima mobilità dei consumatori fra operatori diversi.
Di recente il legislatore italiano ha fatto un passo avanti. Il cosiddetto “decreto
Bersani” (decreto legge n.223/2006, convertito in legge n. 248/2006) è finalizzato a
rafforzare la liberalizzazione ed anche la concorrenza in alcuni settori: dalle professioni
alla distribuzione commerciale, dai prodotti agro-alimentari al servizio di taxi, dai
contratti bancari e assicurativi alle competenze dell’Autorità garante della concorrenza e
del mercato («AGCM») e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
(«AGCOM»).
Il decreto tende ad attenuare o a rimuovere limiti che incidono sull’accesso ai
mercati, sull’attività delle imprese, sulla garanzia dell’informazione ai consumatori,
sulla qualità dei prodotti, sui poteri delle autorità pubbliche.
Ad esempio, in materia di libere professioni il decreto abroga espressamente le
disposizioni restrittive che stabilivano, fra l’altro, l’obbligatorietà delle tariffe fisse o
minime, il divieto di pubblicità, il divieto di fornire servizi professionali di tipo
interdisciplinare tramite società di professionisti.
In materia di distribuzione commerciale, il decreto abroga esplicitamente le
disposizioni legislative e regolamentari statali che prevedevano limiti relativi
all’accesso alle attività commerciali e al loro esercizio, come il rispetto di distanze
minime obbligatorie fra esercizi della stessa tipologia, o l’individuazione di specifiche
tabelle merceologiche. Quanto alle regolazioni regionali e locali, è previsto che esse si
adeguino alle nuove regole.
In materia di panifici, il decreto semplifica le procedure per l’apertura: si passa
dalla licenza e dall’autorizzazione alla mera dichiarazione di inizio dell’attività.
Quanto al servizio di taxi, il decreto prevede la facoltà dei Comuni di disporre - fra
l’altro - turnazioni integrative, di rilasciare nuove licenze, o di conferire autorizzazioni
temporanee per esigenze straordinarie.
Per quel che riguarda i contratti bancari, il decreto riduce il potere negoziale delle
banche e favorisce una maggiore mobilità dei consumatori fra banche diverse.
Infine, vengono ampliati i poteri dell’AGCM, che può adottare misure cautelari, la
cui inosservanza da parte delle imprese è sanzionata; può accettare impegni delle
imprese che siano idonei a rimuovere i profili anticoncorrenziali, chiudendo il
procedimento senza accertare l’infrazione; può utilizzare la cosiddetta leniency, cioè la
non applicazione o la riduzione della sanzione pecuniaria in caso di qualificata
collaborazione delle imprese nell’accertamento delle infrazioni.
16
Si vedano in proposito gli scritti contenuti in TORCHIA L. – BASSANINI F., a cura di, Sviluppo o declino.
Il ruolo delle istituzioni per la competitività del Paese, Firenze, Passigli, 2005.
6
Sono misure utili a rimuovere distorsioni anticoncorrenziali e a tutelare
maggiormente i consumatori e gli utenti di servizi. Il quadro delle materie è piuttosto
ampio, ma va integrato.
Il governo ha ora varato provvedimenti (il decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, e un
disegno di legge) per rafforzare la tutela dei consumatori e ampliare l’ambito delle
liberalizzazioni. Il decreto legge riguarda, fra l’altro, materie quali i servizi offerti dagli
operatori telefonici; l’informazione sui prezzi dei carburanti; la trasparenza delle tariffe
aeree; la miglior evidenziazione delle date di scadenza dei prodotti alimentari;
l’estensione del divieto di esclusiva nella distribuzione dei prodotti assicurativi; la
semplificazione e la revisione della disciplina dei contratti di mutuo; l’avvio delle
attività d’impresa; la liberalizzazione di alcuni servizi, come quelli di acconciatore, di
estetista, di pulizia, di facchinaggio, di disinfezione, di guida e di accompagnatore
turistico, di autoscuola; l’introduzione di misure per il mercato del gas naturale in attesa
dell’avvio di una “borsa del gas”; la riapertura delle gare nel settore dell’alta velocità
ferroviaria; modifiche relative all’istruzione tecnico-professionale; misure sulla
rottamazione. Di particolare rilievo la previsione sull’avvio delle attività d’impresa,
secondo cui la presentazione di una “comunicazione unica” all’ufficio del registro delle
imprese è sufficiente ad assolvere tutti gli adempimenti amministrativi previsti per
l’inizio dell’attività (art. 9).
Restano, tuttavia, molte altre materie che necessitano di interventi di
liberalizzazione: fra le tante, la gestione delle autostrade e degli aeroporti. E vi sono
ulteriori aspetti delle materie finora disciplinate che richiederebbero di essere affrontati:
ad esempio, nel campo delle professioni, i meccanismi di accesso alle attività
professionali e le riserve di attività necessitano di ulteriori misure di riforma; in materia
di banche e di assicurazioni sono indispensabili ulteriori rafforzamenti della trasparenza
contrattuale e una nuova disciplina delle carte di credito.
Va poi affrontato il problema - particolarmente delicato - del tipo degli strumenti di
liberalizzazione. Alcune delle misure previste dal decreto legge n. 223/2006 sono
efficaci, altre appaiono insufficienti o deboli. Le maggiori carenze si riscontrano in quei
casi in cui il decreto si limita a rimuovere restrizioni alla concorrenza derivanti da
norme statali, ma non interviene sulla normativa regionale, come avviene in materia di
distribuzione commerciale, ove si prevede genericamente l’adeguamento delle
regolazioni regionali e locali alle nuove norme liberalizzatrici; o nei casi in cui il
decreto lascia agli enti locali la facoltà di adottare una serie di decisioni volte ad
eliminare ostacoli alla concorrenza, come accade per il servizio di taxi. La legislazione
regionale e la regolazione locale assumono un’importanza notevole nella disciplina di
un numero sempre crescente di attività economiche e non di rado seguono vie di
particolarismo e di protezionismo che incidono negativamente sui progetti di
liberalizzazione, sulla tutela della concorrenza e sulle garanzie dei consumatori.
L’intervento del legislatore statale in nome della «tutela della concorrenza», affidata
alla sua esclusiva cura, potrebbe e dovrebbe essere più deciso.
In definitiva, sono da apprezzare i passi avanti percorsi dal parlamento e dal governo
in questi ultimi mesi. Al tempo stesso, è necessario che alla logica “incrementale” - che
ai fini della liberalizzazione aggiunge progressivamente settori a settori - si affianchi
una logica più sistematica. Ed è indispensabile che si affronti in modo organico la
revisione delle regolazioni non solo statali, ma anche regionali e locali.
7
4. Le riforme di privatizzazione
In materia di liberalizzazioni, come si è visto, l’ordinamento comunitario e i
regolatori internazionali hanno dettato regole vincolanti per gli Stati o criteri fortemente
incidenti sulla loro autonomia decisionale. In materia di privatizzazioni le regolazioni
ultranazionali non hanno dettato norme vincolanti per gli ordinamenti nazionali, ma la
loro influenza - sia pure indirettamente - non ha mancato di farsi sentire in alcune fasi.
Taluni organismi internazionali hanno considerato la privatizzazione - totale o
parziale - di imprese pubbliche come obiettivo essenziale per la crescita economica:
basti pensare all’attività svolta, soprattutto negli ultimi quindici o venti anni,
dall’International Monetary Fund (IMF) e dalla World Bank (WB) per sostenere le
politiche di privatizzazione. Vi sono, secondo questi organismi, ragioni consistenti a
favore della privatizzazione: essa è idonea a realizzare incrementi di produttività delle
imprese già in mano statale o pubblica; maggiori aperture ai capitali d’investimento;
miglioramenti nella gestione dei servizi; sviluppo dei Paesi meno avanzati o di quelli in
transizione dai sistemi socialisti all’economia di mercato.
La privatizzazione di imprese statali e pubbliche è divenuta talora una delle
condizioni poste dall’IMF per l’erogazione di prestiti a Paesi in situazioni di crisi
finanziaria grave; ovvero, è stata presa in considerazione nell’azione di sorveglianza
dell’IMF e della WB sulle politiche economiche dei Paesi membri. In tal modo, essa ha
finito per assumere il valore di standard condizionante nei confronti degli ordinamenti
nazionali.
Gli indicatori quantitativi rivelano che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, le
operazioni di privatizzazione di imprese pubbliche sono cresciute sensibilmente negli
anni Novanta del Novecento, fino a raggiungere un picco nel 1997. Sono poi
sensibilmente diminuite alla fine dello stesso decennio. Ora stanno salendo nuovamente.
I settori più interessati sono le telecomunicazioni e le banche.
La public ownership delle imprese, nonostante ciò, resta una realtà ancora diffusa in
molti Paesi, soprattutto in alcuni settori economici, come quelli energetici.
La WB sottolinea la necessità di migliorare le politiche di privatizzazione e le
istituzioni che se ne occupano; evidenzia che le privatizzazioni hanno successo in settori
e mercati aperti alla concorrenza; ammonisce che in mercati non concorrenziali la
privatizzazione può dare risultati positivi soltanto se correlata con una “proper market
structure” e con “regulatory frameworks”, cioè con un sostegno istituzionale
all’apertura progressiva di quei mercati a nuovi operatori e con una regolazione
pubblica che favorisca e promuova la concorrenza libera. È, dunque, indispensabile
adottare approcci più mirati, che inquadrino le scelte di privatizzazione all’interno di
analisi approfondite sull’effettiva situazione di mercato in cui operano le imprese
pubbliche che s’intende privatizzare17.
Se dal piano internazionale si passa al diritto comunitario, la situazione è diversa.
Come è noto, il Trattato CE è indifferente nei confronti della mano pubblica o privata
delle imprese e “lascia impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati
17
Si vedano in proposito: HEMMING R. – MANSOOR A.M., Privatization and Public Enterprises, IMF
Working Paper, WP/87/9, 1987; HAVRYLYSHYN O. – MCGETTIGAN D., Privatization in Transition
Countries: Lessons of the First Decade, IMF Economic Issues, no. 18, 1999; FELTENSTEIN A. – NSOULI
S.M., “Big Bang” versus Gradualism in Economic Reforms: An Intertemporal Analysis with an
Application to China, IMF Staff Papers, vol. 50, no. 3, 2003; VON WEIZSÄCKER E.U. – YOUNG O.R. –
FINGER M., Limits to Privatization, London. Earthscan, 2005; MEGGINSON W.L., The Financial
Economics of Privatization, Oxford, University Press, 2005.
8
membri” (art. 295). Quel che conta è che le imprese - private, o pubbliche, o miste rispettino i principi e le regole comunitarie in materia di libero scambio e libera
concorrenza. In realtà, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha messo in luce che,
fermo restando l’art. 295 del Trattato, esiste pur sempre una differenza sensibile fra
mano privata e mano pubblica delle imprese. Un’impresa pubblica è più soggetta
all’indirizzo politico dello Stato. L’impresa privata e la privatizzazione, dunque, vanno
considerati positivamente al fine di realizzare livelli più elevati di autonomia
imprenditoriale. Andranno, poi, adeguatamente bilanciati gli imperativi di libertà
d’impresa, di non discriminazione, di libera circolazione, di concorrenza18.
In un simile contesto, l’Italia ha intrapreso con maggiore consistenza le politiche di
privatizzazione a partire dagli anni Novanta del secolo XX e in quel periodo ha adottato
le prime regole legislative organiche in materia. Due sono stati gli strumenti utilizzati:
la privatizzazione formale, che ha consentito la trasformazione di enti pubblici in
società per azioni a capitale pubblico; e la privatizzazione sostanziale, che ha
comportato l’acquisizione del controllo da parte della mano privata19.
I primi provvedimenti legislativi, del 1990, hanno riguardato il settore bancario,
avviando il processo di sostituzione degli enti creditizi pubblici con le società per
azioni.
Successivamente, nel 1992 e nel 1994, sono state varate le norme di carattere
generale sulla privatizzazione di imprese pubbliche. Si è giunti a disporre direttamente
per legge la trasformazione in società per azioni dell’IRI, dell’ENI, dell’INA e
dell’ENEL. Con apposita procedura amministrativa si sono avute altre trasformazioni,
ad esempio quella relativa all’Ente Ferrovie dello Stato e all’Ente Poste italiane.
Le norme sulle dismissioni di azioni dalla mano pubblica alla mano privata - cioè
sulle privatizzazioni sostanziali - sono state dettate nel 1994: la legge ha previsto che le
alienazioni di azioni avvengano tramite offerta pubblica di vendita o trattativa diretta, o
mediante impiego di entrambe le procedure. Norme speciali hanno riguardato settori
particolari, come quello elettrico, in cui le cessioni degli impianti ENEL hanno seguito
procedure apposite.
Va qui ricordata infine, fra le altre discipline di privatizzazione, quella riguardante le
imprese pubbliche locali, che è stata introdotta nel 1997, con le riforme Bassanini. Si è
prevista la facoltà di Comuni, Province e altri enti locali di trasformare con atto
unilaterale le aziende speciali in società per azioni. Quanto alla privatizzazione
sostanziale delle imprese locali, si applicano le norme generali del 1994, sopra
ricordate, per cui la cessione azionaria può avvenire con offerta pubblica, trattativa
diretta, o con una combinazione di entrambe le procedure.
Quali sono gli esiti concreti di queste riforme di privatizzazione?
Innanzitutto, la società per azioni diviene il modello tipico dell’impresa con
partecipazione pubblica, mentre l’ente pubblico economico praticamente scompare. Ciò
comporta un avvicinamento più consistente delle imprese partecipate o controllate da
pubblici poteri alle regole dell’imprenditoria privata.
Si tratta, tuttavia, di società per azioni rette ancora da un diritto speciale. Come ha
deciso la Corte costituzionale nel 1993, finché la prevalenza del capitale resta in mano
18
Fra le pronunce della Corte, si veda Corte di giustizia CE, sentenza 6 luglio 1982, Causa 188-190/80.
Una chiara ricostruzione in FRENI E., Privatizzazioni, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da
CASSESE S., Diritto amministrativo speciale, tomo IV, p. 3947.
19
9
pubblica, vale il controllo della Corte dei conti. Si applica, altresì, la giurisdizione della
Corte dei conti per la responsabilità da danno erariale20.
Per le società operanti nei settori di pubblica utilità, inoltre, la legge ha stabilito che
gli statuti possano prevedere la golden share, in base alla quale l’azionista pubblico (il
Ministro dell’economia e delle finanze per le imprese a partecipazione statale), tenuto
conto degli obiettivi nazionali di politica economica ed industriale, può esercitare poteri
speciali, come il gradimento a talune operazioni di acquisizione di partecipazioni
rilevanti, o il veto all’adozione di alcune delibere societarie21. A seguito di una sentenza
della Corte di giustizia CE, che nel 2000 ha condannato la Repubblica italiana ritenendo
che la disciplina della golden share violasse le norme del Trattato sul diritto di
stabilimento e sulla libera circolazione dei servizi e dei capitali, la normativa nazionale
è stata modificata e i poteri speciali sono stati limitati nelle finalità e nei criteri
d’esercizio22.
In definitiva, permangono differenze significative fra le società oggetto di
privatizzazione e le ordinarie società per azioni. Sarebbe necessario accorciare
maggiormente le distanze, per diminuire al massimo grado possibile i vincoli
pubblicistici che incidono sull’operatività delle imprese pubbliche privatizzate.
Occorrerebbe anche, in base alle indicazioni dei regolatori internazionali, potenziare le
politiche di privatizzazione e le tecniche di valutazione poste in essere dalle strutture
istituzionali chiamate a programmare o prospettare le scelte di privatizzazione.
5. Semplificazioni, de-regolazioni e qualità della regolazione
Semplificazioni e de-regolazioni presentano aspetti comuni e possono essere
correlate alle liberalizzazioni, ma vanno distinte le une dalle altre.
Le semplificazioni possono avere ad oggetto norme o procedure23. Le
semplificazioni di norme dànno luogo, in genere, alla redazione di testi unici o di codici.
Si tratta, in sostanza, di razionalizzazioni normative che coordinano norme speciali
disseminate: semplificano, quindi, il ruolo dell’interprete e dell’applicatore
(amministratori e giudici) e, ancor prima, rendono più “conoscibile” la normativa agli
operatori. Non vi sono, su questo piano, nessi con le de-regolazioni e le liberalizzazioni.
Le semplificazioni di procedure si concretano soprattutto in snellimenti o “tagli” di
procedimenti amministrativi. Se tali snellimenti riguardano, ad esempio, l’accesso delle
imprese a determinati mercati, vi è un nesso stretto con le liberalizzazioni e con le deregolazioni: così, l’eliminazione della procedura di autorizzazione per l’apertura dei
panifici - di cui s’è detto prima -, e la sua sostituzione con una mera denuncia di avvio
dell’attività d’impresa, è uno strumento di semplificazione in funzione della
liberalizzazione, intesa come ampliamento delle possibilità di accesso a un mercato; al
tempo stesso, vi è una de-regolazione, nel senso che viene meno il controllo preventivo
del regolatore che conduceva al provvedimento di autorizzazione.
20
Così Corte cost., n. 466/1993.
Si veda LOMBARDO G., Golden Share, in Enciclopedia giuridica, vol. XV, 1998.
22
Corte di giustizia CE, sentenza 23 maggio 2000, Commissione/Repubblica italiana, causa C-58/99, in
Racc.,2000, p. I-03811.
23
Si veda La semplificazione. Politiche europee e piano d’azione nazionale, a cura di BASILICA F.,
Rimini, Maggioli, 2006.
21
10
Le de-regolazioni24 possono concretarsi nell’abrogazione di norme che prevedono
poteri di regolazione di determinati mercati o imprese. Vale il precedente esempio della
soppressione dell’autorizzazione all’apertura di un’attività d’impresa, soppressione che
comporta l’abrogazione delle norme che prevedevano il regime autorizzatorio. Possono
darsi, altresì, casi in cui il legislatore decide di eliminare norme che prevedono
organismi corporativi chiamati a esercitare vigilanza in certi settori, come è accaduto
recentemente per l’intermediazione immobiliare: in tali ipotesi si va anche al di là delle
semplificazioni normative.
Le de-regolazioni, inoltre, possono prescindere dall’abrogazione di norme e
riguardare casi in cui è un’amministrazione regolatrice che decide, in base alle norme di
legge, di non regolare più un determinato mercato: è quel che avviene nel settore delle
comunicazioni elettroniche, nel quale l’Autorità indipendente (l’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni: AGCOM) può rimuovere obblighi regolatori a carico delle
imprese se ritiene che in un certo mercato si sia introdotta una concorrenza effettiva: qui
siamo oltre la semplificazione di procedure - perché non cade soltanto una procedura,
ma un insieme regolatorio - e siamo a valle della liberalizzazione, che è presupposta.
Gli ordinamenti sopranazionali dettano norme e criteri a favore di de-regolazioni e
semplificazioni. Sul piano internazionale, gli accordi WTO prevedono, fra l’altro, la
riduzione delle barriere di accesso ai mercati e l'attenuazione delle regolazioni di tariffe
e di prezzi. Sul piano comunitario, molte normative hanno eliminato o ridotto regimi
autorizzatori per l’accesso ad attività d’impresa e prevedono semplificazioni
significative per l’avvio e per l’esercizio di attività economiche: la recente direttiva sui
servizi nel mercato interno - di cui si è detto sopra - ne è buona testimonianza.
Va sottolineato, tuttavia, che sia il livello internazionale sia quello comunitario
sollecitano fortemente la necessità di migliorare la qualità della regolazione
dell’economia25. Semplificazioni, snellimenti, “tagli”, vanno sempre accompagnati e
sorretti da una riforma della regolazione, nel senso della qualità sia della formulazione
delle norme, sia delle amministrazioni chiamate ad attuarle. In questa direzione
muovono i Reports dell’OCSE sulla regulatory reform e i documenti comunitari sulla
better regulation.
Come si è mossa in tutti questi campi l’Italia?
Vi sono state alcune semplificazioni normative, realizzate tramite l’approvazione di
testi unici o di codici: ad esempio, il recente testo unico sulla radiotelevisione, del 2005,
e il codice delle comunicazioni elettroniche, del 2003. Ma vi è ancora un disordine
normativo abnorme, che certamente disincentiva le iniziative di imprese efficienti,
nazionali e straniere26.
Le semplificazioni di procedure amministrative hanno preso corpo con le riforme
Cassese del 1993 e hanno conosciuto ulteriori realizzazioni negli anni fino ad oggi.
Hanno finito col prevalere, però, interventi frammentati, su singoli procedimenti, e la
logica del “taglio” spesso non si è accompagnata a quella della “riforma”:
autocertificazioni e mere denunce di avvio di attività devono coniugarsi con la capacità
24
Si veda MAJONE G. (ed.), Deregulation or Re-regulation? Regulatory Reform in Europe and in
theUnited States, London, Pinter, 1990.
25
Si veda La qualità della regolazione. Politiche europee e piano d’azione nazionale, a cura di BASILICA
F., Rimini, Maggioli, 2006.
26
Il disordine è evidente in Italia, ma riguarda anche altri Paesi: per la situazione francese, ad esempio, si
veda il dossier speciale dedicato al désordre normatif nel n. 1/2006 della Revue du droit public.
11
dell’amministrazione di effettuare tempestivi controlli sulle qualità effettive degli
operatori.
Le strutture amministrative preposte alle semplificazioni hanno conosciuto fasi
alterne: a volte sostanzialmente identificate con le varie amministrazioni, a volte
unificate in un unico ufficio presso la Presidenza del Consiglio. L’unificazione
razionalizza, ma l’individuazione dei problemi e delle prime soluzioni dovrebbe partire
da apposite strutture collocate nelle diverse amministrazioni coinvolte dai processi di
semplificazione, de-regolazione e riforma della regolazione, tramite un dialogo con le
imprese e con gli altri operatori. Insegnamenti utili possono trarsi dall’esperienza
statunitense dei reinventing laboratories introdotti nella prima metà degli anni Novanta
del Novecento dal programma di riforma amministrativa del Vicepresidente Gore27.
Il concreto successo delle riforme recentemente annunciate dal governo italiano, che
prospettano la possibilità di avviare un’impresa in un giorno e l’introduzione di
procedure velocizzate per la realizzazione di impianti produttivi, dipenderà dal supporto
tecnico fornito dalle camere di commercio, dall’effettivo rafforzamento dello sportello
unico, dalla tempestività delle amministrazioni statali, regionali e locali nel
riorganizzare strutture e procedimenti.
6. Autorità indipendenti
Le autorità amministrative indipendenti hanno una lunga tradizione nei Paesi di
common law. Esse sono caratterizzate da una particolare expertise tecnica e da uno
status di indipendenza - o di semi-indipendenza - dal governo e dall’indirizzo politico28.
Le autorità indipendenti hanno continuato a consolidarsi nei sistemi di common law,
ma hanno gradualmente preso corpo anche nei Paesi dell’Europa continentale nonostante le diverse tradizioni, basate sul legame stretto fra governo e amministrazione
pubblica - e negli altri continenti.
Non è mai esistito un “modello” di autorità indipendenti, neppure all’interno di
singoli sistemi istituzionali. Lo sviluppo di tali autorità è sempre stato “circostanziale”,
poiché ha rappresentato una risposta alle esigenze concrete di alta tecnicità e di
indipendenza che in diversi periodi storici sono emerse in differenti settori.
In alcune materie le autorità indipendenti sono state previste in numerosi
ordinamenti: fra queste, l’antitrust, la regolazione dei mercati finanziari, le
telecomunicazioni. Per altre materie le scelte variano da Paese a Paese: ad esempio, i
trasporti o l’energia hanno regolatori indipendenti solo in alcuni ordinamenti.
Vi sono, inoltre, differenze all’interno di ciascun sistema nazionale, ove in genere le
autorità indipendenti sono diverse l’una dall’altra, in termini di composizione degli
organi di vertice, di procedure di preposizione all’ufficio, di presenza o meno di limitati
poteri d’indirizzo in capo all’esecutivo. L’eterogeneità non è di per sé un fatto negativo.
L’eccellente Rapporto del Conseil d’Etat sulle autorità amministrative indipendenti in
Francia (del 2001) la considera un segno di ricchezza morfologica di istituzioni che
27
Si veda in proposito OSBORNE D., GAEBLER T., Reinventing Government: How the Entrepreneurial
Spirit Is Transforming the Public Sector, Reading (MA), Addison-Wesley, 1992.
28
Si vedano: AMATO G., Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Rivista trimestrale di
diritto pubblico, 1997, p. 645; D’ALBERTI M., Autorità indipendenti, in Enciclopedia giuridica, vol. IV
Aggiornamento, 1995; MERUSI F., Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, Il Mulino, 2000;
CLARICH M., Autorità indipendenti, Bologna, Il Mulino, 2005.
12
hanno avuto grande diffusione e notevole incidenza in settori cruciali della vita
economica.
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse degli ordinamenti sopranazionali per le
autorità indipendenti. Basti pensare alle norme comunitarie in materia di sistema
bancario, comunicazioni elettroniche, concorrenza.
Quanto alle banche, il Trattato CE stabilisce che né la Banca centrale europea
(BCE), né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali,
nello svolgimento delle funzioni comunitarie, “possono sollecitare o accettare
istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né
da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi
degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di
influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali
nazionali nell’assolvimento dei loro compiti” (art. 108).
Per quel che riguarda le comunicazioni elettroniche, le direttive comunitarie del
2002 stabiliscono che gli Stati membri devono “garantire l’indipendenza delle autorità
nazionali di regolamentazione”, nei confronti non soltanto degli operatori economici
soggetti a regolazione, ma anche dei governi là dove, come accade in molti Paesi, i
governi mantengono la proprietà o il controllo di imprese del settore (art. 3 della
direttiva 2002/21/CE).
In materia di concorrenza, infine, il regolamento (CE) n. 1/2003, in materia di intese
fra imprese e di abusi di posizione dominante, prevede che le autorità antitrust nazionali
siano “amministrative” o “giudiziarie” e comunque idonee a garantire “un’efficace
conformità” alle disposizioni comunitarie sulla concorrenza. L’accostamento fra
amministrazioni e giudici è eloquente. Se sono amministrazioni, devono avere uno
status paragonabile a quello degli organi giudiziari, dunque indipendente.
Per di più, le autorità nazionali di concorrenza fanno parte, con la Commissione
europea, della European Competition Network, che è chiamata ad assicurare la “stretta
collaborazione” fra tutte le autorità pubbliche preposte alla tutela della concorrenza. Ciò
significa che un’autorità antitrust nazionale, quando conduce un procedimento in un
caso di intesa o di abuso applicando direttamente le norme comunitarie di concorrenza,
lo istruisce e lo decide “in rete”, sotto gli occhi delle altre autorità nazionali e della
Commissione. Non può, dunque, facilmente adottare scelte condizionate da interessi
nazionali o da forme di politicizzazione domestica.
Di recente, anche i regolatori internazionali hanno mostrato interesse per le autorità
indipendenti. A titolo d’esempio, il Groupe d’Action Financière (GAFI) ha predisposto
raccomandazioni in materia di prevenzione e repressione del riciclaggio, prevedendo
uno status di indipendenza per le istituzioni pubbliche nazionali preposte a disciplinare
tale settore29. Gli Stati hanno mostrato un elevato livello di adeguamento alle
raccomandazioni.
In definitiva, la regolazione ultranazionale sostiene le autorità indipendenti e detta in
tal senso norme e criteri che a volte vincolano, a volte condizionano gli ordinamenti
nazionali.
In Italia, le autorità amministrative indipendenti hanno avuto un consistente
sviluppo, soprattutto dagli anni Novanta del secolo XX. La CONSOB, già varata negli
anni Settanta, è stata oggetto di ripetute riforme che ne hanno potenziato il ruolo di
regolatore indipendente dei mercati finanziari. L’Autorità garante della concorrenza e
29
Si vedano, in particolare: GAFI, Recommendation no. 26, Essential criteria no. 26.1, 26.6.
13
del mercato, istituita nel 1990, ha svolto funzioni rilevanti in materia di repressione di
illeciti antitrust, di controllo sulle concentrazioni fra imprese, di segnalazione al
governo e al parlamento di leggi o di altre misure pubbliche discorsive del gioco
concorrenziale. Come si è visto, recenti norme ne hanno rafforzato i poteri di antitrust
enforcement. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni regolano settori cruciali di servizi di utilità pubblica. La legge di riforma
del risparmio, del 2005, ha riconosciuto esplicitamente alla Banca d’Italia
l’indipendenza non soltanto nell’esercizio delle funzioni di politica monetaria nel
contesto europeo - già prevista nel Trattato CE - ma anche nello svolgimento delle
funzioni di vigilanza.
Ne risulta un quadro di rafforzamento della regolazione indipendente, che
certamente costituisce una garanzia di obiettività e di trasparenza, per definizione
gradita agli operatori nazionali e stranieri, e contribuisce a favorire le condizioni per una
maggiore sintonia fra istituzioni pubbliche e crescita economica.
Non sono mancate, tuttavia, controtendenze. Alcuni interventi legislativi hanno
limitato il ruolo delle autorità indipendenti. In materia di energia e di comunicazioni
elettroniche, ad esempio, alcune competenze attribuite alle autorità sono tornate al
governo. I progetti di legge miranti ad introdurre una normativa quadro sulle autorità
indipendenti, oltre all’intento (eccessivo) di varare norme omogenee sulle nomine dei
vertici, sui poteri, sulle procedure e sul personale, finora non sono stati privi di propositi
diretti a ridare spazio all’indirizzo politico.
Si annuncia ora un nuovo disegno di legge sulle autorità indipendenti. Si prospetta
l’istituzione di un’autorità per i trasporti, e questo è un aspetto positivo. Si prefigura il
passaggio dell’Ufficio italiano dei cambi alla Banca d’Italia, con l’istituzione di
un’unità indipendente per le funzioni concernenti la prevenzione del riciclaggio, e ciò è
in armonia con le raccomandazioni internazionali delle quali s’è detto. Dovrebbero
intervenire risistemazioni delle competenze in materia di mercati finanziari, e questo
può apparire ragionevole.
Più discutibili sembrano le annunciate scelte consistenti nel dettare norme comuni
per tutte le autorità indipendenti: la disciplina dei poteri, dei procedimenti,
dell’organizzazione delle autorità è bene che abbia connotazioni differenti a seconda
delle diverse missioni affidate. Molto discutibili sono anche le proposte tendenti a
delineare in via generale un potere d’indirizzo e di alta vigilanza del governo, nonché le
previsioni che attribuiscono poteri innominati e atipici, anche d’urgenza, alle autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità.
7. La disciplina della concorrenza
La disciplina della concorrenza ha avuto un notevole sviluppo nel diritto
comunitario. Le norme del Trattato sulle intese e sugli abusi di posizione dominante e le
norme regolamentari sulle concentrazioni sono rivolte alle imprese, ne condizionano le
condotte e sono state applicate efficacemente dalla Commissione sotto il controllo
successivo del giudice comunitario. L’applicazione è stata ancor più rigorosa che negli
Stati Uniti, patria dell’antitrust, perché nell’Europa comunitaria la concorrenza è anche
strumento essenziale per l’integrazione30.
30
Sulla disciplina comunitaria della concorrenza si vedano, fra l’altro: GERBER D.J., Law and
Competition in Twentieth Century Europe, Oxford, University Press, 2001; VAN BAEL I., BELLIS J.F.,
Competition Law of the European Community, The Hgue, Kluwer Law International, 2005. Sulle
14
Recentemente sono stati approvati provvedimenti di “modernizzazione” del diritto
comunitario della concorrenza, che hanno rafforzato i poteri della Commissione
europea, hanno reso più efficace l’applicazione da parte delle autorità nazionali degli
articoli del Trattato in materia di concorrenza (artt. 81 e 82), hanno dato avvio alla
European Competition Network, una rete composta dalla Commissione e dalle autorità
nazionali di concorrenza31.
Fin qui le norme di concorrenza che riguardano i comportamenti delle imprese. La
concorrenza, però, incide anche sui poteri pubblici e sulla regolazione economica. La
libera concorrenza, nata come una delle politiche della Comunità europea sorretta da
quelle regole, è divenuta gradualmente un principio. Il Trattato CE ha stabilito:
“l’azione degli Stati membri e della Comunità comprende…l’adozione di una politica
economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli
Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta
conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”
(art. 4.1).
Quindi, la legislazione economica della Comunità e degli Stati membri deve
conformarsi al principio di concorrenza. Ciò significa che la concorrenza condiziona
l’intera regolazione pubblica dell’economia. Secondo la Corte di giustizia, le norme
nazionali che siano in contrasto con regole comunitarie di concorrenza aventi efficacia
diretta negli ordinamenti nazionali, come quelle del Trattato che vietano intese e abusi
di posizione dominante, sono disapplicabili da giudici interni e da pubbliche
amministrazioni. Si trattava, in particolare, di norme italiane che imponevano o
favorivano forme di coordinamento fra imprese in contrasto con l’articolo 81, par. 1, del
Trattato. Valgono, comunque, le procedure d’infrazione nei confronti di Stati che non si
adeguino alle regole comunitarie32.
Sul piano internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico (OCSE), nei ricordati Reports sulla riforma della regolazione nei vari Paesi
aderenti, ha sottolineato la necessità di consolidare scelte bipartisan a favore di una procompetitive stance delle misure regolatorie. In altri termini, la finalità di garanzia e di
promozione della concorrenza deve costituire il criterio-guida per tutti i poteri pubblici
che sono chiamati ad adottare misure generali o particolari di regolazione
dell’economia.
L’Italia ha ripreso fedelmente, con la legge n. 287 del 1990, le norme europee di
concorrenza rivolte alle imprese, che vietano intese restrittive, abusi di posizione
dominante e concentrazioni che limitano la concorrenza in modo sostanziale.
L’attuazione delle norme è stata affidata all’Autorità garante della concorrenza e del
differenze fra Europa e Stati Uniti d’America, si veda AMATO G., Antitrust and the Bounds of Power,
Oxford, Hart Publishing, 1997.
31
Sul diritto comunitario della concorrenza dopo la “modernizzazione” si vedano, fra gli altri: TOSATO
G.L., BELLODI L., Il nuovo diritto europeo della concorrenza. Aspetti procedurali, Milano, Giuffrè, 2004;
GERADIN D., Modernisation and Enlargement: Two Major Challenger for EC Competition Law,
Antwerpen, Oxford, Intersentia, 2005; La concorrenza, a cura di FRIGNANI A., PARDOLESI R., in Trattato
di diritto privato dell’Unione europea, diretto da AJANI G., BENACCHIO G.A., Torino, Giappichelli, 2006.
32
Su questi profili, si vedano: LALLI A., La valutazione della regolazione distorsiva del mercato: profili
amministrativi e giurisdizionali, in Diritto amministrativo, n. 3/2006; D’ALBERTI M., Competition Law
and Regulatory Reform, in corso di pubblicazione in European Public Law Series, 2007.
15
mercato, con il controllo successivo del giudice amministrativo. Anche per questo
profilo è stato ripreso il modello comunitario33.
L’ordinamento italiano ha seguito quello comunitario, altresì, nel considerare il
principio e le regole di concorrenza come criteri che condizionano la regolazione
economica dettata dai pubblici poteri. La Costituzione prevede che “la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione e,
nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali” (art. 117, comma 1).
Dunque, l’intera legislazione nazionale - dello Stato e delle Regioni - deve
conformarsi al “vincolo”, al principio e alle regole, di libera concorrenza stabiliti
dall’ordinamento comunitario. Le disposizioni nazionali che non siano conformi a
regole comunitarie di concorrenza aventi efficacia diretta – come si è visto – sono
disapplicabili dai giudici o dalla pubblica amministrazione. Le disposizioni nazionali in
contrasto con regole comunitarie prive di efficacia diretta, o con il principio di
concorrenza, sono annullabili dalla Corte costituzionale.
Per di più, la Costituzione affida in via esclusiva alla legislazione dello Stato la
“tutela della concorrenza” (art. 117, comma 2, lett. e). La Corte costituzionale ha
attribuito un significato molto esteso a questa formula. Se ne può ricavare che la
legislazione dello Stato è chiamata a dettare in via esclusiva non solo la disciplina
antitrust, ma anche i criteri minimi necessari ad assicurare una sufficiente apertura dei
mercati. Le Regioni sono tenute a rispettare le norme statali emanate in nome della
“tutela della concorrenza” nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa,
concorrente o “residuale”, come l’agricoltura, il commercio interno, i servizi locali,
parti rilevanti dei settori industriali34.
Ad esempio, le Regioni possono dettare la disciplina di dettaglio in materia di
servizi pubblici locali, purché rispettino i principi stabiliti con legge statale in materia di
procedure di gara per il conferimento alle imprese della gestione di quei servizi35.
Oppure: se la legge statale ha determinato una certa soglia di liberalizzazione della
distribuzione commerciale, per quel che concerne i criteri del rilascio delle
autorizzazioni agli esercenti, le regioni possono liberalizzare di più, ma non scendere al
di sotto della soglia.
In definitiva, la concorrenza condiziona tutta la legislazione e la regolazione
economica. E condiziona anche l’attività amministrativa. I procedimenti ad “evidenza
pubblica” che le amministrazioni svolgono per l’aggiudicazione di appalti di lavori, di
forniture, di servizi, devono rispettare il principio di concorrenza36. Ciò vale anche per il
conferimento di concessioni di beni e di servizi pubblici. Le licenze e le autorizzazioni
amministrative non possono essere rilasciate a vantaggio di imprese incumbent in
determinati settori economici e in pregiudizio di operatori nuovi che aspirino, con
33
Sulla disciplina della concorrenza in Italia, si vedano, fra gli altri: FRIGNANI A., PARDOLESI R.,
PATRONI GRIFFI A., UBERTAZZI L.C., Diritto antitrust italiano, Bologna, Zanichelli, 1993, 2 volumi;
MANGINI V., OLIVIERI G., Diritto antitrust, Torino, Giappichelli, 2000; FATTORI P., TODINO M., La
disciplina della concorrenza in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004; PROSPERETTI L., SIRAGUSA M.,
BERETTA M., MERINI M., Economia e diritto antitrust, Roma, Carocci, 2006.
34
Si veda CORSO G., La tutela della concorrenza come limite della potestà legislativa (delle Regioni e
dello Stato), in Diritto pubblico, 2002, p. 981.
35
Si veda in proposito Corte cost., n. 272/2004.
36
Il recente codice dei contratti pubblici, varato con decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, prevede
esplicitamente che l’affidamento di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, debba rispettare, fra l’altro,
il principio di libera concorrenza (art. 2, comma 1).
16
adeguati requisiti finanziari e professionali, ad entrare in quei mercati o a trovarvi
maggiore spazio37. I procedimenti amministrativi utilizzati da alcune autorità di
regolazione di settore devono seguire criteri propri del diritto antitrust. E’ il caso dei
procedimenti adottati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a seguito delle
direttive comunitarie del 2002 in materia di comunicazioni elettroniche..
Anche l’organizzazione amministrativa è condizionata dalle regole di concorrenza.
Alcune strutture amministrative considerate enti pubblici non economici, in quanto tali
distanti dal mercato e dalle sue regole, come i consigli e gli ordini professionali, nel
diritto della concorrenza possono assumere la natura di associazioni di imprese, le cui
deliberazioni danno luogo ad intese che, se restrittive del gioco concorrenziale per il
loro oggetto o per gli effetti, sono illecite e vietate38.
I servizi di pubblica utilità sono assoggettati alle regole di concorrenza. Il Trattato
CE prevede che “le imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico
generale…sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole
di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento,
in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata” (articolo 86). La
giurisprudenza comunitaria ha dato un’interpretazione restrittiva del limite costituito
dalla “specifica missione”, considerandolo un’eccezione rispetto alla regola, che è
quella della libera concorrenza.
Sono rimasti al di fuori delle regole di concorrenza e di mercato i servizi pubblici di
natura sociale, come l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. In
questi casi il principio solidaristico prevale sulla logica mercantile39.
In definitiva, la disciplina della concorrenza riguarda direttamente i comportamenti
delle imprese, ma viene ad incidere anche sulle scelte di legislatori, regolatori,
amministratori pubblici.
Se questo è il quadro che risulta dalla normativa comunitaria e nazionale, restano
ancora molti problemi aperti, sia sul piano delle condotte delle imprese, sia sul piano
della legislazione e della regolazione economica.
In tanti settori la concorrenza fra imprese stenta a decollare. Nelle
telecomunicazioni, che hanno ricevuto una forte spinta comunitaria verso una full
competition, la telefonia mobile ha fatto buoni passi avanti, mentre la telefonia fissa
continua a conoscere distorsioni rilevanti. I mercati del gas e dell’energia elettrica si
sono cautamente e progressivamente aperti, ma registrano ancora distorsioni. Fra gli
altri, il settore bancario, le assicurazioni, i servizi professionali si aggiungono all’elenco.
D’altra parte la legislazione, statale e regionale, mostra segni di apertura, ma
conserva ancora residui di protezionismo, di difesa corporativa, di particolarismo locale.
I recenti interventi di liberalizzazione e di rafforzamento della concorrenza - che si sono
sopra analizzati - introducono misure utili e vanno certamente apprezzati, ma sono
ancora insufficienti.
Si rende necessario, dunque, mantenere elevato il livello di antitrust enforcement,
cioè di repressione degli illeciti anticoncorrenziali commessi dalle imprese. Occorre, al
37
Sul punto si veda Cons. Stato, Sez. VI, n. 336/2004.
Si veda in proposito AGCM, Provvedimento 26 novembre 1998, Consigli nazionali dei ragionieri e
periti commerciali e dei dottori commercialisti, caso I220, in Boll., n. 48/1998, confermata, in relazione
alla natura di associazione d’impresa dei consigli e ordini professionali, da TAR Lazio, 28 gennaio 2000,
n. 466, in Foro it., 2000, III, 175.
39
Si veda Corte giustizia CE, sentenza 22 gennaio 2002, INAIL, causa C-218/00, in Racc., 2002, I-691.
38
17
tempo stesso, un’iniziativa sistematica di abrogazioni e di modificazioni della normativa
statale e regionale incompatibile con il principio e con le regole di libera concorrenza.
8. Conclusioni e proposte. I nuovi compiti della legislazione e delle
amministrazioni pubbliche
Come si è visto, la legislazione e la regolazione economica italiana ha conosciuto
notevoli trasformazioni negli ultimi due decenni, mostrando un buon livello di
adeguamento alle regole e ai criteri provenienti dagli organismi internazionali e
dall’ordinamento comunitario.
Vi sono state sperimentazioni e realizzazioni rilevanti in termini di liberalizzazioni,
privatizzazioni, semplificazioni e de-regolazioni, autorità indipendenti, tutela e
promozione della concorrenza.
Tutto ciò contiene in sé potenzialità per rendere la legislazione e l’amministrazione
italiana più in sintonia con le esigenze di competitività e di crescita economica del
Paese.
Permangono, tuttavia, lacune e insufficienze in questo importante processo di
cambiamento e di maggiore apertura al mercato, che riguardano tutti gli aspetti e i
problemi qui trattati.
Si rendono necessarie, dunque, indicazioni di rimedi e formulazioni di proposte utili
a procedere ulteriormente, sia sul versante della legislazione che sul piano dell’azione
amministrativa.
Si ritengono prioritarie le raccomandazioni che seguono.
a. È necessario, anzitutto, un migliore coordinamento fra uffici nazionali e
organismi comunitari.
Occorre ricomporre in un quadro più unitario i raccordi che intercorrono fra
ciascuna amministrazione o autorità, nazionale o subnazionale, e gli organi della
Comunità europea. Devono, certamente, rimanere inalterate le garanzie di autonomia e
di indipendenza di cui godono le diverse amministrazioni pubbliche nei loro rapporti
con gli organismi comunitari. Ad esempio, l’inserimento di alcune autorità nazionali
indipendenti in sistemi europei complessi e formalizzati da norme del Trattato, come
avviene per la Banca d’Italia nell’ambito del Sistema europeo delle Banche centrali
(“SEBC”); ovvero, la collocazione di altre autorità in “reti” europee più o meno formali
di garanti o di regolatori, come accade per l’AGCM all’interno dello European
Competition Network (“ECN”), o per l’AGCOM nell’ambito dello European Group of
Regulators (“ERG”).
Le esperienze che derivano da simili rapporti particolarmente intensi con la
dimensione comunitaria vanno tenute in considerazione ai fini di una loro possibile
estensione. In ogni caso, dai nessi che le varie amministrazioni pubbliche intrattengono
con gli organismi comunitari occorre ricavare coordinate più uniformi per rafforzare la
fase ascendente e la fase discendente della produzione normativa comunitaria e della
sua attuazione.
b. Se in materia di rapporti fra uffici nazionali e organismi comunitari - a livello
normativo e amministrativo - si rende necessario un miglioramento dell’attuale stato
delle cose, per quel che concerne i rapporti con gli organismi internazionali operanti in
campo economico il discorso è quasi completamente da avviare.
18
Vi sono stati - come si è detto - diversi episodi di buon adeguamento della
normazione e dei modelli amministrativi italiani agli standard internazionali: è quel che
è avvenuto, ad esempio, in materia di repressione dei fenomeni di riciclaggio.
Si rende indispensabile, però, costituire apposite strutture amministrative per i
raccordi con la "regolazione globale" e per un più sistematico adeguamento ad essa
della "domestic regulation".
A tal fine, vanno distinti i casi in cui l’amministrazione italiana si rapporta agli
organismi internazionali di regolazione economica tramite l’Unione europea, come
avviene per i raccordi con la WTO, dai casi in cui gli uffici italiani si muovono anche
indipendentemente dall’Unione, come accade per l’inserimento di alcune autorità
nazionali in networks internazionali più o meno formalizzati (ad esempio, in materia di
energia).
c. Vanno individuati criteri da seguire per rafforzare e, soprattutto, per
sistematizzare le politiche e le normative di liberalizzazione, nonché le conseguenti
scelte amministrative.
Si sono evidenziati i passi avanti compiuti in Italia fra il 2006 e l’inizio del 2007 in
materia di liberalizzazioni e di rafforzamento della tutela dei consumatori. Si è seguita,
finora, una logica “incrementale”, aggiungendo settore a settore ai fini della maggiore
apertura al mercato: dalle professioni, all’agro-alimentare, ai contratti assicurativi e
bancari, per citare alcuni esempi rilevanti.
Occorre, ora, intraprendere una via più generale, più “comprehensive”, che guardi a
tutto l’insieme delle regolazioni dei rapporti economici, per individuare le priorità di
nuovi interventi, meno sporadici e più sistematici, meno legati alla congiuntura politica
e più motivati sul piano dell’analisi economico-istituzionale.
La richiamata direttiva sui servizi nel mercato europeo (la direttiva 123/2006/CE)
fornisce indicazioni molto utili in tal senso. Essa prevede che gli Stati membri, al fine di
rimuovere dalle rispettive normazioni nazionali gli ostacoli che impediscono o limitano
la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi, “debbano procedere ad un
esame (“screening”) della loro legislazione” per determinare la presenza di tali ostacoli
ed elaborino su questa base una relazione40. Ogni relazione dovrà essere trasmessa a
tutti gli altri Stati membri e a tutte le parti interessate. Si aprirà, così, un processo di
“valutazione reciproca”41: ogni Stato potrà formulare le proprie osservazioni su
ciascuna relazione. Dopodiché, la Commissione elaborerà una relazione di sintesi, con
possibilità di avanzare proposte per ulteriori iniziative di liberalizzazione e di riduzione
di ostacoli.
Questo dovrà avvenire per tutti i settori di servizi previsti dalla ricordata direttiva.
Più in generale, e al di là dell’ambito di applicazione della direttiva stessa, la via per
procedere sistematicamente in materia di liberalizzazioni appare tracciata. È
indispensabile condurre un esame, uno “screening”, della normazione nazionale statale, regionale e locale - per poter individuare le materie e i settori nei quali esistono
ostacoli e limiti al libero mercato e agli scambi: per identificare, in altri termini, le aree
nelle quali si rende necessaria un’apertura maggiore delle attività economiche, una
liberalizzazione che rechi vantaggio alla concorrenza e agli interessi dei consumatori.
L’esame, lo “screening”, della normazione non può che essere tecnico e va condotto
sulla base dell’analisi economico-giuridica delle regolazioni relative ai vari settori e
40
41
In tal senso il considerando 74 della direttiva.
Si veda l’art. 39 della direttiva.
19
mercati. Tale esame, dunque, va affidato ad una commissione di esperti indipendenti,
designati e nominati con una procedura che garantisca loro piena autonomia di giudizio,
e non può essere svolto da organismi politici, né governativi né parlamentari.
Gli organismi politici debbono intervenire “a valle” rispetto allo screening tecnico,
per adottare le decisioni finali sui settori da liberalizzare e sull’intensità della
liberalizzazione.
d. È necessario individuare criteri per migliorare le politiche di privatizzazione delle
imprese in mano pubblica e le analisi valutative delle istituzioni ad esse preposte.
Secondo le indicazioni che provengono dagli organismi internazionali - soprattutto
l’IMF, la WB e l’OCSE - sono da preferire le privatizzazioni in situazioni di mercato in
cui la concorrenza ha già conosciuto sviluppi considerevoli, mentre andrebbero evitate
quelle che riguardano settori monopolistici od oligopolistici. Al di là di questo, le
imprese interessate e gli organismi pubblici - centrali, regionali o locali - con poteri
decisionali in materia dovrebbero condurre complessive analisi di mercato e potrebbero
individuare ordini di priorità delle dismissioni da mettere in campo.
e. Vanno prospettate linee per sviluppare ulteriormente le autorità indipendenti.
Come si è visto, il favor per l’indipendenza dei soggetti pubblici chiamati a
garantire e a regolare i mercati si è rafforzato nella normativa comunitaria, originaria e
derivata. La legislazione italiana ha seguito questa via con non poche contraddizioni. In
particolare, i governi hanno mostrato più volte di voler riconquistare a sé attribuzioni e
competenze già affidate alle autorità indipendenti.
Ora è indispensabile cambiare rotta. Sono state formulate diverse proposte di
riforma, ma occorre andare oltre. Alcuni settori hanno bisogno di regolazione
indipendente. È il caso dei trasporti, o dei servizi postali. Il più recente disegno di legge,
già menzionato, ha seguito questa via. Nella regolazione dei mercati finanziari si rende
opportuna una razionalizzazione delle competenze: lo stesso disegno di legge offre
soluzioni al riguardo.
Quel che più conta, però, è assicurare autentica autonomia e indipendenza di
giudizio alle autorità, evitando incursioni dell’esecutivo. Da questo punto di vista,
mentre è ammissibile che vi siano poteri di indirizzo politico del governo - da esercitarsi
secondo procedure adeguatamente modellate dalle norme - che incidano sull’attività
delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (ad esempio in materia di
energia), è da escludere che le autorità preposte ai mercati finanziari o l’autorità
antitrust siano influenzate dal circuito dell’indirizzo o dell’alta vigilanza di governo.
Sotto questo profilo, le eventuali riforme legislative dovranno essere chiare.
D’altra parte - come si è in parte anticipato - il potenziamento della regolazione
indipendente non può significare attribuzione alle autorità di poteri innominati e atipici.
Le norme debbono prevedere in modo specifico - e non generico - i presupposti e i fini
dei poteri affidati alle autorità.
Infine, se alcuni elementi di omogeneizzazione vanno introdotti nella disciplina
legislativa delle autorità, ciò non deve significare eccessiva uniformità. Forse si
giustificano procedure di nomina diverse per le autorità di regolazione dei servizi
pubblici, da un lato, e per quelle preposte ai mercati finanziari o all’antitrust, dall’altro.
Certamente diversa deve restare la disciplina dei procedimenti decisionali adottati dalle
varie autorità ed anche la disciplina dell’organizzazione.
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Quanto al personale, appare poco opportuno prevedere che passaggi e trasferimenti
di dipendenti avvengano all’interno dell’insieme delle autorità indipendenti. Una simile
soluzione verrebbe a creare una sorta di “comparto” delle autorità, ad esclusione del
personale delle altre amministrazioni. La via da seguire sembra, invece, quella di
ottenere gradualmente un rafforzamento dell’expertise dei funzionari di tutte le
amministrazioni pubbliche e di consentire, semmai, un interscambio di dimensioni più
estese.
f. Si rende necessaria una revisione in senso pro-concorrenziale della legislazione
economica nazionale, dello Stato e delle Regioni.
Come si è visto, i recenti interventi normativi in materia di liberalizzazioni hanno
anche favorito in parte la libera concorrenza. Ma un enorme lavoro resta ancora da
svolgere.
Le segnalazioni dell’AGCM hanno messo in luce svariate leggi statali e regionali
discorsive della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato. È necessario ora
condurre un attento e sistematico esame della regolazione economica nazionale - statale,
regionale e locale - per evidenziare ulteriori norme discorsive della concorrenza e per
proporre rimedi, in termini di abrogazione o di modificazione di regole.
Anche in tal caso - come per le liberalizzazioni - l’esame deve essere tecnico e va
condotto sulla base dell’analisi economico-giuridica della regolazione nazionale. Si
potrebbero mettere in campo strumenti analoghi a quelli indicati a proposito delle
liberalizzazioni. Il problema è però - almeno parzialmente - diverso: i settori da
liberalizzare sono quelli in cui esistono ostacoli che impediscono o frenano l’apertura
del mercato a più operatori; i settori nei quali va promossa la libera concorrenza sono
anche quelli in cui la liberalizzazione - come apertura a più operatori economici - si è
avuta, ma la concorrenza effettiva stenta a decollare.
g. Sono indispensabili e urgenti programmi di formazione del personale pubblico in
materia di "global regulation”.
L’adeguamento della normazione e della prassi amministrativa italiana alle
normative comunitarie e agli standard internazionali ha mostrato, come si è evidenziato,
i suoi alti e bassi, ma si è comunque verificato indipendentemente da programmi
organici di formazione del personale pubblico, soprattutto per quel che riguarda gli
approfondimenti circa la disciplina internazionale dell’economia. Anche gli studi
dottrinali sono, sotto questo profilo, appena agli esordi.
21
Occorre moltiplicare e rafforzare le iniziative da parte delle Università, degli uffici
parlamentari, delle scuole e degli istituti di formazione e delle amministrazioni
pubbliche centrali, regionali e locali.
Per quel che riguarda, in particolare, i programmi di formazione, le apposite agenzie
e scuole pubbliche e le Università sono chiamate a potenziare i corsi dedicati alla global
economic regulation, che possano valere soprattutto per il reclutamento di personale
amministrativo da destinare agli uffici maggiormente coinvolti nei raccordi con
l’Unione europea e con gli organismi internazionali.
Vanno sviluppate, inoltre, iniziative di formazione sul campo per il personale già in
servizio. Potranno trarsi utili modelli dalle esperienze svolte dalle amministrazioni e
dalle autorità pubbliche, come la Banca d’Italia, che più di altre hanno intrapreso
rapporti con organismi sopranazionali.
È evidente che in mancanza di adeguati programmi di formazione, vi potranno
essere sporadiche aperture al quadro ultranazionale, imposte o sollecitate da singole
norme o raccomandazioni provenienti dal sistema europeo e dagli organismi
internazionali; ma mancherà il respiro più ampio del quale il nostro Paese necessita per
poter sintonizzare la sua legislazione e la sua amministrazione con obiettivi di maggiore
competitività e di più credibile crescita economica.
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