INNOVAZIONE AMMINISTRATIVA E CRESCITA DEL PAESE Rapporto con raccomandazioni AMMINISTRAZIONE E MERCATO Marco D’Alberti Testo in corso di revisione non diffondere – non citare Formez, Ricerca & Sviluppo - Via Campi Flegrei 34, Arco Felice di Pozzuoli, NA Telefono 081 525 0211, fax 081 525 0312 ricerca&[email protected] AMMINISTRAZIONE E MERCATO Marco D'Alberti Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le principali trasformazioni della regolazione pubblica dei mercati e le riforme italiane. – 3. Le riforme di liberalizzazione. – 4. Le riforme di privatizzazione. – 5. Semplificazioni, de-regolazioni e qualità della regolazione. – 6. Autorità indipendenti. – 7. La disciplina della concorrenza. – 8. Conclusioni e proposte. I nuovi compiti della legislazione e delle amministrazioni pubbliche. 1. Introduzione Negli ultimi venti anni la regolazione dei mercati da parte dei poteri pubblici è divenuta particolarmente complessa. Si è ampliato enormemente il quadro dei regolatori, che non sono soltanto nazionali e sub-nazionali, ma sono sempre più ultranazionali. La regolazione ultranazionale incide in diversi modi su quella nazionale. Al tempo stesso, la regolazione ha subito trasformazioni importanti, privilegiando le misure più caratterizzate da contenuti market friendly e più idonee a promuovere liberalizzazioni, concorrenza, competitività. Il presente scritto intende analizzare i recenti andamenti della regolazione pubblica dell’economia; evidenziare i principali interventi normativi in Italia in alcune materie di cruciale importanza; verificare il livello di adeguamento della nostra regolazione alle norme e alle raccomandazioni provenienti dai regolatori ultranazionali; valutare l’idoneità della regolazione economica italiana a promuovere la competitività del Paese e delle sue imprese; individuare le disfunzioni e i rimedi necessari; mettere in luce il ruolo che possono giocare le nostre amministrazioni pubbliche. 2. Le principali trasformazioni della regolazione pubblica dei mercati e le riforme italiane La globalizzazione economica ha portato con sé una globalizzazione giuridica1. Si sono ampliate le funzioni svolte da organi internazionali che operano da tempo nel campo dell'economia2. È così, fra l’altro, per l’International Monetary Fund (IMF) e per la World Bank (WB)3. È stata istituita, nel 1994, la World Trade Organization, che svolge un ruolo di regolazione importante in materia di commercio internazionale: è questo il campo in cui è più compiuta e incisiva la regolazione ultranazionale, sul piano normativo (tramite gli accordi WTO di libero scambio), politico-amministrativo (mediante i rounds di negoziazione e i controlli sulle regolazioni “domestiche”), e 1 Si vedano, in proposito, GROSSI P., Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro italiano, 2002, V, 151; FERRARESE M.R., Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2000; EAD., Diritto sconfinato, Bari-Roma, Laterza, 2006. 2 Si vedano: CASSESE S., Lo spazio giuridico globale, Bari-Roma, Laterza, 2003; ID., Oltre lo Stato, BariRoma, Laterza, 2006; KINGSBURY B., KRISCH N., STEWART R.B., The Emergence of Global Administrative Law, 68 Law and Contemporary Problems 15 (Summer/Autumn 2005); D’ALBERTI M., La régulation économique en mutation, in Revue du droit public, n. 1/2006, 231. 3 Sulla struttura e le funzioni dell’IMF: GUITIÀN M., The Unique Nature of the Responsibilities of the International Monetary Fund, IMF, Pamphlet Series, n. 46, 1992; Financial Organization and Operations of the IMF, IMF, Pamphlet Series, no. 45, 1998; SCHLITZER G., Il Fondo monetario internazionale, Bologna, Il Mulino, 2004. Sulla WB: … 1 giurisdizionale (grazie alla risoluzione delle controversie relative all’applicazione degli accordi)4. Esistono numerose “reti” transnazionali formate da regolatori nazionali: ad esempio, l’International Competition Network (ICN), composto da autorità nazionali di concorrenza, o vari Fora o Networks di autorità competenti in materia energetica5. Vi sono, infine, organismi regolatori “ibridi”, di natura mista, pubblica e privata, come il Financial Stability Forum (FSF), che si occupa di regolazione dei mercati finanziari6. I regolatori internazionali, i Networks e gli organismi “ibridi” influiscono con efficacia diversa sulla regolazione nazionale: talora in modo vincolante, come accade per il WTO; talaltra con misure di soft law (quali raccomandazioni o standard), che sono però idonee a produrre un hard impact, come avviene per i mercati finanziari; in altri casi ancora, con mere forme di assistenza tecnica o di redazione di criteri meramente indicativi, come è per le attività svolte dall’ICN. Il ruolo svolto da simili regolatori ha aperto un ampio dibattito, che ha sottolineato soprattutto i problemi della loro legittimazione, dell’accountability, della trasparenza dei procedimenti utilizzati per giungere alle decisioni. Ne sono emersi limiti gravi legati ad una scarsa “democraticità” di tali organismi, ad un diverso peso assicurato ai Paesi sviluppati e a quelli in via di sviluppo, alla preminenza degli interessi della business community sulle organizzazioni portatrici di interessi collettivi e diffusi e di valori non mercantili7. Si è, d’altro lato, progressivamente accresciuta l'influenza dell'europeizzazione. Prima la Corte di giustizia di Lussemburgo, poi le Corti costituzionali degli Stati membri, hanno sancito il primato del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali8. La regolazione economica comunitaria dell'ultimo ventennio riveste grande importanza9. In particolare, si sono avute ampie liberalizzazioni nei settori dei servizi, privati e pubblici: dai servizi finanziari alle telecomunicazioni, dal trasporto aereo all’energia elettrica, dai servizi postali al gas; di recente è stata varata la direttiva generale sui servizi nel mercato interno che completa il quadro delle liberalizzazioni. Se ne parlerà più diffusamente nel paragrafo dedicato alle liberalizzazioni. Alcune delle normative comunitarie incidono fortemente sull'organizzazione e sul funzionamento delle amministrazioni nazionali: è così, ad esempio, per il settore delle comunicazioni elettroniche, in cui le direttive comunitarie del 2002 dettano norme sull’indipendenza dei regolatori nazionali e sulle procedure partecipative e di consultazione degli interessati che essi devono rispettare nei loro processi decisionali. Inoltre, il diritto comunitario ha progressivamente potenziato la politica, il principio e le regole di libera concorrenza. La disciplina della concorrenza ormai, come si vedrà più ampiamente in seguito, non regola soltanto i comportamenti delle imprese, ma 4 Sulla WTO: PICONE P., LIGUSTRO A., Diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, Padova, CEDAM, 2002, e ivi ampia bibliografia internazionale. 5 Sulla struttura e sulle funzioni dell’ICN, varato nell’ottobre 2001, informazioni utili nel sito www.internationalcompetitionnetwork.org. Sui Fora e sui Networks di autorità regolatrici in materia energetica si veda D’ALBERTI M., Regulatory Networks, in Atti del World Forum on Energy regulation, Roma, 2003. 6 Sulla struttura e le funzioni del FSF, istituito nell’aprile 1999, informazioni nel sito www.fsforum.org. 7 Si veda, in tal senso, STIGLITZ J.E., Globalization and Its Discontents, London, Penguin, 2002. 8 Si veda sul punto TESAURO G., Diritto comunitario, Padova, CEDAM, 2003. 9 Si veda in proposito CASSESE S., La nuova costituzione economica, Bari-Roma, Laterza, 2003. 2 costituisce un parametro di riferimento che la regolazione pubblica dei vari settori economici deve tenere in considerazione e rispettare. Infine, va sottolineato che diversi ordinamenti nazionali hanno introdotto riforme significative della regolazione economica, sotto la spinta proveniente dai regolatori sopranazionali. Un ruolo propulsivo di rilievo è stato svolto dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), con i suoi programmi di Regulatory Reform, volti a individuare revisioni delle regolazioni degli Stati aderenti idonee a promuovere la concorrenza, a semplificare norme e procedure che possano ostacolare eccessivamente le attività imprenditoriali, a rimuovere restrizioni all’accesso di operatori economici in diversi mercati e all’esercizio dell’attività. Gli Stati hanno mostrato livelli elevati di adeguamento alle linee di fondo dei programmi OCSE, tramite peer reviews delle diverse legislazioni e regolazioni economiche nazionali. Si è rafforzato, in tal modo, un dialogo "orizzontale" fra ordinamenti nazionali diversi per l’individuazione di linee comuni di riforma. In tale contesto complessivo, si deve ora esaminare l’evoluzione della regolazione pubblica dell’economia in Italia negli ultimi anni, per evidenziare le innovazioni più significative, le carenze e le disfunzioni, le correzioni da mettere in campo. Ci si soffermerà su alcune materie essenziali della regolazione economica: liberalizzazioni, privatizzazioni, semplificazioni, de-regolazioni e ri-regolazioni, autorità e indipendenti, concorrenza. 3. Le riforme di liberalizzazione Le politiche e le regole di liberalizzazione hanno avuto diffusione planetaria. Per liberalizzazione qui s’intende la maggiore apertura dei mercati a più operatori e il free trade, il libero scambio. Sul piano internazionale, è da considerare soprattutto la disciplina del commercio internazionale, che si è rafforzata ed ampliata a seguito dell’istituzione della WTO nel 1994. Il libero scambio riguarda oggi sia le merci che i servizi, in base alle regole contenute rispettivamente nel General Agreement for Tariffs and Trade (GATT) e nel General Agreement for Trade in Services (GATS). Si garantisce la libera circolazione di beni e servizi a livello mondiale. A tal fine, si prevede la riduzione dei vincoli che nei vari Stati membri della WTO (149) limitano il free trade. Il GATS, in particolare, ha un ambito di applicazione molto esteso. Vi rientrano, di regola, tutti i tipi di servizi: quelli privati, le public utilities di tipo imprenditoriale, e i servizi d’interesse generale. L’intera gamma dei servizi, dunque, è sottoposta alle regole del free trade e della liberalizzazione10. Le liberalizzazioni hanno avuto una progressiva estensione nel sistema comunitario europeo11. Basti pensare al settore dei servizi, privati e pubblici. Sono stati rimossi o attenuati gli ostacoli che incidevano sull’accesso alle attività di fornitura dei servizi e sul loro esercizio. Ad esempio, la liberalizzazione dei servizi bancari e finanziari ha consentito - fra l’altro - una maggiore apertura dei relativi mercati tramite la riduzione 10 Sul GATS si vedano: HARTRIDGE D., Whither the Negotiations on Services?, in Le frontiere della globalizzazione: negoziati commerciali e riforma dell’OMC, a cura di IAPADRE L. – PAGANI F., Bologna, Il Mulino, 2001, p. 31; GEORGE S., Fermiamo il WTO, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 46 ss.; KRAJEWSKY M., National Regulation and Trade Liberalization in Services, The Hague-London-New York, Kluwer Law International, 2003. 11 Si veda in proposito CASSESE S., op. ult.cit. Per il settore dei servizi di pubblica utilità: NAPOLITANO G., Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, Il Mulino, 2005. 3 del potere discrezionale delle autorità pubbliche di vigilanza a rilasciare agli operatori economici le autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività di impresa bancaria o finanziaria. Talora la liberalizzazione ha provocato l’erosione di rilevanti monopoli, come è accaduto in diversi settori di servizi di pubblica utilità (le cosiddette public utilities). È stata particolarmente cospicua la liberalizzazione delle telecomunicazioni, che ha progressivamente sottratto i segmenti della filiera, i prodotti e i servizi alla precedente situazione di monopolio e ha imposto agli Stati membri dell’Unione europea di impiegare autorità di regolazione largamente indipendenti dal settore imprenditoriale e, in certa misura, dai governi, e di utilizzare procedure regolatorie basate su di una ampia consultazione con le imprese del settore12. Il trasporto aereo è stato oggetto di un importante processo di liberalizzazione comunitaria, che si è avviato negli anni Ottanta del XX secolo. Accanto alle «compagnie di bandiera», autorizzate ad operare in condizioni di monopolio, si è previsto che gli Stati membri siano tenuti ad autorizzare altre compagnie purché dotate di determinati requisiti tecnici ed economici. Si è introdotta, inoltre, una progressiva liberalizzazione della disciplina delle tariffe, che ha rimosso il precedente regime dei prezzi amministrati dalle autorità pubbliche, con il solo limite del potere statale di ritirare tariffe troppo alte o troppo basse e con l’eccezione dei cosiddetti obblighi di servizio pubblico, che garantiscono a tutti il servizio aereo anche su rotte poco remunerative a tariffe medie. È stato gradualmente esteso il diritto di cabotaggio fra i diversi Stati della Comunità, cioè il diritto di imbarcare e di sbarcare passeggeri - e poi anche merci - nel territorio di qualsiasi Stato all’interno della Comunità stessa13. Nel settore ferroviario, le direttive comunitarie hanno previsto la liberalizzazione dei servizi di trasporto - in particolare, dei servizi merci e dei servizi passeggeri internazionali - lasciando riservate agli Stati le infrastrutture e le reti. Le direttive hanno disposto che le imprese ferroviarie, nell’ambito degli orientamenti di politica generale degli Stati membri, sono libere di disciplinare le modalità di fornitura dei servizi e di stabilirne la tariffazione, fatte salve le attività gravate da obblighi di servizi pubblico14. Sono state relativamente caute le direttive in materia di energia elettrica e di gas: esse hanno previsto una liberalizzazione graduale della domanda e hanno consentito maggiori aperture per la costruzione di nuovi impianti di produzione e per l’accesso alle infrastrutture. Ancor più cauta è stata la liberalizzazione del settore postale, che riguarda soltanto alcuni tipi di prodotti e di servizi. Negli ultimi tempi l’Unione europea ha percorso la via di una disciplina generale della liberalizzazione dei servizi, privati e pubblici, diretta a rimuovere o ad attenuare i numerosi ostacoli che negli Stati membri continuano a incidere sull’avvio delle rispettive attività e sul loro esercizio: in particolare, le autorizzazioni, le concessioni, le approvazioni e altri tipi di misure burocratiche. La relazione della Commissione europea sullo stato dei servizi nel mercato interno (del 2002) ha evidenziato l’esteso insieme di questi ostacoli, normativi, burocratici e d’altra natura, sottolineando la gravità di tale situazione in un contesto economico nel quale i servizi contano sempre di più in 12 Sulla liberalizzazione delle telecomunicazioni si veda PEREZ R., Telecomunicazioni e concorrenza, Milano, Giuffrè, 2002. 13 Di particolare interesse Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), Indagine conoscitiva Dinamiche tariffarie del trasporto aereo passeggeri, IC24, 2005. 14 Sul settore ferroviario, e più in generale sui trasporti, si veda RANGONE N., Trasporto, in corso di pubblicazione in Enciclopedia giuridica, vol. XV, 2007. 4 rapporto al prodotto nazionale lordo degli Stati membri (in media attorno al 70%), e ha evidenziato che gli ostacoli gravanti su un determinato servizio provocano un negativo “effetto a catena” su tutti gli altri servizi e sulle attività industriali a causa dello stretto legame che esiste fra servizi e attività manifatturiere. Su questa base, la Commissione ha presentato una prima proposta di direttiva comunitaria - nota come proposta Bolkestein - che è stata al centro di numerose critiche, essendo stata da molti considerata troppo liberalizzatrice, eccessivamente ossequiosa nei confronti della logica mercantile a danno dei valori sociali. La direttiva è stata alla fine varata15, con molte modifiche rispetto alla proposta iniziale: non si applica ai servizi non economici d’interesse generale, come l’istruzione pubblica o la previdenza obbligatoria. Per i servizi d’interesse economico generale, di tipo imprenditoriale - in sostanza le public utilities, come le telecomunicazioni o l’energia - prevalgono le discipline di settore già dettate dalla normativa comunitaria. I servizi privati costituiscono l’oggetto principale della direttiva: vi rientrano, fra gli altri, i servizi di consulenza per le imprese, i servizi di certificazione, di intermediazione mobiliare, d’ingegneria, la distribuzione, i servizi del turismo. Nonostante i limiti, la direttiva prevede importanti regole e criteri per l’eliminazione e la riduzione delle barriere incidenti sull'accesso ai servizi e sul loro esercizio. Alcune restrizioni nazionali sono vietate, come quelle discriminatorie. Altre vanno sottoposte a valutazione da parte degli Stati membri: si tratta delle misure non discriminatorie, ma con effetti di limitazione della libera circolazione dei servizi, come le predeterminazioni di tariffe o di prezzi minimi e massimi, o le limitazioni del numero degli operatori ammessi in un mercato. L’opera di soppressione e di attenuazione delle restrizioni nazionali al libero scambio dei servizi è svolta sotto il controllo di peer reviews che coinvolgono la Commissione europea e gli Stati membri. Come si è mossa l’Italia nel panorama europeo e mondiale delle liberalizzazioni? Il legislatore italiano ha assicurato un buon livello di attuazione delle normative comunitarie di liberalizzazione dei servizi. In alcuni settori è andato anche oltre la soglia delle attività liberalizzate dall’Unione europea. Ad esempio, la legge italiana ha liberalizzato tutti i tipi di servizi di trasporto ferroviario, merci e passeggeri, nazionali e internazionali, mentre le direttive comunitarie hanno previsto un ambito più limitato di liberalizzazione. Nell’ambito delle public utilities, le attività economiche non liberalizzate, come la gestione delle infrastrutture ferroviarie o la distribuzione dell’energia elettrica e del gas agli utenti finali, restano servizi pubblici. La conseguenza pratica è che tali attività sono soggette a regolazione più intensa da parte dei pubblici poteri, spesso contenuta in contratti di servizio ed estesa anche alla determinazione di prezzi e tariffe. Viceversa, le attività economiche liberalizzate, come il trasporto ferroviario o la produzione di energia, divengono - in via di principio - attività libere d’impresa. La conseguenza è che la regolazione è usualmente più limitata, ma restano comunque fermi i controlli sulla sicurezza, sulla correttezza, sulla trasparenza e le verifiche antitrust. E rimane la possibilità che le attività liberalizzate siano eccezionalmente gravate da obblighi di servizio pubblico - cioè quegli obblighi che l’impresa non assumerebbe se considerasse il proprio interesse commerciale - ovvero da obblighi di servizio universale - aventi ad oggetto prestazioni di base a tutti gli utenti, nell’intero territorio nazionale, a 15 È la direttiva 2006/123/CE. 5 prezzi contenuti. Obblighi di servizio pubblico sono previsti nel settore ferroviario; obblighi di servizio universale, ad esempio, nel settore delle telecomunicazioni. Il buon livello di attuazione nazionale delle normative comunitarie di liberalizzazione non significa che si sia realizzata una concorrenza effettiva16. La liberalizzazione - come apertura dei mercati a più operatori e come free trade - è presupposto necessario della concorrenza, ma non sufficiente. In molti dei settori liberalizzati il livello di concorrenza è ancora insoddisfacente nel nostro Paese. La telefonia fissa continua a risentire pesantemente dell’ex-monopolista; nell’energia i «campioni nazionali» hanno un ruolo ancora determinante; i trasporti ferroviari si aprono alla concorrenza solo nel settore merci; nei trasporti aerei l’incumbent continua a godere di posizioni di assoluto vantaggio; nei servizi bancari e assicurativi si registra fra l’altro - scarsissima mobilità dei consumatori fra operatori diversi. Di recente il legislatore italiano ha fatto un passo avanti. Il cosiddetto “decreto Bersani” (decreto legge n.223/2006, convertito in legge n. 248/2006) è finalizzato a rafforzare la liberalizzazione ed anche la concorrenza in alcuni settori: dalle professioni alla distribuzione commerciale, dai prodotti agro-alimentari al servizio di taxi, dai contratti bancari e assicurativi alle competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato («AGCM») e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni («AGCOM»). Il decreto tende ad attenuare o a rimuovere limiti che incidono sull’accesso ai mercati, sull’attività delle imprese, sulla garanzia dell’informazione ai consumatori, sulla qualità dei prodotti, sui poteri delle autorità pubbliche. Ad esempio, in materia di libere professioni il decreto abroga espressamente le disposizioni restrittive che stabilivano, fra l’altro, l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, il divieto di pubblicità, il divieto di fornire servizi professionali di tipo interdisciplinare tramite società di professionisti. In materia di distribuzione commerciale, il decreto abroga esplicitamente le disposizioni legislative e regolamentari statali che prevedevano limiti relativi all’accesso alle attività commerciali e al loro esercizio, come il rispetto di distanze minime obbligatorie fra esercizi della stessa tipologia, o l’individuazione di specifiche tabelle merceologiche. Quanto alle regolazioni regionali e locali, è previsto che esse si adeguino alle nuove regole. In materia di panifici, il decreto semplifica le procedure per l’apertura: si passa dalla licenza e dall’autorizzazione alla mera dichiarazione di inizio dell’attività. Quanto al servizio di taxi, il decreto prevede la facoltà dei Comuni di disporre - fra l’altro - turnazioni integrative, di rilasciare nuove licenze, o di conferire autorizzazioni temporanee per esigenze straordinarie. Per quel che riguarda i contratti bancari, il decreto riduce il potere negoziale delle banche e favorisce una maggiore mobilità dei consumatori fra banche diverse. Infine, vengono ampliati i poteri dell’AGCM, che può adottare misure cautelari, la cui inosservanza da parte delle imprese è sanzionata; può accettare impegni delle imprese che siano idonei a rimuovere i profili anticoncorrenziali, chiudendo il procedimento senza accertare l’infrazione; può utilizzare la cosiddetta leniency, cioè la non applicazione o la riduzione della sanzione pecuniaria in caso di qualificata collaborazione delle imprese nell’accertamento delle infrazioni. 16 Si vedano in proposito gli scritti contenuti in TORCHIA L. – BASSANINI F., a cura di, Sviluppo o declino. Il ruolo delle istituzioni per la competitività del Paese, Firenze, Passigli, 2005. 6 Sono misure utili a rimuovere distorsioni anticoncorrenziali e a tutelare maggiormente i consumatori e gli utenti di servizi. Il quadro delle materie è piuttosto ampio, ma va integrato. Il governo ha ora varato provvedimenti (il decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, e un disegno di legge) per rafforzare la tutela dei consumatori e ampliare l’ambito delle liberalizzazioni. Il decreto legge riguarda, fra l’altro, materie quali i servizi offerti dagli operatori telefonici; l’informazione sui prezzi dei carburanti; la trasparenza delle tariffe aeree; la miglior evidenziazione delle date di scadenza dei prodotti alimentari; l’estensione del divieto di esclusiva nella distribuzione dei prodotti assicurativi; la semplificazione e la revisione della disciplina dei contratti di mutuo; l’avvio delle attività d’impresa; la liberalizzazione di alcuni servizi, come quelli di acconciatore, di estetista, di pulizia, di facchinaggio, di disinfezione, di guida e di accompagnatore turistico, di autoscuola; l’introduzione di misure per il mercato del gas naturale in attesa dell’avvio di una “borsa del gas”; la riapertura delle gare nel settore dell’alta velocità ferroviaria; modifiche relative all’istruzione tecnico-professionale; misure sulla rottamazione. Di particolare rilievo la previsione sull’avvio delle attività d’impresa, secondo cui la presentazione di una “comunicazione unica” all’ufficio del registro delle imprese è sufficiente ad assolvere tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l’inizio dell’attività (art. 9). Restano, tuttavia, molte altre materie che necessitano di interventi di liberalizzazione: fra le tante, la gestione delle autostrade e degli aeroporti. E vi sono ulteriori aspetti delle materie finora disciplinate che richiederebbero di essere affrontati: ad esempio, nel campo delle professioni, i meccanismi di accesso alle attività professionali e le riserve di attività necessitano di ulteriori misure di riforma; in materia di banche e di assicurazioni sono indispensabili ulteriori rafforzamenti della trasparenza contrattuale e una nuova disciplina delle carte di credito. Va poi affrontato il problema - particolarmente delicato - del tipo degli strumenti di liberalizzazione. Alcune delle misure previste dal decreto legge n. 223/2006 sono efficaci, altre appaiono insufficienti o deboli. Le maggiori carenze si riscontrano in quei casi in cui il decreto si limita a rimuovere restrizioni alla concorrenza derivanti da norme statali, ma non interviene sulla normativa regionale, come avviene in materia di distribuzione commerciale, ove si prevede genericamente l’adeguamento delle regolazioni regionali e locali alle nuove norme liberalizzatrici; o nei casi in cui il decreto lascia agli enti locali la facoltà di adottare una serie di decisioni volte ad eliminare ostacoli alla concorrenza, come accade per il servizio di taxi. La legislazione regionale e la regolazione locale assumono un’importanza notevole nella disciplina di un numero sempre crescente di attività economiche e non di rado seguono vie di particolarismo e di protezionismo che incidono negativamente sui progetti di liberalizzazione, sulla tutela della concorrenza e sulle garanzie dei consumatori. L’intervento del legislatore statale in nome della «tutela della concorrenza», affidata alla sua esclusiva cura, potrebbe e dovrebbe essere più deciso. In definitiva, sono da apprezzare i passi avanti percorsi dal parlamento e dal governo in questi ultimi mesi. Al tempo stesso, è necessario che alla logica “incrementale” - che ai fini della liberalizzazione aggiunge progressivamente settori a settori - si affianchi una logica più sistematica. Ed è indispensabile che si affronti in modo organico la revisione delle regolazioni non solo statali, ma anche regionali e locali. 7 4. Le riforme di privatizzazione In materia di liberalizzazioni, come si è visto, l’ordinamento comunitario e i regolatori internazionali hanno dettato regole vincolanti per gli Stati o criteri fortemente incidenti sulla loro autonomia decisionale. In materia di privatizzazioni le regolazioni ultranazionali non hanno dettato norme vincolanti per gli ordinamenti nazionali, ma la loro influenza - sia pure indirettamente - non ha mancato di farsi sentire in alcune fasi. Taluni organismi internazionali hanno considerato la privatizzazione - totale o parziale - di imprese pubbliche come obiettivo essenziale per la crescita economica: basti pensare all’attività svolta, soprattutto negli ultimi quindici o venti anni, dall’International Monetary Fund (IMF) e dalla World Bank (WB) per sostenere le politiche di privatizzazione. Vi sono, secondo questi organismi, ragioni consistenti a favore della privatizzazione: essa è idonea a realizzare incrementi di produttività delle imprese già in mano statale o pubblica; maggiori aperture ai capitali d’investimento; miglioramenti nella gestione dei servizi; sviluppo dei Paesi meno avanzati o di quelli in transizione dai sistemi socialisti all’economia di mercato. La privatizzazione di imprese statali e pubbliche è divenuta talora una delle condizioni poste dall’IMF per l’erogazione di prestiti a Paesi in situazioni di crisi finanziaria grave; ovvero, è stata presa in considerazione nell’azione di sorveglianza dell’IMF e della WB sulle politiche economiche dei Paesi membri. In tal modo, essa ha finito per assumere il valore di standard condizionante nei confronti degli ordinamenti nazionali. Gli indicatori quantitativi rivelano che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, le operazioni di privatizzazione di imprese pubbliche sono cresciute sensibilmente negli anni Novanta del Novecento, fino a raggiungere un picco nel 1997. Sono poi sensibilmente diminuite alla fine dello stesso decennio. Ora stanno salendo nuovamente. I settori più interessati sono le telecomunicazioni e le banche. La public ownership delle imprese, nonostante ciò, resta una realtà ancora diffusa in molti Paesi, soprattutto in alcuni settori economici, come quelli energetici. La WB sottolinea la necessità di migliorare le politiche di privatizzazione e le istituzioni che se ne occupano; evidenzia che le privatizzazioni hanno successo in settori e mercati aperti alla concorrenza; ammonisce che in mercati non concorrenziali la privatizzazione può dare risultati positivi soltanto se correlata con una “proper market structure” e con “regulatory frameworks”, cioè con un sostegno istituzionale all’apertura progressiva di quei mercati a nuovi operatori e con una regolazione pubblica che favorisca e promuova la concorrenza libera. È, dunque, indispensabile adottare approcci più mirati, che inquadrino le scelte di privatizzazione all’interno di analisi approfondite sull’effettiva situazione di mercato in cui operano le imprese pubbliche che s’intende privatizzare17. Se dal piano internazionale si passa al diritto comunitario, la situazione è diversa. Come è noto, il Trattato CE è indifferente nei confronti della mano pubblica o privata delle imprese e “lascia impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati 17 Si vedano in proposito: HEMMING R. – MANSOOR A.M., Privatization and Public Enterprises, IMF Working Paper, WP/87/9, 1987; HAVRYLYSHYN O. – MCGETTIGAN D., Privatization in Transition Countries: Lessons of the First Decade, IMF Economic Issues, no. 18, 1999; FELTENSTEIN A. – NSOULI S.M., “Big Bang” versus Gradualism in Economic Reforms: An Intertemporal Analysis with an Application to China, IMF Staff Papers, vol. 50, no. 3, 2003; VON WEIZSÄCKER E.U. – YOUNG O.R. – FINGER M., Limits to Privatization, London. Earthscan, 2005; MEGGINSON W.L., The Financial Economics of Privatization, Oxford, University Press, 2005. 8 membri” (art. 295). Quel che conta è che le imprese - private, o pubbliche, o miste rispettino i principi e le regole comunitarie in materia di libero scambio e libera concorrenza. In realtà, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha messo in luce che, fermo restando l’art. 295 del Trattato, esiste pur sempre una differenza sensibile fra mano privata e mano pubblica delle imprese. Un’impresa pubblica è più soggetta all’indirizzo politico dello Stato. L’impresa privata e la privatizzazione, dunque, vanno considerati positivamente al fine di realizzare livelli più elevati di autonomia imprenditoriale. Andranno, poi, adeguatamente bilanciati gli imperativi di libertà d’impresa, di non discriminazione, di libera circolazione, di concorrenza18. In un simile contesto, l’Italia ha intrapreso con maggiore consistenza le politiche di privatizzazione a partire dagli anni Novanta del secolo XX e in quel periodo ha adottato le prime regole legislative organiche in materia. Due sono stati gli strumenti utilizzati: la privatizzazione formale, che ha consentito la trasformazione di enti pubblici in società per azioni a capitale pubblico; e la privatizzazione sostanziale, che ha comportato l’acquisizione del controllo da parte della mano privata19. I primi provvedimenti legislativi, del 1990, hanno riguardato il settore bancario, avviando il processo di sostituzione degli enti creditizi pubblici con le società per azioni. Successivamente, nel 1992 e nel 1994, sono state varate le norme di carattere generale sulla privatizzazione di imprese pubbliche. Si è giunti a disporre direttamente per legge la trasformazione in società per azioni dell’IRI, dell’ENI, dell’INA e dell’ENEL. Con apposita procedura amministrativa si sono avute altre trasformazioni, ad esempio quella relativa all’Ente Ferrovie dello Stato e all’Ente Poste italiane. Le norme sulle dismissioni di azioni dalla mano pubblica alla mano privata - cioè sulle privatizzazioni sostanziali - sono state dettate nel 1994: la legge ha previsto che le alienazioni di azioni avvengano tramite offerta pubblica di vendita o trattativa diretta, o mediante impiego di entrambe le procedure. Norme speciali hanno riguardato settori particolari, come quello elettrico, in cui le cessioni degli impianti ENEL hanno seguito procedure apposite. Va qui ricordata infine, fra le altre discipline di privatizzazione, quella riguardante le imprese pubbliche locali, che è stata introdotta nel 1997, con le riforme Bassanini. Si è prevista la facoltà di Comuni, Province e altri enti locali di trasformare con atto unilaterale le aziende speciali in società per azioni. Quanto alla privatizzazione sostanziale delle imprese locali, si applicano le norme generali del 1994, sopra ricordate, per cui la cessione azionaria può avvenire con offerta pubblica, trattativa diretta, o con una combinazione di entrambe le procedure. Quali sono gli esiti concreti di queste riforme di privatizzazione? Innanzitutto, la società per azioni diviene il modello tipico dell’impresa con partecipazione pubblica, mentre l’ente pubblico economico praticamente scompare. Ciò comporta un avvicinamento più consistente delle imprese partecipate o controllate da pubblici poteri alle regole dell’imprenditoria privata. Si tratta, tuttavia, di società per azioni rette ancora da un diritto speciale. Come ha deciso la Corte costituzionale nel 1993, finché la prevalenza del capitale resta in mano 18 Fra le pronunce della Corte, si veda Corte di giustizia CE, sentenza 6 luglio 1982, Causa 188-190/80. Una chiara ricostruzione in FRENI E., Privatizzazioni, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da CASSESE S., Diritto amministrativo speciale, tomo IV, p. 3947. 19 9 pubblica, vale il controllo della Corte dei conti. Si applica, altresì, la giurisdizione della Corte dei conti per la responsabilità da danno erariale20. Per le società operanti nei settori di pubblica utilità, inoltre, la legge ha stabilito che gli statuti possano prevedere la golden share, in base alla quale l’azionista pubblico (il Ministro dell’economia e delle finanze per le imprese a partecipazione statale), tenuto conto degli obiettivi nazionali di politica economica ed industriale, può esercitare poteri speciali, come il gradimento a talune operazioni di acquisizione di partecipazioni rilevanti, o il veto all’adozione di alcune delibere societarie21. A seguito di una sentenza della Corte di giustizia CE, che nel 2000 ha condannato la Repubblica italiana ritenendo che la disciplina della golden share violasse le norme del Trattato sul diritto di stabilimento e sulla libera circolazione dei servizi e dei capitali, la normativa nazionale è stata modificata e i poteri speciali sono stati limitati nelle finalità e nei criteri d’esercizio22. In definitiva, permangono differenze significative fra le società oggetto di privatizzazione e le ordinarie società per azioni. Sarebbe necessario accorciare maggiormente le distanze, per diminuire al massimo grado possibile i vincoli pubblicistici che incidono sull’operatività delle imprese pubbliche privatizzate. Occorrerebbe anche, in base alle indicazioni dei regolatori internazionali, potenziare le politiche di privatizzazione e le tecniche di valutazione poste in essere dalle strutture istituzionali chiamate a programmare o prospettare le scelte di privatizzazione. 5. Semplificazioni, de-regolazioni e qualità della regolazione Semplificazioni e de-regolazioni presentano aspetti comuni e possono essere correlate alle liberalizzazioni, ma vanno distinte le une dalle altre. Le semplificazioni possono avere ad oggetto norme o procedure23. Le semplificazioni di norme dànno luogo, in genere, alla redazione di testi unici o di codici. Si tratta, in sostanza, di razionalizzazioni normative che coordinano norme speciali disseminate: semplificano, quindi, il ruolo dell’interprete e dell’applicatore (amministratori e giudici) e, ancor prima, rendono più “conoscibile” la normativa agli operatori. Non vi sono, su questo piano, nessi con le de-regolazioni e le liberalizzazioni. Le semplificazioni di procedure si concretano soprattutto in snellimenti o “tagli” di procedimenti amministrativi. Se tali snellimenti riguardano, ad esempio, l’accesso delle imprese a determinati mercati, vi è un nesso stretto con le liberalizzazioni e con le deregolazioni: così, l’eliminazione della procedura di autorizzazione per l’apertura dei panifici - di cui s’è detto prima -, e la sua sostituzione con una mera denuncia di avvio dell’attività d’impresa, è uno strumento di semplificazione in funzione della liberalizzazione, intesa come ampliamento delle possibilità di accesso a un mercato; al tempo stesso, vi è una de-regolazione, nel senso che viene meno il controllo preventivo del regolatore che conduceva al provvedimento di autorizzazione. 20 Così Corte cost., n. 466/1993. Si veda LOMBARDO G., Golden Share, in Enciclopedia giuridica, vol. XV, 1998. 22 Corte di giustizia CE, sentenza 23 maggio 2000, Commissione/Repubblica italiana, causa C-58/99, in Racc.,2000, p. I-03811. 23 Si veda La semplificazione. Politiche europee e piano d’azione nazionale, a cura di BASILICA F., Rimini, Maggioli, 2006. 21 10 Le de-regolazioni24 possono concretarsi nell’abrogazione di norme che prevedono poteri di regolazione di determinati mercati o imprese. Vale il precedente esempio della soppressione dell’autorizzazione all’apertura di un’attività d’impresa, soppressione che comporta l’abrogazione delle norme che prevedevano il regime autorizzatorio. Possono darsi, altresì, casi in cui il legislatore decide di eliminare norme che prevedono organismi corporativi chiamati a esercitare vigilanza in certi settori, come è accaduto recentemente per l’intermediazione immobiliare: in tali ipotesi si va anche al di là delle semplificazioni normative. Le de-regolazioni, inoltre, possono prescindere dall’abrogazione di norme e riguardare casi in cui è un’amministrazione regolatrice che decide, in base alle norme di legge, di non regolare più un determinato mercato: è quel che avviene nel settore delle comunicazioni elettroniche, nel quale l’Autorità indipendente (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: AGCOM) può rimuovere obblighi regolatori a carico delle imprese se ritiene che in un certo mercato si sia introdotta una concorrenza effettiva: qui siamo oltre la semplificazione di procedure - perché non cade soltanto una procedura, ma un insieme regolatorio - e siamo a valle della liberalizzazione, che è presupposta. Gli ordinamenti sopranazionali dettano norme e criteri a favore di de-regolazioni e semplificazioni. Sul piano internazionale, gli accordi WTO prevedono, fra l’altro, la riduzione delle barriere di accesso ai mercati e l'attenuazione delle regolazioni di tariffe e di prezzi. Sul piano comunitario, molte normative hanno eliminato o ridotto regimi autorizzatori per l’accesso ad attività d’impresa e prevedono semplificazioni significative per l’avvio e per l’esercizio di attività economiche: la recente direttiva sui servizi nel mercato interno - di cui si è detto sopra - ne è buona testimonianza. Va sottolineato, tuttavia, che sia il livello internazionale sia quello comunitario sollecitano fortemente la necessità di migliorare la qualità della regolazione dell’economia25. Semplificazioni, snellimenti, “tagli”, vanno sempre accompagnati e sorretti da una riforma della regolazione, nel senso della qualità sia della formulazione delle norme, sia delle amministrazioni chiamate ad attuarle. In questa direzione muovono i Reports dell’OCSE sulla regulatory reform e i documenti comunitari sulla better regulation. Come si è mossa in tutti questi campi l’Italia? Vi sono state alcune semplificazioni normative, realizzate tramite l’approvazione di testi unici o di codici: ad esempio, il recente testo unico sulla radiotelevisione, del 2005, e il codice delle comunicazioni elettroniche, del 2003. Ma vi è ancora un disordine normativo abnorme, che certamente disincentiva le iniziative di imprese efficienti, nazionali e straniere26. Le semplificazioni di procedure amministrative hanno preso corpo con le riforme Cassese del 1993 e hanno conosciuto ulteriori realizzazioni negli anni fino ad oggi. Hanno finito col prevalere, però, interventi frammentati, su singoli procedimenti, e la logica del “taglio” spesso non si è accompagnata a quella della “riforma”: autocertificazioni e mere denunce di avvio di attività devono coniugarsi con la capacità 24 Si veda MAJONE G. (ed.), Deregulation or Re-regulation? Regulatory Reform in Europe and in theUnited States, London, Pinter, 1990. 25 Si veda La qualità della regolazione. Politiche europee e piano d’azione nazionale, a cura di BASILICA F., Rimini, Maggioli, 2006. 26 Il disordine è evidente in Italia, ma riguarda anche altri Paesi: per la situazione francese, ad esempio, si veda il dossier speciale dedicato al désordre normatif nel n. 1/2006 della Revue du droit public. 11 dell’amministrazione di effettuare tempestivi controlli sulle qualità effettive degli operatori. Le strutture amministrative preposte alle semplificazioni hanno conosciuto fasi alterne: a volte sostanzialmente identificate con le varie amministrazioni, a volte unificate in un unico ufficio presso la Presidenza del Consiglio. L’unificazione razionalizza, ma l’individuazione dei problemi e delle prime soluzioni dovrebbe partire da apposite strutture collocate nelle diverse amministrazioni coinvolte dai processi di semplificazione, de-regolazione e riforma della regolazione, tramite un dialogo con le imprese e con gli altri operatori. Insegnamenti utili possono trarsi dall’esperienza statunitense dei reinventing laboratories introdotti nella prima metà degli anni Novanta del Novecento dal programma di riforma amministrativa del Vicepresidente Gore27. Il concreto successo delle riforme recentemente annunciate dal governo italiano, che prospettano la possibilità di avviare un’impresa in un giorno e l’introduzione di procedure velocizzate per la realizzazione di impianti produttivi, dipenderà dal supporto tecnico fornito dalle camere di commercio, dall’effettivo rafforzamento dello sportello unico, dalla tempestività delle amministrazioni statali, regionali e locali nel riorganizzare strutture e procedimenti. 6. Autorità indipendenti Le autorità amministrative indipendenti hanno una lunga tradizione nei Paesi di common law. Esse sono caratterizzate da una particolare expertise tecnica e da uno status di indipendenza - o di semi-indipendenza - dal governo e dall’indirizzo politico28. Le autorità indipendenti hanno continuato a consolidarsi nei sistemi di common law, ma hanno gradualmente preso corpo anche nei Paesi dell’Europa continentale nonostante le diverse tradizioni, basate sul legame stretto fra governo e amministrazione pubblica - e negli altri continenti. Non è mai esistito un “modello” di autorità indipendenti, neppure all’interno di singoli sistemi istituzionali. Lo sviluppo di tali autorità è sempre stato “circostanziale”, poiché ha rappresentato una risposta alle esigenze concrete di alta tecnicità e di indipendenza che in diversi periodi storici sono emerse in differenti settori. In alcune materie le autorità indipendenti sono state previste in numerosi ordinamenti: fra queste, l’antitrust, la regolazione dei mercati finanziari, le telecomunicazioni. Per altre materie le scelte variano da Paese a Paese: ad esempio, i trasporti o l’energia hanno regolatori indipendenti solo in alcuni ordinamenti. Vi sono, inoltre, differenze all’interno di ciascun sistema nazionale, ove in genere le autorità indipendenti sono diverse l’una dall’altra, in termini di composizione degli organi di vertice, di procedure di preposizione all’ufficio, di presenza o meno di limitati poteri d’indirizzo in capo all’esecutivo. L’eterogeneità non è di per sé un fatto negativo. L’eccellente Rapporto del Conseil d’Etat sulle autorità amministrative indipendenti in Francia (del 2001) la considera un segno di ricchezza morfologica di istituzioni che 27 Si veda in proposito OSBORNE D., GAEBLER T., Reinventing Government: How the Entrepreneurial Spirit Is Transforming the Public Sector, Reading (MA), Addison-Wesley, 1992. 28 Si vedano: AMATO G., Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1997, p. 645; D’ALBERTI M., Autorità indipendenti, in Enciclopedia giuridica, vol. IV Aggiornamento, 1995; MERUSI F., Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, Il Mulino, 2000; CLARICH M., Autorità indipendenti, Bologna, Il Mulino, 2005. 12 hanno avuto grande diffusione e notevole incidenza in settori cruciali della vita economica. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse degli ordinamenti sopranazionali per le autorità indipendenti. Basti pensare alle norme comunitarie in materia di sistema bancario, comunicazioni elettroniche, concorrenza. Quanto alle banche, il Trattato CE stabilisce che né la Banca centrale europea (BCE), né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali, nello svolgimento delle funzioni comunitarie, “possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti” (art. 108). Per quel che riguarda le comunicazioni elettroniche, le direttive comunitarie del 2002 stabiliscono che gli Stati membri devono “garantire l’indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione”, nei confronti non soltanto degli operatori economici soggetti a regolazione, ma anche dei governi là dove, come accade in molti Paesi, i governi mantengono la proprietà o il controllo di imprese del settore (art. 3 della direttiva 2002/21/CE). In materia di concorrenza, infine, il regolamento (CE) n. 1/2003, in materia di intese fra imprese e di abusi di posizione dominante, prevede che le autorità antitrust nazionali siano “amministrative” o “giudiziarie” e comunque idonee a garantire “un’efficace conformità” alle disposizioni comunitarie sulla concorrenza. L’accostamento fra amministrazioni e giudici è eloquente. Se sono amministrazioni, devono avere uno status paragonabile a quello degli organi giudiziari, dunque indipendente. Per di più, le autorità nazionali di concorrenza fanno parte, con la Commissione europea, della European Competition Network, che è chiamata ad assicurare la “stretta collaborazione” fra tutte le autorità pubbliche preposte alla tutela della concorrenza. Ciò significa che un’autorità antitrust nazionale, quando conduce un procedimento in un caso di intesa o di abuso applicando direttamente le norme comunitarie di concorrenza, lo istruisce e lo decide “in rete”, sotto gli occhi delle altre autorità nazionali e della Commissione. Non può, dunque, facilmente adottare scelte condizionate da interessi nazionali o da forme di politicizzazione domestica. Di recente, anche i regolatori internazionali hanno mostrato interesse per le autorità indipendenti. A titolo d’esempio, il Groupe d’Action Financière (GAFI) ha predisposto raccomandazioni in materia di prevenzione e repressione del riciclaggio, prevedendo uno status di indipendenza per le istituzioni pubbliche nazionali preposte a disciplinare tale settore29. Gli Stati hanno mostrato un elevato livello di adeguamento alle raccomandazioni. In definitiva, la regolazione ultranazionale sostiene le autorità indipendenti e detta in tal senso norme e criteri che a volte vincolano, a volte condizionano gli ordinamenti nazionali. In Italia, le autorità amministrative indipendenti hanno avuto un consistente sviluppo, soprattutto dagli anni Novanta del secolo XX. La CONSOB, già varata negli anni Settanta, è stata oggetto di ripetute riforme che ne hanno potenziato il ruolo di regolatore indipendente dei mercati finanziari. L’Autorità garante della concorrenza e 29 Si vedano, in particolare: GAFI, Recommendation no. 26, Essential criteria no. 26.1, 26.6. 13 del mercato, istituita nel 1990, ha svolto funzioni rilevanti in materia di repressione di illeciti antitrust, di controllo sulle concentrazioni fra imprese, di segnalazione al governo e al parlamento di leggi o di altre misure pubbliche discorsive del gioco concorrenziale. Come si è visto, recenti norme ne hanno rafforzato i poteri di antitrust enforcement. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni regolano settori cruciali di servizi di utilità pubblica. La legge di riforma del risparmio, del 2005, ha riconosciuto esplicitamente alla Banca d’Italia l’indipendenza non soltanto nell’esercizio delle funzioni di politica monetaria nel contesto europeo - già prevista nel Trattato CE - ma anche nello svolgimento delle funzioni di vigilanza. Ne risulta un quadro di rafforzamento della regolazione indipendente, che certamente costituisce una garanzia di obiettività e di trasparenza, per definizione gradita agli operatori nazionali e stranieri, e contribuisce a favorire le condizioni per una maggiore sintonia fra istituzioni pubbliche e crescita economica. Non sono mancate, tuttavia, controtendenze. Alcuni interventi legislativi hanno limitato il ruolo delle autorità indipendenti. In materia di energia e di comunicazioni elettroniche, ad esempio, alcune competenze attribuite alle autorità sono tornate al governo. I progetti di legge miranti ad introdurre una normativa quadro sulle autorità indipendenti, oltre all’intento (eccessivo) di varare norme omogenee sulle nomine dei vertici, sui poteri, sulle procedure e sul personale, finora non sono stati privi di propositi diretti a ridare spazio all’indirizzo politico. Si annuncia ora un nuovo disegno di legge sulle autorità indipendenti. Si prospetta l’istituzione di un’autorità per i trasporti, e questo è un aspetto positivo. Si prefigura il passaggio dell’Ufficio italiano dei cambi alla Banca d’Italia, con l’istituzione di un’unità indipendente per le funzioni concernenti la prevenzione del riciclaggio, e ciò è in armonia con le raccomandazioni internazionali delle quali s’è detto. Dovrebbero intervenire risistemazioni delle competenze in materia di mercati finanziari, e questo può apparire ragionevole. Più discutibili sembrano le annunciate scelte consistenti nel dettare norme comuni per tutte le autorità indipendenti: la disciplina dei poteri, dei procedimenti, dell’organizzazione delle autorità è bene che abbia connotazioni differenti a seconda delle diverse missioni affidate. Molto discutibili sono anche le proposte tendenti a delineare in via generale un potere d’indirizzo e di alta vigilanza del governo, nonché le previsioni che attribuiscono poteri innominati e atipici, anche d’urgenza, alle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità. 7. La disciplina della concorrenza La disciplina della concorrenza ha avuto un notevole sviluppo nel diritto comunitario. Le norme del Trattato sulle intese e sugli abusi di posizione dominante e le norme regolamentari sulle concentrazioni sono rivolte alle imprese, ne condizionano le condotte e sono state applicate efficacemente dalla Commissione sotto il controllo successivo del giudice comunitario. L’applicazione è stata ancor più rigorosa che negli Stati Uniti, patria dell’antitrust, perché nell’Europa comunitaria la concorrenza è anche strumento essenziale per l’integrazione30. 30 Sulla disciplina comunitaria della concorrenza si vedano, fra l’altro: GERBER D.J., Law and Competition in Twentieth Century Europe, Oxford, University Press, 2001; VAN BAEL I., BELLIS J.F., Competition Law of the European Community, The Hgue, Kluwer Law International, 2005. Sulle 14 Recentemente sono stati approvati provvedimenti di “modernizzazione” del diritto comunitario della concorrenza, che hanno rafforzato i poteri della Commissione europea, hanno reso più efficace l’applicazione da parte delle autorità nazionali degli articoli del Trattato in materia di concorrenza (artt. 81 e 82), hanno dato avvio alla European Competition Network, una rete composta dalla Commissione e dalle autorità nazionali di concorrenza31. Fin qui le norme di concorrenza che riguardano i comportamenti delle imprese. La concorrenza, però, incide anche sui poteri pubblici e sulla regolazione economica. La libera concorrenza, nata come una delle politiche della Comunità europea sorretta da quelle regole, è divenuta gradualmente un principio. Il Trattato CE ha stabilito: “l’azione degli Stati membri e della Comunità comprende…l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza” (art. 4.1). Quindi, la legislazione economica della Comunità e degli Stati membri deve conformarsi al principio di concorrenza. Ciò significa che la concorrenza condiziona l’intera regolazione pubblica dell’economia. Secondo la Corte di giustizia, le norme nazionali che siano in contrasto con regole comunitarie di concorrenza aventi efficacia diretta negli ordinamenti nazionali, come quelle del Trattato che vietano intese e abusi di posizione dominante, sono disapplicabili da giudici interni e da pubbliche amministrazioni. Si trattava, in particolare, di norme italiane che imponevano o favorivano forme di coordinamento fra imprese in contrasto con l’articolo 81, par. 1, del Trattato. Valgono, comunque, le procedure d’infrazione nei confronti di Stati che non si adeguino alle regole comunitarie32. Sul piano internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nei ricordati Reports sulla riforma della regolazione nei vari Paesi aderenti, ha sottolineato la necessità di consolidare scelte bipartisan a favore di una procompetitive stance delle misure regolatorie. In altri termini, la finalità di garanzia e di promozione della concorrenza deve costituire il criterio-guida per tutti i poteri pubblici che sono chiamati ad adottare misure generali o particolari di regolazione dell’economia. L’Italia ha ripreso fedelmente, con la legge n. 287 del 1990, le norme europee di concorrenza rivolte alle imprese, che vietano intese restrittive, abusi di posizione dominante e concentrazioni che limitano la concorrenza in modo sostanziale. L’attuazione delle norme è stata affidata all’Autorità garante della concorrenza e del differenze fra Europa e Stati Uniti d’America, si veda AMATO G., Antitrust and the Bounds of Power, Oxford, Hart Publishing, 1997. 31 Sul diritto comunitario della concorrenza dopo la “modernizzazione” si vedano, fra gli altri: TOSATO G.L., BELLODI L., Il nuovo diritto europeo della concorrenza. Aspetti procedurali, Milano, Giuffrè, 2004; GERADIN D., Modernisation and Enlargement: Two Major Challenger for EC Competition Law, Antwerpen, Oxford, Intersentia, 2005; La concorrenza, a cura di FRIGNANI A., PARDOLESI R., in Trattato di diritto privato dell’Unione europea, diretto da AJANI G., BENACCHIO G.A., Torino, Giappichelli, 2006. 32 Su questi profili, si vedano: LALLI A., La valutazione della regolazione distorsiva del mercato: profili amministrativi e giurisdizionali, in Diritto amministrativo, n. 3/2006; D’ALBERTI M., Competition Law and Regulatory Reform, in corso di pubblicazione in European Public Law Series, 2007. 15 mercato, con il controllo successivo del giudice amministrativo. Anche per questo profilo è stato ripreso il modello comunitario33. L’ordinamento italiano ha seguito quello comunitario, altresì, nel considerare il principio e le regole di concorrenza come criteri che condizionano la regolazione economica dettata dai pubblici poteri. La Costituzione prevede che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione e, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117, comma 1). Dunque, l’intera legislazione nazionale - dello Stato e delle Regioni - deve conformarsi al “vincolo”, al principio e alle regole, di libera concorrenza stabiliti dall’ordinamento comunitario. Le disposizioni nazionali che non siano conformi a regole comunitarie di concorrenza aventi efficacia diretta – come si è visto – sono disapplicabili dai giudici o dalla pubblica amministrazione. Le disposizioni nazionali in contrasto con regole comunitarie prive di efficacia diretta, o con il principio di concorrenza, sono annullabili dalla Corte costituzionale. Per di più, la Costituzione affida in via esclusiva alla legislazione dello Stato la “tutela della concorrenza” (art. 117, comma 2, lett. e). La Corte costituzionale ha attribuito un significato molto esteso a questa formula. Se ne può ricavare che la legislazione dello Stato è chiamata a dettare in via esclusiva non solo la disciplina antitrust, ma anche i criteri minimi necessari ad assicurare una sufficiente apertura dei mercati. Le Regioni sono tenute a rispettare le norme statali emanate in nome della “tutela della concorrenza” nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa, concorrente o “residuale”, come l’agricoltura, il commercio interno, i servizi locali, parti rilevanti dei settori industriali34. Ad esempio, le Regioni possono dettare la disciplina di dettaglio in materia di servizi pubblici locali, purché rispettino i principi stabiliti con legge statale in materia di procedure di gara per il conferimento alle imprese della gestione di quei servizi35. Oppure: se la legge statale ha determinato una certa soglia di liberalizzazione della distribuzione commerciale, per quel che concerne i criteri del rilascio delle autorizzazioni agli esercenti, le regioni possono liberalizzare di più, ma non scendere al di sotto della soglia. In definitiva, la concorrenza condiziona tutta la legislazione e la regolazione economica. E condiziona anche l’attività amministrativa. I procedimenti ad “evidenza pubblica” che le amministrazioni svolgono per l’aggiudicazione di appalti di lavori, di forniture, di servizi, devono rispettare il principio di concorrenza36. Ciò vale anche per il conferimento di concessioni di beni e di servizi pubblici. Le licenze e le autorizzazioni amministrative non possono essere rilasciate a vantaggio di imprese incumbent in determinati settori economici e in pregiudizio di operatori nuovi che aspirino, con 33 Sulla disciplina della concorrenza in Italia, si vedano, fra gli altri: FRIGNANI A., PARDOLESI R., PATRONI GRIFFI A., UBERTAZZI L.C., Diritto antitrust italiano, Bologna, Zanichelli, 1993, 2 volumi; MANGINI V., OLIVIERI G., Diritto antitrust, Torino, Giappichelli, 2000; FATTORI P., TODINO M., La disciplina della concorrenza in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004; PROSPERETTI L., SIRAGUSA M., BERETTA M., MERINI M., Economia e diritto antitrust, Roma, Carocci, 2006. 34 Si veda CORSO G., La tutela della concorrenza come limite della potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in Diritto pubblico, 2002, p. 981. 35 Si veda in proposito Corte cost., n. 272/2004. 36 Il recente codice dei contratti pubblici, varato con decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, prevede esplicitamente che l’affidamento di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, debba rispettare, fra l’altro, il principio di libera concorrenza (art. 2, comma 1). 16 adeguati requisiti finanziari e professionali, ad entrare in quei mercati o a trovarvi maggiore spazio37. I procedimenti amministrativi utilizzati da alcune autorità di regolazione di settore devono seguire criteri propri del diritto antitrust. E’ il caso dei procedimenti adottati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a seguito delle direttive comunitarie del 2002 in materia di comunicazioni elettroniche.. Anche l’organizzazione amministrativa è condizionata dalle regole di concorrenza. Alcune strutture amministrative considerate enti pubblici non economici, in quanto tali distanti dal mercato e dalle sue regole, come i consigli e gli ordini professionali, nel diritto della concorrenza possono assumere la natura di associazioni di imprese, le cui deliberazioni danno luogo ad intese che, se restrittive del gioco concorrenziale per il loro oggetto o per gli effetti, sono illecite e vietate38. I servizi di pubblica utilità sono assoggettati alle regole di concorrenza. Il Trattato CE prevede che “le imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale…sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata” (articolo 86). La giurisprudenza comunitaria ha dato un’interpretazione restrittiva del limite costituito dalla “specifica missione”, considerandolo un’eccezione rispetto alla regola, che è quella della libera concorrenza. Sono rimasti al di fuori delle regole di concorrenza e di mercato i servizi pubblici di natura sociale, come l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. In questi casi il principio solidaristico prevale sulla logica mercantile39. In definitiva, la disciplina della concorrenza riguarda direttamente i comportamenti delle imprese, ma viene ad incidere anche sulle scelte di legislatori, regolatori, amministratori pubblici. Se questo è il quadro che risulta dalla normativa comunitaria e nazionale, restano ancora molti problemi aperti, sia sul piano delle condotte delle imprese, sia sul piano della legislazione e della regolazione economica. In tanti settori la concorrenza fra imprese stenta a decollare. Nelle telecomunicazioni, che hanno ricevuto una forte spinta comunitaria verso una full competition, la telefonia mobile ha fatto buoni passi avanti, mentre la telefonia fissa continua a conoscere distorsioni rilevanti. I mercati del gas e dell’energia elettrica si sono cautamente e progressivamente aperti, ma registrano ancora distorsioni. Fra gli altri, il settore bancario, le assicurazioni, i servizi professionali si aggiungono all’elenco. D’altra parte la legislazione, statale e regionale, mostra segni di apertura, ma conserva ancora residui di protezionismo, di difesa corporativa, di particolarismo locale. I recenti interventi di liberalizzazione e di rafforzamento della concorrenza - che si sono sopra analizzati - introducono misure utili e vanno certamente apprezzati, ma sono ancora insufficienti. Si rende necessario, dunque, mantenere elevato il livello di antitrust enforcement, cioè di repressione degli illeciti anticoncorrenziali commessi dalle imprese. Occorre, al 37 Sul punto si veda Cons. Stato, Sez. VI, n. 336/2004. Si veda in proposito AGCM, Provvedimento 26 novembre 1998, Consigli nazionali dei ragionieri e periti commerciali e dei dottori commercialisti, caso I220, in Boll., n. 48/1998, confermata, in relazione alla natura di associazione d’impresa dei consigli e ordini professionali, da TAR Lazio, 28 gennaio 2000, n. 466, in Foro it., 2000, III, 175. 39 Si veda Corte giustizia CE, sentenza 22 gennaio 2002, INAIL, causa C-218/00, in Racc., 2002, I-691. 38 17 tempo stesso, un’iniziativa sistematica di abrogazioni e di modificazioni della normativa statale e regionale incompatibile con il principio e con le regole di libera concorrenza. 8. Conclusioni e proposte. I nuovi compiti della legislazione e delle amministrazioni pubbliche Come si è visto, la legislazione e la regolazione economica italiana ha conosciuto notevoli trasformazioni negli ultimi due decenni, mostrando un buon livello di adeguamento alle regole e ai criteri provenienti dagli organismi internazionali e dall’ordinamento comunitario. Vi sono state sperimentazioni e realizzazioni rilevanti in termini di liberalizzazioni, privatizzazioni, semplificazioni e de-regolazioni, autorità indipendenti, tutela e promozione della concorrenza. Tutto ciò contiene in sé potenzialità per rendere la legislazione e l’amministrazione italiana più in sintonia con le esigenze di competitività e di crescita economica del Paese. Permangono, tuttavia, lacune e insufficienze in questo importante processo di cambiamento e di maggiore apertura al mercato, che riguardano tutti gli aspetti e i problemi qui trattati. Si rendono necessarie, dunque, indicazioni di rimedi e formulazioni di proposte utili a procedere ulteriormente, sia sul versante della legislazione che sul piano dell’azione amministrativa. Si ritengono prioritarie le raccomandazioni che seguono. a. È necessario, anzitutto, un migliore coordinamento fra uffici nazionali e organismi comunitari. Occorre ricomporre in un quadro più unitario i raccordi che intercorrono fra ciascuna amministrazione o autorità, nazionale o subnazionale, e gli organi della Comunità europea. Devono, certamente, rimanere inalterate le garanzie di autonomia e di indipendenza di cui godono le diverse amministrazioni pubbliche nei loro rapporti con gli organismi comunitari. Ad esempio, l’inserimento di alcune autorità nazionali indipendenti in sistemi europei complessi e formalizzati da norme del Trattato, come avviene per la Banca d’Italia nell’ambito del Sistema europeo delle Banche centrali (“SEBC”); ovvero, la collocazione di altre autorità in “reti” europee più o meno formali di garanti o di regolatori, come accade per l’AGCM all’interno dello European Competition Network (“ECN”), o per l’AGCOM nell’ambito dello European Group of Regulators (“ERG”). Le esperienze che derivano da simili rapporti particolarmente intensi con la dimensione comunitaria vanno tenute in considerazione ai fini di una loro possibile estensione. In ogni caso, dai nessi che le varie amministrazioni pubbliche intrattengono con gli organismi comunitari occorre ricavare coordinate più uniformi per rafforzare la fase ascendente e la fase discendente della produzione normativa comunitaria e della sua attuazione. b. Se in materia di rapporti fra uffici nazionali e organismi comunitari - a livello normativo e amministrativo - si rende necessario un miglioramento dell’attuale stato delle cose, per quel che concerne i rapporti con gli organismi internazionali operanti in campo economico il discorso è quasi completamente da avviare. 18 Vi sono stati - come si è detto - diversi episodi di buon adeguamento della normazione e dei modelli amministrativi italiani agli standard internazionali: è quel che è avvenuto, ad esempio, in materia di repressione dei fenomeni di riciclaggio. Si rende indispensabile, però, costituire apposite strutture amministrative per i raccordi con la "regolazione globale" e per un più sistematico adeguamento ad essa della "domestic regulation". A tal fine, vanno distinti i casi in cui l’amministrazione italiana si rapporta agli organismi internazionali di regolazione economica tramite l’Unione europea, come avviene per i raccordi con la WTO, dai casi in cui gli uffici italiani si muovono anche indipendentemente dall’Unione, come accade per l’inserimento di alcune autorità nazionali in networks internazionali più o meno formalizzati (ad esempio, in materia di energia). c. Vanno individuati criteri da seguire per rafforzare e, soprattutto, per sistematizzare le politiche e le normative di liberalizzazione, nonché le conseguenti scelte amministrative. Si sono evidenziati i passi avanti compiuti in Italia fra il 2006 e l’inizio del 2007 in materia di liberalizzazioni e di rafforzamento della tutela dei consumatori. Si è seguita, finora, una logica “incrementale”, aggiungendo settore a settore ai fini della maggiore apertura al mercato: dalle professioni, all’agro-alimentare, ai contratti assicurativi e bancari, per citare alcuni esempi rilevanti. Occorre, ora, intraprendere una via più generale, più “comprehensive”, che guardi a tutto l’insieme delle regolazioni dei rapporti economici, per individuare le priorità di nuovi interventi, meno sporadici e più sistematici, meno legati alla congiuntura politica e più motivati sul piano dell’analisi economico-istituzionale. La richiamata direttiva sui servizi nel mercato europeo (la direttiva 123/2006/CE) fornisce indicazioni molto utili in tal senso. Essa prevede che gli Stati membri, al fine di rimuovere dalle rispettive normazioni nazionali gli ostacoli che impediscono o limitano la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi, “debbano procedere ad un esame (“screening”) della loro legislazione” per determinare la presenza di tali ostacoli ed elaborino su questa base una relazione40. Ogni relazione dovrà essere trasmessa a tutti gli altri Stati membri e a tutte le parti interessate. Si aprirà, così, un processo di “valutazione reciproca”41: ogni Stato potrà formulare le proprie osservazioni su ciascuna relazione. Dopodiché, la Commissione elaborerà una relazione di sintesi, con possibilità di avanzare proposte per ulteriori iniziative di liberalizzazione e di riduzione di ostacoli. Questo dovrà avvenire per tutti i settori di servizi previsti dalla ricordata direttiva. Più in generale, e al di là dell’ambito di applicazione della direttiva stessa, la via per procedere sistematicamente in materia di liberalizzazioni appare tracciata. È indispensabile condurre un esame, uno “screening”, della normazione nazionale statale, regionale e locale - per poter individuare le materie e i settori nei quali esistono ostacoli e limiti al libero mercato e agli scambi: per identificare, in altri termini, le aree nelle quali si rende necessaria un’apertura maggiore delle attività economiche, una liberalizzazione che rechi vantaggio alla concorrenza e agli interessi dei consumatori. L’esame, lo “screening”, della normazione non può che essere tecnico e va condotto sulla base dell’analisi economico-giuridica delle regolazioni relative ai vari settori e 40 41 In tal senso il considerando 74 della direttiva. Si veda l’art. 39 della direttiva. 19 mercati. Tale esame, dunque, va affidato ad una commissione di esperti indipendenti, designati e nominati con una procedura che garantisca loro piena autonomia di giudizio, e non può essere svolto da organismi politici, né governativi né parlamentari. Gli organismi politici debbono intervenire “a valle” rispetto allo screening tecnico, per adottare le decisioni finali sui settori da liberalizzare e sull’intensità della liberalizzazione. d. È necessario individuare criteri per migliorare le politiche di privatizzazione delle imprese in mano pubblica e le analisi valutative delle istituzioni ad esse preposte. Secondo le indicazioni che provengono dagli organismi internazionali - soprattutto l’IMF, la WB e l’OCSE - sono da preferire le privatizzazioni in situazioni di mercato in cui la concorrenza ha già conosciuto sviluppi considerevoli, mentre andrebbero evitate quelle che riguardano settori monopolistici od oligopolistici. Al di là di questo, le imprese interessate e gli organismi pubblici - centrali, regionali o locali - con poteri decisionali in materia dovrebbero condurre complessive analisi di mercato e potrebbero individuare ordini di priorità delle dismissioni da mettere in campo. e. Vanno prospettate linee per sviluppare ulteriormente le autorità indipendenti. Come si è visto, il favor per l’indipendenza dei soggetti pubblici chiamati a garantire e a regolare i mercati si è rafforzato nella normativa comunitaria, originaria e derivata. La legislazione italiana ha seguito questa via con non poche contraddizioni. In particolare, i governi hanno mostrato più volte di voler riconquistare a sé attribuzioni e competenze già affidate alle autorità indipendenti. Ora è indispensabile cambiare rotta. Sono state formulate diverse proposte di riforma, ma occorre andare oltre. Alcuni settori hanno bisogno di regolazione indipendente. È il caso dei trasporti, o dei servizi postali. Il più recente disegno di legge, già menzionato, ha seguito questa via. Nella regolazione dei mercati finanziari si rende opportuna una razionalizzazione delle competenze: lo stesso disegno di legge offre soluzioni al riguardo. Quel che più conta, però, è assicurare autentica autonomia e indipendenza di giudizio alle autorità, evitando incursioni dell’esecutivo. Da questo punto di vista, mentre è ammissibile che vi siano poteri di indirizzo politico del governo - da esercitarsi secondo procedure adeguatamente modellate dalle norme - che incidano sull’attività delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (ad esempio in materia di energia), è da escludere che le autorità preposte ai mercati finanziari o l’autorità antitrust siano influenzate dal circuito dell’indirizzo o dell’alta vigilanza di governo. Sotto questo profilo, le eventuali riforme legislative dovranno essere chiare. D’altra parte - come si è in parte anticipato - il potenziamento della regolazione indipendente non può significare attribuzione alle autorità di poteri innominati e atipici. Le norme debbono prevedere in modo specifico - e non generico - i presupposti e i fini dei poteri affidati alle autorità. Infine, se alcuni elementi di omogeneizzazione vanno introdotti nella disciplina legislativa delle autorità, ciò non deve significare eccessiva uniformità. Forse si giustificano procedure di nomina diverse per le autorità di regolazione dei servizi pubblici, da un lato, e per quelle preposte ai mercati finanziari o all’antitrust, dall’altro. Certamente diversa deve restare la disciplina dei procedimenti decisionali adottati dalle varie autorità ed anche la disciplina dell’organizzazione. 20 Quanto al personale, appare poco opportuno prevedere che passaggi e trasferimenti di dipendenti avvengano all’interno dell’insieme delle autorità indipendenti. Una simile soluzione verrebbe a creare una sorta di “comparto” delle autorità, ad esclusione del personale delle altre amministrazioni. La via da seguire sembra, invece, quella di ottenere gradualmente un rafforzamento dell’expertise dei funzionari di tutte le amministrazioni pubbliche e di consentire, semmai, un interscambio di dimensioni più estese. f. Si rende necessaria una revisione in senso pro-concorrenziale della legislazione economica nazionale, dello Stato e delle Regioni. Come si è visto, i recenti interventi normativi in materia di liberalizzazioni hanno anche favorito in parte la libera concorrenza. Ma un enorme lavoro resta ancora da svolgere. Le segnalazioni dell’AGCM hanno messo in luce svariate leggi statali e regionali discorsive della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato. È necessario ora condurre un attento e sistematico esame della regolazione economica nazionale - statale, regionale e locale - per evidenziare ulteriori norme discorsive della concorrenza e per proporre rimedi, in termini di abrogazione o di modificazione di regole. Anche in tal caso - come per le liberalizzazioni - l’esame deve essere tecnico e va condotto sulla base dell’analisi economico-giuridica della regolazione nazionale. Si potrebbero mettere in campo strumenti analoghi a quelli indicati a proposito delle liberalizzazioni. Il problema è però - almeno parzialmente - diverso: i settori da liberalizzare sono quelli in cui esistono ostacoli che impediscono o frenano l’apertura del mercato a più operatori; i settori nei quali va promossa la libera concorrenza sono anche quelli in cui la liberalizzazione - come apertura a più operatori economici - si è avuta, ma la concorrenza effettiva stenta a decollare. g. Sono indispensabili e urgenti programmi di formazione del personale pubblico in materia di "global regulation”. L’adeguamento della normazione e della prassi amministrativa italiana alle normative comunitarie e agli standard internazionali ha mostrato, come si è evidenziato, i suoi alti e bassi, ma si è comunque verificato indipendentemente da programmi organici di formazione del personale pubblico, soprattutto per quel che riguarda gli approfondimenti circa la disciplina internazionale dell’economia. Anche gli studi dottrinali sono, sotto questo profilo, appena agli esordi. 21 Occorre moltiplicare e rafforzare le iniziative da parte delle Università, degli uffici parlamentari, delle scuole e degli istituti di formazione e delle amministrazioni pubbliche centrali, regionali e locali. Per quel che riguarda, in particolare, i programmi di formazione, le apposite agenzie e scuole pubbliche e le Università sono chiamate a potenziare i corsi dedicati alla global economic regulation, che possano valere soprattutto per il reclutamento di personale amministrativo da destinare agli uffici maggiormente coinvolti nei raccordi con l’Unione europea e con gli organismi internazionali. Vanno sviluppate, inoltre, iniziative di formazione sul campo per il personale già in servizio. Potranno trarsi utili modelli dalle esperienze svolte dalle amministrazioni e dalle autorità pubbliche, come la Banca d’Italia, che più di altre hanno intrapreso rapporti con organismi sopranazionali. È evidente che in mancanza di adeguati programmi di formazione, vi potranno essere sporadiche aperture al quadro ultranazionale, imposte o sollecitate da singole norme o raccomandazioni provenienti dal sistema europeo e dagli organismi internazionali; ma mancherà il respiro più ampio del quale il nostro Paese necessita per poter sintonizzare la sua legislazione e la sua amministrazione con obiettivi di maggiore competitività e di più credibile crescita economica. 22 Riferimenti bibliografici AMATO G, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1997, p. 645; AMATO G., Antitrust and the Bounds of Power, Oxford, Hart Publishing, 1997; BASILICA, a cura di, La semplificazione. Politiche europee e piano d’azione nazionale, Rimini, Maggioli, 2006; BASILICA F., a cura di, La qualità della regolazione. 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