Le guerre puniche
Le guerre romano-puniche furono una serie di tre guerre combattute fra Roma e Cartagine tra il III e II
secolo a.C., che si risolsero con la totale supremazia di Roma sul Mar Mediterraneo; supremazia diretta nella
parte occidentale e controllo per mezzo di regni a sovranità limitata nell'Egeo e nel Mar Nero. Sono conosciute
come puniche in quanto i romani chiamavano punici i Cartaginesi. A sua volta il termine punico è una corruzione di
fenicio, come Cartagine è una corruzione del fenicio Karth Hadash (città nuova).
Le due città per lunghi secoli tennero un atteggiamento di reciproco rispetto. Lo storico Polibio ci informa di
quattro trattati fra Roma e Cartagine: 509 a.C., 348 a.C., 306 a.C., 279 a.C. L'ultimo ebbe la forma di un'alleanza
(anche se non stretta) contro Pirro, re dell'Epiro, chiamato in Italia da Taranto contro i romani e poi in Sicilia da
Siracusa contro i Cartaginesi.
La sconfitta di Pirro a Maleventum sancì il definitivo ingresso di Roma - che arrivò così a controllare
saldamente l'Italia centtro-meridionale - nel novero delle grandi potenze del Mediterraneo.
Proprio la precedente sconfitta di Pirro in Sicilia per opera dei romani segnò la divisione dell'isola in due
settori: a ovest i punici, a est Siracusa. Quest'ultima città, per poter estendere il suo potere dovette rivolgersi
contro i Mamertini di Messina che inviarono ambasciatori per chiedere aiuto a entrambe le città. L'antica comunità
di intenti, basata sulla simmetria degli interessi (terrestri per Roma, navali per Cartagine) cessò all'improvviso. Per
118 anni la guerra imperversò, gradualmente estendendosi a tutto il Mediterraneo, fino alla totale distruzione di
Cartagine.
La Prima guerra punica (264 a.C. - 241 a.C.) fu principalmente una guerra navale. Le richieste di soccorso
dei Mamertini contro Siracusa raggiunsero Roma e Cartagine. Roma, impegnata nella pacificazione del territorio
sannita e nell'inizio di espansione nella pianura padana era riluttante a impegnarsi in Sicilia. Cartagine inviò subito
una squadra navale. La conquista di Messina gettava segnali favorevoli nella secolare lotta con Siracusa;
Cartagine poneva finalmente piede anche nel settore orientale dell'isola. Probabilmente vedere Cartagine a poche
miglia dalle coste del Bruttium appena conquistato dovette creare qualche apprensione nel senato romano che
acconsentì a inviare soccorsi a Messina.
Questo andava contro il trattato del 300 a.C. che vietava gli interventi di Roma in Sicilia. Cartagine dichiarò
guerra; visto il pericolo, si alleò con la sua nemica storica, Siracusa, contro Roma ed i Mamertini.
La maggior parte della prima guerra punica, comprese le battaglie più decisive, fu combattuta in mare, uno
spazio ben noto alle flotte cartaginesi. Però entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente
nell'allestimento delle flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche sia di Roma che di Cartagine.
All'inizio della guerra Roma non aveva nessuna esperienza di guerra navale. Le sue legioni erano vittoriose
da secoli nelle terre italiche ma non esisteva una marina. La prima grande flotta fu costruita dopo la battaglia di
Agrigentum del 261 a.C. Ma Roma mancava della tecnologia navale e quindi dovette costruire una flotta
basandosi sulle triremi e quinqueremi (navi che avevano ordini di due o tre remi e ciascun remo era manovrato da
più rematori) cartaginesi catturate. Per compensare la mancanza di esperienza in battaglie con le navi, Roma
equipaggiò le sue con uno speciale congegno d'abbordaggio: il corvo che agganciava la nave nemica e
permetteva alla fanteria, trasportata, di combattere come sapeva fare. In almeno tre occasioni 255 a.C., 253 a.C. e
249 a.C. intere flotte furono distrutte dal maltempo. Non è certo che il peso dei corvi sulle prore delle navi sia stato
il maggior responsabile dei disastri.
Tre battaglie terrestri di larga scala furono combattute durante questa guerra. Nel 262 a.C. Roma assediò
Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli eserciti consolari (quattro legioni). Giunsero rinforzi
cartaginesi guidati da Annone. Dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia che fu vinta dai Romani.
Agrigento cadde.
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La seconda operazione terrestre fu quella di Marco Attilio Regolo, quando, fra il 256 a.C. e il 255 a.C. Roma
portò la guerra in Africa. Cartagine venne sconfitta nella battaglia di Capo Ecnomo da una grande flotta romana
appositamente approntata e le legioni di Attilio Regolo sbarcarono in Africa. All'inizio Regolo vinse la battaglia di
Adys. Cartagine chiese la pace. I negoziati fallirono e Cartagine, assunto il mercenario spartano Santippo, riuscì a
fermare l'avanzate romana nella battaglia di Tunisi.
La guerra fu decisa nella battaglia navale delle Egadi (10 marzo 241 a.C.) vinta dalla flotta romana sotto la
guida del console Gaio Lutazio Catulo.
Poco tempo dopo i Romani si impadronirono della Sardegna e della Corsica (238), dell’Illiria , cioè
dell’attuale Dalmazia (228)e della Gallia Cisalpina (225-222).
Nell'intervallo di tempo fra la prima e la seconda guerra punica, Cartagine dovette subire e reprimere una
rivolta delle truppe mercenarie che aveva impiegato. La rivolta era dovuta all'impossibilità dei punici di pagare le
truppe stesse alla fine del conflitto. Dopo tre anni di battaglie i mercenari furono sgominati e Cartagine poté
riprendere il suo percorso per riconquistare il vigore economico precedente. Dopo acerrime lotte politiche fra le
due principali fazioni cittadine, Amilcare Barca, padre di Annibale e capostipite dei cosiddetti Barcidi partì per la
Spagna con un piccolo esercito di mercenari e cittadini punici. I Fenici infatti, dopo aver perso le isole, cercavano
una riscossa nel Mediterraneo, ed una fonte di ricchezza per pagare le forti indennità di guerra dovute a Roma.
Non essendo aiutato dalla città, Amilcare dovette marciare per tutta la costa del Nordafrica e buona parte della
costa spagnola. Sottomise molte popolazioni iberiche e alla sua morte fu sostituito dal genero Asdrubale che
consolidò le conquiste fatte, fondò la città di Chartago Nova (oggi Cartagena) e stipulò un trattato con Roma. Il
trattato poneva i limiti di espansione punica in Iberia a sud del fiume Ebro. Quando anche Asdrubale fu ucciso
l'esercito scelse come capo Annibale, ancora ventisettenne. Cartagine accettò la designazione. Dopo due anni
Annibale decise di portare la guerra in Italia, scatenando la seconda guerra punica.
La seconda guerra punica (218 a.C. - 202 a.C.) consistette essenzialmente in una serie di battaglie
terrestri. Spiccano le figure di Annibale e Publio Cornelio Scipione detto successivamente per le vittorie avute in
Africa "l'Africano". Il casus belli scelto da Annibale fu Sagunto. Alleata di Roma ma posta a sud dell'Ebro, cioè
entro i "confini" punici, la città fu assalita, assediata e distrutta. Roma chiese a Cartagine di sconfessare Annibale.
Cartagine rifiutò e accettò la dichiarazione di guerra. Annibale partì dalla Spagna con un esercito di circa 50.000
uomini, 6.000 cavalieri e 37 elefanti.
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Attraversate le Alpi, presumibilmente al passo del Moncenisio o del Monginevro, Annibale giunse nella
Pianura padana con più o meno metà delle forze. Nell'ottica di portare dalla sua parte le tribù galliche in lotta con
Roma, combatté e sconfisse i Taurini, avversari degli Insubri che gli si allearono assieme ai Boi. Con magistrale
uso della cavalleria sconfisse le forze romane in due importanti battaglie sul Ticino e sulla Trebbia (218). L'anno
successivo attraversò l'Appennino e batté seccamente le legioni di Roma nella battaglia del Lago Trasimeno
(217). Sapendo di non poter assediare Roma prima di aver raccolto attorno a sé le popolazioni dell'Italia centrale e
meridionale si diresse verso la Puglia dove, a Canne, inferse nel 217 una tremenda sconfitta all'esercito romano.
Ancora una volta non osò attaccare Roma che già si aspettava l'assedio e si limitò a operare nelle regioni del sud
Italia.
Roma, lentamente si riprese e adottando nuovamente la tattica del dittatore Quinto Fabio Massimo, che poi
prenderà il soprannome di "cunctator" (temporeggiatore) per anni e con alterne fortune, combatté il generale
cartaginese restringendo sempre di più il territorio della sua azione riconquistando man mano le città che Annibale
conquistava, non appena le condizioni militari o sociali lo consentivano. Così Capua, Taranto, per citare le più
importanti, passarono di mano da Roma ad Annibale e di nuovo a Roma.
Nel frattempo Roma portava la guerra in Spagna, prima con i fratelli Publio (padre dell'Africano) e Gneo
Cornelio Scipione, e poi dopo la loro morte con Publio Scipione (futuro Africano) che attaccarono Asdrubale e
Magone (fratelli di Annibale). La Spagna fu conquistata e Asdrubale venne in Italia cercando di portare rinforzi al
fratello. Al fiume Metauro fu sconfitto e ucciso. Magone provò a muovere le tribù galliche della pianura padana ma
fu sconfitto e ferito. Richiamato in patria, morì per le ferite durante la traversata.
In maniera non determinante fu coinvolto anche il re Filippo V di Macedonia che si alleò con Annibale e
provò a combattere i romani i quali si stavano espandendo nell'Illiria e quindi si avvicinavano ai suoi territori. Roma
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mosse la sua diplomazia e le sue legioni riuscendo a fermare i Macedoni senza grandi sforzi e aiutata dal re di
Pergamo.
Altre figure importanti della seconda guerra punica sono i re numidi Massinissa e Siface. Massinissa entrò
in guerra come alleato di Annibale e la terminò come alleato di Scipione. Specularmente, Siface era alleato di
Roma e finì la guerra come alleato di Cartagine.
Senza rifornimenti e rinforzi da Cartagine e senza riuscire a far sollevare le popolazioni del centro Italia
contro Roma, Annibale si ritrovò praticamente assediato sui monti della Calabria dove, in seguito, gli giunse
l'ordine di Cartagine di tornare in Africa per portare aiuto contro Publio Cornelio Scipione (Africano). Contrastando
il volere del Senato, guidato da Quinto Fabio Massimo che riteneva prioritario estromettere Annibale dalla
Penisola, Scipione, in qualità di proconsole della Sicilia e aiutato dalle città italiche, partì per l'Africa attaccando
direttamente Cartagine. La città punica si vide costretta a richiamare Annibale che rientrò in patria dopo 34 anni di
assenza. Nel 202 a.C. a Naraggara, nei pressi di Zama, Scipione volse contro Annibale la sua stessa strategia e
lo sconfisse, determinando la fine della seconda guerra punica.
Itinerari dei Cartaginesi e principali battaglie nel corso della seconda guerra punica
Dopo l'avventura di Annibale, Cartagine aveva dovuto cedere anche le redditizie conquiste in Spagna,
stava inoltre pagando puntualmente le nuove indennità per la seconda sconfitta (200 talenti d'argento annui per 50
anni). Addirittura prestò aiuto militare alle forze di Roma nelle guerre contro Antioco III, Filippo V e Perseo. La
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relativa decadenza dello stato era mitigata da un riprendersi del commercio e un nuovo impulso dato all'agricoltura
e in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite.
Roma, però, non poteva dimenticare il pesante carico di costi economici, umani e psicologici causati dalla
precedente guerra. Lo sforzo bellico fu grandioso in termini di risorse umane. Si può calcolare che con le forze
degli alleati, Roma dovesse mantenere oltre 200.000 uomini a combattere cui bisogna aggiungere le forze navali.
Ogni combattente era sottratto alle campagne e all'agricoltura. Si può quindi comprendere perché Roma fosse ben
attenta a far sì che Cartagine non rialzasse la testa. Nondimeno, la situazione poteva mantenersi in uno stato di
precario equilibrio se non fosse intervenuto Massinissa.
Questi approfittò degli accordi di pace del 201 a.C. che vietavano a Cartagine persino l'autodifesa senza il
consenso di Roma, per sottrarre territori di confine anche con la forza.
Nel 193 a.C. Massinissa occupò Emporia e il senato romano inviò a Cartagine una delegazione; nel 174
a.C. occupò Tisca e Roma inviò Catone alla guida di un'altra commissione; ancora, il re numida occupò Oroscopa.
Nel 150 a.C. l'esasperata Cartagine, rompendo i patti, apprestò un esercito di 50.000 uomini cercando di
riconquistare Oroscopa ma fu sconfitta. Il rischio per Roma era che Cartagine, troppo indebolita, cadesse preda
della Numidia. Si sarebbe formato uno stato ricco, esteso dall'Atlantico all'Egitto e militarmente forte. La rottura dei
patti fornì Roma di un pretesto perfetto per poter intervenire e dichiarò guerra all'eterna rivale. Era il 149 a.C. e
iniziava la terza guerra punica.
Territori romani e cartaginesi alla fine della seconda guerra punica
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Non appena si seppe che i romani erano partiti con un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri Cartagine
capitolò, inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica. L'esercito romano sbarcò vicino a
Utica, che si arrese.
I consoli ricevettero gli ambasciatori di Cartagine che dovettero accettare le condizioni poste: Cartagine
consegnò armature, catapulte e altro materiale bellico. Resi inermi i cartaginesi, Censorino disse che la città
doveva essere distrutta e ricostruita 15 km all'interno. Il popolo cartaginese si ribellò; furono uccisi tutti gli italici
presenti in città, furono liberati gli schiavi per avere aiuto nella difesa, furono richiamati Asdrubale e altri esuli, fu
chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare una delegazione a Roma. In questi 30 giorni, si ebbe una frenetica
corsa al riarmo. I cartaginesi riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili
per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i romani
arrivarono alle mura di Cartagine trovarono un intero popolo stretto a difesa della sua città. Fu posto l'assedio.
Cartagine era estremamente ben difesa. La sosta aveva dato ad Asdrubale, posto a capo dell'esercito, la
possibilità di raccogliere circa 50.000 uomini ben armati e l'assedio si protrasse. Nel 148 a.C. i nuovi consoli
furono inviati in Africa ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori. Gli insuccessi romani resero audaci i
cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di stato e ordinò di esporre sulle mura i prigionieri
orrendamente mutilati.
Nel 147 a.C. Publio Cornelio Scipione Emiliano venne nominato console, avendo come collega Caio Livio
Druso. Asdrubale che difendeva il porto con 7.000 uomini, fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa.
Scipione bloccò il porto da cui arrivavano i rifornimenti per gli assediati. Questi scavarono un tunnel-canale e
riuscirono a costruire cinquanta navi ma Scipione distrusse la flotta e il tunnel-canale fu chiuso. Nel frattempo
Nefari fu attaccata da truppe romane e cadde; questo portò la resa delle altre città. I romani si poterono
concentrare su Cartagine.
L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno senza viveri e attaccata da una pestilenza. Scipione non
forzò l'attacco che venne lanciato solo nel 146 a.C. I sopravvissuti per quindici giorni impegnarono i romani in una
disperata battaglia per le strade della città. Ma l'esito era scontato. Gli ultimi soldati si rinchiusero nel tempio di
Eshmun altri otto giorni. Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati. Cartagine fu rasa al suolo,
bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto.
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I domini di Roma alla fine delle guerre puniche
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