CAPITOLO III SEQUESTRO PREVENTIVO E SITI WEB 1. Premessa

Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo - Servizio Penale
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CAPITOLO III
SEQUESTRO PREVENTIVO E SITI WEB
(Pietro Molino)
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il sequestro mediante “oscuramento” di siti web. – 3. Il sequestro
della testata giornalistica telematica.
1. Premessa.
Le Sezioni unite - 29 gennaio 2015, n. 31022, F., Rv. 264089- Rv. 264090 - si sono
pronunciate in tema di sequestro di siti web e di testate giornalistiche online, affermando i
seguenti principi:
1)
“In tema di sequestro preventivo, l'autorità giudiziaria, ove ricorrano i presupposti del
"fumus commissi delicti" e del "periculum in mora", può disporre, nel rispetto del principio di
proporzionalità, il sequestro preventivo di un intero sito web o di una singola pagina telematica,
imponendo al fornitore dei servizi internet, anche in via d'urgenza, di oscurare una risorsa elettronica o di
impedirne l'accesso agli utenti ai sensi degli artt. 14, 15 e 16 del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, in quanto
la equiparazione dei dati informatici alle cose in senso giuridico consente di inibire la disponibilità delle
informazioni in rete e di impedire la protrazione delle conseguenze dannose del reato”;
2)
“In tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica,
funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di "stampa"
di cui all'art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro
preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di
prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina
l'attività di informazione professionale diretta al pubblico. (In motivazione la Corte ha precisato che, in
tale ambito, non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via
telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo
espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali
relative al sequestro della stampa)”.
La prima sezione aveva richiesto al supremo collegio di chiarire due questioni,
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strettamente connesse tra loro: la prima, di carattere generale, concernente la stessa
possibilità giuridica di disporre il sequestro preventivo di risorse telematiche, posto che in
tale frangente la cautela si risolverebbe non nella materiale apprensione della cosa
pertinente al reato, bensì nell'imposizione all'indagato o all'imputato o a terzi di un facere,
consistente nel compimento delle operazioni tecniche necessarie per "oscurare" e rendere,
quindi, inaccessibili agli utenti, ove ne ricorrano i presupposti, un intero sito o una pagina
web; la seconda, evidentemente conseguente ad una positiva risposta al primo quesito,
riguardante l'ammissibilità del sequestro preventivo della pagina web di una testata
giornalistica telematica debitamente registrata.
2. Il sequestro mediante “oscuramento” di siti web.
La questione preliminarmente rilevata dalla Sezione rimettente attiene all’astratta
possibilità che il contenuto precettivo del decreto di sequestro preventivo emesso ai sensi
degli artt. 321 c.p.p. e 104 disp. att. c.p.p. si risolva nell’imposizione di uno specifico
obbligo di fare in capo all’indagato, all’imputato o a soggetti terzi; in particolare, nella
fattispecie esaminata si trattava di imporre ai soggetti che svolgono le funzioni di cd.
“access provider” di consentire, mediante un sistema di “filtraggio” dei codici, l’accesso
degli utenti al sito o alla pagina web posti sotto vincolo cautelare.
La sezione rimettente, pur dando atto di un tendenziale orientamento della
giurisprudenza di legittimità nel senso dell'ammissibilità del sequestro preventivo
mediante oscuramento di interi siti internet o di singole pagine web (Sez. I, 4 giugno 2014,
n. 32846, Ceraso, Rv. 261195; Sez. V, 5 novembre 2013, n. 10594/2014, Montanari, Rv.
259887; Sez. V, 30 ottobre 2013, n. 11895/2014, Belviso, Rv. 258333; Sez. V, 19
settembre 2011, n. 46504, Bogetti; Sez. V, 18 gennaio 2011, n. 47081, Groppo, Rv.
251208; Sez. V, 10 gennaio 2011, n. 7155, Barbacetto, Rv. 249510; Sez. VI, 28 giugno
2007, n. 30968, Pantano, Rv. 237485; Sez. III, 27 settembre 2007, n. 39354, Bassora, Rv.
237819), manifestava perplessità – denunziando l’assenza di particolari approfondimenti
nei precedenti della Corte - sulla possibilità di imporre, a scopo preventivo, all'indagato,
all'imputato o a terzi privati il compimento di attività tecniche necessarie per impedire
l'accesso al sito o alla pagina web, oggetto di sequestro: e ciò in quanto la normativa sulla
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cautela reale, tipizzata e disciplinata dall'art. 321 cod. proc. pen. e art. 104 disp. att. cod.
proc. pen., implica l'apprensione, in senso materiale o giuridico, della res da cui consegue il
connesso vincolo d'indisponibilità della stessa, non già invece l'imposizione esclusiva di
un fare.
Il collegio rimettente adduceva un ulteriore argomento di segno contrario alla
posizione dominante, osservando come il legislatore, attraverso l'art. 254-bis cod. proc.
pen., disciplina il sequestro probatorio di dati informatici presso fornitori di servizi
informatici, telematici e di telecomunicazioni, laddove un’analoga previsione non è
rinvenibile in materia di sequestro preventivo.
Nel respingere il dubbio interpretativo - e nel consacrare dunque la possibilità di
sottoporre a sequestro un sito o una pagina web mediante l’imposizione di un obbligo
positivo di “inibizione” all’accesso – le sezioni unite muovono da una ricostruzione dei
presupposti del sequestro preventivo, figura caratterizzata da un immediato fine di
prevenzione e perciò tendenzialmente orientata ad operare, pur non perdendo la sua
connotazione "reale", come misura inibitoria, proprio in quanto caratterizzata da finalità
di difesa sociale.
La Corte sottolinea come già nella Relazione al Progetto preliminare del codice di rito
del 1988 si evidenzia che il sequestro preventivo non mira semplicemente a trasferire la res
nella disponibilità del giudice, ma tende piuttosto ad inibire certe attività (la vendita o
l'uso) che attraverso la stessa il destinatario della misura può realizzare, in quanto
"fondamento dell'istituto in questione resta l'esigenza (...) di tutela della collettività con riferimento al
protrarsi dell'attività criminosa e dei suoi effetti". La misura, pur raccordandosi ontologicamente
a un reato, può prescindere totalmente da qualsiasi profilo di "colpevolezza", proprio
perché la funzione preventiva non si proietta necessariamente sull'autore del fatto
criminoso, ma su beni che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, sono
riguardati dall'ordinamento quali strumenti la cui libera disponibilità può costituire
situazione di pericolo.
La stessa locuzione "cosa pertinente al reato" di cui all'art. 321 cod. proc. pen. ha un
significato più ampio di quella impiegata nell'art. 253 cod. proc. pen., comprendendo non
soltanto qualunque cosa sulla quale e a mezzo della quale il reato fu commesso o che ne
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costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate indirettamente alla
fattispecie criminosa: la nozione di pertinenza di cui all'art. 321 cod. proc. pen. delimita il
campo di operatività del sequestro preventivo alla sua finalità, con l'effetto che la misura
finisce con l'assumere una "connotazione di natura sostanziale", nel senso che il vincolo
d'indisponibilità al quale la cosa è sottoposta scongiura il pericolo della perpetuatio criminis
ovvero della commissione di altri reati.
Tanto premesso, la Corte entra nel cuore della questione agitata, rimarcando la
necessità di chiarire se il dato informatico in quanto tale abbia una sua fisicità, rientri cioè
nel concetto di "cosa": la particolarità della fattispecie, infatti, è che l’oggetto della
coercizione reale non è un’entità del mondo fisico suscettibile di apprensione, possesso e
custodia, bensì identificabile in un prodotto del pensiero umano che circola liberamente
nella rete telematica in forma dematerializzata e che pertanto può essere assoggettato a
sequestro preventivo solo mediante un intervento, a contenuto inevitabilmente inibitorio,
sul prestatore di servizio affinché impedisca l'accesso al sito o alla singola pagina ovvero
disponga il blocco o la cancellazione del file incriminato.
Al riguardo, il supremo collegio sottolinea che, mentre “…Internet non è un luogo, né uno
spazio, ma semplicemente una metodologia di comunicazione ipertestuale che consente l'accesso a qualsiasi
contenuto digitale posto su sistemi informatici connessi alla rete…”, la dimensione fisica delle
informazioni reperibili attraverso la rete telematica consiste nella struttura di ciascun file e
si radica spazialmente nel computer, al cui interno il documento è materialmente
memorizzato: “…i documenti reperibili in rete non sono altro che files (registrazioni magnetiche o
ottiche di bytes) registrati all'interno dei servers degli Internet Service Providers ovvero sugli elaboratori
degli utenti, utilizzando un sia pure infinitesimale spazio fisico. Il dato informatico, quindi, è incorporato
sempre in un supporto fisico, anche se la sua fruizione attraverso la rete fa perdere di vista la sua
fisicità…”.
Le Sezioni Unite osservano ancora che, a seguito dell'entrata in vigore della legge 18
marzo 2008, n. 48, di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità
informatica, stipulata a Budapest il 23 novembre 2001, il dato informatico è
esplicitamente equiparato al concetto di "cosa", che dunque, se pertinente al reato, ben
può essere oggetto di sequestro.
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Anche le modifiche apportate al codice penale e a quello di procedura penale,
apportate dalla L. n. 48 del 2008 di esecuzione della detta Convenzione, confermano
l'assimilazione del dato informatico alle "cose".
In particolare, la modifica dell’art. 254 del codice di rito rende palese che il dato
informatico in sé, in quanto normativamente equiparato a una "cosa", può essere oggetto
di sequestro: è ben vero che tali modifiche interessano il sequestro probatorio, ma è
altrettanto indiscutibile che se anche quest’ultimo si distingue da quello preventivo per le
diverse finalità, entrambi hanno in comune la caratteristica fondamentale di scongiurare
una indiscriminata utilizzabilità della res che ne forma oggetto, sottraendola alla
disponibilità materiale e/o giuridica del proprietario, possessore o detentore; di modo che
le considerazioni in ordine all'equiparazione normativa del dato informatico alla res
devono essere estese al sequestro preventivo avente ad oggetto dati informatici, non
essendo concepibile sul piano logico una differenziata valutazione al riguardo, posto che
la stessa attiene al medesimo oggetto del vincolo d'indisponibilità.
Al culmine del percorso argomentativo, le sezioni unite dichiarano allora che le
particolari modalità del “sequestro informatico” – ossia l’imposizione a terzi di un obbligo
di impedimento all’accesso al sito – rispettano i principi di legalità e proporzionalità.
Il richiamo è alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, che,
in attuazione della Direttiva n. 2000/31/CE, ha regolamentato taluni aspetti giuridici dei
servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al
commercio elettronico: come già correttamente rilevato (in tema di copyright) da Sez. III,
29 luglio 2009, n. 49437, Sunde Kolmisoppi, Rv. 245937, la lettura congiunta e coordinata
delle disposizioni contenute nel d. lgs. n. 70 del 2003 consente di affermare che quanto in
esse previsto delinea una vera e propria inibitoria, posto che il meccanismo processuale,
attraverso il quale si consegue l'obiettivo di paralizzare la protrazione delle conseguenze
dannose del reato o il rischio di reiterazione dell'attività criminosa, implica, a seguito del
sequestro preventivo con cui s'impone al fornitore dei servizi telematici di bloccare
l'accesso degli utenti alle risorse elettroniche incriminate, l'intervento tecnico di tale
fornitore, che deve rendere, operando in modo consequenziale, concretamente
indisponibili tali risorse.
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Conclusivamente - affermano le sezioni unite – “… nell'ambito del mondo digitale, il
sequestro preventivo, ove ne ricorrano i presupposti, investe direttamente la disponibilità delle risorse
telematiche o informatiche d'interesse, equiparate normativamente a "cose", e ridonda, solo come
conseguenza, anche in inibizione di attività, per garantire concreta incisività alla misura…”.
L’approdo raggiunto dal supremo consesso – ed in particolare il richiamo al rispetto
del principio di proporzionalità – suggerisce un confronto con la giurisprudenza
comunitaria che, chiamata ovviamente a pronunciarsi in un ambito diverso quale quello
della possibile violazione dei principi eurounitari per effetto di misure procedurali interne
volte a tutelare il diritto d’autore, ha più volte ribadito che le modalità delle ingiunzioni
sono stabilite dal diritto nazionale e sono compatibili con il diritto dell’Unione laddove ne
rispettivo le limitazioni ed in particolare il divieto imposto dalla direttiva sul commercio
elettronico alle autorità nazionali di adottare misure che obblighino un fornitore di
accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che
esso trasmette sulla propria rete (Corte Giustizia UE, sentenza 24 novembre 2011,
Scarlett Extended, C-70/10); con la conseguenza che ad un fornitore di accesso a Internet
può essere ordinato, con un’ingiunzione pronunciata da un giudice, di bloccare l’accesso
dei suoi abbonati ad un sito web che viola il diritto d’autore, qualora tale ingiunzione non
specifichi quali misure tale fornitore d’accesso deve adottare e quest’ultimo possa evitare
sanzioni per la violazione di tale ingiunzione dimostrando di avere adottato tutte le misure
ragionevoli, a condizione tuttavia che, da un lato, le misure adottate non privino
inutilmente gli utenti di Internet della possibilità di accedere in modo lecito alle
informazioni disponibili e, dall’altro, che tali misure abbiano l’effetto di impedire o,
almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali
protetti e di scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del
destinatario di questa stessa ingiunzione dal consultare tali materiali messi a loro
disposizione in violazione del diritto di proprietà intellettuale, circostanza che spetta alle
autorità e ai giudici nazionali verificare (Corte di Giustizia UE, sentenza 27 marzo 2014,
UPC
Telekabel
Wien
GmbH/Constantin
Film
Verleih
GmbH
e
Wega
Filmsproduktionsgesellschaft mbH, C-314/12).
In entrambi i casi, il giudice europeo ha rigettato le argomentazioni del “provider”,
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affermando che, per eseguire il blocco, non è necessario ci sia un rapporto particolare tra
il soggetto che commette la violazione (nella fattispecie, del diritto d'autore) e
l'intermediario nei confronti del quale può essere emessa un'ingiunzione e che non è
necessario neppure dimostrare che gli abbonati del fornitore d'accesso consultino
effettivamente i materiali protetti accessibili sul sito Internet del terzo.
3. Il sequestro della testata giornalistica telematica.
Risolto il primo interrogativo, le sezioni unite decidono sull'ammissibilità o meno del
sequestro preventivo di una testata giornalistica on line regolarmente registrata o di una
determinata pagina web di detta testata, giungendo ad affermare che “la testata giornalistica
telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di
stampa e soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività
d'informazione professionale diretta al pubblico” e che, di conseguenza, “il giornale on line, al pari
di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti
dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa”.
L’arresto delle sezioni unite supera, dunque, con decisione il tradizionale orientamento
espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le garanzie costituzionali in tema
di sequestro preventivo della stampa non sono estensibili alle manifestazioni del pensiero
destinate ad essere trasmesse in via telematica, poiché il termine "stampa" sarebbe stato
assunto dalla norma costituzionale in una precisa accezione tecnica riferita alla sola "carta
stampata".
L’indirizzo preesistente infatti – espresso in Sez. V, 5 novembre 2013, n. 10594/2014,
Montanari, Rv. 259887 cit. – fondava il proprio convincimento sul presupposto della non
assimilabilità dei siti web alla stampa tradizionale: si sosteneva in particolare che gli spazi
comunicativi sul web non godono della speciale protezione prevista per la libertà di
stampa, ma rientrano nella sfera di espansione della libera manifestazione del pensiero,
categoria più ampia e meno efficacemente tutelata rispetto alla specifica manifestazione
che si estrinseca, appunto, con la parola stampata; di conseguenza, veniva
automaticamente esclusa l’applicazione della tutela costituzionale non solo nei confronti
dei blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup (donde la pacifica sequestrabilità
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dei predetti "siti"), ma anche per la versione on line della carta stampata, stante appunto
l’accezione squisitamente tecnica del lemma “stampa” (cfr. Sez. V, 7 dicembre 2007, n.
7319/2008, Longhini, Rv. 239103); d’altra parte – si sosteneva – se è innegabile una
"situazione di tensione" con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., a ben vedere
una differenza (sostanziale e non solo formale) tra stampa e informatica è individuale nella
cd. "eternità mediatica", nel senso che diversamente di quanto avviene per una notizia
diffusa attraverso la "carta stampata", la notizia immessa in rete, rimane fruibile a tempo
indeterminato (finché non sia rimossa, ammesso che lo sia) e per un numero
indeterminato di fruitori, sicché la distinzione (e l'esclusione del mondo del web dalle
tutele riservate alla stampa) non sarebbe dunque ne' irragionevole, ne' iniqua; con la
conseguente impossibilità, ad esempio, di configurare la responsabilità del direttore di un
giornale telematico, ex art. 57 c.p., per omesso controllo sui contenuti pubblicati.
Le Sezioni Unite superano – come anticipato – tale posizione interpretativa,
procedendo all’ampliamento del perimetro del significato attribuito al termine "stampa"
dall'art. 1 della legge n. 47 del 1948: una disposizione che, nel considerare stampe o
stampati "tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o
fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione", tradisce una lettura
ancorata alle tecnologie dell'epoca che tuttavia non impedisce di accreditare, tenuto conto
dei notevoli progressi verificatisi nel settore, una lettura estensiva del termine ma coerente
con il suo significato e con il dettato costituzionale.
Infatti, se è vero che le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del
prodotto “stampa”, per come definito dalla legge n. 47 del 1948, sono individuabili
nell’attività di riproduzione e nella destinazione alla pubblicazione, tali attività sono
perfettamente rintracciabili anche nella testata giornalistica telematica, nella misura in cui
la produzione di un testo su internet è funzionale alla possibilità di “riprodurne” e
leggerne il contenuto sul computer o altro strumento di connessione in uso all’utente,
mentre la nozione di "pubblicazione" ben può riconnettersi alla
immissione
dell'informazione giornalistica in rete e alla evidente volontà di diffusione di una notizia
che, per la forma e natura stessa delle immissione, diventa fruibile da parte di un numero
indeterminato di utenti.
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Le caratteristiche proprie della testata giornalistica telematica - in quanto assolutamente
riproduttive della omologa testata tradizionale e, di converso, assenti in altri prodotti di
manifestazioni del pensiero divulgati nella Rete - giustificano le guarentigie che la carta
costituzionale riserva alla stampa.
La Corte evidenzia infatti che un quotidiano o un periodico telematico - in quanto
strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, registrato presso il Tribunale del
luogo in cui ha sede la redazione, con una sua organizzazione redazionale e un direttore
responsabile iscritto all’Albo dei giornalisti (spesso coincidenti con quelli della
pubblicazione cartacea), con una diffusione regolare, un hosting provider che funge da
stampatore, e un editore registrato presso il Registro unico degli operatori di
comunicazione (ROC) - non può certo paragonarsi a uno qualunque dei siti web in cui
chiunque può inserire dei contenuti, assumendo al contrario una connotazione del tutto
coincidente, sul piano funzionale, con quella di un giornale stampato in maniera
tradizionale.
Ne deriva – quale punto di arrivo del percorso interpretativo del consesso
nomofilattico – che sarebbe del tutto irragionevole ritenere che il giornale “on line” non
soggiaccia alla stessa disciplina e alle stesse garanzie previste per la stampa cartacea, per il
solo fatto che la tecnica di diffusione al pubblico sia diversa dalla riproduzione tipografica
o ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici: una conclusione – questa – difficilmente
infine conciliabile con quanto ritenuto dalle Corti sovranazionali che, in numerose
pronunce, considerano dato acquisito l'equiparazione tra giornale cartaceo e giornale online (Corte EDU, 16/07/2013, Wegrzynowski e Smolczewsky c. Polonia; Corte Giustizia,
25/10/2011, Martinez c. Societè MGIM Limited; Corte Giustizia, 25/10/2011, Date
Advertising c. X).
Una tale piena equiparazione tra la stampa telematica e quella cartacea non può che
condurre, dunque, al riconoscere che anche la testata telematica, o la singola pagina web
che di essa faccia parte, non può essere assoggettata a sequestro preventivo, se non nei
casi eccezionali espressamente previsti dalla legge (violazione delle norme sulla
registrazione delle pubblicazioni periodiche e sull'indicazione dei responsabili, ai sensi
della legge n. 47 del 1948, artt. 3 e 16; stampati osceni o offensivi della pubblica decenza
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ovvero divulganti mezzi atti a procurare l'aborto, ex R.D.Lgs. n. 561 del 1946, art. 2;
stampa periodica che faccia apologia del fascismo, ai sensi della legge 20 giugno 1952, n.
645, art. 8; violazione delle norme a protezione del diritto d'autore, secondo quanto
previsto dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, art. 161); una garanzia cui fa da contraltare la
sottoposizione del giornale telematico alle norme che disciplinano la responsabilità per i
reati commessi a mezzo stampa, laddove la
responsabilità penale grava non solo
sull'autore dell'articolo incriminato ma anche sul direttore o vice-direttore responsabile, il
quale risponde per fatto proprio a titolo di culpa in vigilando, ai sensi dell’art. 57 cod.
pen., per come sostituito dalla L. 4 marzo 1958, n. 127, art. 1.
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