con Cittadini
2012/2013
PERCORSI
DEL
NOVECENTO
L’identità ebraica, l’eccidio di
Vizzola, il Giorno della Memoria
ISTITUTO COMPRENSIVO
DI FORNOVO TARO (PR)
INDICE
pag.
CAPITOLUL I: “Alla scoperta dell’identità ebraica” ........................... 5
1.1 Premessa
1.2 Ebraismo
1.3 Usi e costumi
1.4 Le feste ebraiche
1.5 La cucina ebraica
1.6 le regole alimentari ebraiche (casherut)
1.7 Il ghetto
1.8 Gli ebrei
CAPITOLUL II: “L’eccidio di Vizzola” ..................................................... 45
2.1 Presentazione
2.2 La storia in breve
2.3 Trascrizione dal Chronicon di Don Tadè
2.4 Cimitero di Riccò - Vizzola
2.5 Dal Chronicon di Don Tadè
2.6 Morir di primavera
2.7 Primo giorno di primavera - 21 marzo 1945
CAPITOLUL III: “27 Gennaio - Giorno della Memoria” .................... 69
3.1 Giorno della Memoria
3.2 Un po’ di storia
3.3 Le nonne raccontano
3.4 Alcune lettere
3.5 Presentazione
3.6 Riflessione
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Capitolul I
ALLA SCOPERTA DELL’IDENTITA’ EBRAICA
IC DI FORNOVO TARO, SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO, classi 3B-3C
1.1 PREMESSA
Quando un docente si trova a trattare nelle classi la storia del Novecento, e
non solo, inevitabilmente viene a parlare di un popolo che ha tramandato per
secoli un patrimonio: gli Ebrei.
La loro è una cultura millenaria ed essi hanno dato un importante contributo
di umanità e tolleranza, favorendo la maturazione di una coscienza civile in
ciascuno di noi.
Parlando, quindi, di cultura ebraica nella classi, mi sono resa conto che
i ragazzi conoscono poco dell’argomento e alle volte si danno per scontate
conoscenze che per noi docenti sembrano tali, ma che in realtà tanto scontate
non sono.
Insieme ai colleghi, quindi, è stato predisposto un percorso di
approfondimento pluridisciplinare sul Novecento, dedicato alla “identità” ebraica,
tassello di un puzzle più ampio all’interno del nostro istituto e che rientra nello
studio della storia del Novecento con collegamenti alla tematica dei diritti umani.
Soffermandoci su alcune curiosità emerse tra gli studenti, si è scoperto un
popolo ricco e vivace sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista sociale,
che ha certamente meritato l’approfondimento loro dedicato in questo anno
scolastico e concretizzato in questo fascicolo, che negli anni scolastici futuri verrà
integrato ed arricchito.
Il percorso ha avuto molti e importanti obiettivi:
✴ Approfondire momenti della storia del Novecento, sviluppando lo spirito critico
dei ragazzi e ampliando il loro patrimonio culturale
✴ Non dimenticare eventi che hanno tragicamente segnato la storia dell’umanità
✴ Dare forza ai valori della nostra Costituzione per una società più giusta contro
ogni tipo di violenza, di sfruttamento, di emarginazione, di razzismo.
✴ Analizzare fonti storiche (orali, scritte, materiali) relative a fatti e/o persone del
Novecento
✴ Saper ricostruire, guardando i film, il contesto storico, cogliendo dettagli
significativi
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✴ Valorizzare segni, tracce di storia del Novecento presenti sul nostro territorio
✴ Sviluppare il nesso tra storia e memoria a partire dai luoghi del nostro
territorio, dai monumenti vicini alle scuole, dalle testimonianze delle persone
che hanno vissuto il periodo della seconda guerra mondiale.
✴ Visitare i luoghi della memoria per stimolare il rapporto tra il passato ed il
presente e per aiutare a costruire un’identità collettiva.
Per sviluppare il lavoro, inserito a pieno titolo nella programmazione di classe,
si è partiti da alcune lezioni in preparazione all’argomento, mirate ad uno studio
approfondito della storia del popolo ebraico, della religione, degli oggetti e dei
luoghi di culto, delle festività, degli aspetti culturali, delle tradizioni, dei cibi ecc.,
svolto con tecniche non solo frontali, ma utilizzando anche documenti storici,
letture di testi, documenti iconografici, filmati e si è così giunti a percorrere la
nascita del pregiudizio antiebraico, le leggi razziali fino alla tragedia della Shoah.
Per rispondere a nostri ulteriori interrogativi si è invitato a scuola il rabbino di
Parma che ci ha illustrato interessanti aspetti culturali e religiosi dell’ebraismo, su
alcuni dei quali precedentemente si erano svolte ricerche in piccoli gruppi.
Si sono preparati anche incontri con persone che hanno vissuto il periodo
della Seconda Guerra Mondiale, in particolare quello dell’occupazione tedesca e
della Resistenza.
Sono, inoltre, stati seguiti laboratori didattici con riflessioni sui percorsi
proposti dagli esperti dell’Istituto Storico della Resistenza.
Dal momento che nella nostra regione vi sono numerose e significative
testimonianze ebraiche, si sono visitati alcuni luoghi significativi, organizzando
viaggi di istruzione e uscite didattiche. Mete imperdibili sono state: il museo
ebraico “Fausto Levi” di Soragna, la sinagoga, il cimitero, il ghetto di Roma, le
Fosse Ardeatine.
Con l’ausilio delle moderne tecnologie, poi, gli studenti, disinvolti cybernauti,
hanno visitato le varie testimonianze nella nostra regione: i quartieri urbani cui gli
Ebrei, seppur in modo coercetivo, diedero personalità e carattere; le sinagoghe
antiche e recenti; il patrimonio culturale fatto anche di usi, costumi, danze e
musiche.
Si è poi cercate tracce di presenze ebraiche nel territorio delle Valli di Taro
e Ceno e grazie anche alla collaborazione con l’Istituto di Istruzione Superiore
Gadda di Fornovo si è lavorato attorno alla figura di Pellegrino Riccardi, Giusto
tra le nazioni , cui proprio quest’anno è stata intitolata la ex piazza delle corriere a
Fornovo di Taro.
Ovviamente il nostro percorso non è terminato, anzi quello che potete leggere
di seguito è solo una prima bozza del lavoro che è tuttora in fase di elaborazione,
infatti si prevede di terminare la prima tappa del percorso a giugno, che negli
anni futuri verrà ripreso, integrato e a questo lavoro ne verranno aggiunti,
auspichiamo, altri negli anni a venire.
E’ stato un percorso pluridisciplinare, che ha visto lavorare con spirito di
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partecipazione propositiva non solo gli studenti e i docenti delle scuole del nostro
territorio, ma anche le istituzioni: Comune di Fornovo, Comune di Altopascio,
Parrocchia di Fornovo, Parrocchia di Riccò, Proloco di Fornovo, Associazione
Amici della Resistenza e della Costituzione di Fornovo, Circolo Arci di Riccò,
Associazione le Radici e le Ali di Riccò, ANPI e Istituto Storico della Resistenza di
Parma.
A tutti loro va il nostro ringraziamento.
Prof.ssa Sara Chiappini
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1.2 EBRAISMO
La fede di un ebreo
Secondo la tradizione ebraica la parola JHWH (il tetragramma sacro, cioè
le quattro consonanti con cui si scrive il nome di Dio nella lingua ebraica – leggi
“Javhé”) è il nome che Dio stesso si è dato apparendo nel roveto ardente a
Mosè. Significa in ebraico “io sono” (o “io porto all’esistenza”). Poiché è il nome
proprio di Dio ed è santo, non si può pronunciare e quando lo si trova scritto, non
si legge ma si sostituisce con un sinonimo (o Adonaj cioè ”Signore” o Elohim cioè
“Dio”). Rispettando il comando di Dio nella Torah gli Ebrei non raffigurano mai
Dio attraverso immagini (dipinti, sculture, ecc).
Secondo le scritture ebraiche, l’universo deve la sua esistenza a un unico
Dio, il creatore del cielo e della terra. Ma Dio, per gli Ebrei, è distinto dall’universo
(cioè Dio e l’universo sono due cose diverse, l’universo non fa parte di Dio ma
è una sua opera). Gli Ebrei non credono in un Dio Uno e Trino (Padre e Figlio e
Spirito Santo) come i cristiani. Inoltre per gli Ebrei Gesù è un uomo qualsiasi, non
il Figlio di Dio.
Gli Ebrei aspettano ancora la venuta del Messia (Masiah cioè “unto” o scelto
da Dio). Dio, nelle antiche scritture ebraiche, ha promesso di inviare al popolo
ebraico un uomo che avrebbe liberato Israele per sempre, esteso la sua autorità
su tutta la terra e garantito per tutti benessere materiale e spirituale (per i cristiani
questo Messia è stato Gesù di Nazaret, per gli Ebrei no).
L’elemosina per un ebreo, non è un’offerta volontaria che esprime la
generosità di chi la compie, ma una questione di “giustizia”, un obbligo
fondamentale secondo il quale tutti devono dare una parte del proprio reddito
per aiutare i poveri e i bisognosi. Gli Ebrei sono tenuti a dare il 10% dei loro
guadagni ai poveri
Gli scritti sacri ebraici
Le scritture sacre dell’Ebraismo sono state scritte in ebraico antico (che è
abbastanza simile all’ebraico moderno che si usa in Israele oggi). L’ebraico è una
lingua che si scrive da destra a sinistra (il contrario di quello che facciamo noi).
Anche i libri ebraici, per questo motivo, si aprono al contrario di quanto facciamo
noi. Nella lingua ebraica le consonanti vengono scritte sullo stesso rigo mentre le
vocali sono i punti e i trattini scritti al di sotto del rigo delle consonanti. In epoca
molto antica le scritture ebraiche erano scritte solo con le consonanti (testo
consonantico); le vocali non venivano scritte ma doveva essere il lettore che
sapeva quali dovevano essere pronunciate durante la lettura (ancora oggi il testo
della Torah che si legge in sinagoga è senza vocali). Da un certo punto della
storia ebraica gli scribi iniziarono a scrivere nei testi anche le vocali.
Il testo sacro degli ebrei è la Torah (significa “insegnamento). Bisogna
considerare che nell’Ebraismo il termine “Torah” è usato in tre sensi diversi:
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∗ Torah indica innanzitutto i primi 5 libri delle scritture ebraiche (detti
“Pentateuco”);
∗ Torah indica anche l’insieme delle scritture ebraiche (dette “Torah scritta” o
Tanak);
∗ Torah indica infine l’insegnamento dei rabbini (detto “Torah orale”)
Generalmente quando si parla di Torah senza specificare altro, ci si riferisce
all’insieme delle scritture ebraiche (cioè al libro sacro degli ebrei). Secondo i
rabbini Dio sul Monte Sinai rivelo a Mosè tutta la Torah (sia la Torah “scritta”, sia
la Torah “orale”). Come Dio l’abbia “trasmessa” (cioè data) a Mosè non si sa.
La Torah scritta è formata da 39 libri suddivisi in tre gruppi:
1. Torah (il Pentateuco: cioè i primi 5 libri)
2. Neviim (i Profeti)
3. Ketuvim (gli Scritti)
Confronto con la Bibbia cattolica
Confrontando il libro sacro degli ebrei con quello dei cattolici ci si accorge
che la Torah corrisponde quasi all’Antico Testamento della Bibbia cattolica:
la differenza è che nella Torah mancano 7 libri presenti invece nell’Antico
Testamento cattolico (Tobia, Giuditta, 1 Maccabei, 2 Maccabei, Sapienza,
Siracide e Baruc), oltre ad alcune parti di altri libri. La Bibbia cattolica oltre
all’Antico Testamento (composto da 46 libri) comprende anche il Nuovo
Testamento (27 libri). Il libro sacro degli ebrei non comprende i libri contenuti nel
Nuovo Testamento perché quest’ultimo riguarda Gesù e la nascita della Chiesa e
gli ebrei non danno nessuna importanza a Gesù di Nazaret.
La Torah orale
Il libro sacro degli ebrei è detto Torah “scritta” per distinguerlo dalla tradizione
che si è tramandata oralmente da maestro a discepolo dal tempo di Mosè
chiamata Torah “orale”.
Essa si propone di interpretare e applicare le parole scritte nella Torah.
Questo perché la Torah scritta non può trattare ogni situazione della vita. Tale
tradizione è stata tramandata oralmente lungo i secoli, finché è stata messa per
iscritto e oggi è raccolta in diverse opere: Talmud, Halakhà e Midrash.
La preghiera di un ebreo
Ogni ebreo prega ogni giorno tre volte a casa o in sinagoga: la sera, la
mattina e il pomeriggio.
Per gli ebrei la religione coinvolge tutti gli aspetti della vita. Vi sono rituali di
preghiera per molte delle attività giornaliere, dal risveglio sino al momento di
coricarsi. Per gli ebrei, Dio deve essere ricordato in ogni azione della giornata.
Molte delle preghiere recitate nella sinagoga sono benedizioni, note anche
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come Berachot. Nell’Ebraismo la benedizione non viene recitata solo in
sinagoga: i fedeli benedicono Dio in ogni momento della vita con lo scopo di
ricordarsi di Lui e di ringraziarlo per ogni cosa. Un ebreo maschio prega sempre
con il capo coperto e tutti gli uomini (ebrei e non) entrano in sinagoga con il capo
coperto.
Durante la preghiera è importante la posizione del corpo (la “postura”). Una
posizione corretta prevede i piedi uniti, le mani giunte poste all’altezza del cuore,
la faccia rivolta a Gerusalemme e, in precisi momenti, un lieve inchinarsi del
tronco. Ecco quindi quella particolare posizione ondeggiante tipica degli ebrei
quando pregano (le tradizionali oscillazioni avanti e indietro degli ebrei mentre
pregano). Questo oscillare è da alcuni spiegato con un versetto del Salmo
35 che viene interpretato come un comando che bisogna pregare con tutto il
corpo. Secondo altri, invece, questi movimenti risalgono al periodo in cui non
tutti potevano permettersi di avere libri a disposizione per la preghiera: oscillare
avanti e indietro dava la possibilità a più persone di condividere lo stesso libro.
La principale preghiera ebraica è lo Shemà (in ebraico significa “ascolta”):
Lo Shemà include anche il comandamento ad indossare i tefillin, i tzitzit e a
mettere una mezuzah sulle porte di casa. Lo Shemà in effetti non è una vera e
propria preghiera, quanto una serie di brani della Torah che spiegano alcuni dei
più importanti principi dell’ebraismo.
Il primo versetto, da cui la preghiera prende il nome, è una dichiarazione di
fede in un unico Dio.
I tre paragrafi dello Shema che seguono questa dichiarazione espongono
importanti principi ebraici, tra i quali: l’amore a Dio, il dovere di trasmettere la
fede ai propri figli, i concetti di ricompensa e punizione.
Simboli ed oggetti sacri
Nella religione ebraica sono numerosi gli oggetti liturgici e culturali. Ne
ricordiamo alcuni particolarmente importanti:
◊ Menorah, ovvero il candelabro ‘a sette braccia’. Inizialmente ne esisteva uno
d’oro puro ed era situato nel Tempio di Gerusalemme, simbolo ebraico che
attualmente appartiene allo Stato d’Israele. Per alcuni, i sette bracci della
menorah rappresenterebbero i giorni della settimana, per altri l’universo
intero. In quasi tutte le case ebraiche ne è presente una riproduzione.
Quando ancora esisteva il Tempio veniva acceso un lume al giorno (la
settimana partiva dalla domenica) fino allo Shabbat (il Sabato).
◊ La stella di David: stella a sei punte è uno dei simboli più noti della religione
ebraica, anche se non sembra che abbia ricoperto nel passato un ruolo di
particolare importanza. La sua più triste diffusione è avvenuta durante la
persecuzione nazista, quando gli Ebrei furono costretti a cucirsene una in
stoffa gialla sugli abiti, per dimostrare la loro appartenenza al popolo ebraico.
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La forma della stella è data da due triangoli equilateri sovrapposti, uno con
il vertice verso l’alto, l’altro con il vertice verso il basso. Secondo alcuni,
sarebbero contenuti simbolicamente nei due triangoli incrociati tutte le parti
del mondo. Secondo un’altra spiegazione i due triangoli rappresenterebbero
l’unione tra Dio (triangolo col vertice in basso) e l’uomo (triangolo col vertice
in alto).
◊ La Mezuzzah, ossia la pergamena affissa (dentro un piccolo contenitore)
agli stipiti delle porte e contenente due brani dello Shema (preghiera
fondamentale dell’ebraismo, da recitare ogni giorno al mattino e alla sera).
◊ Le Tefillin, conosciuti come filattèri, sono scatole nere di cuoio indossate
sul braccio e sulla fronte per mezzo di cinghie di pelle. Esse contengono
le pergamene con i quattro brani della Torah, che citano degli atti di essa.
Questa teflin viene indossato dai fedeli durante la preghiera del mattino.
◊ Il Kippah, vale a dire il copricapo indossato dagli Ebrei maschi in sinagoga
durante la celebrazione del culto
◊ Tzitzit sono le frange agli angoli dello scialle o di un altro tessuto, che
ricordano i comandamenti. Non è raro vedere, durante il culto in sinagoga,
ebrei con lo scialle della preghiera, che portano le frange alle loro labbra e le
baciano, mentre, recitando lo Shema, pronunciano la parola “Tzitzit”. Alcuni
ebrei portano i tzitzit tutti i giorni legati ai pantaloni. L’uso di indossare il Tzitzit
è praticato da molti ebrei come un ricordo della loro lealtà a Dio.
◊ Il Talled, scialle in tessuto bianco, spesso con fasce, comunemente di
colore scuro, caratterizzato da quattro lunghe sfrangiature di tessuto alle
estremità, chiamate Tzitzit. La versione grande (talit gadol) è portata durante
la preghiera del mattino e a Yom Kippur, ovvero per tutto il lungo ciclo di
preghiere e quella piccola (talit katàn) è indossata quotidianamente.
◊ Hanukkiah, plurale Hanukkioth, è il candelabro a ‘nove braccia’ utilizzato per
accendere i lumi durante la celebrazione della festa di Hanukkah (Festa delle
luci), in ricordo della riconsacrazione del Tempio dopo la guerra maccabaica,
il cui casus belli fu il sacrificio di un maiale nel Tempio ad opera di un
sacerdote ellenizzante.
Il ministro del culto: il rabbino
Nell’ebraismo un rabbino non è un sacerdote (sono due funzioni diverse). Il
rabbino (rabbi significa “maestro”) è guida spirituale della comunità. Egli studia
la Torah e la insegna agli adulti e ai bambini. E’ il responsabile delle celebrazioni
nella sinagoga ed amministra matrimoni e funerali. Tiene la predica in sinagoga
durante le celebrazioni festive e dirime anche le questioni della legge religiosa. Il
rabbino lavora al servizio della comunità, visitando i poveri e i malati.
Nelle comunità ebraiche ortodosse solo gli uomini possono essere ordinati
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rabbino; nelle comunità ebraiche riformate anche le donne possono diventare
rabbino. Per diventare rabbino, uno studente deve completare un corso di
studi sulla “Legge ebraica”, considerata come la “materia” più importante. Alla
conclusione del corso, il candidato riceve l’ordinazione. I rabbini nell’Ebraismo
si possono sposare, anzi, poiché nell’Ebraismo il celibato non è ben visto, è
preferibile che un rabbino sia sposato
L’archisinagogo
L’edificio sinagogale era affidato a un archisinagogo scelto fra gli anziani
della comunità locale; egli curava sia la buona conservazione degli oggetti, sia
il regolare svolgimento delle adunanze. Alle sue dipendenze stava un “ministro”,
quasi un sacrestano, che accudiva a varie faccende materiali, come sonar
la tromba al principio ed alla fine del sabato, estrarre i rotoli della Scrittura
dall’armadio, eseguire la flagellazione di qualche colpevole condannato dal
sinedrio locale, e simili; talvolta questo sacresta no faceva anche da maestro di
scuola per i fanciulli, che si raduna¬vano in una stanza attigua.
I luoghi santi dell’Ebraismo
Israele è considerata Terra Santa per gli ebrei. Gerusalemme, la sua capitale,
è la città santa dell’ebraismo.
Il Muro Occidentale o “Muro del pianto” o semplicemente “il Muro” per
eccellenza o il Kotel (il Muro) è il cuore dell’Ebraismo per ragioni religiose e
storiche. E’ importante per gli ebrei perché:
√ E’ il luogo dove Abramo legò il figlio Isacco per sacrificarlo a Dio
Il Muro Occidentale sorge su un’altura di Gerusalemme che anticamente era
chiamata Monte Moria. Qui, secondo il racconto del libro della Genesi (Gen
22,1-19), Dio guidò Abramo e gli chiese di sacrificare suo figlio Isacco. Su
questa altura Abramo costruì un altare, vi collocò sopra la legna e suo figlio.
Quando stava per colpire Isacco col pugnale un angelo apparve e gli disse di
non ucciderlo ma di sacrificare al posto del figlio un ariete.
√ E’ il luogo dove furono costruiti il Primo ed il Secondo Tempio di
Gerusalemme
Il Primo Tempio di Gerusalemme fu costruito nel 959 a.C. dal popolo sotto la
guida del re Salomone e venne distrutto nel 587 a.C. dai soldati babilonesi
che incendiarono e rasero al suolo la città di Gerusalemme. Il Secondo
Tempio di Gerusalemme fu costruito nel 520 a.C. nello stesso punto dove
sorgeva il Primo Tempio e distrutto dai soldati romani nel 70 d.C. Il Muro
Occidentale non è altro che un muro di contenimento dell’area su cui
sorgevano il Primo e poi il Secondo Tempio di Gerusalemme.
Il Muro Occidentale non era una parete del Tempio, ma stava sotto la grande
spianata su cui sorgeva il Tempio (appunto era una muraglia di rinforzo e di
contenimento del lato occidentale dell’altura su cui sorgeva il Tempio).
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√ E’ il luogo dove c’era l’Arca dell’Alleanza
Nella spianata che si trova al di sopra del Muro Occidentale c’era il Tempio,
ed in particolar modo la parte più sacra di quest’ultimo: il “Santo dei Santi”.
In questa sala, al tempo del Primo Tempio, era custodita l’Arca dell’Alleanza
e le Tavole della Legge (i Dieci Comandamenti). L’Arca dell’Alleanza
era una cassa di legno chiusa da un coperchio tutta rivestita d’oro, con
sopra due serafini (due angeli) e trasportabile attraverso due lunghe aste.
Essa conteneva le due tavole di pietra su cui Dio aveva inciso i Dieci
Comandamenti.
Nel Medioevo i cristiani cominciarono a chiamarlo Muro “del pianto” sia
perché vedevano gli ebrei in atteggiamento di lutto davanti al Muro per la
perdita del loro Tempio, sia per il modo di pregare degli ebrei rivolti verso il
muro. Nelle fessure tra le pietre del Muro i fedeli inseriscono oggi biglietti con
preghiere di supplica, ringraziamenti e richieste.
La Sinagoga
La sinagoga, un tempo chiamata “scola”, ha mantenuto l’antico significato non
solo di luogo di preghiera, ma anche di studio e di riunione. In origine la sinagoga
era una stanza della casa, all’ultimo piano, collegata con tutti gli appartamenti
degli Ebrei, che vivevano nel ghetto.
L’esterno era anonimo, mimetizzato con la facciata di altri edifici. Per
motivi di praticità e di sicurezza era importante che fosse raggiungibile in ogni
momento, senza uscire in strada. Solo dal 1848 le sinagoghe divennero edifici
a se stanti, spesso monumentali. Dal punto di vista architettonico la sinagoga è
essenzialmente costituita da una sala, di solito rettangolare, disposta in modo
che i convenuti siano rivolti con la faccia verso Gerusalemme e il suo Tempio.
In Galilea, paese di Gesù, quasi tutte le sinagoghe, di cui rimangono ruderi,
hanno l’ingresso al lato meridionale, cioè verso Gerusalemme, e perciò i
convenuti erano rivolti verso l’ingresso.
La sala poteva essere divisa in navate da colonne, e sopra queste poteva
poggiare alla periferia un’impalcatura elevata, riservata forse alle donne
(matroneo); talvolta davanti all’ingresso della sala s’apriva un atrio con una vasca
al centro per le abluzioni, e ai lati dell’edificio erano addossate stanze minori
destinate a scuola per i fanciulli e ad ospizio per i pellegrini.
La sala poteva essere decorata con pitture e mosaici; i motivi ornamentali
nei templi più antichi si limitavano alla raffigurazione di esseri inanimati
(palme, candelabro a sette bracci, stella a cinque o a sei punte, ecc.), ma più
recentemente rappresentano anche animali e uomini (Mosè, Daniele, ecc.),
contro la nota proibizione in vigore ai tempi di Gesù.
Nell’interno della sala l’oggetto principale era l’armadio sacro, dove si
custodivano i rotoli delle Scritture sacre; era collocato in una specie di cappella,
protetto da un velo e davanti ad esso sembra che ardessero una o più lampade.
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La sala era anche provvista di un pulpito, mobile o fisso, su cui saliva il
lettore della Scrittura e poi il successivo oratore; lo spazio rimanente della sala
era occupato da sgabelli, la cui prima fila più onorifica era oggetto di comuni
ambizioni da parte dei frequentatori: talvolta seggi speciali erano disposti a parte,
fra l’armadio sacro e il pulpito, e destinati a personaggi distinti.
Storia della sinagoga
L’ antico luogo di culto degli ebrei è il Tempio.
Il primo fu progettato e preparato da Davide e costruito da Salomone, nel
luogo in cui ora sorgono delle moschee. Qui fu deposta l’Arca dell’Alleanza, che
aveva seguito il popolo di Israele nelle peregrinazioni nel deserto e nelle guerre
per la conquista della Terra Santa.
Il Tempio rappresenta l’unico luogo di culto di Israele ed è centro della vita
religiosa e simbolo dell’unità del popolo ebraico. Era considerato casa di Dio e
luogo di preghiera, costituito da un atrio e tre cortili, il santuario (con l’altare dei
profumi, il tavolo dei pani della presenza, i candelabri) e il santo dei santi(con
l’Arca dell’Alleanza).
Nel 586 a.C. l’antico Tempio fu distrutto e l’Arca dell’Alleanza probabilmente
andò distrutta. Il tempio fu riedificato dopo l’esilio da Zorobabele (520-515 a.C.)
in forma e di dimensioni più ridotte; restaurato e dedicato da Giuda Maccabeo,
rifatto splendidamente da Erode il Grande nel 20 a.C., fu definitivamente distrutto
dai Romani nel 70d.C.
Di esso ,oggi, rimane solo il muro occidentale, noto come Muro del Pianto,
dove gli Ebrei ancora oggi si recano a pregare.
Dopo l’ultima distruzione del Tempio e diaspora che ne seguì, il centro della
vita comunitaria ebraica divenne la sinagoga. Essa designa un luogo: di riunione
per la comunità; di studio; della Torah e del Talmud (i bambini imparano l’ebraico
e studiano la Torah); di preghiera i due elementi fondamentali sono: un armadio
con i rotoli della Torah e un podio per la lettura della Scrittura e la recita delle
preghiere.
Alle donne è riservato un matroneo chiuso da grate, mentre nelle sinagoghe
riformate uomini e donne siedono insieme. Anche quotidianamente si svolgono
preghiere comunitarie nella sinagoga, ma solo se sono presenti almeno dieci
circoncisioni si può l’inizio alla preghiera (minyan). Fra il III e il IV sec. sorgono
numerose sinagoghe spesso con ricchi ornamenti e affreschi in Giudea e Galilea.
La comparsa delle sinagoghe segna un profondo cambiamento della religione
ebraica, non più incentrata sul culto sacrificale ma sullo studio sull’ insegnamento
e sulla meditazione della Legge.
Anche la casa, oltre alla sinagoga, è un luogo dove si prega quotidianamente
e si compiono alcune liturgie. In casa, infatti, viene praticata la circoncisione,
inoltre si celebrano alcune importanti festività, quali ad esempio la Pasqua
(pesach) che culmina con la cena di Seder.
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Tappe importanti della vita di un uomo
La circoncisione
Ogni bambino ebreo maschio viene circonciso (cioè gli viene tagliato il
prepuzio del pene) l’ottavo giorno dopo la nascita. Il rito risale ai tempi di Abramo,
al quale, come segno della sua alleanza con Dio, fu ordinato di circoncidere
se stesso e i suoi figli, Ismaele e Isacco. Dato che Isacco aveva 8 giorni di
vita al momento della sua circoncisione si usa farlo l’ottavo giorno di vita. La
irconcisione è un segno indelebile sul corpo dell’ebreo che gli ricorda che da
quel momento anche lui fa parte dell’Alleanza che Dio ha stipulato con il popolo
d’Israele. Per le bambine non è previsto nessun rito, però, in particolare nelle
comunità riformate, è prevista una benedizione in sinagoga.
Il Bar Mitzvah e il Bat Mitzvah
Nell’ebraismo i ragazzi raggiungono la maturità religiosa a 13 anni, mentre le
ragazze a 12 anni. E’ a partire da questa età che gli ebrei sono obbligati a seguire
i comandamenti, sono ritenuti persone moralmente responsabili delle proprie
azioni e diventano membri della comunità. Il raggiungimento della maturità
religiosa viene chiamato Bar Mitzvah (significa “figlio del comandamento”) per i
maschi e Bat Mitzvah (significa “figlia del comandamento”) per le femmine. Con
il compimento del 13° anno di età il ragazzo può essere conteggiato nel numero
minimo di uomini presente in sinagoga per la celebrazione del culto (il Minyan).
Nelle comunità ebraiche non ortodosse anche le ragazze dal 12° anno di età
possono far parte del Minyan. Il giorno del Bar Mitzvah il ragazzo legge per la
prima volta la Torah in sinagoga davanti all’assemblea dei fedeli e indossa per la
prima volta i tefillin.
Il matrimonio ebraico
Il matrimonio è celebrato dinanzi al rabbino. Si può svolgere in una sinagoga,
ma in molti paesi si tiene all’aperto. La cerimonia nuziale prevede che i due
sposi stiano in piedi sotto un baldacchino supportato da 4 pali chiamato huppah
o chuppah spesso ornato di fiori. Il baldacchino sta a simboleggiare la casa
degli sposi: aperta da tutti i lati, indicando che essi non sono separati dalla
comunità. Di solito la huppah è sistemata all’esterno, ma può trovarsi anche in
casa o nella sinagoga. Dopo che sono state recitate alcune benedizioni sopra
un bicchiere di vino, lo sposo dona l’anello alla sposa e, infilandolo sul suo dito,
recita la seguente formula: “Ecco, con questo anello io ti consacro a me secondo
la Legge di Mosè e d’Israele”. Il rabbino quindi legge il contratto matrimoniale
(ketubah). Questo documento, scritto in aramaico, mette in chiaro gli obblighi del
marito nei confronti della moglie sia durante il matrimonio, sia in caso di divorzio.
Il rito nuziale termina con lo sposo che con il piede rompe un bicchiere per
ricordarsi che, dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, nessuna
celebrazione è priva di una vena di tristezza.
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La morte, la sepoltura e il lutto
Le ultime parole pronunciate dagli ebrei religiosi in punto di morte – oppure
dette a nome loro se sono troppo deboli – sono le parole dello Shemà imparate
da bambini. Il defunto non si porta in sinagoga. Al momento del decesso il
cadavere deve essere disteso a terra coperto, in modo da ricordarne il volto in
vita e non in morte.
Esso, dopo essere stato lavato, viene avvolto in un semplice lenzuolo funebre
a cui si aggiunge, per gli uomini, lo scialle della preghiera con le frange tagliate,
in segno di lutto e di perdita. In Israele non sono usate le casse da morto; il
corpo viene sepolto nella nuda terra avvolto dallo scialle della preghiera (negli
altri Paesi si usa la cassa di legno). Le leggi ebraiche proibiscono la cremazione,
che pur è accettata da talune comunità riformate. Sulle tombe non c’è l’usanza di
portare fiori, ma si pone in segno di ricordo una piccola pietra.
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1.3 USI E COSTUMI
Musica e danza
La musica e la danza hanno da sempre avuto un posto importante nella
cultura ebraica. La musica è parte integrante della liturgia: le preghiere sono
cantate senza l’accompagnamento di strumenti musicali, inoltre la musica è
centrale in ogni manifestazione artistica.
Non esiste, però, un’unica musica ebraica, ma ogni comunità ne ha creata
una, trasmettendo le proprie melodie oralmente; essa, pertanto, raccoglie in sé
un insieme di tradizioni, spesso in rapporto con il mondo musicale non ebraico
che le circonda. Le melodie, infatti, sono state influenzate nei secoli dall’arrivo di
Ebrei di varia provenienza geografica.
Queste influenze eterogenee hanno dato vita ad una sorta di musica mista,
basata sulla contaminazione di culture musicalmente differenti.
In Italia gli Ebrei hanno adottato molte melodie tipicamente italiane, come
canti popolari, arie d’opera e in seguito marce ed inni risorgimentali, che sono
stati inseriti nel repertorio liturgico.
Anche la danza accanto alla musica liturgica costituisce un importante
strumento di riscoperta della cultura ebraica .
La danza va considerata come una delle espressioni più originali nella storia
del popolo ebraico, in quanto non nasce da una esigenza prevalentemente
artistica, ma come modalità di preghiera e di lode nei confronti di ciò che Dio è
capace di operare a favore degli uomini.
Sin dalle sue origini la danza fu un vero e proprio linguaggio, un modo per
manifestare emozioni collettive, per comunicare con le forze naturali ed artificiali,
per celebrare i momenti memorabili e solenni dell’esistenza.
Le fonti bibliche descrivono le danze soprattutto come eventi che
accompagnano avvenimenti solenni:
► le feste, soprattutto quelle della natura (raccolto, vendemmia, ecc);
► le celebrazioni di vittoria sul nemico;
► le danze “sacre” legate alle cerimonie di culto e di preghiera;
► le danze di divertimento nei giorni non festivi;
► gli avvenimenti importanti della vita umana (nascita, circoncisione,
fidanzamento, nozze, morte).
Ogni gesto, ogni passo, ogni movimento, ogni ritmo, tramandato da
generazioni, mantenne nel tempo significati precisi, destinati a evocare
determinate immagini, situazioni o allegrie.
Nel periodo biblico la danza era considerata una forma di preghiera. Gli Ebrei
la intendono come una manifestazione di festoso omaggio alla divinità. Nella
Bibbia è raccontato l’episodio di Miriam, che, dopo il passaggio del mar Rosso,
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danza accompagnata da un coro di donne per rendere grazia al Signore. Sono,
inoltre, descritte le danze degli Ebrei intorno al vitello d’oro e la danza dello
stesso re Davide intorno all’arca Santa.
Per descrivere il linguaggio corporeo la Bibbia usa undici radici verbali,
sottolineandone le differenti sfumature, per esempio la differenza tra le danze
maschili e femminili e la precisione del danzatore che saltella muovendo le
braccia.
La danza è quasi sempre espressione corale. Il modello prevalente nelle
danze antiche era il cerchio, termine che in ebraico indica anche il concetto
di festa. Danzare in cerchio, tutti insieme, tenendosi per mano sottolinea
l’uguaglianza di tutti di fronte al Signore: non esiste un primo, né un ultimo e
anche chi guida non prevale su chi segue. Tale usanza non è oggi scomparsa e
si ritrova nella Hora, il balletto corale dei giovani di Israele.
Nel 1944 si è svolto il 1° incontro nazionale di danza popolare nel Kibbutz
Dalya che inaugura una tradizione da allora ininterrotta. Oggi esistono in Israele
centinaia di gruppi di danza e migliaia di danzatori.
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1.4 LE FESTE EBRAICHE
Le feste ebraiche ricordano gli eventi biblici, ma sono anche legate al
succedersi delle stagioni e ad antiche tradizioni agricole e pastorali.
Le feste ebraiche sono:
► lo Shabbath
► 5 feste maggiori di origine biblica:
Le tre feste “del pellegrinaggio”: Pesach, Shavuot, Sukkot. Sono
tre ricorrenze liete. In antichità gli Ebrei in queste tre occasioni
dovevano recarsi al Tempio di Gerusalemme. Le due “feste
penitenziali”: Rosh ha-Shanà, Kippur
► 3 feste minori: Channukkà, tu bi-Shevat, Purim
► 3 nuove festività: Yom Ha-Shoah, Yom Ha’Azma’ut ,Yom HaZikaron
Lo Shabbath, il sabato, è il giorno più importante della settimana, in ebraico
significa “cessare”. In questo giorno, infatti, ogni Ebreo cessa qualsiasi attività
per consacrare la giornata al Signore. Tutti sono tenuti ad osservarlo, persino gli
animali devono riposare. Inizia al calare della notte e termina all’apparire della
prime stelle, dal venerdì sera al sabato sera.
Prima del suo inizio vengono comperati, preparati e cotti i cibi destinati alla
cena e vengono accesi i lumi rituali. Questo incarico particolarmente importante
e solenne è affidato alle donne di casa e segna la fine della settimana di lavoro e
l’inizio del riposo; simbolicamente rappresenta la santità e la pace della famiglia.
I pasti di venerdì sera e sabato a mezzogiorno iniziano con la benedizione
del vino versato in un calice per mano del capofamiglia, che riempie il bicchiere
di vino e recita le benedizioni che consacrano la giornata, che termina poi con la
cerimonia della havdalà - separazione
Pesach o Pesah detta anche Pasqua ebraica, è una festività ebraica che
cade tra marzo ed aprile, dura otto giorni (sette in Israele) e ricorda l’esodo e la
liberazione del popolo israelita dall’Egitto.In agricoltura segna la prima mietitura
e il periodo del parto primaverile del bestiame. In questo periodo è vietato
consumare e avere in casa cibi lievitati, si mangia infatti solo pane azzimo.
Parecchie sono le spiegazioni date in merito a questa particolare usanza, la
più accreditata è che si tratti di un ricordo del pane di cui gli Israeliti si cibarono
durante l’esodo, quando, durante la loro fuga dall’Egitto, non ebbero il tempo di
far lievitare il pane.
Nelle prime due sere della festa si usa fare una cena, seguendo un ordine
particolare di cibi e preghiere: il seder, parola che in ebraico significa appunto
ordine, , durante il quale si narra l’intera storia del conflitto con il faraone, delle
10 piaghe e della fuga finale. La celebrazione alla quale tutti partecipano con
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domande e risposte, è accompagnata anche da canti ed è colma di gesti visibili
ed elementi necessari soprattutto perché i bambini possano osservare ed
apprendere. I bambini vengono coinvolti molto nel seder, attraverso brani loro
dedicati, immagini e quant’altro.
Parte centrale della celebrazione, che precede la cena, è dedicata al piatto
del seder, di solito decorato ed ha dipinti tutti i principali simboli della festa.
Al centro sono poste tre Matzot per ricordare la concitata e precipitosa fuga
dall’Egitto.
Terminato il pasto, si consumano i bicchieri di vino restanti con la recitazione
della benedizione dopo il pasto, dopo è consentito bere solo acqua e proibito di
mangiare altro sino all’alba.
Shavuot o Pentecoste: cade tra maggio e giugno e ricorda la rivelazione sul
monte Sinai, quando il Signore dettò a Mosè i Dieci Comandamenti. In agricoltura
segna il primo raccolto dei frutti e dei vegetali. Dura due giorni e la famiglia si
riunisce per una cena a base di latticini la prima sera e di carne la seconda sere.
Sukkot: il termine Sukkot o Succot, si riferisce ad una festa di pellegrinaggio
della durata di 8 giorni (7 giorni in Israele). È conosciuta anche con i nomi di
“Festa delle capanne”, “Festa dei tabernacoli” e “Tabernacoli”, è una delle feste
più importanti e cade tra settembre ed ottobre. In agricoltura segna l’ultimo
raccolto prima delle piogge invernali.
La parola “sukot” è il plurale della parola ebraica sukah che significa, per
l’appunto capanna e nel linguaggio comune indica proprio la capanna che viene
costruita appositamente per la celebrazione della festa.
La festa di Sukot ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro
viaggio verso la terra promessa, la terra di Israele. Durante il loro pellegrinaggio
nel deserto essi vivevano in capanne, appunto i sukot. La Torah ordina agli Ebrei
di utilizzare, per la celebrazione della festa, quattro specie di vegetali: il ramo di
palma, il cedro, tre rami di mirto e due rami di salice. Il cedro viene impugnato
separatamente dai rami che invece sono legati assieme con la canapa.
I primi due giorni di Sukot vengono celebrati come giorni di festa piena,
mentre i cinque giorni successivi sono di mezza festa durante i quali vengono
comunque osservati i precetti specifici della festa. Il settimo giorno è chiamato
“Hoshanà Rabà”- grande osanna - e deve essere osservato in maniera
particolare. L’ultimo giorno, l’ottavo, viene celebrato come fosse una festa a sé e
presenta delle preghiere e delle usanze particolari
In questo giorno, durante il servizio in sinagoga, viene letta l’ultima porzione
della Torah. Nello Shabbat successivo, gli ebrei ricominciano la lettura della Torah
dalla prima porzione, cioè dalla prima parte del libro della Genesi.
Rosh ha-Shanà o capodanno ebraico, cade tra settembre e ottobre ed è
ritenuto il giorno della creazione. E’ un giorno di festa solenne che si celebra
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con un pranzo con cibi simbolici: si intinge il pane nel miele come augurio di un
anno felice. In sinagoga durante la cerimonia si suona il corno di montone per
richiamare il popolo alla penitenza. A partire dal capodanno, infatti, iniziano i dieci
giorni terribili, che terminano con il giorno dell’espiazione, Kippur, in cui ognuno
medita sulle proprie azioni dell’anno appena trascorso.
Kippur, giorno di digiuno completo, considerato da tutti gli Ebrei il giorno
più sacro dell’anno, in cui ognuno si trova solo davanti al Signore a rispondere
delle proprie azioni e a chiedere perdono. Poiché si crede che in questo giorno
il Signore scriva nel libro della vita il nome di chi vivrà l’anno seguente, l’augurio
che gli Ebrei si scambiano è hatimà tova – buona firma.
Channukkà o festa delle luci:cade tra novembre e dicembre e ricorda la
vittoria dei Maccabei sull’esercito greco-siriano e la conseguente riconsacrazione
del Tempio. Secondo la tradizione, quando i Maccabei entrarono nel Tempio
trovarono olio puro bastante a tenere accesa la lampada eterna. L’olio, invece,
durò solo otto giorni. Per ricordare l’evento miracoloso si usa accendere per otto
giorni i lumi, uno in più ogni sera.
Ti bi-Shevat o capodanno degli alberi: cade tra gennaio e febbraio e segna la
fine dell’inverno eil risveglio della natura. La famiglia riunita celebra la festa con
pranzo a base di frutta : melograno, dattero, fico, uva.
Purim o festa delle sorti: cade tra febbraio e marzo e ricorda la persecuzione
antiebraica in Persia. E’ una sorta di Carnevale , nel quale c’è l’usanza di
mascherarsi e grandi e piccoli si scambiano doni e dolci.
Yom Ha Shoah o “Giornata del ricordo dell’Olocausto”, ricorre il 27esimo
giorno di Nissan, nel calendario ebraico. Si tiene ogni anno in ricordo degli Ebrei
che furono uccisi durante l’Olocausto. Questo è un giorno di “vacanza nazionale”
in Israele. In origine fu proposto il giorno 15 di Nissan, l’anniversario della rivolta
del ghetto di Varsavia (19 aprile, 1943), ma fu subito scartato perché coincideva
con il primo giorno di Pesach. Invece fu scelto il 27 essendo otto giorni prima
del Yom Ha’atzma’ut, o giorno dell’indipendenza di Israele. Yom Ha Shoah fu
istituzionalizzato da Israele nel 1959
Yom Ha’Azma’ut o giorno dell’indipendenza, è la festa dell’indipendenza
Israeliana. Cade il 5 di Iyar, ottavo mese del calendario ebraico, giorno della
proclamazione dello Stato di Israele nell’anno ebraico 5708, corrispondente al 14
maggio 1948.
Yom HaZikaron o “Giorno del Ricordo” è una delle giornate più importanti
per gli Israeliani e in generale per tutti gli Ebrei. Si celebra ogni anno il quarto
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giorno di Iyar, ed è dedicato a tutte quelle persone che sono cadute in guerra, ai
soldati, alle vittime del terrorismo, e tutte le persone, volontari e non, che fanno
parte delle forze di sicurezza. In Israele il giorno di ricorrenza venne decretato
per legge nel 1963, ma la consuetudine della celebrazione in questa data risale
al 1951.
23
1.5 LA CUCINA EBRAICA
Uno dei primi concetti insegnati all’uomo è stato quello di ciò che non si può
mangiare. Tali regole trovano origine nella Bibbia, precisamente nel Pentateuco
e sono chiamati statuti, ossia regole che ci sono e le cui motivazioni sono
incomprensibili all’intelletto.
Questa regola di cosa mangiare, e cosa no, chiamata kashrùt insegna ai
bambini fin da piccoli il concetto di disciplina. Oltre a questo tipo di esercizio
di “controllo” esiste anche una spiegazione più “mistica” secondo la quale,
mangiando cibi non permessi, si interferisce la comunicazione con la propria
anima.
Inoltre, secondo un concetto che “il sangue è anima” e che ciò che si mangia
entra direttamente nel sangue, si può affermare con certezza che mangiando cibi
vietati, e quindi impuri, si diventa impuri.
La kashrùt è, quindi, una sorta di dieta per l’anima. Il cibo che risponde ai
requisiti di Casherut è definito kosher, kasher o casher.
Siccome le regole della kashrùt sono ben più complesse, ci limiteremo ad
osservare una semplice classificazione dei principi fondamentali, partendo dalla
divisione dei cibi da parte degli Ebrei, che li dividono secondo la loro origine:
Cibi a base di carne.
Cibi a base di latte.
Cibi parve: non contengono né carne né latte, un classico esempio ne è la
frutta allo stato naturale che è un kosher e parve oppure il pesce con ancora le
pinne e le squame. In poche parole sono “parve” i cibi che gli Ebrei considerano
neutrali.
Tuttavia questi cibi, se cucinati con latte, carne o loro derivati possono
diventare anch’essi cibi a base di carne o latte.
24
1.6 LE REGOLE ALIMENTARI EBRAICHE (CASHERUT)
Il cibo, per essere consumato secondo le regole alimentari ebraiche, deve
soddisfare vari aspetti:
∂ La natura del cibo;
∂ La sua preparazione;
∂ Per i cibi di origine animale, le caratteristiche dell’animale stesso.
I limiti imposti riguardanti il consumo di cibi vegetali sono esplicitamente
catalogate nella Torah ed accuratamente descritte nella letteratura Halachica.
Alcune di esse sono limitate al raccolto della Terra d’Israele: per essere atto
al consumo, deve essere sottoposto ad una serie di prelievi, denominati
genericamente Terumot Vemaaserot; inoltre, il raccolto del settimo anno del ciclo
sabbatico è soggetto ad ulteriori restrizioni. Altre limitazioni riguardano anche i
prodotti coltivati all’infuori della Terra d’Israele: per esempio, il divieto di ottenere
i prodotti di innesti, denominati Kilàyim. Il divieto di Orlà vieta i frutti prodotti
dall’albero durante i primi due anni (vigono regole speciali anche per il terzo
anno). Una cura particolare viene portata all’eliminazione di vermi e altri intrusi
dagli alimenti di origine vegetale.
Vi sono alcune regole di un certa importanza anche per quanto riguarda
la macellazione degli animali e i tipi di questi che gli Ebrei possono mangiare.
Queste sono riconducibili a regole di base, espressamente citate nella Torah, e
regole derivanti dall’esegesi.
Le regole indicate in seguito sono puramente esplicative e non devono essere
assunte come riferimento: la casistica è estremamente complessa e non sempre
univoca; spesso, anzi, comunità geograficamente separate hanno elaborato
norme con sfumature diverse (si veda quanto detto a proposito dei pesci più in
basso): in questo caso vige la regola di seguire l’usanza della comunità.
Il cibo di origine animale (carne) è permesso solo se proveniente da animali
puri.
Questi sono definiti in modo molto preciso per quanto riguarda gli animali
terrestri, che devono:
∂ essere ruminanti;
∂ avere lo zoccolo “spaccato”, fesso.
Sono quindi considerati puri, in linea di massima, bovini, ovini e cervidi,
mentre non lo sono gli equidi, i suini, le scimmie e tutti i rettili, anche se con
zampe.
Gli animali nati dall’unione di specie diverse sono vietati.
Gli animali acquatici devono:
∂ avere pinne;
∂ avere squame.
È proibito cibarsi del caviale e di derivati dei pesci proibiti.
Anche lumache, rane e simili sono proibiti.
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Divieto di carne e pesce assieme: per questa proibizione non viene prevista
attesa tra un cibo e l’altro ma, eventualmente, il risciacquo di bocca e mani con
acqua tra i due momenti; sconsigliato l’uso di piatti e posate sporchi di carne per
il pesce e viceversa (quest’ultima regola vale anche per la cottura di cibi, anche
in pentole o contenitori vari).
Pesce e latte: la tradizione ebraica della Torah afferma che esiste anche
prevenire una delle cause di una forma di lebbra, evitando di ingerire pietanze e
cucinati con latte e pesce (o loro derivati) assieme, cotti o crudi.
In merito a questa precauzione, che per i più è facoltativa, sono presenti
differenti opinioni tra cui quelle di chi permette di preparare il pesce anche con
burro, chi ne permette l’uso con una sorta di crema di latte simile al formaggio,
per esempio come farcitura nei panini assieme al salmone affumicato, e chi ne
evita l’utilizzo con qualsiasi forma di latticini, burro, creme, formaggi, ecc.
Non si tratta quindi di una prescrizione normativa ma di una precauzione
facoltativa che, in genere, si può decidere liberamente di seguire o non seguire.
CARNE
Per essere considerato un animale kosher, l’animale preso in considerazione,
se bovino, deve essere provvisto di zoccolo fesso ed essere un ruminante.
Quindi, seguendo questo ragionamento, sono animali kosher: la mucca, capra e
pecora. Mentre non sono kosher: il maiale, il coniglio, il cammello, il cavallo.
Una parentesi per la carne di cervo: tale animale è permesso, tuttavia,
avendo come “condizioni” l’uccisione con un colpo di pistola in un campo aperto,
è stata in qualche modo abbandonata la sua consumazione poiché non era
concessa l’uccisione in mattatoio.
Tutti gli animali e volatili carnivori, il loro sangue e altre sostanze da loro
derivati non sono permessi, e quindi non sono kosher. Anche gli insetti e i rettili
non sono kosher.
La Shekhità – Macellazione: la carne e il pollame kosher deve essere
preparata in base al metodo della shekhità, ossia un taglio rapido alla gola
dell’animale con un coltello affilatissimo privo di qualsiasi imperfezione
sulla lama. Si tratta di un metodo indolore, nel rispetto della sofferenza
dell’animale.
Dopo la shekhità, l’animale deve essere sottoposto ad un accurato
controllo, detto bedikà, per verificare che non abbia difetti che lo renderebbero
non kosher in base alla legge ebraica. I polmoni di bovini e ovini e gli intestini del
pollame vengono sempre controllati. In sostanza, la macellazione rituale viene
definita nei dettagli con lo scopo evidente, anche se non dichiarato, di:
◘ macellare unicamente animali perfettamente sani;
◘ ridurre per quanto possibile le sofferenze dell’animale;
◘ privare rapidamente l’animale del sangue, che non può essere consumato.
Parti dell’animale consentite: non tutte le parti dell’animale possono essere
consumate. In linea di massima, sono utilizzabili tutte le masse muscolari e le
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ossa; tra gli organi interni, cuore, fegato, polmoni e cervello sono consentiti; non il
grasso attorno ai reni e all’intestino. Le regole in merito sono piuttosto complesse.
Non sono consentite le parti di animale terrestre che contengano il nervo sciatico,
in ricordo dell’azzoppamento di Giacobbe da parte dell’angelo; si potrebbero
quindi consumare solo i quarti anteriori o i quarti posteriori previa eliminazione
del nervo sciatico, operazione questa particolarmente complessa e praticata dal
bodek (specifica figura professionale esperta nella pratica dell’eliminazione del
nervo sciatico). Non è mai ammesso il consumo di parti di un animale vivo e tale
regola vige secondo l’ebraismo anche per i non Ebrei (le uova e il latte non sono
considerati tali).
Carne e pesce: la carne e il pesce non vanno consumati assieme. Il motivo
è molto semplice: è una sorta di tradizione, poiché i saggi consideravano tale
mescolanza nociva alla salute. Così, anche se nello stesso pasto si mangia sia
carne che pesce, si usa non mangiare carne con sugo di pesce ma, piuttosto,
mangiare la carne e, dopo essersi mangiati un tozzo di pane o bevendo
qualcosa, si può passare al piatto successivo.
Carne e Latte: una norma importante è la proibizione di uso contemporaneo
di carne e latte, dove per carne si intende quella di animali terrestri e uccelli,
mentre la limitazione per il pesce con latticini richiede un’argomentazione a parte
come sopra parzialmente descritta. La Torah ordina tre volte di non cuocere
il capretto nel latte della madre; questa imposizione ha dato origine a una
dettagliata esegesi per rendere la norma chiara e di facile rispetto. In pratica, non
sono consentiti:
◘ la cottura contemporanea di carne e latte o latticini;
◘ il consumo, nello stesso pasto, dei due ingredienti (spesso anche tenerli sulla
stessa tavola);
◘ la necessità di porre un intervallo di tempo tra il consumo di carne e alimenti
di latte
◘ l’uso di stoviglie (pentole, piatti, posate) misto, anche in tempi diversi (alcuni
di essi possono passare attraverso un processo di “casherizzazione” e
passare da un uso di carne ad un uso di latte o viceversa).
La “casherizzazione” è però un procedimento che si adotta solo in caso di
necessità in quanto a priori una mensa ebraica ortodossa deve provvedere ad
avere almeno due servizi di stoviglie separati.
Purché risciacquati ogni volta, è
Halakhah sefardita utilizzare utensili da cucina e stoviglie di vetro sia per latte
sia per carne, ovviamente non contemporaneamente; gli ashkenaziti non ne
accettano la motivazione.
Per rispettare tale norma, un Ebreo osservante avrà quindi necessariamente
piatti di carne e piatti diversi di latte; lo stesso per pentole e posate. Spesso avrà
due frigoriferi distinti per la conservazione ma non sempre e certamente due
armadi distinti, anche se questa è una precauzione più che una regola.
Stoviglie besarì possono essere usate in momenti o periodi differenti come
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halavì, e viceversa, solo se di materiale idoneo (lo sono il legno, il metallo, il
vetro e la plastica ma non la terracotta e talvolta ceramica e porcellana) ad un
processo di lavaggio particolare in acqua portata ad ebollizione, poi mantenuta
attorno ai 100 °C e repentinamente riscaldata/fatta strabordare mediante
l’introduzione di un ferro o altro corpo rovente: questa procedura deve avvenire
qualora se ne voglia cambiare uso, l’oggetto non sia più casher o per l’utilizzo per
Pesach.
Per dare un’idea dell’importanza che si dà alla norma, si pensi che un cibo
di carne cotto nel latte di mandorle (che, ovviamente, non ha nulla a che fare
con il latte vero e proprio) è permesso, ma solo se vengono poste in evidenza
delle mandorle intere, per evitare di indurre in errore e di creare un’abitudine
pericolosa per l’osservanza.
I cibi che non ricadono in una della categorie precedenti, e quindi uova,
vegetali, frutta, condimenti quali il sale o lo zucchero, sono detti parvé e possono
essere consumati, oltre che da soli, indifferentemente con cibi besarì o halavi.
Il Talmud, come sopra spiegato, consiglia e prescrive di non consumare pesce
e latte insieme; anche lo Shulchan Aruch vieta il consumo di carne e pesce
insieme. Inoltre è vietato consumare cibo la cui preparazione è stata effettuata
da un Ebreo durante lo Shabbat attraverso una delle 39 azioni proibite nel giorno
più santo. Per esempio, il latte munto o bollito da un Ebreo durante lo Shabbat
diventa improprio al consumo.
Gli Ebrei non possono trarre alcun vantaggio dal miscuglio di latte o latticini e
carne: alimenti tali non possono neanche essere forniti ai propri animali.
La Melikhà – Salatura: per essere finalmente portata in tavola, la carne deve
essere privata dei resti di sangue, la cui consumazione è strettamente vietata
dalla Torà.
Essa deve perciò essere messa a bagno per un’ora e poi sotto sale grosso e
risciacquata tre volte prima di essere cucinata. Oggi, la maggior parte della carne
viene kasherizzata dal macellaio, risparmiando la fatica al consumatore.
Il fegato
è un caso particolare: essendo imbevuto di sangue, non può essere kasherizzato
con il normale processo illustrato sopra, ma deve essere preparato “alla griglia”,
ossia a diretto contatto con una fiamma.
Il Nikùr – Purificazione: prima di raggiungere gli scaffali della macelleria, la
carne deve essere sottoposta ad alcuni procedimenti, detti nikùr, che comportano
la rimozione di alcune vene e di grassi vietati.
Poiché il nikùr dei quarti posteriori dell’animale è notevolmente complesso,
nella maggior parte delle comunità della Diaspora non viene effettuato del tutto
in queste parti della bestia, che vengono vendute al mercato non ebraico. I quarti
posteriori contengono tra l’altro il nervo sciatico, che non può essere mangiato
dagli Ebrei poiché fu dove Giacobbe rimase ferito nel suo scontro con l’angelo.
Volatili: i volatili come il pollo, il tacchino e alcuni palmipedi sono kosher.
La Torah elenca i cibi vietati, tra cui: l’avvoltoio, lo struzzo, il gufo considerati
impuri. Tuttavia è difficile identificare tutte le identità delle specie. Il pollame è
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consumato, così come il fagiano, la pernice e il piccione. Secondo tradizione
ebraica tedesca anche il passero sarebbe permesso.
Latte: il latte e i suoi derivati (latticini) sono kosher se derivati da animali
kosher, tuttavia non possono essere consumati insieme a carne e pollame.
Dato che, una volta che latte e latticini arrivano in tavola, è impossibile
stabilire se sono derivati da animali kosher o meno, i rabbini hanno deciso
che la loro produzione debba essere controllata dalla mungitura fino al suo
confezionamento. Oggigiorno il latte kosher controllato è il Chalav Israel e si può
reperire facilmente nei centri di vita ebraica, quindi, non vi è bisogno di ulteriori
controlli.
Formaggio: ha un controllo più rigoroso, sotto qualunque forma e provenienza
deve essere controllato da un rabbino dato che il caglio è di origine animale
e, quindi, in genere proveniente dallo stomaco di vitello. I saggi Talmud hanno
quindi deciso e decretato che tutti i formaggi debbano provenire da fonti
controllate, anche quando il caglio è vegetale, chimico o microbico. Altra regola è
che il formaggio deve essere cagliato da un Ebreo che segue la regola kashrùt,
così come tutti gli alimenti che hanno bisogno di cottura.
Burro: la questione del burro è molto più complicata, poiché che il burro è un
derivato del latte e necessita di molti “cambi” è necessario che sia controllato e
certificato. Per questo il problema del kosher si pone nel burro classico e anche
nel burro extrafine ormai visto che nei burrifici si alternano le due produzioni.
Così, gli Ebrei, si sono abituati a consumare solo burro certificato nella sua
kashrùt che, quindi, certifica anche il controllo della sua mungitura.
Verdura: mentre la consumazione di carne di maiale implica una sola
trasgressione, quella di un insetto ne comporta diverse. La Tora è molto esplicita
nei divieti concernenti tali creature e quindi la frutta e la verdura potenzialmente
esposte a infestazioni devono essere controllate e pulite accuratamente.
Quella
che può sembrare una bella foglia di lattuga, osservata più da vicino può apparire
come un albergo per insetti. Altre “dimore” molto apprezzate da queste bestioline
sono ad esempio il prezzemolo, l’asparago, le verdure di primavera, i broccoli e
i cavolfiori.
Tutti gli insetti o vermi visibili a occhio nudo devono essere “sfrattati”,
immergendo la verdure in acqua salata o in aceto, oppure mettendo particolari
prodotti esistenti sul mercato su un panno e strofinando delicatamente la foglia,
il tutto seguito da un accurato controllo visivo. Anche la frutta e la verdura in
scatola possono essere problematiche. Gli insetti vi si presentano come granelli
neri, ma fortunatamente possono essere rimossi con un panno.
Vino: vino e succo d’uva devono essere esclusivamente di origine approvata
dai rabbini, ma non per lo stesso motivo del formaggio. I saggi bandirono il vino
di produzione non ebraica essenzialmente per evitare i matrimoni misti, poiché
il bere può portare poi all’incontrarsi e così via. Anche prodotti come il brandy
e l’aceto di vino devono portare il sigillo di un rabbino.
Esso è kosher solo se la
sua produzione viene effettuata da un Ebreo osservante. La produzione di vino
kosher può richiedere un notevole dispendio di tempo e denaro, poiché richiede
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la scrupolosa kasherizzazione dell’attrezzatura precedentemente impiegata per
la produzione di vino non kosher e la presenza di un’intera équipe di personale
osservante debitamente addestrato.
Come spesso accade, ingredienti non
kosher possono infiltrarsi nella produzione di vini non kosher, ad es. si usava
aggiungere sangue di toro per la colorazione o più comunemente un agente di
raffinamento proveniente dallo storione. Si tratta di motivazioni fondamentali che
sottolineano l’importanza di un controllo rabbinico molto accurato.
Pane: i rabbini sconsigliano la consumazione di pane non prodotto da ebrei,
benché laddove non sia disponibile pane di produzione ebraica, o se esso
è di qualità inferiore, si può acquistare pane di produzione commerciale, ma
tenendo conto di quanto segue: esso in genere contiene grassi o emulsionanti
di origine animale o non identificata. Vi è anche la possibilità che emulsioni
o gelatine vengano spalmati sulla crosta o che le teglie vengano oliate con
grassi non kosher, i quali per legge non comportano l’obbligo di essere riportati
e dichiarati sulla lista degli ingredienti. Il pane è inoltre esposto al rischio che
venga cotto negli stessi forni di pane o dolci non kosher, il che lo renderebbe
automaticamente non kosher. Di fatto, alcun pane non controllato può essere
considerato kosher.
Biscotti: sono in genere prodotti con margarina non kosher. Anche quelli
fatti con il burro possono non essere kosher poiché, come detto sopra, le teglie
possono essere ingrassate con ingredienti vietati, senza che ciò debba essere
segnalato al cliente. Ciò vale anche per le torte. Riguardo ai forni è valido lo
stesso principio del pane.
Margarina: la margarina contiene grassi ed emulsionanti che possono essere
di origine animale. Anche i produttori di margarine dette vegetali non sono in
grado di garantire che l’origine dei loro emulsionanti sia tale. Di conseguenza,
si può impiegare solo la margarina controllata da un rabbino. Nelle margarine in
commercio si addizionano spesso aromi a base di latte o derivati.
Uova: a causa dei divieti sul sangue, si devono controllare anche le uova
aperte prima di essere cucinate, per eliminare quelle che contengono macchie di
sangue. Non è però necessario controllare le uova prima di prepararle sode. Le
uova bianche hanno in genere meno macchie di quelle marroni, forse per motivi
biologici, è quindi più difficile trovare qualche macchia di sangue rosso vivo o
simile nelle uova bianche.
La kasherizzazione: cibo kosher prodotto con utensili precedentemente
impiegati per la cottura di cibo non kosher, diventa a sua volta non kosher. Il
procedimento che rende utensili, pentolame, piatti, forni, piani di cottura e lavabi
kosher viene comunemente chiamato “kasherizzazione”. Essa deve essere
effettuata sotto la scrupolosa osservazione di un rabbino esperto, poiché la sua
esecuzione varia in base al genere di oggetto o utensile.
Insetti ed animali striscianti e non: Sono certamente proibiti tutti gli animali
striscianti, quali serpenti, bruchi, lombrichi; in genere quasi tutti gli invertebrati,
con l’eccezione specifica di alcuni tipi di locuste.
30
Derivati animali: la regola generale stabilisce che sono puri i derivati di
animali puri, e viceversa. Quindi, il latte di mucca e il caviale di salmone sono
puri; il latte di asina e il caviale di storione impuri. Vi sono numerose limitazioni
a questa regola e delle eccezioni. Ad esempio le api sono considerati animali
impuri ma il miele è considerato puro.
Tra i derivati animali si trovano anche additivi alimentari di uso comune: si
pensi alla colla di pesce o alle gelatine. Questi seguono la regola generale di
essere permessi se provenienti da animali puri e viceversa. Nei cibi di origine
industriale si può avere uso contemporaneo di derivati del latte e della carne,
ciò pone ad esempio un problema con le capsule usate nella farmaceutica,
solitamente di derivazione animale mentre è comune trovare componenti derivati
del latte nelle medicine vere e proprie.
31
1.7 IL GHETTO
Gli Ebrei sono riusciti a sopravvivere a quasi tre secoli di isolamento e
persecuzioni senza uscirne culturalmente e socialmente annientati. Il ghetto può
essere visto come una “nazione nella nazione”, una nazione minuscola, ma
libera al proprio interno e viva anche se chiusa tra mura.
La parola ghetto, che deriva probabilmente dal ghetto di Venezia, è diventata
sinonimo in tutti i Paesi e in tutte le lingue di reclusione forzata per gli Ebrei. In
veneziano géto significa fonderia e proprio vicino ad una fonderia venne costituito
nel 1516 il primo ghetto della storia.
L’etimologia è ad oggi ancora dibattuta, ma qualunque essa sia, il termine
indica un quartiere di reclusione coatta, un’area di emarginazione e isolamento
nel quale vivono in gruppo, volontariamente o involontariamente, etnie. Esso
è collocato nelle periferie delle città, è principalmente riservato agli Ebrei e
caratterizzato da una barriera fisica con ingressi controllati.
LA STORIA
Con la diffusione del Cristianesimo iniziò ad affermarsi l’idea di tenere
separati gli Ebrei dal resto della popolazione, al fine di evitare il “contagio”, cioè
per preservare i fedeli cristiani da una possibile influenza ebraica.
Queste forme di “giudeofobia” si manifestarono solo in piccola parte durante
il Medioevo poiché la separazione degli Ebrei dai non Ebrei era improponibile
da parte della chiesa che voleva garantire la libertà di culto al popolo giudaico
in quanto testimone vivente del messaggio divino. Inoltre, gli Ebrei erano
abili operatori economici e quindi risultava estremamente dannoso privare
la collettività di quei servizi fiscali necessari, effettuati per la maggior parte
dal popolo ebreo. Se queste esigenze non potevano essere compromesse
allora si fece ricorso ad altri mezzi: gli Ebrei dovevano portare un segno di
riconoscimento, non si potevano sposare o avere relazioni sessuali con i cristiani
e addirittura venne impedito loro di frequentare gli stessi luoghi pubblici. Gli Ebrei
dovevano restare rinchiusi durante i giorni della Settimana Santa, e così via.
Anche se l’isolamento degli Ebrei avveniva sotto costrizione, nel Medioevo
non si verificò mai una vera e propria ghettizzazione, come avverrà infatti nella
prima metà del Novecento sotto le prime dittature.
Ormai le segregazioni forzate di Ebrei assomigliavano sempre più a quelle
che sarebbero state realizzate nel XVI secolo. In Spagna già dal Duecento
iniziarono a sorgere quartieri ebraici distinti e nel 1243, in tutta la penisola iberica,
si accentuarono le persecuzioni, le prime espulsioni di massa fino ad arrivare
ad una vera e propria “ghettizzazione” che fu promulgata nel 1480. Come in
Spagna, anche gli ebrei tedeschi e francesi seguirono la stessa sorte evitando,
però, l’espulsione.
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Nei paesi arabi, al contrario di quelli europei, non si era quasi mai sostenuto
l’esigenza di separare gli “infedeli” sebbene esistessero “quartieri ebraici”, i quali
venivano chiamati “shara” in Tunisia e Algeria e “mahallat Yahud” in Persia. Solo
nella prima metà del 1400 comparvero nei paesi arabi i veri e propri ghetti, come
Marrakesh e Fez. Nel 1515 , a Venezia, dato che era sconveniente ricorrere
all’espulsione degli Ebrei, si pensò di creare un quartiere ebraico. Nacque così la
parola “ghetto”. L’opposizione degli Ebrei fu vana e, per paura di un’espulsione
di massa, accettarono di essere raccolti in un’area a loro destinata: il quartiere
di Cannaregio. Il ghetto di Venezia conobbe un incredibile aumento della
popolazione che la portò ad effettuare notevoli ampliamenti.
In quasi tutti gli stati italiani i ghetti non si limitarono alle grandi città ma
vennero fondati anche nelle minuscole località di confine, nei piccoli borghi e nei
centri agricoli. Il ghetto divenne in Italia l’unico scenario della vita quotidiana della
grande maggioranza degli Ebrei.
Un caso isolato è quello del Piemonte. Quello di Torino fu il primo vero
ghetto dello stato di Savoia. Già dal Quattrocento, infatti, c’erano state iniziative
di segregazione degli Ebrei in Piemonte e il vescovo di Alessandria tentò
di far istituire il ghetto nella sua città ma solo a Torino nel 1621 si arrivò alla
realizzazione. Ancora una volta gli Ebrei non si opposero alla loro segregazione
in Sicilia intimoriti dall’ostilità cristiana.
La segregazione degli Ebrei nei ghetti ebbe per lo più una funzione
protettrice, per questo non si verificarono quasi mai resistenze violente, infatti
l’istituzione dei “recinti” non era legata a ragioni ideali bensì a ragioni pratiche. Il
ghetto godeva di ampia autonomia e si autogovernava attraverso leggi religiose.
Uno dei grandi problemi dei ghetti erano i pericoli che provenivano
dall’esterno, per esempio, quando alla fine del Settecento, in Italia, si era diffusa
la convinzione che gli Ebrei stessero dalla parte della “rivoluzione” e questo
indusse le masse popolari ad aggredire i ghetti e a massacrarne gli abitanti.
Questo accadde anche perché alcuni ghetti vennero aperti senza gradualità e
quindi senza che le autorità avessero ancora preso le contromisure necessarie
per un pacifico reinserimento degli Ebrei nella società che ormai da secoli era
abituata a tenerli fisicamente separati.
L’altro grave problema riguardava le condizione di degrado in cui vivevano gli
abitanti del ghetto: erano esposti ad epidemie, senza pensare poi a quello che
poteva accadere in caso di inondazioni, terremoti, incendi e più in generale tutte
le calamità naturali.
Solo nell’Ottocento si arrivò alla cancellazione dei ghetti, già durante il
Settecento le concessioni si erano moltiplicate e poi in molte città la clausura
venne abolita, ma questo accadde solo nell’Europa occidentale, perché, come
vedremo, in quella orientale, e soprattutto in Germania, la dottrina antisemita
assunse i toni più violenti.
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento in Germania la diversità
dell’Ebreo fu avvertita come diversità nazionale, il che portò il paese ospitante
33
a sospettare di infedeltà al popolo tedesco. Ciò accadde soprattutto dopo
la sconfitta della Prima Guerra Mondiale e le drammatiche vicende della
Repubblica di Weimar, un’istituzione democratica formatasi in Germania per far
fronte ai problemi economici e sociali del Paese.
La popolazione ebraica fu colpita da una serie di limitazioni crescenti e
dall’odio di una nazione che si preparava ad una dittatura in nome del mito della
razza ariana.
Con l’invasione della Polonia, i nazisti si trovarono di fronte ad una
popolazione ebraica di gran lunga più numerosa che in occidente, i
provvedimenti di discriminazione apparvero irrealizzabili e per questo si passò
alla segregazione coatta degli Ebrei all’interno di una serie di quartieri cittadini.
Queste zone vennero chiamate ghetti e all’inizio non ci furono resistenze da parte
degli Ebrei, anche perché era ancora inimmaginabile il folle progetto di Hitler:” la
soluzione finale” .
Nel ghetto nazista gli Ebrei erano prigionieri e perdevano qualsiasi diritto.
L’occupazione tedesca della Polonia implicò la costruzione di numerosi
ghetti, con il consenso del popolo polacco, qualsiasi forma di resistenza venne
schiacciata con la violenza.
Nel giro di un anno i ghetti vennero sigillati e l’operazione proseguì anche
quando i nazisti optarono per l’eliminazione fisica di tutti gli Ebrei (e di tutti quelli
considerati un “pericolo” per la stabilità del regime ), si iniziò con le fucilazioni di
massa per poi passare alle camere a gas.
Dalla fine del 1941 iniziarono le evacuazioni forzate: gli Ebrei venivano
prelevati dai ghetti per essere portati verso nuove terre di insediamento o verso
campi di lavoro che in realtà erano campi di sterminio. Quindi il ghetto non era
più uno strumento per segregare gli Ebrei, come era stato ad esempio in Italia,
bensì una trappola per illuderli e condurli al massacro senza opposizione.
Molte rivolte si scatenarono contro i nazisti e tra queste la più conosciuta
è certamente quella del ghetto di Varsavia, dove è stato ritrovato un archivio
clandestino costituito da un gruppo di storici che vivevano in questo ghetto.
La vita nel ghetto di Varsavia era disumana, dai Tedeschi dipendeva tutto,
anche le razioni di cibo o la possibilità di lavoro. La popolazione era decimata
dalla fame e dalle epidemie e nonostante tutto c’era chi trattava affari con i
tedeschi e collaborava nelle spietate repressioni. Nei ghetti tradizionali la vita si
svolgeva pienamente attorno alla religione, diversamente a Varsavia si era creata
una fiorente attività politica e culturale. Le varie organizzazioni politiche trovarono
un accordo nella rivolta contro i nazisti, poiché presero coscienza di quello che
stava succedendo e lo scopo delle evacuazioni forzate. Si venne così a formare
un ampio fronte antinazista che condusse in accordo con la resistenza polacca
per convincere gli ebrei di quello che i tedeschi avevano in mente, per fare
arrivare in Occidente le prove di quanto stava accadendo e per fornirsi di armi in
vista di uno scontro violento.
Il primo scontro armato avvenne il 18 gennaio 1943 ma la vera rivolta esplose
34
il 19 aprile dello stesso anno quando ormai tutti gli abitanti avevano preso
coscienza di quello che li aspettava. La rivolta durò diversi giorni fino a che i
tedeschi non si decisero a distruggere il ghetto e a deportare tutti gli abitanti.
Dopo alcuni mesi dalla distruzione i piccoli gruppi di resistenti sopravvissuti
continuavano a combattere fino alla morte o alla loro cattura.
LA VITA NEI GHETTI
I ghetti presentavano strade anguste e case alte e molto affollate. Ogni
abitante del ghetto rispettava le leggi di un preciso sistema giudiziario interno e,
poiché spesso c’era bisogno di lasciare il ghetto, era raro che potesse passarne i
confini, delimitati da mura sistematicamente chiuse la notte e durante le feste.
La vita nel ghetto non doveva essere assolutamente facile, ma soprattutto
difficile e degradante. In molti ghetti gli ebrei potevano lavorare soltanto come
ambulanti, mercanti di oggetti di seconda mano o prestatori di denaro su
garanzia. Le donne, alle quali era vietato confezionare o vendere indumenti
nuovi, rammendavano abiti vecchi che poi venivano venduti dagli uomini.
La miseria era diffusa, gli alloggi poverissimi e fetore e sporcizia terribili. Le
costruzioni che venivano innalzate per far fronte alle necessità di dare alloggio a
tutti, a volte crollavano e lasciavano molta gente senza abitazione.
Gli Ebrei residenti nei ghetti pagavano tasse eccessive, senza speranza di
appello. La polizia molto spesso entrava nelle case e confiscava ogni mobilia;
puniva gli Ebrei che accendevano il fuoco durante il sabato perché venivano
accusati di lavorare in modo illegale per i cristiani.
Nello stato della chiesa la polizia perseguitava gli ebrei che trasgredivano
l’obbligo di assistere alle prediche tenute da preti che spesso erano convertiti
all’ebraismo. Nei ghetti vigevano leggi ferree che assicuravano un’ esistenza
tranquilla e pacifica ai suoi abitanti, non mancavano di certo pericoli che
potevano mettere a rischio l’ intera comunità.
Questi rischi provenivano soprattutto dall’ esterno. Un grave problema
riguardava le condizione di degrado in cui vivevano gli abitanti del ghetto: l’intrico
delle abitazioni esponeva gli Ebrei ad una maggior propagazione delle epidemie,
senza pensare poi a quello che poteva accadere in caso di inondazioni,
terremoti, incendi e più in generale tutte le calamità naturali.
Nei ghetti tradizionali la vita si svolgeva pienamente attorno alla religione.
Diversamente a Varsavia si era creata una fiorente attività politica e culturale. Le
varie organizzazioni politiche trovarono un accordo nella rivolta contro i nazisti,
poiché presero coscienza di quello che stava succedendo. Si venne così a
formare un ampio fronte antinazista che condusse in accordo con la resistenza
polacca per convincere gli Ebrei di quello che i Tedeschi avevano in mente, per
fare arrivare in Occidente le prove di quanto stava accadendo e per fornirsi di
armi in vista di uno scontro violento.
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I PRINCIPALI GHETTI ITALIANI
In Italia è presente una grande varietà di ghetti, nati soprattutto durante
l’epoca fascista. La regione che presenta il più grande numero di ghetti è il
Piemonte, con circa 20 ghetti. A seguire ci sono le Marche e l’Emilia Romagna
con circa 5 ghetti per regione ed infine le altre aree d’Italia. I ghetti più importanti
d’Italia sono quello di Roma e Venezia anche se quello veneto ha origini più
antiche.
IL GHETTO DI BOLOGNA
Il ghetto di Bologna era l’area urbana della città di Bologna destinata a
contenere la comunità ebraica che in essa risiedeva, secondo quanto stabilito
dal documento emanato il 14 luglio 1555 da Papa Paolo IV. L’editto papale
regolava in generale la presenza ebraica nei domini temporali dello Stato
Pontificio. Il ghetto ha sede in pieno centro storico ed è delimitato completamente
da via Zamboni, via Oberdan e via Marsala.
La storia: Una comunità ebraica a Bologna esisteva già a partire dall’inizio
del XIV secolo. Dedita soprattutto al commercio e al traffico di denaro, la
comunità divenne ben presto prospera e feconda distinguendosi per la grande
passione in campo economico ed intellettuale. La presenza ebraica a Bologna fu
originariamente ben tollerata e la comunità poté, durante i suoi primi due secoli
di storia, integrarsi con relativa facilità. È prova di ciò anche il fatto che nel 1488
venne istituita presso l’Università di Bologna una cattedra di storia dell’ebraismo.
Poco dopo l’emanazione del documento nel 1566, anche a Bologna gli ebrei
furono confinati in un’area ben definita, detta “serraglio degli ebrei” (assumerà poi
il più noto nome di ghetto) e costretti a vivere secondo le restrizioni imposte dalla
bolla pontificia.
Il ghetto era completamente separato dal resto della città e l’accesso era
regolato da tre cancelli che venivano rigorosamente sbarrati al tramonto. Uno
soltanto dei tre è ancora oggi palesemente riconoscibile all’incrocio fra via
del Carro e via Zamboni mentre gli altri due sono stati quasi completamente
riassorbiti dall’evoluzione urbana del centro storico.
Resta oggi soltanto una targa, al 16 di via dell’Inferno, in memoria della
Sinagoga di Bologna cui facevano capo gli ebrei del ghetto per amministrare
il proprio culto; la sinagoga fu quasi completamente distrutta durante i
bombardamenti del 1943.
La comunità ebraica si disperse quasi completamente a seguito
dell’espulsione del 1593 per ricostituirsi lentamente solo in età napoleonica.
Bisognerà tuttavia attendere l’Unità d’Italia perché gli ebrei bolognesi possano
emanciparsi completamente vedendosi riconosciuti come normali cittadini italiani.
L’antico ghetto, divenuto ormai parte integrante del centro storico, ospita oggi
il Museo Ebraico di Bologna.
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IL GHETTO DI FERRARA
l Ghetto di Ferrara fu istituito nel 1627 nella zona più antica della città, a poca
distanza dal Duomo e dal Castello Estense e fu chiuso definitivamente nel 1859.
La storia: La presenza ebraica a Ferrara precede di secoli l’istituzione del
ghetto. Quando esso fu imposto nel 1627 circa 1.500 ebrei vivevano a Ferrara.
La chiusura del ghetto durò oltre un secolo. Le porte che l’occupazione francese
aprì nel 1796 si richiusero nel 1826 anche se con regole meno rigide, fino
all’Unità d’Italia del 1861. Anche dopo la sua chiusura, il ghetto rimase il centro
della vita della comunità ebraica di Ferrara, che Giorgio Bassani ha immortalato
nei suoi romanzi “il giardino dei Finzi contini “ e “ cinque storie ferraresi”.
Il ghetto oggi: Il quartiere ebraico ha mantenuto in larga misura la sua
struttura e i suoi caratteri originari. Dalla piazza della Cattedrale ha inizio via
Mazzini (già via Sabbioni), la strada principale del ghetto, tipica fino alla Seconda
Guerra Mondiale per i suoi vecchi negozi. Al suo imbocco era collocato uno dei
cinque cancelli di chiusura. Lo ricorda una lapide sull’edificio dell’ex-oratorio dove
gli ebrei dovevano riunirsi per le prediche forzate. Un altro cancello era posto
alla fine della strada (all’incrocio con via delle Scienze). Su via Mazzini 95 si
trovano, in un edificio in uso alla comunità ebraica di Ferrara sin dal 1485 le tre
sinagoghe: le uniche sopravvissute tra quelle esistenti nel ghetto, con l’annesso
Museo ebraico.
IL GHETTO DI ROMA
Il Ghetto ebraico di Roma è tra i più antichi ghetto del mondo; è sorto infatti
40 anni dopo il ghetto di Venezia che è il primo in assoluto. Il termine deriva dal
nome gheto, dove esisteva una fonderia dove gli Ebrei di quella città furono
costretti a risiedere.
La storia: Il 12 luglio del 1555, il Papa Paolo IV, con un documento revocò
tutti i diritti concessi agli Ebrei Romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato
“serraglio degli Ebrei”, facendolo sorgere accanto al Teatro di Marcello. Fu scelta
questa zona perché la comunità ebraica, che nell’antichità viveva nella zona
Trastevere, vi abitava ormai prevalentemente e costituiva la maggioranza della
popolazione.
Oltre all’obbligo di risiedere all’interno del ghetto, gli Ebrei, dovevano portare
un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un
altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore verde acqua.
Il ghetto, prima della sua distruzione, costituiva” un esemplare unico” rispetto
al resto della città. Le case erano alte a causa della forte densità abitativa.
Erano presenti varie porte di comunicazione tra abitazioni limitrofe e ponti di
collegamento tra un isolato e l’altro per facilitare la fuga in caso di ruberie e furti.
Poiché il ghetto era a ridosso del Tevere a causa del fango, le facciate degli
edifici assumevano una colorazione a livelli che corrispondeva alla cronologia
37
delle ultime piene.
Nel 1575 il Papa impose agli ebrei romani l’obbligo di assistere
settimanalmente, nel giorno di sabato, a prediche al fine di convertirli alla
religione cattolica. Queste prediche forzate si tennero in sedi diverse come per
esempio a Sant’Anna in Pescheria.
Nel corso dei secoli la popolazione cresceva e il ghetto fu ampliato
notevolmente fino a quando nel 1848 il papa Pio IX ordinò di abbattere il muro
che circondava il ghetto. Con la proclamazione della Repubblica di Roma la
segregazione fu abolita e gli ebrei emancipati. Caduta la Repubblica, lo stesso
pontefice obbligò gli Ebrei a rientrare nel quartiere sia pure ormai privo di porte
e recinzione. Intorno agli inizi del Novecento fu inaugurata la prima Sinagoga
all’interno del ghetto ebraico. Nel ‘43 i nazisti effettuarono una retata in tutta
Roma catturando 1022 ebrei (uomini donne e bambini). In particolare, dopo
aver circondato il quartiere, effettuarono una razzia nell’ ex ghetto catturando
numerose persone. I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare in via della
Lungara. Alla stazione ferroviaria furono caricati su un convoglio composto
da 18 carri bestiame. Il convoglio, partì il 18 Ottobre e giunse al campo di
concentramento di Auschwitz 10 giorni dopo. Quando il campo fu aperto dagli
Alleati, solo 17 deportati si salvarono. Tra questi una sola donna ma nessun
bambino.
CURIOSITA’:
All’interno del ghetto di Roma furono ambientati alcuni film tra cui:
• “La finestra di fronte” di Ferzan Ozpetek: tratta dell’anziano pasticcere
ebreo, Davide Veroli, tormentato dai ricordi del rastrellamento del ghetto, in cui
perse la vita il suo unico amore.
• “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri: alcune
scene sono state girate in via del Tempio 1, casa della vittima Augusta Terzi.
• “L’oro di Roma” di Carlo Lizzani: sono descritti gli eventi dell’ottobre 1943,
che culminarono nel rastrellamento del ghetto e nella deportazione degli ebrei di
Roma ad opera dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
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1.8 GLI EBREI
I DIVERSI GRUPPI IN CUI GLI EBREI SONO DIVISI
Nel corso dei secoli gli ebrei lontano dalla Terra Santa e sparsi in tutto il
mondo hanno sviluppato usi, tradizioni e costumi molto differenti tra loro. Per
quanto riguarda la loro origine gli ebrei nel mondo sono divisi in Askenaziti (gli
ebrei e i loro discendenti che provengono dall’Europa centrale e orientale) e
Sefarditi (gli ebrei e i loro discendenti provenienti dall’Africa settentrionale, dal
Medio Oriente e dalla Spagna).
Per quanto riguarda il modo di vivere l’Ebraismo sono divisi in:
1. Ebrei ortodossi: fra tutti i rami dell’ebraismo, quello ortodosso è il più
esigente verso i suoi seguaci. Ogni aspetto della vita dell’ebreo ortodosso è
regolato dai comandamenti (ben 613).
2. Ebrei conservatori (o tradizionali) L’ebraismo conservatore cerca di
osservare le leggi tradizionali ebraiche, ma permette anche modifiche, nella
misura in cui restano fedeli alla Legge e agli obblighi fissati nel corso dei secoli.
E’ una via di mezzo tra l’Ebraismo ortodosso e quello riformato. E’ soprattutto
un’espressione americana dell’ebraismo.
3. Ebrei riformati (o liberali) L’ebraismo riformato rappresenta il ramo più
progressista dell’ebraismo moderno. Questa corrente vuol fare dell’ebraismo una
fede più moderna.
LA TERRA DI ORIGINE
La Palestina ebbe una grande importanza storica perché diede origine
a Ebraismo e Cristianesimo, inoltre, essa era l’unica via terrestre praticabile
tra l’Egitto, la Siria e la Mesopotamia: fondamentale fu, quindi, il suo ruolo
nell’emigrazione e nel commercio.
Il nome Palestina deriva dai Filistei, uno dei popoli del mare che invasero
l’Egitto nel XII secolo a.C. Nella Bibbia tele area è indicata con nomi
diversi: Terrasanta, Terra degli Ebrei, terra di Israele. Dopo la distruzione di
Gerusalemme da parte dei Romani nel 70d.C. cominciò la diaspora, dispersione,
degli Ebrei nel mondo.
LA PRESENZA EBRAICA IN EMILIA ROMAGNA
La presenza ebraica, in quello che è attualmente il territorio dell’Emilia
Romagna, iniziò a manifestarsi in modo capillare dal XIII secolo, ed è oggi
documentata in almeno trentasette luoghi.
Nel corso del XV e XVI secolo, le comunità ebraiche insediatesi in molti
piccoli e grandi centri dell’Emilia e della Romagna vissero lunghi periodi di buona
convivenza e di tolleranza da parte dei poteri locali, prosperarono nelle attività del
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commercio, della stampa tipografica, negli studi, seguendo le proprie tradizioni e
le regole religiose.
Nel 1555, papa Paolo IV impose l’istituzione di quartieri chiusi per gli ebrei, i
ghetti, e successivamente l’espulsione dai territori della Santa Sede.
Iniziava così l’epoca dei ghetti, prima a Bologna, poi, quando nel 1598
entrarono a far parte dello Stato della Chiesa, a Ferrara, a Lugo e a Cento.
Nel ‘600, cedendo alle pressioni ecclesiastiche, i Duchi d’Este fecero costruire
i recinti del ghetto a Modena e a Reggio, dove la popolazione ebraica era più
numerosa, e a Carpi; ugualmente fecero i Farnese nel territorio del ducato di
Parma e Piacenza.
La fine delle discriminazioni e della vita nel ghetto fu segnata prima dall’epoca
napoleonica, poi, in modo definitivo, dall’emancipazione nel 1860, con la quale gli
ebrei furono reintegrati nei diritti civili e religiosi.
A testimonianza di questa presenza storica sono rimasti:
• ventisei località in cui vi sono tracce di un antico quartiere ebraico
• undici ghetti, ancora oggi percorribili, in particolare quello di Ferrara e di
Bologna
• venti cimiteri ebraici, di cui alcuni ancora in uso
• trentasei sinagoghe antiche, di cui quattro ancora attive ed una a
Bologna, ricostruita negli anni cinquanta
• un vasto patrimonio di arredi sinagogali e di oggetti rituali
• importanti raccolte di libri a stampa ebraici conservati nelle biblioteche
della regione
RESPONSABILITÀ ITALIANE NELLA SHOAH
L’asservimento della politica italiana a quella tedesca venne palesemente
mostrato da Mussolini anche quando nell’agosto 1938 vennero promulgate le
leggi razziali in Italia, preceduta da una violenta campagna di stampa e dalla
pubblicazione del manifesto della razza nel luglio del 1938, con il quale un
gruppo di professori universitari vuole giustificare l’esistenza di una razza italiana,
cui gli Ebrei non apparterrebbero, su una base pseudoscientifica.
Il divieto successivo agli Ebrei di frequentare le scuole del regno e
l’esclusione dalle cariche pubbliche preparano i decreti del Gran Consiglio
del Fascismo con i quali studenti e insegnanti vengono esclusi dalle scuole
e gli Ebrei stranieri espulsi dal territorio italiano e dalle colonie. Nell’ottobre
dello stesso anno un altro documento del Gran Consiglio porta alle estreme
conseguenze la discriminazione limitando l’accesso alle professioni, annullando
i matrimoni misti, espropriando i beni e ponendo una serie di vincoli alle libertà
fondamentali.
Nel frattempo la Direzione generale per la demografia e la razza, istituita
presso il Ministero dell’interno, realizza il censimento degli Ebrei, strumento
fondamentale per la persecuzione e per la deportazione che ha inizio con la
40
partecipazione attiva della Repubblica Sociale Italiana dopo l’8 settembre del
1943.
Dopo l’armistizio la situazione sì aggrava ulteriormente; cominciano gli arresti
e le deportazioni; gli abitanti del ghetto di Roma vengono arrestati in massa e
inviati al campi di sterminio; in dicembre il Governo di Salò ordina ufficialmente
l’arresto di tutti gli Ebrei e la confisca dei loro beni. Nell’esecuzione di questi
ordini gli sgherri fascisti sono coadiuvati dai Tedeschi, che occupano l’Italia.
Nel settembre del 1943 l’Italia risultava divisa in due parti: nella parte
meridionale, controllata dagli Alleati, era stata restaurata la monarchia sotto il
re Vittorio Emanuele III; nella parte centro-settentrionale, occupata dai Tedeschi,
Mussolini aveva creato la Repubblica Sociale Italiana. Dall’8 settembre 1943
al 25 aprile 1945 l’esercito di liberazione condusse una lotta senza esclusione
di colpi contro i Tedeschi e i fascisti, che rispondevano con rastrellamenti,
deportazioni e veri e propri massacri. La visione degli orrori commessi dai nazisti
sulla popolazione inerme, i massacri che suscitavano panico e paura tra i civili,
i morti abbandonati nelle piazze, il lamento dei fanciulli, il grido straziante della
madre che vedeva il proprio figlio appeso sul palo del telegrafo erano scene
reali che si verificavano nelle città e nelle campagne italiane. Di fronte a tanto
orrore, di fronte ai mali della guerra, i poeti non potevano più scrivere poesie, non
trovavano le parole per esprimere lo sconforto e il dolore che avevano nel cuore,
nell’anima,
Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
così, come gli antichi Ebrei schiavi a Babilonia, appesero le loro cetre ai rami dei
salici.
SALMO 136
Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
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appendemmo le nostre cetre,
perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
“Cantateci canti di Sion!”.
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra;
mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
Ricordati, Signore, dei figli di Edom,
che, nel giorno di Gerusalemme,
dicevano: “Spogliatela, spogliatela
fino alle sue fondamenta!”.
Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
e li sfracellerà contro la pietra.
L’antisemitismo in Italia, a differenza che in Germania, non si radicò tra gli
Italiani: gli Ebrei erano parte integrante della popolazione italiana e avevano
partecipato attivamente al Risorgimento. Numerosi Ebrei , dunque, non ebbero
altra scelta che quella di espatriare.
Il comportamento del popolo italiano nei loro confronti (salvo poche
eccezioni: soprattutto nei piccoli centri, dove i rancori personali sono più
tenaci) è veramente esemplare, è commovente. Molti, consci del pericolo cui
si espongono, salvano la vita a Ebrei italiani e stranieri, nascondendoli nelle
loro case; i partigiani accompagnano alla frontiera svizzera vecchi e bambini,
e li mettono in salvo. Molti Ebrei trovano rifugio e salvezza nei monasteri,
loro ospitalmente aperti. Ma anche molti Ebrei si fanno onore nelle lotte della
Resistenza. Come durante il primo Risorgimento, si battono scrivendo una bella
pagina della storia. Insieme ai loro fratelli italiani, gli Ebrei combattono e muoiono
per la libertà e la giustizia, perché libertà e giustizia sono beni a tutti preziosi, ma
in modo particolare a chi per secoli ne fu privato.
Nonostante la strenua opposizione delle forze di liberazione, quando Hitler
arrivò all’applicazione del suo disegno criminale, la soluzione finale, anche l’Italia
partecipò allo stermino. Oltre 10.000 Ebrei italiani furono catturati e deportati ad
Aushwitz.
“Tacere è vietato, parlare impossibile” (Elie Wiesel)
42
MENTRE SEI QUI, FA’ SILENZIO
QUANDO TE NE VAI, NON FARE SILENZIO
La volontà del potere nazista di annientare, cancellare, eliminare dall’Europa
la presenza degli Ebrei senza alcuna ragione, ma solo sulla base di un odio
profondo covato in secoli di antisemitismo è un fatto di una atrocità senza
precedenti.
Canzone del bambino nel vento - Aushwitz
Son morto con altri cento, son morto ch’ ero bambino,
passato per il camino e adesso sono nel vento e adesso sono nel vento....
Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’ inverno e adesso sono nel vento, adesso sono nel vento...
Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento...
Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento, in polvere qui nel vento...
Ancora tuona il cannone, ancora non è contento
di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento e ancora ci porta il vento...
Io chiedo quando sarà che l’ uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare e il vento si poserà e il vento si poserà...
Io chiedo quando sarà che l’ uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare e il vento si poserà e il vento si poserà e il vento si
poserà. (Guccini)
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“Ogni volta che crediamo di aver guardato nei meandri più profondi della
crudeltà umana, l’abisso ci attende. Dopo tutte le cose orribili che ho visto e tutti
i luoghi della sofferenza inflitta per mano dell’uomo di cui sono stata testimone,
come potevo immaginare qualcosa di peggio?” (dal diario di Ruth Bains
Hartmann)
I pochi sopravvissuti si sono assunti il compito di diffondere nel mondo la loro
storia e la speranza che atrocità come queste non debbano ripetersi mai più.
Se questo è un uomo – Primo Levi
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome,
senza più forza di ricordare,
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore,
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca
i vostri nati torcano il viso da voi.
Finita la guerra e fatto il tragico bilancio delle perdite, risultano assenti 8
mila ebrei italiani, massacrati con gli altri 6 milioni di fratelli dalla furia omicida
nazista. Le Comunità italiane si sono riorganizzate, anche con l’aiuto dei fratelli
d’America; hanno ricostruito le sinagoghe devastate dai fascisti o distrutte dai
bombardamenti; all’esterno delle sinagoghe o nei cimiteri ebraici sono state poste
le lapidi col triste elenco delle vittime della deportazione. Si sono aperte nuove
scuole ebraiche; qualcuna (Milano) è stata notevolmente ingrandita. Il numero
degli Ebrei italiani è diminuito in seguito a emigrazioni, defezioni, deportazioni,
ma la vita ebraica anche in Italia continua.
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I GIUSTI FRA LE NAZIONI
Dopo la Seconda guerra mondiale, il termine Giusti tra le nazioni è stato
utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito rischiando la propria vita per
salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista, Shoah. I Giusti sono
uomini comuni né santi, né eroi, che di fronte al male ebbero la forza morale di
seguire la loro retta coscienza. Loro ci dimostrano che anche nel male si può
sempre scegliere, anche nelle situazioni estreme, e si può dire un sì o un no.
“Se tu salvi una vita è come se avessi salvato il mondo”
Nel 1964 Moshe Bejski, uno degli Ebrei polacchi salvati da Schindler,
ha realizzato presso lo Yad Vashem, il museo della memoria della Shoah di
Gerusalemme, il Giardino dei Giusti fra le nazioni, dove per ogni persona che ha
salvato almeno un ebreo viene piantato un albero.
La stele all’ingresso dello Yad Vashem ricorda i Giusti
Si sarebbe potuto fare qualcosa per impedire la Shoah?
La risposta non è facile, né sicura. Sappiamo, però, che molti ci sono riusciti.
45
Capitolul II
L’ECCIDIO DI VIZZOLA
IC DI FORNOVO TARO, SCUOLA PRIMARIO DI RICCO
2.1 PRESENTAZIONE
Da molti anni i bambini e le insegnanti della Scuola Primaria di Riccò
rispondono puntuali al richiamo di Vizzola.
Il 21 marzo, primo giorno di primavera, ricorre infatti l’anniversario dell’Eccidio
e noi insegnanti, sentiamo il dovere di riprendere il racconto di questi ragazzi,
per introdurre una materia che per dei bambini dai sei ai dieci anni potrebbe
sembrare di difficile comprensione: “La Resistenza”.
La fetta di storia che raccontiamo è realmente accaduta nel loro territorio e
supportata dalla testimonianza di persone che vivono ancora nel paese e che
hanno partecipato in modo diretto o indiretto agli avvenimenti: i nonni dei nostri
bambini. I nonni sono bravissimi a raccontare le storie e a coinvolgerli a tal punto
da indurli ad immedesimarsi e a sentirsi protagonisti delle storie stesse. Ce ne
accorgiamo dalle domande che fanno durante le interviste, dai testi e dalle
poesie che scrivono e dai pensieri che rielaborano.
Ogni anno la nostra utenza cambia, perché entrano nuovi bambini, ma
anche perché quelli che c’erano crescono, evolvono le loro idee e partecipano
con maggiore consapevolezza. Ogni anno abbiamo quasi il timore di accostarci
all’argomento e ogni volta ci stupiscono e, alla fine delle commemorazioni alle
quali partecipiamo come protagonisti, siamo soddisfatti e convinti di avere fatto
un bel lavoro, di essere entrati nella loro mente, nei loro cuori e, anche se il tutto
dovesse durare il tempo che dedichiamo a questa attività, sappiamo che non
è e non sarà mai tempo perso. Qualcosa rimarrà sempre nella loro memoria,
un tassello che ci auguriamo salti fuori nel momento in cui dovranno fare delle
scelte, prendere delle decisioni, mettere in atto le buone pratiche di cittadino.
Nel corso degli anni ho raccolto i lavori prodotti dai bambini, non li riporterò
tutti, ma bastano poche poesie, pochi versi per fare comprendere la loro
sensibilità e la loro voglia di “ ricordare per non rifare”.
Prof.ssa Filomena Bartoletta
Referente di Progetto
46
2.2 LA STORIA IN BREVE
Era il 21 Marzo 1945, quasi alla fine di una guerra inutile che non è servita a
niente. Servita soltanto a provocare la morte di milioni di persone: Ebrei, Italiani,
Francesi,Tedeschi, Russi, Inglesi, Americani, Giapponesi, Spagnoli, nazioni
che si sono fatte prendere dall’odio e dalla violenza e hanno fatto questa inutile
guerra. Milioni di morti tra cui tre ragazzi, opposti alla brutalità del nazismo e
del fascismo. Diventarono partigiani, per liberare la loro patria dall’odio e dalla
violenza:
Giuseppe Azzolini, 17 anni;
Ferdinando Bremi, 16 anni;
Andrea Bianchi, 28 anni;
Furono catturati da bersaglieri della divisione “Mameli” nei pressi di
Langhirano, arrestati e un reparto dei bersaglieri della divisione “Italia”, nome
della stessa patria, ne pretese la consegna immediata. Furono poi trasportati
a Sala Baganza dove il 21 marzo incontrarono i famigliari; questi vennero
rassicurati dal comandante che presto sarebbero stati rilasciati.
Portati a Vizzola, in una sera che preannunciava l’arrivo della primavera e
la fine della guerra, furono uccisi a colpi di mitra, stessa fine che in quei giorni
hanno fatto altri partigiani.
Dalle testimonianze che abbiamo raccolto, si dice che il comandante del
plotone abbia consegnato al parroco della chiesa di Vizzola un biglietto con i
nomi dei tre ragazzi e con
voce sprezzante abbia detto:
“- Noi abbiamo fatto il
nostro dovere, lei faccia il suo!”
Per la ricostruzione degli
avvenimenti, ci siamo avvalsi
del documento redatto e
pubblicato sul Chronicon da
Don Tadè.
Giuseppe
Ferdinando
Andrea
47
2.3 TRASCRIZIONE DAL CHRONICON DI DON TADÈ
1945
Febbraio: A sera tardi ci tocca trasportare al cimitero i nostri morti da Ricò
(trasporti funebri notturni)
A Ricò da qualche mese si sono stabiliti i Bersaglieri (case Gabbi, Finardi,
Abelli) della Divisione Italia.
21 Marzo 1945: la guerra con i suoi orrori porta la tristezza in ogni angolo
della terra. Un plotone di bersaglieri accompagna tre poveri giovani davanti al
cimitero di Vizzola per la fucilazione. Nulla sapevo!
Dalla saletta mi pareva che si sparasse da oltre la casa Previdi, dal campo
sovrastante a Ricò. Dopo un po’ un ufficiale dei Bersaglieri viene a darmi la
dolorosa notizia, pregandomi di avere cura delle tre salme.
Vado tosto col nipote Melloni Enrico e la di lui figlia Anna, con Belloli Silvio,
Sacchi Dante, Giacometti Aldo, al cimitero per raccogliere e trasportare nella
camera mortuaria i corpi ancora caldi dei tre disgraziati giovani. Gli ultimi chiarori
del tramonto erano già scomparsi, ma la luna illuminava molto bene la lugubre
scena. Chi erano gli uccisi? L’ufficiale non ne sapeva il nome, ma mi disse che,
se avesse avuto modo, me lo avrebbe fatto sapere. La sera seguente infatti
un bersagliere mi portò un foglietto coi tre nomi seguenti: 1° Bianchi Andrea
d’anni 27 di Altopascio ( Lucca) soldato, sposato con una bimba; 2° Azzolini
Giuseppe d’anni 16 di Santa Maria del Piano; 3° Bremi Ferdinando d’anni 15,
nato a Milano. I tre giovani erano stati presi in un rastrellamento operato sopra
Langhirano. Furono avvertiti i parenti dell’Azzolini e del Bremi a Santa Maria del
Piano.
Intanto il Comune, già perciò avvertito immediatamente, dava l’ordine di
costruire le casse che, nonostante i continui pericoli di bombardamento, furono
condotte a Vizzola, nel cimitero. Ricomposte nelle casse le tre salme, lunedì 26
fu celebrata la messa, cantato il miserere, data la Benedizione col Sacramento
in suffragio dei tre defunti. Intanto sopraggiungevano i parenti del Bremi e
dell’Azzolini.
Scene strazianti di dolore. Preghiere esequiali al cimitero. A sera viene la
guardia di Lesignano Bagni, in macchina, con le due doppie casse, a rilevare
le salme del Bremi e dell’Azzolini. Con qualche parrocchiano si va al cimitero.
Vengono estratte le due salme dalle casse di legno, vengono poste nelle
rispettive casse di zinco le quali, tosto saldate, furono racchiuse in belle casse
di legno verniciate e trasportate entro la macchina. Benedizione esequiale.
Partenza per Santa Maria del Piano, ove il giorno dopo si faranno solenni
funerali. La salma del Bianchi viene tumulata nel cimitero di Vizzola.
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2.4 CIMITERO DI RICCO’- VIZZOLA
In occasione del 60° anniversario della liberazione, il Comune di Fornovo,
l’Istituto Storico della Resistenza e la Provincia di Parma ci hanno dato in
adozione questo luogo di memoria. Noi ci sentiamo onorati per essere stati scelti
e ci siamo impegnati a rispettare questo luogo e quello che rappresenta. Sulla
targa abbiamo pensato di scrivere le seguenti parole:
“Adottiamo questo luogo in memoria dei tre partigiani, morti per la libertà, in
modo che restino sempre nei nostri cuori”
49
2.5. DAL CHRONICON DI DON TADÈ
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51
Scopriti o passegger, qui caddero gli eroi!
Andrej – Milan – Ras
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2.6 MORIR DI PRIMAVERA
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55
56
gie. E lui ci crederà.
Non saprà delle vittime che ci sono volute per difendere la nostra libertà: il prezzo
pagato dagli uomini di quel tempo. Un prezzo che nessuno dovrà mai dimenticare.
In ricordo dell’Eccidio di Vizzola
Luigi Leonardi
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2.7 PRIMO GIORNO DI PRIMAVERA: 21 MARZO 1945
“L’eccidio di Vizzola”
Testi e poesie tratte dai quaderni dei
bambini della Scuola Primaria
dell’I.C. di Fornovo di Taro
DRAMMATIZZAZIONE: “L’ Eccidio di Vizzola”
Interpreti principali:
Narratore
Ras
Milan
Andrei
Sorella
Don Tadè
Comandante
Plotone di esecuzione
Militari
Testo teatrale:
Narratore: E’ appena finito l’ennesimo rastrellamento. Siamo nei boschi di
Castrignano. Tre partigiani si nascondono in un pollaio. Non si sente più niente.
Pensando di essere scampati al pericolo, provano ad aprire la porta (si sentono
rumori di catenaccio e cigolio do porta) ma…….
Un militare: Fermi, ho sentito un rumore, potrebbero esserci altri partigiani!!!!!
Altri militari: Torniamo indietro, andiamo a vedere!
Ras: Oh no, ci hanno scoperto, cosa facciamo!
Milan: Non abbiamo scampo, cerchiamo di restare uniti!
Andrej: Ragazzi, mi raccomando se ci prenderanno, anche sotto tortura, non
parliamo!
N. I ragazzi non hanno scampo, vengono catturati e trasferiti nella prigione di
Sala Baganza.
Sorella: Sono la sorella di Giuseppe, posso vederlo, posso salutarlo? Gli avete
fatto del male?
58
Mil: Stia tranquilla, suo fratello sta bene, non li abbiamo maltrattati. Venga, glielo
faccio vedere.
Nar: Le celle erano buie e fredde e si vedeva poco all’interno!
Sor: Giuseppe, Giuseppe sono tua sorella, fatti vedere, come stai? Ti
manderanno a casa?
Andrej: Non preoccuparti, sto bene. Di’ a tutti che non ho parlato.
Militare: Signora la visita è finita. Torni pure a casa e stia tranquilla, presto
saranno liberati.
Narratore: La sorella torna a casa rassicurata e racconta ai familiari che i ragazzi
sarebbero tornati a casa presto.
Capitano: caricate i tre ragazzi sul camion, li trasferiamo a Riccò!
Nar: Siamo a Riccò. I tre ragazzi vengono portati, attraversando i campi in modo
che nessuno li veda. Giunti a Vizzola, davanti al muro del cimitero…..
Com: Fateli scendere, abbiamo già perso troppo tempo! (I tre ragazzi vengono
accompagnati davanti al muro. Sono legati.) Bendateli!
I tre ragazzi: No! Non abbiamo paura!
Nar. In lontananza si sentono gli spari. Don Tadè accorre sul luogo dell’eccidio,
ma quando arriva è già tutto finito….
Don Tadè: Chi sono, cosa avevano fatto?
Un militare: Abbiamo eseguito gli ordini…..!
59
La libertà
Passa
Attraverso
Stretti cancelli
E………
molto spesso
Si macchia
Di sangue!
GUERRA
Abbiamo cercato di ragionare sul significato di alcune parole e su quello che
ci suggerivano.
La prima parola è stata guerra.
Ognuno di noi, seguendo un
ragionamento, ha espresso un
suo concetto introducendo nuove
parole collegate con la prima.
Abbiamo così creato una
mappa concettuale nella quale ogni
parola chiave esprime un concetto
più profondo e completo.
Alla fine della costruzione, ci
siamo accorti che tutte le parole
riportavano a sentimenti negativi e
siamo arrivati alla conclusione che tutte le guerre, sia quelle passate che quelle
in atto, portano solo morte e distruzione e alla fine di ogni conflitto non ci sono
vincitori, ma solo perdenti.
60
Ultima ora
di Alfredo Zerbini
Ma vé che bela lon’na a gh’é sta sira!
an fa paura gnan i areoplan.
La genta l’è zo in streda ch’la delira;
è rivè i noster con i American!
Adessa sì, adessa sì s’respira
dopa tanyt’ani ch’steven schiss cme i can!
Se in gir gh’è dl’aria bruta
adess la tira soltant per chi gh’a sporc al
cor e l man.
Cantemma fin ch’a s’gh’à dla vosa in gola
sbraiemma ch’a sem liber finalment,
che tutti i polon dir la so parola.
Ma ‘na parola ch’an fa pu spavent,
ma’na parola dolsa ch’a consola
dopa tant’ani ch’a strichemma i dent.
“ Ultima ora” parola d’ordine dei patrioti in
armi in città la sera del 25 aprile 1945
La guerra
La guerra è una macchina infernale,
Che fa la fama di pochi uomini.
La guerra
non porta alla vbittoria
di nessun popolo,
e quelli che lo pensano
sono già morti.
Voglio sapere
Voglio sapere a cosa servono le guerre,
A cosa servono le bombe,
Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca.
Io mi sento morire
se penso a quello che è successo
E sta succedendo ancora.
Ormai non ho neanche il coraggio
Di accendere la televisione:
Parlano di guerra, guerra, guerra…
Dobbiamo pensare ad un po’ di pace
E insegnarlo a chi non vede.
61
Guerre
Non capisco come gli uomini possano essere cosi
brutali,
Le torri gemelle;
la strage di Nassirya;
il treno di madrid;
tutte cose volute dall’uomo.
Pensando alla guerra mi viene da piangere.
Guerre …
con la scusa della razza sono morti milioni di ebrei;
sulla nostra terra, centinaia di partigiani
hanno perso la vita per un alto ideale;
donne, uomini, bambini, soldati sono morti
e tanti potrebbero morire…
Guerre…
Spero che finiscano
E nel mondo regni la pace.
Guerra
Sono successe tante cose,
sono morte molte persone,
tutto questo per il desiderio di potere
di alcune persone,
o per vendetta.
Nassirya, Madrid, Iraq, New York …
Tutto il mondo ha subito perdite …
In questo mondo
non c’è mai un momento di pace…!
Guerra
Terribile
Sofferente
Spaventosa
Dolorosa
Le persone muoiono
Le città vengono distrutte
Si vive secondo per secondo
Nel terrore
Jugoslavia Somalia Russia….
Non fa differenza
Guerre sociali, politiche, religiose
Guerre inutili
Che uccidono persone innocenti.
L’uomo non ha ancora capito
Che il buon Dio ci ha dato
il dono della parola e della ragione …
Forse l’ha dimenticato!
62
Dal 1943 la situazione della guerra
cambia, perché arrivano gli alleati,
americani, brasiliani, inglesi...e si forma
l’esercito dei partigiani, un esercito senza
divisa che vuole liberare l’Italia dai fascisti
e dai tedeschi, formato da uomini e
donne.Anche con la parola PARTIGIANI
abbiamo cercato di costruire una
mappa con le parole che si ispiravano
alla prima.Poi, mettendo vicine le due
mappe, ci siamo resi conto che la prima
era animata da sentimenti negativi:
sofferenza, sconfitta, distruzione, odio...; nella seconda le parole più importanti ci
sono sembrate: speranza, sacrificio, lotta, amor patrio, libertà...sono tutte parole
positive perchè hanno come obiettivo la fine della guerra e la libertà, anche se la
parola MORTE è presente anche in questa lotta e la cosa ci rende tristi.
63
POESIE E TESTI SULLA RESISTENZA
Dai quaderni dei bambini di ieri e di oggi
I nostri partigianio
Giuseppe Azzolini,
Ferdinando Bremi,
Andrea Bianchi,
eravate appena entrati
nelle formazioni partigiane
quando, quel maledetto 14 Marzo
vi hanno preso,
come tre foglioline
cadute in autunno.
Non so come vi hanno torturato,
Partigiani
ma sarà stato certamente doloroso.
Partigiani in dolore,
Non avete mollato
partigiani feriti,
e non avete tradito.
ma nel loro cuore
Solo uno di voi
ci sono anime
è riuscito a vedere un famigliare,
che avrebbero fatto a meno
forse per un briciolo di pietà dei militari,
della guerra!
e proprio il primo giorno di primavera,
quando i fiori sbocciavano
voi siete appassiti.
Vi hanno fucilato
L’eccidio di Vizzola
ed io mi faccio una domanda:
Tre ragazzi vengono trasportati
Perché siete morti …
in quel piccolo paesino,
Cosa avevate fatto …
davanti alle mura
Perchè … perché…?
di quel cimitero silenzioso.
Era ormai sera,
quando vennero massacrati
da belve assetate di sangue.
Erano vicini a una nuova primavera,
e finalmente
avrebbero potuto vivere in “pace”
senza la bramosia della guerra.
Andrei, Milan, Ras,
vi ricorderemo per sempre
come vittime di una guerra
che rende tutti nemici.
64
Avevano per tetto le stelle
Tre uomini
Tre uomini
Avevano per tetto le stelle
accusati di essere partigiani,
per pavimento il prato
torturati
per compagni gli alberi e il silenzio.
feriti
Erano giovani
e poi uccisi a Vizzola.
eroici e coraggiosi,
si proteggevano a vicenda
e se li prendevano non parlavano.
Erano senza divisa,
Per la libertà
e i colori della bandiera
li avevano nel cuore.
Gelsi e colline,
Non avrebbero voluto uccidere nessuno,
la primavera è qui.
ma la guerra ti costringe a farlo,
Spari nel crepuscolo
volevano che finisse,
sangue sull’erba.
ma altri non mollavano.
La morte
Ci dispiace che vi siate sacrificati per noi,
su vittime innocenti …
avete combattuto
Andrej, Milàn,Ras
per la libertà e la giustizia
la vostra vita per la nostra libertà.
e in tanti sono morti.
Ci chiediamo …
- Non si può vivere in pace?
Al crepuscolo
Ad Andrea detto Ras
Ho il coraggio nel cuore,
la furbizia nella mente,
la forza di lottare,
la grinta per resistere,
l’organizzazione per difendere.
Sono un partigiano
vivo con nel cuore la battaglia,
l’amore per la Patria
e ho la morte come compagna.
Il nostro sacrificio serva a tutti,
perché la nostra morte
è il riscatto per la libertà.
Al crepuscolo, della sera del 21 Marzo 1945
li portarono sulla collina.
Ad un tratto si udirono gli spari,
sussultarono le case,
il paesaggio diventò irreale,
qualcuno urlò …
“Cosa ho visto! Cosa ho visto!”
“Li hanno uccisi,
Perché, perché !?”
Le parole vagavano nell’aria.
ricordiamo
Giuseppe, Andrea, Ferdinando
Affinchè il loro sacrificio
Serva a non dimenticare.
65
Resistanza
Tanti , tanti, tanti morti
che mi vien da piangere
solo al pensiero.
Morti per noi,
per un mondo più bello,
più saggio, più pacifico.
Morti per la libertà.
Tutti dobbiamo ricordare
quelli che per noi
hanno subito torture,
che per noi sono morti!
Vanno ricordati fieramente,
con orgoglio!
Uomini, donne, a volte anche bambini
morti per la libertà.
Si chiamano partigiani
e vanno ricordati
non per le medaglie conquistate o
l ‘importanza del grado,
ma per essere i liberatori
dell’uomo illuso!
Tanti, tanti, tanti morti …
66
Inno del Patriota
Sugli aspri monti ci siam fatti lupi
il nostro grido è libertà o morte
al piano scenderem per la battaglia
per la vittoria.
Noi rivivrem in un fulgor di gloria
sorriderem per riveder la vita
sul campo sorgerà la nuova Italia
con la guerriglia.
Per vendicare un mucchio di vergogne
per risanare un mondo d’ingiustizia,
rimbomba col suo rombo redentore
la dinamite.
Per tutte quelle morti invendicate,
per tutte quelle facce scheletrite,
compenseremo sulle barricate
piombo con piombo.
Fin dove possiam spingere lo sguardo,
lontano fino all’ultimo orizzonte,
farem che giunga a vendicar
l’oltraggiola nostra guerra.
Fra vette, boschi e valli ci battiamo,
perché si possa ancora con orgoglio
gridare come il tuono e ancor più forte
“Viva l’Italia”
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68
Ma il cielo è sempre più blu
(Libero adattamento dei bambini della Scuola Primaria di Riccò )
Chi vive di gloria, chi odia l’amore,
Chi vuole potere e cerca la guerra,
Chi provoca morte e tanta miseria.
Ho visto soffrire, ho visto morire,
Dolore e paura, disprezzo e rimpianto.
Ho visto razzismo nei cuori e nei “Campi”.
Ci han fatto scoprire che l’uomo è cattivo
E trova normale vedere morire na na na na
Ma il cielo è sempre più blu( 2 volte)
C’è ancora la guerra, chi odia l’amore
Chi vuole potere e provoca morte.
Però noi vogliamo la pace nel mondo,
L’amore fraterno nei cuori di tanti.
E il cielo sempre più blu ( 2 volte)
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Capitolul III
27 GENNAIO - GIORNO DELLA MEMORIA
I bambini e gli insegnanti della Scuola Primaria di Riccò ricordano Liliana, Luciano e Roberto Fano
3.1 GIORNO DELLA MEMORIA
ART. 1 LEGGE n. 211 del 20 luglio 2000
“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento
dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria al fine di ricordare la Shoah
(sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei
cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte,
nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al
progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e
protetto i perseguitati.”
RICCÒ 27 GENNAIO 2004
Nel Giorno della Memoria la Direzione Didattica, su autorizzazione concessa
dal CSA di Parma, ha deciso d’intitolare la Scuola Elementare di Riccò a tre bambini ebrei che per due anni vissero nel paese e che frequentarono la scuola.
Erano Liliana di 10 anni, Luciano di 12 ed il fratellino più piccolo di 2 anni.
La loro storia è stata “scoperta” dalle insegnanti del plesso quando nel 1995
iniziarono un percorso di conoscenza del paese che le portò alla realizzazione
e pubblicazione di un libro. Durante le fasi del loro lavoro intervistarono alcuni
abitanti per ricostruire le vicende della Seconda Guerra Mondiale nel proprio
territorio.
Dalle interviste emerse che nel 1940 due bambini ebrei frequentavano la
scuola elementare; erano Liliana e Luciano che dopo un paio d’anni sparirono improvvisamente e di cui non si seppe più nulla.
Le Insegnanti, cercando nei registri della Direzione, scoprirono che in effetti i
due bambini avevano frequentato la scuola negli anni dal ’39 al ’42. Era un caso
insolito visto che un decreto del 1938 vietava l’iscrizione dei bambini ebrei nella
Scuola pubblica Italiana. I bambini furono registrati come privatisti e quindi come
se avessero solo sostenuto l’esame. I testimoni intervistati confermarono, invece,
che i bambini frequentavano regolarmente le lezioni.
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I fratelli Fano, Donato della Pergola e suo fratello Cesare erano i più giovani fra
gli ebrei parmensi deportati e uccisi ad Auschwitz.
3.2 UN PO’ DI STORIA
Nel 1938 il governo fascista emanò leggi che colpirono i diritti di cittadinanza
degli ebrei italiani. Per molti di loro la storia si conclude nell’aprile del 1944 con
la deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz, vittime della “risoluzione
finale”.
Noi abbiamo scelto di raccontare la storia di una delle famiglie di Parma, i
Fano. I loro figli per un breve periodo abitarono a Riccò e frequentarono la nostra
scuola. Luciano ( 1932),Liliana (1935) e il fratellino Roberto che nascerà a Parma
nel 1942. Abitavano a Pellegrino Parmense con i loro genitori, Ermanno che
svolgeva l’attività di farmacista e Giorgina Padova.
Gli ebrei sono presenti sul territorio di Parma sin dal XIII-XIV secolo. Nel
1938, data in cui furono emanate le leggi razziali con R.D. nella nostra provincia
risiedevano 134 cittadini ebrei, 69 maschi, 59 femmine e sei minorenni. Il dato è
certo perché uno dei primi atti previsti dalla legge era il censimento degli ebrei
presenti sul territorio italiano.
Gli elenchi venivano consegnati ai Municipi e forse anche in Questura e
servivano alla polizia tedesca per individuare e catturare gli ebrei e deportarli nei
71
campi di concentramento e di sterminio.
Luciano e Liliana erano nati a
Pellegrino Parmense dove hanno vissuto
fino all’emanazione delle leggi razziali. Il
padre Ermanno era laureato in chimica ed
esercitava il mestiere di farmacista. Era
nato a Parma ed abitava in via Imbriani 77
insieme ai genitori Enrico e Giulia Bianchini.
Ermanno e Giorgina lasciarono Parma
in cerca di un lavoro qualificato. Tra il 1929
e il 1930 erano stati in provincia di Arezzo,
ma non soddisfatti ritornarono a Parma.
Nell’aprile del 1931 decisero di trasferirsi a
Pellegrino Parmense, dove Ermanno iniziò a
fare il farmacista e dove nacquero Luciano e
Liliana. Tutto andò bene fino all’emanazione
delle leggi razziali. Per le famiglie ebree
italiane fu un periodo di incertezza e incredulità. In breve tempo furono stilati
gli elenchi delle famiglie ebree e applicati gli articoli di cui era composto il D.L.
Nemmeno i bambini furono risparmiati e per loro furono aperti dei fascicoli che
venivano periodicamente aggiornati.
Per Luciano viene redatto un documento in cui un bambino di sei anni si
definisce: “… scolaro.. incensurata condotta.. immune da precedenti e pendenze
politiche….”
LE LEGGI RAZZIALI
REGIO DECRETO - LEGGE 15 novembre 1938 - XVII, n. 1779
Integrazione e coordinamento in unico testo delle norme già emanate per la difesa della
razza nella Scuola Italiana
VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE
RE D’ITALIA IMPERATORE D’ETIOPIA
Veduto il R. decreto-legge 5 settembre 1938-XVI, n. 1390;
Veduto il R. decreto-legge 23 settembre 1938-XVI, n. 1630;
Veduto il testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sull’istruzione elementare
approvato con R. decreto 5 febbraio 1928-VI, n. 877, e successive modificazioni;
Veduto il R. decreto-legge 3 giugno 1938-XVI, n. 928; Veduto l’art. 3, n. 2, della legge 31
gennaio 1926-IV, n.100;
Riconosciuta la necessità urgente ed assoluta di dettare ulteriori disposizioni per la difesa
72
della razza nella Scuola italiana e di coordinarle in
unico testo con quelle sinora emanate;
Udito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del DUCE, Primo Ministro Segretario di
Stato e Ministro per l’interno e del Nostro Ministro
Segretario di Stato per l’educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1. A qualsiasi ufficio od impiego nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e
private, frequentate da alunni italiani, non possono
essere ammesse persone di razza ebraica …Agli uffici ed impieghi anzidetti sono
equiparati quelli relativi agli istituti di educazione, pubblici e
privati, per alunni italiani, e quelli per la vigilanza nelle scuole elementari.
Art. 2. Delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti non
possono far parte persone di razza ebraica.
Art. 3. Alle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, frequentate da alunni
italiani, non possono essere iscritti alunni di razza ebraica.
è tuttavia consentita l’iscrizione degli alunni di razza ebraica che professino la religione
cattolica nelle scuole elementari e medie dipendenti
dalle Autorità ecclesiastiche.
Art. 4. Nelle scuole d’istruzione media frequentate da alunni italiani è vietata l adozione
di libri di testo di autori di razza ebraica. Il divieto si
estende anche ai libri che siano frutto della collaborazione di più autori, uno dei quali sia
di razza ebraica; nonché alle opere che siano
commentate o rivedute da persone di razza ebraica.
Art. 5. Per i fanciulli di razza ebraica sono istituite, a spese dello Stato, speciali sezioni di
scuola elementare nelle località in cui il numero di
essi non sia inferiore a dieci. Le comunità israelitiche possono aprire, con l’autorizzazione
del Ministro per l’educazione nazionale, scuole
elementari con effetti legali per fanciulli di razza ebraica, e mantenere quelle all’uopo
esistenti. Per gli scrutini e per gli esami nelle dette
scuole il Regio provveditore agli studi nomina un commissario. Nelle scuole elementari
di cui al presente articolo il personale potrà essere di
razza ebraica; i programmi di studio saranno quelli stessi stabiliti per le scuole frequentate
da alunni italiani, eccettuato l’insegnamento della
religione cattolica; i libri di testo saranno quelli di Stato, con opportuni adattamenti,
approvati dal Ministro per l’educazione nazionale,
dovendo la spesa per tali adattamenti gravare sulle comunità israelitiche.
Art. 6. Scuole d’istruzione media per alunni di razza ebraica potranno essere istituiti dalle
comunità israelitiche o da persone di razza ebraica.
Dovranno all’uopo osservarsi le disposizioni relative all’istituzione di scuole private. Alle
scuole stesse potrà essere concesso il beneficio del
valore legale degli studi e degli esami à sensi dell’art.15 del R. decreto-legge 3 giugno
1938-XVI n.928, quando abbiano ottenuto di far parte in
73
qualità di associate dell’Ente nazionale per l’insegnamento medio: in tal caso i programmi
di studio saranno quelli stessi stabiliti per le scuole
corrispondenti frequentate da alunni italiani, eccettuati gli insegnamenti della religione e
della cultura militare. Nelle scuole d’istruzione
media di cui al presente articolo il personale potrà essere di razza ebraica e potranno
essere adottati libri di testo di autori di razza ebraica.
Art. 7. Per le persone di razza ebraica l’abilitazione a impartire l’insegnamento medio
riguarda esclusivamente gli alunni di razza ebraica.
Art. 8. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto il personale di razza ebraica
appartenente ai ruoli per gli uffici e gli impieghi di cui al
precedente art.1 è dispensato dal servizio, ed ammesso a far valere i titoli per l’eventuale
trattamento di quiescenza ai sensi delle disposizioni
generali per la difesa della razza italiana. Al personale stesso per il periodo di sospensione
di cui all’art.3 del R. decreto legge 5 settembre
1938-XVI, n. 1390, vengono integralmente corrisposti i normali emolumenti spettanti ai
funzionari in servizio. Dalla data di entrata in vigore
del presente decreto i liberi docenti di razza ebraica decadono dall’abilitazione.
Art. 9 Per l’insegnamento nelle scuole elementari e medie per alunni di razza ebraica
saranno preferiti gl’insegnanti dispensati dal servizio a
cui dal Ministro per l’interno siano state riconosciute le benemerenze individuali o
famigliari previste dalle disposizioni generali per la difesa
della razza italiana. Ai fini del presente articolo sono equiparati al personale insegnante i
presidi e direttori delle scuole pubbliche e private e il
personale di vigilanza nelle scuole elementari.
Art. 10. In deroga al precedente art. 3 possono essere ammessi in via transitoria a
proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica già
iscritti nei passati anni accademici a Università o Istituti superiori del Regno. La stessa
disposizione si applica agli studenti iscritti ai corsi
superiori e di perfezionamento per i diplomati nei Regi conservatori, alle Regie
accademie di belle arti e ai corsi della Regia accademia d’arte
drammatica in Roma, per accedere ai quali occorre un titolo di studi medi di secondo
grado o un titolo equipollente. Il presente articolo si
applica anche agli studenti stranieri, in deroga alle disposizioni che vietano agli ebrei
stranieri di fissare stabile dimora nel Regno.
Art. 11. Per l’anno accademico 1938-39 la decorrenza dei trasferimenti e delle nuove
nomine dei professori universitari potrà essere protratta
al 1í gennaio 1939-XVII. Le modificazioni agli statuti delle Università e degl’Istituti
d’istruzione superiore avranno vigore per l’anno accademico
1938-39, anche se disposte con Regi decreti di data posteriore al 29 ottobre 1938-XVII.
Art. 12. I Regi decreti-legge 5 settembre 1938-XVI, n. 1390, e 23 settembre 1938-XVI,
n.1630, sono abrogati. è altresì abrogata la disposizione
di cui all’art.3 del Regio decreto legge 20 giugno 1935-XIII, n.1071.
Art. 13. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il
74
Ministro proponente è autorizzato alla presentazione
del relativo disegno di legge.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta
ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia,
mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
I FRATELLI FANO
Ermanno e Giorgina nel novembre del 1939 si trasferirono a Riccò, iscrissero
i bambini come privatisti nella scuola del paese e decisero di battezzarsi e
battezzare i bambini con la speranza di dare loro un’opportunità in più di
salvezza, ma non avevano tenuto conto dell’ articolo 2 del R.D. che recita:
“ … è considerato ebreo colui che è nato da genitori entrambi di razza
ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica”.
Non li aiutò neanche il fatto che Ermanno aveva fatto parte del Partito
nazionale fascista a Pellegrino. La loro unica colpa era essere ebrei.
I ragazzi frequentarono la scuola come privatisti . Entrambi furono
promossi e dai registri di scuola si vede che la maestra Amelia Cugini li valutò
positivamente anche se Liliana in aritmetica e contabilità ebbe sufficiente.
Nel maggio del 1942 Ermanno e Giorgina decisero di lasciare Riccò, ( forse
non si sentivano abbastanza tranquilli) e si trasferirono definitivamente a Parma,
nella casa dei genitori di lui, in via Imbriani 77. Luciano, grazie alla conversione,
si iscrisse ad una scuola privata cattolica cosa prevista dal regio decreto del 1938
che recita:
“ È tuttavia consentita l’iscrizione degli alunni di razza ebraica che
professino la religione cattolica nelle scuole elementari e medie dipendenti dalle
Autorità ecclesiastiche”.
Luciano si iscrisse all’Istituto De La Salle in vicolo Scutellari, Liliana
frequentò la Scuola Elementare Orsoline situata nello stesso vicolo.
Nel 1942 nacque il fratellino Roberto che fu battezzato nella parrocchia
di Santa Croce a poca distanza dalla loro abitazione. La cosa non sfuggi alla
questura che aprì un fascicolo intestato al piccolo.
L’8 settembre 1943 le truppe del III Reich occuparono parte della
penisola italiana e da alleati si trasformarono in invasori. La situazione politica
italiana cambia anche con la nascita della Repubblica sociale italiana sostenuta
dall’esercito tedesco. Questa situazione rese tutto più precario , in particolar
modo per gli ebrei che non riuscivano a capire quali potessero essere le
conseguenze per le loro comunità e quali pericoli stessero realmente correndo.
La situazione precipitò il 30 novembre 1943 con la circolare n°5 del Ministro
dell’interno della Repubblica sociale italiana Buffarini, che dice:
75
“ tutti gli ebrei …… debbono essere inviati in appositi campi di
concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti
ad immediato sequestro,…. Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in
applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza
alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi
di polizia. Siano per intanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento
provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali
appositamente attrezzati “
I funzionari delle Questure e i capi fascisti locali iniziarono in breve tempo
i rastrellamenti di tutti gli ebrei presenti nei vari territori e il loro trasferimento
nei campi di concentramento. La Questura di Parma fu tra le più attive. Nella
provincia furono creati due campi , uno nel castello di Scipione in comune di
Salsomaggiore, riservato agli uomini , l’altro a Monticelli Terme nel comune di
Montechiarugolo, per le donne e i bambini.
Il 7 Dicembre 1943 gli agenti della polizia fascista bussarono al n° 77 di via
Imbriani.
Dopo una breve sosta in Questura, vennero portati nei due campi
di concentramento della provincia. I due nonni poterono tornare a casa
perché troppo anziani., in realtà la nonna Giulia Bianchini morì nel campo di
concentramento di Bolzano-Gries, il nonno Enrico Fano nel carcere di San
Francesco di Parma.
La signora Giorgina non ha mai voluto credere a tutto quello che stava
succedendo e si aspettava che presto sarebbe tornata a casa coi suoi bambini,
lo dimostrano le lettere fiduciose che scriveva al Questore di Parma al quale
chiedeva che i figli potessero sostenere gli esami o potessero andare dal medico
per una visita di controllo.
Non ebbero la possibilità di fare gli esami, né di tornare a Parma per fare
visita ai nonni o altro. Il 9 marzo tutti gli internati di Monticelli vennero trasferiti
in un altro campo di concentramento nella frazione di Fossoli, nel comune
modenese di Carpi. La documentazione che li accompagnava diventa più scarsa.
Sappiamo che la famiglia non si ricompose. Restarono a Fossoli poco tempo. Il
5 aprile furono chiamati per affrontare un nuovo viaggio, questa volta più lungo.
Furono portati alla stazione di Carpi dove li aspettava un treno composta da
carri bestiame. Viaggiarono per cinque giorni e cinque notti. Molti morirono lungo
il viaggio anche se non si hanno dati precisi di quanti siano. Il 10 aprile, dopo
poche soste a Mantova e Verona forse per caricare altri ebrei, giunsero al campo
di sterminio di Auschwitz, in Polonia. Il treno si fermò all’ingresso del campo.
Dopo un primo momento di sollievo per essere fuori dalle carrozze, all’aria
aperta, ricomincia l’incubo e il terrore. In tedesco viene ordinato di formare due
file : uomini da una parte, donne e bambini dall’altra. Un ufficiale medico tedesco
aveva il compito di decidere se i nuovi arrivati fossero idonei o non idonei al
lavoro.
Loro furono spinti nella fila destina alla camera a gas. Morirono lo
76
stesso giorno che arrivarono al campo senza rendersi conto di quello che stava
succedendo, loro come migliaia di altri.
Di loro restano i documenti che sono stati raccolti nel corso degli anni ,
le poche testimonianze di chi li ha conosciuti ed il ricordo e l’attenzione che tutti
gli anni i bambini delle scuole a loro dedicate e tutti quelli che conoscono la loro
storia gli dedicano.
In breve la loro storia:
Erano nati a Pellegrino Parmense, ed è per questo che
anche la Scuola Elementare del paese è stata intitolata
“Fratelli Fano”, e si trasferirono a Riccò nel 1939 poiché
il padre farmacista conduceva la Farmacia del Comune
di Fornovo che era ubicata lungo il Rio di Riccò.
Durante la loro permanenza a Riccò, tutta la famiglia
si fece battezzare, probabilmente per sfuggire alle
persecuzioni naziste.
Nel 1942 improvvisamente si trasferirono a Parma a
casa dei nonni paterni dove nacque il piccolo Roberto.
L’8 dicembre del ’42 furono arrestati e da lì
incominciò il loro calvario: la madre ed i figli furono
condotti nei campi di concentramento di Monticelli, poi
Fossoli ed infine Auschwitz dove vennero uccisi il 10
aprile del 1944.
Il padre fu portato nel campo di Scipione a
Salsomaggiore, poi Fossoli ed infine Auschwitz dove
sembra non aver rivisto la famiglia e dove anch’egli
trovò la morte.
Questi fatti hanno portato l’Istituzione Scolastica a
chiedere di poter intestare la scuola a tre bambini che furono oggetto
della crudeltà umana.
Liliana e Luciano Fanofrequentarono la Scuola Elementare di Riccò dal
1939 al 1942. Erano ebrei, di 10 e 12 anni. Assieme al fratellino Roberto, nato a
Parma, furono deportati e poi uccisi il 10 Aprile 1944 nel campo di sterminio di
Auschwitz.
77
3.3 LE NONNE RACCONTANO
27 gennaio, giorno della memoria
78
La riparazione delle reti
79
Alcune foto fornite dalla signora
Albertina Chiastra che illustrano
una scena di vita quotidiana
lungo il Rio Riccò, e due delle
classi della scuola negli anni in
cui frequentarono i fratelli Fano.
Desmo Guatelli e Gianni Schianchi
in pellegrinaggio a Pompei…1942
80
Abbiamo intervistato alcuni abitanti del paese che all’epoca erano bambini:
Bruno Mezzadri: con noi in classe c’erano due bambini ebrei, che
improvvisamente erano spariti e nessuno ne sapeva più nulla.
La Signora Albertina Chiastra ricorda benissimo che il primo giorno di
scuola Liliana indossava un bellissimo vestito di velluto rosso.
DOMANDE
COM’ERA LA SCUOLA A QUEL TEMPO?
CHE CLASSE FREQUENTAVATE?
COME AVETE VISSUTO LA GUERRA, I VOSTRI GENITORI ERANO IN
GUERRA?
CONOSCETE DELLE PERSONE CHE HANNO AIUTATO DEGLI EBREI?
CHI ERANO I VOSTRI COMPAGNI DI SCUOLA, VE LI RICORDATE?
RISPOSTE
La scuola non era in questa sede, ma nella zona fornace. Aveva due aule,
una pluriclasse per 1^ e 2^e un’altra per 3^ e 4^; la 5^ si frequentava a Fornovo.
Io frequentavo la prima (nonna di Chiara) e io la terza (nonna di Giorgia). I
fratelli Fano frequentavano la pluriclasse 3 e 4.
La nonna di Chiara, aveva la maestra Amelia, era vecchia (forse era più
giovane di quel che sembrava, era un altro periodo) e indossava sempre un
vestito nero.
Veniva chiamata “maestra vecha”. Lei chiedeva:
- Chi ha fatto la polenta?
Un bambino diceva io...Allora lei chiedeva:
- Me ne porti una fetta?
A scuola Betti, metteva la polenta in un pezzo di carta e poi la riscaldava sulla
stufa.
Mia mamma, preparava la torta fritta per merenda e me ne dava tre pezzi.
La maestra lo sapeva e, quando arrivava me ne chiedeva un pezzo e poi un
altro. L’ altra maestra si chiamava Maria Renetti.
L’ultimo anno di guerra non abbiamo terminato la scuola. Il 2 maggio del
1944 a causa dei bombardamenti, a Fornovo fu chiusa la scuola. I bambini di
Fornovo che dovevano fare gli esami di 5^ furono mandati a scuola a Respiccio.
Anche i bambini di Ozzano non andarono a Collecchio per lo stesso motivo.
Durante gli ultimi due anni di guerra a Riccò si fece anche la 5^ e i bambini di
Ozzano venivano a Riccò.
In quel periodo eravamo dei bambini e vivevamo male la guerra. Non
si trovava niente e il poco che c’era si comprava al mercato nero a prezzi
allucinanti: 20 mila lire 80 kg di grano. La nonna di Chiara racconta che loro la
miseria l’hanno vista di meno perché il suo papà faceva tre mestieri (falegname,
norcino e trebbiava); i nonni avevano il podere, quindi la possibilità di coltivare
81
e avere frutta a volontà. Ma non per tutti era così, tanti non avevano più niente
e dovevano sapersi accontentare. A questo proposito racconta che un bambino
trovò un lumacone in un pezzo di pane, ma lo mangiò lo stesso.
Anche la nonna di Giorgia dice che non ha sentito tanto la miseria, ma la
vita era molto difficile.
Non si poteva uscire di sera, c’era il coprifuoco e i militari che controllavano e
sparavano. Si stava al buio oppure con le lampadine ricoperte da stracci, le porte
e le finestre tappate con carta. La corrente elettrica non era dappertutto e dove
mancava si usavano le candele.
Di notte il buio era totale, ma la petrolifera veniva bombardata perché c’era
sempre la fiammella accesa e quindi anche di notte poteva essere individuata
Gli abitanti scavarono un rifugio sotto il monte Spagnano che sembrava una
tana per topi a due entrate. I signori Belloni contribuirono alla costruzione del
tunnel. A causa della fiammella i bombardamenti duravano tutta la notte e a volte
spezzoni di bombe causavano incendi o ferivano persone. Il bombardiere si
chiamava Pippo.
Il pericolo non erano solo le bombe, la paura veniva anche dai tedeschi e dai
fascisti.
I tedeschi mentre si ritiravano facevano rastrellamenti, venivano in casa,
toglievano la gente dai loro letti e si coricavano per riposare, quando non
volevano dormire nel fienile. La gente aveva paura di queste cose. La nonna di
Giorgia per fare un giro andava ad “acqua pozza” o alla “massona”, due località
nei pressi di Riccò, e lì non c’era nessuno, se non qualche sfollato, sempre gente
di Riccò.
La signora Carla Pesci, nonna di Chiara ci racconta un episodio che abbiamo
trasformato nel breve racconto “ In una notte buia”.
DOMANDE
AVETE CONOSCIUTO I FRATELLI FANO?
DOVE ABITAVANO E DOV’ERA LA LORO FARMACIA
QUANTI ANNI AVEVATE E COSA VI RICORDATE DI LORO
QUANDO SONO ANDATI VIA DA RICCO’, QUACUNO SAPEVA DOVE
ERANO ANDATI’?
AVETE CONSERVATO DEI DOCUMENTI DI QUELL’EPOCA?
RISPOSTE
La nonna di Chiara non si ricorda i fratelli Fano perché era in classe prima e
la loro iscrizione era passata inosservata.
La nonna di Giorgia invece se li ricorda. Quando mamma Giorgina portò
per la prima volta i fratelli Fano a scuola, raccontò alla maestra che erano
andati ad abitare lì da pochi giorni e che erano ebrei. La maestra rispose che
doveva chiedere il permesso al direttore e, a causa delle leggi razziali sarebbero
82
potuti entrare a scuola come privatisti. Mamma Fano era vestita molto bene,
con il cappello in testa, la bambina indossava un vestito di velluto. I Fano erano
benestanti e conducevano un altro tenore di vita. A scuola erano molto bravi. La
maestra li lodava sempre e li prendeva come esempio. Forse erano più seguiti
anche a casa e venivano a scuola regolarmente.
La nonna di Giorgia che frequentava la terza andò dai Fano a festeggiare un
Carnevale. - Eravamo in 5/6.
La signora Giorgina non conosceva le usanze del carnevale e neanche le
chiacchere e i dolci tipici, quindi offrì caramelle e cioccolatini, ma per noi era una
cosa straordinaria, tanti avevano dimenticato il sapore di una caramella.
Il signor Fano era farmacista. Aveva la farmacia a Pellegrino Parmense.,
poi venne a Riccò e lavorò per il signor Busani, padrone della farmacia e dopo
ancora per il sig. Goni.
Improvvisamente i bambini sparirono, noi non ne abbiamo saputo più niente.
Solo nel dopo guerra siamo venuti a sapere che furono portati prima a Fossoli,
poi in Germania. Con gli anni, quando la scuola ha incominciato ad interessarsi
di loro, abbiamo scoperto che erano stati uccisi.
Abbiamo visitato la loro abitazione lungo il Rio Riccò
83
Registro scolastico della
Scuola Elementare di Riccò
( D.D.Fornovo)
Foto di classe della
5°dell’Istituto De La Salle
di Parma.
Anno scolastico 1942-43
84
nel Comune di Salsomaggiore
Campi di concentramento di Monticelli Terme e Scipione nel Comune di
Salsomaggiore
Registro internati
85
Lapide posta nel parco fratelli
Fano e Della Pergola a Parma
Immagine di deportati alla
stazione di Auschwitz
nell’ aprile del 1944
86
3.4 ALCUNE LETTERE
Non persero mai la speranza di ritornare a casa…
DALLA MADRE GIORGINA AL QUESTORE DI PARMA
Monticelli,18/12/43
Al Sig.r Questore della Provincia di Parma
Io sottoscritta Giorgina Padova in Fano internata in questo campo di concentramento
insieme ai figli, faccio presente all’Ecc.Vs.il grave danno che da questo internamento deriva
agli studi di mio figlio Luciano che fino al 7 Dicembre frequentava con ottimo profitto la 1^
media all’Istituto della Salle in Parma. Per rimediare a questo e nella speranza che alla fine
dell’anno scolastico gli sia possibile dare l’esame, faccio domanda all’Ecc.Vs. di poter inviare
periodicamente al Direttore della scuola i compiti che mio figlio fa qui, per poterli avere
indietro corretti con i suggerimenti del caso.
Fiduciosa che la presente domanda venga accolta, ringrazio anticipatamente.
Giorgina Padova in Fano
Monticelli, 17 Febbraio 1944
Al Signor Questore della Provincia di Parma
Io sottoscritta Padova Giorgina in Fano internata in questo campo di concentramento faccio
domanda all’Ecc.Vs. che siano concessi a me ed ai miei tre figli :Luciano,liliana e Roberto,
rispettivamente di 12, 10,e 1 anno, internati pure essi, alcuni giorni di libertà per poter avere
modo di fare visitare i miei bambini, essendo essi in cura dal Prof.Guasfardo per deficienze
organiche, ed avendo essi terminata la cura devono essere sottoposti ad altra visita. La mia
bambina Liliana ha bisogno anche di farsi curare i denti.
Fiduciosa che la presente domanda venga accolta ringrazio anticipatamente
Giorgina Padova in Fano
Campo di concentramento Monticelli Terme (Parma)
87
Monticelli, 2-3-44
Al Signor Questore di Parma
La sottoscritta Giorgina Padova in Fano, internata a Monticelli Terme, nell’incertezza
dell’epoca in cui si svolgeranno quest’anno gli esami, fa sin d’ora domanda che sia permessop
ai propri figli Luciano di 12 anni e Liliana di 10 anni di recarsi a Parma al momento
opportuno per dare gli esami per il passaggio dalla 1^ alla 2^ media all’Istituto della Salle
Vicolo Sentellari 4 per Luciano e per il passaggio dalla 4^ alla 5^ classe elementare al
Collegio di S.Orsola per Liliana.
Entrambi hanno frequentato le Scuole suddette con regolarità fino al 7 Dicembre, giorno
dell’internamento. Chiedo anche che assieme ai bambini possa recarsi a Parma la loro zia
Alba Fano,internata essa pure, per assisterli negli studi anche durante il periodo degli esami.
In tale fiducia porgo rispettosi ossequi.
Giorgina Padova in Fano
Gli tolsero tutto: La vita … gli affetti…
gli averi…
LETTERE TRA GIACOMO BELLI DI PELLEGRINO PARMENSE E IL
DOTT.PERACCHI
Mariangela Buschini, nipote di Francesco Peracchi, ci ha fatto pervenire tramite
la famiglia Sclafani la documentazione relativa agli averi della famiglia Fano
ed un breve epistolario tra i due curatori dei beni: Giacomo Belli di Pellegrino
Parmense e il suddetto Dott.Peracchi.
Noi ne riportiamo una parte…
88
Documenti relativi alla deportazione
Titoli e azioni
89
Particolare di buono postale
Epistolario
PARMA, 26 NOVEMBRE 1952 DA FRANCESCO
PERACCHI A BELLI GIACOMO: curatori dei beni
90
Francesco Peracchi è nato a Parma il
4-01- 1901 ed è morto il 12-07-1984. laureatosi a Torino in Economia e Commercio, è
stato vice direttore della Cassa di Risparmio di
Parma, sede centrale.
Proprietario dello stabile sito in via Imbriani, aveva affittato tutto il secondo piano alla
famiglia Fano. La famiglia era composta dai
genitori anziani, dalla figlia, dal figlio Ermanno
sposato con tre figli. Dopo l’avvenuta deportazione degli anziani signori Fano e della deportazione in Germania del resto della famiglia,
Francesco Peracchi divenne curatore dei beni della famiglia Fano.
Riportiamo una serie di documenti che attestano l’avvenuta deportazione
della famiglia Fano e l’impossibilità da parte dei curatori di amministrare nel modo
dovuto i beni della stessa. La cosa si comprende dallo scambio di lettere fra i
curatori e la signora Ida Lopez Pegna, madre di Giorgina Padova.
Alcune notizie sulla deportazione
Con lo stesso schema è stato redatto il documento per:
Fano Luciano di dr. Ermanno e Giorgina Padova; Fano Liliana di dr.Ermanno
e Giorgina Padova; Fano Roberto di dr.Ermanno e Giorgina Padova Fano prof.
rag. Alba di Enrico e Bianchini Giulia; Tutti abitanti a Parma in Via Imbriani n°77
91
92
3.5 PRESENTAZIONE
E’ sempre molto strano vedere come i bambini aspettino con interesse
sempre nuovo l’appuntamento con questa pagina di Storia. Molto probabilmente,
al di là del fascino che può avere la 2° Guerra Mondiale, quello che li attira è la
vicinanza degli avvenimenti, il fatto che alcuni di loro hanno ancora la possibilità
di ascoltare aneddoti e fette di vita vissuta direttamente dai nonni e che questi
possono venire a scuola a raccontare. In questi momenti i nostri bambini si
sentono maggiormente coinvolti ed in un certo senso protagonisti e attori della
ricostruzione. Sono anni che affrontiamo questo argomento e ci riteniamo
fortunati perché il nostro interesse è stato alimentato, nutrito dai documenti che
col passare degli anni sono affiorati e che per generosità e rispetto nei confronti
di una scuola che si è sempre avvicinata alla Storia del territorio con grande
passione, ci sono stati regalati. Noi abbiamo avuto la possibilità di toccarli,
fotografarli, catalogarli , cercare di interpretarli e attraverso vecchi documenti,
pezzi di lettere, fotografie, immaginare le emozioni, le paure ed infine la
disperazione non solo dei nostri piccoli amici, ma di milioni di persone che hanno
perso tutto.
Lo scorso anno i genitori di una nostra vecchia alunna sono venuti in
possesso di una cartella con dentro una serie di lettere, azioni, buoni fruttiferi
appartenuti alla famiglia Fano. Eravamo nelle vacanze di Natale quando abbiamo
ricevuto la telefonata che ci informava che la famiglia Peracchi aveva ritrovato in
solaio una busta con documenti appartenuti ai Fano e che li avrebbero volentieri
regalati alla scuola. Con grande emozione abbiamo analizzato e letto quei fogli
inediti che raccontavano una parte della loro vita a tutti sconosciuta e grazie a
questi nuovi documenti ha ripreso vita anche il nostro lavoro di piccoli storici.
Alcuni di quei documenti li abbiamo riportati in questo lavoro, ma la cosa che ci
ha colpito di più sono state le lettere che la signora Giorgina, madre dei Fano,
scriveva al Prefetto pregandolo di fare ritornare a Parma i propri figli per farli
tornare a scuola o perché dovevano andare dal dottore.
Queste lettere hanno fatto riflettere i nostri alunni, perché hanno capito
quanto tutti gli ebrei fossero speranzosi e incredibilmente ottimisti, quanto
non immaginassero che l’uomo può diventare crudele e perdere ogni briciolo
di umanità anche davanti a un bambino che piange o una madre disperata.
Abbiamo letto testi, libri, poesie e le emozioni che ognuno dei nostri alunni ha
provato sono state trasformate in altri testi ed altre poesie a volte scritte di getto
per fissare il sentimento che in quel momento affiorava. I fratelli Fano sono molto
presenti nelle loro poesie, perché i cartelloni fatti negli anni, le loro foto, il fatto
che la scuola porta il loro nome glieli fa sentire famigliari, ma il loro pensiero è
spesso rivolto a tutti i bambini che hanno dovuto subire ogni sorta di umiliazione
e privazione fino ad arrivare alla morte.Riportiamo le poesie scritte quest’anno
dopo avere letto e analizzato le poesie e i disegni dei bambini internati nel campo
di concentramento di Terezin.
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3.6 RIFLESSIONE
Se ci fossimo stati noi ..?!
Picchiarsi per un pezzo di pane, nella speranza di non morire. Sembra
strano, ma ogni giorno centinaia di ebrei morivano perché avevano perso un
bottone, perché non capivano le regole, non facevano un lavoro…
“Un giorno ci verranno a prendere i nostri genitori, ci metteranno in un letto
caldo, ci prepareranno una bella colazione…”
Questo era un sogno ricorrente nel campo di concentramento!
Lorenzo
Dov’è la libertà?
Nel campo
Dov’è la libertà?
In un campo,
Dov’è il mio amico?
maltrattati..
Mi sono smarrito!
Ai bambini
Dov’è il mio cuore?
si è spezzato il cuore,
Vorrei almeno un genitore
perché avevano paura
e un poco d’amore!
della guerra,
Ora provo tanto dolore.
della morte.
Vorrei la libertà,
Volevano vivere,
ma nessuno me la dà!
i familiari erano preoccupati
Chiara
per i bambini
a loro strappati.
Volevano che andassero a scuola per studiare,
molte cose imparare…
Anche i fratelli Fano
avevano paura delle camere a gas!
Dal campo di Terezin
Saadeddin
Perché morire in un campo?
Dov’è casa mia?
Qui ogni giorno è uguale
la mia unica compagnia è la paura.
Vorrei volare,
diventare una farfalla
correre in un prato fiorito,
giocare,
raccogliere i fiori,
annusarli e sentire il loro profumo,
ma un filo d’acciaio mi rinchiude qua dentro.
Chi ha deciso di anticipare la mia morte?
Non voglio Morire!
Classe seconda, Primaria Riccò
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Voglia di casa
Una paura inimmaginabile mi assale,
Ogni giorno qualcuno muore,
senza avere nessuna colpa.
Il mio pensiero vola a mamma e papà.
Vorrei un abbraccio, un bacio, una carezza.
La paura mi torna nel cuore.
Vorrei essere libero come un uccello,
per vedere dove sono mamma e papà,
…Domani potrebbe essere l’ultimo…
Come vorrei essere a casa!
Classe seconda, Primaria Riccò
Sogno
Ho sempre la paura addosso,
ma qualcuno mi salva.
I cancelli si aprano,
esco e fuori dal cancello
vedo mamma e papà,
mi abbracciano
e torniamo a casa.
Mi sveglio!...
…È tutto uguale!
Il mio pane è sporco, nel fango,
ma lo mangio,
non voglio morire,
voglio tornare libero!
Classe seconda
Voglia di libertà
Sono stato strappato dalla mia casa,
da tutte le cose che mi piacciono.
Sono triste,
vorrei la mia famiglia.
Mi costringono a rubare
per la mia sopravvivenza:
devo avere cinque bottoni, il cucchiaio, le scarpe…
Io non ho fatto niente,
eppure mi costringono a vivere nel campo.
Vorrei i miei genitori,
che zii e nonni mi venissero a salvare.
Forse sono già morti…!.
Fatemi uscire, fatemi riabbracciare la mia famiglia,
liberatemi!
Nicola
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Abbiamo letto in classe alcune poesie scritte dai bambini nei campi di
concentramento di Terezin, osservato bene i loro disegni e interpretato i
sentimenti che facevano trapelare.
I bambini hanno provato ad immedesimarsi e, attraverso le loro poesie, ci
hanno fatto capire quanto possono essere maturi di fronte alla sofferenza e
all’ingiustizia, anche alla loro tenera età.
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Durante la Seconda Guerra Mondiale
la Gestapo utilizzò Terezin, in territorio
cecoslovacco, come campo di concentramento.
Fra i deportati circa 15.000 furono bambini.
Terezin
Planimetria della fortezza di Terezin del 1869
Disegno di uno dei tanti bambini deportati a
Terezin
Speranza
Strappati alle famiglie
viviamo nella speranza di riabbracciarli
ma i pensieri ricorrenti sono altri :
lacrime per avere perduto l’identità,
la famiglia, il pudore…,
tristezza nel cuore,
paura di essere uccisi.
Ogni giorno la paura aumenta e,
torturati nell’anima,
ci accorgiamo di diventare
ladri per sopravvivere,
ci picchiamo per un pezzo di pane
ci aiuta solo la
speranza di sopravvivere,
di riacquistare la libertà.
Un giorno vorrei uscire da questo campo,
rivedere i miei genitori ,
giocare con i miei amici
sull’erba fresca.
La speranza non possono ucciderla!
Classe terza,Primaria di Riccò
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I bambini rubano il pane
I bambini rubano il pane,
non basta mai …
chiedono di dormire,
sono stanchi, deboli …
il treno della disperazione
li ha portati in quel campo maledetto.
Il rumore delle ruote
Affiora continuamente alla mente …
Siamo stati condannati,
ma come ciechi, non vediamo la realtà.
È la speranza a guidarci …
I bambini rubano il pane,
hanno fame …
Classe terza, Primaria Riccò
La vita nel campo
Sono in un campo di concentramento,
so che un giorno potrebbero uccidermi,
ci danno da mangiare pane ed acquaminestra,
a volte
fanno apposta per farli cadere e
ogni giorno rubo per sopravvivere.
Tutte le notti sogno la libertà,
corro nei prati,
ritrovo i miei genitori,
i miei amici.
Non so che fare…
Mi uccideranno?
Giorgia
Strappati alle famiglie
Per portarli in quei luoghi maledetti.
Ogni giorno la speranza di
riabbracciare i loro genitori.
Ogni giorno i bambini sognavano di
uscire
Da quei terribili campi.
Alcuni venivano uccisi per una
sciocchezza:
un bottone mancante, le scarpe perse
o rubate..
e allora rubavano per la sopravvivenza,
facevano ogni cosa per rivedere i cari,
ma il filo spinato impediva loro di
essere liberi.
Riacquistare la libertà
era difficile …
Erano ebrei!
Non dovevano uccidervi,
non avevate fatto niente di male!!!
Speriamo che non succedano più cose
così brutte.
Noi vi ricordiamo, perché questo non
succeda!
Pier Francesco
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Cuori spezzati
Cuori spezzati !
Sono stato tolto,
stappato,
diviso.
Vorrei mamma e papà,
sono stato portato in un buio campo,
stretto, caldo o freddo.
Targhette strette,
ognuno ha il suo numero,
da adesso il suo nome …
Ho abbracciato la mamma
e dopo è sparita nel nulla.
La mia vita è stata umiliata, cancellata.
Appena sono entrato
ho dovuto imparare a rubare.
Perché spezzate i cuori?
Ogni giorno vedo il viso della mamma
e del papà.
Non ho notizie,
non ho penne e fogli per scrivere,
ma li sento con me!
Amira
Sogno
Io voglio uscire dal campo di
concentramento
Per abbracciare la mia famiglia.
Sognavo che la guerra finisse,
che da un angolo spuntassero i miei
cari per salvarmi, scappare,
prima che i soldati spuntassero per
farci morire.
Sognavo di essere sempre vicino alla
mia famiglia, ma non è stato così.
Dopo tanti giorni è spuntata la mia
mamma, mi ha salvata,
mia ha abbracciato, siamo tornati a
casa, siamo contente di essere ancora
uniti.
Non manca nessuno…
Era un sogno!
Eleonora
Angoscia
In un campo sono stata portata,
ero molto triste, in quella prigione
mi sentivo angosciata,
sognavo di uscire da quella galera
che mi faceva prigioniera;
volevo tornare a giocare,
con gli amici cantare;
volevo tornare a scuola,
imparare almeno a scrivere una parola;
volevo stare in compagnia,
non imparare la nostalgia.
Noi tutti bambini eravamo innocenti
nelle mani di incoscienti.
Volevo correre libera nei prati,
fare collane con margherite colorate;
Non volevo correre nell’erba secca,
mi metteva troppa tristezza.
Volevo tornare a casa,
la voce dei miei cari sentire …
Ho tanta paura di morire!!!
Alice
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Speranza
Sono stati uccisi ingiustamente,
meritavano pace e serenità,
meritavano amore,
l’affetto degli amici,
una casa,
del cibo
e non hanno potuto vedere
nessuna di queste cose.
Gli è stato tirato via tutto,
l’unica cosa
che gli è rimasta nel cuore
è la speranza.
Simone
Siete voi
Quando l’erba si piega
Siete voi
Che sdraiati sul prato
Guardate le forme delle nuvole.
Quando i rami si muovono,
Siete voi
Che cercate di arrampicarvi.
Quando il vento si muove verso nord,
Siete voi
Che vi rincorrete.
Quando una brezza
mi sfiora la guancia
Siete voi
Che mi accarezzate.
Quando si muovono i cespugli
Siete voi
Che giocate a nascondino.
Siete voi
Che giocate nel nulla ….