Unita nella diversità

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10 agosto 2015 • Pagina 1
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Unita nella diversità
"Questa unione è imperfetta, fragile, vulnerabile e non
presenta tutti i vantaggi che potrebbe offrire se venisse
completata. In futuro dovremmo quindi compiere
progressi decisivi verso una maggiore integrazione"1:
Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea
(BCE), ha rilasciato questa dichiarazione sincera
durante la conferenza stampa di luglio sulla politica
monetaria. In questa pubblicazione vedremo perché
l'Unione economica e monetaria (UEM) è imperfetta e
in che modo può essere completata.
La saga greca che per mesi ha tenuto tutti con il fiato
sospeso ha fatto passare inosservato il semplice fatto che
l'UEM sta attraversando una crisi esistenziale. In realtà,
la questione non è tanto se il terzo piano di salvataggio
sarà sufficiente a far rimanere la Grecia nell'Unione, ma
se le riforme politiche e istituzionali che devono essere
attuate per far funzionare agevolmente l'Unione saranno
adottate in tempo.
Gli strumenti di cui disponiamo per tracciare il futuro
profilo dell'Unione sono l'esperienza recente, la teoria e
la storia.
Iniziamo con l'esperienza recente dell'UEM. Il fatto che
l'Unione non funzioni a dovere non è un segreto. Nello
sviluppo della crisi greca abbiamo individuato sette fasi
schematiche che formano l'anatomia della crisi europea,
tradottasi fondamentalmente in una crisi dell'euro, ossia
nella crisi valutaria. Attualmente la sopravvivenza della
moneta unica non è in discussione, ma l'incompletezza
dell'Unione la mette a repentaglio.
I sette passi verso la crisi valutaria sono i seguenti:
1) Crisi dei mercati finanziari: uno shock destabilizza i
mercati finanziari (i mutui subprime o la presa di
coscienza del fatto che la Grecia non fosse nelle
migliori condizioni auspicabili), causando un
aumento del premio al rischio nei principali mercati
finanziari: le attività rischiose crollano, quelle sicure
si riprendono.
1
.
2) Crisi di liquidità: la flessione dei prezzi delle
attività provoca un rapido calo del valore del
collaterale, incrementando la domanda di attività
sicure e di contanti, ossia di liquidità, la cui
offerta si rivela insufficiente. Il settore bancario è
sotto pressione e le banche centrali forniscono la
liquidità necessaria. Con l'illiquidità dietro
l'angolo, l'insolvenza è alle porte.
3) Crisi di solvibilità: le insolvenze bancarie
paralizzano il sistema finanziario, aggravando la
recessione poiché il ciclo del credito subisce una
brusca battuta d'arresto. In questa fase tre
meccanismi permettono alle banche di rimanere a
galla:
a) la banca centrale funge da prestatore di
ultima istanza, ossia può acquistare o
accettare attività deprezzate a un prezzo
ridotto (haircut). In questo modo crea un
mercato, consentendo ai detentori di attività di
trasformarle in liquidità.
b) Le
banche
sottocapitalizzate
cercano
disperatamente di raccogliere capitale, ma gli
investitori privati rimangono esitanti. Entrano
in gioco i governi, costretti a nazionalizzare o
a ricapitalizzare le banche sistemiche troppo
grandi per fallire.
c) La ricapitalizzazione comporta costi elevati. I
governi emettono obbligazioni per finanziare
queste spese straordinarie e il loro rapporto
debito/PIL sale vertiginosamente.
L'incremento dell'indebitamento destabilizza
ulteriormente l'equilibrio precario dei governi
che presentavano già difficoltà finanziarie,
causando un aumento dei tassi d'interesse. Di
conseguenza, non solo questi governi hanno
maggiori difficoltà a rifinanziarsi, ma i loro
debiti, a loro volta costituiti da importanti
attività bancarie "prive di rischio", perdono
valore incrementando i rischi d'insolvenza
"This union is imperfect, is fragile, is vulnerable, and doesn't deliver all the benefits that it could if it were to be completed. So the future now should see decisive steps on
further integration" http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2015/html/is150716.en.html
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4)
5)
6)
7)
delle banche. Questa tesi è stata elaborata da
Maurice Obstfeld, prossimo Chief Economist
dell'FMI, nell'ambito del trilemma fiscale/
finanziario2.
Crisi di bilancio o del debito: il deterioramento dei
conti pubblici e il rapido aumento del rapporto
debito/PIL si traducono in una crisi di bilancio nei
paesi alle prese con difficoltà finanziarie.
Crisi politica: la reazione al deterioramento del
disavanzo di bilancio diventa una questione politica.
Il rapporto tra un consolidamento dei bilanci
pubblici al costo dell'aggravarsi della recessione e
misure keynesiane volte ad alleviare la recessione al
costo di un aumento del rapporto debito/PIL sono al
centro del dibattito politico. Se non viene attuata una
soluzione convincente, l'elettorato perde fiducia.
Crisi sociale: il tasso di disoccupazione persistentemente elevato e la deflazione interna, l'assenza
di una leadership politica e il deterioramento delle
prospettive economiche spingono la popolazione a
scendere in piazza. I partiti estremisti acquistano
potere. Sta per scoppiare una crisi sociale.
Crisi valutaria: con un'economia in asfissia,
politiche fiscali vincolate e la società sull'orlo del
baratro, solo la riconquista della sovranità sul fronte
della politica monetaria può dare un rapido sollievo.
In un'unione monetaria ciò può essere ottenuto solo
con l'uscita del paese, che emetterà la sua valuta
nazionale. Questa è l'ultima fase, la crisi valutaria.
La Grecia ha raggiunto lo stadio finale quest'anno. La
Grexit è quindi una valida opzione che contribuirebbe a
dare sollievo all'economia ellenica. Tuttavia, non è la
soluzione, poiché la riconquista dell'autonomia sul fronte
della politica monetaria e del tasso di cambio non può
sostituire le riforme strutturali. Il rischio di un'uscita
della Grecia è di fatto aumentato con il terzo piano di
salvataggio. Il lungo elenco di riforme e misure di
austerity necessarie non è accettabile per la popolazione
2
3
4
greca allo stremo (la disoccupazione è pari a un quarto
della forza lavoro), che sosterrà gli smisurati costi di
adeguamento nei decenni a venire. Il condono del debito
potrebbe in una certa misura ridurre tali costi,
contribuendo a far rimanere la Grecia nell'Unione, ma le
riforme dovranno essere adottate in ogni caso.
La Grexit implica innanzitutto l'emissione di dracme.
Per introdurre agevolmente e ordinatamente l'euro sono
stati necessari anni, quindi anche per rifornire gli
sportelli di nuove dracme occorrerebbero almeno alcuni
mesi. Perché il governo greco non dovrebbe prendere
tempo per preparare un'uscita ordinata nei prossimi
mesi, quando la situazione si sarà leggermente distesa?
In base all'anatomia della crisi valutaria, l'area euro nel
suo complesso si trova tra la quinta e la sesta fase. Un
gruppo di paesi nordici guidato dalla Germania approva
la Grexit, mentre uno di paesi meridionali che gravita
intorno alla Francia è più incline a mantenere la Grecia
nell'Unione3. Un'ulteriore divergenza di opinioni tra i
membri principali, Francia e Germania, acuirebbe le
tensioni politiche e indebolirebbe notevolmente
l'Unione,
conducendo
verso
una
potenziale
disgregazione dell'euro. In alcuni paesi, come Francia,
Spagna, Portogallo e Italia, il malcontento sociale è
evidente e prosperano i partiti estremisti.
"Di norma è la politica a formare e a sciogliere le unioni
monetarie. In breve, la moneta è una questione
intrinsecamente politica"4. L'ottima notizia è che l'UEM,
scaturita da un processo politico avviato all'indomani
della Seconda guerra mondiale, è finalmente entrata in
una crisi politica. È proprio questo l'aspetto su cui
devono concentrarsi il dibattito sul futuro dell'Unione al
pari delle proposte e dell'attuazione delle soluzioni. Così
come la luce fa apparire le ombre, solo una maggiore
integrazione può rafforzare l'Unione.
La storia delle unioni monetarie negli ultimi 250 anni è
sufficientemente lunga e ricca per fornire preziosi
Maurice Obstfeld descrive il trilemma finanziario/fiscale come l’impossibilità di avere al tempo stesso integrazione finanziaria, stabilità finanziaria e indipendenza fiscale.
Obstfeld, Maurice, Finance at Center Stage: Some Lessons of the Euro Crisis, European Commission Economic Papers 493, April 2013
http://www.theguardian.com/business/2015/jul/12/eurozone-crisis-which-countries-are-for-or-against-grexit
Jonung, Lars, Nautz, Jürgen, Conflict Potentials in Monetary Unions, 2007.
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spunti. Senza un'unione politica e fiscale, le unioni
monetarie hanno quasi sempre vita breve. È accaduto
all'Unione monetaria latina tra Francia, Belgio, Italia e
Svizzera, fondata nel 1865 e che non è sopravvissuta alla
Prima guerra mondiale. Lo stesso vale per le numerose
unioni monetarie coloniali (con la notevole eccezione
dell'unione africana del franco CFA, ancora esistente) e
per l'Unione monetaria scandinava. Più recentemente, il
gold standard, abbandonato negli anni Trenta, il sistema
di Bretton Woods (1944-1973), incentrato sul dollaro
USA e il Meccanismo di cambio (ERM) europeo (ossia
il "serpente nel tunnel" del 1972-1979 e il Sistema
monetario europeo del 1979-1992), pur non essendo
vere e proprie unioni monetarie, sono falliti. Queste
unioni sono accomunate dal fatto di non essere state
sostenute da un'unione politica. È tuttavia notevole che,
nonostante il duplice fallimento dell'ERM, sia emerso
l'euro.
Se analizzare le unioni monetarie fallite è illuminante,
esaminare quelle che hanno avuto successo è fonte
d'ispirazione. Le storie del dollaro USA, della lira
italiana e del marco tedesco ci insegnano che la
creazione di un'unione monetaria può essere un processo
lungo e caotico, che talvolta sfiora pericolosamente il
punto di rottura. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'unione
monetaria è iniziata nel 1789 con la firma della
Costituzione messa a repentaglio dalla Guerra civile del
1861-1865, una crisi sociale estrema seconda la nostra
anatomia della crisi valutaria, nel corso della quale gli
Stati confederati hanno stampato la propria moneta per
finanziare la guerra. Secondo Bordo e Jonung5, in questi
tre esempi l'unione monetaria è avvenuta dopo
l'unificazione politica, un processo che richiede un
tempo considerevole.
Guardando nello specchietto retrovisore, la storia
dimostra che l'UEM non è stata ben progettata ed è
destinata a fallire, in quanto unione monetaria priva di
un'unione politica. Tuttavia, per citare le ultime righe
5
6
scritte da Bordo e Jonung nel 1999, è ancora troppo
presto per dire addio all'UEM. "Un'importante lezione
offertaci dalla storia è che l'unificazione monetaria è un
processo evolutivo. In futuro l'UEM assumerà una
forma diversa da quella attualmente prevista. Questo
processo, che consentirà all'UEM di adattarsi e
adeguarsi alle turbolenze future, dovrebbe essere
considerato un percorso di apprendimento politico, in
cui le autorità imparano ad affrontare gli ostacoli che si
manifestano. Il processo continuerà fintanto che sarà
presente la volontà politica di mantenere in vita l'unione.
Se questa verrà meno, l'UEM potrebbe disgregarsi. A
giudicare dalla storia delle unioni monetarie nazionali,
questa eventualità appare probabile solo in circostanze
estreme."6
Da uno sguardo attento al processo di apprendimento
politico emerge che le istituzioni dell'UEM si sono
evolute rapidamente negli ultimi anni. Il mandato della
BCE non stabiliva che l'istituto dovesse fungere da
prestatore di ultima istanza in una crisi bancaria.
Ovviamente, la BCE si è assunta questo incarico
all'apice della crisi, ricevendo successivamente il pieno
mandato di supervisione del sistema bancario europeo.
Ora l'unione bancaria è completa. Sono stati creati un
Meccanismo di vigilanza unico (MVU) e un
Meccanismo di risoluzione unico (SRM). Sulla scia
della crisi ha visto la luce anche un meccanismo di
risoluzione delle crisi sotto forma del Meccanismo
europeo di stabilità (ESM). Per individuare e correggere
i disavanzi commerciali all'interno della zona euro è
stata stabilita una Procedura per gli squilibri
macroeconomici (PSM). Ciò conferma che vi è ancora
la volontà politica di completare l'Unione, ma resta da
vedere se essa è sufficientemente forte da condurre
verso un'unione politica.
Un settore della ricerca economica si è concentrato
sull'Area Valutaria Ottimale (AVO), fornendo un elenco
di condizioni necessarie per il raggiungimento di
Bordo, Michael D., Jonung, Lars. The Future of EMU: What Does the History of Monetary Unions Tells Us?, NBER Working Paper 7365, 1999.
“A major lesson from history is that monetary unification is an evolutionary process. EMU will evolve in the future in a way different from the existing plans for the EMU. This
process, allowing the EMU to adapt and adjust to future disturbances, should properly be regarded as a policy learning process, where policy makers learn to cope with the
shortcomings that emerge. This process will continue as long as the political will to maintain the union is present. Once it disappears, the EMU may break apart. Judging from the
history of national monetary unions, such an outcome appears likely only under extreme circumstances."
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un'unione monetaria ottimale. Come di consueto,
l'elenco cambia da un economista all'altro, ma alcune
condizioni sono ampiamente condivise, come:
1.
2.
3.
4.
5.
Politica monetaria comune
Mobilità dei capitali
Mobilità dei lavoratori
Ciclo economico omogeneo
Sistema di condivisione dei rischi
Le prime due condizioni sono chiaramente
soddisfatte. La terza lo è solo sulla carta. La
mobilità dei lavoratori è piuttosto difficile da
raggiungere, a causa delle barriere linguistiche e
culturali. In un mercato del lavoro perfettamente
mobile il tasso di disoccupazione dovrebbe essere lo
stesso in ogni paese. In questo momento, il tasso di
disoccupazione in Grecia è cinque volte più elevato
rispetto a quello tedesco. Ciclo economico analogo
significa che un'unione è omogenea, nel senso che
tutte le economie che ne fanno parte si muovono
insieme, tutte in espansione o tutte in recessione. In
questo caso, una politica monetaria unica e una
moneta unica sarebbero sufficienti ad assorbire gli
shock di crescita e di inflazione. Ovviamente non è
così. Questo concetto potrebbe essere esteso anche
alla crescita strutturale o, in altri termini, alla
produttività potenziale degli Stati membri.
Indipendentemente dai cicli economici, alcune
economie (per citarne una, la Germania) sono più
produttive rispetto ad altre (la periferia). Ciò implica
che un tasso d'interesse unico potrebbe essere troppo
basso per le economie più produttive e troppo
elevato per quelle meno produttive, e lo stesso vale
per la valuta.
All'interno dell'Unione vi sono differenze significative
sul fronte della produttività e la mobilità dei lavoratori è
imperfetta. Tuttavia, vi sono notevoli divergenze anche
tra l'Italia settentrionale e meridionale, tra la Germania
orientale e occidentale, tra il Michigan e il Texas negli
Stati Uniti e tra Zurigo e i cantoni alpini in Svizzera.
7
http://www.bbc.com/news/world-europe-33598868
Queste regioni sono tutt'altro che ottimali, ma
funzionano e hanno successo sotto molteplici aspetti.
Il sistema di condivisione dei rischi, la quinta
condizione, è ciò che permette a queste regioni di
rimanere unite. Quando uno shock asimmetrico colpisce
un'unione, non tutti i suoi membri ne risentono allo
stesso modo a causa delle loro differenze. Di
conseguenza, alcuni paesi necessitano
maggiore
assistenza rispetto ad altri per riequilibrare l'intera
unione. In condizioni economiche favorevoli, il sistema
di condivisione dei rischi dovrebbe concentrarsi sulle
riforme per rendere l'unione più omogenea e semplice da
gestire nelle fasi difficili. Se le condizioni economiche
sono negative, dovrebbero avere luogo trasferimenti
fiscali.
La quinta condizione può essere soddisfatta solo con una
maggiore integrazione politica o, per citare François
Hollande, creando un “governo economico della zona
euro”7 con risorse fiscali, ossia con un bilancio della
zona euro. L'unificazione politica è di gran lunga la fase
più complessa del processo di integrazione, poiché
richiede che i paesi cedano una quota maggiore della
loro sovranità a un organismo sovranazionale. Ciò
riaffermerebbe l'indefettibile solidarietà tra le nazioni
europee e rafforzerebbe l'Europa nel suo complesso.
Inoltre, ridurrebbe l'asimmetria e le tensioni tra gli Stati
membri dell'Unione, livellando il campo. I trasferimenti
fiscali e le riforme sarebbero il bastone e la carota in
grado di incentivare l'Unione a essere più omogenea,
meno
vulnerabile
agli
shock
ciclici
e,
fondamentalmente, più prospera.
Vale la pena sottolineare che l'unificazione politica non
implica il sipario della diversità europea. In Svizzera,
dopo più di 700 anni di unione, le differenze linguistiche
e culturali tra i quattro blocchi linguistici nazionali
(francese, tedesco, italiano e romancio) rimangono, per
la gioia di tutti, perlomeno notevoli, in base alla mia
esperienza personale.
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Per citare nuovamente Bordo e Jonung, "fintanto che
sarà presente la volontà politica di mantenere in vita
l'unione" si troverà una soluzione. In linea con quanto ci
insegna la storia, vi è ampio consenso che la creazione di
un'unione monetaria sostenibile e di successo sia un
processo complesso che evolve nel tempo. Dal momento
che l'Europa è partita con il piede sbagliato, ossia con
l'unione valutaria prima dell'unione politica, il tempo
stringe. Un'altra recessione potrebbe far passare l'Unione
dalla quinta-sesta fase all'ultimo stadio (la crisi
dell'euro),
con
conseguenze
potenzialmente
drammatiche.
Se l'Unione venisse completata, i vantaggi sarebbero
significativi. Oltre alla libera circolazione delle persone,
dei capitali, dei beni e dei servizi, un'Unione ben
funzionante offrirebbe prosperità e stabilità. Il corretto
funzionamento del sistema di condivisione dei rischi
ridurrebbe il costo delle recessioni. L'unificazione
politica si tradurrebbe in sostanza negli Eurobond, uno
strumento di politica monetaria più efficiente rispetto ai
titoli di Stato nazionali, e in un mercato obbligazionario
spesso che incrementerebbe la liquidità della moneta
unica, rendendola una valida alternativa al dollaro USA
come valuta di riserva. Infine, porrebbe l'Europa in una
posizione vantaggiosa per competere con gli Stati Uniti
e con il blocco asiatico in un'economia globalizzata.
"Unita nella diversità" è il motto dell'Unione europea.
"Unita nelle avversità" ne è la conseguenza almeno
quanto "unita nella prosperità".
Yves Longchamp, CFA
Head of Research
ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG
Nota: Nell’investire in un fondo esiste il rischio di minusvalenze e perdite valutarie, proprio come quando si investe in titoli e in altri beni comparabili. Ne consegue che i prezzi delle quote di fondi e
l’ammontare dei proventi oscillano e non possono essere garantiti. I costi degli investimenti in fondi condizionano l’effettiva performance degli stessi. Le uniche condizioni vincolanti per l’acquisizione di quote
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declina ogni responsabilità per la correttezza, la completezza o l’esattezza dello stesso. Munsbach, 10.08.2015.
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