Prolusione
PROF. PAUL O’HARA
ORDINARIO DI ONTOLOGIA E RAZIONALITA’ SCIENTIFICA, IUS
DIRETTORE DELLA CATTEDRA PIERO PASOLINI
Il Grido del cosmo. Un itinerario tra fede e scienza
Come si può penetrare il mistero della vita? È una domanda che mi ha accompagnato per
tanti anni, durante i quali mi sono accorto e mi accorgo sempre più che la domanda
stessa è la chiave per aprire il mistero della nostra esistenza.
Noi esistiamo e siamo una domanda a noi stessi. È un’affermazione semplice ma
sconvolgente, che rivela il mistero dell’essere nel suo coinvolgere tre piani: (1) il
rapporto col mondo creato, ciò che Teilhard de Chardin descrive come “la stoffa dell’
universo”,1 (2) il rapporto fra di noi (3) e il nostro rapporto col Creatore. Questi tre piani
sono tra loro collegati e, anche se distinguiamo la scienza naturale, la metafisica e la
teologia, rimane il fatto che esse tutte riflettono un’unica realtà che è quella della
persona nel suo interrogarsi sul senso di tutto ciò che è.
Certo, dovrebbe esserci un’armonia fra questi piani ma, a causa delle diverse ideologie
che hanno dominato la nostra cultura (almeno quella occidentale) , durante gli ultimi tre
secoli questa unità di pensiero è stata infranta. Cominciando col positivismo, il legame
tra la scienza e la fede è stato reciso. Ma nel nostro tempo, con la diffusa crisi morale,
intellettuale, economica, sociale, politica, climatica, forse abbiamo infine raggiunto,
proprio ora, quel momento storico in cui una nuova sintesi di pensiero e un nuovo modo
di vivere si affaccia. In questo contesto, pensando alla missione di Sophia, possiamo
riflettere insieme su che cosa significa per noi la sfida dell’oggi.
Per cominciare, voglio tornare a più di quaranta anni fa. Ero giovane, diciamo: più
giovane di adesso. Avevo vent’anni. Studiavo la matematica e in particolare la fisicamatematica. Mi appassionava la ricerca della verità che per me significava aspirare a
1
P. Teilhard de Chardin, l’Avvenire del Uomo, il Saggiatore, Milano 1972, p. 137; L’energia umana,
Milano 1984, pp. 61-62.
diventare un bravo scienziato, un fisico teorico. Ero affascinato dalla Relatività Generale
di Einstein e dalla meccanica quantistica che, direi, mi facevano toccare qualcosa
dell’infinito. Ero cristiano praticante ma nel cercare e conoscere la verità mi sembrava
che studiando il cosiddetto metodo scientifico avrei ricevuto la chiave per penetrare la
realtà nascosta sotto e attraverso le equazioni. Ero un positivista senza accorgermene.
Era il novembre del 1973. Non ricordo più la data esatta. Durante una lezione in cui si
trattava delle equazioni di Maxwell e della teoria del campo elettro-magnetico, a un
certo punto la mia mente si è staccata dalla lezione e, tutto a un tratto, dentro di me ho
avvertito, senza ascoltarla con i sensi fisici, la domanda : “Paul, chi sei?”. Sperimentai in
un lampo che l’infinito che cercavo nell’ universo della relatività e l’infinitesimo delle
particelle che tentavo di capire e raggiungere attraverso le equazioni della meccanica
quantistica, proprio quell’ infinito, era prima di tutto dentro di me. In un “flash”, come
un fulmine, ho sperimentato che tutto l’universo, le stelle, le galassie, gli atomi e io
eravamo uno. Allo stesso tempo, sentivo che quell’ infinito dentro di me ancora non lo
conoscevo. “Chi sono io?” – mi chiedevo e chi era questo infinito, Dio, che aveva
capovolto il mio mondo? Era un evento teo-cosmico-antropico per usare le parole di
Piero Coda: un evento che mi ha schiacciato, pieno di luce, certo, ma, allo stesso tempo,
per dirvi la verità, un evento che mi ha intimorito. Avvertivo che ero chiamato a lasciare
tutto per seguire questo Dio. Ma come fare?
L’infinito era dentro di me! L’infinito che ha creato l’universo col Big Bang e che
penetrava fin nella più piccola particella, era anche dentro di me… ed io non lo
conoscevo. Il vero mistero ero “io”, e conoscere quel mistero significava conoscere non
solo me stesso ma anche ognuno di voi e il Dio che ci ha creato, perché se Dio è dentro
di me è anche dentro ciascuno.
Con questa nuova esperienza di Dio dentro, il mio punto fisso non era più il positivismo.
Il rapporto fra la fede e la scienza, ora, lo vivevo in prima persona. Questo, ad esempio,
significava passare dal modo di leggere la realtà del darwinismo alla visione di Teilhard
De Chardin e alla metodologia di Bernard Lonergan e allo stesso tempo significò
conoscere il Focolare e il metodo di pensare e di vivere segnato dall’amore scambievole.
Significava una sintesi che è intellettuale e razionale ma fondata sull’ umano e sulla
fede. Significava rischiare e saltare nell’infinito cui cercavo di resistere anche se
paradossalmente credevo di cercarlo; significava scoprire con Platone che fin a quel
momento vivevo dentro una caverna dove ciò che vedevo e pensavo era nient’altro che
ombra, mentre il vero mondo si raggiunge passando dall’ombra attraverso il buio alla
Luce. Era la strada di “una lunga solitudine,” per usare le parole di Dorothy Day, 2 dove
pian piano la fede è cresciuta, quella fede definita da San Giovanni della Croce come la
“notte oscura”. È proprio lì, nella notte, che si scopre il “derek” (la via) di Giobbe3. cioè
la fede, la roccia ferma sulla quale si può costruire la visione autentica del mondo.
In un certo senso, la mia storia è la storia dell’uomo moderno. Come studente di scienze,
avevo la visione di Dio come colui che ha messo in moto l’universo. Era il Dio di
Aristotele e di Newton che ha creato il Big Bang e con quel Big Bang l’universo ha
preso le mosse, attraverso le leggi della fisica, formando prima l’idrogeno e l’elio che,
per l’influenza della gravità, si è raggruppato in nuvole dense che dopo miliardi di anni
sono condensate per formare le protostelle e le galassie mentre lo spazio-tempo
continuava a dilatarsi ed espandere. Poi, le stelle sono diventate, per mezzo della fusione
nucleare, il crogiuolo per costruire gli elementi e gli atomi più sofisticati come l’elio, il
berillio, il carbone, fino all’uranio. Le stelle a loro volta morivano formando i “Red
Giants” e i “White Dwarfs” o le “Super Nova” e i “Neutron Stars”, e spruzzavano così
ovunque la loro polvere, che pian piano si condensava attorno ad altre stelle con l’aiuto
della gravità e le leggi della chimica per formare i pianeti. Di qui, la stabilità dei pianeti
attorno a una stella permetteva, per le leggi della fisica, della chimica e della probabilità,
l’emergenza della vita e nuove leggi e principi sussunti sotto il nome di “biologia,”
secondo il processo della selezione naturale descritto da Charles Darwin, finché si
giunge alle scimmie e a tutta la seria degli ominidi, dall’australpitecus afarensis
all’uomo di Neanderthal… fino a noi.
Ma chi siamo noi? Siamo solo la conseguenza delle leggi della scienza naturale e della
legge della probabilità applicate alla polvere delle stelle? o siamo qualcosa di più?
Siamo qui perché “il nostro numero è uscito per caso alla roulette cosmica,” come dice
Jacques Monod nel suo Il Caso e la Necessità4?. o siamo qui perché Dio sa giocare
molto bene ai dadi? Qui si tocca la grande divisione che ha separato la visione moderna
riduzionista della realtà dalla cosmovisione sprigionata dalla fede cristiana. Questa
grande sfida attraversa il cuore della post-modernità. che da un lato può essere descritta
come un’epoca dove la persona è “persa nel cosmo,” per usare un’espressione dello
2
D. Day, The Long Loneliness, Harper Collins, San Francisco 1997.
B. Purcell, Where Is God in Suffering?, Veritas, Dublin 2016, pp. 95-96.
4
J. Monod, Il Caso e La Necessità,Mondadori, Milano 1971.
3
scrittore americano Walker Percy5, e dall’altro lato come l’epoca in cui si rigetta il
metodo scientifico come assoluto e si cerca una nuova sintesi colla fede.
A mio modo di vedere sta proprio qui la sfida e la chance del cristianesimo oggi: la postmodernità può riscoprire che l’unico assoluto, ma inteso in senso relazionale, è il
soggetto umano nel senso che – come anche la mia esperienza suggerisce – dentro di noi
c’è qualcosa, meglio Qualcuno di infinito che è immanente e trascendente allo stesso
tempo. Dunque, se non vogliamo ritrovarci “persi nel cosmo” dobbiamo scavare dentro
di noi e sceverare il desiderio di autentica ricerca della verità da tutti gli altri desideri, in
modo che si distingua fra la persona fatta a immagine di Dio e un dio fatto a immagine
dell’uomo, fra la differance (per usare una parola del filosofo Jacques Derrida) che
genera la pluralità e la differance che genera il conflitto, in modo che si distingua tra una
post-modernità autentica e una post-modernità relativistica, fra l’umiltà dei seguaci di
Gesù e la malattia dell`anima dello gnosticismo descritto da Eric Voegelin6, tra il nulla
dell`amore e l`amore per il nulla. È un rendersi conto che, come scrive Lonergan,
l’oggettività è il frutto della soggettività autentica7. In questo modo la post-modernità
diventa il luogo per riscoprire il significato autentico del Vangelo.
La dialettica della vita
Tornando alla mia storia, mi sembra che essa possa descrivere bene il bivio della postmodernità. Ero chiamato a essere autentico, ma allo stesso tempo percepivo che potevo
anche dire di no.
È stato proprio lì il grande discrimine della mia vita. Al di là del cosiddetto metodo
scientifico (che è un metodo del tutto parziale, nel senso che come metodo non può
giustificare né spiegare se stesso), c’e già una legge d’esperienza dentro ciascuno di noi
che viene espressa dalle parole di sant’Agostino nel De Civitate Dei: la distinzione tra
amor Dei e amor sui. In fondo, tutte le dicotomie che prima ho descritto si possono
incapsulare con queste parole. La distinzione fatta da Agostino è in certo modo la base di
qualsiasi dialettica che esprime la storia umana.
Ci sono stati altri tentativi, tra i quali, ad esempio, quello di Teilhard de Chardin che
vede tutto attraverso “la legge di complessità-coscienza”, dove da un lato c’è la
“complessificazione” della materia attraverso l’evoluzione e dall’altro l’aumento
5
W. Percy, Lost in the Cosmos, Farar Strauss & Giroux, New York 1983.
E. Voegelin, The New science of Politics, UC press, Chicago 1952, p. 139.
7
B. Lonergan, Method in Theology, Darton, Longmans & Todd, London 1972, p. 292.
6
dell’entropia che porta verso la distruzione. Teilhard, però, non riesce a illuminare la
dicotomia esistente tra la conoscenza positiva del dato e il mistero della trascendenza del
cosmo.8
Altri, come Auguste Comte, il fondatore del positivismo, hanno pensato di poter stabilire
un nuovo ordine in cui il governatore del mondo non sarebbe stato il re filosofo di
Platone (che ha il suo simbolo in Socrate che ha dato la vita per la verità), ma l’ uomo
della scienza espressione della modernità. Comte sapeva che sant’Agostino aveva
completato la visione di Platone con la fede cristiana dove l’edificazione della Civitas
Dei chiede l’amor Dei per portare la pace; ma non poteva ammettere che senza amor Dei
rimane solo l’amor sui. Perciò – come ha notato Voeglin – ha inventato la parola
“altruismo” per sostituire l’amor Dei di Agostino, pensando che così si sarebbe potuto
stabilita una nuova società fondata sull’ordine e sul progresso mediato dall’amore altrui.
La frase comtiana su “l’ordine e il progresso” si trova nella bandiera del Brasile: ma
l’ordine e il progresso previsto da Comte non ha portato ordine e progresso in Brasile,
bensì piuttosto l’ingiustizia sociale. In più, questo ordine e progresso che sottolineano lo
sviluppo scientifico non solo ha ispirato il darwinismo sociale di Herbert Spencer, ma ci
ha portato ai totalitarismi del XX secolo. Hitler, Marx ed Engels hanno abbracciato
l’evoluzionismo di Darwin.9
No! La via non è l’altruismo. È l’amor Dei, che opera nell’ anima anche se uno non
crede. La grazia è dono gratuito da Dio, anche se non ce ne rendiamo conto. Perciò,
l’altruismo autentico è espressione dell’amor Dei, altrimenti è espressione dell’amor sui.
Mentre Comte ha provato a spiegare l’ordine della società con principi naturali, K. Marx
ha sottolineato il conflitto come una legge naturale che può essere superata. Certo, per
uno che viene dalla tradizione ebraico-cristiana, il conflitto dell’ uomo con Dio, con
8
In altre parole, se la dialettica tra l`entropia – che e` una specie di energia spenta -- e l`antientropia -- che
invece e` un energia vitale -- viene considerata solo come un fenomeno naturale, questa dialettica non
lascia spazio al mistero trascendente che ci porta verso “i nuovi cieli e la nuova terra.” Inoltre, se “la
stoffa dell’universo” è solo un’espressione della selezione naturale mediata dalle interazioni energetiche
delle particelle e dalla legge emergente, questo vuol dire che il male non esiste: nel senso che il male è
solo il risultato di un processo che non è riuscito a raggiungere il suo fine. La morte, per esempio, diventa
la mancanza della immortalità. Invece, se l’uomo è la finalità della creazione fatta ad immagine di Dio
dobbiamo ammettere, a causa della libertà, che la vera dialettica che guida la storia è quella intuita da
sant’Agostino trascende la selezione naturale.
9
Nietzsche comprese lucidamente che il darwinismo sociale di Spencer non portava alla riconciliazione
fra “l’egoismo e l’altruismo.” Infatti, per Nietzsche, la selezione naturale era un'altra espressione
dell’Übermensch della “la volontà di potenza.” Cf Nietzsche, The Gay Science, nel libro C. Guignon e
Derek P ereboom, Existenalism basic writings, Hackett Publ., 2001, p 156-157, 165-166.
l’altro uomo, con il cosmo – dalla Genesi fino ad oggi – non può essere spiegato solo
come un fenomeno naturale, ma riflette il fatto che Dio ci ha creati a sua immagine e
somiglianza e ci ha creati dotati di libertà. Il problema del male non può essere spiegato
con la sola legge della selezione naturale, perché se fosse così non ci sarebbe bisogno
della incarnazione di Gesù Cristo, la quale – con le parole di Karl Rahner –è
“l’autocomunicazione di Dio” a noi che corrisponde “alla natura dell’uomo, il cui essere
è un essere-presso-se-stesso” (FCF, IV, 2, p163). Ma “l’autocomunicazione di Dio”
trascende lo sviluppo evolutivo e la selezione naturale, e chiede di passare “dal Big Bang
al Big Mystery”10 che siamo noi.
Si apre così un approccio alternativo all’interpretazione della storia del cosmo e della
storia umana. Dio, collaborando con la selezione naturale che in fondo ha iniziato Egli
stesso con l’ evento del Big-Bang, ha creato un secondo Big-Bang che siamo noi: fatti a
sua immagine e somiglianza, e colla nostra collaborazione ha creato un altro Big-Bang
che è la Chiesa in quanto essa è – con le parole di Piero Coda – “il Gesù pasquale, e cioé
il Figlio di Dio fatto uomo e diventato in noi Chiesa, primizia dell'umanità nuova.”
La creazione è un evento unico, che Dio ha fatto tutto in un atto solo. Noi lo percepiamo
come una Teodrammatica (per usare una parola di Hans Urs von Balthasar) fatta da tanti
eventi che si svolgono nello spazio-tempo e nella storia. La creazione della materia con
le sue leggi intrinseche, seguita da un’ altra creazione che siamo noi e da un’altra ancora
che è la Chiesa, rappresentano un unico evento ricapitolato nel Verbo incarnato,
crocifisso e risorto, la pienezza di Colui che riempie l’universo in ogni sua parte.
Citando ancora Piero Coda, “si può intravedere, in questa prospettiva, come la
grammatica della relazione trinitaria tra il Padre, il Figlo/Lògos e lo Spirito Santo possa
offrire un contributo d’illuminazione sapienziale alla comprensione scientifica della
genesi e della struttura dinamica di tutta la realtà creata.”11
Tutti e tre questi momenti possono essere caratterizzati da tre dialettiche: entropiacomplessificazione, amor sui e amor dei, amor sui e amor alteri, le quali in fondo, colla
creazione della persona umana, coincidono nell’ attimo presente della storia. Cristo è il
mediatore fra Dio e gli uomini, e gli uomini (in Maria, simbolicamente rappresentata
dalla Apocalisse come la Donna vestita di Sole) sono i mediatori fra Cristo e la natura.
Senza questa mediazione la natura si ribella. “Guarda come il vento e il mare gli
10
B. Purcell, From Big Bang to Big Mystery, Veritas, Dublin 2011.
P. Coda, Sulla logica trinitaria della verità, nel libro di A. Trpiano (ed.), Metafisica come orizzante, Il
Pozzo di Giacobbe, 2014, p. 130.
11
obbediscono ” – esclamano i discepoli vedendo Gesù che comanda alla tempesta. San
Tommaso Aquino ci ricorda che «la grazia presuppone la natura e la porta a
compimento» (cfr. S.Th., I, q. 2, a. 2). L’unità del cosmo viene da sopra, non da sotto.
Un metodo trinitario
La nostra storia, a causa del peccato, purtroppo è fatta di ribellioni.
Ma deve essere solo così? Nella Trinità non c’è il conflitto ma l’amore scambievole.
Tanto che si può dire che nella Trinità non opera una dialettica di conflitto ma
qualcos’altro che voglio chiamare “metodo trinitario”. Il Padre e il Figlio come persone
distinte sono due principi diversi e in tensione, ma non sono mai in conflitto. C’è solo
l’amore che procede da loro, lo Spirito Santo. Anche nella storia umana non tutto e non
sempre è conflitto. La tradizione della Chiesa, che pure è Chiesa di peccatori , ha anche
messo in luce grandi santi e una vita comunitaria armoniosa, anche con il cosmo: basti
pensare a San Francesco d’Assisi.
Alla base di questa esperienza c’è la conversione religiosa in due direzioni: Dio e il
fratello. Lonergan dice che la conversione “è un innamorarsi in maniera ultramondana”12 e che “la fede è la conoscenza dall’amore religioso,”13il sapere che nasce
dall’amore di Dio.
Nel contesto dell’ Istituto Universitario Sophia questa conversione della vita e
dell’intelligenza si concretizza in una forte spinta versa quell’unità per la quale Gesù ha
pregato il Padre nel cap. 17 del vangelo di Giovanni. Ciò si può realizzare prendendo
spunto dall’osservazione di Lonergan14 ma con una specifica intensificazione per
esprimere la realtà di Sophia. Sarebbe bello se potessimo dire che: come la propria autotrascendenza fa sì che uno sia in grado di riconoscere e amare gli altri, così, viceversa,
l’amore e l'apprezzamento degli altri per noi ci conduce a conoscere ed amare noi stessi
e ad ampliare e raffinare la nostra apprensione dei valori. Questa è la nostra sfida.
Quando una persona prova veramente ad amare il prossimo come se stesso come esige il
Vangelo, in quel momento almeno non c’è più opposizione e conflitto ma piuttosto un
rapporto dinamico d’amore. Quando quest’amore diventa scambievole si realizza l’unità
per mezzo della grazia che è presenza di Dio in Cristo tra noi, e contemporaneamente le
due persone si distinguono come due soggetti dinamici e diversi che non sono in
12
B. Lonergan, Metodo in Teologia, Città Nuova, Roma, p. 271.
Ibid., p. 148.
14
Ibid., pp. 283-284.
13
conflitto. È questa la dialettica trinitaria. Per operare secondo questo metodo è necessaria
la conversione come punto di partenza in tutte e due le persone.
Le componenti di questa nuova realtà sono dunque:
(1) Due direzioni del proprio cammino: Dio e il prossimo.
(2) La soggettività autentica che raggiunge l’oggettività e che si manifesta sul piano
spirituale come un “castello interiore” e sul piano epistemologico come amore
puro del conoscere.
(3) L’intersoggettività autentica che raggiunge l’oggettività più piena e arricchita e
che si manifesta sul piano spirituale come un “castello esteriore” (come descritto
da Chiara Lubich) e sul piano epistemologico come esercizio del “pensare
insieme”.
(4) In definitiva, un metodo trinitario invece della dialettica del conflitto.15
***
Per concludere. Non dobbiamo essere “naïf” quando parliamo di dialettica trinitaria. È
una prassi (di vita e di pensiero) che si realizza quando si ama. La si realizza solo se ci
disponiamo a essere con-creatori con Dio per mezzo della lex Crucis16, così la chiama
Lonergan, o “l’amore per Gesù Abbandonato” come lo chiama Chiara Lubich.
Nell’evento pasquale, la redenzione è già compiuta come atto escatalogico e
trascendente. Come atto storico la legge della croce si compie attraverso di noi nella
teodrammatica della storia. Per vivere il rapporto trinitario con l’altro, la legge della
croce chiede la kenosi sia nei confronti di Dio sia nei confronti del fratello. È
un’esperienza non facile e non permanente in questa vita, ma qualcosa si può
sperimentare quando la conversione si realizza nella pienezza della libertà. Ricordiamo
le parola di sant’Agostino: “ama e fai ciò che vuoi.”
15
Come conseguenza di questo metodo:
- sul piano cosmologico, per mezzo della nostra unione con Dio e fra di noi, diventiamo i mediatori
della creazione;
- sul piano antropologico per mezzo della inter-soggività, ogni persona si esprime nel “noi”, così
diventando più integrata e completa in se stessa;
- sul piano teologico, si può dire che la dialettica trinitaria si manifesta in una chiesa vivente e
dinamica caratterizzata dall’unità, così fornendo quel modello trascendentale della Trinità
ricercato da sant Agostino nel capitolo XV nel suo De Trinitate. Cf. N. Ormerod, The Trinity,
reviewing the Western Tradition, Marquette, 2006, p. 76.
16
B. Lonergan, De Verbo Incarnato, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1964, pp. 568-586.
Certo, guardando al nostro mondo si potrebbe pensare che questa è un’utopia, anzi si
può ritenere che il mondo non solo non possa migliorare, ma che vada irreparabilmente
verso la rovina. Ma la grazia di Dio può sempre operare e “dove è abbondato il peccato,
è sovrabbondata la grazia” (Rm 5,20). Dobbiamo dunque sognare e lavorare per quella
civiltà dell’amore preconizzata dal Beato Papa Paolo VI. Chi siamo noi per limitare la
grazia di Dio? Dice Agostino: “Dio ha giudicato che fosse meglio trarre il bene dal male,
piuttosto che non ci fosse nessun male”17.
In fondo. Dio è il protagonista del dramma universale e noi i coagonisti con la libertà
d’interpretare i nostri ruoli. Non saranno i profeti gnostici che cambieranno la storia ma
Dio in noi e con noi attraverso Gesù Abbandonato. Diceva Piero Pasolini:18
“Voi sapete, anche filosoficamente, che noi con Dio non facciamo due cose, non siamo
una somma, non si può dire che io e Dio siamo due, perché allora o ci sono io o c’è Lui.
(…) La dialettica la risolve solo Gesù Abbandonato.”
È questa la sfida della dialettica trinitaria che attraverso Gesù Abbandonato si realizza
come una dialettica della kenosi reciproca. Non si può semplicemente applicarla da soli.
Significa la kenosì di me con Dio e col fratello, e vice-versa. È il mistero della creazione
secondo cui «salva la sua vita che la perde e chi perde la vita la salva». L’universo esiste
perché è il cammino da un non-essere all’essere, e cioè all’amore, che comincia a
realizzarsi ogni volta che ci poniamo la domanda: “chi sono io?”.
17
Agostino, Enchiridion II, (Pl, 40, 245).
La frase intera sarebbe: “Voi sapete, anche filosoficamente, che noi con Dio non facciamo due cose, non
siamo una somma, non si può dire che io e Dio siamo due, perché allora o ci sono io o c’è lui. E come si
risolve questa dialettica? Non si esiste contemporaneamente io e Dio. O ci sono io e allora non c’è lui, o
c‘è lui e allora non ci sono io. La dialettica la risolve Gesù Abbandonato.”
18