Analisi microtomografica del tessuto osseo trabecolare

ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Analisi microtomografica del tessuto osseo trabecolare:
influenza della soglia di binarizzazione
sul calcolo dei parametri istomorfometrici
Rossella Bedini (a), Franco Marinozzi (b), Raffella Pecci (a), Livia Angeloni (b),
Francesca Zuppante (a), Fabiano Bini (b), Andrea Marinozzi (c)
(a) Dipartimento di Tecnologie e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma
(b) Dipartimento di Meccanica e Aeronautica, Facoltà di Ingegneria,
Sapienza Università di Roma
(c) Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico di Roma
ISSN 1123-3117
Rapporti ISTISAN
10/15
Istituto Superiore di Sanità
Analisi microtomografica del tessuto osseo trabecolare: influenza della soglia di binarizzazione sul calcolo dei
parametri istomorfometrici.
Rossella Bedini, Franco Marinozzi, Raffella Pecci, Livia Angeloni, Francesca Zuppante, Fabiano Bini, Andrea Marinozzi
2010, 49 p. Rapporti ISTISAN 10/15
Nel presente studio sono state esaminate le immagini provenienti dalla scansione con microtomografia
tridimensionale computerizzata di quattro campioni di tessuto osseo spugnoso. È stata analizzata l’influenza del
valore di soglia assegnato per la binarizzazione delle immagini sui risultanti valori dei parametri istomorfometrici. Da
tale analisi è stata riscontrata un’elevata dipendenza dei parametri istomorfometrici rispetto alla scelta del valore di
soglia. Sono stati elaborati e analizzati gli istogrammi dei livelli di grigio estraibili dalle matrici numeriche delle
porzioni significative delle immagini e sono state individuate alcune loro significative caratteristiche. Viene
presentata una modellizzazione matematica dell’andamento degli istogrammi dell’area dei campioni di tessuto osseo
spugnoso. Sulla base di tale modellizzazione sono stati delineati tre criteri per la determinazione dei valori di soglia
basandosi sugli elementi quantitativi estraibili dall’andamento degli istogrammi stessi. Sono stati calcolati i relativi
valori per i quattro campioni esaminati.
Parole chiave: Microtomografia, Tessuto osseo spugnoso, Parametri istomorfometrici, Binarizzazione, Livelli di grigio
Istituto Superiore di Sanità
Microtomographic analysis of trabecular bone tissue: binarization level influence on histomorphometric
parameter computing.
Rossella Bedini, Franco Marinozzi, Raffella Pecci, Livia Angeloni, Francesca Zuppante, Fabiano Bini, Andrea Marinozzi.
2010, 49 p. Rapporti ISTISAN 10/15 (in Italian)
The aim of this study is the examination of 3D microthomographical images of four spongy bony tissue samples.
Particular attention is paid on the influence of threshold’s value, assigned for the binarization of the images, on the
resulting values of histomorphometric parameters. From such analysis has been found an elevated dependence of the
histomorphometric parameters in comparison to the choice of threshold’s value. Histograms of grey’s level, obtained
from numerical matrixes of images’ significant shares, have been elaborated and analyzed and some of them
significant characteristics has been identified. A mathematical modelling of the histograms of sample areas has been
introduced. Based on this modelling, three methods have been chosen to determine the values of thresholds, founded
on the quantitative elements obtained by the histograms themselves. Finally, the respective values for the four
examined samples have been calculated.
Key words: Microtomography, Spongy bone tissue, Histomorphometric parameters, Binarization, Grey levels
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Il rapporto è accessibile online dal sito di questo Istituto: www.iss.it.
Citare questo documento come segue:
Bedini R, Marinozzi F, Pecci R, Angeloni L, Zuppante F, Bini F, Marinozzi A. Analisi microtomografica del tessuto osseo
trabecolare: influenza della soglia di binarizzazione sul calcolo dei parametri istomorfometrici. Roma: Istituto Superiore di
Sanità; 2010. (Rapporti ISTISAN 10/15).
Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e Direttore responsabile: Enrico Garaci
Registro della Stampa - Tribunale di Roma n. 131/88 del 1° marzo 1988
Redazione: Paola De Castro, Sara Modigliani e Sandra Salinetti
La responsabilità dei dati scientifici e tecnici è dei singoli autori.
© Istituto Superiore di Sanità 2010
Rapporti ISTISAN 03/xxxx
INDICE
Introduzione........................................................................................................................................
1
1.
Nozioni generali sul tessuto osseo umano ..................................................................
1.1. Organizzazione strutturale dell’osso .........................................................................................
1.1.1. Primo livello strutturale ..................................................................................................
1.1.2. Secondo livello strutturale ..............................................................................................
1.1.3. Terzo livello strutturale...................................................................................................
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4
2.
Caratteristiche meccaniche del tessuto osseo .........................................................
2.1. Caratteristiche meccaniche del tessuto osseo compatto ............................................................
2.1.1. Principali test meccanici utilizzati ..................................................................................
2.2. Caratteristiche meccaniche del tessuto osseo spugnoso............................................................
2.2.1. Principali test meccanici .................................................................................................
2.2.2. Limiti dei test meccanici per l’osso spugnoso ................................................................
2.2.3. Principali tecniche utilizzate per l’acquisizione di immagini..........................................
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12
13
3.
Materiali e metodi ....................................................................................................................
3.1. Misura dei parametri istomorfometrici del tessuto osseo spugnoso.........................................
3.1.1. Campioni di tessuto osseo spugnoso...............................................................................
3.1.2. Acquisizione delle immagini ..........................................................................................
3.1.3. Ricostruzione dell’immagine ..........................................................................................
3.1.4. Scelta della soglia di binarizzazione e elaborazione delle superfici del solido ...............
3.1.5. Calcolo dei parametri istomorfometrici ..........................................................................
3.2. Scelta del valore di soglia di binarizzazione .............................................................................
3.2.1. Sensibilità dei parametri istomorfometrici alle variazioni del valore di soglia ...............
3.2.2. Osservazioni....................................................................................................................
3.3. Metodi per la determinazione della soglia ................................................................................
3.4. Analisi delle immagini..............................................................................................................
3.4.1. Caratteristiche delle immagini ........................................................................................
3.4.2. Istogrammi dei livelli di grigio e loro caratteristiche ......................................................
3.4.3. Scelta dei valori di soglia ................................................................................................
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15
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37
4.
Risultati dell’analisi dei campioni ..................................................................................... 44
4.1. Valori delle soglie di binarizzazione......................................................................................... 44
4.2. Osservazioni sui valori della mediana della distribuzione dei pieni ......................................... 45
Conclusioni ......................................................................................................................................... 46
Bibliografia .......................................................................................................................................... 48
Rapporti ISTISAN 10/15
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni gli studi sulla caratterizzazione morfologica e dell’architettura del tessuto
osseo spugnoso hanno assunto particolare importanza in relazione all’utilità della
individuazione delle relazioni intercorrenti tra i parametri caratterizzanti tale tipo di tessuto e le
sue prestazioni meccaniche complessive.
La crescente importanza di tali ricerche deriva dalla larga diffusione di patologie, quali ad
esempio l’osteoporosi, alle quali sono associate alterazioni della struttura e composizione del
tessuto osseo, con conseguenti modifiche della funzionalità e delle prestazioni meccaniche dello
scheletro nel suo complesso (fragilità delle ossa - elevati rischi di fratture).
Anche a fini diagnostici, risulta quindi di grande interesse la messa a punto di metodologie
capaci di fornire valutazioni accurate dei parametri istomorfometrici del tessuto osseo.
Il presente studio riguarda un approfondimento delle caratteristiche del procedimento di
quantificazione dell’architettura dell’osso spugnoso mediante l’analisi di immagini di campioni
ottenute tramite microtomografia computerizzata ai fini dell’elaborazione dei parametri
istomorfometrici.
Lo studio, nello specifico, affronta il problema della determinazione ottimale delle soglie di
binarizzazione delle immagini sulla cui base vengono eseguite, dagli appositi software, le
elaborazioni dei parametri istomorfometrici.
Sulla base di un modello matematico dell’istogramma dei livelli di grigio estratti dalla
porzione significativa delle immagini delle sezioni dei campioni di tessuto osseo, vengono
proposti criteri per la determinazione del valore della soglia di binarizzazione da utilizzare in
relazione alla finalità delle successive elaborazioni.
Vengono riportati i principali risultati dell’analisi degli istogrammi dei livelli di grigio e
della determinazione dei valori di soglia effettuata mediante i criteri proposti.
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Rapporti ISTISAN 10/15
1. NOZIONI GENERALI SUL TESSUTO OSSEO UMANO
Il tessuto osseo è una forma specializzata di tessuto connettivo. I tessuti connettivi, così
denominati per la loro funzione di connettere, strutturalmente e funzionalmente, altri tessuti tra
di loro nella formazione di organi, comprendono tessuti diversi accomunati dalla organizzazione
strutturale e dalla origine mesenchimale, proprietà, queste ultime, fortemente caratterizzanti il
tessuto osseo. Differentemente rispetto ad altri tessuti, nei connettivi le cellule sono separate tra
loro da un’abbondante sostanza o matrice intercellulare, generalmente costituita di una
componente fibrosa e di una sostanza amorfa. Ciò che contraddistingue il tessuto osseo dal
tessuto connettivo propriamente detto è la mineralizzazione della matrice extracellulare che
conferisce al tessuto notevole durezza e resistenza.
Il tessuto osseo è dunque costituito da cellule e dalla matrice intracellulare, nella quale si
distinguono una matrice organica e una matrice inorganica. La matrice organica è composta da
fibre collagene (le principali responsabili delle caratteristiche elastiche del tessuto) e da una
sostanza amorfa, nella cui costituzione entrano glicoproteine non collageniche e proteoglicani.
La matrice inorganica (la principale responsabile della durezza del tessuto) è invece costituita
principalmente da fosfato e carbonato di calcio e rappresenta circa il 65% del peso secco
dell’osso.
Nonostante tali caratteristiche, l’osso nel suo complesso è leggero; ciò è dovuto alla sua
organizzazione strutturale caratterizzata dalla compresenza di tessuto osseo compatto,
localizzato generalmente nella parte esterna delle ossa, e costituito da materiale solido, e tessuto
osseo spugnoso, localizzato internamente e costituito da una moltitudine di fibre di supporto
simili a travi, dette trabecole, delimitanti le cavità che ospitano il midollo osseo. Tale
straordinaria organizzazione interna conferisce alle ossa la proprietà di massima resistenza
associata al minimo peso; ciò rappresenta uno degli attributi più importanti del tessuto, che lo
rende adatto al sostegno del corpo e alla protezione dei visceri, ma anche al movimento.
Il tessuto osseo inoltre non è un tessuto statico ma è un tessuto vivo, continuamente
rinnovato e rimodellato al fine di assolvere alle sue funzioni meccaniche e al compito di
regolazione della concentrazione di calcio nel plasma (omeostasi ciclica).
1.1. Organizzazione strutturale dell’osso
Il tessuto osseo viene generalmente classificato in due diverse tipologie: il tessuto osseo
spugnoso e il tessuto osseo compatto (1).
Le proprietà del tessuto osseo, compatto e spugnoso, sono strettamente connesse con la sua
conformazione, caratterizzata, come la maggior parte dei tessuti biologici, da una struttura
molto complessa, di tipo gerarchico; il tessuto osseo risulta infatti costituito da varie differenti
strutture che coesistono su diversi livelli di scala: primo livello strutturale generalmente indicato
come macroscopico; secondo livello strutturale cosiddetto microscopico; terzo livello strutturale
detto sub-microscopico.
Le maggiori differenze a livello strutturale tra tessuto compatto e tessuto spugnoso sono
osservabili principalmente al primo livello strutturale, dove troviamo, nel tessuto osseo
compatto, una organizzazione osteonica, differente dall’organizzazione trabecolare presente nel
tessuto spugnoso, e al secondo livello strutturale, dove troviamo una diversa organizzazione
lamellare; i due tessuti risultano invece perfettamente identici per quanto riguarda il terzo livello
strutturale.
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L’osso spugnoso ha un aspetto alveolare e il suo primo livello strutturale è costituito da
sottili trabecole o spicole, formate da lamelle addensate, che si ramificano e anastomizzano in
una rete tridimensionale, nelle cui maglie è accolto il midollo osseo. Tale tipo di struttura è
caratterizzata da una porosità compresa tra il 50% e il 90%.
L’osso compatto appare invece, all’esame macroscopico, come una solida massa eburnea,
organizzata, a livello microscopico, in cilindri di osso consolidato attorno ad un vaso ematico
(osteoni). Rispetto all’osso spugnoso è caratterizzato da una maggiore densità, e pertanto una
minore porosità, compresa tra il 5 e il 10%.
Con poche eccezioni, le forme compatta e spugnosa sono presenti in tutte le ossa, con
quantità e distribuzioni diverse a seconda del tipo di osso. Ad esempio, nelle ossa lunghe, come
il femore o l’omero, la diafisi appare come un cilindro cavo la cui parete è formata
principalmente da osso compatto, che circoscrive un’ampia cavità midollare centrale
longitudinale contenente midollo osseo; soltanto lo strato più interno che delimita direttamente
la cavità midollare è formato da osso spugnoso. Al contrario, le epifisi delle ossa lunghe e la
maggior parte delle ossa corte sono formate da osso spugnoso ricoperto da un sottile strato
periferico di osso compatto. Diversamente sono invece formate le ossa piatte del cranio,
costituite da due strati di osso compatto, denominati tavolati (esterno e interno), che
racchiudono uno strato interno di osso spugnoso denominato diploe.
1.1.1. Primo livello strutturale
Al primo livello della organizzazione strutturale dell’osso corticale è possibile riconoscere
una struttura estremamente regolare e ordinata; esso è infatti costituito da lamelle che si
dispongono in strati paralleli e possono costituire, assieme ai numerosi canali vascolari, tre tipi
di strutture: osteoni, sistemi interstiziali e sistemi circonferenziali
Gli osteoni sono costituiti da un canale vascolare (canale di Havers), disposto centralmente e
orientato parallelamente all’asse maggiore dell’osso, e da una serie di lamelle (da 8 a 20)
disposte concentricamente attorno al canale formando con questo una struttura grossolanamente
cilindrica.
I sistemi interstiziali sono invece costituiti da gruppi di lamelle parallele disposti molto
irregolarmente; essi occupano gli spazi interposti tra gli osteoni, si formano nel corso del
rimodellamento osseo e sono dei residui di osteoni riassorbiti.
I sistemi circonferenziali (esterno e interno) si trovano invece sulla superficie esterna
dell’osso, al di sotto del periostio (sottile lamina connettivale fibro-elastica che riveste la
superficie esterna delle ossa), e sulla superficie interna, al di sotto dell’endostio (sottile strato di
cellule pavimentose che riveste le cavità interne delle ossa); sono costituiti da vari strati di
lamelle disposti circolarmente.
Le diverse strutture che costituiscono l’osso corticale sono tali da permettere che la sostanza
ossea sia attraversata da numerosi canali vascolari, di Havers e di Volkmann, orientati tra loro
perpendicolarmente. Tali canali, connessi tra loro, aprendosi sulle superfici periostale ed
endostale, permettono che piccoli vasi sanguigni e fibre nervose, penetrino, dal periostio e
dall’endostio, sino ai siti più profondi delle ossa, provvedendo così alla nutrizione e
all’innervazione del tessuto.
Al primo livello strutturale del tessuto spugnoso è invece visibile la fitta rete tridimensionale
formata dalle trabecole variamente orientate tra loro, delimitanti le cavità che contengono il
midollo. Si distinguono quindi, a questo livello, due distinti componenti del tessuto: il tessuto
osseo (trabecole) e il midollo osseo.
Il midollo osseo è il principale organo emopoietico del corpo umano; esso viene anche
designato come tessuto mieloide e provvede alla produzione delle cellule del sangue.
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Le trabecole sono costituite da strati di lamelle parallele; al loro interno mancano i sistemi
Haversiani in quanto la nutrizione avviene per diffusione attraverso la rete di canalicoli che si
aprono direttamente nelle cavità midollari. La distribuzione spaziale delle trabecole risulta
fortemente dipendente dalle sollecitazioni; grazie ai continui processi di rimodellamento infatti
le trabecole si dispongono lungo le linee di carico. Si ritrova dunque una forte variabilità della
disposizione di tali fibre di supporto a seconda del carico che esse devono sopportare, dunque a
seconda del sito anatomico, dell’età, del peso e dell’attività del soggetto.
1.1.2. Secondo livello strutturale
Al secondo livello strutturale gli osteoni del tessuto compatto e le lamelle del tessuto
spugnoso risultano caratterizzate dagli stessi costituenti: lamelle, lacune ossee, canalicoli.
Tuttavia i due tessuti si differenziano per le dimensioni e la disposizione dei suoi componenti.
Il tessuto osseo compatto, le cui unità strutturali appaiono costituite di lamelle aggregate in
strati paralleli e disposte in vario modo, come precedentemente accennato, a seconda della
struttura di primo livello che esse vanno a formare. Ciascuna lamella è costituita da cellule e da
sostanza intercellulare.
Le cellule ossee (o osteociti) sono accolte in cavità a forma di lente biconvessa, scavate nella
matrice calcificata, denominate lacune ossee, il cui diametro massimo è generalmente compreso
tra i 10 e i 20 μm. Dalle lacune si irradiano ad angolo retto, in tutte le direzioni, canalicoli ossei
ramificati, che si connettono con i canali di Havers e di Volkmann contenenti i vasi sanguigni.
Si forma così un sistema continuo di cavità scavate nell’osso, che consentono scambi metabolici
e gassosi tra gli osteociti e il sangue, che scorre nei vasi contenuti nei canali di Havers e di
Volkmann. Tale sistema di canalicoli intercomunicanti è reso indispensabile dalla presenza della
matrice mineralizzata che tende a impedire la diffusione di sostanze nutritive e metaboliti.
Le lamelle dell’ osso spugnoso hanno approssimativamente lo stesso spessore di quelle del
corticale: circa 3 mm ma la loro disposizione è del tutto differente in quanto esse non si
dispongono concentricamente a formare i sistemi Haversiani bensì risultano sempre disposte
longitudinalmente lungo la trabecola.
Inoltre l’area della sezione trasversale delle lacune risulta essere decisamente superiore a
quella delle lacune caratteristiche del tessuto corticale.
1.1.3. Terzo livello strutturale
Le lamelle dell’osso compatto e dell’osso spugnoso, a livello submicroscopico, sono
costituite dagli stessi i elementi: cellule e una matrice intracellulare, nella quale si distingue una
componente organica e una componente inorganica.
– Matrice organica
è costituita di fibre collagene (collagene di tipo I) immerse in una matrice amorfa
contenente glicoproteine non collageniche e proteoglicani.
Le fibre collagene sono flessibili, ma poco estensibili e offrono una grande resistenza alla
trazione; responsabile di tale comportamento meccanico è la particolare struttura che le
caratterizza.
Esse appaiono come filamenti molto lunghi che si sviluppano in una o più direzioni con
andamento spesso ondulato, presentano uno spessore compreso tra 1 e 12μm, e sono
costituite da fibrille più sottili (0,2-0,3 μm di spessore) disposte parallelamente e tenute
insieme dalla sostanza amorfa. Le fini fibrille sono a loro volta composte da microfibrille
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dello spessore di 20-100 nm che, secondo recenti studi di microscopia elettronica
appaiono distribuite a feltro intrecciandosi in tutte le direzioni nello spazio.
La matrice organica dell’osso, oltre al collagene, che ne rappresenta circa il 90% della
composizione, contiene altre glicoproteine, quali l’osteocalcina, l’osteonectina, BMP, e le
proteine di adesione (fibronectina, trombospondina, osteopontina, sialoproteina ossea).
– Matrice inorganica (o minerale)
ha composizione molto simile all’idrossiapatite. Studi di diffrazione con raggi X hanno
infatti mostrato che i minerali sono principalmente presenti come cristalli
submicroscopici di una varietà di apatite simile all’idrossiapatite (Ca10, (PO4)6(OH)2).
Il tessuto ha origine mesenchimale. Nella normale formazione dell’osso. le cellule
mesenchimali si differenziano in cellule osteoprogenitrici che proliferano attivamente e si
trasformano in osteoblasti; gli osteoblasti, dopo aver deposto la sostanza ossea si
trasformano a loro volta in osteociti. Al termine dei processi osteoformativi nel periostio
e nell’endostio permangono cellule di origine mesenchimale con potenzialità
osteogenche, le quali possono differenziarsi in osteoblasti in risposta ad appropriati
stimoli, ad esempio in caso di fratture o di particolari condizioni patologiche (come
l’ossificazione metaplastica).
In letteratura le cellule del tessuto osseo vengono generalmente distinte nei seguenti tipi:
cellule osteoprogenitrici o preosteoblasti, osteoblasti, osteociti e osteoclasti.
– Cellule osteoprogenitrici (o preosteoblasti)
sono caratterizzate da una forma fusata o leggermente appiattita, e citoplasma
generalmente acidofilo (o leggermente basofilo). Si riscontrano sulla superficie delle
trabecole ossee in via di ossificazione e nel tessuto connettivo delle cavità midollari
dell’osso; formano uno strato continuo (strato preosteoblastico) sulla superficie interna
del periostio e nell’endostio; rivestono i canali di Havers e di Volkmann. Esse hanno
carattere di cellule staminali, pertanto durante l’accrescimento dell’osso proliferano
attivamente e si trasformano nelle cellule osteogeniche (osteoblasti).
– Osteoblasti
sono cellule cuboidali, basofile, localizzate in corrispondenza delle superfici in via di
espansione delle ossa e nello strato osteogenico del periostio e dell’endostio durante tutto
il periodo di morfogenesi dell’osso. Essi partecipano direttamente alla formazione del
tessuto osseo, secernendo i componenti organici della matrice e regolando la deposizione
dei sali minerali.
– Osteociti
sono le cellule principali dell’osso maturo. Sono essenzialmente osteoblasti che, dopo
aver elaborato sostanza ossea, rimangono intrappolati nella matrice calcificata, all’interno
delle lacune ossee (cavità di forma lenticolare scavate nelle lamelle). Rappresentano
dunque uno stadio di quiescenza formativa dell’osteoblasto. Il corpo dell’osteocito ha
forma appiattita, dovendosi esso adattare alla forma lenticolare della cavità che lo ospita
(lacune ossee), ed è provvisto di numerosi e sottili prolungamenti alloggiati nei canalicoli
ossei. Si distinguono dagli osteoblasti, oltre che per la presenza di tali numerosi e lunghi
prolungamenti (che negli osteoblasti risultano scarsi e corti) e per la forma appiattita,
anche per la minore basofilia del citoplasma. Essendo circondati da una matrice
calcificata gli osteociti sono incapaci di dividersi, cosicché l’accrescimento dell’osso
dopo la deposizione dei sali minerali può avvenire solo per apposizione, e non possono
essere nutriti per diffusione bensì essi ricevono materiale nutritivo tramite la rete di canali
scavata nella matrice minerale.
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– Osteoclasti
Sono cellule giganti polinuclete, aventi diametro mediamente di 100μm e contenenti
alcune decine di nuclei. Sono le cellule adibite al riassorbimento osseo. Appaiono spesso
accolte in fosse voxel tte scavate sulla superficie delle trabecole ossee, definite “fossette”
o “lacune di Howship” che si formano per l’azione erosiva degli osteoclasti stessi. La
superficie degli osteoclasti attivi adiacente all’osso in riassorbimento presenta un
caratteristico “orletto striato”, detto ruffled border, che, al microscopio elettronico, risulta
costituito da esili prolungamenti citoplasmatici molto irregolari. Il meccanismo mediante
il quale gli osteoclasti erodono e riassorbono l’osso è complesso e comporta
essenzialmente una sequenza di tre eventi. L’evento iniziale del riassorbimento è
l’adesione dell’osteoclasto alla matrice bersaglio, attraverso particolari ricettori.
L’adesione è rapidamente seguita dalla comparsa, nella zona periferica del sincizio, di un
anello circolare di stretto contatto con la matrice, in cui sono presenti delle strutture
puntiformi di adesione cellulare, ricche di actina, i “podosomi”. Questi probabilmente
svolgono la duplice funzione di isolare il microambiente posto ventralmente
all’osteoclasto, in cui si svolgerà l’azione erosiva, e di fungere da struttura di trasmissione
di segnali extracellulari che avviano il processo di riassorbimento. Il riassorbimento della
matrice ha poi inizio con l’acidificazione dello spazio extracellulare delimitato dall’anello
di podosomi; il pH acido che si genera nell’ambiente solubilizza i sali minerali esponendo
così la matrice organica alla degradazione enzimatica. I prodotti della degradazione della
matrice organica vengono endocitati dall’osteoclasto e, mediante un meccanismo di
transcitosi, esocitati dalla superficie opposta della cellula.
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2. CARATTERISTICHE MECCANICHE
DEL TESSUTO OSSEO
Sia il tessuto osseo compatto sia quello spugnoso, dal punto di vista meccanico, sono
classificabili come materiali compositi, i cui costituenti di base risultano essere fibre collagene e
microcristalli di idrossiapatite. Come per tutti i materiali compositi le proprietà meccaniche del
materiale “tessuto osseo” considerato come materiale omogeneo, sono funzione delle
caratteristiche meccaniche dei diversi costituenti nonché della loro disposizione spaziale e
organizzazione strutturale. Ad esempio, la rigidezza di un campione di osso compatto è
funzione dell’architettura e delle proprietà meccaniche di primo livello, cioè della disposizione
spaziale degli osteoni, della rigidezza del singolo osteone, del grado di mineralizzazione degli
osteoni (disposizione spaziale e proprietà meccaniche di terzo livello), ecc…Analogamente la
rigidezza di un campione di osso spugnoso, osservato nella sua interezza, è funzione della sua
organizzazione interna, ovvero della disposizione spaziale delle trabecole, delle proprietà
meccaniche della singola trabecola, e della sua composizione interna.
2.1. Caratteristiche meccaniche del tessuto osseo
compatto
Pur non essendo oggetto di studio in questa sede, vengono qui di seguito riportate alcune
importanti osservazioni di carattere generale circa la caratterizzazione meccanica del tessuto
osseo compatto.
Al livello macroscopico l’osso corticale può essere modellizzato come materiale omogeneo,
e, utilizzando tale modellizzazione, è possibile misurare le sue proprietà meccaniche, ad
esempio il modulo di Young, mediante alcuni test meccanici (descritti in seguito).
Il materiale tuttavia in realtà, se osservato ad un livello microscopico si rivela essere non
omogeneo, ovvero le sue caratteristiche variano a seconda del punto considerato, e anisotropo,
ovvero le sue proprietà variano a seconda della direzione in cui esso viene sollecitato.
La non omogeneità è dovuta al fatto che esso è costituito da unità strutturali non omogenee
che, come sopra accennato, si distribuiscono nella spazio in maniera non uniforme.
L’anisotropia è dovuta all’orientazione degli osteoni. Se tutti gli osteoni fossero disposti
casualmente, come potrebbe apparentemente sembrare, preso un campione di materiale
sufficientemente grande esso risulterebbe isotropo, in quanto, secondo la legge statistica, gli
osteoni si disporrebbero in quantità all’incirca uguali in tutte le direzioni. Questo non è ciò che
in realtà si verifica; è stato infatti osservato che gli osteoni si dispongono maggiormente
secondo una certa direzione piuttosto che in altre, tesi suffragata anche dal fatto che, in generale,
per l’osso corticale, il modulo di Young longitudinale risulta essere decisamente superiore
rispetto a quello trasversale (per un osso lungo 17,4 GPa in direzione longitudinale, 9,6GPa in
direzione trasversale).
Le proprietà meccaniche microscopiche dei singoli osteoni sono state oggetto di numerosi
studi, primo fra tutti quello di Ascenzi e Bonucci, i quali, in base ai diversi risultati ottenuti
dall’osservazione degli osteoni sotto luce polarizzata, hanno individuato tre diversi tipi,
caratterizzati da una diversa disposizione delle lamelle, e ne hanno calcolato il relativo modulo
di Young.
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Rapporti ISTISAN 10/15
Per quanto riguarda il livello strutturale submicroscopico, ovvero l’organizzazione
submicroscopica dell’osso, matrice organica, inorganica e cellule, si può dire che certamente i
costituenti inorganici della matrice sono responsabili di durezza e rigidità, mentre la resistenza a
trazione è assicurata dalla matrice organica e principalmente dalle fibre collagene. Ciò è
dimostrato dal fatto che l’osso decalcificato perde la sua durezza e rigidità, diventando
flessibile, ma conservando tuttavia la resistenza alla trazione, la forma macroscopica e la
struttura microscopica. Quando invece viene eliminata la componente organica mediante
combustione prolungata con libero accesso di aria, che risparmia la componente minerale, l’osso
conserva la forma e le dimensioni originali ma perde la resistenza alla trazione, diventando
fragile come porcellana.
2.1.1. Principali test meccanici utilizzati
Le caratteristiche meccaniche del tessuto osseo corticale possono essere misurate
sottoponendo i campioni ad alcuni test meccanici. Le tecniche sviluppate in questo ambito sono
moltissime (2); le più comuni sono le seguenti:
– Test di trazione
Il test di trazione è il più accurato test di misura delle proprietà meccaniche del tessuto
osseo, in quanto viene applicata una forza assiale, senza indurre momento flettente.
L’unico limite che pone questo tipo di misura riguarda i campioni, i quali devono essere
opportunamente conformati in modo da assicurare la ragionevole costanza della
sollecitazione di trazione nelle sezioni del campione nelle quali si deduce la misura. In
particolare deve essere accuratamente valutato il problema dello stato di sollecitazione
delle estremità del campione fissate alla macchina di prova, nelle quali si verifica uno
stato di sollecitazione complesso dovuto alle perturbazioni introdotte dal sistema di
fissaggio.
La deformazione viene dunque misurata per mezzo di un estensimetro applicato nella
porzione centrale del campione. Noto quindi il carico applicato F, misurata la sezione A
su cui esso è applicato, si calcola lo sforzo
F
A
T=
Misurata la deformazione:
ε=
ΔL
L
si ricava il modulo di Young secondo la relazione:
T
F⋅L
E= =
ε Δl ⋅ A
– Test di compressione
Le prove di compressione devono essere effettuate su campioni cubici, o comunque
caratterizzati da un limitato rapporto lunghezza-larghezza, per evitare i fenomeni di
instabilità (non linearità) dovuti al carico di punta. Rispetto al test di trazione, il test di
compressione offre il vantaggio di rendere possibile la misura anche su campioni
relativamente corti, come le vertebre o porzioni di osso spugnoso, dall’altra introduce
l’inaccuratezza dovuta al fatto che, con tale tipo di campioni, è dappertutto presente il
problema dell’interazione del campione con il sistema di applicazione del carico. Deve
8
Rapporti ISTISAN 10/15
essere in particolare tenuto in conto l’impedimento dell’espansione delle sezioni a
contatto con il piatto di compressione provocato dall’attrito. Il campione sottoposto a
compressione assiale infatti tende a deformarsi e, più precisamente, a espandersi nelle
altre due direzioni secondo il suo coefficiente di Poisson; l’attrito sviluppatosi con il
contatto con il sistema di compressione si oppone a tale espansione andando così a
variare la rigidezza apparente. Ciò significa che il campione in realtà non è sollecitato
solo in direzione assiale (compressione), ma anche in direzione trasversale a causa degli
sforzi di taglio dovuti alle azioni di contatto, i quali logicamente saranno massimi sulle
sezioni di contorno e minimi nella porzione centrale del campione. Al fine di minimizzare
l’errore introdotto da tale interazione, la misura della deformazione viene effettuata in
genere mediante un estensimetro elettrico a resistenza applicato nella regione centrale del
campione.
Noto il carico F e misurata l’area A della sezione su cui esso è applicato, lo sforzo è
ricavato dalla seguente relazione
σ=
F
A
E=
σ
ε
da cui il modulo elastico:
Dove ε rappresenta la deformazione ottenuta per misura diretta mediante estensimetro.
– Test di flessione
Il test di flessione viene utilizzato soprattutto per la misura delle proprietà meccaniche di
campioni con elevato rapporto lunghezza-larghezza, come ad esempio le ossa lunghe, i
quali vengono caricati in flessione. Lo sforzo normale cui è soggetto il campione viene
calcolato secondo la relazione:
σ=
M ⋅c
I
dove σ rappresenta lo sforzo, M il momento flettente applicato al campione, c la distanza
del punto considerato rispetto al centro di massa, I il momento di inerzia.
Il momento flettente può essere applicato in due diversi modi: su tre punti o su quattro punti.
Il primo metodo consiste nell’appoggiare il campione su dei sostegni in due diversi punti
e applicare una forza normale in corrispondenza della sezione centrale del campione.
Questo modo di applicazione del carico ha certamente il vantaggio della maggiore
semplicità di realizzazione; tuttavia produce un elevato sforzo di taglio nella sezione
centrale del campione, ovvero produce una perturbazione della sollecitazione proprio
laddove è massimo il momento flettente.
Nel secondo metodo il carico viene invece applicato su due differenti punti, pertanto lo
sforzo di taglio nella sezione centrale risulta essere nullo, offrendo così una valida
soluzione al grave problema relativo al metodo precedentemente descritto. Tuttavia è
evidente che, ai fini di una misura accurata, le forze applicate sui due differenti punti di
carico debbano essere del tutto equivalenti, situazione questa non sempre semplice da
ottenere su campioni dalla geometria irregolare, quali risultano spesso essere quelli ossei.
È per questo motivo che viene più frequentemente utilizzato il metodo a tre punti.
Le proprietà meccaniche del materiale vengono dunque ricavate dalle forze in gioco e
dalla disposizione dei carichi.
9
Rapporti ISTISAN 10/15
Per il metodo a tre punti:
⎛ 3
⎛ 12 ⋅ c ⎞
⎛ L⋅c ⎞
⎜ L
⎜
⎟
E
S
=
,
ε
d
,
=
⎟
⎜⎜ 48 ⋅ I
⎜ 2 ⎟
⎝ 4I ⎠
⎝ L ⎠
⎝
σ = F⎜
⎞
⎛
2
⎟,
⎜ 3⋅ c
u
=
U
⎟⎟
⎜⎜ I ⋅ L
⎠
⎝
⎞
⎟
⎟⎟
⎠
Per il metodo a quattro punti:
⎛ 2 ⎞
⎛
⎞
⎛
⎞
6⋅c
⎛ a⋅c ⎞
3 ⋅ c2 ⎟
⎜ a ⎟ 3L − 4a ,
⎜
⎟
ε
d
,
=
E
=
S
σ = F⎜
,
(
)
u =U ⎜
⎟
⎜
⎟
⎜⎜ I ( 3L − 4a ) ⎟⎟
⎜ a ( 3L − 4a ) ⎟
⎜ 12 ⋅ I ⎟
⎝ 2⋅ I ⎠
⎝
⎠
⎝
⎠
⎝
⎠
Tuttavia il calcolo indiretto dello sforzo e conseguentemente delle proprietà meccaniche
del materiale mediante le relazioni sopra indicate, può risultare inaccurato per diverse
ragioni. Innanzitutto tali relazioni sono evidentemente valide solo per la regione elastica.
In secondo luogo la deformazione maggiore la si ottiene nel punto stesso nel quale il
carico è applicato; il campione pertanto dovrebbe essere sufficientemente lungo, in
particolare dovrebbe essere caratterizzato da un rapporto lunghezza-larghezza di almeno
20:1, per garantire l’ininfluenza degli spostamenti di taglio sul risultato della misura. In
campioni con inferiore rapporto lunghezza-larghezza, come ad esempio sono le ossa
lunghe, gli sforzi di taglio causano spostamenti non trascurabili, dunque una sovrastima
della deformazione e una sottostima del modulo elastico. Anche in questo caso tale
possibile causa di inaccuratezza della misura può essere ridotta mediante l’applicazione,
sulla parte centrale del campion,e di un estensimetro elettrico a resistenza che attui una
misura diretta e accurata della deformazione.
– Test di torsione
Applicando una torsione su un campione circolare, lo sforzo di taglio varia da un valore
minimo pari a zero nel centro, fino ad un massimo localizzato sulla superficie. Le
equazioni generali per il calcolo dello sforzo di taglio e il modulo elastico di taglio in una
sezione omogenea circolare sono le seguenti:
τ=
T ⋅r
J
G=
T ⋅L
ϑ⋅J
Dove τ è lo sforzo di taglio, T il momento torcente applicato, G il modulo elastico di
taglio, θ la deformazione rotazionale, r il raggio della sezione trasversale del campione, L
la lunghezza del campione, J il momento di inerzia polare.
Il maggiore problema associato a questo tipo di misura risiede nella difficoltà di fissare le
estremità dei campioni ai dispositivi di ancoraggio (testing grips). Le estremità del
campione devono infatti essere incassate in blocchi di plastica o in una lega metallica a
bassa temperatura di fusione, al fine di ottenere un rigido fissaggio con il sistema di
applicazione del carico. Questa operazione, oltre ad essere estremamente dispendiosa e
laboriosa, può introdurre potenziali errori nella misura. Tali errori possono essere
associati o al non perfetto allineamento del campione, quindi all’introduzione di un
momento flettente in grado di variare anche notevolmente il risultato della misura, o alla
significativa compliance propria dei materiali nei quali viene “imballato” il campione,
che introduce una rotazione apparente delle estremità dei campioni, causando la
sovrastima dello spostamento rotazionale, dunque la sottostima della rigidezza torsionale.
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Rapporti ISTISAN 10/15
– Tecnica ultrasonora
Questa tecnica fa uso di trasduttori piezoelettrici applicati direttamente sul campione per
inviare e ricevere onde elastiche. Le proprietà elastiche del materiale possono essere
facilmente ricavate sfruttando la dipendenza della velocità di propagazione dell’onda nel
materiale con il modulo elastico e la densità:
E
v=
ρ
Questo metodo di misura fornisce l’enorme vantaggio di permettere la determinazione
delle proprietà elastiche anisotrope del tessuto sullo stesso campione, per mezzo della
propagazione di onde ultrasonore in diverse direzioni.
2.2. Caratteristiche meccaniche del tessuto osseo
spugnoso
Come per il compatto, anche per il tessuto spugnoso le proprietà meccaniche possono
essere riferite ad un modello continuo, e pertanto ricavate sperimentalmente mediante gli
stessi test meccanici utilizzati per l’analisi a livello macroscopico del tessuto compatto,
principalmente test di trazione e compressione, effettuati su campioni cubici di tessuto
spugnoso di dimensioni tra gli 8 mm e 1 cm, ovvero sufficientemente grandi da poter
considerare il materiale omogeneo. Per mezzo di queste tecniche si ricava il modulo di
Young.
Tuttavia, in realtà, il modulo elastico che si ricava con le suddette modalità altro non è
che un modulo elastico apparente, in quanto la struttura interna del tessuto spugnoso è ben
lontana dalle caratteristiche di un modello continuo. Il materiale deve essere considerato di
tipo composito, anisotropo e non omogeneo, costituito da una matrice, la struttura
trabecolare, e da un materiale di riempimento, il midollo ospitato nelle cavità ossee. È stato
dimostrato, mediante modelli e studi sperimentali, che il contributo del midollo alla
sopportazione di sollecitazioni quasi statiche risulta non significativo. Pertanto, per quel che
riguarda la caratterizzazione meccanica del tessuto, risulta ragionevole pensare il
comportamento della sola struttura trabecolare essere sufficientemente rappresentativo del
comportamento del composito trabecole+midollo rispetto a tale tipo di sollecitazioni.
Si può pertanto immaginare la struttura di primo livello, come una intensa rete di travi, le
trabecole, delimitanti cavità vuote, modellizzabili mediante un’alternanza di linee e piani
interconnessi e disposti nello spazio in maniera non uniforme, a rappresentanza dell’elevato
grado di anisotropia. Si è infatti notato che le la disposizione delle trabecole è in alcune
regioni più densa, in altre molto meno, a seconda del tipo di osso, del sito anatomico, dello
stato di salute del donatore; si è inoltre osservato che l’orientazione delle trabecole dalla
direzione in cui l’osso è maggiormente sollecitato forma, in genere, linee isostatiche
naturali con meccanismi che non risultano ancora del tutto chiariti.
2.2.1. Principali test meccanici
Negli ultimi 30 anni sono stati molti i metodi utilizzati per misurare il modulo elastico delle
singole trabecole; ne vengono riportati i più comuni:
11
Rapporti ISTISAN 10/15
– Test di resistenza al carico di punta
Questa tecnica consiste nell’applicazione di un “carico di punta” ad una trabecola snella
non incastrata alle estremità e nella misura del carico che produce il collasso per
instabilità della struttura. Mediante il calcolo del relativo stato di sollecitazione (σc), si
ricava il valore del modulo elastico E del materiale con l’utilizzo della formula di Eulero:
Pcr =
σc
A
=π2 ⋅
E ⋅ J min
L2
Dove Pcr è il carico critico per il quale avviene il collasso, σc il corrispondente sforzo
critico, Jmin il momento di inerzia minimo, L la lunghezza della trabecola nella direzione
di applicazione del carico.
– Test di trazione uniassiale
Sono stati elaborati, negli anni, molti delicati sistemi di trazione finalizzati alla
determinazione del modulo elastico del tessuto osseo spugnoso. Le maggiori difficoltà
sono associate alle limitate dimensioni dei campioni, che rendono estremamente difficile
l’allineamento del campione, essenziale al fine della applicazione di un carico assiale
senza induzione di momento. Inoltre l’irregolare geometria delle trabecole rende
complessa anche la determinazione delle proprietà dimensionali dei campioni. Tali
difficoltà sono la causa della forte diversificazione di risultati ottenuti con questa tecnica.
– Test di flessione
È una tecnica utilizzata abbastanza frequentemente per determinare le proprietà
meccaniche del tessuto spugnoso. Offre notevoli vantaggi rispetto al test di trazione; esso
infatti è di semplice realizzazione, e la misura è insensibile all’allineamento del campione
che, come già detto, è difficile da ottenere a causa delle piccole dimensioni e della
irregolare geometria dei campioni. Inoltre la flessione rappresenta un tipico modo di
deformazione fisiologica della trabecola; è pertanto comprensibile la grande importanza
scientifica delle misure effettuate con questo metodo.
Tuttavia esistono diversi problemi associati a questa tecnica: l’anisotropia e l’eterogeneità
del materiale osseo produce una distribuzione degli sforzi di tipo non lineare; il carico
concentrato nei punti di applicazione genera sforzi locali, problema questo amplificato
dalle irregolarità geometriche e strutturali del tessuto (es. lacune). Il problema della
geometria fortemente irregolare ha visto dei tentativi di risoluzione secondo due diversi
approcci:
1. Un primo approccio (3) consiste nell’effettuare un test di flessione su una trabecola
incastrata ad una estremità e sollecitata nell’altra, e dedurre il modulo elastico per
mezzo di un calcolo delle deformazioni mediante un modello a elementi finiti. Con
questo metodo si è calcolato un modulo elastico medio pari a 7.8 GPa.
2. Un secondo approccio (4) consiste nell’effettuare test di flessione a tre e quattro punti
su microcampioni lavorati in modo da ottenere artificialmente una geometria regolare.
Dai risultati di tali studi si è trovato che la rigidezza del tessuto osseo spugnoso è di circa
il 20%-30% inferiore rispetto a quella del tessuto compatto.
2.2.2. Limiti dei test meccanici per l’osso spugnoso
La difficoltà di una esatta caratterizzazione meccanica del tessuto osseo, principalmente del
tessuto spugnoso, per mezzo dei test meccanici è dovuta essenzialmente alla difficile
12
Rapporti ISTISAN 10/15
caratterizzazione geometrica del tessuto per le limitate dimensioni in gioco, nonché per
l’irregolarità delle geometrie, la complessità strutturale e l’anisotropia del tessuto.
È pertanto sorta la necessità, ai fini della caratterizzazione meccanica, di una più completa
caratterizzazione morfologica, geometrica e strutturale, del tessuto spugnoso. È questo il motivo
fondamentale per il quale negli ultimi anni si sono notevolmente diffusi gli studi sulla
quantificazione della architettura del tessuto osseo trabecolare, per mezzo dei principali metodi
di acquisizione di immagini, già ampiamente diffusi nel campo della diagnostica per immagini,
finalizzati ad una più accurata misurazione delle proprietà meccaniche di questo complesso
tessuto (5).
2.2.3. Principali tecniche utilizzate per l’acquisizione di immagini
Gli strumenti per l’acquisizione di immagini che vengono utilizzati per lo studio della
morfologia del tessuto osseo spugnoso sono diversi; i più diffusi consistono nell’utilizzo di
particolari tecniche di tomografia computerizzata (CT) e risonanza magnetica (MR).
Le immagini ottenute per acquisizione tramite tomografia computerizzata (CT) mostrano la
distribuzione bidimensionale e tridimensionale dei coefficienti di attenuazione lineare,
strettamente correlati con l’energia della radiazione trasmessa, quindi con la densità e la
composizione atomica del materiale investito dalla radiazione.
Tuttavia, in questo metodo, sono presenti forti limitazioni che non permettono l’utilizzo della
strumentazione standard ai fini della caratterizzazione morfologica del tessuto osseo spugnoso;
tali limitazioni consistono principalmente negli artefatti dovuti allo spettro di energia dei raggi
X (beam hardening artifact) e soprattutto nei problemi dovuti alla comparabilità della
risoluzione spaziale con le dimensioni strutturali del tessuto osseo spugnoso (partial volume
artifacts). I primi possono essere ridotti, ma non del tutto rimossi, in maniera piuttosto efficiente
mediante accurate procedure di calibrazione; i secondi possono essere rimossi solamente nel
caso in cui la risoluzione spaziale sia molto minore delle dimensioni strutturali.
Una tale risoluzione è ottenibile solamente per mezzo di una particolare strumentazione,
attualmente la più diffusa nel campo degli studi sulla caratterizzazione morfologica del tessuto
osseo: la micro-tomografia computerizzata. La moderna strumentazione relativa a tale tecnica
permette di ottenere risoluzioni spaziali al di sotto dei 10 μm, che risultano particolarmente
adatte allo studio del tessuto osseo spugnoso.
Anche la risonanza magnetica, nell’ambito degli studi sulla morfologia del tessuto osseo,
viene utilizzata nella sue forma miniaturizzata (micro-MR), per gli stessi problemi incontrati
dalla CT, circa l’insufficiente risoluzione spaziale dellla strumentazione standard. La risoluzione
tipica ottenibile per mezzo della micro-MR, con un tempo di scansione dai 30 ai 60 minuti, è di
circa 50-80 μm, in generale non sufficiente per una accurata caratterizzazione del tessuto osseo.
Per far fronte a questa fondamentale limitazione sono state elaborate, oltre ai software in grado
di ridurre gli artefatti dovuti alla risoluzione inadatta alle dimensioni degli oggetti, delle
particolari tecniche per incrementare la risoluzione stessa.
Tuttavia, nonostante i notevoli progressi nel campo delle micro-MRI, la tecnica in assoluto
più adatta e, in quanto tale, maggiormente diffusa, per la caratterizzazione della architettura del
tessuto osseo spugnoso risulta essere attualmete la micro-tomografia computerizzata.
13
Rapporti ISTISAN 10/15
3. MATERIALI E METODI
In questo capitolo vengono illustrate le varie fasi del processo con cui si perviene alla
misurazione dei parametri istomorfometrici a partire dalle immagini ottenute dalla scansione di
campioni di osso spugnoso con strumentazione di micro-tomografia computerizzata. Nei
capitoli successivi viene poi affrontato il problema della determinazione ottimale delle soglie di
binarizzazione delle immagini sulla cui base vengono eseguite le elaborazioni dei parametri
istomorfometrici.
Il lavoro sperimentale è stato svolto presso l’Istituto Superiore di Sanità ed ha riguardato
l’acquisizione di immagini di campioni di tessuto osseo per mezzo di un sistema di
microtomografia computerizzata a cui è poi seguita l’analisi delle immagini, la determinazione
delle soglie di binarizzazione e il conseguente calcolo dei valori dei parametri istomorfomentrici
con l’ausilio dei software specializzati.
Il materiale di seguito presentato è estratto dalla tesi di laurea svolta, sotto la guida del
professor Franco Marinozzi e della dottoressa Rossella Bedini, dalla laureanda in Ingegneria
Clinica Livia Angeloni.
3.1. Misura dei parametri istomorfometrici
del tessuto osseo spugnoso
Il procedimento per la stima dei parametri istomorfometrici attraverso la scansione di
campioni mediante microtomografia consta delle seguenti cinque fasi:
1. Scansione del campione
Viene acquisita l’informazione primaria relativa ai livelli di attenuazione della radiazione
caratteristici del campione in esame; tale informazione è presentata dallo strumento
sottoforma di immagini radiografiche del campione (immagini-proiezione).
2. Ricostruzione del campione
A partire dall’informazione relativa ai fasci attenuati in tutte le direzioni, l’utilizzo di
particolari algoritmi permette di risalire al coefficiente di attenuazione lineare relativo a
ciascun voxel. A questo punto del processo di misura è pertanto possibile la
visualizzazione di immagini relative a sezioni del campione su piani selezionati.
3. Determinazione di una opportuna soglia di binarizzazione (separazione pieno/vuoto)
Ai fini di una corretta elaborazione delle superfici del solido è necessario selezionare
manualmente un opportuno valore di soglia di binarizzazione indicativo del tono di grigio
di separazione tra pieno e vuoto.
4. Elaborazioni delle superfici del solido
In base alla soglia di binarizzazione selezionata, un particolare algoritmo permette la
ricostruzione delle superfici delimitanti il campione. L’informazione che tale operazione
produce non è più relativa ai diversi livelli di attenuazione, ma è una informazione
binaria: pieno o vuoto.
5. Calcolo dei parametri istomorfometrici
Una volta delimitate le superfici del solido, è possibile il calcolo dei parametri geometrici
e di forma relativi all’oggetto in esame, mediante appositi algoritmi.
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Rapporti ISTISAN 10/15
La scansione del campione è stata effettuata mediante il microtomografo Skyscan 1072; le
azioni di ricostruzione del campione, elaborazioni delle superfici del solido e il calcolo dei
parametri istomorfometrici selezionati vengono poi svolte in automatico dai relativi software,
forniti dalla stessa Skyscan, che fanno uso di algoritmi ormai universalmente riconosciuti e
utilizzati.
L’azione più critica di tutto il procedimento risulta essere la scelta del valore di soglia di
binarizzazione, a causa della mancanza di un algoritmo universalmente riconosciuto per la sua
individuazione, e in quanto dalla scelta di tale valore dipende l’accuratezza della ricostruzione
delle superfici del solido, quindi la precisione della misura dei parametri istomorfometrici.
In questo studio si è dunque posta una particolare attenzione all’analisi del problema della
determinazione della soglia di binarizzazione e alla ricerca di un metodo in grado di
individuarne il valore ottimale, essenziale per ottenere, dal calcolo dei parametri morfologici del
tessuto osseo, risultati attendibili.
3.1.1. Campioni di tessuto osseo spugnoso
Per l’analisi sono stati utilizzati quattro campioni costituiti da cubetti di osso spugnoso
estratti da teste femorali di tre pazienti sottoposti ad interventi di artoplastica, denominati Alfa,
Beta, Gamma, Delta di dimensione di circa 6 mm.
3.1.2. Acquisizione delle immagini
Le immagini dei campioni sono state acquisite per mezzo di un sistema di micro-tomografia
computerizzata, il microCT Skyscan 1072 (Aartselaar, Belgio). Il principio sul quale si basa il
funzionamento della Skyscan 1072 è quello tipico della classica tomografia assiale
computerizzata ad emissione di raggi X a fascio conico (cone-beam CT) (6).
Come noto, la tomografia computerizzata permette la visualizzazione non distruttiva delle
sezioni bidimensionali del corpo in esame perpendicolari all’asse del sistema di acquisizione. A
partire da tali sezioni è poi possibile, attraverso le fasi successive del procedimento, procedere
alla ricostruzione tridimensionale dell’oggetto per mezzo di particolari algoritmi.
Il funzionamento di tale strumentazione si basa sulla rilevazione del fascio di raggi X
attenuato successivamente all’attraversamento della materia, mediante un sistema di detettori
che ne traduce l’intensità, in un segnale elettrico di corrispondente valore. Tale segnale elettrico
sarà dunque proporzionale all’intensità del fascio uscente. Assumendo che il fascio sia
monoenergetico e abbia intensità I0, l’intensita I1 trasmessa attraverso un piccolo elemento di
volume di tessuto avente spessore x e coefficiente di attenuazione µ1 è:
I1 = I 0 e
−μ1 x
Nel passare da un lato all’altro del campione il fascio viene attenuato da tutti i voxel che
attraversa, quindi si ha:
n
I = I0 ⋅ e
− x ∑ μi
i =1
Da cui:
n
⎛I ⎞
l n ⎜⎜ 0 ⎟⎟ = x ∑ μi
⎝ I ⎠
i =1
15
Rapporti ISTISAN 10/15
Dunque il segnale elettrico generato corrisponde all’intensità del fascio uscente, a sua volta
correlato, come appena descritto, con il coefficiente di attenuazione μ della materia attraversata.
In questo modo, ricordando che un fascio di raggi X risulta tanto più attenuato quanto più sono
dense le strutture che esso attraversa, è possibile ricavare una “mappa” delle densità dell’oggetto
investito dal fascio. Differentemente dalla RX tradizionale, dove, per mezzo degli stessi principi
fisici, si ottiene semplicemente la proiezione-ombra del corpo in esame, dove dunque gli oggetti
posti sulle stessa linea di irraggiamento (stessa direzione di propagazione dei raggi X) risultano
sovrapposti nell’immagine, per mezzo della CT è possibile misurare un gran numero di
proiezioni ad angoli differenti e combinarle successivamente insieme, mediante particolari
algoritmi di ricostruzione, per visualizzare una sezione interna dell’oggetto.
La microCT Skyscan 1072 è caratterizzata da una sorgente di RX collimata in geometria a
fascio conico, costituita da un tubo radiogeno, raffreddato ad aria, modello Hammatsu L790101, avente doppia macchia focale (5 e 7μm), dotato di una filtrazione aggiuntiva costituita da
una lamina di alluminio dello spessore di circa 1 mm; il sensore digitale associato è di tipo
CCD, modello C4742-55-12NRF, 1024x1024 pixel, avente range dinamico di 12 bits. La
tensione di alimentazione del tubo radiogeno può essere variata tra i 20 e i 100 kV, mentre la
corrente può essere variata da 0 a 250 μA.
Per mezzo di tale strumentazione le immagini dei campioni sono state acquisite come segue:
il campione, accuratamente fissato (al fine dell’impedimento di artefatti da movimento) su una
apposita basetta in metallo all’interno della macchina e centrato il più possibile rispetto all’asse
di rotazione del sistema, è stato investito dal fascio di raggi X, prodotto dal tubo radiogeno
alimentato con una tensione 100 kV e una corrente di 98 μA. Per i quattro campioni di tessuto
osseo spugnoso sono stati impostati i seguenti parametri di acquisizione: uno step angolare di
0,45°, un range angolare di 180°, una risoluzione di 11,27 μm per i campioni Alfa, Delta, e
Gamma, di 14,68 μm per il campione Beta.
La fase di acquisizione fornisce le immagini-proiezione (immagini radiografiche) del
campione ottenute per ciascuna posizione fissata lungo la traiettoria circolare operata dal
sistema sorgente-sensore; tali proiezioni vengono automaticamente salvate dalla macchina in
formato TIFF (16 bits).
3.1.3. Ricostruzione dell’immagine
L’operazione di ricostruzione permette di risalire dalle informazioni relative alle intensità dei
fasci attenuati in tutte le direzioni, al coefficiente di attenuazione lineare relativo a ciascun
elemento di volume; tale operazione permette quindi la visualizzazione delle immagini relative
alle sezioni del campione su piani selezionati.
La ricostruzione è stata effettuata per mezzo di un particolare software, fornito dalla casa
costruttrice della macchina, il Cone-Beam Reconstruction (7) il cui processo di elaborazione è
basato su un particolare algoritmo di tipo Feldkamp.
L’algoritmo Feldkamp (8) è il più utilizzato per la ricostruzione di immagini ottenute con
tomografia cone-beam; esso si basa sull’utilizzo della trasformata di Radon, il modello
matematico che permette la risoluzione del problema della ricostruzione di un oggetto a partire
dalle sue proiezioni.
Il software è in grado di risalire alla posizione esatta di ciascun “punto” (voxel) e, per mezzo
delle proiezioni dei fasci passanti per quel voxel, associare ad esso un ben preciso valore numerico
corrispondente al grado di assorbimento della radiazione da parte del materiale. Inizialmente
quindi si ottiene una matrice di valori numerici, strettamente correlati con la densità e la
composizione del materiale, a ciascuno dei quali è quindi possibile associare un ben preciso tono
di grigio; tali valori numerici ancora non costituiscono una vera e propria immagine.
16
Rapporti ISTISAN 10/15
Attraverso il software tale matrice numerica viene trasformata in una immagine con 256
livelli di grigio, selezionando il valore minimo e il valore massimo del grado di assorbimento
associato a ciascun voxel a cui si ritiene appropriato associare rispettivamente il tono “bianco”
(livello di grigio 256) e il tono “nero” (livello di grigio 0): qualsiasi valore al di sotto del
minimo viene visualizzato come bianco, qualunque valore al di sopra del massimo come nero, a
tutti i valori intermedi vengono associati i restanti 254 livelli dei toni di grigio.
Le immagini, ottenute nella suddetta maniera, possono essere salvate in diversi formati
(BMP, RAW a 16 bit o file txt); in questo caso è stato scelto il formato BMP a 8 bit.
3.1.4. Scelta della soglia di binarizzazione e elaborazione delle superfici
del solido
Le immagini ricostruite sono state poi analizzate per mezzo del software CT-Analyser
(9), anch’esso fornito dalla casa costruttrice. Attraverso tale programma è possibile
selezionare dall’intera immagine, la parte di essa che si vuole sottoporre ad analisi,
denominata ROI (Region Of Interest). Una volta delimitata e memorizzata la regione di
interesse, si deve fornire al software un valore del livello di grigio a cui si ritiene
corrisponda il confine tra i voxel pieni e quelli vuoti. A partire da tali informazioni il
software permette di definire i contorni degli oggetti presenti nell’immagine. Si possono
utilizzare due diversi metodi.
Il primo metodo fornisce il cosiddetto “Modello 2D”; esso consiste nella elaborazione,
su ciascuna sezione, del contorno dell’area corrispondente al pieno; ad ogni singola area è
poi associato un cilindro di altezza corrispondente alla distanza tra sezioni adiacenti; il
volume dell’oggetto viene pertanto definito dall’unione di tutti i cilindri relativi a tutte le
sezioni elaborate che danno luogo ad una superficie di delimitazione del solido “a gradini”.
Il secondo metodo si basa invece sull’utilizzo del Marching-Cubes Algorithm (10, 11).
Tale algoritmo è in grado di elaborare le superfici di un solido a partire da una suddivisione
del volume considerato in sottounità volumetriche, attraverso il seguente procedimento:
– Acquisizione dei dati
L’algoritmo acquisisce come input iniziale le matrici numeriche di ciascuna slice
(immagine-sezione) in cui è scomposto il volume analizzato. Ciascun dato
corrisponde ad un pixel di una slice, ovvero un voxel, e in particolare contiene
l’informazione del livello di grigio caratterizzante lo specifico punto. L’insieme di
matrici relative a tutte le slice (sezioni di volume), costituisce l’informazione iniziale
relativa al volume totale.
– Suddivisione del volume totale in sottounità volumetriche
L’immagine del volume totale viene quindi suddivisa in sottounità volumetriche,
dalla geometria regolare, generalmente esaedrica. Ogni punto della matrice, a cui è
associato un preciso valore scalare, costituisce quindi un vertice della singola
sottounità volumetrica. Così suddiviso il volume totale viene analizzato
dall’algoritmo attraverso una analisi sequenziale dei singoli sottovolumi.
– Selezione dei sottovolumi “attivi”
Scelto un isovalore α avente funzione di valore di soglia, vengono analizzati tutti i
punti della struttura secondo un ordine sequenziale. Durante l’elaborazione viene
analizzato il valore associato ad ogni vertice di ciascun sottovolume: se tale valore
risulta essere minore o uguale all’isovalore scelto α il punto corrispondente viene
marcato, e corrisponderà quindi a spazio pieno, in caso contrario il punto rimane non
17
Rapporti ISTISAN 10/15
marcato, a segnalare la presenza di spazio vuoto. Le sottounità volumetriche
caratterizzate dalla presenza di vertici sia marcati che non marcati vengono
contrassegnate come “attive”, in quanto in esse viene riconosciuto lo spazio che
conterrà la superficie di confine dell’oggetto; i volumi non attivi vengono quindi
esclusi dai processi di analisi che seguono in quanto rappresentativi di uno spazio o
interamente occupato dall’oggetto, nel caso in cui tutti i vertici siano marcati, o
interamente vuoto, nel caso in cui tutti i vertici siano non marcati.
– Costruzione della superficie di confine dell’oggetto
A seguito della demarcazione dei punti, a seguito cioè della distinzione di voxel pieni
e voxel vuoti, l’algoritmo deve costruire la superficie di confine in modo da separare
da una parte i punti marcati (pieni) e dall’altra i non marcati (vuoti). L’algoritmo
analizza singolarmente tutte le sottounità volumetriche attive e elabora quindi una
isosuperficie che intercetti uno specifico spigolo solamente nel caso in cui questo sia
delimitato da un vertice marcato e un vertice non marcato. Il punto di intercettamento
della isosuperficie con lo spigolo viene stimato mediante una tecnica di
interpolazione lineare, che tiene in conto non solo della presenza o meno di
demarcazione (nel caso si usasse solo questa informazione il punto di intercettazione
verrebbe semplicemente posto in corrispondenza della metà della distanza tra punto
un pieno e un punto vuoto), ma anche dei valori esatti associati ai punti vertici. La
superficie così ottenuta viene poi triangolata.
Con questo secondo metodo il software fornisce il cosiddetto “Modello 3D” (12), nel
quale il volume del solido risulta delimitato non più da una superficie laterale “a
gradini”, bensì da una superficie triangolata.
In entrambe le modalità con cui vengono ricostruiti i contorni degli oggetti, risulta
fondamentale la scelta di un ottimale valore di soglia, ai fini dell’individuazione delle
superfici delimitanti il solido, in quanto è in base a tale valore che il software opera la
distinzione tra voxel pieni e voxel vuoti, ed è in base a tale distinzione (punti marcati
o non marcati) che individua le sottounità volumetriche attraversate dalla superficie di
separazione pieno-vuoto.
3.1.5. Calcolo dei parametri istomorfometrici
Una volta definiti in modo idoneo i contorni dei volumi, il software CT-Analyser è in
grado di fornire informazioni circa la caratterizzazione strutturale del tessuto, effettuando in
automatico il calcolo dei parametri istomorfometrici selezionati (13).
Le misure vengono effettuate mediante particolari algoritmi noti, che, in riferimento alla
modalità di elaborazione della superficie del solido, possono fare uso del Modello 2D,
oppure del Modello 3D. Alcuni parametri possono essere calcolati solo mediante misura in
2D o in 3D, altri possono essere calcolati in entrambe le modalità.
Vengono qui di seguito riportati alcuni dei principali parametri, classificati secondo la
nomenclatura ASBMR, basata sul sistema di simboli elaborati da Parfitt nel 1987 (14), in
riferimento alla struttura del tessuto osseo.
– Total Volume (TV)
Rappresenta il volume di interesse, ovvero il volume totale sottoposto ad analisi,
relativo alla ROI selezionata, comprensivo sia degli spazi occupati da materiale osseo
solido sia degli spazi vuoti; può essere misurato sia in 2D che in 3D e si basa su un
semplice conteggio dei voxel contenuti nel modello volumetrico scelto.
18
Rapporti ISTISAN 10/15
– Bone Volume (BV)
Rappresenta quella parte del volume di interesse occupato da solo materiale osseo
solido; può essere calcolato secondo le modalità 2D e 3D e si basa sul conteggio dei
soli voxel riconosciuti come materiale solido, relativamente al modello volumetrico
scelto.
– Percent Bone Volume (BV/TV)
Rappresenta la percentuale del volume occupato da materiale osseo rispetto al volume
totale considerato. Viene calcolato sia in 2D che in 3D, semplicemente effettuando il
rapporto dei parametri BV e TV calcolati rispettivamente nelle due diverse modalità.
– Bone Surface (BS)
Rappresenta la superficie delimitante le regioni occupate da materiale osseo solido; la
misura in 2D è riferita alla superficie “a gradini”, è pertanto affetta dall’inaccuratezza
dovuta alla sola elaborazione perimetri delle sezioni trasversali; la misura in 3D è
riferita alla superficie triangolata ottenuta per mezzo dell’algoritmo Marching Cubes.
– Bone Specific Surface (BS/BV)
Rappresenta il rapporto tra la superficie e il volume di materiale osseo; viene
calcolato in 2D e in 3D con riferimento ai parametri BS e BV ricavati secondo le due
diverse modalità.
– Bone Surface Density (BS/TV)
Rappresenta la densità superficiale, ovvero il rapporto tra l’area della superficie e il
volume totale di interesse. Può essere calcolato in 2D e in 3D, effettuando il rapporto
dei parametri BS e TV ricavati secondo le due diverse modalità.
– Trabecular Thickness (TbTh)
Rappresenta lo spessore delle trabecole. Può essere calcolato in 2D e in 3D.
Il calcolo di questo parametro mediante analisi in 2D viene effettuato sulla base di
alcune ipotesi circa l’organizzazione strutturale dell’oggetto considerato; a tale
proposito possono essere utilizzati tre diversi modelli strutturali: un modello “a piatti
paralleli” (Parallel Plate Model), un modello “a barre cilindriche” (Cylinder Rod
Model) e un modello “a sfere” (Sphere Model).
Utilizzando il Parallel Plate Model lo spessore trabecolare viene calcolato come:
2
T b .T h =
B
⎛ S ⎞
⎜
⎟
⎝ BV ⎠
Con il Cylinder Rod Model lo spessore trabecolare viene invece calcolato come:
4
T b .T h =
⎛ BS ⎞
⎜
⎟
⎝ BV ⎠
Mentre con l’assunzione dello Sphere Model lo spessore trabecolare viene ricavato
secondo la relazione:
6
T b .T h =
B
⎛ S ⎞
⎜
⎟
⎝ BV ⎠
È da osservare che la scelta del modello non ottimale può introdurre errori
considerevoli nella stima del parametro.
19
Rapporti ISTISAN 10/15
L’analisi in 3D permette invece di ricavare il parametro TbTh indipendentemente dal
modello. Lo spessore trabecolare è infatti definito (15) come la media di tutti gli
spessori locali di tutti i voxel costituenti il solido considerato; lo spessore locale in un
generico punto di un solido è stato definito come il diametro della massima sfera che
include il punto considerato (che non necessariamente deve coincidere con il centro
geometrico) ed è interamente contenuta da in un volume pieno.
Il software calcola il singolo valore medio per ciascun sito considerato dell’osso
spugnoso; Esso fornisce pertanto il valore medio del TbTh relativo all’intero
campione nonchè un istogramma relativo alla distribuzione degli spessori.
– Trabecular Separation (TbSp)
Rappresenta lo spessore degli spazi interposti tra le trabecole. Può essere calcolato
con analisi in 2D, mediante assunzione di modelli. Può infatti essere utilizzato il
Parallel Plate Model, con il quale lo spessore trabecolare è ricavato dalla relazione:
T b .S p =
1
− T b .T h
T b.N
oppure può essere utilizzato il Cylinder Rod Model, con cui lo spessore trasecolare
viene calcolato come:
⎧ ⎡⎛ 4 ⎞ ⎛ TV ⎞ ⎤ ⎫
Tb.Sp = Tb.Th ⋅ ⎨ ⎢⎜ ⎟ ⋅ ⎜
⎟ ⎥ − 1⎬
⎩ ⎣⎝ π ⎠ ⎝ BV ⎠ ⎦ ⎭
L’analisi in 3D permette di calcolare il TbSp indipendentemente dal modello con
metodo del tutto analogo al calcolo del TbTh.
– Trabecular Number (TbN)
Rappresenta il numero di attraversamenti trasversali per unità di lunghezza che una
struttura trabecolare costituisce lungo una traiettoria lineare in una regione di osso
spugnoso. È definito dall’analisi in 2D per mezzo del Parallel Plate Model, secondo
la seguente relazione:
⎛ BV ⎞
⎜
⎟
TV ⎠
T b.N = ⎝
T b .T h
oppure per mezzo del Cylinder Rod Model secondo la relazione:
T b.N =
⎡⎛ 4 ⎞ ⎛ BV
⎢⎜ π ⎟ ⋅ ⎜ TV
⎣⎝ ⎠ ⎝
T b .T h
⎞⎤
⎟⎥
⎠⎦
dove BV/TV rappresenta la densità superficiale sopra definita, e TbTh lo spessore
trabecolare calcolato secondo il modello corrispondente.
Anche in questo caso le difficoltà di calcolo introdotte, nell’analisi in 2D, dalla
necessità di una giusta scelta del modello vengono eliminate mediante analisi
effettuata direttamente in 3D. In questo caso il numero trabecolare è definito dalla
medesima equazione 1), utilizzata per il calcolo in 2D, con l’assunzione di un
modello a piatti paralleli, con l’importante differenza che, in questo caso, lo spessore
trabecolare è ricavato, non per mezzo del modello, ma tramite analisi 3D.
20
Rapporti ISTISAN 10/15
– Euler Number (EuN)
È un indice della connettività di una struttura tridimensionale; in particolare
rappresenta il grado di quanto le parti di un oggetto possono essere molteplicemente
connesse; si tratta di una misura di quante connessioni della struttura possono essere
rimosse prima che essa raggiunga il cedimento. È definito dalla seguente equazione
per una struttura bidimensionale:
Eu . N = β 0 − β 1
Mentre per una struttura tridimensionale è definito come:
Eu.N = β 0 − β1 + β 2
I componenti del numero di Eulero sono i tre numeri di Betti: β0 rappresenta il
numero degli oggetti (trabecole), β1 il numero di connessioni, β2 il numero di cavità
chiuse.
– Structure Model Index (SMI)
Rappresenta un indice della prevalenza relativa di piatti o barre in una struttura
tridimensionale; si tratta cioè di un indice di congruenza dell’oggetto con i modelli
plate model e rod model. Il calcolo di questo parametro include una misura della
convessità della superficie, e risulta essere particolarmente significativo nel caso di
campioni osteoporotici di osso spugnoso, in quanto tali campioni risultano essere
caratterizzati dalla transizione della architettura da una struttura molto simile a quella
a piatti paralleli (tipica del tessuto sano) ad una meglio assimilabile al modello a barre
cilindriche. Il calcolo dello SMI si basa su una operazione di dilatazione del modello
tridimensionale, per mezzo dell’aumento di un voxel di spessore per tutti gli oggetti
digitalizzati (16). Il parametro viene dunque ricavato secondo la seguente relazione:
( S '× V )
SM I = 6 ⋅
(S 2 )
dove S è l’area della superficie dell’oggetto prima della dilatazione, S’ la variazione
di superficie subita per la dilatazione, V il volume iniziale dell’oggetto.
3.2. Scelta del valore di soglia di binarizzazione
Come precedentemente accennato, una corretta stima dei parametri morfologici, calcolati
a seguito della binarizzazione dell’oggetto, è fortemente influenzata dalla scelta del livello
di soglia ottimale e dalla sua capacità di attuare una realistica separazione del tessuto osseo
(pieno) dagli spazi vuoti e dagli artefatti inevitabilmente introdotti durante il processo di
acquisizione e ricostruzione dell’immagine.
La scelta di un valore di soglia troppo basso (eccessivamente tendente al nero)
comporterebbe, infatti, la perdita delle regioni più esterne, o comunque meno dense, della
struttura, quindi una sottostima di volumi pieni; al contrario la scelta di un valore troppo
elevato di soglia (tendente al bianco) porterebbe a considerare pieni anche spazi in cui non è
in realtà presente materiale osseo, quindi provocherebbe una sovrastima del volume.
Al fine di rendere più chiaro quanto appena detto in Figura 1 viene riportata l’immagine
di una sezione di un campione, binarizzata con diversi valori di soglia.
21
Rapporti ISTISAN 10/15
Figura 1. Immagine di un campione e sua binarizzazione con 5 diversi valori di soglia
Da tali figure si deduce come la scelta sbagliata della soglia possa portare ad un evidente
aumento fittizio (o perdita) di massa ossea; si capisce pertanto la forte influenza della
variabile-soglia di binarizzazione nella caratterizzazione topologica del tessuto osseo,
testimoniata anche dalla variabilità dei parametri rispetto ad essa documentata nell’analisi
riportata nel paragrafo seguente.
3.2.1. Sensibilità dei parametri istomorfometrici alle variazioni
del valore di soglia
Al fine di ottenere una valutazione quantitativa della variazione dei valori dei parametri
istomorfometrici al variare del valore di soglia scelto, mediante il software CT-Analyser,
sono state effettuate le misure in 2D e in 3D, dei principali parametri per 51 differenti livelli
di soglia; in particolare sono state selezionate le soglie, a passo di 5, a partire dal valore 0,
corrispondente al nero, fino al valore 255, corrispondente al bianco.
Si riportano in Figura 2 e in Figura 3 i diagrammi nei quali è rappresentato il valore
medio, calcolato in 2D per ciascun campione di osso spugnoso (Beta, Alfa, Gamma, Delta),
dei due parametri ritenuti più significativi per quanto riguarda la dipendenza dalla soglia, in
particolare BS, BV, (asse delle ordinate) in funzione dei diversi livelli di soglia selezionati
(asse delle ascisse). Gli stessi parametri calcolati in 3D hanno mostrato andamenti simili a
quelli rilevati per il calcolo in 2D.
22
Rapporti ISTISAN 10/15
Campione ALFA - Bone-Volume (2D)
Campione BETA - Bone-Volume (2D)
1800
600
1600
1400
400
BV (mm3)
BV (mm3)
500
300
200
1200
1000
800
600
400
100
0
200
0
0
50
100
150
200
250
0
50
Campione GAMMA - Bone-Volume (2D)
150
200
250
Campione DELTA - Bone-Volume (2D)
6000
500
450
400
350
300
250
200
150
100
50
0
5000
BV (mm3)
BV (mm3)
100
Livello di soglia
Livello di soglia
4000
3000
2000
1000
0
0
50
100
150
200
250
0
50
Livello di soglia
100
150
200
250
Livello di soglia
Figura 2. Andamento del Bone Volume al variare del valore di soglia impostato
Campione ALFA - Bone-Surface (2D)
Campione BETA - Bone-Surface (2D)
9000
18000
16000
8000
6000
BS (mm2)
BS (mm2)
7000
5000
4000
3000
2000
1000
0
0
50
100
150
200
14000
12000
10000
8000
6000
4000
2000
0
0
250
50
Livello di soglia
100
150
200
250
Livello di soglia
Campione GAMMA - Bone-Surface (2D)
Campione DELTA - Bone-Surface (2D)
8000
6000
7000
5000
BS (mm2)
BS (mm2)
6000
5000
4000
3000
4000
3000
2000
2000
1000
1000
0
0
0
50
100
150
200
0
250
50
100
150
200
250
Livello di soglia
Livello di soglia
Figura 3. Andamento della Bone Surface al variare del valore di soglia impostato
23
Rapporti ISTISAN 10/15
3.2.2. Osservazioni
Dai grafici sopra riportati si vede confermata la forte influenza del valore della soglia
impostata sui risultati del calcolo dei parametri istomorfometrici.
Il parametro BV, per tutti i campioni ha mostrato un andamento monotono crescente, che
corrisponde al fatto che aumentando il valore di soglia, si aumenta il numero di pixel
considerato massa ossea, di conseguenza il volume. Si riscontra inoltre, per tutti i campioni, una
zona centrale ad andamento quasi lineare, mentre le due zone estreme presentano evidenti non
linearità.
Le due zone estreme possono essere a priori escluse dal campo in cui andare a ricercare la
soglia ottimale, in quanto risulta evidente, dall’osservazione delle immagini binarizzate, una
eccessiva variazione della massa sia nella zona in prossimità del livello 0 (nero), sia nella zona
in prossimità del livello 255 (bianco).
Il parametro BS ha mostrato un andamento non sempre monotono, e in generale più
irregolare rispetto al BV. Ciò è dovuto al fatto che, aumentando il numero di pixel considerati
rappresentativi della massa ossea, in generale aumenta il valore della superficie di contorno
della massa, ma trattandosi di campioni in cui si ha una alternanza di spazi pieni e spazi vuoti, si
può verificare che oggetti che appaiono separati per un certo livello di soglia, risultino un unico
oggetto per i livelli successivi; la superficie di contorno localmente può quindi subire dei
decrementi all’aumentare del livello di soglia. Questo fenomeno è anche la ragione del fatto che,
differentemente dal parametro BV, il cui andamento al variare della soglia presenta
caratteristiche simili per tutti i campioni, gli andamenti del parametro BS presentano differenze
notevoli da un campione all’altro, a testimonianza della maggiore dipendenza della superficie
dalla morfologia del campione. Anche per il parametro BS si individua in tutti i campioni una
zona centrale ad andamento quasi lineare.
Nella regione quasi lineare evidenziata negli andamenti dei parametri BV e BS in
corrispondenza dei livelli di soglia “centrali” (100-200) non si rilevano, tuttavia, particolari
singolarità che forniscano indicazioni utili alla determinazione dei valori di soglia più
rispondenti. È risultato pertanto necessario ricorrere ad altri criteri.
3.3. Metodi per la determinazione della soglia
Per la sua importanza il problema della determinazione della soglia ottimale ai fini della
binarizzazione di immagini microtomografiche di tessuto osseo spugnoso è stato oggetto di
molti studi finalizzati al calcolo dei parametri istomorfometrici; le soluzioni proposte sono state
diverse; alcune di queste vengono qui di seguito riportate.
– Metodo della variazione minima di BV/TV
Questo metodo è stato utilizzato da alcuni studiosi, par la analisi topologica dell’osso
spugnoso, effettuata attraverso lo studio di immagini acquisite con micro-tomografia
computerizzata (17) e con risonanza magnetica (18). Durante queste ricerche sono state
effettuate indagini circa la variazione della frazione di volume osseo (BV/TV) in
relazione al valore di soglia; è poi stato selezionato, come valore di global threshold, la
soglia corrispondente alla minima variazione del parametro BV/TV.
– Metodo CST (Connectivity Stable Thresholding)
In uno studio molto recente, attuato su immagini di osso trabecolare acquisite per mezzo
di microtomografo computerizzato Skyscan 1072 (19), è stato proposto un nuovo metodo
di determinazione della soglia ottimale, basato sulla analisi di due particolari parametri
24
Rapporti ISTISAN 10/15
morfologici: è stato preso in considerazione un parametro topologico, la “densità di
connettività” Conn.D (Conn.D=(1-χ)/TV, dove χ rappresenta il numero di Eulero, dato,
come sopra descritto, dalla combinazione lineare dei tre numeri di Betti) e un parametro
geometrico, l’indice strutturale SMI. Lo studio degli andamenti di questi due parametri al
variare della soglia, confrontati anche con l’andamento della frazione di volume BV/TV,
ha mostrato i seguenti risultati:
a) la variazione di BV/TV è positivamente correlata con la soglia; presenta per un
ristretto range di soglie un andamento quasi lineare; tuttavia la sola curva di questo
parametro è stata giudicata di non particolare interesse ai fini della determinazione
della soglia;
b) la variazione del parametro SMI mostra una relazione all’incirca lineare (decrescente)
con la soglia, per un range di soglie molto ampio (la non linearità subentra solo per
valori di soglia molto elevati);
c) la densità di connettività Conn.D presenta un andamento fluttuante, ma è presente un
significativo range di soglie che produce un set di valori stabili di Conn.D; in tale
range l’andamento dell’indice SMI risulta linearmente correlato con la soglia.
Sulla base di tali osservazioni, è stato proposto come valore di soglia ottimale il valore
medio del range di soglie dove l’andamento della densità di connettività presenta una
forte stabilità e l’SMI risulta correlato linearmente con la soglia.
Attraverso un altro studio (20) su immagini a 16 bit ottenute con un sistema di
microtomografia computerizzata, vengono esposti i seguenti ulteriori metodi di definizione della
soglia:
– Adaptive Thresholding
Con questa tecnica si ottengono delle soglie locali, considerando non l’immagine
completa ma delle regioni limitate. Prendendo in considerazione ad esempio un voxel
localizzato sulla frontiera tra materiale solido e spazio vuoto, viene presa una stringa di
pixel per tre direzioni ortogonali, e viene ricavato, per ciascuna stringa, l’istogramma dei
livelli di grigio in relazione alla posizione dei voxel corrispondenti. Le soglie locali
vengono individuate in un punto intermedio tra il massimo e il minimo dell’istogramma;
si ottengono così, per ciascun voxel considerato, tre soglie locali, una per ogni direzione.
La soglia finale viene determinata dalla media dei tre valori di soglie locali.
– Global Thresholding
Attraverso questa tecnica viene selezionato un unico valore di soglia, sulla base della
distribuzione dei livelli di grigio presenti sulle immagini. Viene elaborato l’istogramma
del numero dei pixel dell’immagine corrispondenti a ciascun tono di grigio; si nota che
tale istogramma presenta due picchi piuttosto evidenti, corrispondenti al materiale osseo
(il picco più basso) e al background (il picco più elevato); la soglia ottimale viene dunque
individuata nel punto di minimo presente tra il picco del pieno e il picco del vuoto.
3.4. Analisi delle immagini
3.4.1. Caratteristiche delle immagini
Per effettuare l’analisi dei campioni disponibili Alfa, Beta, Delta, Gamma sono state
utilizzate immagini di sezioni bidimensionali relative a tre differenti piani ortogonali:
– piani ortogonali all’asse di rotazione relativa del campione rispetto al sistema sorgentesensori (slice);
25
Rapporti ISTISAN 10/15
– due piani ortogonali tra loro e paralleli alle facce del cubo, nel caso di campioni cubici di
tessuto spugnoso.
Le immagini, prodotte mediante il processo di elaborazione e ricostruzione, si presentano in
formato BITMAP a 8 bit (256 livelli di grigio), hanno dimensioni di 1024x1024 pixel, dimensione
del singolo pixel, determinata dalla risoluzione impostata durante la fase di acquisizione, pari a 11,26
μm per i campioni Alfa, Gamma, Delta e di 14,65 μm per il campione Beta.
3.4.1.1. Rumore
Il rumore è una particolare perturbazione aleatoria, che disturba un segnale, manifestandosi
attraverso fluttuazioni casuali delle grandezze di interesse. Rappresenta in generale un problema
di rilevante importanza nell’ambito di qualsiasi processo di acquisizione ed elaborazione di dati
esso pertanto interferisce notevolmente anche nella corretta interpretazione delle immagini
ottenute per mezzo di microtomografia computerizzata, risultato ultimo di una complessa catena
di misura in cui ogni singola operazione è una sorgente che contribuisce alla generazione
casuale di segnali-disturbo (rumore). In una generica immagine è pertanto possibile considerare
presenti diversi tipi di rumore, la cui varianza complessiva σN2 può essere espressa per mezzo
della somma di tutti i contributi apportati dai diversi rumori:
2
σ N 2 = σ1 +σ22 + ........ +σn2
È stato dimostrato (21, 22) che il rumore generato dal processo di acquisizione di immagini
mediante tomografia computerizzata, è caratterizzato da una funzione densità di probabilità di
tipo Normale:
−
1
f ( x) =
⋅e
σ 2π
( x − m )2
2σ 2
Ciò è dovuto al fatto che tale rumore è prodotto da n cause indipendenti, ed è diretta conseguenza
del fatto che la somma di diverse variabili casuali aventi diverse distribuzioni converge alla
distribuzione Normale (Teorema del Limite Centrale della teoria delle probabilità).
Di seguito sono descritte le principali componenti del rumore presente nelle immagini microtomo
grafiche (23, 24).
3.4.1.1.1. Rumore random
Tale tipo di rumore è dovuto alle fluttuazioni casuali del segnale di interesse; esso si manifesta
principalmente nelle non omogeneità dello sfondo delle immagini.
Si possono distinguere tre principali categorie di rumore random: rumore statistico, rumore
elettronico, rumore roundoff.
– Il rumore statistico
è dovuto al fatto che l’energia nella radiazione X è trasmessa sottoforma di unità discrete, i
fotoni. Da ciò si deduce che la risposta del sensore di radiazione X è in realtà il risultato della
rilevazione di un numero finito di quanti, che può presentare delle variazioni da una misura
all’altra, non a causa della inadeguatezza dell’apparato sensore, bensì delle fluttuazioni
statistiche derivanti dal processo di conteggio. Naturalmente maggiore è il numero di quanti
rilevati in ciascuna misura, maggiore è la accuratezza della misura stessa. La causa principale
del rumore statistico, detto per questo anche quantum noise, è dunque identificata nella natura
discreta della radiazione X. Esso rappresenta chiaramente una limitazione fondamentale dei
processi di acquisizione di immagini per mezzo di emissione di raggi X in quanto l’unico
modo di ottenerne una riduzione consiste nell’incremento del numero di quanti rilevati,
ovvero un aumento dell’energia della radiazione, quindi della dose.
26
Rapporti ISTISAN 10/15
– Il rumore elettronico
è n quel tipo di rumore che, nella elaborazione di segnali elettrici, inevitabilmente i circuiti
elettronici, principalmente quelli analogici, sovrappongono al segnale. Tale tipo di rumore
può dipendere da diversi fenomeni; principalmente si classifica in tre diverse tipologie: il
rumore termico, il rumore shot e il rumore flicker. Il rumore termico è un tipo di rumore
bianco (spettro di potenza costante su tutta la banda delle frequenze). È dovuto alle
fluttuazioni delle cariche nei materiali conduttori causate dall’agitazione termica, che produce
delle variazioni della energia cinetica delle cariche, quindi del numero di collisioni tra di esse.
Il rumore shot è anch’esso un rumore bianco. Si manifesta quando un flusso di corrente
attraversa una barriera di potenziale, quale ad esempio una giunzione pn di un diodo o un
transistor, ed è dovuto fondamentalmente alla natura non continua, bensì discreta, del flusso
di corrente, ovvero è causato dal moto caotico e indipendente dei singoli portatori di carica. Il
rumore flicker è un rumore rosa, ovvero caratterizzato da uno spettro di potenza con
andamento parabolico. Si presenta soprattutto all’interfaccia di due diversi materiali, ma la
sua causa ancora non è del tutto certa. Sembrerebbe essere dovuto alle imperfezioni nella
struttura cristallina dei materiali, che rappresenterebbero dei centri di intrappolamento delle
cariche, che verrebbero poi rilasciate successivamente ad un tempo aleatorio.
La difficoltà di rimozione del rumore elettronico è dovuta, oltre alla sua natura del tutto casuale,
al fatto che per alcuni tipi di sensori di raggi X il segnale elettronico risulta essere molto debole;
questo comporta l’impossibilità della eliminazione del rumore mediante filtraggio, operazione che
comporterebbe la perdita anche di una parte considerevole di informazione utile. Questo problema è
notevolmente limitato se si procede con una conversione del segnale analogico in digitale, sfruttando
in tal modo la proprietà dei circuiti digitali di indipendenza, del segnale fornito in uscita, dal valore
esatto del segnale in ingresso, caratteristica questa che permette il rigetto di gran parte del rumore, e
che rende i moderni scanner CT in grado di ridurre il rumore elettronico ad una frazione minima del
totale rumore statistico.
– Il rumore roundoff (di arrotondamento)
è quel rumore che viene introdotto dai computer digitali durante il processo di
ricostruzione. Gli errori introdotti derivano dall’operazione di binarizzazione dei dati,
ovvero dal numero finito di bit utilizzato dal calcolatore nella rappresentazione di dati
numerici. Questo tipo di rumore può tuttavia essere facilmente ridotto ad un livello
non significativo mediante l’opportuna scelta di un calcolatore in grado di utilizzare
un numero di bit sufficiente ai fini di una approssimazione ottimale per lo specifico
processo di elaborazione, o per mezzo di una opportuna programmazione.
Un secondo tipo di errori roundoff può essere generato anche nella fase di
rappresentazione dell’immagine. Come ben noto, i dati numerici disponibili ai fini
della rappresentazione dell’immagine, corrispondono ai livelli di energia della
radiazione trasmessa a seguito dell’attraversamento di un certo materiale
(proporzionali alla densità); tali dati possono assumere infiniti valori. Tuttavia, se ad
esempio consideriamo una rappresentazione dell’immagine in toni di grigio, i livelli
di grigio a cui è possibile associare i suddetti valori sono discreti e di un numero
finito (256). Ne consegue dunque che nella trasformazione dei dati numerici in livelli
di grigio vengono effettuate delle approssimazioni (diversi valori numerici vengono
associati allo stesso tono), ciò, pur non provocando alcuna alterazione a livello di
visibilità da parte dell’occhio umano (le tonalità di grigio distinguibili alla vista sono
limitate), comporta comunque una perdita di informazione utile.
27
Rapporti ISTISAN 10/15
3.4.1.1.2. Rumore da artefatti
Anche gli artefatti possono essere classificati come una forma di rumore in quanto interferiscono
nell’operazione di interpretazione dell’immagine. Essi possono avere cause differenti e manifestarsi
in modi diversi, traendo origine da vari fenomeni, quali ad esempio il sistema di scansione, gli
algoritmi impiegati, o fattori esterni alla scansione. La presenza di artefatti è in genere facilmente
riconoscibile da una evidente caratteristica che si ripresenta invariata in diverse scansioni dello stesso
oggetto; per tale motivo il rumore da essi prodotto non è classificabile come rumore random.
Tuttavia possono presentarsi casi in cui in alcune zone di ricostruzione si ritrova un incremento della
varianza dovuto alla presenza di artefatti non visibili.
I più comuni artefatti possono essere classificati come: artefatti dovuti a limitazioni fisiche,
artefatti dovuti al paziente (o al campione), artefatti dovuti alla calibrazione.
I principali artefatti dovuti a limitazioni fisiche sono gli artefatti da volume parziale e gli artefatti
da indurimento spettrale.
Nell’immagine ricostruita un pixel rappresenta il valore di attenuazione calcolato in una cella, o
voxel, all’interno di uno strato. Essendo la sorgente di dimensione finita, e il campionamento
effettuato sull’immagine di tipo discreto, in pratica accade che vari tipi di tessuto possono essere
presenti in uno stesso voxel; conseguentemente il livello di grigio associato al pixel corrispondente è
dato da una media delle densità dei diversi tipi di tessuto. Pertanto una combinazione di osso e aria,
che può presentarsi quando l’oggetto (osso) occupa solo parzialmente il campo di irraggiamento
sotto i diversi angoli di vista, o quando non occupa affatto il campo sotto alcuni angoli, può dar
luogo ad una inconsistenza di dati che si traduce nella associazione, per i pixel corrispondenti, di un
livello di grigio intermedio, corrispondente ad un tessuto di minore densità, che in realtà non è
presente nell’immagine. Questi artefatti, dovuti al cosiddetto “effetto di volume parziale”, possono
essere notevolmente ridotti selezionando in acquisizione uno spessore della slice minore; ciò non è
sempre possibile per le limitazioni della strumentazione utilizzata.
L’indurimento spettrale è un particolare fenomeno che consiste nell’aumento del valor medio
dell’energia del fascio dovuto al maggiore assorbimento delle componenti di bassa energia, rispetto a
quelle ad alta energia, nell’attraversare il campione. Infatti i fotoni a bassa energia vengono fermati
dal materiale che attraversano, e in particolar modo vengono più assorbiti che diffusi, provocando,
non una modulazione, ma solo un incremento di dose nel campione. I fotoni inutili (bassa energia)
vengono di norma eliminati applicando al fascio prodotto un filtraggio, ma ciò non basta. Si
generano così artefatti dovuti al fatto che il fascio non è monocromatico, e che quindi il processo di
ricostruzione, che tiene conto di una semplice attenuazione di un fascio monocromatico (modello
dell’integrale di linea), e non di un incremento di dose sul campione, genera una sottostima dei
coefficienti di attenuazione man mano che ci si sposta verso il centro dell’oggetto, ovvero man mano
che il fascio diventa più duro.
Gli artefatti dovuti al paziente (campione) consistono fondamentalmente nei cosiddetti “artefatti
da movimento”. Per quanto riguarda l’acquisizione su pazienti, essi sono causati non solo dai
movimenti del paziente stesso, ma anche dai movimenti degli organi, quali, ad esempio, la
respirazione, i movimenti peristaltici del tratto digestivo, oppure il battito cardiaco, che in particolari
applicazioni internistiche della TC, come esami dello stomaco e del colon, producono risultati poco
chiari che possono rendere difficile l’interpretazione delle immagini ottenute. Per l’analisi su
campioni chiaramente la presenza di tali artefatti è di facile rimozione mediante accurato fissaggio
del campione all’interno della macchina, che impedisce non voluti movimenti relativi tra campione e
sistema di rilevazione. Per questo tipo di esami gli artefatti da movimento dunque non introducono
un problema rilevante.
Gli artefatti dovuti alla calibrazione sono gli artefatti da allineamento e gli artefatti circolari.
28
Rapporti ISTISAN 10/15
I primi sono causati dal fatto che il centro di rotazione del sistema di rilevazione dei raggi X può
non corrispondere con il centro della matrice di ricostruzione. Pertanto la reale posizione del centro
di rotazione può produrre distorsioni nella forma delle strutture in esame.
Gli artefatti circolari si manifestano sottoforma di cerchi nelle immagini. La causa di ciò risiede
nella deriva del guadagno degli amplificatori o nella non corretta calibrazione dei detector.
L’ampiezza di tali artefatti aumenta tanto più rapidamente quanto più il rilevatore in deriva è più
vicino al centro della schiera dei detector stessi. Tuttavia un’accurata calibrazione, un uso di detector
più stabili e una efficace stabilizzazione dei circuiti elettronici può quanto meno limitare tale
tipologia di artefatto.
3.4.2.
Istogrammi dei livelli di grigio e loro caratteristiche
3.4.2.1. Procedimento per l’estrazione degli istogrammi
È stato messo a punto un apposito procedimento di elaborazione che rende possibile
l’estrazione, dalle immagini prodotte dalla scansione, degli istogrammi dei livelli di grigio
relativi a porzioni di immagini opportunamente scelte in base alle esigenze di analisi. Scelta
quindi una immagine e le specifiche porzioni da esaminare sono state ricavate le matrici
numeriche rappresentative dei livelli di grigio corrispondenti a ciascun pixel; tali matrici,
trasferite ad un apposito foglio elettronico, vengono sottoposte ad una operazione di
“conteggio” del numero dei pixel corrispondenti a ciascun tono di grigio (da 0 a 255). Il risultato
di tale conteggio viene poi reso disponibile per le successive analisi e per la sua
rappresentazione grafica.
3.4.2.2. Analisi degli istogrammi
3.4.2.2.1. Istogramma immagine completa
In Figura 4 viene riportato, a titolo di esempio, l’istogramma di una immagine completa
n° pixel
20.000
15.000
10.000
5.000
0
0
50
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 4. Istogramma dell’immagine completa
In Figura 5 viene riportato lo stesso istogramma di Figura 4 rappresentato con una diversa
scala delle ordinate allo scopo di meglio evidenziare l’andamento dell’istogramma.
29
Rapporti ISTISAN 10/15
n° pixel
1.600
800
0
0
50
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 5. Particolare dell’istogramma dell’immagine completa
Sull’asse delle ascisse sono riportati i livelli di grigio presenti sull’immagine: il valore 0
rappresenta il tono più scuro (nero), il valore 255 rappresenta il tono più chiaro (bianco).
Partendo dal livello più scuro (0), l’andamento presenta un primo massimo,
generalmente collocato tra i livelli 70 e 100, rappresentativo del livello di grigio più
frequente nella regione del “pieno” (presenza di materiale osseo).
Spostandosi verso i livelli più chiari si ritrova generalmente una zona centrale dello
spettro con più bassi numeri di pixel. Spostandosi ancora verso il bianco si rileva un
intervallo (livelli 200-230) con una moderata crescita del numero dei pixel seguita da un
picco molto elevato in corrispondenza dei livelli prossimi al bianco (255).
Appare evidente come l’andamento dell’istogramma dell’intera immagine sia il risultato
della sovrapposizione di vari fenomeni dovuti non solo alla presenza o meno di materiale
osseo ma anche al rumore e agli artefatti connessi alle modalità di funzionamento e di
elaborazione dei dati da parte dello scanner.
Mediante l’estrazione di istogrammi relativi ad aree “omogenee” (area del pieno, area
del vuoto esterno al campione, area del vuoto interno al campione) sono state evidenziate le
caratteristiche di ciascuna regione dell’immagine e il tipo di contributo fornito da ciascuna
di esse alla formazione dell’istogramma complessivo.
Di seguito vengono riportati i risultati di tali analisi.
3.4.2.2.2. Istogramma della zona esterna all’area di interesse
Trascurata la parte esterna delle immagini (i quattro settori in prossimità dei vertici),
costituita da pixel di livello 255 (bianco), si è presa in considerazione l’area di aspetto “grigio
chiaro”, compresa tra detta area esterna e l’area del campione (area di interesse).
Nella Figura 6 viene mostrato il contorno dell’area presa in considerazione, assieme al
relativo istogramma estratto mediante il procedimento precedentemente illustrato.
Si nota come l’istogramma sia costituito da un addensamento dei pixel nei livelli compresi
tra 240 e 255, con un massimo situato in prossimità del livello 255. Sovrapposta all’istogramma,
nella figura è riportata la curva approssimante, che corrisponde ad un impulso di mediana in
corrispondenza del livello 255.
30
Rapporti ISTISAN 10/15
8.000
7.000
n. pixel
6.000
5.000
4.000
3.000
2.000
1.000
0
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 6. Istogramma dell’area esterna al campione
3.4.2.2.3. Istogramma dell’area del vuoto interno al campione
Si è poi presa in considerazione un’area corrispondente allo spazio vuoto presente all’interno
della struttura del campione, cioè collocato in prossimità della massa ossea.
Nella Figura 7 viene riportato il contorno dell’area del “vuoto” interno al campione preso in
considerazione, assieme al relativo istogramma.
1.000
n. pixel
800
600
400
200
0
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 7. Istogramma dell’area del “vuoto” interno al campione
Gli istogrammi dell’area del vuoto interno al campione hanno mostrato un andamento a
campana, centrato nell’intervallo 230-245; l’andamento risulta ben approssimato da una
distribuzione Normale.
Tale andamento mostra come i toni di grigio nello spazio vuoto presente all’interno della
struttura trabecolare (in prossimità della massa ossea) abbiano una distribuzione differente
rispetto a quella rilevata per lo spazio vuoto nella zona esterna al campione.
La dispersione dei toni di grigio esterni al campione è il risultato dei “disturbi” introdotti dal solo
processo di elaborazione; mentre, nello spazio interno alla struttura, si aggiungono altri fenomeni
31
Rapporti ISTISAN 10/15
aleatori, legati alla presenza ravvicinata della massa ossea. L’insieme di tali fenomeni aleatori, in
accordo con quanto dimostrato dal Teorema del Limite Centrale (25), fa convergere la distribuzione
dei livelli di grigio, in tali porzioni delle immagini, ad una distribuzione Normale.
3.4.2.2.4. Istogramma dell’area del pieno del campione
Prendendo in esame una zona corrispondente al solo materiale solido (spazio pieno), si è poi
ricavato l’istogramma di distribuzione dei toni di grigio relativo a tale regione. Nella Figura 8,
viene riportato il contorno dell’area presa in considerazione assieme al relativo istogramma.
n. pixel
200
100
0
0
20
40
60
80 100 120 140 160 180 200
Livelli di grigio
Figura 8. Istogramma dell’area del “pieno”
Anche gli istogrammi relativi alla regione corrispondente alla presenza del materiale osseo
solido presentano un andamento del numero dei pixel per ciascun livello di grigio convergente
ad una distribuzione Normale già individuabile negli istogrammi relativi all’immagine
completa. La mediana di tale distribuzione, in generale collocata nell’intervallo dei toni di
grigio più scuri (60-115), è risultata variabile a seconda del tipo di campione osseo analizzato.
Anche in questo caso la distribuzione è il risultato dell’azione concorrente di numerose variabili
aleatorie fra cui, in questo caso, anche la non uniforme distribuzione della densità all’interno del
materiale osseo.
3.4.2.2.5. Istogramma della zona di interesse
In relazione a quanto sopra osservato, e considerato che l’informazione utile ai fini della
determinazione della soglia è contenuta esclusivamente nella regione occupata dal campione, si è
presa in esame tale porzione dell’immagine e se ne è ricavato il relativo istogramma.
Nella Figura 9 viene riportato il contorno dell’area presa in considerazione assieme al relativo
istogramma. Rispetto all’istogramma dell’immagine completa, si nota che l’eliminazione della zona
esterna all’area del campione comporta la scomparsa del picco centrato nel livello 255, lasciando in
evidenza la presenza di una distribuzione Normale legata ai vuoti, interni alla struttura, disturbati
dalla prossimità di massa ossea. Tale distribuzione nell’istogramma dell’immagine completa rimane
quasi completamente “nascosta” sotto il picco centrato nel livello 255.
L’istogramma dell’area di interesse appare dunque, in prima approssimazione, assimilabile alla
somma di due distribuzioni Normali: una relativa alla distribuzione dei pieni, con mediana centrata
in corrispondenza del primo massimo relativo, e una relativa alla distribuzione dei pixel vuoti, con
mediana centrata in corrispondenza del secondo massimo relativo.
32
Rapporti ISTISAN 10/15
6.000
5.000
n. pixel
4.000
3.000
2.000
1.000
0
0
50
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 9. Istogramma dell’area del campione
3.4.2.3. Determinazione delle curve approssimanti e individuazione
di una popolazione di pixel intermedia
Sulla base delle precedenti considerazioni, si è proceduto, con un metodo di discesa
“sequenziale” (26), alla determinazione dei parametri delle curve Normali approssimanti al
meglio (valore minimo dello scarto quadratico medio) le due distribuzioni.
Si riportano qui di seguito nella Figura 10 i risultati di tale operazione effettuata
sull’immagine di Figura 9.
6.000
5.000
Distribuzione
pixel "vuoti"
n. pixel
4.000
3.000
Dati osservati
2.000
Distribuzione
pixel "pieni"
1.000
0
0
50
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 10. Istogramma dell'area del campione; distribuzioni Normali dei pieni e dei vuoti
33
Rapporti ISTISAN 10/15
Il grado di conformità delle curve approssimanti calcolate rispetto ai dati rilevati è stato verificato
mettendo a confronto, mediante il test del χ2, i dati dell’istogramma con la somma delle due
distribuzioni Normali calcolate (27). I risultati del test sono riportati nella Figura 11.
Il test rivela un buon grado di conformità delle curve Normali calcolate rispetto ai dati
dell’istogramma, rivelato dal costante mantenersi dei valori del χ2(10) al di sotto della soglia del
χ2(10)=4,86, corrispondente al livello di probabilità 90% che le variazioni dei dati rispetto alle curve
calcolate siano riconducibili al caso e non ad errori sistematici. Come evidente in figura, ciò si
verifica per tutto il campo ad eccezione di un ben delimitato intervallo intermedio caratterizzato dal
brusco innalzamento dei valori del χ2(10), che arrivano a superare bruscamente anche la soglia del
χ2(10)=18,31, corrispondente al livello di probabilità del 5%. Questo mette in evidenza la presenza di
una “popolazione” di pixel, di toni di grigio intermedi, caratterizzati da una probabilità ben superiore
al 95% di non appartenere né alla popolazione del vuoto né a quella del pieno, dunque non
statisticamente riconducibili né a materiale osseo solido, né a spazio vuoto.
100
90
80
Soglia di probabilità 0,05:
χ 2 (10)=18,31
70
χ 2(10)
60
50
Soglia di probabilità 0,90:
χ 2 (10) =4,86
40
30
20
10
0
0
50
100
150
Livelli di grigio
200
250
Figura 11. Test del χ2
Ciò può essere attribuito alla presenza di artefatti da volume parziale localizzati nei pixel
contenenti sia tessuto osseo, sia spazio vuoto, ossia nei pixel di frontiera.
Allo scopo di verificare tale ipotesi si è proceduto alla visualizzazione delle posizioni dei pixel
contenuti nell’intervallo di livelli “fuori statistica”, binarizzando l’immagine per i livelli di grigio
minimo e massimo dell’intervallo ed effettuandone la differenza.
La Figura 12 mostra il risultato di tale operazione relativo all’area del campione della slice
Alfa_0400. L’immagine presenta i soli pixel relativi ai livelli di grigio dal 107 al 206.
L’immagine mostra la collocazione dei pixel in questione sulla zona della frontiera tra tessuto
osseo e spazio vuoto, a conferma dell’ipotesi che i pixel risultati fuori statistica appartengano, per la
maggior parte, alla zona di frontiera. È da notare la presenza, in alcune particolari zone, anche di
pixel non strettamente di frontiera, attribuibili per lo più ad artefatti.
Il problema della scelta di una soglia ottimale risiede proprio nella scelta di uno specifico tono di
grigio che permetta di separare in modo appropriato i pixel appartenenti a questa popolazione
intermedia tra i pixel da includere nell’insieme dei pieni e quelli da considerare nell’insieme dei
vuoti.
34
Rapporti ISTISAN 10/15
Figura 12. Visualizzazione delle posizioni dei pixel contenuti nell’intervallo di livelli fuori statistica
3.4.2.4. Analisi della popolazione dei pixel intermedi:
determinazione della curva approssimante
Si è quindi proceduto al calcolo della distribuzione-differenza tra la curva della popolazione di
pixel osservati (dati) e le curve calcolate relative alle popolazioni del pieno e del vuoto. Si sono
così separati i pixel che statisticamente sono riconducibili al pieno e al vuoto da quelli non
riconducibili a nessuna di tali due popolazioni, dunque appartenenti ad una popolazione di
frontiera. Si è quindi proceduto al calcolo, con il metodo dei minimi quadrati, del miglior
polinomio approssimante tale distribuzione; il risultato è qui di seguito visualizzato in Figura 13.
1000
800
scarto (n. pixel)
600
400
200
0
-200
-400
-600
0
50
100
150
200
250
Livello di grigio
Figura 13. Andamento della differenza tra la curva della popolazione
di pixel osservati (dati) e le curve Normali calcolate del pieno e del vuoto e polinomio di 5° grado
approssimante la distribuzione della "popolazione intermedia"
35
Rapporti ISTISAN 10/15
3.4.2.5. Modello matematico complessivo dell’istogramma
La curva approssimante dell’istogramma dell’area del campione risulta dunque essere data
dalla somma di tre distribuzioni: due distribuzioni Normali, relative al pieno e al vuoto, e una
terza distribuzione rappresentativa della popolazione intermedia che risulta ben approssimabile
con un polinomio.
Nella Figura 14 viene riportato il risultato delle elaborazioni eseguite
6000
5000
n. pixel
4000
3000
2000
1000
0
0
50
100
150
Livelli di grigio
200
250
Figura 14. Modello complessivo dell’istogramma dell’area del campione.
Istogramma e curva approssimante
Si può vedere come la curva risultante sia sostanzialmente sovrapposta in tutto il campo ai
valori dell’istogramma.
La curva risulta essere sinteticamente descritta dai valori dei seguenti parametri
dell’equazione della curva approssimante :
– fattore di scala della distribuzione normale dei pixel pieni (il suo valore indica il numero
complessivo di pixel pieni presenti nell’immagine);
– mediana della distribuzione normale dei pixel pieni (il suo valore è correlato alla densità
del materiale);
– sigma della distribuzione normale dei pixel pieni (il suo valore è correlato alla variabilità
della densità del materiale);
– fattore di scala, Mediana e Sigma della distribuzione normale dei pixel vuoti;
– coefficienti di grado 0, 1 e 2 (i coefficienti di grado superiore assumono valori non
significativi) del polinomio approssimante la popolazione dei pixel intermedi.
I valori assunti da questi parametri rappresentano in modo sintetico le caratteristiche salienti
dell’istogramma dei livelli di grigio dell’immagine dell’area del campione e potrebbero
direttamente fornire (singolarmente e/o in opportune loro combinazioni) indicatori utili per la
caratterizzazione non solo delle immagini, ma anche degli stessi campioni esaminati.
Per verificare la validità del risultato visivo, è stato elaborato il relativo test del χ2. In Figura
15 viene riportato il risultato del test del χ2 che conferma l’elevato livello di congruenza, in tutto
il campo, della curva calcolata con l’andamento dell’istogramma dell’area del campione.
36
Rapporti ISTISAN 10/15
16
14
12
Soglia di probabilità 0,90:
χ 2 (10) =4,86
χ 2 (10)
10
8
6
4
2
0
0
50
100
150
Livelli di grigio
200
250
Figura 15. Test del χ2 della curva complessiva approssimante l’istogramma dell’area del campione
3.4.3. Scelta dei valori di soglia
3.4.3.1. Criteri di determinazione della soglia di binarizzazione
A partire dai risultati dell’analisi degli istogrammi delle immagini dell’area del campione e
in particolare tenendo presente le tre popolazioni dei pixel individuate in tali istogrammi, sono
stati individuati tre criteri di definizione del livello ottimale di binarizzazione delle immagini
coerenti con il modello esposto.
3.4.3.1.1. Soglia del 50%
Individuata, per mezzo dell’analisi dell’istogramma dei livelli di grigi, la popolazione di
pixel non riconducibile statisticamente né al materiale osseo, né a spazio vuoto, sono stati presi
in considerazione quei toni di grigio per i quali, nel test del χ2 relativo alla distribuzione
calcolata come somma delle due distribuzioni normali dei “pieni” e dei “vuoti” si evidenzia il
brusco superamento del valore di χ2(10)=18,31. Si è quindi determinato l’intervallo di livelli di
grigio all’interno del quale si riscontra una probabilità superiore al 95% che la discordanza dei
valori dei pixel osservati rispetto alle due curve Normali (del pieno e del vuoto) non è più
riconducibile a fenomeni casuali, ma deve essere invece attribuita ad una causa sistematica; è
stato così individuato l’intervallo in cui sono presenti pixel riconducibili alla popolazione
intermedia.
Nella Figura 16 è rappresentato il test del χ2, con l’evidenziazione della suddetta soglia di
probabilità 0,05; sono evidenti i limiti dell’intervallo in cui viene superata la soglia.
Per la stessa slice, la Figura 17 mostra il particolare della porzione di istogramma relativo
all’intervallo individuato, con l’indicazione dei valori dei livelli di grigio per i quali si rilevano
valori del χ2(10) immediatamente superiori alla soglia del χ2(10)=18,31.
37
Rapporti ISTISAN 10/15
100
90
Soglia di probabilità 0,05:
χ 2 (10)=18,31
80
χ 2(10)
70
60
50
40
30
20
10
0
0
50
100
150
200
250
Livelli di grigio
Figura 16. Determinazione dei limiti dell’intervallo della popolazione di pixel intermedi
mediante test del χ2
4.000
3.500
3.000
n. pixel
2.500
2.000
Livello
107
1.500
Livello
208
1.000
500
0
80
100
120
140
160
180
200
220
Livelli di grigio
Figura 17. Particolare dell’istogramma con i limiti dell’intervallo dei pixel intermedi
Ancora per la stessa slice, nella Figura 18, viene rappresentato l’andamento della differenza
nel numero dei pixel osservati e i corrispondenti valori calcolati in base alle due distribuzioni
Normali dei pieni e dei vuoti nell’intervallo di livelli di grigio nel quale si verifica il
superamento della soglia χ2(10)=18,31.
38
Rapporti ISTISAN 10/15
1000
900
800
n. pixel
700
600
500
400
300
200
100
0
60
80
100
120
140
160
180
200
Livelli di grigio
Figura 18. Andamento della differenza nel numero dei pixel osservati e i corrispondenti valori
calcolati in base alle due distribuzioni Normali dei pieni e dei vuoti
Tale distribuzione può dunque ipotizzarsi rappresentativa dell’insieme dei pixel
intermedi, cioè, come in precedenza evidenziato, collocati principalmente sulla frontiera del
solido, dunque parzialmente pieni. Tali pixel, nel processo di binarizzazione, devono essere
necessariamente assegnati o alla categoria del pieno o alla categoria del vuoto.
Partendo da questo presupposto risulta ragionevole spartire equamente tale popolazione
di pixel tra la popolazione del pieno e la popolazione del vuoto.
Si è dunque definito come soglia di binarizzazione quel livello per il quale passa la linea
verticale che divide l’istogramma della popolazione “intermedia in due aree uguali, ovvero,
trattandosi di una distribuzione discreta, quel valore di ascissa che approssima al meglio la
mediana della distribuzione.
In questo modo chiaramente non si ottiene la divisione esatta tra pieno e vuoto, in quanto
alcuni dei pixel attribuiti al pieno saranno comunque occupati parzialmente da spazio vuoto,
così come parte di quelli attribuiti al vuoto saranno parzialmente pieni. Si può tuttavia
ritenere tali opposti effetti siano vicendevolmente compensati.
Si è dunque effettuato il calcolo della mediana della distribuzione mediante la somma
progressiva dei pixel presenti nella distribuzione ed è stato determinato il valore di ascissa
(livello di grigio) per il quale la somma progressiva dei pixel corrisponda al 50% del totale
dei pixel appartenenti alla distribuzione. Tale valore di livello di grigio è stato definito
come Soglia del 50%.
Nella Figura 19 viene riportato l’andamento della somma progressiva dei valori della
distribuzione della precedente Figura 18 con la rappresentazione geometrica del
procedimento di individuazione del livello di soglia del 50%.
39
Rapporti ISTISAN 10/15
50.000
50 % del
totale
Somma pixel
40.000
30.000
20.000
Livello
SOGLIA
= 163
10.000
0
60
80
100
120
140
Livelli di grigio
160
180
200
Figura 19. Determinazione geometrica del livello di Soglia del 50%
3.4.3.1.2. Soglia di equiprobabilità
La seconda possibile soglia di binarizzazione che è stata definita è la Soglia di
equiprobabilità, cioè la soglia in cui la probabilità di appartenenza di un pixel alla popolazione
dei pieni diventa uguale alla sua probabilità di appartenenza alla popolazione dei pixel vuoti”.
Come mostrato nella Figura 20 la soglia viene determinata facilmente dall’ascissa
corrispondente al punto di intersezione fra le due curve Normali relative alle due popolazioni
dei pieni e dei vuoti.
.
Soglia di
equiprobabilità
Figura 20. Determinazione della Soglia di equiprobabilità
40
Rapporti ISTISAN 10/15
3.5.3.1.3. Soglia strutturale
.
La soglia al 50% dei pixel intermedi appare, sul piano teorico, applicabile in tutti i casi in cui
si tenda a definire parametri istomorfologici legati al volume della massa ossea. Nel caso in cui
si utilizzi una soglia per l’esecuzione di elaborazioni finalizzate alla valutazione di parametri di
resistenza meccanica (ad es. il modulo elastico), l’ipotesi di compensazione fra le porzioni piene
e le porzioni vuote dei pixel intermedi non appare applicabile in quanto le porzioni di volume
corrispondenti ai pixel intermedi non sembrano potere dare alcun contributo alla resistenza
meccanica della massa ossea, in relazione al fatto che i pixel intermedi sono riconducibili allo
strato superficiale della struttura. Come osservabile nelle immagini al microscopio disponibili in
letteratura, lo strato superficiale delle trabecole presenta di norma una superficie con una
rugosità di dimensioni paragonabili o superiori a quelle dei pixel, dovuta ai processi di
rimodellamento operati da osteoblasti e osteoclasti, le cui dimensioni sono variabili tra 20 μm e
200 μm. Tale rugosità impedisce di ipotizzare che detto strato superficiale possa in qualche
modo collaborare alla resistenza strutturale. Pertanto, nelle elaborazioni relative ai test
meccanici sui campioni lo strato superficiale non dovrebbe essere preso in considerazione.
Al fine di eliminare tale strato dalle valutazioni dei volumi finalizzate al calcolo dei
parametri di resistenza meccanica si deve prendere in considerazione solamente il numero dei
pixel completamente pieni, cioè si dovrebbero prendere in considerazione tutti i pixel che
nell’istogramma costituiscono l’area sottostante alla distribuzione del pieno.
Considerato che, per una distribuzione Normale, l’area inclusa tra x = m-3σ e x = m+3σ (dove m
corrisponde al livello della mediana) rappresenta il 99,73% dell’area totale sottesa alla curva,
assumendo come soglia il livello corrispondente a x = mpieno+3σpieno si prenderebbero in
considerazione il 99,73% dei pixel pieni, ma con tale livello si comprenderebbe anche un
considerevole numero di pixel appartenente alla popolazione del “parzialmente pieno”, che in questa
sede, come già detto, devono essere eliminati dal conteggio. Si è dunque scelto come valore di
Soglia strutturale quel livello L per il quale, considerato l’intervallo compreso tra i livelli x = mpieno e
x = mpieno+3σpieno si verifica l’uguaglianza dell’area compresa tra la curva dei pixel osservati e la
curva Normale del pieno nell’intervallo (m,L), e l’area sottostante la curva Normale del pieno
nell’intervallo (L, m+3σ). Nella Figura 21 vengono mostrate le due aree equivalenti.
Mediana
Livelli di grigio
Soglia
Mediana + 3 σ
Figura 21. Rappresentazione geometrica del criterio di determinazione del valore di soglia strutturale
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Rapporti ISTISAN 10/15
Si ottiene in questo modo una compensazione dei pixel parzialmente pieni che vengono
inclusi nel conteggio e che dovrebbero essere esclusi per quanto sopra esposto, con i pixel
completamente pieni (appartenenti alla distribuzione del pieno) che invece vengono trascurati
pur dovendo invece essere inclusi nel conteggio.
3.4.3.1.4. Global Thresholding
Per disporre di un riferimento con i metodi di determinazione della soglia ottimale già
presenti in letteratura, è stato scelto di effettuare il calcolo dei valori di soglia anche con la
tecnica Global Thresholding, in quanto ritenuto il metodo di più appropriata e immediata
applicazione ai casi in esame.
I valori ottenuti con questa tecnica forniscono un termine di paragone per i risultati del
calcolo della “Soglia del 50%” e della “Soglia di Equiprobabilità”, ma non per la “Soglia
Strutturale” in quanto quest’ultima è concettualmente diversa dalle altre e quindi non
confrontabile.
È stato quindi calcolato il livello di grigio corrispondente al punto di minimo relativo della
distribuzione dei pixel, collocato tra i due picchi corrispondenti al pieno e al vuoto.
Per l’individuazione del minimo la regione di istogramma compresa tra i due picchi è stata
approssimata ad un polinomio di terzo grado, e il valore di Global Thresholding è stato
individuato ricercando il minimo di tale polinomio, come mostrato nella Figura 22.
1600
1400
n. pixel
1200
Livello
SOGLIA
=145
1000
800
600
400
80
100
120
140
160
180
200
Livelli di grigio
Figura 22. Determinazione del valore di Global Thresholding
3.4.3.1.5. Schema riassuntivo del procedimento seguito per la determinazione delle soglie
Si riassume qui di seguito il procedimento adoperato per l’estrazione dei valori di soglia
sopra descritti.
1) Best-fitting della curva Normale approssimante la popolazione dei pixel pieni a partire dai
dati dell’istogramma della regione di interesse dell’immagine analizzata.
2) Best-fitting della curva Normale approssimante la popolazione di pixel vuoti dai dati
dell’istogramma della regione di interesse dell’immagine analizzata.
3) Determinazione del valore di Soglia di Equiprobabilità (ascissa del punto di intersezione
delle curve Normali approssimanti la popolazione del pieno e del vuoto).
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Rapporti ISTISAN 10/15
4) Calcolo dell’andamento dei valori del χ2(10) e determinazione dei livelli di “inizio” e
“fine” della popolazione dei pixel intermedi.
5) Determinazione dell’istogramma della popolazione dei pixel intermedi (ascisse dei punti
di superamento della soglia del χ2(10)=18,31).e del relativo polinomio approssimante.
6) Determinazione del valore di Soglia del 50% (mediana della distribuzione dei pixel
intermedi).
7) Determinazione del valore di soglia mediante tecnica Global Thresholding (livello di
grigio corrispondente al minimo relativo della distribuzione dei pixel nell’intervallo
compreso tra i due picchi corrispondenti alle mediane del pieno e del vuoto.
8) Determinazione del valore di Soglia Strutturale.
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4. RISULTATI DELL’ANALISI DEI CAMPIONI
4.1. Valori delle soglie di binarizzazione
Considerata la variabilità delle caratteristiche delle immagini relative ad uno stesso
campione, dovuto alla natura del tutto aleatoria dei fenomeni di disturbo, alla irregolarità della
struttura trabecolare, e alla non omogeneità del materiale osseo, le indagini finora descritte sono
state effettuate su 10 immagini (10 sezioni) per ciascuno dei quattro campioni di tessuto
spugnoso, al fine di determinare in modo statisticamente valido le caratteristiche dei singoli
campioni e i valori delle soglie sopra definite come media dei valori risultanti dall’analisi delle
singole immagini.
Nella Tabella 1 di seguito riportata sono indicati i valori medi dei toni di grigio individuati
come limiti dell’intervallo riconducibile alla popolazione “intermedia” e i valori medi di soglia
estratti per ciascun campione di tessuto spugnoso analizzato (Alfa, Beta, Gamma, Delta).
I valori medi riportati sono ottenuti dall’approssimazione della media dei valori ricavati per
ciascuna immagine analizzata di ciascun campione, approssimati al più vicino numero intero.
Tabella 1. Valori di soglia e limiti dell'intervallo della popolazione intermedia
Campioni
Alfa
Beta
Gamma
Delta
Intervallo
Soglia
del 50%
Soglia
di equiprobabilità
Global
Thresholding
109-213
110-200
79-210
117-211
168
155
148
167
164
156
nd
170
147
158
145
nd
Soglia
strutturale
127
128
92
144
nd = non determinato
Per il campione Alfa si osserva che i valori di Soglia del 50% e di Soglia di Equiprobabilità
sono all’incirca coincidenti, mentre i valori di soglia estratti con la tecnica Global Thresholding
sono consistentemente più bassi.
Per il campione Beta si osserva che i valori di Soglia del 50%, di Soglia di Equiprobabilità
sono all’incirca coincidenti anche con i valori di soglia calcolati con la tecnica Global
Thresholding.
Per il campione Gamma i valori di Soglia di Equiprobabilità sono risultati non significativi,
in quanto le distribuzioni Normali del pieno e del vuoto relative agli istogrammi caratteristici
delle immagini di tale campione presentano le rispettive mediane molto distanti tra loro, e
quindi la probabilità nel punto di equiprobabilità risulta essere troppo bassa (dell’ordine di 10-5 10-6) per avere una qualche significatività. I valori di Soglia del 50% e di Global Thresholding
sono all’incirca coincidenti.
Per il campione Delta la tecnica Global Thresholding non è risultata applicabile, in quanto
gli istogrammi relativi alle immagini di tale campione sono caratterizzati da un andamento
monotono crescente dovuto alla prossimità dei valori dei picchi relativi al pieno e al vuoto; tali
istogrammi risultano pertanto privi di punti di minimo. I valori estratti di Soglia del 50% e di
Soglia di Equiprobabilità sono, anche in questo caso, all’incirca coincidenti.
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Rapporti ISTISAN 10/15
4.2. Osservazioni sui valori della mediana della
distribuzione dei pieni
Durante l’esecuzione dei calcoli per la determinazione delle soglie di binarizzazione sono stati
necessariamente determinati anche i valori delle mediane delle distribuzioni Normali dei pieni.
Nella Tabella 2 vengono riportati i livelli medi delle mediane delle curve approssimanti la
distribuzione del pieno (M1) degli istogrammi delle immagini analizzate per ciascun campione
(Alfa, Beta, Delta, Gamma).
I valori medi riportati sono ottenuti dall’approssimazione della media dei valori ricavati per
ciascuna immagine analizzata di ciascun campione, approssimati al più vicino numero intero.
Tabella 2. Valori della mediana della distribuzione dei pieni
Mediana
M1
Alfa
Beta
Gamma
Delta
92
96
62
116
Considerato che la distribuzione dei toni di grigio nelle immagini tomografiche è
strettamente connessa con la distribuzione delle densità del materiale attraversato dalla
radiazione, il valore della mediana delle distribuzione Normale del pieno risulta essere un buon
indicatore della densità del materiale osseo analizzato.
La variabilità, seppur modesta, di tale valore, rilevata su sezioni diverse dello stesso campione,
ha confermato la non omogenea distribuzione spaziale della densità del materiale osseo.
Tuttavia ciò che risulta maggiormente evidente dall’osservazione dei dati è la forte
variabilità dei valori sui diversi campioni, che porta a ipotizzare, per essi, la presenza di
differenti stati patologici. In particolare si evidenzia una somiglianza tra i campioni Alfa e Beta,
i cui livelli della mediana (valori medi 92 e 96) si discostano consistentemente da quelli del
campione Delta, nel quale si riscontrano livelli molto più alti (valore medio 116),
rappresentativi di una densità media nettamente più bassa, e del campione Gamma,
caratterizzato da livelli molto più bassi (valore medio 62), dunque da una densità media
decisamente più alta.
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Rapporti ISTISAN 10/15
CONCLUSIONI
Lo studio condotto sugli istogrammi delle immagini ottenute dalla scansione di campioni di
tessuto osseo spugnoso ha messo in evidenza in primo luogo l’esistenza di differenti
caratteristiche fra le varie porzioni delle immagini prodotte dal software di ricostruzione.
L’analisi condotta sulle varie porzioni omogenee delle immagini (area esterna al campione, area
del vuoto interno al campione, area del pieno del campione) ha permesso di comprendere le
caratteristiche di ciascuna area omogenea e di indirizzare le successive valutazioni sull’area del
campione di osso spugnoso (area della zona di interesse) isolata dalle circostanti porzioni
dell’immagine sostanzialmente prive di specifici contenuti informativi.
L’analisi degli istogrammi dei livelli di grigio, estraibili dalle porzioni delle immagini
relative all’area del campione, ha mostrato la possibilità di suddividere l’insieme di tutti i pixel
costituenti detta porzione di immagine in tre distinte popolazioni:
a) la popolazione dei pixel da considerare pieni di materiale osseo;
b) la popolazione dei pixel da considerare vuoti;
c) la popolazione dei pixel definiti intermedi in quanto non statisticamente compatibili né
con la popolazione dei pixel pieni né con quella dei pixel vuoti.
È stato mostrato che i pixel di tale popolazione intermedia risultano sistematicamente
collocati in corrispondenza della frontiera fra tessuto osseo e spazio circostante. La diversità
statistica di tali pixel può quindi essere attribuita, anche in relazione alle particolari
caratteristiche di “rugosità” della superficie del tessuto, alla presenza di artefatti da volume
parziale, ovvero alla compresenza di tessuto osseo e aria all’interno di uno stesso voxel di
frontiera, che si traduce nell’associazione, per quel voxel, di un livello di grigio intermedio.
L’analisi delle distribuzioni dei pixel nei diversi livelli di grigio, condotta per ciascuna delle
tre popolazioni, ha mostrato che le prime due, relative ai pixel pieni e ai pixel vuoti si
presentano come distribuzioni Normali, mentre la terza si presenta in forma polinomiale
sostanzialmente quadratica.
È stato quindi possibile, mediante procedimenti di best-fitting, determinare i valori dei
parametri (fattore di scala, mediana e sigma della distribuzione dei pieni; fattore di scala,
mediana e sigma della distribuzione dei vuoti; coefficienti del polinomio approssimante la
distribuzione dei pixel intermedi) e ottenere un modello dell’andamento dell’intero istogramma
dell’area del campione di osso spugnoso.
Il modello, sottoposto a test del χ2, ha mostrato una sufficiente accuratezza su tutto il campo
dei livelli di grigio. I nove parametri dell’equazione che rappresenta l’andamento
dell’istogramma forniscono una misura sintetica delle caratteristiche salienti dell’istogramma
dell’immagine dell’area del campione e potrebbero fornire (singolarmente e/o in combinazione
fra loro) dirette indicazioni utili per la caratterizzazione, non solo delle immagini, ma anche
degli stessi campioni di osso spugnoso esaminati. È stata in particolare evidenziata la
significatività del livello del tono di grigio della mediana della popolazione dei pixel pieni.
Sulla base delle precedenti considerazioni, sono stati definiti tre criteri di determinazione
delle soglie di binarizzazione:
1) soglia del 50%;
2) soglia di equiprobabilità;
3) soglia “strutturale”.
Le prime due sono rivolte alla determinazione della soglia da impostare per la
determinazione di parametri istomorfometrici finalizzati alla caratterizzazione geometrica del
tessuto osseo. La soglia detta “strutturale” è rivolta invece alla determinazione di parametri
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Rapporti ISTISAN 10/15
istomorfometrici finalizzati alla valutazione delle caratteristiche di resistenza alle sollecitazioni
meccaniche del tessuto osseo (ad esempio: modulo elastico).
La “Soglia del 50%” e la “Soglia Strutturale” hanno mostrato di essere sempre calcolabili
anche nei casi in cui le particolari caratteristiche dell’istogramma dei livelli di grigio hanno
impedito la stima della Soglia di Equiprobabilità e, in altri casi, la stima della soglia Global
thresholding.
Migliori e più affidabili criteri di binarizzazione delle immagini ottenute dalla scansione con
microCT pemettono una più accurata determinazione dei parametri istomorfometrici. In
particolare risulta di notevole utilità la capacità dei criteri proposti di fornire risultati anche in
presenza di campioni in cui si presenti uno stato patologico che ne alteri le caratteristiche di
densità e geometria; quindi proprio nei casi in cui risulta più utile una accurata determinazione
dei parametri istomorfomentrici.
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Roma, aprile-giugno 2010 (n. 2) 9° Suppl.