La Seconda Guerra Mondiale
La seconda guerra mondiale è il conflitto che tra il 1939 e il 1945 vide confrontarsi da un lato le
potenze dell'Asse e dall'altro i paesi alleati. Viene definito «mondiale» in quanto, così come già
accaduto per la Grande Guerra, vi parteciparono nazioni di tutti i continenti e le operazioni belliche
interessarono gran parte del pianeta.
Iniziò il 1º settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania; terminò, nel teatro
europeo, l'8 maggio 1945 con la resa tedesca e, nel teatro asiatico, il successivo 2 settembre con la
resa dell'Impero giapponese a seguito dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.
È considerato il più grande conflitto armato della storia, costato all'umanità sei anni di sofferenze,
distruzioni e massacri per un totale di 55 milioni di morti. Le popolazioni civili si trovarono, infatti,
direttamente coinvolte nel conflitto a causa dell'utilizzo di armi sempre più potenti e distruttive,
spesso deliberatamente indirizzate contro obiettivi non militari. Nel corso della guerra si consumò
anche la tragedia dell'Olocausto perpetrata dai nazisti nei confronti degli ebrei, delle etnie Rom e
Sinti, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova, dei Polacchi e di altre popolazioni slave.
Al termine del conflitto si instaurò un nuovo ordine mondiale fondato sulla contrapposizione tra
Stati Uniti ed Unione Sovietica nota come "guerra fredda", mentre l'Europa, ridotta ad un cumulo di
macerie, proseguendo l'involuzione iniziata con il primo conflitto mondiale, perse definitivamente
la propria egemonia sul pianeta.
Principali paesi coinvolti
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1º settembre 1939 – 8 maggio 1945: Terzo Reich (Germania e Austria)
1º settembre 1939: Polonia
3 settembre 1939 – 8 maggio 1945: Regno Unito e Australia
3 settembre 1939 – 8 maggio 1945: Francia
10 settembre 1939 – 15 agosto 1945: Canada
17 settembre 1939 – 8 maggio 1945: Unione Sovietica
30 novembre 1939 – 4 settembre 1944: Finlandia
9 aprile 1940 – 4 maggio 1945: Danimarca e Norvegia
10 giugno 1940 – 2 maggio 1945: Italia
28 ottobre 1940 – 1945: Grecia
21 giugno 1941 – 1945: Ungheria
7 dicembre 1941 – 2 settembre 1945: Giappone e Stati Uniti
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Eventi precedenti la guerra
Benito Mussolini e Adolf Hitler
Germania
Il duro trattamento subìto in seguito alla sconfitta nella prima guerra mondiale in base a quanto
stabilito dal Trattato di Versailles (Dolchstoßlegende), e le successive difficoltà economiche,
aggravate dalla crisi mondiale del martedì nero, causarono un profondo malcontento nel popolo
tedesco e favorirono la diffusione delle idee nazionalsocialiste di Adolf Hitler e del suo movimento
politico. Dopo una rapida ascesa politica, il movimento nazista prese le redini del potere in
Germania, assumendo il controllo totale dello Stato. La politica estera hitleriana divenne via via
sempre più aggressiva: ignorando i vincoli imposti dal trattato di Versailles, nel corso di pochi anni
venne riarmato l'esercito, il 7 marzo 1936 fu rimilitarizzata la zona di confine con la Francia (la
Renania), il 12 marzo 1938 fu sancita l'annessione dell'Austria (Anschluss), e con la Conferenza di
Monaco, il 1º ottobre 1938, l'annessione della regione dei Sudeti (Cecoslovacchia) e, il 13 marzo
1939, quella di Boemia e Moravia.
Poco prima dell'inizio del conflitto, il 23 agosto 1939, la Germania aveva stipulato un patto di non
aggressione (Patto Molotov-Ribbentrop) con l'Unione Sovietica, mentre ripresentava le sue pretese
territoriali su parte della Polonia (il corridoio di Danzica). La Polonia rigettò tali pretese e la
Germania, il 1º settembre 1939, la invase con un pretesto, il cosiddetto incidente di Gleiwitz.
Italia
In Italia il 31 ottobre 1922 era salito al governo Benito Mussolini. Con questi ebbe inizio una
politica espansionistica, e il 2 ottobre 1935 prese il via la campagna d'Etiopia, tesa a creare un
impero coloniale. Il 9 maggio 1936 venne proclamato l'Impero. Il 7 aprile 1939 l'Italia invase
l'Albania e due giorni dopo ne sancì l'annessione. Nonostante la tensione tra Italia e Germania
creatasi al momento dell'annessione dell'Austria, nel maggio 1939 Mussolini strinse il "Patto
d'acciaio" con la Germania, per poi dichiararsi, allo scoppio del conflitto, non belligerante.
Giappone
L'Impero giapponese invase la Cina nel settembre del 1931, usando la messa in scena del
sabotaggio ferroviario di Mukden come pretesto per l'invasione della Manciuria. Anche se il
governo giapponese si oppose all'azione, l'esercito fu in grado di agire in maniera indipendente e
instaurò un governo fantoccio, creando uno stato separato: il Manciukuò.
Spagna
La Spagna di Francisco Franco decise di adottare una linea di non belligeranza nei confronti della
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Germania. Dopo la sconfitta della Francia nel giugno 1940, la Spagna adottò una non-belligeranza
favorevole alla Germania (offrendo per esempio l'utilizzo di basi navali alle navi tedesche) fino al
ritorno alla completa neutralità nel 1943, quando le sorti della guerra apparvero decisamente
sfavorevoli all'Asse. Franco inviò truppe della División Azul (o Divisione Blu, dal nome del colore
del partito della Falange spagnola, i cui membri erano chiamati "camicie blu") per combattere sul
fronte orientale contro l'Unione Sovietica. Successivamente truppe spagnole affiancarono quelle
statunitensi nella liberazione delle Filippine dall'occupazione giapponese.
La guerra
Il teatro di guerra europeo.
██ Potenze dell'Alleanza
██ URSS
██ Potenze dell'Asse
██ Paesi neutrali
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L'inizio del conflitto
L'inizio della guerra viene indicato da gran parte della storiografia nel 1º settembre del 1939. Quel
giorno la Germania invase la Polonia, provocando, il successivo 3 settembre, la dichiarazione di
guerra di Gran Bretagna e Francia, legate da un patto di alleanza con i polacchi e ormai decise a
frenare l'aggressività tedesca. Il 17 settembre, sulla base degli accordi stabiliti dal Patto MolotovRibbentrop, l'Unione Sovietica invase a sua volta la Polonia, occupandone la parte orientale.
Altre periodizzazioni, meno tradizionali, fanno risalire concretamente l'inizio del conflitto con
eventi bellici precedenti scatenati dalle tre Potenze del successivo Patto Tripartito: l'aggressione
italiana all'Etiopia, la guerra di Spagna o l'attacco giapponese alla Cina.
Teatro europeo
La seconda guerra mondiale in Europa durò dal 1º settembre 1939 all'8 maggio 1945. Il teatro
europeo fu quello tecnicamente più complesso, nonché quello dove si contò il maggior numero di
morti, sia militari che civili. Si può considerare incluso nel teatro europeo anche l'Oceano Atlantico,
poiché tutte le battaglie navali combattute nell'Atlantico riguardarono essenzialmente nazioni
europee.
Si calcola che furono 55 milioni, tra militari e civili, gli europei a perdere la vita nel conflitto
mondiale, la grande maggioranza nell'Europa orientale (ad attestare la violenza dell'occupazione
nazista nelle nazioni slave). I morti furono tra i russi 20 milioni (di cui 7 in operazioni militari), tra i
polacchi quasi 6 milioni (il 20% dell'intera popolazione), più di un milione e mezzo gli iugoslavi,
620 000 francesi, 300 000 italiani, 280 000 inglesi. E poi ancora, tra i tedeschi, un milione e mezzo
di morti in operazioni militari, 2 milioni dispersi, un milione e mezzo di prigionieri, molti dei quali
avrebbero perso la vita nei campi di concentramento sovietici.
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1939
Il 1º settembre 1939 alle 04:45 di mattina, i tedeschi scatenarono la campagna di Polonia secondo il
Fall Weiss ("Piano Bianco"): cinque armate della Wehrmacht, forti di 1 850 000 uomini e 2 650
carri armati, appoggiate da 2 085 aerei della Luftwaffe, invasero la Polonia con un attacco a
tenaglia, impiegando l'innovativa tattica militare della guerra lampo o Blitzkrieg. Il 3 settembre
1939 Gran Bretagna alle 11:45 e la Francia alle 17:00, dopo aver inviato il giorno precedente un
ultimatum che non ricevette risposta, dichiararono guerra alla Germania.
L'invasione della Polonia
1º settembre 1939, soldati tedeschi rimuovono la barriera di un posto di frontiera fra Germania e
Polonia
L'esercito polacco contava un milione di uomini (circa il 30% in meno degli effettivi previsti, ma
non ebbe il tempo di mobilitarsi completamente), diverse centinaia di autoblinde e carri armati di
modelli leggeri o antiquati, con l'appoggio di seicento aerei di qualità medio-bassa. La resistenza
dei polacchi fu tenace ed ostinata, ma non sufficientemente consistente e coordinata: in particolare,
non erano affatto preparati a respingere la nuova Blitzkrieg. Gli anziani generali polacchi
commisero l'errore strategico di disperdere l'esercito su una lunghissima linea difensiva, ritenendo
di dover combattere una guerra di trincea. Invece, dopo i primi giorni di scontri violenti, specie
nelle battaglie di Mlawa e di Pomerania, il 3 settembre i Panzer tedeschi riuscirono a penetrare nelle
retrovie nemiche ed iniziarono le manovre di accerchiamento.Già l'8 settembre i primi carri armati
tedeschi giunsero alle porte dalla capitale polacca, dando il via alla battaglia di Varsavia, mentre la
maggior parte dell'esercito polacco veniva metodicamente accerchiata in sacche isolate ed
annientata nel giro di due o tre settimane, a seconda delle zone. Tuttavia, per la Wehrmacht, la
conquista della capitale polacca iniziò a rivelarsi più complessa e lunga del previsto. I tedeschi
iniziarono a temere un possibile attacco della Francia da ovest; pertanto decisero di accelerare i
tempi per la sconfitta definitiva dei polacchi, iniziando a colpire Varsavia con la tattica del
bombardamento a tappeto. Come conseguenza, nell'arco di una ventina di giorni, la città soffrì quasi
26 000 morti ed oltre 50 000 feriti tra la popolazione civile. Da quel momento, l'impresa militare
voluta da Hitler assunse il carattere di guerra totale: sia i militari che i civili erano ugualmente
coinvolti in guerra, e lottavano disperatamente per la vittoria e la sopravvivenza.
13 settembre 1939, la vecchia corazzata tedesca Schleswig-Holstein apre il fuoco contro la fortezza
polacca di Westerplatte
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Il 17 settembre l'Unione Sovietica, improvvisamente, ma comunque rispettando il patto MolotovRibbentrop, aggredì la Polonia da est con 466 000 soldati, 3 740 carri armati e 2 000 aerei,
incontrando scarsa resistenza da parte delle truppe polacche. Alcuni storici ritengono che in realtà
Stalin volesse evitare che la Germania occupasse i territori polacchi orientali, altri riportano volontà
espansionistiche russe (avvalorate, tra l'altro, dalla guerra successivamente scatenata contro la
Finlandia, e dal fatto che, a conflitto finito, Stalin non volle cedere questi territori polacchi). Con
l'entrata in azione dell'URSS, il destino della Polonia fu inevitabilmente segnato. Tuttavia, il 18
settembre, le forze corazzate polacche tentarono una coraggiosa battaglia contro i Panzer tedeschi a
Tomaszów Lubelski, ma dovettero soccombere sia per inferiorità numerica che qualitativa. Con la
popolazione civile ridotta allo stremo, Varsavia si arrese alle truppe tedesche il 27 settembre 1939.
Pochi giorni dopo, il 30 settembre, a Parigi si costituì il Governo polacco in esilio. L'Esercito
polacco fu completamente disarmato entro il 6 ottobre, dopo la battaglia di Koch.
Complessivamente, le perdite polacche assommarono a circa: 66 300 militari morti, 133 700
militari feriti, 420 000 militari divenuti prigionieri di guerra, 150 000 civili morti ed un numero
imprecisato di feriti. Circa 20 000 civili polacchi riuscirono a fuggire in Lettonia e Lituania, altri
100 000 fuggirono in Ungheria o Romania. Le perdite tedesche assommarono a circa 13 000
militari.
Nella parte della Polonia occupata dall'URSS, le forze sovietiche catturarono circa 242 000
polacchi; parte dei quali furono sospettati di essere anticomunisti. Nel corso dell'anno successivo, la
Polizia politica sovietica NKVD, a seguito di processi sommari, iniziò a giustiziare migliaia di
prigionieri. Stime accreditate parlano di un totale di 21 857 morti, dei quali 4 243 furono i cadaveri
rinvenuti nelle Fosse di Katyń dai tedeschi nel 1943.
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La strana guerra
Novembre 1939, soldati britannici e francesi giocano a carte in un campo d'atterraggio durante la
strana guerra.
Al termine delle operazioni contro la Polonia, Hitler lanciò messaggi di pace a Francia e Gran
Bretagna, che furono respinti dai rispettivi primi ministri l'11 ed il 12 ottobre. Il periodo che seguì
vide una preparazione da ambo le parti per l'inizio di un'offensiva terrestre tedesca sul fronte
occidentale, preparazione che fu tuttavia priva di significative operazioni, tanto da essere passata
alla storia come la "strana guerra".
Il Consiglio supremo Alleato decise di presidiare la linea Mosa-Anversa in caso di attacco tedesco
attraverso il Belgio mentre la Germania, con la direttiva numero 6 del 6 ottobre 1939, stabilì i piani
di invasione della Francia, utilizzando la medesima strategia messa in atto durante la prima guerra
mondiale, ossia la violazione della neutralità del Belgio e dell'Olanda, piani che vennero tuttavia
scoperti dalle autorità belghe il 10 gennaio 1940 a seguito di un incidente aereo che permise il
recupero dei documenti segreti relativi al cosiddetto "Fall Gelb", il "caso giallo". Ma anche a fronte
di questo importante ritrovamento, il Belgio non permise alle truppe britanniche e francesi
l'attraversamento del confine, per non offrire un casus belli alla Germania.
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Prime battaglie navali ed aeree
Dal settembre 1939 all'aprile 1940, le prime battaglie tra Germania e gli alleati Gran Bretagna e
Francia avvennero quasi esclusivamente nei mari e nei cieli. Essendo la Gran Bretagna una grande
isola, e dipendendo quindi dal mare per i collegamenti commerciali con il resto del mondo e con le
sue colonie, la Kriegsmarine si mobilitò per intercettare il traffico marittimo da e per la Gran
Bretagna, per mettere in difficoltà l'economia e la popolazione britannica. I tedeschi impiegarono
sommergibili U-Boot, navi da guerra e alcune navi corsare, realizzando una massiccia operazione di
posa di mine magnetiche sulle rotte che portavano agli approdi per le navi britanniche, mentre la
Royal Navy si attivò per pattugliare le rotte commerciali dal mare del Nord all'oceano Atlantico.
La Kriegsmarine ottenne alcuni importanti successi iniziali: il 17 settembre 1939, l'affondamento
della portaerei Courageous ad opera dell'U 29 nel Mare del Nord; il 14 ottobre l'affondamento della
corazzata Royal Oak a Scapa Flow ad opera dell'U 47, comandato dal tenente di vascello Günther
Prien; il 23 novembre l'affondamento dell'incrociatore ausiliario Rawalpindi al largo tra Islanda e
isole Fær Øer, ad opera degli incrociatori da battaglia Scharnhorst e Gneisenau. Ma gli Alleati
realizzarono a loro volta un successo inducendo, il 17 dicembre, la corazzata tascabile Admiral Graf
Spee, ad autoaffondarsi nell'estuario del Río de la Plata.
Va inoltre ricordato che la Kriegsmarine, già la sera del 3 settembre 1939, si rese responsabile di
una delle prime stragi di civili, nonché primo grave incidente diplomatico della guerra: l'U 30
affondò il transatlantico SS Athenia (probabilmente scambiandolo per una nave da guerra
britannica, poiché non vi era nessun interesse strategico-militare in una simile azione), con 1103
civili a bordo, tra i quali 300 civili statunitensi - e gli Stati Uniti erano allora una Nazione neutrale. I
tedeschi tentarono poi di negare ogni responsabilità riguardo l'accaduto, arrivando perfino ad
accusare i britannici di aver affondato loro stessi la Athenia per diffamare i tedeschi. La piena verità
fu resa nota solo nel 1946.
Nel tentativo di ostacolare le operazioni della Kriegsmarine, numericamente inferiore alla Royal
Navy ma molto aggressiva, nell'arco di vari mesi fra il 1939 e il 1940 la Royal Air Force effettuò
numerosi raid di bombardieri contro i porti militari tedeschi, le fabbriche di U-Boot, i cantieri navali
e i depositi di munizioni navali, in particolare a Wilhelmshaven e Kiel. Le conseguenti battaglie
aeree contro la Luftwaffe furono molto sanguinose: la RAF arrivò a perdere fino al 50% dei
bombardieri Vickers Wellington ad ogni sortita, poiché i velivoli britannici erano costretti ad
effettuare le loro missioni senza alcun caccia di scorta, dato che la RAF non disponeva ancora di
caccia a lungo raggio; e i bombardieri, da soli, non riuscivano a difendersi efficacemente dai Bf 109
e Bf 110 della Luftwaffe. Ciò risultò molto evidente, ad esempio, il 18 dicembre 1939 durante la
Battaglia della Baia di Heligoland; e, per i britannici, la situazione peggiorò in altre battaglie aeree
successive.
Nel frattempo, sempre tra il 1939 ed il 1940, numerosi scontri aerei avvennero sopra la linea
Maginot e la linea Sigfrido, tra i caccia e i ricognitori della Armée de l'air francese e della Luftwaffe
tedesca, poiché gli eserciti di ciascun lato tentavano di spiare dal cielo gli schieramenti delle truppe
avversarie.
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L'attacco dell'Unione Sovietica alla Finlandia
Al culmine di una crisi diplomatica che durava ormai da molti anni, il 30 novembre l'Unione
Sovietica diede il via alla guerra d'inverno, sferrando un massiccio attacco contro la Finlandia, dopo
che questa aveva rifiutato la richiesta di Stalin di installare basi militari sovietiche nel suo territorio.
Alla base di questo attacco vi erano vari fattori: la fretta di acquisire territori da porre sotto la
propria sfera di influenza, facendovi rientrare la Finlandia, in passato parte dell'Impero russo ma
distaccatasi a seguito della rivoluzione russa; la volontà di vendetta contro i finlandesi, i quali
avevano appoggiato i partigiani bianchi; e fornire una dimostrazione di forza alla Germania,
tentando di conseguire un rapido successo militare simile a quello di Hitler in Polonia.
Soldati finlandesi durante la Guerra d'inverno, con equipaggiamento invernale e mitragliatrice
pesante
Le intenzioni di Stalin tuttavia si scontrarono con la tenace resistenza finlandese e, nonostante
l'impiego di un milione di uomini, tremila carri armati e quasi quattromila aerei, l'Armata Rossa non
riuscì a realizzare una rapida invasione, a causa di strategie di attacco sbagliate, delle efficaci
tattiche di guerriglia adottate dai finlandesi, pur numericamente molto inferiori, e delle difficoltà
dovute al terribile inverno nordico, con suolo ghiacciato e temperature fra i −30 °C e −50 °C:
l'Armata Rossa, che tra l'altro era stata qualitativamente indebolita dalle grandi purghe staliniane
degli anni trenta, evidenziò enormi carenze organizzative e subì scacchi umilianti sul campo di
battaglia. La Finlandia, diversamente da ciò che era successo alla Polonia contro i tedeschi, non
cedette all'urto iniziale delle forze sovietiche, ma riuscì a creare un fronte e, come conseguenza, la
Guerra d'inverno durò diversi mesi, durante i quali i Finlandesi, combattendo una vera guerra di
popolo contro un aggressore ben più potente, riuscirono ad accattivarsi la simpatia di molti paesi
occidentali.
L'attacco sovietico fu percepito dall'opinione pubblica mondiale come una brutale aggressione, del
tutto ingiustificata e, pertanto, l'Unione Sovietica venne espulsa dalla Società delle Nazioni e molte
nazioni si prodigarono per aiutare la Finlandia: Francia, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia,
Danimarca, Belgio, Olanda, Ungheria, Italia e Stati Uniti vendettero o cedettero gratuitamente alla
Finlandia vari armamenti e rifornimenti e molti volontari, soprattutto danesi, norvegesi e finlandesi
d'Ingria, ma anche oltre 200 volontari di altre Nazioni, si offrirono per la causa finlandese.
Dopo mesi di battaglia l'Armata Rossa riuscì a sfondare una parte delle difese finlandesi in Carelia,
ma la protesta internazionale contro l'URSS era giunta al culmine e, non volendo rischiare il
completo isolamento diplomatico, Stalin accettò infine di intavolare trattative. Il 12 marzo 1940
Finlandia e Unione Sovietica giunsero così alla pace di Mosca, con la cessione di alcuni territori
finlandesi all'Unione Sovietica.
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L'occupazione della Danimarca e della Norvegia
Aprile 1940, Panzer II tedeschi a Copenaghen
All'inizio del 1940 il Führer decise di rimandare a primavera l'attacco alla Francia, per poter
concentrare la propria attenzione sulla penisola scandinava, come stavano facendo gli Alleati. Il
casus belli che gli permise di giustificare agli occhi del mondo l'attacco alla Danimarca ed alla
Norvegia (operazione Weserübung) fu trovato il 16 febbraio con l'incidente dell'Altmark, nave
tedesca che venne abbordata nello Jøssingfjord, in acque territoriali norvegesi, dal
cacciatorpediniere inglese HMS Cossack: circa 300 prigionieri inglesi che si trovavano a bordo
furono liberati e ciò offrì ad Hitler il pretesto per accusare la Norvegia di connivenza con gli Alleati
e di iniziare i preparativi per l'attacco.
Le truppe tedesche iniziarono l'invasione dei due paesi alle 5.20 del 9 aprile: Re Cristiano X di
Danimarca, ritenendo inutile la resistenza in un paese quasi totalmente privo di forze armate, firmò
la capitolazione alle ore 14.00 dello stesso giorno, mentre la Norvegia, nonostante l'aiuto portato da
Francia e Gran Bretagna, resistette fino al 10 giugno quando, a seguito della resa, venne instaurato
un governo fantoccio guidato dal collaborazionista Vidkun Quisling. La campagna Norvegese costò
alla Kriegsmarine rilevanti perdite di navi da guerra, tra le quali l'incrociatore pesante Blücher, a
causa delle artiglierie pesanti della difesa costiera norvegese, nonché dei ripetuti scontri con la
Royal Navy, la quale soffrì anch'essa alcune perdite, tra cui la portaerei HMS Glorious, mentre la
Svezia mantenne la sua neutralità e continuò a fornire materie prime per l'industria bellica tedesca
per il resto della guerra.
Come conseguenza dell'occupazione tedesca della Danimarca, il 12 aprile 1940 la Gran Bretagna
occupò le isole Fær Øer e, il 10 maggio, l'Islanda; le isole erano colonie danesi di notevole interesse
strategico per la Battaglia dell'Atlantico e già dagli anni trenta i tedeschi avevano iniziato un lungo
corteggiamento diplomatico all'Islanda, dove tra l'altro era nato un partito nazista locale. La Gran
Bretagna invase queste isole mentre la Groenlandia, terza colonia danese nell'Atlantico, il 9 aprile
era invece già stata volontariamente ceduta come protettorato agli Stati Uniti, che successivamente
l'avrebbero utilizzata come base per operazioni in Atlantico.
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Campagna di Francia
I panzer avanzano in profondità.
I carri armati tedeschi oltre la Mosa.
Il 10 maggio 1940, sempre impiegando la tattica militare della guerra lampo (Blitzkrieg), le truppe
tedesche attaccarono i Paesi Bassi e il Belgio e da qui, passando per la Foresta delle Ardenne e
aggirando completamente la linea Maginot, entrarono in Francia dando il via alla Campagna di
Francia (in codice Fall Gelb, 'Caso Giallo'). Fu una straordinaria dimostrazione di potenza militare:
il formidabile cuneo corazzato raggruppato nella regione delle Ardenne (composto da oltre 2 500
carri armati divisi in 7 Panzer-Division), al comando del generale von Kleist, penetrò
fulmineamente in Belgio spazzando via le deboli difese franco-belghe nella foresta (considerata
dagli alleati impenetrabile per le forze corazzate); la notte del 12 maggio la 7ª Panzer-Division del
generale Rommel sbucò sulla Mosa a Dinant. Il giorno dopo il grosso del cuneo corazzato raggiunse
in forze la Mosa, dove erano schierate le principali forze francesi, passando subito all'attacco per
attraversare il fiume.
In soli tre giorni i panzer tedeschi formarono profonde teste di ponte ad ovest della Mosa - a Dinant,
a Monthermé e soprattutto a Sedan, dove i carri armati del generale Heinz Guderian svolsero un
ruolo decisivo - e sbaragliarono le deboli resistenze francesi. Dopo aver respinto alcuni sconnessi
tentativi di contrattacco delle scarse riserve corazzate francesi ancora disponibili, a partire dal 16
maggio i panzer ebbero via libera ad ovest del fiume, dopo il crollo definitivo della 9ª Armata
francese: vi fu una scorribanda di mezzi corazzati tedeschi attraverso la pianura franco-belga in
direzione delle coste della Manica. La situazione degli Alleati si rivelò drammatica, come
confermato dai tempestosi colloqui tra Churchill, Reynaud, Daladier e i generali inglesi e francesi:
il raggruppamento franco-inglese, penetrato in Belgio, rischiò di essere tagliato fuori e di venire
completamente distrutto.
Tutti i tentativi di contrattacco alleati a nord del corridoio tedesco (contrattacco inglese di Arras il
21 maggio) o a sud (a partire dalle precarie posizioni francesi sulla Somme) fallirono. I panzer
ebbero via libera e fin dal 20 maggio i primi reparti corazzati raggiunsero le coste della Manica ad
Abbeville. La trappola si era chiusa: quasi 600 000 soldati franco-inglesi furono accerchiati con le
spalle al mare, con l'unica speranza di reimbarcarsi via mare con l'aiuto delle flotte inglesi e francesi
e sotto gli attacchi della Luftwaffe. La situazione peggiorò ulteriormente dopo l'improvvisa resa
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dell'esercito belga il 28 maggio, che lasciò scoperte le difese alleate nella sacca. L'Olanda, attaccata
fin dal 10 maggio da altre forze corazzate e da un lancio di paracadutisti tedeschi sull'Aja e i ponti
sulle numerose vie d'acqua dei Paesi Bassi (in parte fallito), aveva già abbandonato la lotta fin dal
15 maggio, anche in seguito al bombardamento aereo di Rotterdam; la regina Guglielmina si rifugiò
nel Regno Unito, a differenza del re Leopoldo del Belgio che decise di rimanere sul territorio
occupato dai tedeschi.
Il 26 maggio Churchill autorizzò il corpo di spedizione inglese a ripiegare senza indugio verso la
costa e il porto di Dunkerque, dove nel frattempo si era radunata una numerosa flotta di navi
militari, mercantili e di naviglio privato civile per l'evacuazione dei soldati. I francesi, dopo molta
confusione e divergenze a livello politico e di comando, ripiegarono a loro volta verso la costa,
abbandonando una parte delle loro forze, ormai circondate a Lilla, città che cadde il 29 maggio.
Avanzata inesorabile.
Una fase drammatica della ritirata inglese a Dunkerque.
La situazione apparve compromessa: le colonne corazzate tedesche giunte fino al mare avevano
progredito lungo la costa verso nord in direzione di Boulogne, Calais (occupate il 25 e il 26 maggio)
e Dunkerque, ma il 24 maggio un improvviso ordine di Hitler impose di fermare l'avanzata dei
panzer e di proseguire solo con la fanteria. La decisione del Führer derivava apparentemente dal
desiderio di risparmiare le sue forze migliori in vista delle future campagne, consentendo allo stesso
tempo a Hermann Göring di mostrare la potenza della sua Luftwaffe a cui sarebbe stato lasciato il
compito di impedire l'evacuazione; ma forse vi era anche la segreta intenzione del dittatore di
risparmiare un'umiliante disfatta agli inglesi, anche per favorire future trattative di pace anglotedesche.
Dal 26 maggio al 4 giugno le forze anglo-francesi riuscirono in gran parte a trarsi in salvo
(Operazione Dynamo) grazie all'abnegazione delle flotte (bersagliate dalla Luftwaffe), alla
resistenza dei reparti di retroguardia e all'efficace intervento della RAF (a partenza dalle basi in
Inghilterra). I tedeschi si lasciarono sfuggire, anche per loro errori, una grossa parte delle truppe
alleate accerchiate. Durante il cosiddetto miracolo di Dunkerque furono evacuati, dopo aver
abbandonato tutte le armi e l'equipaggiamento, circa 338 000 soldati alleati, di cui circa 110 000
francesi; altri 40 000 soldati (principalmente francesi) rimasero nella sacca e quindi vennero
catturati. I circa 220 000 britannici scampati, al momento privi di armi, avrebbero costituito un
nucleo di truppe addestrate ed esperte su cui ricostruire l'esercito inglese per il proseguimento della
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guerra.
Il bilancio finale della prima fase della Campagna di Francia, nonostante questa delusione, fu
comunque trionfale per la Germania e per Hitler: circa 75 divisioni alleate distrutte (tra cui le
migliori divisioni francesi e inglesi), 1 200 000 prigionieri totali e un enorme quantitativo di armi e
equipaggiamenti catturati, il Belgio e l'Olanda costretti alla resa, l'esercito inglese cacciato dal
continente, la Francia ormai sola, ridotta in grave inferiorità numerica e di armamenti; tutto questo
al costo di soli 10 000 morti e 50 000 tra feriti e dispersi. Credendo che la guerra volgesse oramai al
termine, il 10 giugno, anche Mussolini dichiarò, a sua volta, guerra agli Alleati.
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L'Italia in guerra e la campagna delle Alpi Occidentali
Il 14 giugno, dopo soli quattro giorni dalla dichiarazione di guerra, Genova fu bombardata da
britannici e francesi, senza che la marina italiana riuscisse ad intervenire. Inoltre, a causa del
mancato preavviso riguardo l'imminenza della dichiarazione di guerra, la flotta mercantile perse
tutto il naviglio che si trovava nei porti di nazioni divenute ostili, pari a circa il 35% dell'intera flotta
mercantile: una perdita non facilmente recuperabile, soprattutto in vista di una guerra da combattere
prevalentemente su scacchieri lontani con la conseguente necessità di mantenere lunghe vie di
comunicazione e di rifornimento marittime.
Il 18 giugno la Francia venne investita dall'attacco italiano: reparti di quattro armate italiane
attaccarono il fronte alpino difeso da appena una divisione coloniale e tre divisioni di fanteria
francesi. Presunte contestazioni (peraltro velocemente rientrate alla fine di maggio di fronte agli
spettacolari successi tedeschi) da parte dell'establishement militare italiano (Badoglio in primis)
riguardo l'impreparazione italiana e quindi il rischio di un'entrata in guerra prematura, vennero
sbrigativamente rigettate da Mussolini, conscio dell'impreparazione bellica italiana, ma convinto di
un'imminente vittoria tedesca e quindi dell'impellente necessità di entrare in guerra a fianco del
Führer per motivi di prestigio personale e anche di convenienza geostrategica. A livello di
propaganda e di opinione pubblica mondiale l'attacco italiano (considerato una vera pugnalata alla
schiena, secondo la definizione di Roosevelt), e il suo evidente fallimento, provocarono un ulteriore
indebolimento del prestigio del Duce, della popolarità italiana, considerata ormai totalmente
allineata alla Germania, e anche una prima stima della debolezza imprevista dell'apparato militare
italiano.
Infatti, nonostante la rotta generale dell'esercito francese di fronte ai tedeschi, le truppe italiane non
riuscirono a sfondare le linee nemiche, favorite dall'impervio terreno alpino. Gli italiani subirono
perdite maggiori e dimostrarono scarsa organizzazione, arretratezza tattica e mediocre morale. Al
termine della battaglia delle Alpi Occidentali a favore dell'Italia ci sarebbero stati solo alcuni
modesti aggiustamenti territoriali (Mentone) e la smilitarizzazione della fascia di confine; svanirono
subito, dopo i colloqui Hitler-Mussolini di Monaco, i grandiosi progetti del Duce di spartizione
della Francia (linea del Rodano e Corsica), e di acquisizione dell'Impero coloniale africano
francese.
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La resa della Francia
I tedeschi vincono su tutti i fronti.
Il 5 giugno 1940 con un violento bombardamento aereo sulla linea della Somme e sull'Aisne,
nonché sulle truppe francesi dislocate ad Abbeville e sulla Linea Maginot, i tedeschi iniziarono la
battaglia per la conquista di Parigi.
Il 10 giugno i tedeschi attraversarono la Senna, l'esercito francese si ritirò disordinatamente sulla
Loira, il generale Weygand annunciò che il fronte era stato definitivamente sfondato. Il governo
francese si trasferì allora da Parigi a Tours, mentre lo raggiunse la notizia che l'Italia stava per
dichiarare guerra alla Francia e alla Gran Bretagna.
L'esercito tedesco a Parigi.
L'11 giugno il generale francese Pierre Héring, governatore militare di Parigi, annunciò che la città
era stata dichiarata "città aperta"; Parigi venne occupata dai tedeschi il 14 giugno, risparmiando così
la città da incursioni aeree o di artiglieria. Nel frattempo anche Reims cadde in mani tedesche, e
l'esercito francese era ormai decimato e praticamente inoffensivo.
Nella notte del 16 giugno Reynard si dimise dall'incarico di Presidente del Consiglio francese a
causa di divergenze con il Consiglio dei ministri in merito alla discussione sulla proposta di De
Gaulle (trasferitosi a Londra il giorno prima) di un "Unione franco-britannica", in sostanza la
fusione dei due stati in uno solo. Il maresciallo Philippe Pétain formò subito un nuovo gabinetto e
alle 23 incaricò il suo Ministro degli Esteri Paul Baudouin di chiedere l'armistizio ai tedeschi. Alle
24, tramite l'ambasciatore spagnolo a Parigi, il governo francese presentò ufficialmente la richiesta
di armistizio. Intanto la Wehrmacht conquistava Digione, aggirava la Linea Maginot e nel giro di
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pochi giorni invadeva Brest, Nantes e Saumur dopo aver già conquistato tra le altre Caen, Rennes e
Le Mans.
Il 19 giugno il governo tedesco si dichiarò pronto a far conoscere le clausole per la cessazione delle
ostilità e richiese l'invio di plenipotenziari suggerendo al governo francese di mettersi in contatto
con l'Italia per trattative analoghe. Il suggerimento fu applicato già dal giorno seguente; ciò fece in
modo di fermare l'attacco armato delle truppe italiane iniziato tre giorni prima.
Alle 15:30 del 21 giugno Hitler ricevette i plenipotenziari francesi; le condizioni della resa furono
molto pesanti: 3/5 del territorio nazionale furono occupati dall'invasore, non furono resi i
prigionieri, le spese di occupazione furono fissate a discrezione del vincitore, l'esercito dovette
essere ridotto a 100 000 uomini.
Il 22 giugno alle ore 18:30 il generale Charles Huntziger, rappresentante della delegazione francese,
e il generale Wilhelm Keitel, capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, firmarono l'armistizio. Per
volere di Hitler, l'Armistizio venne simbolicamente firmato allo stesso modo di quello che era stato
stipulato alla fine della prima guerra mondiale: delegati e generali tedeschi e francesi si riunirono su
un treno parcheggiato in aperta campagna, nella stessa posizione geografica, nella stessa carrozza di
lusso e con le stesse poltrone di quel giorno del 1918, quando la Germania aveva firmato
l'armistizio della prima guerra mondiale, arrendendosi alla Francia.
Vennero lasciate alla Germania il possesso di Parigi, del nord e di tutta la costa atlantica, mentre la
Francia centro-meridionale rimaneva indipendente con le sue colonie, e il governo si insediava nella
cittadina di Vichy.
Nonostante le assicurazioni francesi che in nessun caso la flotta sarebbe stata consegnata ai tedeschi
o agli italiani, l'Ammiragliato britannico diede avvio ad un'azione (nota come Operazione Catapult)
volta a devitalizzare le navi da guerra francesi che, lasciata la Francia, erano ancorate nelle basi
algerine di Mers-el-Kébir e Orano. Il risultato di questa azione, che causò oltre a mille morti fra i
marinai francesi, fu controproducente in termini materiali per gli inglesi: le navi francesi che furono
in grado di farlo, rientrarono a Tolone, mentre quelle alle quali fu impossibile (come la corazzata
Richelieu) reagirono energicamente a qualunque tentativo alleato di penetrare in Nordafrica.
Tuttavia, la dimostrazione di impavida risolutezza della Gran Bretagna e del suo governo, nella
tragica situazione di isolamento, non mancò di avere benefici effetti sul morale dell'opinione
pubblica inglese e anche americana (e questo sembra fosse effettivamente uno degli scopi principali
dell'operazione). Una minima percentuale dei marinai francesi internati in Gran Bretagna aderì in
seguito alla Francia libera.
Il 24 giugno alle 19:15 a Villa Olgiata presso Roma, il generale Huntziger e il generale Badoglio
firmarono l'armistizio tra Italia e Francia, mentre poche ore più tardi alle 1:35 del 25 giugno entrò
ufficialmente in vigore l'armistizio franco-tedesco.
Negli stessi giorni di quel giugno del 1940 l'Unione Sovietica occupò la Lituania, l'Estonia e la
Lettonia.
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La Battaglia d'Inghilterra
I bombardieri tedeschi si preparano per una nuova incursione sull'Inghilterra.
Non trovando terreno fertile per una pace con la Gran Bretagna, Hitler iniziò a considerare l'idea di
invaderla, per piegarla definitivamente. Tuttavia, per preparare la gigantesca operazione di sbarco
navale, denominata in codice operazione Leone marino (Seelöwe), i tedeschi dovevano prima
ottenere il controllo dei cieli britannici e indebolire le difese costiere della Gran Bretagna. Pertanto
la Luftwaffe tedesca, a partire dal 10 luglio 1940, iniziò una numerosissima serie di incursioni
diurne e notturne contro gli aeroporti della Royal Air Force, nonché contro le difese costiere, i porti
e le industrie di aerei ed armamenti della Gran Bretagna. La campagna aerea tedesca di
bombardamenti strategici, passata alla storia con il nome di battaglia d'Inghilterra, sembrò avere un
moderato successo sino alla fine di agosto, seppur con gravi perdite di aerei da parte della
Luftwaffe. Nel settembre, tuttavia, un cambiamento degli ordini di guerra da parte di Hitler mutò il
carattere della campagna aerea da strategica a terroristica: i tedeschi, iniziando a bombardare le città
britanniche, in particolare Londra, volevano ora costringere i britannici a chiedere la pace colpendo
direttamente la popolazione civile nel tentativo di demoralizzarla.
Questo cambio di tattica da parte dei tedeschi offrì tuttavia alla Royal Air Force l'insperata
occasione di non essere più direttamente nel mirino del nemico e di poter quindi riorganizzare e
rinforzare la difesa aerea. Come conseguenza, i tedeschi soffrirono perdite di aerei sempre crescenti,
finché il 31 ottobre 1940 lo stesso Hitler si rese conto che ormai l'invasione della Gran Bretagna
non era più realizzabile per quell'anno e decise di rinviare l'operazione Leone marino a tempo
indeterminato. Come rabbiosa vendetta per l'insuccesso della Luftwaffe nel piegare la RAF e il
morale dei britannici, nonché come risposta ai primi bombardamenti notturni della RAF ai danni di
Berlino, per i quali Hitler pretendeva terribili rappresaglie, nella notte tra il 14 ed il 15 novembre
1940 la Luftwaffe effettuò il bombardamento di Coventry, lasciando la città britannica pressoché
completamente distrutta e in fiamme. In seguito però la Luftwaffe, per limitare la perdita di aerei, fu
costretta a ridurre notevolmente il numero di incursioni contro la Gran Bretagna, che divennero
esclusivamente notturne e sempre più rare nel corso degli anni successivi.
Allo scopo di portare la Gran Bretagna alla sottomissione, la Germania attuò anche un blocco
navale, la battaglia dell'Atlantico, svolta soprattutto dai temibili U-Boot. Secondo una teoria
accreditata, in realtà Hitler perseguì malvolentieri tutta la campagna contro la Gran Bretagna,
ritenendo che l'avversario inglese fosse ormai fuori combattimento e che prima o poi avrebbe
chiesto un armistizio. Prima della battaglia d'Inghilterra, Hitler sottovalutava le capacità di
resistenza della Gran Bretagna e sperava persino di coinvolgerla, dopo l'armistizio, in una futura
alleanza contro l'Unione Sovietica. Tutti i piani di Hitler erano rivolti all'Est ed alla futura
campagna contro l'Unione Sovietica e pertanto non impegnò nella battaglia d'Inghilterra tutte le
risorse che avrebbe dovuto e potuto impiegare, né dedicò alla battaglia aerea tutta l'attenzione che
essa meritava. Nel dopoguerra, molti generali tedeschi ed alleati intervistati da scrittori e giornalisti,
nonché la maggior parte degli storici, concordarono sul fatto che «la mancata effettuazione
dell'operazione Seelöwe negò alla Germania l'unica concreta possibilità di vincere la seconda guerra
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mondiale».
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Campagna italiana di Grecia
I soldati italiani durante l'inverno in Albania.
Il 28 ottobre 1940, su personale iniziativa di Benito Mussolini e senza avvisare l'alleato tedesco,
l'Italia attaccò la Grecia partendo dalle basi in Albania. L'iniziativa nasceva principalmente dalle
esigenze di prestigio del Duce (ottenere un successo militare da contrapporre ai trionfi di Hitler) e
dall'insipienza di Galeazzo Ciano e dei generali sul posto. L'attacco alla nazione ellenica era basato
sul presupposto che la Grecia sarebbe crollata senza combattere: organizzato frettolosamente, con
mezzi e uomini assolutamente insufficienti (appena 100 000 soldati nella fase iniziale) e sferrato
inoltre in condizioni climatiche pessime, si rivelò molto più difficile del previsto. I greci non solo si
batterono accanitamente, ma, sfruttando le caratteristiche del terreno, respinsero rapidamente
l'attacco italiano; inoltre, sfruttando la temporanea superiorità numerica, passarono al contrattacco
rigettando le forze italiane in Albania. Si sviluppò quindi un'aspra guerra di montagna tra eserciti
appiedati e poco mobili, una specie di riedizione della prima guerra mondiale, snervante e
demoralizzante per le truppe.
Di fronte alla sconfitta (caduta di Coriza il 22 novembre), Mussolini costrinse Badoglio alle
dimissioni e procedette a sostituire i comandanti, oltre ad inviare i rinforzi disponibili. L'avanzata
greca venne fermata, ma il fronte rimase bloccato in terra albanese per tutto l'inverno, senza che vi
fosse la possibilità di passare al contrattacco. Peraltro i britannici, aspettandosi questa mossa da
parte italiana, decisero di accorrere in aiuto delle forze greche, loro alleate sin dai tempi della prima
guerra mondiale: venne organizzato un contingente di 56 000 uomini a rinforzo delle truppe greche,
anticipando un previsto intervento tedesco in aiuto degli italiani, con la Royal Air Force che
disponeva già di basi in Grecia. Gli Alleati conseguirono così la loro prima vittoria politicopropagandistica mentre Mussolini, costretto a chiedere l'intervento di Hitler dopo i ripetuti
fallimenti di riprendere l'offensiva, subì una significativa perdita di prestigio e di consenso interno e
internazionale.
L'intervento della Germania si fece attendere per diversi mesi: Hitler, già impegnato fin dall'autunno
1940 in un complesso gioco diplomatico per organizzare un sistema di alleanze in vista della
progettata invasione dell'Unione Sovietica (colloqui con i dirigenti rumeni, ungheresi, bulgari e
finlandesi), era molto contrariato dall'intervento italiano in Grecia. La nuova campagna lo
costringeva ad una diversione, resa peraltro necessaria per stabilizzare la regione, cacciare gli
inglesi dal continente per la seconda volta e rafforzare il fianco meridionale dello schieramento
dell'Asse contro l'URSS.
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1941
L'invasione dei Balcani e i preliminari dell'attacco a Est
I tedeschi dilagano anche nei Balcani
A primavera Hitler aveva ormai messo a punto il sistema di alleanze necessario per risolvere la
situazione greca e per rafforzare lo schieramento contro l'Unione Sovietica: l'Ungheria, la Romania
e la Bulgaria si affiancavano ufficialmente all'Asse e aprivano le porte all'esercito tedesco; la stessa
Jugoslavia, anch'essa obiettivo delle ambizioni mussoliniane, firmava in un primo tempo un trattato
con la Germania. Ma il 27 marzo si verificava un golpe interno a Belgrado e un rovesciamento di
Alleanze a favore degli inglesi; la risposta di Hitler fu fulminea: il 30 marzo scatenava l'Operazione
Marita con l'obiettivo di spazzare via Jugoslavia e Grecia e di sbaragliare il corpo di spedizione
inglese. Il selvaggio bombardamento aereo di Belgrado segnò l'inizio di una nuova guerra lampo
tedesca: le Panzer-Division dilagarono in tutte le direzioni partendo dalle loro basi in Bulgaria, in
Romania e in Austria, l'esercito jugoslavo - minato da contrasti etnici interni - si disgregò in pochi
giorni, Belgrado venne occupata il 13 aprile e la resa venne firmata il 17 aprile.
Contemporaneamente, altre forze corazzate tedesche, passando per la Macedonia, aggiravano lo
schieramento difensivo anglo-greco, occupavano Salonicco (8 aprile) e tagliavano fuori le forze
greche che affrontavano gli italiani in Albania (presa di Giannina il 21 aprile), costringendo infine la
Grecia ad arrendersi il 24 aprile. L'esercito italiano ebbe parte minore in queste vicende belliche,
dimostrando ancora una volta la sua assoluta inferiorità rispetto all'alleato tedesco.
Le spoglie delle nazioni balcaniche vennero divise tra Germania (Serbia, Grecia continentale e
isole), Italia (Slovenia e Croazia, dove venne costituito il regime fantoccio di Ante Pavelić, e isole
greche), Ungheria e Bulgaria. Ormai in rotta, il 25 aprile il corpo di spedizione inglese riuscì a
effettuare una nuova miracolosa evacuazione via mare dai porti greci. Il nuovo trionfo hitleriano
veniva suggellato (dal 20 al 29 maggio) dalla spettacolare conquista per via aerea dell'isola di Creta
occupata da truppe australiane e neozelandesi, ottenuta pur con gravi perdite da parte dei
paracadutisti tedeschi. Nonostante la perdita di tempo causata da queste campagne balcaniche,
l'esercito tedesco era ora al massimo della sua efficienza e pronto al grande attacco contro l'Unione
Sovietica.
La decisione di Hitler di rompere il Patto di non-aggressione Molotov-Ribbentrop e di scatenare un
attacco generale all'est (manifestata per la prima volta già nel luglio 1940) nasceva in primo luogo
dalle concezioni ideologico-razziali del dittatore, delineate già nel Mein Kampf; a questi
fondamenti ideologici si accompagnavano complesse motivazioni strategiche, politiche ed
economiche, alcune utilizzate da Hitler tatticamente solo per convincere i suoi collaboratori:
1. sconfiggere anche l'ultima potenza terrestre europea per poi poter riversare senza timori
l'intera potenza della Wehrmacht contro l'Inghilterra;
2. sconfiggere l'URSS nel 1941, prima dell'intervento americano (previsto per il 1942);
3. organizzare un'area di sfruttamento economico autosufficiente essenziale per condurre una
lunga guerra transcontinentale;
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4. raggiungere un collegamento diretto con l'alleato giapponese;
5. proteggere la Germania (con una guerra preventiva) dal prevedibile attacco della potenza
bolscevica.
La pianificazione operativa iniziò quasi contemporaneamente all'OKH (il cosiddetto 'piano Marcks',
che poneva particolare enfasi all'obiettivo Mosca) e all'OKW (i contributi del generale von
Lossberg, con il progetto di un attacco principale sulle due ali); le decisioni definitive, pesantemente
condizionate dal pensiero strategico di Hitler (ostile ad una marcia diretta sulla capitale), vennero
cristallizzate nella famosa Direttiva N. 21 del 18 dicembre 1940 (Fall Barbarossa, inizialmente
denominato piano Otto): l'attacco sarebbe stato sferrato contemporaneamente su tutto il fronte e il
primo obiettivo sarebbe stata la linea Dvina-Dnepr; Mosca sarebbe stata attaccata solo dopo la
conquista di Leningrado e dell'Ucraina; la vittoria era attesa entro quindici settimane.
Al quartier generale del Führer a Rastenburg (Prussia Orientale): Keitel, von Brauchitsch, Hitler,
Halder
Contemporaneamente all'organizzazione e alla pianificazione di questa gigantesca campagna di
guerra, Hitler si impegnò per molti mesi in un'estenuante campagna diplomatica, le cui tappe
principali furono indubbiamente la firma a Berlino il 27 settembre 1940 del Patto Tripartito tra
Germania, Italia e Giappone (diretto in primo luogo a paralizzare l'aggressività americana in Europa
con la minaccia giapponese, ma in parte pericoloso implicitamente anche per l'URSS); e la visita di
Molotov nella capitale tedesca (12 novembre 1940) in cui fallirono, di fronte alla brutale
concretezza eurocentrica del ministro sovietico, i tentativi del dittatore di dirottare le mire russe
verso mirabolanti prospettive indiane o persiane. Convinto dell'impossibilità di un nuovo accordo
meramente tattico con Stalin e della ristrettezza del tempo rimasto a sua disposizione, Hitler prese la
sua decisione.
La situazione di Stalin stava diventando evidentemente sempre più difficile: il rafforzamento
militare tedesco all'est proseguiva, le piccole nazioni ai confini dell'URSS si alleavano alla
Germania, il Giappone era minaccioso in Estremo Oriente; i rapporti con Inghilterra e USA erano
difficili (nonostante i tentativi di riavvicinamento dell'ambasciatore inglese Stafford Cripps, che al
contrario avevano sollecitato la sospettosità staliniana). L'URSS era impegnata in una frenetica
corsa contro il tempo per ricostruire e riorganizzare le sue forze militari, modernizzando nel
contempo i suoi armamenti e le sue tattiche. Prevedendo la guerra solo per il 1942, Stalin contava di
riuscire a completare i suoi preparativi e di poter trattenere Hitler con concessioni economiche o
diplomatiche: considerando insensato un attacco tedesco a est con l'Inghilterra ancora in armi
all'ovest, sopravvalutava la prudenza e l'accortezza strategica di Hitler.
Il 13 aprile 1941 Stalin mise a segno un grande successo strategico-diplomatico: firmò con il
Giappone il Patto nippo-sovietico di non aggressione, di durata quinquennale, con il quale si coprì
le spalle da un attacco giapponese che, in caso di guerra con la Germania di Hitler, avrebbe esposto
l'Unione Sovietica alla minaccia di un attacco da dietro. Il Giappone, male informato dai tedeschi
sui propositi offensivi contro l'URSS (secondo la volontà di Hitler, desideroso al momento di
condurre da solo la guerra all'est), aveva a sua volta firmato il Patto per proteggersi le spalle in caso
di una sua avanzata offensiva nel Sud-Est asiatico contro le potenze anglosassoni.
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Operazione Barbarossa
Le Panzer-Division avanzano nella steppa
Il 22 giugno la Germania, rompendo il patto di non aggressione del 1939, scatenava la gigantesca
operazione Barbarossa: Hitler mirava a distruggere rapidamente l'Unione Sovietica; in pochi mesi la
schiacciante potenza della Wehrmacht avrebbe dilagato ad est con l'obiettivo di occupare il
territorio, stabilendo una linea che da Arcangelo sarebbe arrivata ad Astrachan', ed instaurando nel
paese il dominio totale germanico, le popolazioni locali sottomesse, sterminate o deportate, le terre
orientali ridotte a terre di colonizzazione e sfruttamento per la razza superiore tedesca. Stalin,
nonostante i numerosi avvertimenti diplomatici e di intelligence ricevuti, venne colto di sorpresa:
fino all'ultimo aveva interpretato i segni di un attacco tedesco come semplici pressioni intimidatorie
di Hitler per costringerlo a trattare da posizioni di debolezza e quindi le forze sovietiche in prima
linea non furono tempestivamente allertate e, lasciate senza ordini precisi, vennero attaccate di
sorpresa dalle schiaccianti forze nemiche; oltre 3 milioni di soldati tedeschi parteciparono
all'attacco appoggiati dai contingenti degli stati satelliti della Germania - Romania, Ungheria,
Slovacchia, Italia, Finlandia - e dalle formazioni volontarie reclutate nei Paesi Bassi, in Francia, in
Scandinavia ed in Spagna.
La nuova guerra lampo
Fin dall'inizio la situazione dei sovietici si rivelò drammatica. I potenti cunei corazzati tedeschi
(quattro gruppi con circa 3 500 carri armati) avanzarono subito in profondità, progredirono per
decine di chilometri nelle retrovie delle truppe sovietiche rimaste ferme sulle linee di confine e
conquistarono d'assalto ponti sui fiumi più importanti (Dvina, Niemen e Buh Occidentale) e altri
punti strategici. Il caos regnava nelle retrovie e nella catena di comando sovietica; le comunicazioni
erano interrotte, le incursioni aeree devastavano i depositi e i centri di comando, a Mosca né Stalin
né lo Stavka percepirono subito la catastrofe che si profilava. Mentre le prime linee sovietiche si
battevano accanitamente e disordinatamente, le colonne corazzate tedesche manovravano per
richiudere in grandi sacche le forze nemiche. Le ingenti riserve corazzate sovietiche presenti nelle
retrovie vennero gettate subito allo sbaraglio contro le molto più esperte Panzer-Divisionen: si
scatenarono numerose battaglie d'incontro sia a nord (Raseniai) sia al centro (Alytus), dove i carri
armati russi subirono perdite spaventose, impiegati allo scoperto, confusamente e sotto gli attacchi
della Luftwaffe (con un riuscito attacco di sorpresa sugli aeroporti russi, l'aviazione tedesca
guadagnò subito il dominio del cielo). A sud le forze corazzate sovietiche si batterono meglio
(battaglia di Brody-Dubno) e misero in difficoltà i panzer del cuneo corazzato tedesco, ma la
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superiorità tedesca si impose e anche in questo settore i mezzi corazzati tedeschi, dopo aver inflitto
grandi perdite, continuarono ad avanzare. Ai primi di luglio le grosse riserve corazzate sovietiche
erano state malamente impiegate dal comando sovietico e quindi distrutte quasi completamente. I
carri armati tedeschi poterono così proseguire l'avanzata negli stati Baltici, avvicinandosi addirittura
a Leningrado, progredire verso Žitomir e Kiev, chiudere la sacca di Uman e soprattutto accerchiare
tre armate sovietiche nella gigantesca trappola di Minsk-Białystok il 28 giugno (quasi 400.000
perdite).
Il 3 luglio, dopo un'eclissi di oltre dieci giorni, Stalin rientrava in campo con un celebre discorso
radiofonico in cui delineava realisticamente le difficoltà della situazione e l'entità della minaccia
che incombeva sull'URSS e i suoi popoli. L'intervento del dittatore servì, accompagnato da misure
draconiane (secondo i ben noti metodi staliniani), a rafforzare la disciplina, mobilitare tutte le
risorse e organizzare nuove armate per ricostituire un fronte difensivo. Infatti, alla metà di luglio, lo
schieramento iniziale sovietico era stato praticamente distrutto dall'attacco tedesco (oltre un milione
di prigionieri solo nel primo mese di guerra). I tedeschi, dopo aver rastrellato la sacca di Minsk,
procedevano rapidamente lungo la strada di Mosca. A Smolensk anche il secondo scaglione
sovietico, frettolosamente organizzato, venne accerchiato (18 luglio); si scatenò una sanguinosa
battaglia, la resistenza sovietica fu aspra e, anche se al costo di gravi perdite (350.000 uomini) servì
a rallentare e contenere la progressione diretta tedesca lungo la strada di Mosca (fine luglio).
Nel frattempo i tedeschi avevano conquistato completamente gli Stati Baltici (accolti
favorevolmente dalla popolazione) e marciavano su Leningrado; l'intervento finlandese da nord (1º
luglio) aggravò ancora la situazione della ex-capitale. Agli inizi di agosto la precaria linea difensiva
di Luga venne superata; con manovra aggirante le colonne tedesche (pur duramente contrastate
dalle raccogliticce forze sovietiche) raggiunsero il Lago Ladoga a Schlissenburg l'8 settembre, i
finlandesi avevano riconquistato parte della Carelia, Leningrado era totalmente isolata. Cominciava
la tragedia della grande città, decimata dalla fame e dai bombardamenti, ma determinata a non
arrendersi; durante l'inverno solo la via della vita sul ghiaccio del Ladoga avrebbe permesso la
precaria sopravvivenza dei resti della popolazione. A sud, dove i tedeschi erano rafforzati dai
contingenti satelliti rumeno (che marciò lungo la costa del Mar Nero verso Odessa) e italiano
(CSIR), la resistenza sovietica era più solida, in difesa di Kiev e della linea del Dnepr; quindi,
essendo le forze tedesche più deboli, l'avanzata venne rallentata.
Soldati tedeschi e popolazione civile sovietica nel sud della Russia, all'inizio dell'invasione nazista.
Alla fine di luglio Stalin fece mostra di un certo ottimismo, durante i colloqui con l'inviato di
Roosevelt Harry Hopkins, esprimendo la sua sicurezza di fermare la guerra lampo tedesca; pur non
sconsiderato, l'ottimismo staliniano (basato anche sulla riuscita mobilitazione delle risorse umane e
militari sovietiche e sulla pianificata evacuazione degli impianti industriali negli Urali e in Siberia)
era certamente prematuro: i tedeschi erano ancora molto potenti, nonostante le dure perdite
(390.000 uomini al 13 agosto) ed erano in grado di proseguire l'avanzata verso il cuore della Russia.
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Una colonna di prigionieri sovietici
In questa fase sorsero contrasti anche nell'Alto Comando tedesco tra Hitler, ostile a seguire il
miraggio di Mosca e quindi a proseguire direttamente verso la capitale, e alcuni generali (Halder e
Guderian principalmente) determinati invece a marciare subito su Mosca sperando anche negli
effetti psicologici derivanti dalla caduta della città. Hitler impose la sua decisione; preoccupato
dalle difficoltà verificatesi nel settore meridionale architettò una nuova gigantesca manovra
accerchiante con l'afflusso verso sud di una parte delle forze corazzate del raggruppamento centrale.
La manovra avrebbe dato origine alla 'micidiale sacca di Kiev', in cui l'intero concentramento di
forze sovietico del settore meridionale venne accerchiato e distrutto con la perdita di oltre 600.000
soldati (24 settembre 1941). La catastrofe, in parte scaturita da alcune decisioni errate di Stalin
(deciso a non cedere Kiev anche per motivi di prestigio) sembrò confermare la correttezza delle
decisioni del Führer.
Alla fine di settembre la situazione sembrava decisa a favore dei tedeschi: Leningrado era stretta nel
mortale assedio tedesco-finlandese; le difese di Mosca, imperniate sulle precarie linee fortificate a
est di Smolensk, apparivano vulnerabili; a sud si apriva il vuoto di fronte alle colonne corazzate
tedesche. L'Ucraina era completamente conquistata (presa di Char'kov il 24 ottobre), la Crimea era
invasa (dal 18 ottobre), i tedeschi si spingevano in direzione di Rostov, porta del Caucaso (che
sarebbe caduta provvisoriamente il 20 novembre).
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La battaglia di Mosca
Il 2 ottobre, dopo il rafforzamento del raggruppamento centrale tedesco portato a 1 milione di
uomini e 1.700 carri armati, Hitler scatenava l'Operazione Tifone: una potente offensiva diretta a
conquistare Mosca, distruggere le forze sovietiche a difesa della capitale e concludere
vittoriosamente la guerra all'Est prima dell'arrivo dell'inverno. Nonostante le gravi perdite già subite
dai tedeschi (551.000 perdite totali alla data del 30 settembre) il Führer e l'alto comando tedesco
mantenevano la piena fiducia di vincere questa ultima grande battaglia contro le superstiti forze
sovietiche, che avevano subito perdite enormi di uomini (oltre 2,7 milioni di perdite, secondo le
stesse fonti sovietiche) ed equipaggiamenti. L'inizio dell'Operazione Tifone sembrò confermare
l'ottimismo tedesco: i cunei corazzati penetrarono subito le cinture difensive sovietiche (malamente
schierate e organizzate) e progredirono con grande velocità chiudendo due nuove gigantesche
sacche di accerchiamento a Brjansk e Vjaz'ma (7 ottobre); un'altra colonna di panzer entrò di
sorpresa a Orël (2 ottobre). La situazione dei russi si aggravò rapidamente: le forze poste a difesa di
Mosca erano accerchiate (queste truppe si batterono coraggiosamente fino alla fine del mese, ma
subirono perdite molto pesanti, almeno 500.000 uomini), i carri armati tedeschi avanzavano sulla
capitale direttamente dalla strada maestra di Smolensk, da nord passando per Kaluga (occupata il 12
ottobre) e anche da sud. Stalin per la prima volta mostrò segni di disperazione; il 14 ottobre esplose
il panico a Mosca, mentre il corpo diplomatico e il governo si trasferivano a Kujbyšev. Il momento
di scoramento del dittatore sovietico fu breve; decise quindi di rimanere personalmente nella
capitale e organizzare la difesa di Mosca richiamando dal fronte di Leningrado l'abile generale
Georgij Žukov e, soprattutto, schierando numerose divisioni siberiane ben equipaggiate provenienti
dall'Estremo Oriente (a questo punto Stalin, anche grazie alle notizie fornite dalla spia Richard
Sorge, si convinse che il Giappone non avrebbe attaccato l'URSS alle spalle). L'intervento di queste
truppe scelte, l'energia dispiegata da Stalin e Žukov e anche l'arrivo sul campo di battaglia del
periodo del fango che intralciò enormemente la progressione delle colonne tedesche, concorsero a
fermare la marcia sulla capitale (fine ottobre).
I russi, ben equipaggiati per l'inverno, contrattaccano durante la battaglia di Mosca.
Ma i tedeschi non rinunciarono e, dopo aver atteso che i primi geli solidificassero il terreno,
ripresero ancora l'attacco, nonostante l'approssimarsi dell'inverno russo a cui erano totalmente
impreparati (per decisione di Hitler l'equipaggiamento invernale era stato escluso ottimisticamente
dalle dotazioni delle truppe combattenti). Anche quest'ultimo tentativo tedesco (iniziato il 16
novembre), nonostante qualche successo (alcuni reparti tedeschi giunsero in vista della periferia
della capitale sovietica il 4 dicembre), sarebbe fallito di fronte alla solida resistenza sovietica e al
progressivo peggioramento del clima.
Stalin e Žukov disponevano ancora di forze di riserva efficienti e ben equipaggiate per l'inverno,
con cui sferrarono a partire dal 5 dicembre un improvviso contrattacco sia a nord di Mosca che a
sud della capitale contro le punte avanzate tedesche ormai bloccate anche dall'arrivo del gelo. Il
colpo cadde totalmente inaspettato sulle truppe tedesche ormai esauste; in mezzo alle intemperie
invernali i russi passarono all'offensiva, liberarono molte importanti città intorno a Mosca, e
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rigettarono i tedeschi a oltre 100 km dalla capitale; la Wehrmacht subì la sua prima pesante sconfitta
della guerra; ci furono crolli del morale tra le truppe e i generali tedeschi; enormi quantità di
equipaggiamento furono persi. L'Operazione Barbarossa si concludeva alla fine dell'anno con un
fallimento; l'URSS, nonostante le enormi perdite (4,3 milioni di perdite totali nel 1941), non era
crollata e era passata al contrattacco, i tedeschi erano costretti a combattere una dura battaglia
difensiva invernale, la situazione geostrategica complessiva cambiava a sfavore della Wehrmacht
(molto indebolita: 831.000 perdite al 31 dicembre; quasi un quarto dei suoi effettivi). Per Hitler,
forse già presago della futura sconfitta ma tenacemente deciso a continuare la guerra su tutti i fronti
(organizzò personalmente la difesa ad oltranza sul fronte orientale per evitare una ritirata
incontrollabile dell'Esercito tedesco), il futuro diventava oscuro.
Mediterraneo e Africa
Per la Royal Navy la situazione nel Mediterraneo si fece difficile. Nonostante la brillante vittoria
contro gli italiani presso Matapan (27 marzo), la Mediterranean Fleet subì pesanti perdite durante le
operazioni per l'evacuazione della Grecia. In autunno il sottomarino tedesco U311 colò a picco la
corazzata Barham, e in dicembre andarono perdute anche la Valiant e la Queen Elizabeth, ad opera
dei mezzi d'assalto della marina italiana. Nel corso dello stesso anno la Mediterranean Fleet aveva
perduto la portaerei Ark Royal, l'incrociatore pesante York, gli incrociatori Gloucester, Calcutta,
Neptune, Fiji e numerosi cacciatorpediniere e unità minori. Gravi danni aveva subito anche la
corazzata Nelson, silurata da aerei italiani, e le portaerei Illustrious e Formidable, gravemente
danneggiate da bombardieri tedeschi. Le difficoltà create dalle pesanti perdite non impedirono alla
flotta britannica di infliggere a sua volta gravi danni al traffico di rifornimenti tra Italia e Libia. Per
quanto duramente provata dai bombardamenti aerei, la piazzaforte di Malta rimase una pericolosa
spina nel fianco dei rifornimenti italo-tedeschi.
Le truppe presenti in Africa orientale, dopo i primi, effimeri successi (conquista di Cassala e
occupazione della Somalia britannica), furono presto isolate. Nella primavera la maggior parte
dell'Africa Orientale Italiana fu occupata dalle truppe britanniche. L'ultima piazzaforte italiana a
cadere in mano inglese fu Gondar, dopo strenua difesa da parte del colonnello Guglielmo Nasi (27
novembre 1941 Battaglia di Gondar).
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Battaglia dell'Atlantico
1942
Controffensiva invernale sovietica
L'anno iniziò sul gigantesco fronte orientale con le nuove offensive sovietiche invernali ordinate da
Stalin (convinto della possibilità di un crollo 'napoleonico' dell'esercito tedesco e quindi desideroso
di non dare respiro all'invasore) in tutte le direzioni: dopo la vittoriosa battaglia di Mosca, l'Armata
Rossa proseguì la sua avanzata, in mezzo alle intemperie dell'inverno russo e a costo di terribili
perdite, soprattutto nella regione a ovest della capitale. I tedeschi si trovarono spesso in
drammatiche difficoltà, persero ancora parecchio terreno, ma non crollarono (in parte per l'ordine di
Hitler di resistenza sul posto ed anche per aver mantenuto la loro coesione e combattività).
Leningrado rimase bloccata, Ržev e Vjaz'ma divennero capisaldi sulla via di Mosca, la linea del
Donec venne mantenuta; le due sacche di Demjansk e Cholm vennero tenacemente difese dalle
truppe tedesche accerchiate che, rifornite per via aerea, resistettero fino a primavera (quando
vennero liberate dalle colonne di soccorso).
Operazione "Blu"
Una nuova avanzata verso est.
A costo di gravi perdite, con oltre 1 milione di soldati morti o feriti dal 22 giugno 1941 al 30 marzo
1942, la Wehrmacht riuscì a fermare la prima controffensiva dell'Armata Rossa, altrettanto provata:
1,5 milioni di perdite. Hitler, consapevole del fatto che il tempo lavorasse contro di lui (dopo
l'entrata in guerra della potenza nordamericana) e erroneamente convinto che i russi dopo la loro
sanguinosa offensiva invernale avessero definitivamente esaurito le loro forze, impose una nuova
offensiva concentrata nel solo settore meridionale dell'immenso fronte orientale allo scopo di
schiacciare le forze residue sovietiche e di conseguire quegli obiettivi strategico-economici (il
bacino del Donbass, la regione del Volga, il petrolio del Caucaso, il grano del Kuban) ritenuti
essenziali per proseguire una lunga guerra aeronavale contro le potenze anglosassoni. Dopo alcuni
contrasti a livello dell'Alto comando tedesco tra alcuni generali, favorevoli ad un nuovo attacco
diretto su Mosca o addirittura ad un mantenimento della difensiva, e Hitler, deciso a concludere a
tutti i costi la guerra all'est entro il 1942, l'Operazione Blu veniva definitivamente stabilita
(Direttiva 41 del 5 aprile).
Il 28 giugno 1942 la Wehrmacht ripartiva all'offensiva, puntando verso Sud-Est. Dopo alcune
rilevanti vittorie tedesche preliminari, quali la conquista della Crimea e del grande porto di
Sebastopoli (già assediati da diverse settimane), e la Seconda battaglia di Char'kov, che frustrò i
tentativi di attacco sovietici, iniziava la spinta decisiva in direzione del fiume Don, del fiume Volga
e contemporaneamente anche del Caucaso. La Wehrmacht, favorita anche da contrasti nelle alte
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sfere sovietiche sulle strategie da seguire, a seguito degli errori commessi da Stalin e dai suoi
Generali in primavera, per alcuni mesi sembrò nuovamente trionfante e vicina alla vittoria
definitiva: l'Armata Rossa batteva in ritirata in disordine; sempre nuovi territori venivano
conquistati; e con la presa di Rostov (23 luglio), si erano aperte le porte del Caucaso. Hitler,
convinto che ormai il crollo sovietico fosse imminente, impose di accelerare i tempi, con
un'avanzata contemporanea sia verso il Volga e il grande centro industriale di Stalingrado, sia verso
il Caucaso e i pozzi di petrolio di Groznyj e Baku.
La Battaglia di Stalingrado
Per Stalin era un momento drammatico: la città che portava il suo nome era minacciata, l'esercito
appariva scoraggiato, i tedeschi invincibili, gli alleati anglosassoni sembravano osservare la
situazione: nessun Secondo fronte in Europa nel 1942. Nonostante i progetti di Marshall e
Eisenhower per intervenire subito in Francia per alleggerire la pressione sui Russi, Churchill,
sempre timoroso dei tedeschi e forse desideroso di un dissanguamento reciproco russo-tedesco,
ebbe partita vinta con Roosevelt e impose l'abbandono dei piani americani e l'adozione del piano di
sbarco in Nordafrica.
Il 28 luglio Stalin emanava il suo famoso ordine del giorno "Non un passo indietro": era l'inizio
della ripresa militare, organizzativa e morale dell'Armata Rossa; fin dal 17 luglio era cominciata la
dura e sanguinosa battaglia di Stalingrado. Il 23 agosto i tedeschi raggiunsero il Volga ma la
resistenza sovietica fu subito tenace, Stalin mobilitò tutte le risorse, nella città, aspramente difesa
dalla 62ª Armata del generale Vasilij Čujkov, infuriò per due mesi una violenta battaglia stradale che
dissanguò la potente 6ª Armata tedesca del generale Friedrich Paulus. Contemporaneamente anche
nel Caucaso l'avanzata tedesca rallentava (nonostante alcuni spettacolari successi propagandistici
tedeschi come la scalata del monte Elbrus in agosto) e finiva per fermarsi alle porte di Groznij e di
Tbilisi e Tuapse, esaurita dalle prime intemperie, dalle difficoltà del terreno e dalla tenace difesa
sovietica.
Un carro T-34 sovietico in azione durante l'operazione Urano
A metà novembre i tedeschi erano avvinghiati in un sanguinoso scontro a Stalingrado, bloccati
definitivamente nel Caucaso, ridotti alla difensiva su tutto il resto del fronte Orientale. Il fronte
dell'Asse si estendeva pericolosamente su quasi 3.000 km, con i due raggruppamenti più potenti
bloccati a Stalingrado e nel Caucaso. Il pericolo principale risiedeva nel lungo fianco settentrionale
sul Don; ma Hitler decise di mantenere le posizioni raggiunte (del resto anche molti generali
tedeschi ritenevano l'Armata Rossa ormai indebolita ed incapace di offensive strategiche). Al
contrario Stalin e i suoi generali più importanti (Aleksandr Vasilevskij e Georgij Žukov) già da
settembre avevano iniziato ad organizzare grandi controffensive, previste per il tardo autunno e
l'inverno per ottenere una vittoria decisiva e rovesciare completamente l'equilibrio strategico sul
fronte orientale. Erano le offensive "planetarie" dell'Armata Rossa, denominate con nomi di pianeti,
per sottolineare il massiccio numero di forze impiegate.
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Le colonne corazzate sovietiche avanzano nella neve durante l'operazione
Piccolo Saturno
Il 19 novembre 1942 si scatenava l'operazione Urano: in cinque giorni i corpi meccanizzati sovietici
travolsero le difese tedesco-rumene sul Don, sbaragliarono le riserve corazzate tedesche e si
congiunsero a Kalač (23 novembre), accerchiando completamente la 6ª Armata bloccata a
Stalingrado (quasi 300.000 uomini). Mentre falliva l'Operazione Marte sulla direttrice di Mosca, a
metà dicembre Stalin sferrò il nuovo attacco sul Don (operazione Piccolo Saturno), mentre i
tedeschi tentavano disperatamente di venire in soccorso delle truppe rimaste accerchiate a
Stalingrado anche per ordine di Hitler (risoluto a tenere le posizioni sul posto fino all'ultimo). La
catastrofe colpì in pieno anche le truppe italiane del corpo di spedizione in Russia (impiegato fin dal
1941 come CSIR e rinforzato nel 1942 come 8ª Armata o ARMIR), schierate a difesa del Medio
Don con mezzi e equipaggiamenti inadeguati. Dal 19 dicembre la ritirata degli italiani, inseguiti
nella neve dalle colonne corazzate sovietiche, si trasformò in tragedia (quasi 100.000 perdite). Alla
fine dell'anno la situazione dell'Asse sul fronte orientale era molto critica: la 6ª Armata tedesca
accerchiata a Stalingrado, isolata, affamata e ormai senza più speranze, le truppe satelliti rumene e
italiane in rotta, l'esercito tedesco nel Caucaso in piena ritirata (dal 30 dicembre) per evitare un
nuovo accerchiamento, i sovietici ina avanzata generale. L'Asse perse circa 1 milione di uomini tra
il novembre 1942 e il 2 febbraio 1943, data della resa definitiva a Stalingrado.
Il problema del "Secondo Fronte" e l'incursione di Dieppe
Il problema di un Secondo Fronte in Europa occidentale che attirasse e logorasse una parte della
Wehrmacht (impegnata quasi completamente a est) e alleviasse la pressione tedesca sui russi era
sorto praticamente fin dalla prima lettera di Stalin a Churchill del 18 luglio 1941 (in risposta alla
missiva del Primo Ministro inglese del 7 luglio). Le richieste di Stalin, riguardo ad un impegno
immediato inglese in forze sul continente, erano irrealistiche: in primo luogo a causa della
debolezza dell'esercito britannico (reduce dalle disfatte in Francia, Norvegia, Grecia e Creta) ed
inoltre perché il piano di guerra di Churchill del 1941 (prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti)
era completamente differente. Esso partiva dalla convinzione (presente soprattutto
nell'establishment militare) di un rapido crollo dell'URSS e si fondava su: potenziamento massimo
dei rifornimenti di armi dagli USA (secondo la Legge Lend-Lease Affitti e Prestiti del 11 marzo
1941), continuo incremento dei bombardamenti strategici terroristici del Bomber Command per
scuotere il morale dei civili tedeschi e distruggere l'industria bellica del Reich, organizzazione di
piccole operazioni periferiche dirette a logorare il nemico e a provocare il crollo dei suoi alleati
(secondo il vecchio schema adottato dagli inglesi contro Napoleone nella guerra d'indipendenza
spagnola). Erano quindi state pianificate le operazioni: Crusader (in Cirenaica), Acrobat
(Tripolitania), Gymnast (Nordafrica francese), Jupiter (Norvegia) e Whipcord (Sicilia).
Due eventi capitali verificatesi alla fine del 1941 cambiarono radicalmente la situazione: Stalin e
l'Armata Rossa riuscirono a fermare l'avanzata tedesca e passarono al contrattacco dal 5 dicembre
(con conseguente necessità per l'Esercito tedesco di rimanere in gran parte sul fronte est) e dal 7
dicembre gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Nel gennaio del 1942 Churchill e Roosevelt si incontrarono in America: l'accordo fu immediato sul
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concetto del Germany first (sconfiggere prima la Germania e poi occuparsi del Giappone), ma nel
campo della pianificazione operativa sorsero ampi contrasti tra inglesi (desiderosi di non correre
rischi e di coinvolgere gli USA in Africa – piano 'Super-Gymnast') e gli americani. Nell'aprile 1942
Marshall inviò in Europa Eisenhower e Clark che subito pianificarono operazioni per un rientro in
forze sul continente fin dal 1942, per alleviare i russi di nuovo sotto pressione (piano
'Sledgehammer'), e poi nel 1943 con offensive in grande stile (piano 'Round-up').
Dieppe: un gruppo di soldati canadesi prigionieri.
Durante il viaggio di Molotov a Washington (maggio) Roosevelt diede precise assicurazioni
positive in questo senso (forse anche per evitare impegni politico-territoriali precisi), ma Churchill e
gli strateghi inglesi riuscirono, negli incontri del 18-20 luglio 1942, a imporre l'abbandono di questi
progetti americani (anche a causa della disfatta di Tobruch in Africa e delle nuove ritirate
sovietiche) e a stabilire come unico impegno positivo angloamericano per 1942 il piano 'Torch'-ex
Super-Gymnast (sbarco nel Nordafrica francese).
Tuttavia l'ipotesi di aprire un "Secondo Fronte" che minacciasse direttamente la Germania, magari
partendo da un'invasione della Francia occupata dai tedeschi, non poteva essere del tutto trascurata.
A tal proposito, i dubbi strategici e logistici dei generali Alleati risiedevano, soprattutto, nel cercare
di capire se fosse possibile occupare un porto marittimo francese sul Canale della Manica, da
utilizzare sia come punto di lancio per un'invasione su vasta scala, sia come punto di approdo sicuro
per i rifornimenti alle truppe impegnate nell'invasione. Gli Alleati concordarono nell'effettuare un
esperimento, per sondare la capacità di reazione della Wehrmacht: avrebbero tentato l'invasione del
porto di Dieppe, sulla costa francese. Le truppe alleate avrebbero dovuto conquistarlo il più
rapidamente possibile; quindi avrebbero tentato di mantenerlo occupato e controllato per almeno 48
ore; dopodiché sarebbero state evacuate. Se la Wehrmacht avesse dimostrato incapacità a reagire
efficacemente, la futura ipotetica invasione della Francia avrebbe potuto iniziare da un porto.
Il 18 agosto fu messo in azione il Piano Jubilee a Dieppe, che però si risolse in un completo
disastro. Non solo le truppe sbarcate (principalmente canadesi) non riuscirono ad occupare il porto,
ma furono in gran parte distrutte dalle truppe tedesche in difesa (soltanto una minoranza di soldati
alleati riuscì ad essere evacuata dal campo di battaglia) e la battaglia aerea sopra le spiagge terminò
con una netta vittoria della Luftwaffe. Pertanto i Generali alleati ebbero la conferma che non
sarebbe stato possibile invadere la Francia attaccando direttamente un porto marittimo; ma sarebbe
stato necessario inventare nuove soluzioni tattiche, che sarebbero state poi impiegate nello sbarco in
Normandia del 6 giugno 1944. Per contro, il fallimento alleato a Dieppe mise comunque in allarme
Hitler, che diede ordine di iniziare la costruzione di un imponente Vallo Occidentale o Vallo
Atlantico, una lunghissima catena di fortificazioni difensive che, teoricamente, si sarebbe dovuta
estendere sulle coste di tutto il Nord Europa occupato dai tedeschi: dalle coste della Norvegia alle
coste meridionali francesi sino ai confini con la Spagna, creando così una Fortezza Europa. Da
questo punto di vista, la sanguinosa incursione alleata su Dieppe risultò un discreto successo
"indiretto", in quanto la conseguente decisione di Hitler, di costruire una quantità impressionante di
fortificazioni ad Ovest, comportò il dispendio di enormi quantità di risorse industriali, quali ad
esempio l'acciaio, che altrimenti l'industria bellica tedesca avrebbe potuto impiegare per produrre
più carri armati e cannoni, da destinare al Fronte Orientale.
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Poco prima, durante il suo soggiorno a Mosca (12-17 agosto 1942), Churchill aveva illustrato ad un
furibondo Stalin le motivazioni delle nuove decisioni alleate: l'URSS sarebbe rimasta da sola a
combattere il Terzo Reich sul continente almeno per un altro anno, mentre gli Alleati avrebbero
preso la strada per l'Africa, in attesa di un ulteriore logoramento tedesco all'Est, nonché in attesa
della costituzione di adeguate forze americane in Inghilterra, per un ipotetico attacco in forze in
Francia nel 1943 o più probabilmente nel 1944.
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1943
La controffensiva tedesca ad est
Il 2 febbraio 1943, i resti della 6ª Armata tedesca si arresero a Stalingrado. Mentre si consumava il
drammatico finale dell'interminabile battaglia, Stalin e il Comando supremo ampliarono le
dimensioni e gli scopi dell'offensiva invernale sovietica. Coscienti delle enormi perdite inflitte alle
truppe dell'Asse (quasi 70 divisioni distrutte – almeno 30 tedesche, 18 rumene, 10 italiane e 10
ungheresi) e di fronte ai segni di ritirata generale dei tedeschi (il 30 dicembre era iniziato il
ripiegamento dal Caucaso e il 12 gennaio era cominciata con un grande successo l'offensiva sul
medio Don contro le truppe ungheresi e il Corpo Alpino italiano) i comandi sovietici sperarono di
respingere il nemico, prima del disgelo di primavera, almeno fino al Dnepr e alla Desna. Le vittorie
sovietiche, in effetti, si succedettero: sul Medio Don le colonne corazzate sovietiche procedevano
verso Kursk e Char'kov, il Caucaso venne progressivamente liberato, Rostov sul Don tornò in mano
russe il 14 febbraio, il 30 gennaio erano iniziate due nuove operazioni (Operazione Galoppo e
Operazione Stella) dirette verso il Dnepr e il mar d'Azov e il 16 febbraio cadde anche Char'kov
dopo una dura battaglia contro alcuni reparti scelti tedeschi.
Stalin e lo Stavka organizzarono contemporaneamente altre offensive sul fronte di Leningrado, che
venne parzialmente sbloccata il 18 gennaio, sul fronte di Ržev-Vjaz'ma, dove i tedeschi ripiegarono
ordinatamente ai primi di marzo e anche sul fronte di Orël e Smolensk. Ma ormai anche i sovietici
erano esauriti dopo tre mesi di offensive ed estenuanti inseguimenti: i reparti erano stanchi e le
carenze logistiche si aggravavano. I comandi e lo stesso Stalin sottovalutarono le difficoltà e i
pericoli. I tedeschi, dopo un momento di sbandamento, mantennero la loro efficienza combattiva e
con l'afflusso di forti reparti corazzati provenienti dalla Francia, organizzarono una controffensiva
per tagliare fuori le punte avanzate sovietiche e ristabilire la situazione su tutto il fronte Orientale.
A partire dal 19 febbraio le Panzer-Divisionen tedesche del feldmaresciallo von Manstein sferrarono
il loro contrattacco: i sovietici furono colti di sorpresa (era convinzione generale che i tedeschi
avrebbero continuato la loro ritirata) e sconfitti. Tutte le colonne di testa vennero messe in grave
difficoltà e cominciarono a ripiegare. I tedeschi riguadagnarono la linea del Donec e del Mius, a
marzo riconquistarono anche Char'kov, prendendosi una sanguinosa rivincita (Terza battaglia di
Char'kov). Anche i tentativi sovietici verso Orël e Smolensk vennero respinti. A metà marzo con
l'arrivo della rasputizsa (disgelo primaverile) le operazioni si fermarono e il fronte si stabilizzò
momentaneamente.
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La battaglia di Kursk e l'avanzata generale Sovietica
Battaglia di Kursk: l'ultima speranza tedesca.
Nella primavera del 1943, la nuova linea del Fronte presentava nel settore centrale un grosso
saliente sovietico profondamente spinto verso ovest, presso Kursk: situazione potenzialmente
pericolosa e favorevole ad un nuovo attacco tedesco a tenaglia. Tuttavia Hitler, scosso dalla
catastrofe di Stalingrado e dalle sconfitte subite in Africa Settentrionale dall'Afrika Korps, con
conseguente ulteriore indebolimento dell'alleato italiano, mostrò per una volta indecisione nella
pianificazione strategica. Timoroso di un nuovo fallimento, e di fronte ai pareri ampiamente
divergenti dei suoi generali, Hitler decise successivi rinvii della prevista offensiva a tenaglia, per
dare tempo all'industria bellica tedesca di fornire alla Wehrmacht un grande numero di carri armati,
tra i quali i nuovi Panther e Tiger dai quali si aspettava risultati decisivi.
I carri armati 'Tiger' a Kursk.
Il ritardo tedesco nello scatenare l'offensiva fornì ai sovietici l'opportunità di rafforzare e fortificare
il Saliente di Kursk. Anche Stalin stava pianificando nuove offensive, per liberare il territorio
sovietico ancora occupato, ma di fronte ai giganteschi preparativi tedeschi decise, su consiglio
anche dei suoi Generali, di mantenersi in un primo tempo sulla difensiva, per poi passare in un
secondo momento ad una controffensiva generale. L'Armata Rossa ebbe tutto il tempo di prepararsi
allo scontro. Il Saliente di Kursk fu riempito di mine anticarro e cannoni anticarro sovietici;
trasformandosi da potenziale punto debole del Fronte sovietico in autentica trappola per la
Wehrmacht.
Il 5 luglio i tedeschi iniziavano l'Operazione Cittadella per schiacciare il saliente di Kursk: furono
otto giorni di battaglia durissimi tra i panzer tedeschi e le difese anticarro e i carri armati sovietici. Il
12 luglio i tedeschi, dopo aver subito grosse perdite, non erano ormai più in grado di insistere
nell'attacco. La gigantesca mischia corazzata di Prochorovka suggellò la sconfitta tedesca, proprio
mentre nello stesso momento, secondo i progetti di Stalin, i sovietici passavano a loro volta
all'attacco nella regione di Orël e sul Mius. I tedeschi, avendo perso circa il 60% delle forze
corazzate disponibili sul fronte orientale, dovettero rinunciare definitivamente all'iniziativa ad Est:
cominciava ora per loro una lunga e sanguinosa ritirata.
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L'offensiva di Stalin si sviluppò progressivamente su tutti i settori principali dell'immenso fronte
orientale: fin dal 12 luglio era cominciata la battaglia di Orël, il 3 agosto i sovietici passarono
all'attacco, dopo aver ricostituito con grande rapidità grosse forze corazzate offensive (nonostante le
pesanti perdite di Kursk) anche nel settore di Belgorod. La battaglia fu sempre durissima: i tedeschi
non ripiegarono senza combattere e, al contrario, organizzarono continui ridispiegamenti delle loro
esperte Panzer-Division per rafforzare le difese e effettuare aspri contrattacchi. Ma l'avanzata
sovietica fu inesorabile anche se duramente contrastata: il 5 agosto veniva liberata Orël, il 23 finiva
con la vittoria russa la Quarta battaglia di Char'kov, dopo nuovi furiosi scontri di carri armati; ai
primi di settembre crollava anche il fronte sul Mius (presa di Taganrog e Stalino). A questo punto
Hitler accolse, pur con riluttanza, la proposta del feldmaresciallo Erich von Manstein di un
ripiegamento strategico fino alla linea del Dnepr (l'ipotizzato Ostwall), poiché le perdite tedesche
erano state ingenti, le riserve corazzate erano esaurite e i russi apparivano nettamente superiori.
Carri armati e fanti sovietici avanzano durante l'offensiva dell'estate 1943.
Cominciò così la grande battaglia per il Dnepr: le truppe sovietiche, energicamente spronate da
Stalin, inseguirono subito l'esercito tedesco in ritirata che tentava di attestarsi saldamente sul grande
fiume. Il progetto tedesco fallì: i sovietici costituirono rapidamente numerose teste di ponte da cui
partire per liberare anche l'Ucraina occidentale; l'obiettivo più importante era Kiev, che venne
liberata il 6 novembre dopo un'audace manovra aggirante delle truppe corazzate sovietiche. Anche
più a sud i sovietici si attestarono sulla riva occidentale del Dnepr e liberarono progressivamente
(dopo duri scontri) i grandi centri di Dnepropetrovsk, Zaporož'e, Kremenčuk. Infine anche a nord,
nella regione centrale, l'Armata Rossa passò all'offensiva e, nonostante la resistenza tedesca e le
difficoltà del terreno, liberò anche Brjansk (17 settembre) e Smolensk (25 settembre).
Tuttavia i tedeschi, pur fortemente indeboliti, mantennero ancora il possesso della Crimea, degli
importanti centri minerari di Krivoy Rog e Nikopol e sferrarono anche una nuova controffensiva
(con l'afflusso di rinforzi dall'ovest e dall'Italia) che mise in grosse difficoltà le truppe sovietiche
che avanzavano dopo la liberazione di Kiev, (controffensiva di Žytomyr: novembre-dicembre
1943). Nonostante questi rovesci locali e le gravi perdite (oltre 1 milione di morti solo nel secondo
semestre del 1943), Stalin e l'Armata Rossa conclusero il 1943 con pieno successo: l'esercito
tedesco era stato gravemente danneggiato (1.400.000 morti, feriti o dispersi tra luglio e dicembre)
ed era ora inferiore numericamente e tecnicamente, gran parte delle regioni occupate erano state
liberate, l'offensiva invernale, già in preparazione, prometteva nuovi successi, l'intervento in forze
sul continente degli anglosassoni era imminente.
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Il fronte mediterraneo e la campagna d'Italia
Truppe americane durante lo sbarco di Salerno (9 settembre 1943).
Al disastro tedesco di Stalingrado ne seguì un altro in Tunisia, con la perdita dell'ultimo caposaldo
dell'Asse in Nordafrica e la cattura di circa 200.000 soldati tedeschi e italiani (maggio 1943). Subito
dopo gli Alleati usarono il Nordafrica come trampolino di lancio per l'invasione della Sicilia,
l'Operazione Husky (luglio 1943). In realtà le decisioni definitive alleate riguardo alla
pianificazione operativa avevano scatenato nuovi duri contrasti tra gli americani, desiderosi di un
pronto ritorno in forze in Europa (Operazione Round-Up per un attacco in Francia nel 1943, che poi
sarebbe diventata l'operazione Overlord del 1944) e gli inglesi, più timorosi della potenza tedesca e
quindi favorevoli ad un rinvio (in attesa di un ulteriore dissanguamento tedesco all'est) e
all'esecuzione di operazioni marginali nel Mediterraneo, nei Balcani, nell'Egeo (il ventre molle
dell'Europa secondo Churchill). Le decisioni della Conferenza di Casablanca portarono allo sbarco
in Sicilia (10 luglio 1943), anche nella speranza di provocare un crollo del regime fascista già
fortemente indebolito. Le rapida dissoluzione delle difese italiane in Sicilia provocò una svolta
decisiva in Italia: il 25 luglio Mussolini venne destituito dal re Vittorio Emanuele III e sostituito con
il maresciallo Pietro Badoglio; il ventennale regime fascista si dissolse in pochissime ore senza
opporre resistenza. Hitler, furibondo, previde la possibile resa dell'Italia e organizzò rapidamente le
truppe e i piani per fare fronte alla defezione, liberare Mussolini e organizzare un fronte difensivo
tedesco in Italia per rallentare la progressione alleata da sud e proteggere le frontiere meridionali del
Reich.
La liberazione di Mussolini.
Dopo confuse manovre diplomatiche Badoglio e il re decisero di accettare l'Armistizio imposto
dagli Alleati: l'Italia si arrese, firmando l'armistizio il 3 settembre, reso poi pubblico l'8 settembre,
ma le truppe tedesche si mossero con grande velocità e risolutezza e riuscirono, anche a causa del
completo crollo militare e politico della struttura statale italiana, a disarmare l'esercito italiano (oltre
600.000 soldati italiani furono catturati e deportati in Germania), occuparono Roma e affrontarono
anche con abilità l'invasione alleata della penisola. Lo sbarco di Salerno (8 settembre 1943) venne
quindi fortemente contrastato delle truppe tedesche del feldmaresciallo Albert Kesselring; dopo aver
rallentato l'avanzata angloamericana, i tedeschi ripiegarono metodicamente, infliggendo dure
perdite, sulle varie linee difensive stabilite sugli Appennini Meridionali. Alla fine dell'anno le
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intemperie invernali e l'abile condotta dell'esercito tedesco condussero alla definitiva stabilizzazione
del fronte sulla cosiddetta Linea Gustav, imperniata sulle difese di Cassino. L'avanzata era, almeno
per il momento, finita. Nel frattempo, nell'Italia occupata dai tedeschi, Hitler (dopo la liberazione di
Mussolini il 12 settembre) organizzò un governo fascista fantoccio (Repubblica di Salò) con il
redivivo Duce alla sua testa: il duro comportamento delle truppe e delle autorità tedesche (e di
quelle fasciste) nell'Italia occupata favorì l'inizio dei primi fenomeni di resistenza contro
l'occupante. La situazione dell'Italia divenne tragica: trasformata in campo di battaglia, era occupata
dai tedeschi a nord e dagli alleati a sud, preda dei bombardamenti e ridotta in miseria.
Bombardamento di Amburgo
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1944
L'offensiva invernale sovietica
Fin dal 24 dicembre, dopo la breve pausa imposta dalla controffensiva tedesca di Žytomyr, l'Armata
Rossa riprese la sua offensiva nel settore meridionale del fronte orientale. Nonostante il
peggioramento delle condizioni climatiche, i sovietici (partendo dalla loro grande testa di ponte di
Kiev) progredirono nell'Ucraina occidentale nel tentativo di schiacciare le forze tedesche contro la
costa del Mar Nero. La resistenza tedesca, ancora una volta basata sulle forze corazzate, riuscì a
frenare l'avanzata, ma le truppe che Hitler aveva ostinatamente lasciato nella testa di ponte sul
Dnepr di Kanev, vennero accerchiate e distrutte dopo una nuova terribile battaglia invernale
(battaglia della sacca di Korsun', terminata il 18 febbraio con quasi 50.000 perdite tedesche).
Le colonne sovietiche avanzano in Ucraina occidentale nell'inverno 1943-1944.
Questo nuovo disastro tedesco facilitò la successiva avanzata generale di tutto lo schieramento
meridionale sovietico: a sud vennero liberate Krivoy Rog (22 febbraio) e Nikopol' (8 febbraio) e
rimase isolato il raggruppamento tedesco in Crimea; il maresciallo Konev iniziò la sua celebre
marcia nel fango e a dispetto delle intemperie liberò di sorpresa Uman' e proseguì a valanga
superando in successione il Buh Meridionale, il Dnestr e il Prut. Il maresciallo Žukov manovrò in
profondità verso Černivci e i Balcani. A Kam'janec'-Podil's'kyj i carri armati dei due marescialli
riuscirono a chiudere in una sacca un'intera armata tedesca (28 marzo); sembrò giunta la catastrofe
finale dei tedeschi a sud; ma l'armata accerchiata riuscì con una ritirata di centinaia di chilometri,
aiutata da un nuovo efficace contrattacco di truppe corazzate tedesche affluite dall'ovest al comando
del generale Model (che aveva sostituito von Manstein), a uscire dalla sacca e a porsi in salvo (4
aprile). In questo modo i tedeschi riuscirono ad evitare il crollo ma tutta l'Ucraina era ormai stata
persa e i sovietici erano penetrati in Romania (dopo aver liberato Odessa) e in Polonia orientale.
Anche a Nord i sovietici riuscirono finalmente a rompere in modo definitivo la presa tedesca su
Leningrado il 26 gennaio (dopo un terribile assedio di 900 giorni) e a progredire, con grosse
difficoltà e gravi perdite, verso i Paesi Baltici fino a raggiungere la linea Pskov-Narva (per il
momento saldamente tenuta dai tedeschi). Alla vigilia di Overlord, ai Russi rimanevano da liberare
solo la Bielorussia e gli Stati Baltici; a costo di incredibili sacrifici e spaventose perdite (oltre
700.000 morti da gennaio a giugno), l'esercito tedesco era stato dissanguato (quasi 1 milione di
perdite dell'Asse durante l'inverno 1943-44), Stalin poteva ora guardare con fiducia ai suoi vasti
progetti geostrategici di riorganizzazione della carta europea.
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Lo sbarco in Normandia e la liberazione della Francia
D-Day, 6 giugno 1944 Normandia.
Dopo quasi due anni di preparativi e di pareri discordanti tra gli Alleati, durante la conferenza di
Teheran venne presa la decisione di attaccare il cosiddetto Vallo Atlantico, allo scopo di aprire il
secondo fronte, insistentemente richiesto da Stalin dall'inizio dell'operazione Barbarossa, con il
duplice intento di liberare la Francia e di sottrarre risorse alle forze tedesche impegnate sul fronte
orientale contro l'Armata Rossa e, il 6 giugno 1944, con lo sbarco sulle coste della Normandia,
prese il via l'operazione Overlord, che costituì l'inizio alla battaglia di Normandia e che ebbe
termine il 26 agosto con la liberazione di Parigi.
Dopo lo sbarco le truppe Alleate, disponendo di una schiacciante superiorità aerea, riuscirono
dapprima ad attestarsi sulle spiagge e successivamente ad avanzare verso sud e nella penisola di
Cotentin; i primi tentativi di sfondamento da parte della 2ª armata britannica, comandata dal
generale Miles Dempsey, nel settore di Caen furono respinti dalle divisioni corazzate tedesche e la
città cadde solo il 9 luglio, mentre nel settore di competenza della 1ª armata americana, comandata
dal generale Omar Bradley, l'avanzata fu ostacolata dal bocage normanno e solo 26 giugno fu
conquistato l'obiettivo del porto di Cherbourg.
I carri armati alleati dilagano in Francia.
L'attacco in profondità sul fronte tedesco venne portato dagli americani con la cosiddetta operazione
Cobra nel settore di Saint-Lô: l'attacco ebbe successo e, oltre a sfondare il fianco sinistro del fronte
tedesco, permise alla 3ª armata americana, comandata dal generale George Smith Patton, di aprirsi
un varco verso la Bretagna; Hitler, reduce dall'attentato del 20 luglio, proibì qualunque
ripiegamento ed ordinò un contrattacco, la cosiddetta operazione Lüttich, che venne interrotto dopo
soli quattro giorni a causa dell'impossibilità di perseguire l'obiettivo di respingere gli americani
verso Avranches.
Il 14 agosto la 1ª armata canadese, comandata dal generale Harry Crerar, sferrò un'offensiva verso
Falaise, allo scopo di congiungersi con le forze americane che a sud avevano occupato Argentan; la
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cosiddetta operazione Tractable, nonostante i ritardi dovuti alla resistenza tedesca, consentì di
perseguire l'obiettivo ma una larga parte delle forze nemiche riuscì a sottrarsi alla sacca di Falaise,
ripiegando verso la Senna. Sconfitte le forze tedesche poste a difesa della Normandia le forze
Alleate poterono dirigersi verso Parigi che venne liberata il 25 agosto, con l'ingresso nella capitale
della 2ª divisione corazzata francese, comandata dal generale Philippe Leclerc de Hauteclocque, alla
quale venne consentito, a seguito di accordi intercorsi tra il comando alleato ed il generale Charles
de Gaulle, comandante delle forze della Francia libera, di entrare per prima, sfilando in parata il
giorno successivo.
Fin dal 15 agosto un nuovo sbarco alleato in Provenza (Operazione Dragoon) suggellava la disfatta
tedesca all'ovest: ai primi di settembre l'avanzata sembrava ormai inarrestabile (nonostante la
perdita di circa 210.000 uomini) e la sconfitta tedesca definitiva (oltre 500.000 perdite subite). Il 3
settembre gli inglesi entravano a Bruxelles, l'11 settembre le prime truppe alleate raggiungevano il
confine tedesco, i reparti corazzati americani del generale Patton, estremamente mobili, superavano
la Mosa e la Mosella e raggiungevano la Lorena.
L'offensiva sovietica d'estate
I carri armati sovietici liberano Minsk (3 luglio 1944).
Ancor prima dell'inizio dell'Operazione Overlord (6 giugno), i russi avevano ottenuto una nuova
risonante vittoria liberando la Crimea (compreso il grande porto di Sebastopoli) e schiacciando
completamente le ingenti forze tedesco-rumene rimaste imbottigliate nella penisola sul Mar Nero (9
maggio). Il 10 giugno Stalin sferrava una nuova offensiva all'estremo nord del fronte orientale
(nell'istmo di Carelia) per regolare finalmente i conti con la Finlandia: dopo una dura resistenza, le
forze sovietiche, nettamente superiori, ebbero ragione delle difese finniche (presa di Vyborg il 20
giugno). La Finlandia abbandonava l'alleanza con la Germania e accettava di firmare la pace con
L'URSS (19 settembre): a prezzo di nuove perdite territoriali la nazione scandinava conservava
almeno la propria indipendenza.
Il 22 giugno (a tre anni esatti dall'inizio dell'Operazione Barbarossa) Stalin dava il via
all'Operazione Bagration: sarebbe stata una spettacolare dimostrazione della potenza dell'Armata
Rossa. L'attacco venne sferrato contro le forze tedesche posizionate in Bielorussia e fin dall'inizio
ottenne pieno successo. Con manovra a tenaglia, le potenti unità corazzate sovietiche (4.000 mezzi
corazzati) prima travolsero i capisaldi tedeschi di Vitebsk sulla Dvina (26 giugno) e di Babrujsk
sulla Beresina (27 giugno) e quindi serrarono velocemente su Minsk. I tedeschi, molto indeboliti,
tentarono disperatamente di rallentare l'avanzata per permettere il deflusso delle forze che
rischiavano di rimanere tagliate fuori a est della Beresina, ma l'avanzata sovietica era inarrestabile:
Minsk cadde il 3 luglio, nei giorni seguenti le armate tedesche rimaste isolate vennero
progressivamente distrutte (oltre 100.000 prigionieri). L'intero raggruppamento centrale tedesco era
crollato; a questo punto le colonne corazzate sovietiche proseguirono l'avanzata in due direzioni
contemporaneamente: verso nord-ovest (presa di Vilnius il 13 luglio, di Kaunas il 1º agosto) per
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raggiungere la costa baltica; e direttamente verso ovest in direzione del Niemen e della Vistola
(presa di Lublino il 23 luglio e di Brest-Litovsk il 28 luglio, raggiungimento del confine tedesco in
Prussia Orientale il 31 luglio). Inoltre, fin dal 13 luglio, l'Armata Rossa era passata all'attacco anche
più a sud (in Volinia); dopo duri scontri, i carri armati russi occupavano Lvov (27 luglio) e
proseguivano a valanga verso la Vistola che attraversavano d'assalto a Sandomierz e a Magnuszew.
Ma ora i tedeschi, con l'arrivo di forti riserve corazzate e nonostante lo sbandamento dell'attentato a
Hitler del 20 luglio, riuscirono miracolosamente a riprendersi, a fermare l'avanzata sovietica verso il
golfo di Riga, a contenere le teste di ponte sulla Vistola e ad arrestare l'avanzata su Varsavia.
L'Armata Rossa entra a Leopoli (luglio 1944).
Il 30 luglio l'Armia Krajowa polacca (filoccidentale e legata al governo polacco di Londra) iniziava
la drammatica rivolta di Varsavia; ma i tedeschi riuscirono a controllare la situazione, a schiacciare
progressivamente l'insurrezione e a respingere, con l'intervento di alcune Panzer-Divisionen, le
esauste colonne corazzate sovietiche in avvicinamento alla capitale polacca (battaglia di Radzymin).
Stalin certamente non si dispiacque del fallimento della rivolta e contava di trarre profitto dalla
sconfitta degli insorti nazionalisti, tuttavia il mancato intervento sovietico in aiuto fu dovuto in parte
anche all'esaurimento delle truppe e alla violenza del contrattacco tedesco. Dopo un'avanzata di
oltre 500 km e dopo aver inflitto ai tedeschi perdite enormi (900.000 uomini da giugno a agosto),
l'Armata Rossa si fermò sulla Vistola e sul San: anche le sue perdite erano state ingenti (quasi
500.000 morti) e inoltre Stalin ora era ancor più interessato alla conquista del Baltico e a "liberare"
le nazioni balcaniche già alleate di Hitler.
Il 20 agosto le forze sovietiche a sud dei Carpazi sferravano la terza grande offensiva dell'estate
1944; una nuova manovra a tenaglia si chiuse rapidamente su tutto lo schieramento tedesco-rumeno
(24 agosto). La battaglia di Iași-Chișinău si concludeva con un nuovo trionfo per Stalin: dopo la
perdita di altri 200.000 soldati tedeschi, il vuoto si apriva per i carri armati sovietici; le alleanze
della Germania franarono: il 23 agosto la Romania abbandonava l'alleato germanico e le colonne
sovietiche dilagavano senza incontrare resistenza (il 31 agosto i russi entravano a Bucarest), il 9
settembre la Bulgaria (a cui l'URSS aveva dichiarato guerra il 5) passava al fianco degli Alleati e
apriva le porte all'Armata Rossa, solo l'Ungheria rimase alleata dei tedeschi (dopo il colpo di stato
filonazista di Szalasi del 15 ottobre). Le residue forze tedesche ripiegarono attraverso i Carpazi e
iniziarono l'abbandono della Grecia e della Jugoslavia (Belgrado venne liberata dai carri armati
sovietici provenienti dalla Bulgaria, insieme alle truppe di Tito, il 14 ottobre).
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La guerra in Italia
Contemporaneamente all'invasione della Francia, gli Alleati conquistarono Roma (il 4 giugno) e, in
poche settimane, il resto dell'Italia centrale. In novembre, raggiunto l'importante obiettivo
simbolico-propagandistico, obiettivo a cui gli inglesi molto tenevano, della conquista-liberazione di
Forlì, la cosiddetta "Città del Duce", le operazioni conobbero un rallentamento, dovuto all'arrivo
dell'inverno.
La ripresa tedesca e l'offensiva delle Ardenne
Alla metà di settembre la situazione del Terzo Reich sembrava disperata: ad ovest, dopo il crollo del
fronte di Normandia, le mobilissime colonne alleate progredivano rapidamente nelle pianure francobelghe disperdendo i demoralizzati resti dell'esercito tedesco dell'ovest; in Italia le forze del
feldmaresciallo Kesselring ripiegavano verso nord, dopo aver perso tutta l'Italia centrale, cercando
di attestarsi sulla cosiddetta Linea Gotica apprestata per sbarrare agli Alleati l'accesso alla valle
Padana; nell'aria i bombardamenti strategici, sempre più devastanti, provocavano enormi distruzioni
e intralciavano la produzione bellica tedesca di armi e carburanti sintetici; ad est (dove combatteva
ancora il grosso della Wehrmacht) il fronte sembrava provvisoriamente stabilizzato sulla linea della
Vistola e in Prussia Orientale, ma il raggruppamento tedesco nel Baltico rischiava di essere
completamente isolato, mentre nei Balcani, l'inarrestabile avanzata dell'Armata Rossa, con il
conseguente cambio di alleanza di Romania e Bulgaria, progrediva verso le pianure ungheresi e
metteva a rischio tutte le forze tedesche presenti in Jugoslavia e in Grecia.
Contro tutte le previsioni, tuttavia, a questo punto si assistette ad una sorprendente ripresa tedesca
autunnale su tutti i fronti, che avrebbe portato a nuove sanguinose battaglie ed anche ad un ultimo
tentativo tedesco di controffensiva strategica. I fattori politico-strategici che resero possibile questa
imprevista ripresa tedesca furono principalmente: la spietata volontà di Hitler di continuare a
battersi, di rastrellare tutte le risorse umane e materiali, di non rassegnarsi alla sconfitta; la capacità
dell'esercito tedesco di ripiegare senza perdere la coesione e la combattività dei reparti; l'abilità dei
comandanti tedeschi nelle improvvisazioni tattiche; alcuni errori alleati nella pianificazione
operativa e logistica; l'esaurimento momentaneo delle risorse alleate all'ovest (in attesa della
liberazione del porto di Anversa) e la decisione di Stalin (probabilmente corretta) di dare priorità
alle avanzate Balcaniche e nel Baltico, per motivi politici ma anche strategici.
Offensiva delle Ardenne: gli ufficiali tedeschi studiano le rotte di marcia.
All'ovest, gli alleati, dopo uno spericolato attacco combinato terrestre e aviotrasportato (organizzato
dal generale Montgomery) per occupare in un sol colpo tutti i ponti strategici su i vari rami del
Reno (Operazione Market Garden), fallito dopo l'aspra battaglia di Arnhem (17-25 settembre), si
ridussero durante l'inverno ad operazioni limitate dirette alla completa liberazione del porto di
Anversa (a opera dei Canadesi), all'attacco alle fortificazioni della cosiddetta Linea Sigfrido
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(precariamente riorganizzata dai tedeschi) che portò alle logoranti battaglie di Aquisgrana (21
ottobre) e della foresta di Hürtgen; alla liberazione, a opera di americani e francesi, di Alsazia e
Lorena. I tedeschi persero altro terreno, ma nel complesso riuscirono a stabilizzare solidamente il
fronte occidentale, infliggendo dure perdite agli alleati (cosiddetto miracolo dell'ovest).
In Italia, il feldmaresciallo Kesselring, con la sua consumata abilità tattica, contenne sulla Linea
Gotica, l'avanzata alleata, indebolita da notevoli prelevamenti di truppe a favore del fronte
occidentale; alcuni ulteriori tentativi offensivi alleati ottennero solo mediocri successi locali (presa
di Rimini il 21 settembre).
All'est, dove rimaneva oltre il 60% delle forze della Wehrmacht, l'offensiva sovietica nei paesi
Baltici venne duramente contrastata; Riga cadde il 13 ottobre, solo il 15 ottobre (al secondo
tentativo) le forze corazzate sovietiche raggiunsero la costa a Memel, isolando tutto il
raggruppamento tedesco settentrionale; ma queste forze continuarono a battersi, rifornite via mare, e
ripiegarono progressivamente in Curlandia dove sarebbero rimaste asserragliate fino alla fine della
guerra; in Prussia Orientale un primo attacco sovietico venne respinto. Nei Balcani, con l'intervento
di nuovi reparti corazzati e con l'aiuto del governo fantoccio ungherese, Hitler organizzò un'aspra
difesa nelle pianure ungheresi. Le forze sovietiche, esauste, subirono in questa regione numerosi
scacchi a opera dei panzer (battaglie di Debrecen 22-25 ottobre). Dopo un nuovo raggruppamento
di forze, e con l'afflusso delle armate provenienti da Belgrado, i russi ripresero l'offensiva e
riuscirono, dopo nuovi scontri di carri armati, ad avvicinarsi a Budapest, dove sarebbe stata
combattuta fino al febbraio 1945 una lunga e durissima battaglia.
Truppe americane durante la battaglia delle Ardenne.
Il 16 dicembre l'Esercito tedesco sferrava l'Operazione Herbstnebel: era l'inizio della Offensiva
delle Ardenne (nella storiografia anglosassone the battle of the bulge: la battaglia della sacca), il
disperato tentativo di Hitler di ottenere una clamorosa vittoria all'ovest, scuotere il morale
anglosassone e ribaltare la situazione strategica. L'attacco, sferrato da tre armate e oltre 1.000 carri
armati, colse di sorpresa i comandi alleati (convinti dell'impossibilità di una nuova offensiva
tedesca) e provocò confusione ed anche cedimenti tra le truppe americane attaccate. Alcune colonne
corazzate tedesche penetrarono in profondità, superando i deboli sbarramenti americani; i panzer di
testa, rallentati dalle intemperie climatiche (che tuttavia avevano anche impedito interventi massicci
dell'aviazione alleata) e dal terreno boscoso, il 24 dicembre giunsero in vista della Mosa. Ma i
comandi alleati nel frattempo erano riusciti a mobilitare tutte le riserve e, grazie alla coraggiosa
resistenza di alcuni reparti americani e all'efficace difesa dei nodi di comunicazione più importanti
(Bastogne), poterono gradualmente chiudere la breccia e poi contrattaccare. Alla fine dell'anno
l'avanzata tedesca era ormai bloccata. Di fronte alla crescente superiorità numerica e materiale
alleata, i tedeschi ripiegarono lentamente sulle posizioni di partenza; a metà gennaio la battaglia,
sanguinosa per tutte e due le parti (oltre 80.000 perdite per parte) era finita; essa segnava la fine
delle ultime speranze di Hitler (era già fallito anche un nuovo tentativo offensivo in Alsazia,
l'operazione Nordwind).
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1945
L'offensiva sovietica sulla Germania
Mentre si combatteva la battaglia delle Ardenne, in Ungheria continuavano i duri scontri tra
tedeschi (con l'aiuto dei reparti dell'esercito ungherese) e sovietici (appoggiati dai contingenti
rumeni); dopo nuove complesse manovre delle colonne meccanizzate sovietiche a cavallo del
Danubio e grosse battaglie di mezzi corazzati, finalmente il 27 dicembre le tenaglie sovietiche si
chiudevano accerchiando completamente Budapest e le cospicue forze tedesche e ungheresi poste a
difesa della capitale magiara. Ben lontano da rinunciare, Hitler (mentre conduceva la battaglia
all'ovest) organizzò ripetuti tentativi di sbloccare la città con l'afflusso di nuove forze tedesche.
Dopo nuovi aspri scontri (e notevoli difficoltà e perdite per i sovietici) alla fine di gennaio i tedeschi
dovettero rinunciare al tentativo di soccorrere Budapest. Nel frattempo dentro la città stava
infuriando una micidiale battaglia stradale (quasi altrettanto feroce di quella di Stalingrado) tra le
truppe scelte tedesche accerchiate (tra cui notevoli reparti di Waffen-SS) e le potenti truppe d'assalto
sovietiche. Fu una battaglia durissima combattuta fanaticamente, le perdite furono ingentissime per
tutte e due le parti, le devastazioni della splendida città sul Danubio enormi; Pest cadde il 18
gennaio ma la città vecchia di Buda venne difesa ancor più accanitamente. Dopo scontri furibondi e
un tentativo fallito di sortita, le residue truppe tedesche e ungheresi si arresero il 13 febbraio 1945.
La vittoria era stata raggiunta e il bottino dell'Armata Rossa notevole (50.000 morti e 138.000
prigionieri tedesco-ungheresi complessivi da novembre a febbraio) ma le perdite erano state pesanti
anche per i russi (320.000 uomini in tutta la campagna ungherese).
Soldati sovietici durante i furiosi combattimenti a Budapest.
Mentre infuriavano i combattimenti nelle strade di Budapest, le enormi forze sovietiche ammassate
sulla Vistola e in Prussia Orientale avevano già ottenuto una schiacciante vittoria e stavano
marciando, apparentemente inarrestabili, direttamente su Berlino. L'ultima grande offensiva
invernale dell'Armata Rossa era cominciata il 12 gennaio (in apparenza in anticipo sui piani per
ordine di Stalin, sollecitato da Churchill il 6 gennaio a iniziare senza indugio la nuova offensiva per
alleggerire gli Alleati sul fronte ovest) a partenza dalle teste di ponte sulla Vistola di Baranow e
Sandomir. Una vera valanga di uomini, cannoni (32.000), carri armati (6.400) e aerei (4.800) si
abbatté sulle precarie difese tedesche (recentemente indebolite da Hitler, ingannato sulle intenzioni
sovietiche, con trasferimenti di truppe in Ungheria). Le prime linee sulla Vistola vennero
rapidamente travolte, Varsavia (città fantasma) cadde senza combattere, le riserve corazzate
tedesche, schierate troppo vicine alla prima linea, vennero distrutte dai corpi meccanizzati del
maresciallo Konev.
Un enorme vuoto si apriva davanti alle colonne dei marescialli Žukov e Konev che si lanciarono
rapidamente in profondità aggirando i capisaldi di resistenza tedeschi di Breslavia e Posen (difesi
dai tedeschi secondo la tecnica dei "frangiflutti" (wellenbrecher), ideata da Hitler). L'avanzata in
Polonia fu rapidissima: il 17 gennaio venne raggiunta Częstochowa, il 19 Łódź e Cracovia, il 28
gennaio Katowice (il bacino industriale della Slesia cadde intatto in mano dei sovietici, secondo gli
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intendimenti di Stalin); alla fine di gennaio l'Armata Rossa raggiungeva, dopo un'avanzata
forsennata, il fiume Oder (ultima protezione naturale per Berlino) e costituiva subito teste di ponte
sulla riva occidentale a Küstrin e a Opole: la capitale tedesca era distante appena 80 km; la
catastrofe tedesca era stata enorme (quasi 400.000 perdite in un mese), le devastazioni immense, i
civili tedeschi avevano abbandonato in massa i territori invasi della Pomerania, della Prussia e della
Slesia, i soldati sovietici si erano spesso abbandonati al saccheggio e alla vendetta sulle popolazioni.
I carri armati sovietici durante la 'corsa all'Oder' (gennaio 1945).
Molto più combattuta fu la battaglia in Prussia Orientale (attaccata dal 13 gennaio da un altro
massiccio raggruppamento sovietico): i tedeschi, in difesa del suolo patrio, si batterono con abilità e
efficacia, sfruttando il terreno boscoso e le solide fortificazioni. I russi dovettero impegnarsi in
estenuanti e sanguinosi attacchi frontali, impiegando grandi quantità di artiglieria pesante; alcune
colonne corazzate raggiunsero la costa Baltica presso Marienburg il 27 gennaio, ma i tedeschi
contrattaccarono e una parte delle truppe riuscì a ripiegare in Pomerania. Le superstiti navi da
guerra della Kriegsmarine intervennero con le loro artiglierie in aiuto delle truppe a terra e inoltre
eseguirono numerose evacuazioni di reparti militari e soprattutto di civili in fuga davanti alla
valanga devastatrice dei russi. La lotta si prolungò fino ad aprile; progressivamente le forze
tedesche vennero frammentate e distrutte dopo lotta accanita e ingenti perdite (585.000 perdite
russe). La poderosa fortezza di Königsberg venne attaccata a partire dal 1º aprile dalle forze
sovietiche, guidate personalmente dal maresciallo Vasilevsky e conquistata il 9 aprile, grazie
all'impiego in massa dell'artiglieria pesante e di grandi rinforzi di aviazione (150.000 perdite
tedesche. Piccoli nuclei di resistenza tedeschi rimasero attivi nella regione del Frisches Haff fino
alla capitolazione del Terzo Reich.
Mentre si prolungava l'aspra battaglia in Prussia Orientale, le potenti forze russe giunte all'Oder
avevano interrotto in febbraio la loro avanzata verso Berlino. Questa inattesa tregua era dovuta alla
capacità di Hitler e dei tedeschi di ricostituire un nuovo fronte difensivo con i resti delle forze
sconfitte e con l'afflusso di circa 20-25 divisioni dall'ovest e dall'Italia; all'esaurimento e alle
difficoltà logistiche delle forze sovietiche (dopo un'avanzata di 600 km); alla decisione di Stalin,
impegnato in quel momento nel 'grande gioco' della conferenza di Jalta, di non rischiare un balzo
immediato su Berlino, per timore di uno scacco a causa dei fianchi esposti delle avanguardie
sull'Oder. Durante febbraio e marzo, quindi, l'Armata Rossa si impegnò nel rastrellamento delle
sacche di resistenza tedesche rimaste indietro (che si batterono con accanimento) e nella sconfitta
delle forze nemiche in Pomerania e in Slesia, in preparazione dell'ultima grande battaglia di
Berlino.
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Il crollo del fronte occidentale
Dopo la battaglia delle Ardenne e il crollo della linea della Vistola (con conseguente trasferimento
di numerose divisioni tedesche verso il fronte orientale), l'esercito tedesco dell'ovest era ormai in
schiacciante inferiorità numerica e materiale nei confronti delle forze alleate, continuamente
potenziate dall'afflusso di nuovi reparti americani da oltre oceano. Dopo una fase di
riorganizzazione e pianificazione (ed anche di scontri tra generali inglesi e americani sulle priorità
strategico-operative), gli alleati poterono quindi ripartire all'offensiva, a partire dall'8 febbraio, per
superare la Linea Sigfrido e conquistare tutto il territorio renano a ovest del grande fiume. I tedeschi
combatterono ancora con tenacia, ma la superiorità aereo-terrestre alleata era troppo grande; dopo
aspri scontri le truppe tedesche cercarono di ripiegare dietro il Reno. Il 6 marzo gli americani
entravano in Colonia; sfruttando la crescente confusione tra le file del nemico, già il 7 marzo, con
un colpo di mano si impadronivano del grande ponte sul Reno di Remagen e costituivano una prima
testa di ponte a est del fiume. Nel frattempo altri reparti americani penetravano in Germania più a
sud; il 21 marzo occupavano Magonza e il 23 superavano anch'essi di sorpresa il Reno a
Oppenheim, organizzando una seconda testa di ponte. La resistenza tedesca dava segni di collasso
(280.000 prigionieri dall'8 febbraio al 23 marzo); la linea del Reno era già intaccata e il morale dei
soldati stava cedendo.
Le truppe americane al ponte di Remagen.
Il 23 marzo anche gli inglesi superavano il Reno (alla presenza di Churchill) a Wesel, con una
mastodontica operazione aeroterrestre (forse inutile visti i segni di dissoluzione nel campo tedesco).
A questo punto il fronte tedesco a ovest cedette definitivamente; il raggruppamento centrale venne
accerchiato il 2 aprile nella 'sacca della Ruhr' dalle veloci colonne americane sbucate dalle teste di
ponte; la resistenza nella sacca fu debole e cessò già il 17 aprile (325.000 prigionieri). Con deboli
perdite, i mezzi corazzati alleati poterono dilagare quasi a volontà nella Germania occidentale
(sfruttando anche l'eccellente rete autostradale tedesca), contrastati solo da una sporadica resistenza
di alcuni reparti fanatici di Waffen-SS e della Hitlerjugend. Il grosso dei tedeschi si arrese o ripiegò
in rotta.
I soldati tedeschi si arrendono ('sacca della Ruhr')
Mentre gli anglo-canadesi puntavano su Brema e Amburgo (raggiunta il 2 maggio) per anticipare i
russi in Danimarca, le mobilissime unità americane al centro (quasi 4.000 carri armati) puntavano
verso il fiume Elba; il 10 aprile raggiunsero Hannover, il 14 cadde Lipsia; il 13 aprile costituivano
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una prima testa di ponte sul fiume vicino Magdeburgo (a 120 km da Berlino). In questa zona alcune
divisioni tedesche "fantasma" opposero resistenza e bloccarono l'avanzata americana; del resto,
secondo le disposizioni di Eisenhower, la linea dell'Elba doveva costituire il limite massimo
dell'avanzata americana su cui incontrare i russi. Più a sud le colonne del generale Patton
avanzarono in Sassonia e Baviera, in direzione dell'Austria, mentre altre forze americane e francesi
penetrarono in Baviera (il 19 aprile cadde Norimberga e il 2 maggio Monaco) alla ricerca di un
fantomatico e inesistente Ridotto nazista alpino in cui, secondo l'intelligence alleata, Hitler e i suoi
fedelissimi avrebbero dovuto opporre l'ultima resistenza. In realtà l'esercito tedesco a ovest aveva
ormai cessato di combattere; milioni di soldati si consegnarono spontaneamente agli alleati per non
cadere in mano ai russi. La guerra in Europa era finita. Durante la loro avanzata gli alleati
liberarono i vari campi di concentramento e sterminio nazisti, che svelarono pienamente la follia
omicida del Terzo Reich; del resto, fin dal 17 gennaio le truppe sovietiche erano entrate nel campo
di Auschwitz in Polonia. Il primo collegamento, molto amichevole, tra russi e americani avvenne a
Torgau sul fiume Elba il 25 aprile.
La capitolazione tedesca all'ovest venne firmata ufficialmente da Alfred Jodl il 7 maggio a Reims
alla presenza del generale Eisenhower, comandate in capo delle forze alleate.
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Battaglia di Berlino e fine del Terzo Reich
Fino all'ultimo Hitler, ormai disperato e quasi farneticante, pianificò fantomatiche offensive e
proclamò propositi di resistenza ad oltranza, utilizzando i miseri resti delle armate sconfitte, vecchi
e giovanissimi del Volksturm e divisioni "fantasma" (create frettolosamente con nomi altisonanti e
pochi mezzi). Ancora il 6 marzo le divisioni corazzate Waffen-SS ritirate dalle Ardenne sferravano
un'ultima offensiva in Ungheria nella zona del lago Balaton; dopo duri scontri le forze sovietiche
contennero l'attacco e passarono all'offensiva (16 marzo). Ormai in disfacimento, le armate tedesche
ripiegavano per coprire Vienna; le colonne corazzate russe proseguirono superando tutti gli
sbarramenti. Vienna cadde il 13 aprile dopo alcuni aspri scontri dentro la città; i russi si congiunsero
il 4 maggio con gli americani provenienti da ovest nella regione di Linz.
Il 16 aprile 1945 l'Armata Rossa sferrava la sua ultima offensiva generale con obiettivo Berlino;
l'attacco venne sferrato in gran fretta sotto la pressione di Stalin: di fronte al crollo del fronte
occidentale tedesco, ai segni evidenti di dissoluzione della resistenza all'ovest e alla rapidità
dell'avanzata, scarsamente contrastata, alleata, c'era il rischio che gli alleati occidentali precedessero
i russi a Berlino (del resto nelle alte sfere tedesche c'erano piani assurdi per aprire la Germania agli
anglosassoni e tentare un rocambolesco rovesciamento di alleanze). Al contrario, la resistenza
tedesca sul fronte est si stava rafforzando (con l'afflusso di rinforzi terrestri e aerei dagli altri fronti)
e le truppe nemiche erano intenzionate a battersi fino all'ultimo per difendere la capitale e il Führer,
ma anche per salvaguardare la popolazione civile e guadagnare tempo in attesa dell'arrivo
angloamericano da ovest. La massa offensiva sovietica (agli ordini dei marescialli Žukov e Konev)
era imponente e nettamente superiore a quella nemica, ma inizialmente venne impiegata male e
confusamente; le perdite, di fronte alle difese fortificate tedesche furono altissime; lo sfondamento
decisivo (ottenuto con la forza bruta di migliaia di carri armati impiegati in massa) fu ottenuto solo
il 20 aprile. Dopo queste difficoltà iniziali, la velocità dell'avanzata aumentò; in campo aperto le
armate corazzate sovietiche superarono tutti gli ostacoli e manovrarono per accerchiare Berlino; il
25 aprile iniziò la battaglia dentro l'enorme abitato della capitale. Hitler, ormai rassegnato e deciso a
terminare la sua vita e quella del Terzo Reich con un vero "Crepuscolo degli Dei" nibelungico,
decise di rimanere dentro la città e di organizzare la difesa contando su reparti raccogliticci di
Waffen-SS straniere, resti di Panzer-Division disciolte e truppe del Volksturm e della Hitlerjugend.
La battaglia casa per casa fu durissima e sanguinosa, i sovietici avanzarono passo passo da tutte le
direzioni lentamente e a costo di pesanti perdite; dall'esterno alcuni tentativi di soccorrere Berlino
da parte delle modeste forze dei generali Wenck e Steiner fallirono; il cerchio di ferro sovietico era
impenetrabile. Sempre il 25 aprile l'Armata Rossa si congiungeva a Torgau sull'Elba con l'Esercito
Americano arrivato sul fiume fin dal 13 aprile.
La battaglia finale nel centro di Berlino terminò il 2 maggio con la resa della guarnigione; Hitler si
era suicidato già il 30 aprile dopo aver sposato il 29 aprile Eva Braun. I sovietici avevano così
concluso vittoriosamente, dopo grandi sacrifici, nel cuore della capitale nemica la Grande Guerra
Patriottica; solo in quest'ultima battaglia persero 135.000 uomini; le perdite tedesche furono di
400.000 morti e feriti e 450.000 prigionieri.
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Il maresciallo Žukov firma il documento di resa della Germania l'8 maggio 1945.
L'ultima manovra sovietica in Europa fu la marcia su Praga, insorta contro i tedeschi il 5 maggio,
organizzata da Stalin anche per anticipare l'arrivo degli americani; le colonne corazzate russe
diressero su Dresda e arrivarono nella capitale cecoslovacca il 9 maggio. Sul Baltico le forze
sovietiche si erano già congiunte con le truppe inglesi provenienti dallo Schleswig-Holstein, dove si
era rifugiato l'ultimo governo del Reich guidato (secondo le disposizioni testamentali di Hitler)
dall'ammiraglio Karl Dönitz.
La notte del 8 maggio, al quartier generale del maresciallo Žukov a Berlino (alla presenza dei
rappresentanti alleati Spaatz, Tedder e deLattre) il feldmaresciallo Keitel firmava il documento di
resa incondizionata della Germania. Per volontà di Stalin (volendo egli sottolineare il ruolo
preponderante dell'Unione Sovietica nella vittoria), i rappresentanti del Reich avevano dovuto
ripetere davanti ai russi la resa già firmata il 7 maggio al quartier generale di Eisenhower a Reims.
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Teatro del Pacifico e asiatico
Premesse
I giapponesi avevano invaso la Cina nel 1937, prima che la seconda guerra mondiale iniziasse in
Europa. L'avanzata delle truppe nipponiche aveva costretto l'Armata nazionalista Kuomintang di
Chiang Kai-shek e l'Armata Rossa Cinese di Mao Tse-tung ad una tregua di fatto nella guerra civile
per costituire un fronte unito che, pur reso labile dalla mancata collaborazione tra le due fazioni, si
oppose all'invasione. Fu in quegli anni che l'ondata di nazionalismo che aveva cominciato a
scuotere il Giappone a cavallo degli anni Trenta raggiunse il suo apice. Dopo le dimissioni da primo
ministro nel luglio del 1940 di Mitsumasa Yonai, contrario all'alleanza con Germania e Italia,
l'incarico venne affidato al nazionalista moderato Fumimaro Konoe. Questi nominò ministro degli
esteri il radicale Yōsuke Matsuoka, fautore dell'entrata in guerra del paese, che precedentemente
aveva elaborato i piani per la realizzazione della “grande area di prosperità dell'Asia orientale”. Il
progetto intendeva porre l'Impero giapponese a capo dell'Unione dell'Asia orientale, composta dai
paesi della regione assoggettati o alleati a Tokyo.
I successi delle potenze dell'Asse spinsero il Giappone il 24 settembre 1940 ad invadere il nord del
Vietnam, da dove il governo coloniale dell'Indocina francese aveva in precedenza rifornito la
resistenza cinese. L'operazione, autorizzata dal Governo di Vichy istituito in Francia dopo
l'occupazione tedesca nel giugno precedente, si concluse il 26 settembre con la presa di Hanoi. Il
giorno seguente, Kanoe siglò il Patto Tripartito con Germania ed Italia. Forza trainante della stipula
del Patto furono i radicali nazionalisti, rappresentati dal ministro degli esteri Matsuoka, che voleva
così assicurare al Giappone un ruolo di primo piano nella nuova ripartizione delle colonie in Asia.
Per la frazione moderata di Konoe, il Patto rappresentava soprattutto una forma di assicurazione
contro l'opposizione alla politica giapponese in Cina e nel sudest asiatico degli Stati Uniti
d'America e dell'Unione Sovietica, che fino a quel momento erano rimaste neutrali.
Il ministro degli Esteri Yosuke Matsuoka incontrò nel marzo 1941 Adolf Hitler, che sollecitò una
spinta offensiva giapponese verso sud contro le potenze anglosassoni, ma non informò il
diplomatico dei progetti tedeschi di offensiva generale contro l'Unione Sovietica. Matsuoka, ignaro
dei piani tedeschi, il 13 aprile firmò a Mosca con Stalin e Molotov il Patto nippo-sovietico di non
aggressione, che riduceva la pressione russa sulla Manciuria e liberava le forze di Tokyo per la
spinta verso sud. Nella prima metà del 1941 gli Stati Uniti, pur rafforzando il sostegno alla Cina, si
concentrarono principalmente sulla guerra in Europa ed in Atlantico, potenziando gli aiuti alla Gran
Bretagna sulla base della Legge Affitti e Prestiti dell'11 marzo 1941 e del concetto strategico che
vedeva nella Germania il nemico principale da sconfiggere. L'inizio dell'operazione Barbarossa, con
cui i tedeschi invasero la Russia il 22 giugno, provocò una svolta della situazione generale ed
impose scelte decisive sia alla dirigenza americana che a quella giapponese. Il governo di Konoe
scelse di non intervenire nella guerra tedesco-sovietica ma di estendere il dominio giapponese a sud
per acquisire importanti materie prime strategiche ed isolare completamente la Cina. Fu messa in
minoranza la fazione radicale guidata da Matsuoka, favorevole all'intervento in Estremo Oriente
contro i sovietici; il ministro degli Esteri venne destituito il 16 luglio, Konoe formò un nuovo
governo il 21 luglio con il generale Hideki Tojo ministro della Guerra, ed il 24 luglio le truppe
giapponesi iniziarono a penetrare in Cocincina, nel sud del Vietnam, occupando la baia di Cam
Rahn e Saigon.
Gli Alleati reagirono subito all'occupazione dell'Indocina imponendo l'embargo petrolifero totale al
Giappone. Tale sanzione fu vista come un'indiretta dichiarazione di guerra dal governo di Tokyo,
costretto a scegliere se abbandonare le ambizioni in Asia e la guerra in Cina o procurarsi i
carburanti con l'uso della forza. Dopo mesi di inutili trattative per assicurarsi la neutralità di
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Washington, trovandosi a corto di carburante per l'embargo petrolifero degli americani, loro
principali fornitori, e rischiando di trovarsi con la flotta bloccata, il governo moderato di Konoe
cadde e fu sostituito da quello del radicale Hideki Tojo.
Il conflitto
La fazione favorevole alla guerra aveva così campo libero e l'offensiva giapponese scattò il 7
dicembre 1941 con il bombardamento della base navale statunitense di Pearl Harbor, senza una
preventiva dichiarazione di guerra. Il danno per la Flotta degli Stati Uniti nel Pacifico fu grave,
anche se le portaerei si trovavano al largo e non furono coinvolte. Immediata fu la risposta degli
Stati Uniti d'America, che il giorno dopo dichiararono guerra al Giappone. Al fianco degli
americani si schierarono quello stesso giorno il Regno Unito, la Cina, il governo francese in esilio e
l'Olanda, che vedeva minacciati i suoi territori nella regione.
Le forze giapponesi invasero simultaneamente i possedimenti britannici in Malesia ed il Borneo e le
Filippine occupate dagli americani, con l'intenzione di conquistare i pozzi petroliferi delle Indie
Orientali Olandesi. Dopo il rapido crollo delle difese britanniche in Malesia anche l'isola fortezza di
Singapore (difesa da truppe britanniche, indiane e australiane) si arrese il 15 febbraio 1942, dopo
una breve resistenza, alle forze giapponesi provenienti via terra dalla penisola malese. Oltre 130.000
prigionieri dell'Impero Britannico caddero in mano all'Esercito giapponese: fu quella che lo stesso
Churchill definì la più umiliante sconfitta britannica e la più grande capitolazione inglese di tutti i
tempi.
Nel maggio 1942 l'invasione giapponese di Port Moresby, che se avesse avuto successo avrebbe
messo l'Australia a portata di tiro delle truppe di Tokyo, venne sventata dalle forze navali
statunitensi nella battaglia del mar dei Coralli, che fu la prima efficace opposizione ai piani
giapponesi e la prima battaglia navale combattuta principalmente tra portaerei. Un mese dopo la
Marina statunitense prevenne l'invasione delle isole Midway distruggendo quattro portaerei, che
l'industria nipponica non fu in grado di rimpiazzare, e mettendo il Giappone sulla difensiva.
I capi alleati si erano accordati, ancora prima dell'ingresso degli USA nella guerra, che la priorità
andava alla sconfitta della Germania. Gli Stati Uniti ed altre forze, inclusa l'Australia, iniziarono
però a metà del 1942 a riguadagnare i territori occupati ed accanitamente difesi dalle truppe
giapponesi. Guadalcanal venne assalita dal mare dai Marines statunitensi, mentre l'esercito guidato
dal generale MacArthur si sforzò di riprendere le zone occupate della Nuova Guinea. Le isole
Salomone furono riprese nel 1943, Nuova Britannia e Nuova Irlanda nel 1944. Le Filippine furono
attaccate nel tardo 1944 a seguito della battaglia del Golfo di Leyte.
All'inizio del 1945, l'Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone, attaccando ad agosto l'armata
giapponese del Kwantung schierata in Manciuria e Corea composta da circa 1 milione di uomini;
incapace di contenere le grandi masse corazzate dell'Armata Rossa (1,5 milioni di soldati con 5.500
carri armati e 3.900 aerei), trasportate in Estremo Oriente dopo la sconfitta della Germania, l'armata
giapponese crollò e venne sbaragliata (oltre 600.000 prigionieri); i sovietici occuparono
rapidamente tutta la Manciuria, la Corea e l'isola di Sakhalin.
La dichiarazione di guerra dei russi, la rovinosa disfatta della prestigiosa armata del Kwantung
(culla del nazionalismo espansionistico nipponico), il catastrofico bombardamento di Tokyo con
bombe incendiarie e l'attacco atomico contro Hiroshima e Nagasaki da parte dell'aeronautica
statunitense, spinsero infine i giapponesi (dopo l'intervento dell'imperatore) a firmare l'atto di resa il
2 settembre 1945.
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1941
Pearl Harbour
La USS Arizona in fiamme
Il 7 dicembre 1941 con un'operazione a sorpresa, il Giappone bombardò il porto di Pearl Harbor
distruggendo ed affondando la maggior parte delle navi alla fonda. La risposta statunitense fu
immediata, il giorno dopo gli Stati Uniti d'America dichiararono guerra al Giappone e ai suoi
alleati. L'escalation delle operazioni militari giapponesi fu rapida e violenta. Malesia, Singapore,
Birmania e Nuova Guinea vennero rapidamente invase. La resistenza statunitense nelle Filippine
venne anch'essa rapidamente liquidata. La "forza Z", una squadra navale britannica composta dalla
corazzata Prince of Wales e dall'incrociatore da battaglia Repulse, venne annientata dall'aviazione
della Marina Imperiale Giapponese, che in quel momento aveva gli equipaggi meglio addestrati alla
guerra aeronavale.
1942
Nel 1942 i giapponesi conquistarono le Filippine dopo una resistenza accanita ma senza prospettive
da parte delle forze filippino-statunitensi che si sarebbe conclusa con la marcia della morte di
Bataan; anche Singapore, la Malesia e il Borneo caddero nelle mani dei giapponesi che arrivarono a
minacciare la frontiera indiana e la strada che collega l'India alla Cina, lungo la quale passavano i
rifornimenti alleati a Chiang Kai-shek. Subito dopo, anche l'Australia venne minacciata e soggetta
ad una serie di attacchi aerei e di unità subacquee, ma gli Alleati raccolsero le forze per fronteggiare
un'eventuale invasione e respingere la minaccia.
La Battaglia del Mar dei Coralli e Midway
Durante il periodo di espansione, le forze giapponesi iniziarono anche la spinta verso gli Stati Uniti.
L'obiettivo finale era mettere a terra una forza di invasione, dapprima nelle isole Hawaii, e
comunque di allargare il perimetro difensivo della cosiddetta sfera di coprosperità della più grande
Asia Orientale. In questa ottica, le forze navali nipponiche si scontrarono con la flotta alleata nella
battaglia del Mar dei Coralli, che fu interlocutoria rispetto alla più importante battaglia di Midway,
ma che comunque vide per la prima volta le forze navali giapponesi non riuscire a prevalere su
quelle alleate. Nella battaglia di Midway, le forze giapponesi vennero invece duramente colpite
dall'aviazione imbarcata statunitense perdendo quattro portaerei di squadra contro una statunitense e
soprattutto non riuscendo a conseguire l'obiettivo primario, l'atollo di Midway, che avrebbe
avvicinato di molto le forze nipponiche alle isole Hawaii.
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Salomone Orientali, Guadalcanal e Santa Cruz
Se la battaglia delle Midway segnò la fine dell'avanzata giapponese, la campagna di Guadalcanal fu
l'inizio dell'arretramento. Nel teatro delle Isole Salomone le forze alleate e quelle giapponesi si
combatterono per terra e in mare, con alterne vicende ma che alla fine spostarono gli equilibri di
forze verso gli alleati, per il semplice motivo che questi avevano dalla loro parte delle risorse
economiche e umane molto superiori a quelle nipponiche, e pertanto, col tempo, i giapponesi non
riuscirono più a rimpiazzare le perdite subite in mezzi e, per quanto riguarda gli uomini, soprattutto
in termini di aviatori addestrati. Inoltre, la strategia del "salti di rana" di Mac Arthur tagliò fuori,
gradualmente, dall'industria bellica nipponica le aree ricche di materie prime come il Borneo.
Teatro del Mediterraneo e africano
Rommel, la Volpe del deserto
La guerra in Nordafrica iniziò nel 1940, quando, dopo molte esitazioni, le truppe italiane
avanzarono in Egitto, fino a Sidi el Barrani, a circa 90 km dal confine libico. Le truppe italiane,
sebbene molto superiori di numero, erano mal comandate e scarsamente equipaggiate. In autunno
una controffensiva condotta dal generale sir Archibald Wavell con un Corpo d'armata di circa
30.000 uomini sbaragliò una forza di oltre 200.000 italiani, facendo decine di migliaia di prigionieri
e avanzando fino al golfo della Sirte. Nei primi mesi del 1941 le prime forze tedesche comandate da
Erwin Rommel sbarcarono in Libia. Il generale tedesco assunse il comando delle operazioni sul
campo, mentre il comando supremo, piuttosto pavido e indeciso, rimase ai generali italiani. La
controffensiva italo-tedesca portò a controllare nuovamente la Cirenaica, eccettuata la città di
Tobruch, che rimase in mano britannica e sotto assedio. In compenso, nel giugno 1941 le forze
alleate invasero la Siria e il Libano, occupando Damasco il 17 giugno e prevenendo una
penetrazione italo-tedesca in Siria. Allo stesso modo le forze britanniche presero il controllo
dell'Iraq, e congiuntamente con l'Armata Rossa (l'Unione Sovietica era stata attaccata il 22 giugno),
invasero l'Iran. Entrambi i paesi erano fonti petrolifere irrinunciabili.
L'Afrika Korps di Rommel avanzò rapidamente ad est, portando l'assedio al vitale porto di Tobruch.
Le truppe, principalmente australiane, che difendevano la città, resistettero finché vennero rilevate,
ma una rinnovata offensiva dell'Asse portò alla cattura della città e spinse indietro l'Ottava Armata
Britannica fino alla linea di El Alamein.
La prima battaglia di El Alamein ebbe luogo tra il 1º luglio e il 27 luglio 1942. Le truppe dell'Asse
erano avanzate fino all'ultimo punto difendibile prima di Alessandria d'Egitto e del Canale di Suez.
Comunque rimasero a corto di rifornimenti e i britannici ebbero modo di allestire una solida linea
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difensiva. La seconda battaglia di El Alamein avvenne tra il 23 ottobre e il 3 novembre 1942 dopo
che il generale Bernard Montgomery aveva sostituito Claude Auchinleck come comandante
dell'Ottava Armata. Le forze del Commonwealth lanciarono l'offensiva e nonostante la disperata
resistenza delle divisioni italiane (tra le quali ricordiamo la Folgore e la Ariete) e tedesche
sfondarono il fronte facendo migliaia e migliaia di prigionieri. Rommel venne respinto indietro, e
questa volta non si fermò fino a che non giunse in Tunisia.
A complemento di questa vittoria, l'8 novembre 1942, truppe americane e britanniche sbarcarono in
Marocco e Algeria durante l'operazione Torch. Le forze locali della Francia di Vichy opposero poca
resistenza prima di unirsi alle forze alleate. Infine, le truppe tedesche e italiane vennero prese nella
morsa di una doppia avanzata dall'Algeria e dalla Libia. Avanzando da est e da ovest, gli Alleati
spinsero le forze dell'Asse completamente fuori dall'Africa e il 13 maggio 1943, i resti delle truppe
italiane e tedesche in Nordafrica si arresero. Furono presi circa 200.000 prigionieri; l'intero
raggruppamento italo-tedesco in Africa era stato distrutto (8 divisioni tedesche e 7 italiane)
Il Nordafrica venne usato come punto di partenza per l'invasione della Sicilia e dell'Italia nel 1943.
Fine del conflitto
• Con il Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943 venne reso pubblico l'armistizio di
Cassibile: il Regno d'Italia fu la prima, fra le potenze maggiori, ad abbandonare il campo
(più precisamente, l'Italia dichiarerà guerra, il 13 ottobre del 1943, all'ex alleato tedesco).
• Il 23 agosto del 1944 venne arrestato Ion Antonescu, conducător della Romania. Sette giorni
dopo, la Romania dichiarò guerra alla Germania. L'armistizio, per lo più dettato dai
sovietici, fu firmato dai rumeni il 12 settembre. Il colpo di stato ai danni di Antonescu,
secondo alcuni, potrebbe aver accorciato la seconda guerra mondiale di circa sei mesi,
rendendo più rapida l'avanzata sovietica.
• Il 17 agosto 1944 Pierre Laval diede le dimissioni da capo del governo della Francia di
Vichy, mentre tre giorni dopo Philippe Pétain venne condotto in Germania, pressoché
prigioniero dei tedeschi. La liberazione di Parigi (25 agosto) segnò la fine dell'operazione
Overlord.
• Il 4 settembre 1944, la Finlandia pattuì con i sovietici un cessate il fuoco. Il 19 settembre le
due parti firmarono l'armistizio di Mosca, che pose fine alla "guerra di continuazione". Tra
gli accordi, l'impegno dei finlandesi a scacciare tutti i nazisti presenti in patria: la Finlandia
dichiarò guerra alla Germania il 28 settembre, impegnandosi contro di essa nella guerra di
Lapponia.
• Il 15 ottobre 1944 Miklós Horthy, capo provvisorio dello Stato ungherese, avviò colloqui di
resa coi sovietici; venne arrestato e sostituito da Ferenc Szálasi. Il 4 aprile 1945 si
conclusero ufficialmente le operazioni sovietiche per scacciare i nazisti dall'Ungheria.
• Il 6 aprile 1945 gli alleati danno inizio all'offensiva di primavera nell'Italia settentrionale con
l'obbiettivo di liberare tutto il nord Italia dall'occupazione nazista e far crollare il regime
della Repubblica Sociale Italiana.
• Il 25 aprile 1945 i partigiani italiani liberarono Milano e Torino. La fine della Repubblica di
Salò venne sancita da Benito Mussolini: militari e civili vennero sollevati dal vincolo di
giuramento. Mussolini venne fucilato il 28 aprile. La sconfitta ufficiale dell'RSI avvenne il
29 aprile, mentre il dispositivo della resa di Caserta entrò in vigore il 2 maggio.
• Il 7 maggio 1945 Alfred Jodl firmò la resa incondizionata delle forze armate tedesche a
Reims, di fronte ai rappresentanti militari degli Alleati occidentali. Il giorno dopo finì
formalmente la guerra in Europa. Le forze dell'Impero giapponese si ritirarono ovunque ma
non si arresero.
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• L'8 maggio 1945 Wilhelm Keitel firmò la resa definitiva della Wehrmacht a Berlino di fronte
ai capi militari dell'Armata Rossa.
• Il 6 agosto 1945 il quadrimotore B-29 Enola Gay sganciò una bomba atomica sulla città di
Hiroshima (Giappone). Il 9 agosto un secondo ordigno nucleare fu sganciato su Nagasaki. Il
15 agosto l'Imperatore Hirohito annunciò la resa incondizionata del Giappone, ponendo fine
alla guerra.
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Conseguenze della guerra
I tre grandi a Jalta: Churchill, Roosevelt e Stalin
L'Italia dovette cedere alla Jugoslavia Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa,
gran parte dell'Istria, del Carso triestino e goriziano, l'alta valle dell'Isonzo e alla Francia territori
nell'area alpina. L'Unione Sovietica, che ebbe un ruolo preponderante nella distruzione del
Nazismo, invece, ottenne cospicui guadagni territoriali ritenuti indispensabili da Stalin per costituire
un nuovo bastione difensivo contro possibili nuove aggressioni (con l'accordo di Churchill e
Roosevelt).
Nel dettaglio Stalin ottenne dalla Germania gran parte della Prussia orientale, dalla Finlandia circa
un decimo del suo territorio sia a sud (Carelia) che a nord (Petsamo e lo sbocco sull'Artico), il
raggiungimento della Linea Curzon sul confine orientale polacco (con l'aggiunta di Lvov), che la
Polonia compensò ad ovest (sul confine tra la Germania e la Polonia) le perdite dei territori ad est
(gran parte dei quali occupati con la forza al momento della caduta dello zarismo ed abitati in larga
maggioranza da popolazioni di etnia lituana, bielorussa ed ucraina); le repubbliche baltiche
(Estonia, Lettonia e Lituania), persero l'indipendenza; la Romania che partecipò in forze
all'operazione Barbarossa nel 1941, perse la regione moldava ad est del Prut e la Bucovina
settentrionale; la Cecoslovacchia perse la sua regione orientale.
La Bulgaria, alleata della Germania nelle operazioni militari nei Balcani, ma che si astenne dalla
partecipazione all'aggressione all'Unione Sovietica (con la quale non era confinante), ottenne dalla
Romania la Dobrugia meridionale. A differenza di quanto era avvenuto dopo il primo conflitto
mondiale, si ebbero nel secondo dopoguerra spostamenti di milioni di persone che abbandonarono
(o che andarono a ripopolare), i territori ceduti (o acquisiti). Un piano creato dal segretario di stato
statunitense George Marshall, il Piano di Recupero Economico, meglio noto come piano Marshall,
chiese al Congresso degli Stati Uniti di assegnare miliardi di dollari per la ricostruzione dell'Europa.
La Società delle Nazioni che aveva chiaramente fallito nel prevenire la guerra, fu abolita e al suo
posto venne costruito un nuovo ordine internazionale. Nel 1945 vennero fondate le Nazioni Unite.
Alla porzione di Europa occupata o dominata dall'Unione Sovietica (Finlandia inclusa) non fu
consentito di beneficiare del Piano Marshall. Nel Trattato di Pace di Parigi, ai nemici dell'Unione
Sovietica (Ungheria, Finlandia e Romania) venne richiesto di pagare le riparazioni di guerra per
300.000.000 di dollari ciascuna (in dollari del 1938) all'URSS e ai suoi satelliti. All'Italia ne furono
chiesti 360.000.000, destinati principalmente a Grecia, Jugoslavia e Unione Sovietica.
Nelle aree occupate dall'Unione Sovietica alla fine della guerra, vennero installati progressivamente
(con la fine dell'accordo tra i Tre grandi e l'inizio della costituzione di sfere di influenza politicomilitare) regimi comunisti filosovietici (Ungheria e Cecoslovacchia furono inizialmente escluse dal
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processo), nonostante le obiezioni degli altri alleati e dei governi in esilio. La Germania venne
divisa in due stati, con la parte orientale che divenne uno stato comunista. Per usare le parole di
Churchill, "una cortina di ferro è calata attraverso l'Europa". Per impedire il propagarsi
dell'ideologia comunista nell'Europa occidentale gli USA si impegnarono direttamente e fu fondata
la NATO in contrapposizione al Patto di Varsavia legato all'Unione Sovietica. La fase di tensione
che ne derivò negli anni successivi è ricordata come Guerra Fredda.
Il rimpatrio, conformemente ai termini della Conferenza di Jalta, di due milioni di soldati russi
prigionieri dei tedeschi, che erano stati liberati dalle forze armate britanniche e americane in
avanzata da ovest, risultò per molti di loro in una condanna alla deportazione o alla morte nei vari
campi di rieducazione e lavoro. Stalin, e anche molti cittadini sovietici, vedevano questi sventurati,
prevalentemente caduti in mano tedesca durante il primo anno di guerra a causa degli errori dei
vertici militari, quasi come dei disertori o elementi infidi passati al nemico; comunque meritevoli di
punizione per non aver combattuto fino alla morte contro l'invasore.
L'imponente ricerca e sviluppo coinvolti nel Progetto Manhattan, allo scopo di ottenere rapidamente
un'arma nucleare funzionante, ebbe un profondo effetto sulla comunità scientifica, sia dal punto di
vista puramente tecnico, che dal punto di vista filosofico e morale. Nella sfera militare, sembrò che
la seconda guerra mondiale avesse marcato l'avvento dell'era della potenza aerea, principalmente a
spese delle navi da guerra. Mentre il pendolo continua ad oscillare in questa interminabile
competizione, l'aviazione è ora una delle componenti fondamentali di ogni azione militare.
La guerra fu, anche, una linea di demarcazione per gli eserciti di massa. Anche se enormi eserciti
composti da truppe scadenti si sarebbero visti ancora (durante la guerra di Corea e in diversi
conflitti africani), dopo questa vittoria, le principali potenze occidentali si affidarono maggiormente
a piccoli eserciti altamente addestrati.
Dopo la guerra, molti alti esponenti della Germania nazista vennero processati per crimini di guerra,
così come per gli omicidi di massa dell'olocausto (commessi principalmente nella zona del
Governatorato Generale), al processo di Norimberga. Similarmente, i capi giapponesi vennero
giudicati nel processo per crimini di guerra di Tokyo. In altre nazioni, ad esempio in Finlandia, gli
Alleati chiesero che la leadership politica venisse giudicata in un "processo per le responsabilità di
guerra", ovvero non per crimini di guerra. Una delle poche eccezioni è rappresentata dall'Italia,
dove non si arriverà mai ad un processo contro i criminali di guerra.
La sconfitta del Giappone, e la sua occupazione da parte delle forze americane, portò a
un'occidentalizzazione del paese che fu molto più estesa di quanto non sarebbe stato altrimenti. Il
Giappone si avvicinò di più alla democrazia di stampo occidentale. Questo grande sforzo portò il
Giappone del dopoguerra al miracolo economico ed a diventare la seconda economia mondiale.
Anche la Germania, pur uscendo sconfitta dalla seconda guerra mondiale, riuscì a risollevarsi nel
dopoguerra, diventando una delle principali forze economiche europee.
Fonte: Wikipedia
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