FERDINANDO ABBRI Historia natural e cultura: aspetti del dibattito recente sul Nuovo Mondo “siccome la virtù di questi [Romani] venne finalmente corrotta dal lusso asiatico, così la virtù di quegli Americani è guasta in gran parte dalla intemperanza europea, che è entrata fra loro”. (F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’impero degl’Incas, 1753)1 “… il Messico è felice. Frutto di quella libertà, che unita alla prudenza, al solo fren soggiace della legge, ch’io stesso sono il primo ad osservare”. (FEDERICO II DI PRUSSIA – G. TAGLIAZUCCHI, Montezuma, 1755, Atto I, sc. I)2 Il 6 gennaio 1755 a Berlino, presso il Teatro Reale (Hofoper) voluto da Federico II di Prussia, venne rappresentata l’opera Montezuma che aveva come argomento la conquista e distruzione del Messico da parte degli spagnoli. La musica era di Carl Heinrich Graun (1703/04-1759)3, il Kapellmeister di Federico, e non solo l’argomento era stato scelto dal re ma lo stesso Federico aveva scritto in francese il testo che il poeta di corte Giampiero Tagliazucchi aveva tradotto e adattato in italiano in modo da poter essere intonato da Graun. L’opera presentava Montezuma come la personificazione del sovrano illuminato, pacifico, rispettoso delle leggi e dedito completamente al benessere del proprio popolo mentre Hernan Cortés e gli spagnoli erano l’espressione di un potere imperialistico e aggressivo. Nel finale dell’opera la distruzione dell’impero messicano era la conseguenza inevitabile degli inganni e dell’uso della forza da parte degli spagnoli: Montezuma e Cortés erano il 1 F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’impero degl’Incas, a cura di A. Morino, Sellerio Editore, Palermo 1987, p. 15. 2 C.H. GRAUN, Montezuma. Oper in drei Akten. Herausgegeben von A. Mayer-Reinach, Verlag von Breitkopf und Härtel, Leipzig 1904, p. 11. 3 Graun Carl Heinrich, in S. SADIE (ed.), The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Macmillan, London 1980, 7, pp. 644-646. Bollettino Filosofico 27 (2011-2012): 217-231 ISBN 978-88-548-6064-3 ISSN 1593-7178-00027 DOI 10.4399/978885486064314 217 218 Ferdinando Abbri simbolo di due modi opposti di esercitare il potere regale. L’opera costituiva un nuovo capitolo della polemica antispagnola e anticattolica che alimentava tanta cultura illuministica ma conteneva anche la rappresentazione esplicita di un sovrano illuminato, e alcune caratteristiche prestate al sovrano messicano rimandavano espressamente al Re di Prussia. A metà Settecento la scomparsa Tenochtitlan veniva evocata sulle rive della Sprea in forma aspramente polemica, e l’opera in musica si confermava uno strumento efficace di critica filosofica e propaganda politica. Due anni prima della rappresentazione del Montezuma Francesco Algarotti (1712-1764), che era assai legato a Federico di Prussia e alla corte di Berlino e molto attento alla struttura e al significato dell’opera in musica4, aveva pubblicato un breve saggio sopra l’impero degli Incas, ovvero sulla conquista del Perù nel quale aveva espresso una condanna severa delle pratiche di conquista messe in atto dagli europei dopo la scoperta dell’America5. Il saggio di Algarotti e l’opera di Graun costituiscono due esempi significativi del permanere di quelle discussioni e di quelle polemiche che, a causa della scoperta di una pluralità di mondi sulla Terra, turbavano la coscienza europea sin dal Cinquecento. Giova ricordare che nel corso del Settecento i viaggi intorno al mondo, la presenza dei portoghesi e degli olandesi in Asia e i contatti di questi ultimi con il Giappone, le scoperte geografiche, etnologiche e culturali nel Pacifico avevano reso di nuovo attuale tutta quella serie di problemi (filosofici, teologici, antropologici) che accompagnavano la scoperta di civiltà altre, e da tre secoli questa scoperta assillava e tormentava l’Europa. Nel 1778 il pastore e naturalista prussiano Johann Reinhold Forster (17291798) pubblicò a Londra le sue Observations made during a Voyage round the World che costituivano un resoconto del secondo viaggio (1772-1775) di James Cook intorno al mondo al quale Forster aveva preso parte col figlio Georg6. Nel 1776 Georg Forster aveva infatti pubblicato il suo celebre Voyage around the World, ossia una delle opere più fortunate di letteratura di viaggio del tardo Settecento7. Cfr. F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’opera in musica, per Marco Coltellini, Livorno 1763 (ed. or. Venezia 1755). 5 F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’Impero, cit. 6 J.R. FORSTER, Observations made during a Voyage round the World on Physical Geography, Natural History and Ethic Philosophy, Printed for G. Robinson, London 1778. Cfr. M.E. HOARE, The Tactless Philosopher. Johann Reinhold Forster (1729-1798), The Hawthorn Press, Melbourne 1976. 7 J.R. FORSTER, A Voyage Round the World. Bearbeitet von R.L. Kahn, Akademie 4 Historia natural e cultura 219 Le Observations di Johann Reinhold non conobbero un grande successo editoriale ma contengono una autentica miniera di informazioni riguardo alle esplorazioni del Pacifico8. Quest’opera aveva come oggetto la geografia fisica, la storia naturale ma anche la “ethic philosophy”, ossia gli usi e costumi dei polinesiani e degli abitanti del Pacifico in genere. Forster elencava, con prussiana precisione, i vari argomenti di storia naturale (la terra e i suoi strati, l’acqua e l’oceano, l’atmosfera e i mutamenti del globo, i corpi organici e la specie umana) che erano oggetto delle sue Observations e indicava le sue fonti documentarie: il conte di Buffon e il naturalista svedese Torbern Olof Bergman per la geografia fisica, Isaak Iselin per la storia filosofica del genere umano, Johann Friedrich Blumenbach e John Hunter per l’anatomia. L’oggetto della sua opera era «nature in its greatest extent», terra, mare, aria e la creazione organica, con particolare attenzione alla classe «of Beings to which we ourselves belong». Forster faceva altresì notare di essere stato in grado di offrire un quadro dell’umanità nei diversi stadi perché aveva osservato «the most wretched savages, removed but in first degree from absolute animality» e i più civilizzati abitanti delle «Society Islands» (Tahiti)9. Le Observations non si presentano come sola letteratura di viaggio, mostrano una impostazione di carattere etnologico tipica dell’Età illuministica ma con l’insistenza sulla storia naturale e sulla storia culturale richiamano anche quella ampia letteratura “etnologica” (Oviedo, Acosta) che si era venuta affermando, nel corso del Cinquecento, in relazione alla scoperta delle Indie occidentali. La parte “etica” delle Observations risulta di particolare interesse perché svela come un luterano dovette elaborare schemi interpretativi “nuovi” ma ortodossi per poter inquadrare e definire le diversità umane che veniva osservando. Forster aveva indicato nei fatti la base irrinunciabile della sua narrazione ma questi fatti dovevano essere interpretati ed inseriti in uno schema teorico e ideologico preciso. Ad esempio, egli nota la marcata diversità antropologica (fisica e culturale) tra gli abitanti della “Tierra del Fuego” e quelli delle isole del Pacifico e ipotizza che i primi discendano dai nativi dell’America del Sud, quindi non sono appartenenti alle “races” degli uomini del “South Sea”, e immagina molteplici percorsi migratori10. Verlag, Berlin 1986 («Georg Fosters Werke, Band I»). Cfr. L. UHLIG, Georg Forster, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 2004, pp. 85-95. 8 Cfr. F. ABBRI, Un dialogo dimenticato, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 29-43. 9 J.R. FORSTER, Observations, cit., pp. I-II. Cfr. H. LIEBERSOHN, The Traveler’s World. Europe to the Pacific, Harvard University Press, Cambridge (Mass) - London 2006, pp. 1-14. 10 Ivi, p. 244. 220 Ferdinando Abbri Forster riconosce le numerose varietà della specie umana e segnala due grandi varietà o razze nei mari del Sud: una più attraente, atletica, bianca e di “benevolent temper”; una più scura, con i capelli che tendono a essere crespi, il corpo più sottile e con un temperamento più “brisk”. La prima razza contiene a sua volta delle varietà, quella più bella è a Tahiti, e in generale nelle “Society Islands”, con uomini atletici, col corpo ben proporzionato, «but always blended with a degree of effeminacy»: si tratta di popoli sensuali, libidinosi, amanti del canto, delle danze, della teatralità («dramatic performances») e nei loro balli «breathe a spirit of luxury»11. Gli abitanti delle «Marquesas Islands» sono secondi per bellezza a ragione del carattere proporzionato dei loro corpi e i giovani sono generalmente «most beautiful» e «would afford many a fine model for a Ganymede»12. La seconda razza o tribù è rintracciabile nella New Caledonia e nelle isole vicine e Forster fa notare le differenze fisiche ragguardevoli tra la prestanza fisica dei «New-Caledonians» e i nativi di altre isole che sono bassi, minuti, neri, simili ad una tribù di scimmie e di sicuro un «ill-favoured set of beings»13. È ovvio che Forster mette in stretto collegamento l’antropologia fisica con il carattere delle popolazioni per cui alla prestanza fisica corrispondono temperamenti specifici (pacifici o aggressivi) ma di grado elevato nella scala della civiltà mentre, ad esempio, i poveri abitanti della Terra del Fuoco risultano amichevoli, di buona natura ma anche «remarkably stupid», ovvero si tratta di inette e miserevoli creature in una condizione disgraziata e degradata14. Nel corso delle sue descrizioni Forster usa in maniera libera termini come razze, varietà, tribù ma dopo la sezione descrittiva allorché deve affrontare le cause delle differenze etniche tra gli abitanti dei mari del Sud la premessa indiscutibile della spiegazione proposta è che tutta l’Umanità deriva da un’unica coppia e le varietà sono accidentali. Forster nota che il suo è un tempo, una «age of refinement and in fidelity» che vede gli scrittori moderni usare tutti i mezzi possibili per invalidare l’autorità della religione rivelata per cui anche le varietà umane sono utilizzate a tal scopo ma il ricorso al buon senso e alla ragione dimostra che per quanto gli uomini siano diversi nella «scale of beings» non formano razze separate15. A menti prive di pregiudizi o di rancore contro la religione risulta sempre Ivi, pp. 230-231. Ivi, p. 233. 13 Ivi, pp. 238-243. 14 Ivi p. 251. 15 Ivi, pp. 252-253. 11 12 Historia natural e cultura 221 più evidente che «all mankind, though ever so much varied, are, however, but of one species» e la discendenza da un’unica coppia è confermata16. Forster ricorre ad una teoria climatica per spiegare le differenze tra le due distinte razze o varietà di uomini da lui individuate nelle isole dei mari del sud per cui le differenze di colore derivano dall’esposizione all’aria, dall’influenza del sole – i Tahitiani sono quasi sempre vestiti e coperti mentre gli abitanti della Nuova Caledonia sono sempre nudi, pertanto sono più scuri – e da circostanze specifiche nel modo di vita. Non intendo entrare qui nelle spiegazioni offerte da Forster perché questo non è lo scopo del presente saggio ma voglio sottolineare elementi di continuità e di discontinuità nella letteratura etnologica moderna. Forster ci presenta una vera e propria storia naturale e morale delle Isole dei mari del Sud nella quale la descrizione geografica dei luoghi, del paesaggio naturale si unisce alla descrizione degli uomini e delle donne e Forster utilizza considerazioni di antropologia fisica e di antropologia culturale e, riguardo agli abitanti di queste isole, pone il fisico e il morale in stretta connessione. A livello descrittivo Forster è assai attento a notare le differenze, le diversità fisiche e culturali costruendo così un capitolo della scoperta empirica di diversità impressionanti nell’Umanità come genere. Le sue Observations sono un momento settecentesco, di innegabile rilievo storico, filosofico e scientifico, della scoperta di una pluralità di “mondi umani” nel nostro pianeta che formano insieme un affresco assai composito. Il livello esplicativo si nutre invece di parametri tradizionali. Come luterano Forster non ha la preoccupazione di conservare validità all’idea tomistica di legge naturale, tornata di grande attualità con la scoperta dell’America, ma è pienamente consapevole che le scoperte da lui descritte possono costituire uno strumento di polemica antireligiosa, da qui il suo ricorso ad una teoria climatica per mantenere validità al monogenismo come spiegazione delle origini della Umanità17. Si può affermare che Forster si ritrovò davanti i medesimi problemi che la nascente etnologia rinascimentale si era trovata a affrontare dopo la scoperta della Mesoamerica18. Ivi, pp. 256-257. Cfr. G. GLIOZZI, Le teorie della razza nell’età moderna, Loescher,Torino 1986; ID., Differenze e uguaglianza nella cultura europea moderna, Vivarium, Napoli 1993. 18 J.-P. RUBIÉS, “New Worlds and Renaissance Ethnology”, History and Anthropology 6 (1993), pp. 157-197, ora in ID., Travellers and Cosmographers. Studies in the History of Early Modern Travel and Ethnology, Ashgate, Aldershot 2007. 16 17 222 Ferdinando Abbri Forster racconta che gli abitanti di Mallicollo (nel gruppo di isole di Vanuatu) sono fisicamente pelosi, instancabili, vivaci e alcuni di loro «illnatured and mischievous», tuttavia sembrano gioiosi e amanti del canto e della danza. Nota che loro frecce avvelenate «had no effects on our dogs», anche se non è in grado di dire la ragione di ciò e non è convinto che le frecce siano innocue, altrimenti non si spiegherebbe la cura dei nativi nel proteggere le punte con una particolare resina19. Il riferimento ai cani delle navi di Cook richiama altre specie canine europee che due secoli e mezzo prima avevano fatto il loro ingresso in un’altra terra da poco scoperta. Nel marzo del 1519 Hernán Cortés, proveniente da Cuba, arrivò sulle spiagge del Messico e fece sbarcare i suoi uomini, gli armamenti, schiavi africani e cubani come portatori ma anche sedici cavalli spagnoli e un gruppo di cani da guerra, ossia mastini e cani lupo. I cavalli e i cani di Cortés non solo erano specie naturali ignote nel Nuovo Mondo ma erano anche prodotti di una definita civiltà guerriera perché si trattava di animali addestrati alla guerra e alla lotta20. L’esempio dei cani europei resistenti alle frecce avvelenate dei “selvaggi” di Vanuatu e dei cani addestrati alla guerra degli Spagnoli intenti a scoprire, conquistare e distruggere l’Impero di Moteuczoma Xocoyotl21 dimostrano che nello scontro e nella conquista dei Nuovi mondi entrarono in gioco sia la cultura intesa come insieme di modelli e di risorse (tecniche, scientifiche e di sapere) sia la natura (specie animali, malattie) ma entrambe erano costruzioni sociali, e uno scambio dialettico tra natura e civiltà era all’opera sia nei nuovi mondi sia nei mondi vecchi che si appropriarono di quelli nuovi. La globalizzazione attuale, i difficili rapporti a livello planetario tra le varie civiltà hanno fatto assumere un’importanza cruciale al problema dell’altro, soprattutto in Occidente. Gli storici si sono occupati da tempo di questi temi che sono oggetto di ricostruzioni di rilievo ma gli eventi contemporanei hanno proiettato alcune tematiche fuori da circoli scientifici ed accademici. Ad esempio, la dissoluzione della Iugoslavia e la nascita di una Repubblica di Macedonia con Skopje come capitale non solo ha sollevato le dure proteste di Atene che rivendica nel suo territorio J.R. FORSTER, Observations, cit., p. 243. B. LEVY, Conquistador. Hernán Cortés, King Montezuma, and the Last Stand of the Aztecs, Bantam Books, New York 2009, p. 1. 21 Questo è il nome più corretto, rispetto alla lingua Nahuatl, usato dagli storici moderni di oggi per designare Montezuma. 19 20 Historia natural e cultura 223 l’esistenza dell’unica e autentica Macedonia22, ma ha anche reso di un’attualità impensabile e di impatto pubblico, con manifestazioni talora preoccupanti, la discussione tra storici, archeologi e storici dell’arte sul carattere “greco” degli Antichi macedoni, cioè della dinastia dei Temenidi, alla quale appartenevano Filippo II e Alessandro Magno. Fino a non molto tempo fa se uno storico affrontava questo tema, sollevando interrogativi e questioni del tutto legittime, rischiava subito di venir etichettato dai nazionalisti greci come spia al soldo di Skopje23. Nell’immagine collettiva le storiche e gli storici antichi sono percepiti come una comunità a sé stante, un po’ appartata ma la nuova geografia politica europea li ha proiettati sulla scena contemporanea e ha reso di piena attualità la questione etnica nell’Antichità. Negli ultimi anni sono infatti usciti pregevoli lavori storici che affrontano il problema etnico nel mondo antico. Nel 1997 Jonathan M. Hall ha scritto un libro importante su Ethnic Identity in Greek Antiquity24, nel 2001 Phiroze Vasunia ha pubblicato una monografia sulla storia dell’Egitto ellenistico che indaga il difficile rapporto tra cultura locale e cultura greca25 – il tema etnico è diventato dominante in lavori recenti su Cleopatra VII Filopatore, ultimo Faraone d’Egitto26 – mentre Erich S. Gruen, che è un celebre classicista, ha dedicato le “Martin Classic Lectures” del 2006 al tema dell’alterità e ha pubblicato queste lectures col titolo di Rethinking the Other in Antiquity27. 22 L.M. DANFORTH, Ancient Macedonia, Alexander the Great and the Star or Sun of Vergina: National Symbols and the Conflict between Greece and the Republic of Macedonia, in J. Roisman, I. Worthington (eds.), A Companion to Ancient Macedonia, Wiley-Blackwell, Malden – Oxford 2010, pp. 572-598. 23 Daniel Ogden ha raccontato che nell’ottobre 2002, durante il settimo simposio internazionale on Ancient Macedonia a Tessalonica, vi furono contestazioni e manifestazioni pubbliche contro di lui, Ernst Badian (il decano degli studiosi di Macedonia antica) e Kate Mortensen a ragione dei titoli dei loro interventi, ritenuti offensivi della reputazione degli antichi macedoni. Cfr. D. OGDEN, Alexander the Great, University of Exeter Press, Exeter 2011, pp. 2-3. Sulla questione etnica: A. KARAKASIDOU, Fields of Wheat, Hills of Blood: Passages to Nationhood in Greek Macedonia, University of Chicago Press, Chicago 2007. 24 J.M. HALL, Ethnic Identity in Greek Antiquity, Cambridge University Press, Cambridge 1997. 25 P. VAZUNIA, The Gift of the Nile. Hellenizing Egypt from Aeschylus to Alexander, University of California Press, Berkeley – Los Angeles – London 2001. 26 F. ABBRI, Icona della Contemporaneità: Cleopatra VII d’Egitto, in M. Baioni, P. Gabrielli (a cura di), Non solo storia, Società Editrice il Ponte Vecchio, Cesena 2012, pp. 9-18. 27 E.S. GRUEN, Rethinking the Other in Antiquity, Princeton University Press, Princeton Oxford 2011. 224 Ferdinando Abbri Filoni stabiliti, canonici di indagine storica e eventi contemporanei contribuiscono alla fioritura degli studi sulla scoperta dei mondi altri, sul viaggio in contesti diversi ed è del tutto logico che la tradizione degli studi sul Nuovo Mondo continui a rappresentare un capitolo macroscopico delle ricerche di storia moderna. La Historia General de las Indias (1552) di Francisco López de Gómara è una ricostruzione classica della conquista del Messico da parte degli spagnoli che si ricorda anche per l’affermazione che «el descubrimiento de Indias» era l’evento, fatta eccezione per l’Incarnazione di Gesù Cristo, più importante dalla «creación del mundo» e per la definizione di Mundo Nuevo perché grande come il vecchio (Europa, Africa, Asia) e «tanbién se puede llamar nuevo por ser todas sus cosas diferentisimas de las del nuestro»28. Gómara, un prete che non mise mai piede nel Nuovo Mondo, afferma che qui gli animali sono di specie limitate e gli uomini, a parte il colore della pelle, sono discendenti di Adamo, quindi né mostri né animali ma semplicemente uomini. Gómara non sembra avere molto interesse per il mondo naturale anche se la prima parte della sua opera è dedicata alla descrizione geografica delle varie regioni americane insieme alla storia delle conquiste spagnole. La sua Historia è in verità una celebrazione di Cortés come conquistatore del Messico. Ho accennato sopra ai nomi di Oviedo e Acosta perché in questo caso si tratta di autori di due storie delle Indie che mettono insieme l’aspetto della storia naturale e quello della storia civile e culturale fornendo così un fortunato modello letterario i cui echi si ritrovano in molte relazioni di viaggi del Sei e del Settecento: l’unione tra la “descrizione” naturale e la “descrizione” etnografica diventa centrale e rivela le modalità utilizzate dalla cultura europea nella costruzione del mondo naturale e delle civiltà “nuove”. Miguel de Asúa e Roger French hanno giustamente sottolineato che Oviedo e Acosta inventarono un nuovo genere di scrittura storica: «storia naturale e morale» o «storia naturale e generale»29. Nonostante l’esistenza di precedenti classici l’idea di unificare queste due dimensioni grazie a un solo sguardo è da mettere in relazione alla scoperta dell’America. Si trattò di unificare la storia naturale (Aristotele e Plinio) e la storia “civile” nel senso ciceroniano e delle res gestae di matrice medievale. La Primera parte della Historia general y natural de las Indias di Francisco Fernández de Oviedo (1478-1557) fu pubblicata nel 1535 e aveva come F.L. DE GÓMARA, Historia General de Las Indias, Calpe, Madrid 1922, tomo I, p. 4. M. DE ASÚA, R. FRENCH, A New World of Animals. Early Modern Europeans on the Creatures of Iberian America, Ashgate, Aldershot 2005, pp. 53-54. 28 29 Historia natural e cultura 225 modello principale e dichiarato la Naturalis Historia di Plinio, anche se solo una parte era dedicata alla storia naturale in senso stretto. Il senso forte dell’importanza della natura del Nuovo Mondo è attestato dalle domande retoriche che Oviedo si pone: ¿Quál ingenio mortal sabrá comprehender tanta diversidad de lenguas, de hábito, de costumbres en los hombres destas Indias? Tanta variedad de animales, assi domésticos como salvajes y fieros? Tánta multitud innarrable de árboles, copiosos de diversos géneros de fructas, y otros estériles, assi de aquellos que los indios cultivan, come delos que la natura de su proprio ofiçio produçe, sin ayuda de manos mortales?30 Il rilievo della dimensione naturalistica nel lavoro di Oviedo è confermato da una recente edizione inglese delle sezioni di storia naturale a cura di Kathleen Ann Myers che conferma l’impatto storico-scientifico della Historia31. In verità, il progetto di Oviedo era ambizioso perché cercava di unire la storia naturale pliniana ad una storia generale e questa unificazione tematica sfociava in un sostanziale contributo ideologico alla celebrazione dell’Impero e delle conquiste spagnole. A Siviglia nel 1590 il gesuita José de Acosta (1540-1600) pubblicò la Historia natural y moral de las Indias che era destinata a grande fortuna, popolarità e a costituire un vero e proprio modello. Il titolo completo chiariva il contenuto perché nella Historia delle Indie «se tratan las cosas notables del cielo, y elementos, metales, plantas, y animales dellas: y los ritos, y cerimonias, leyes, y governo, y guerras de los Indios», dunque storia della natura – i primi libri trattano del cielo (cosmologia), della temperatura e del popolamento della terra – e storia culturale degli Indiani32. È evidente che la prima parte del testo di Acosta ha per riferimento non il modello pliniano ma la filosofia aristotelica perché si possono individuare corrispondenze precise col De caelo e i Metereologica dello Stagirita. Nella vasta e importante letteratura storica sul Nuovo Mondo e il suo impatto sulla coscienza europea le opere di Oviedo e di Acosta, nelle loro 30 G.F. DE OVIEDO Y VALDÉS, Historia general y natural de las Indias, Islas y Tierra-Firme del Mar Océano, Primera Parte, Imprenta de la Real Accademia de la Historia, Madrid 1851, p. 2. 31 K.A. MYERS, Fernández de Oviedo’s Chronicle of America. A New History for a New World, University of Texas Press, Austin 2007. 32 J. DE ACOSTA, Historia Natural y Moral de las Indias, en casa de Iuan de Leon, Sevilla 1590. 226 Ferdinando Abbri similitudini di genere letterario e nelle loro innegabili differenze filosofiche, rappresentano fonti essenziali per le discussioni in merito alle origini dell’Umanità. Non intendo ritornare su questi temi sui quali esistono libri di assoluto valore sul piano storiografico ma il richiamo a Oviedo e Acosta mi serviva per segnalare il ruolo che il loro modello di storia – naturale e morale – ha svolto nella cultura moderna sino all’Illuminismo, ovvero esiste un filo tematico che lega la Historia di Acosta e le Observations di Forster. Nella parte restante di questo saggio voglio indicare due argomenti di storia natural y moral che hanno richiamato di recente l’attenzione degli storici e che dimostrano che la conquista del Nuovo Mondo è, nell’agenda degli storici, un tema capace di catalizzare ricerche secondo le prospettive più diverse. Si tratta, in questo caso, di una serie di semplici segnalazioni di studi, non una rassegna sistematica, ma ritengo che possano rivestire un qualche interesse dal punto di vista storico-filosofico. La letteratura storica sulla scoperta del nuovo Mondo affronta le molteplici dimensioni degli eventi che portarono alle conquiste spagnole in Mesoamerica e spagnole e portoghesi in Sudamerica. Nel 1998 Grant D. Jones ha pubblicato una magnifica storia della conquista, alla fine del Seicento, dell’ultimo regno Maya che serve a confermare la costanza e la continuità plurisecolare dell’espansionismo spagnolo nel Nuovo Mondo33. La questione della cosmologia con i suoi risvolti religiosi, la sua influenza sulle pratiche cultuali, ossia il tema dei sacrifici umani continua a produrre innumerevoli lavori. Nel 2008 Caroline Dodds Pennock ha pubblicato una monografia dal titolo Bonds of Blood dedicata a argomenti relativi al gender, agli stili di vita e al sacrificio nella cultura atzeca e si tratta di un buon contributo di storia sociale34. Nel 2001 Elizabeth P. Benson e Anita G. Cook avevano invece curato una raccolta di saggi su Ritual Sacrifice in Ancient Peru, che confermava la centralità del tema religioso nella storia delle civiltà precolombiane35. Ross Hassig è un celebre storico antropologo della conquista spagnola del Messico, autore di alcuni preziosi volumi sulla Mesoamerica antica e sul Messico atzeco e coloniale. Nel 2006 è stata pubblicata la seconda edizione del suo Mexico and the Spanish Conquest che contiene una eccellente 33 G.D. JONES, The Conquest of the Last Maya Kingdom, Stanford University Press, Stanford 1998. 34 C. DODDS PENNOCK, Bonds of Blood. Gender, Lifecycle and Sacrifice in Aztec Culture, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2008. 35 E.P. BENSON, A.G. COOK (eds.), Ritual Sacrifice in Ancient Peru, University of Texas Press, Austin 2001. Historia natural e cultura 227 ricostruzione delle vicende comprese tra il febbraio 1517 – l’inizio dell’esplorazione dello Yucatan da parte di F.H. de Córdoba – e l’agosto 1521, data che segna la resa definitiva degli Aztechi36. In un bel saggio del 2007 Hassig ha chiarito il significato di pace, riconciliazione e alleanza nel Messico azteco che consente in verità di definire l’importanza della guerra, della conquista e delle modalità di costruzione dell’Impero da parte degli aztechi. Hassig indica che gli aztechi non esercitavano forme di imperialismo culturale e usavano strategie di integrazione fondate non sull’imposizione della religione ma su quella del calendario. Nel Messico venivano infatti utilizzati due calendari: uno solare di 365 giorni e di diciotto mesi unito ad un calendario sacro di 260 giorni e questi due calendari erano in uso contemporaneamente per calcolare un ciclo di 52 anni, al termine del quale con una cerimonia del fuoco si dava inizio ad un nuovo ciclo di uguale durata37. Si può dedurre che la questione del calendario rivestiva una grande importanza nella Valle del Messico. In un volume del 2001 Hassig si era infatti occupato proprio del problema della concezione della temporalità, quindi dei calendari in uso e il suo libro, dal titolo Time, History and Belief in Aztec and Colonial Mexico, è un contributo di indubbio valore da un punto di vista sia storico sia metodologico38. La questione del calendario risulta essere al centro di una serie di discorsi che hanno a che fare con la scienza, la religione, la politica, l’idea di impero, e così via. Tradizionalmente si ritiene che la civiltà azteca e le altre società mesoamericane avessero una concezione ciclica del tempo e della storia che fu in larga misura sostituita, dopo la conquista, dalla concezione lineare tipica dell’Occidente, introdotta in America dagli spagnoli. Hassig cerca di dimostrare che questa visione non è confermata dai dati, perché erano all’opera nozioni diverse di tempo e di storia, non una sola e paradigmatica nozione, e che gli aztechi erano abili manipolatori dei calendari. Nel suo volume su Il passato, la memoria, l’oblio del 1991 Paolo Rossi ha pubblicato un saggio dal titolo Vicissitudo rerum nel quale mostra in maniera R. HASSIG, Mexico and the Spanish Conquest. Second Edition, University of Oklahoma Press, Norman 2006. 37 ID., Peace, Reconciliation, and Alliance in Aztec Mexico, in K.A. Raaflaub (ed.), War and Peace in Ancient World, Blackwell Publishing, Malden Mas. – Oxford 2007, pp. 312-328. 38 ID., Time, History, and Belief in Aztec and Colonial Mexico, University of Texas Press, Austin 2001. Cfr. J. BRODA, Calendrics and Ritual Landscape at Teotihuacan. Themes of continuity in Mesoamerican “Cosmovision”, in D. CARRASCO, L. JONES, S. SESSION (eds.), Mesoamerica’s Classic Heritage, University Press of Colorado, Boulder 2000, pp. 397-432. 36 228 Ferdinando Abbri indiscutibile il carattere mitico di una rigida contrapposizione tra il tempo ciclico (visione antica, classica) e il tempo lineare e progressivo della modernità. Scrive Rossi: Non credo affatto che la modernità possa essere collocata sotto la categoria del tempo lineare. Credo alla compresenza e alla difficile coesistenza, nella nostra tradizione, di una concezione lineare e di una concezione ciclica del tempo39. Facendo ricorso a autori come Bruno, Bacone e Newton Rossi dava conto, con precisi riferimenti a testi cruciali della modernità, di questa compresenza. In Naufragi senza spettatore del 1995 Rossi confermava che nella filosofia di Bacone, il filosofo del progresso scientifico, convivevano una concezione ciclica della storia e del tempo e una salda fede nel progresso40. Il concetto di una convivenza tra ciclo e freccia nell’Età moderna si è ormai radicato tanto da indurre un musicologo come Karol Berger a definire la modernità musicale in termini di contrasto tra ciclicità bachiana e linearità mozartiana41. L’idea che la modernità europea fosse portatrice esclusiva di una visione lineare del tempo appare del tutto mitica, dunque è da ritenere che nella ideologia dei conquistatori spagnoli convivessero concezioni diverse del tempo. Hassig contesta la visione tradizionale – aztechi = ciclicità; spagnoli = linearità – e dimostra che gli aztechi non sostenevano principalmente una concezione ciclica del tempo e della storia, ma attuavano, a scopo politico, una deliberata manipolazione del tempo attraverso il calendario42. L’uso del calendario divenne uno strumento politico fondamentale nella pratica di espansione dell’Impero azteco. Non è necessario riassumere qui le sottili e puntuali ricostruzioni di Hassig ma è sufficiente sottolineare che la questione del calendario nel Mexico pre e postcoloniale conferma che nei rapporti tra nativi e conquistatori europei erano all’opera una serie di parametri assai diversificati non riconducibili a dualismi rigidi. Nel 2002 ho pubblicato un saggio su storia e antropologia nel quale consideravo alcuni studi sui nativi americani con particolare attenzione alla P. ROSSI, Il passato, la memoria, l’oblio, Il Mulino, Bologna 1991, p. 96. ID., Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 35-38. 41 K. BERGER, Bach’s cycle, Mozart’s arrow: an essay on the origins of musical modernity, University of California Press, Berkeley – Los Angeles – London 2008. 42 R. HASSIG, Time, cit., p. XIII. 39 40 Historia natural e cultura 229 questione dell’organizzazione della sessualità nel Nuovo Mondo, mettendo in luce il dibattito intorno alla figura del cosiddetto “berdache” (un individuo di sesso maschile che assumeva un ruolo di genere femminile)43. Questo dibattito è tutt’ora in corso tra gli storici, non mancano polemiche vivaci e talora aspre a riprova del rilievo, in ambito angloamericano, della storia delle sessualità e delle relazioni di gender. Nel 2007 Thomas A. Foster ha curato una raccolta di saggi dal titolo Long Before Stonewall. Histories of Same-Sex Sexuality in Early America che si apre con un saggio di Ramón A. Gutiérrez44, che è autore di un celebre libro sulla storia sociale della sessualità nel New Mexico45. Gutiérrez riconsidera la questione del berdache – termine derivato da bradaje, in origine un termine arabo per designare un prostituto maschio – e sulla base delle fonti classiche per la storia dell’America pre-colombiana giunge ad una conclusione netta: quello del berdache non era un ruolo scelto ma un ruolo imposto. La descrizione dei berdache come uomini “big and strong” conferma che si trattava di prigionieri di guerra costretti a servire sessualmente il capo guerriero che li aveva sconfitti, e potevano essere prestati dal capo ad altri dignitari come segno della sua generosità o usati come prostituti da chiunque potesse pagare, e per questo erano chiamati putos dagli spagnoli46. Gutiérrez si schiera a favore dell’interpretazione proposta diversi anni fa da Richard C. Trexler in merito alle relazioni di gender nelle civiltà precolombiane, nelle civiltà europee e attive nello scontro tra nativi e 43 F. ABBRI, Il silenzio interrotto: antropologia e storia in alcuni studi recenti sui nativi americani, in M.L. MEONI (a cura di), Culture e mutamento sociale, Le Balze, Montepulciano 2002, pp. 105-120. 44 R.A. GUTIÉRREZ, Warfare, Homosexuality, and Gender Status Among American Indian Men in Southwest, in T.A. FOSTER (ed.), Long Before Stonewall. Histories of Same-Sex Sexuality in Early America, New York University Press, New York - London 2007, pp. 19-31. 45 ID., When Jesus Came the Corn Mothers Went Away. Marriage, Sexuality and Power in New Mexico, 1500-1846, Stanford University Press, Stanford 1991. 46 ID., Warfare, cit., pp. 28-29. Il racconto (1542) di Alvar Nuñez Cabeza de Vaca (1488/90-1559) contiene molti riferimenti ai berdache e alle attitudini sessuali degli indigeni della costa del nordest del Texas. Il celebre racconto di Cabeza de Vaca è relativo agli eventi del 1528-1536, ossia al fallito tentativo spagnolo di conquistare la Florida, al viaggio in Louisiana, Texas, New Mexico, Arizona e nordest del Messico. Si veda: Naufragio de Alvar Nuñez Cabeza de Vaca, y Relacion de la jornarda que hizo a la Florida, in Biblioteca de Autores Españoles desde la formacion del lenguaje hasta nuestros dias. Historiadores primitivos de Indias, Tomo Primero, Atlas, Madrid 1946, pp. 517-548. A.D. KRIEGER, We came naked and barefoot. The Journey of Cabeza de Vaca across North America, University of Texas Press, Austin 2002. 230 Ferdinando Abbri spagnoli, che è fondata sull’idea dell’esistenza di rapporti gerarchici di potere47. Contro ogni visione romantica di terzo genere nelle società dei nativi americani Trexler afferma che il berdache doveva servire sessualmente capi e nobili di modo che i nobili non molestassero sessualmente le donne, svolgeva quindi un ruolo obbligato di equilibrio politico e sessuale48. La rilevanza di questo tema e di temi ricompresi nelle questioni di gender nel Vecchio e nel Nuovo Mondo è confermata da molti lavori. Nel 2003 Pete Sigal ha curato un’antologia dal titolo Infamous Desire. Male Homosexuality in Colonial Latin America che contiene un ampio e documentato saggio di Trexler sulla gerarchia di genere e sulla subordinazione sessuale nell’America pre-ispanica nel quale ribadisce, con una forte vena polemica, le sue tesi contro il canone interpretativo in termini di un terzo genere49. Questa antologia contiene anche un saggio sulla «same-sex sexuality and third-gender sexuality» nel mondo andino pre-coloniale di Michael J. Horswell50. Nel 2005 Horswell ha pubblicato un volume di indubbio rilievo dal titolo Decolonizing the Sodomite dedicato a questioni di storia della sessualità nella «colonial Andean culture»51 e nel quale sono proposte interpretazioni diverse rispetto alla dialettica di potere individuata da Trexler come parametro fondamentale per comprendere le sessualità nelle culture dei nativi americani. Non posso entrare nel merito delle interpretazioni e delle controversie tra storici sociali ma ritengo che questi sommari riferimenti siano sufficienti a far comprendere che la storia sociale delle sessualità ha conosciuto uno sviluppo ragguardevole e rappresenta un capitolo non trascurabile delle vicende dell’America prima e dopo la colonizzazione. Le prime grandi storie del Nuovo Mondo si sono strutturate nel duplice aspetto di storia naturale e di storia generale o culturale e questo modello 47 R.C. TREXLER, Sex and Conquest. Gendered Violence, Political Order, and the European Conquest of the Americas, Polity Press, Oxford 1995. 48 Ivi, pp. 166-167. 49 ID., Gender Subordination and Political Hierarchy in Pre-Hispanic America, in P. SIGAL (ed.), Infamous Desire. Male Homosexuality in Colonial Latin America, The University of Chicago Press, Chicago 2003, pp. 70-101. 50 M.J. HORSWELL, Toward and Andean Theory of Ritual Same-Sex Sexuality and ThirdGender Subjectivity, in Infamous Desire, cit., pp. 25-69. 51 ID., Decolonizing the Sodomite. Queer Tropes of Sexuality in Colonial Andean Culture, University of Texas Press, Austin 2005. Historia natural e cultura 231 rinascimentale è stato assai influente per tutta l’Età moderna. Le nuove informazioni sui mondi altri si inserivano in questo modello che entrò inevitabilmente in tensione a ragione della ricchezza e problematicità delle scoperte realizzate grazie a viaggi su scala planetaria. Nella ricerca storica attuale sulle scoperte geografiche i temi relativi alla natura, al paesaggio sono indagati da una storia della scienza molto attenta alla dimensione “coloniale” nelle vicende della scienza occidentale. In questa ricerca i temi “etici”, di storia “morale” riguardo ai costumi si sono arricchiti grazie ad un settore più nuovo che è quello della storia sociale delle sessualità che ha consentito di guardare ad aspetti un tempo trascurati o ignorati. Sacrifici umani, cannibalismo e sodomia erano visti dai conquistatori spagnoli come pratiche comuni ai vari popoli del Nuovo Mondo, è pertanto essenziale tentare di comprendere i contenuti di queste pratiche e i significati ad esse attribuiti da nativi e da colonizzatori52. 52 P. SIGAL, (Homo) Sexual Desire and Masculine Power in Colonial Latin America: Notes toward an Integrated Analysis, in ID (eds.), Infamous Desire, cit., pp. 1-24.