I diesteri dell’acido ftalico negli oli vegetali I diesteri dell’acido ftalico sono una classe di sostanze chimiche formate dai sostituenti non alogenati dell’acido 1,2-benzendicarbossilico (acido ftalico); si presentano come liquidi poco volatili, incolori e praticamente inodori ottenuti per reazione tra l’anidride ftalica e un alcool opportuno, di solito compreso tra i 6 e i 13 atomi di carbonio. Vengono utilizzati, in funzione della loro struttura chimica, in una vasta gamma di applicazioni, anche se l’impiego di gran lunga più diffuso è come additivi (ammorbidenti) nelle plastiche flessibili, in particolare nel polivinilcloruro (PVC). L’addizione dei diesteri consente al materiale plastico, spesso frangibile, di dilatarsi e diventare flessibile ed elastico. I diesteri dell’acido ftalico sono, fra le sostanze chimiche di sintesi, quelle più abbondanti e diffuse e per tale ragione vi può essere per l’uomo un rischio di esposizione cronica soprattutto per via orale dato che l’ingestione di acqua e alimenti contaminati rappresentano la principale fonte di esposizione. In generale, i diesteri dell’acido ftalico provocano raramente una tossicità acuta. Essi possono però rivelarsi pericolosi in caso di esposizioni prolungate o ripetute a basse dosi. In questi casi, sembrano esercitare un’azione che altera il funzionamento delle ghiandole endocrine e possono influenzare gli ormoni androgeni attraverso altre vie che non siano quelle di legarsi ai loro recettori. Per questo motivo i diesteri dell’acido ftalico sono considerati come “interferenti endocrini”, termine con cui si intende, secondo la definizione adottata dall’Unione Europea, «una sostanza esogena, o una miscela, che altera la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure della sua progenie o di una (sotto)popolazione». Particolare attenzione desta l’esposizione ai diesteri dell’acido ftalico nelle donne in gravidanza: alcuni ricercatori hanno ipotizzato che le proprietà antiandrogene dei diesteri dell’acido ftalico possano collegarsi alle sindromi disgeniche dei testicoli che si manifestano con difetti alla nascita negli individui di sesso maschile come testicoli che non scendono, basse quantità di sperma e cancro ai testicoli. Si sospetta anche che l’esposizione ad agenti chimici che possono alterare il funzionamento ormonale, quali appunto i diesteri dell’acido ftalico, possa influenzare la pubertà: uno studio su ragazze portoricane con un prematuro sviluppo del seno ha suggerito una possibile associazione con l’esposizione a determinati ftalati. Riguardo alla loro cancerogenicità, è accertato il ruolo dei diesteri dell’acido ftalico nello sviluppo di tumori al fegato nei roditori, tuttavia allo stato attuale delle conoscenze la proliferazione del perossisoma, il meccanismo alla base di tale tumore, non trova un riscontro diretto nell’essere umano essendo osservabile unicamente nei roditori. La stessa considerazione vale per il meccanismo alla base del tumore al rene dei ratti maschi. Uno studio recente ha invece suggerito un altro meccanismo riguardo gli effetti cancerogeni dei diesteri dell’acido ftalico: i ricercatori hanno misurato i livelli di otto ftalati nei soggetti e hanno trovato un collegamento tra il monoetil ftalato (MEP) e un aumento del danno al DNA nello sperma dei soggetti. Questo è il primo studio che dimostra che gli esteri dell’acido ftalico possono provocare tali danni a livelli che sono normalmente riscontrabili nell’ambiente. La contaminazione degli alimenti può essere in misura più o meno preponderante sia di origine ambientale sia dovuta a processi di produzione secondaria. Poiché non si legano covalentemente alle matrici polimeriche, ma solo attraverso deboli interazioni molecolari secondarie, la loro migrazione dai materiali di confezionamento degli alimenti, può avvenire attraverso semplici processi di estrazione e/o evaporazione. In considerazione della loro lipofilicità gli alimenti più suscettibili di contaminazione da diesteri dell’acido ftalico sono quelli ad elevato contenuto lipidico tra cui ovviamente gli oli commestibili di origine vegetale. D’altro canto molti oli vegetali, in particolare quelli di semi e le miscele per friggere, sono commercializzati in contenitori di plastica e quest’ultima circostanza può aumentare il pericolo derivante da una contaminazione da diesteri dell’acido ftalico.