HAFEZ HAIDAR
LA PREDILETTA
DEL PROFETA
Redazione: Edistudio, Milano
I Edizione 2010
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I
IL FRATE E I MIRACOLI
DELLA MADONNA DI FATIMA
A Fatima, dopo una lunga notte stellata, è finalmente
giunta l’alba e il sole, destatosi dal suo giaciglio celeste,
accarezza con i deboli raggi i petali delle rose madide di
rugiada. Gli uccelli, attoniti di fronte al miracolo che si
rinnova ogni giorno, iniziano a intrecciare garruli voli
verso le candide nuvole passeggere che si rincorrono
leggere.
Sotto di loro, cammina un frate che trascina faticosamente il fardello degli anni, aiutandosi con un robusto
bastone. È scalzo, indossa una lunga tunica marrone e
leva la sua preghiera al cielo: «Ave Maria, Ave Maria,
dolce fiore».
D’un tratto questi si ferma e, volto il capo verso i
discepoli che lo seguono a breve distanza, dice: «D’ora
in poi vi sentirete più leggeri perché sarete spogliati dai
vostri peccati terreni! Chiudete gli occhi e provate a
immaginare che la vostra anima sia sospinta dal vento e
vaghi libera per ogni dove!».
Gli allievi si guardano l’un l’altro stupiti, senza osare
proferir parola, poi si lasciano accarezzare il viso e
l’anima dalla brezza leggera che inizia a spirare intorno
a loro.
Il gruppetto silenziosamente riprende il cammino e
percorre lentamente un ripido sentiero roccioso, al ter7
mine del quale il frate si ferma nuovamente per riprendere fiato.
Questi sospira a lungo, poi prende la parola: «Fratelli, siamo giunti in un luogo benedetto da Dio! Non
abbiate paura, ma lasciate che la fiaccola dell’amore
arda per sempre nei vostri cuori. Siete come marinai
che si trovano su una barca senza vele e senza remi,
trascinata dalle correnti verso il cuore dell’Eccelso. Ora
vedrete la luce non tramite i vostri occhi, ma attraverso
i vostri cuori, che saranno liberati per sempre dalle
tenebre. Gioite perché siete nel luogo benedetto in cui
è apparsa la Madonna! Siete a Fatima!».
I discepoli domandano impazienti: «Maestro, cosa è
accaduto in questo luogo?».
«Un grande miracolo!»
Dopo aver osservato i volti stupiti dei suoi compagni di viaggio, l’anziano riprende: «Qui, in questa
umile terra, il 13 maggio dell’anno 1917, una splendida Signora apparve a Lucia, Giacinta e Francisco, tre
pastorelli che stavano giocando accanto ai loro agnelli.
Alla vista della giovane Signora, che indossava un abito
bianco più candido della nuvola sulla quale poggiava i
piedi, le due piccole si inginocchiarono spaventate.
La donna le rassicurò: “Non temete, non abbiate
paura, venite!”.
Francisco, che non aveva notato nulla, domandò:
“Cosa state facendo? Di chi avete paura?”.
Rispose Giacinta: “Della Signora che è su una nuvola
sopra la pianta! Non la vedi?”.
Il bambino replicò: “No, non vedo niente! Ma state
scherzando?”.
La Donna Misteriosa spiegò allora alle due bambine:
“Francisco mi potrà vedere solo se reciterà il santo
rosario”.
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La sorellina Giacinta lo implorò: “Recita il rosario,
Francisco!”.
“E perché?”
“Lo saprai presto!”
Francisco, abbagliato da una strana luce, iniziò a
recitare il rosario e d’improvviso gridò: “Sì, la vedo ed
è molto bella!”.
Lucia, che aveva dieci anni ed era la più grande, riacquistò coraggio e domandò: “Da dove arrivate?”.
“Dal cielo!”
“Dal cielo?”
“Sì, dovrete venire qui il tredici di ogni mese fino al
sesto mese.”
Il 13 ottobre dell’anno 1917 giunse infine il giorno
tanto atteso dai poveri contadini di Fatima, che erano
ansiosi di assistere al grande miracolo che la misteriosa
Signora avrebbe dovuto compiere dinanzi ai loro occhi.
Si misero in cammino alle prime luci dell’alba, diretti
verso le case dei tre piccoli pastori. Al loro arrivo iniziarono a pregare. Di lì a poco, uscì Lucia che sembrava
un’incantevole sposina: indossava un candido abito
lungo e aveva sul capo un’aureola di margherite bianche dalla quale scendeva un piccolo velo trasparente
che copriva la sua capigliatura nera. Poco dopo giunsero anche Francisco e Giacinta, accompagnati dai loro
genitori che indossavano gli abiti della festa. Francisco
era raggiante e con la giacca marrone e i calzoni celesti sembrava un uomo, mentre la sorellina, che aveva
addosso una camicia a scacchi grigi e neri e una gonna
color terra bruciata che le arrivava fino ai piedi, assomigliava a una bambola robusta ma piena di grazia.
Aveva inoltre il capo ornato di una coroncina che
emanava nell’aria soavi profumi.
La folla, smaniosa e impaziente, cercava di toccare i
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bambini, ma i genitori di Lucia, anch’essi eleganti con i
loro abiti nuziali, fecero scudo per proteggerli dicendo:
“Vi preghiamo, lasciateli in pace! Non dovete inginocchiarvi dinanzi a loro! Non sono angeli, ma bambini!”.
Non appena il corteo con a capo i bambini intraprese il cammino lungo un ripido sentiero, interminabili colonne di uomini e donne si unirono a loro, intonando: “Osanna, osanna nell’alto dei cieli!”.
Poco più avanti, in una radura inondata dalla luce
del sole, stava in attesa un gruppetto di persone, alle
quali si rivolgeva con insistenza un abitante del paese,
di nome Ugo, che gridava: “Comprate almeno uno
di questi oggetti! Ho con me rosari, croci e statuine
benedette dal cielo. Non perdete l’occasione di allontanare il male con questi cornetti rossi di puro corallo!
Cosa aspettate? Tutto ciò che vedete è stato benedetto
dal Santo Padre!”.
Mentre stava contando il denaro che era riuscito a
spillare ad alcune anime ingenue, si fermò e urlò: “Ecco
i bambini, sono miei amici, andate da loro!”.
Ugo, che possedeva un buon cuore, ma non era credente, commentò: “Non ho mai incassato in vita mia
una simile somma di denaro! Benedetto il tuo nome, o
Signora!”.
Intanto, tutte le persone che si erano radunate a pochi
passi dal luogo misterioso corsero a toccare i bambini,
invocandone l’aiuto per essere guariti dai loro malanni.
Improvvisamente si abbatté una pioggia torrenziale:
sembrava che le cateratte del cielo fossero state aperte
e avessero cancellato il sole lasciando il posto a nuvole
dense e minacciose. In men che non si dica, il buio si
impossessò della scena.
I credenti, sbigottiti e spaventati, aprirono gli ombrelli
che avevano portato per ripararsi dai raggi del sole.
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Non appena vide il bagliore dei lampi e udì il fragore
dei tuoni, la folla, in preda al panico, cominciò a correre disordinatamente alla ricerca di un improbabile
riparo.
Nonostante la confusione circostante, i tre bambini continuarono il loro cammino senza esitazione,
fino all’altare che Ugo aveva costruito assemblando tre
travi di legno e illuminato con due lanterne poste ai lati
dell’altare e rimaste misteriosamente accese.
Nel contempo il parroco, che era un uomo schivo ma
buono e timoroso, afferrò saldamente la mano di Lucia
e domandò: “A che ora dovrebbe apparire la Signora?”.
Lucia, con un pizzico di timore, scrutò il volto rabbuiato del parroco e rispose: “A mezzogiorno, padre”.
“Mezzogiorno è passato già da un bel po’ e non è
accaduto nulla! Sai cosa rischi? Questa gente ti ucciderà, se non sarà testimone di un miracolo. Vieni con
me finché sei in tempo! Le tue parole ci hanno già recato
grandi danni! Voglio che lasci questo luogo immediatamente! Hai capito?”
La madre di Lucia afferrò la mano del parroco e disse
con un tono perentorio che non ammetteva repliche:
“Le rammento che questa terra è mia e che lei non ha
nessun diritto di cacciarci!”.
Il parroco tuonò furibondo: “Finitela subito con questa messa in scena! Intendo solo salvarvi la pelle!”.
Lucia non riuscì a trattenere le lacrime che iniziarono
a scorrere copiosamente sulle sue guance, ma ugualmente replicò: “La Signora mi ha detto che sarebbe
venuta qui e io non posso deluderla e andare via”.
Lucia, Francisco e Giacinta iniziarono nuovamente
a pregare, incuranti delle minacce che provenivano da
ogni parte.
Alcuni uomini si avvicinarono infuriati gridando: “Sono
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degli sciocchi ragazzini, sono dei visionari. Dov’è la loro
Signora? Non vediamo niente”.
Intanto una donna scaltra li raggiunse facendosi
strada tra la gente con i gomiti, poi urlò: “Dov’è il
segno? Ecco che piove a dirotto! È la prova che ci avete
imbrogliati!”.
Un vecchio, che aveva solo due denti d’oro in bocca,
incalzò: “Dov’è il miracolo? Andatevene via, sciagurati
sognatori! Siamo bagnati fradici e affaticati! Anche se
fingete di pregare, noi non vediamo niente!”.
Il prefetto, che era seduto in macchina accanto al
questore, esclamò in tono ironico: “Se non avverrà il
grande miracolo, la loro storia incantata si tramuterà in
tragedia. Nessuno potrà dire che non li abbiamo avvisati e che non abbiamo cercato di impedir loro di commettere una simile pazzia. Sarebbe stato meglio non
lasciarli uscire dal carcere!”.
Fu proprio in quel frangente che Lucia e i due fratellini videro scendere dall’alto la splendida Signora
avvolta dalla luce.
Lucia disse commossa: “Sapevo che sareste venuta!
Mia dolce Signora, io non ho paura!”.
La Donna celeste guardò compiaciuta i bambini e rivelò loro: “Voglio dirvi che la guerra finirà presto e i soldati torneranno alle loro case. Alla fine Dio trionferà”.
Lucia: “Perdonateci, ma ci avevate promesso di dirci
chi siete!”.
“Sono la Signora del Rosario”.
I tre bambini esclamarono raggianti di gioia: “Benedetto il vostro nome!”.
Una voce si levò dalla folla: “Dov’è la Signora? Siete
degli imbroglioni e dei mentitori! La bambina parla da
sola all’aria!”.
Alcuni di loro si adirarono e cercarono di acchiap12
pare i bambini, ma Ugo si fermò dinanzi a loro facendo
scudo con il suo corpo, poi urlò: “Chiunque voglia avvicinarsi a loro, prima dovrà passare sul mio cadavere!”.
Lucia rivolse allora questa richiesta alla Signora:
“Madre, ci avevate promesso di compiere un miracolo
perché la gente potesse credere!”.
E la Signora, senza perdere tempo, alzò la mano
destra verso il cielo dal quale continuava a cadere incessantemente la pioggia.
Lucia gridò: “Guardate il sole! Le nubi stanno per
sparire!”.
Una donna urlò: “Il sole, il sole è diventato un disco
argenteo e opaco! Non scotta né acceca, ma si sta avvicinando a noi! Trema, fa bruschi movimenti, danza,
ruota come una girandola di fuochi d’artificio... Sta per
cadere, sta per bruciarci, cambia colore in successione!
Oh Dio, salvaci!”.
Tutti iniziarono a correre e cercarono riparo, chi in
una caverna chi dietro una roccia, mentre il sole sembrava avvicinarsi sempre più velocemente alle loro teste.
Un cinquantenne esclamò: “È la fine del mondo!”.
La moglie, che era cieca, replicò: “Niente affatto,
Giuseppe! Ti vedo, ti vedo! Non può essere la fine del
mondo! Certamente è un miracolo”.
Non molto distante da loro, un giovane paralitico si levò in piedi incredulo e disse: “Io cammino, cammino!”.
E una bambina sordomuta parlò per la prima volta:
“Ma-m-ma, Mamma!”.
E il più anziano urlò con tutto il fiato che possedeva:
“Guardate il sole! Sta tornando in cielo. Siamo salvi!”.
I presenti, stupefatti, si precipitarono ad abbracciare
e ad accarezzare i tre bambini, mentre i loro persecutori
fremevano di rabbia e non vedevano l’ora di tornare a
casa a nascondersi.
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Il parroco, dopo aver fatto il segno della croce,
incredulo ma contento, benedisse le anime in cerca di
Dio.
Nel frattempo, Giacinta corse verso il padre e Francisco, dopo aver abbracciato la madre, esclamò: “Papà,
i nostri abiti sono asciutti!”.
E il padre di Lucia, dopo essersi chinato, aggiunse:
“Anche la terra è asciutta!”.
Da allora, a Fatima iniziò a regnare la luce e con essa
l’amore.»
Non appena il maestro piomba nel silenzio, gli allievi
gli domandano: «Che fine hanno fatto i tre bambini?».
«Francisco e Giacinta, dopo alcuni anni, sono stati
chiamati nella casa del Signore e ora sono in Paradiso,
come aveva promesso loro la Signora del Rosario!»
Il più giovane dei francescani incalza: «E Lucia dove
si trova?».
«È entrata come novizia nel convento di Tuy, in Spagna, poi ha lasciato l’istituto di Santa Dorotea per entrare
nel Carmelo di Coimbra.»
«Allora possiamo andare a trovarla?»
«No, fratelli miei, non possiamo, perché tanti impertinenti hanno cercato di interrogarla per trarne fama e
denaro.»
«È possibile incontrarla?»
«Possono farle visita soltanto coloro che hanno ottenuto l’autorizzazione dal Santo Padre.»
Perché questo luogo si chiama Fatima?
Allora un allievo dal corpo asciutto domanda: «Maestro, perché questo luogo si chiama Fatima? È un nome
strano! Sicuramente non è latino».
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Dopo aver scrutato a lungo l’allievo, il maestro esclama:
«È vero, è un nome arabo».
Un discepolo sbalordito: «A chi è appartenuto?».
«Alla figlia di Maometto.»
Un altro incalza stupefatto: «Alla figlia di Maometto?
Il saraceno messo da Dante nell’Inferno?».
«In passato questo luogo è stato occupato dai Mori,
che gli hanno dato il nome di Fatima, proprio lo stesso
della figlia prediletta del Profeta!»
«Per favore, parlaci di lei!»
«Fatima era una donna pia che ha sacrificato la propria vita per salvare l’Islam dalla spaccatura! Nel mondo
arabo è tuttora venerata e magnificata.»
Un allievo, sospettoso come Tommaso, chiede: «Dov’è
stata sepolta?».
Il maestro: «Nessuno lo sa; la sua fine è avvolta nel
mistero».
Andrea, discepolo prediletto del maestro, domanda:
«Chi ti ha dato queste notizie?».
«Una persona molto pia!»
«Chi è costui?»
«Ve lo svelerò appena potrò.»
«Ti preghiamo di narrarci almeno la storia di Fatima.»
Il maestro, dopo aver sospirato a lungo, osserva i
discepoli a uno a uno, poi inizia a parlare con il sorriso
sulle labbra: «Nell’anno del Signore 605, quando era
a capo della Mecca Urwa ibn az- Zubayr, una donna si
recò nei pressi della sacra Ka’ba portando un braciere
per riscaldarsi. All’improvviso delle scintille caddero
sui paramenti che coprivano l’esterno del tempio e li
incendiarono. Di lì a poco il tempio venne ancor più
rovinato dalle piogge torrenziali che si abbatterono
sulla città. I meccani consultarono il loro capo e decisero di radere al suolo la Ka’ba.
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Alcuni uomini, però, espressero la loro perplessità
dicendo che temevano di suscitare l’ira del Dio d’Abramo
e di Hubal.
Urwa guardò costoro e disse: “Se una casa si incendia, bisogna ricostruirla per renderla di nuovo accogliente, perciò distruggete la vecchia Ka’ba e innalzatene un’altra”.
Gli uomini scelti per demolire le mura lavorarono
senza sosta finché arrivarono alle fondamenta, che erano
state costruite da Abramo e Ismaele.
Urwa, nel vederli immobili come cariatidi, gridò con
tutto il fiato che possedeva: “Cosa aspettate? Continuate
a scavare e tagliate le pietre su cui si erge la Ka’ba!”.
Quando sollevarono la prima pietra, dalle fondamenta si levò un’improvvisa vampata di fuoco ardente.
Abu Wahab, zio di Maometto, non ebbe paura e sollevò con tutte le sue forze un’altra pietra, ma questa
ritornò nella posizione in cui si trovava prima. Ripresosi dallo spavento, ma in preda a una strana agitazione,
prese a gridare: “O figli di Quraysh, non possiamo
costruire la sacra Ka’ba con denaro rubato ingiustamente o guadagnato con l’azzardo, l’usura e l’adulterio!
Vi rammento che questo edificio sacro è stato edificato
da Abramo e da Ismaele!”.
I meccani, sempre più confusi, non osarono più scavare e si rifiutarono di proseguire la distruzione delle
fondamenta. Si fece allora avanti un audace Coreiscita, al- Walid ibn al- Mughira, che si offrì di portare
a termine l’operazione che era stata interrotta bruscamente.
Avvicinatosi alle fondamenta, iniziò a colpirle con la
vanga, dicendo: “Dio non ha altra intenzione che fare
il bene”.
I meccani, paralizzati dalla paura, rimasero a osser16
varlo pensando: “Se non gli capiterà niente entro domani,
vorrà dire che il Dio d’Abramo ci avrà perdonati”.
Si ritirarono poi nelle loro abitazioni dove riposarono
fino all’alba, quando si recarono nuovamente nel luogo
in cui sorgeva la Ka’ba. Vedendo che ad al- Walid ibn
al- Mughira non era accaduto nulla di grave, si precipitarono a scavare con lui. Giunti alla parte finale delle
fondamenta, si avvidero che erano costituite da pietre
verdi che avevano la stessa forma delle gobbe dei dromedari.
Stupefatti, smisero nuovamente di scavare. Soltanto
uno dei presenti, guardandosi intorno con aria di sfida,
affermò: “Io non ho paura!” e, così dicendo, pose tra
due pietre una leva di ferro battuto e tentò di sollevarle.
Tutta La Mecca, allora, tremò come se fosse stata colpita da un violento terremoto.
Il capo della città intimò: “Non toccate le fondamenta di Abramo e d’Ismaele! Edificate la nuova Ka’ba
sulle stesse fondamenta!”.
Mentre venivano innalzate le mura, la nave di un
agiato mercante bizantino proveniente dall’Egitto naufragò sulle coste di Jeddah.
Il venerando Urwa ordinò ad al- Walid ibn alMughira di comprare il legno della nave per costruire il
soffitto della Ka’ba.
Walid condusse colà Yaqum, proprietario della nave
nonché abile falegname copto, e incaricò entrambi di
coprire il soffitto.
D’un tratto un serpente grande e nero con la pancia
bianca uscì da un pozzo e strisciando cominciò a salire
sulle mura del tempio. Quando gli operai si avvicinarono
alla Ka’ba per ricostruirla, il serpente spalancò le fauci e
agitò la coda vietando loro di proseguire l’opera.
Convinti che Dio fosse adirato con loro, si allonta17
narono precipitosamente, mentre il mostruoso rettile
si aggirava indisturbato. Ma l’Onnipotente mandò un
grande volatile rapace che afferrò con gli artigli il serpente e lo portò via in una terra sconosciuta. I Coreisciti, increduli, dissero: “Dio è contento di noi. Mettiamoci all’opera!”.
Quando la Ka’ba venne ultimata e rivestita con il
granito azzurro, raggiungeva l’altezza di diciotto braccia. I Coreisciti divisero il sacro tempio in quattro
parti uguali, ognuna delle quali venne affidata a un
clan.»
A queste parole il narratore si interrompe e rimane a
lungo in silenzio, inseguendo i propri pensieri. Aggiunge
poi: «Mi sono dimenticato di riferirvi che, durante gli
scavi, un muratore aveva trovato un rotolo di papiro
antico scritto in siriano e un altro manoscritto che erano
stati letti da un ebreo sapiente.
Il testo del papiro diceva: “Io sono il Dio di Bakkah
(La Mecca). Ho innalzato il tempio quando ho creato
i cieli e la terra, il sole e la luna. L’ho protetto con sette
messaggeri puri”.
L’altro manoscritto recitava così: “Io sono l’Onnipotente di Bakkah e ho creato il bene e il male. Benedetti
coloro che abbracciano il bene e maledetti coloro che
sono fautori del male!”.
Per segnare il punto di partenza delle processioni
rituali intorno alla sacra Ka’ba, il tempio era dotato
di una pietra nera paradisiaca risalente all’epoca di
Abramo. Quando i meccani decisero di rimettere all’interno del tempio questa pietra da tempo oggetto di
venerazione, nacque una contesa.
Molti, infatti, reclamavano il diritto di porre personalmente la pietra al suo posto e la contesa scatenò
lotte furibonde. L’anziano del tempio, Abu Umayya,
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propose: “Lasciate decidere al primo uomo che entrerà
dalla porta al- Safà”.
Di lì a poco arrivò Maometto, che venne invitato a
svolgere la funzione di giudice. Questi osservò gli occhi
dei contendenti e vide che le scintille dell’odio lampeggiavano nelle loro iridi. Chiese allora un mantello
e disse: “Stendetelo per terra e posate la pietra nera al
centro del mantello: ogni tribù ne solleverà un angolo,
procedendo poi all’unisono fino al punto designato”.
Percorso qualche metro, il gruppetto si fermò e Maometto depose la pietra celeste all’interno della Ka’ba.
Tutti gli astanti urlarono: “Maometto è il nostro
fidato!”.
Successivamente Maometto ricevette l’ordine di adorare Dio, sommo creatore dei mondi.
L’annuncio della nascita di Fatima
Un giorno, l’arcangelo Gabriele apparve nel cuore
della notte a Maometto e lo svegliò dicendogli: “L’Altissimo ti saluta e ti ordina di allontanarti da tua moglie
Khadigia per quaranta giorni”.
Maometto, con il cuore che palpitava all’impazzata,
protestò: “Amo mia moglie e non posso lasciarla per un
periodo così lungo! Perché il mio Creatore mi chiede di
separarmi da lei? Cosa ha fatto?”.
“Niente! Dio ha deciso così!”
“Obbedisco!”
All’alba del giorno successivo Maometto pose in un
cestino di vimini del pane e dei datteri e riempì una
bisaccia con l’acqua del pozzo di zamzam, poi si allontanò da casa senza nemmeno salutare la moglie che stava
ancora viaggiando nel regno dei sogni.
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Più tardi, quando Khadigia si svegliò, si rese conto
dell’inaspettata scomparsa del marito e piombò nell’angoscia e nella disperazione, finché non la raggiunse Amr
ben Yasser che la rassicurò: “Khadigia, non piangere!
Maometto sta bene!”.
Khadigia incalzò: “Ma dov’è finito? Di solito mi dice
tutto”.
Il messo del Profeta aggiunse: “Mia signora, non rattristarti! Ti scongiuro di ascoltare ciò che ho da dirti!”.
“Parla pure!”
“Tuo marito ti manda il seguente messaggio: ‘Khadigia, non credere che mi sia allontanato da te perché desidero abbandonarti oppure troncare il vincolo matrimoniale. Ho solo obbedito agli ordini di Dio. Ti supplico
di non adirarti contro il nostro Creatore perché Egli è
compiaciuto di te e i suoi angeli magnificano il tuo nome
dinanzi ad Allah. Quando giunge la notte, chiudi la porta con un catenaccio e non aprire a nessuno’.”
Khadigia, con il cuore infranto, bruciava di nostalgia
per il suo uomo e cercava inutilmente delle risposte.
Dopo quaranta giorni, l’arcangelo apparve dinanzi al
Profeta e gli disse: “L’Altissimo ti manda a salutare e ti
ordina di alzarti e di prepararti a ricevere il suo dono”.
“In che cosa consiste il dono di Dio? Io non ho fatto
niente per meritarlo!”
L’arcangelo Gabriele: “Guarda verso l’alto e capirai
tutto!”.
All’improvviso Maometto vide scendere dal cielo
l’angelo Michele che portava un piatto d’oro puro
coperto con un tovagliolo di broccato verde luminoso
che posò dinanzi a lui. L’essere alato spiegò: “Non
temere! Sono l’angelo Michele. Dio ti ordina di mangiare solo questo cibo”.
“Ti scongiuro di dirmi da dove viene.”
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“Dal cielo. Fa’ ciò che Dio ti ha ordinato e non aggiungere altre parole!”
Dopo aver riflettuto per un breve lasso di tempo,
Maometto chiamò il cugino Alì e gli ordinò: “Resta di
guardia per tutta la notte e non permettere a nessuno di
entrare!”.
Alì: “Anche ai poveri?”.
“A tutti.”
“Almeno io posso venire a mangiare con te?”
“Nemmeno tu puoi entrare!”
“Perché?”
“Dio mi ha ordinato di non rivelare a nessuno i motivi
di questo divieto.”
“Ma io sono come un figlio per te!”
“Alì, mi spiace, ma non posso disobbedire agli ordini
di Dio.”
Alì, pur amareggiato, iniziò a fare la sentinella dinanzi
alla porta del Profeta.
Quest’ultimo, senza perdere altro tempo, si spostò al
centro della stanza e sollevò il tovagliolo, sotto il quale
stava un grappolo d’uva rossa dal profumo paradisiaco
e una pietanza morbida come il burro e dello stesso
odore del muschio. Dall’alto una voce misteriosa lo
invitò a gustare il cibo, che lui divorò con voluttà; al termine apparve dinanzi a lui l’arcangelo Gabriele con una
brocca dorata in mano e gli disse: “Avvicinati e stendi
le mani!”.
L’arcangelo versò sulle sue mani acqua cristallina, poi
l’angelo Serafino apparve dinanzi ai due e porse a Maometto un panno di lino perché si asciugasse, dopo di
che la brocca e il piatto ritornarono in cielo.
Immediatamente Maometto si alzò per pregare, ma
l’arcangelo Gabriele gli afferrò la mano e gli intimò: “La
preghiera ti è proibita!”.
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Maometto esclamò incredulo: “È giunta l’ora di pregare, come Dio mi ha ordinato”.
“Lo so che non hai mai dimenticato l’ora della preghiera, neppure quando hai avuto la febbre, ma Dio ti
ordina di andare a casa di Khadigia e di fare l’amore
con lei.”
“Devo tornare a casa?”
“Sì, perché l’Altissimo farà concepire a Khadigia una
bambina che sarà la madre dei tuoi discendenti.”
“Benedetto il nome di Allah, sommo creatore del
giorno e della notte!”
Quando Maometto bussò alla porta, Khadigia si trovava già sotto le coltri e la lampada a olio era spenta.
La donna, spaventata, sollevò la coperta, si sfregò gli
occhi e si sedette sul bordo del letto gridando: “Chi è là?”.
“Sono Maometto.”
Khadigia mormorò: “Sono certa che sia Maometto: ha
bussato con leggerezza come al solito e la voce è sua”.
Maometto insistette con dolcezza: “Khadigia, apri!
Sono io in carne e ossa, non temere!”.
Ella, senza alcun ripensamento, si affrettò ad aprire
la porta e si gettò tra le sue braccia baciandolo.
Dopo alcuni istanti, ella domandò: “Vuoi che come
al solito ti porti la brocca per effettuare l’abluzione
prima di pregare?”.
“Trascorreremo questa notte insieme, come due
innamorati.”
All’alba, dopo aver consumato i frutti dell’amore,
Khadigia provò la strana sensazione di avere in grembo
un leggero peso. Pianse di gioia ed esclamò: “Aspetto
un figlio!”.
Intanto i nemici del Profeta continuarono a perseguitarlo e a deriderlo da un angolo all’altro della città.
Maometto tornò allora sul monte della luce e pregò
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nuovamente: “Dio, i meccani non credono in Te, né nel
tuo verbo! Mostrami la strada!”.
D’improvviso l’arcangelo Gabriele apparve dinanzi
al Profeta e disse: “Dì ai meccani di organizzare una
grande festa al calare della notte. Va’ e annuncia loro la
volontà del tuo Creatore!”.
Maometto, poggiandosi su un bastone intrecciato,
iniziò a scendere il ripido versante della montagna,
diretto verso la sacra Ka’ba.
Al suo arrivo, gli spietati zii Abu Gahl e Abu Lahab
esclamarono: “Ecco il nostro Profeta che non riesce
nemmeno a mostrarci un segno del suo Dio!”.
Un altro acerrimo nemico, Abu Sufyan, aggiunse:
“Costui è un pazzo!”.
Maometto ordinò: “Organizzate una grande festa
all’aperto, chiamate tutti i cittadini, i ricchi e i poveri, i
liberi e gli schiavi!”.
Gli atei risposero: “Per quale motivo? Hai intenzione
di incantarci nuovamente con i tuoi sogni e con le tue
visioni?”.
Gli zii del Profeta lo minacciarono nuovamente: “Questa notte verremo apposta per smascherarti. Attento a
non mancare! Presto tutti i nostri concittadini scopriranno che sei un impostore!”.
Più tardi, i meccani uscirono avvolti dal buio della
notte e si imbatterono in Maometto che stava ad attenderli con ansia.
Nel frattempo Khadigia, che era turbata e rattristata,
mormorava: “Se non riuscirai a mostrare alcun segno,
sarà la nostra fine!”.
“Non rattristarti per mio padre, che è l’inviato di Dio
e presto trionferà.»
Khadigia: “Oh, Dio, mi hai parlato?”.
“No, sono io, la figlia che vive nel tuo grembo.”
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Khadigia, al colmo della felicità, si prostrò in ginocchio
e ringraziò Dio per averle mostrato uno dei suoi segni.
Nel frattempo gli atei si avvicinarono al Profeta e gli
chiesero in coro: “Cos’hai da mostrarci?”.
“Guardate la luna!”
Un vecchio ribatté: “Vedo la mezzaluna sul monte
al- Marwa. È un fenomeno normale!”.
Nello stesso momento una donna tutta agghindata
gridò: “Gente, guardate da questa parte! Vedo un’altra
mezzaluna sul monte Safà!”.
Tutti, increduli e sbigottiti, esclamarono: “È un
miracolo! Maometto ha spezzato la luna in due parti
uguali!”.
I poveri e gli schiavi urlarono: “Miscredenti, pentitevi! Maometto è il messaggero di Allah!”.
Ma i notabili, i cortigiani e i dignitari, scettici, replicarono: “Questo fenomeno naturale può accadere ogni
secolo!”.
Dopo alcuni mesi, mentre Maometto stava in ginocchio dinanzi alla sacra Ka’ba, un giovane cavaliere scese
dal suo destriero nero e gridò: “Maometto, affrettati,
tua moglie sta per dare alla luce un figlio!”.
Maometto, al colmo della gioia, si affrettò a rincasare.
Nel frattempo Khadigia, che lottava tra la vita e la
morte, gridava: “Ruqayya, Ruqayya.”.
Quest’ultima si precipitò al suo capezzale domandando: “Madre, cosa posso fare?”.
La partoriente rispose con un filo di voce: “Corri a
chiamare un’ostetrica, altrimenti io e il nascituro moriremo”.
La ragazza, con il fiato sospeso, si affrettò a bussare a tutte le porte del quartiere, ma le padrone di casa
rispondevano: “Vattene! Tuo padre ha tradito i nostri
idoli! Riferisci a tua madre che è inutile che pianga e che
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non andremo da lei perché ha sposato Maometto il visionario. Sarebbe stato meglio per lei sposare un cammelliere!”.
Ruqayya implorava con voce supplichevole: “Vi prego
di aiutarci, altrimenti mia madre e il nascituro moriranno!”.
La risposta era sempre la stessa: “Vattene, bambina!
Dì a tuo padre di pregare il nostro dio Hubal!”.
“Ma non c’è nessuna che possa aiutare mia madre a
partorire? Per carità, aiutatela.”
All’improvviso, Khadigia vide entrare nella stanza
quattro donne pure e piene di grazia, raggianti come le
stelle del firmamento. Attonita nel vederle, domandò:
“Chi siete?”.
Una di loro le si avvicinò con il sorriso sulle labbra e
la rassicurò: “Non temere! Sono tua madre”.
“Mia madre è morta e tu sei molto più bella.”
“Sono tua madre Eva.”
E l’altra si presentò: “E io sono la pia Asia”.
La terza aggiunse: “Sono Maryam, la sorella di Mosè”.
Khadigia, al colmo della gioia, esclamò: “Benedetto
il vostro nome! Chi è la donna luminosa che sta accanto
a voi?”.
“È Maria, la madre di Gesù.”
“Io non sono che un’umile donna. Perché siete venute
da me?”
“Per aiutarti.”
Di lì a poco dal grembo della partoriente cadde a
terra, con il viso rivolto al cielo, una bimba che iniziò
a piangere.
Le donne, dopo averla baciata, si allontanarono,
lasciando dietro di sé un’intensa luce.
Khadigia abbracciò la figlia, che aveva il cordone
ombelicale tagliato e senza neppure un grumo di san25
gue, ed esclamò: “Benedetto il nome di Dio, d’Abramo
e di Gesù!”.
Nel frattempo era sopraggiunto Maometto che, non
sentendo alcun rumore, incominciò a temere che fosse
successo qualche evento negativo.
Improvvisamente si udì sempre più chiaramente il
pianto della neonata.
Maometto levò gli occhi al cielo e riprese a respirare
a pieni polmoni, poi gioì: “È nata mia figlia Fatima!”.
Khadigia, dopo aver sistemato la figlia in braccio al
marito, domandò: “Perché l’hai chiamata Fatima?”.
“Ella sarà luminosa. Lei e la sua stirpe saranno senza
peccato e non bruceranno nell’aldilà tra le saette dell’Inferno.”
“Come potevi sapere che era una bambina e che sarà
protetta da ogni peccato?”
“Me l’ha svelato l’arcangelo Gabriele, ma ora lasciami
contemplarla!”
“Ti prego, dimmi cos’altro sai!”
“Donna, abbi un po’ di pazienza!”
L’indomani, dopo la preghiera mattutina, Maometto
prese in braccio la piccola Fatima e disse a sua moglie:
“Da questa bambina nascerà una grande stirpe, ma ella
morirà ingiustamente.”
“Morirà! E perché?”
“Ora non so risponderti, ma Dio me lo rivelerà a
tempo debito.”
“E i nostri nipoti si salveranno?”
“Non so.”
“È diversa dalle altre bambine?”
“Sì, ella è il frutto del Paradiso. Ti ricordi che parlavi
con lei quando era ancora nel tuo grembo? Dio ha mantenuto la sua promessa.”
“Sia lodato il suo nome!”
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Khadigia baciò la bambina e iniziò ad allattarla.
Nel frattempo sopraggiunsero le schiave portando del
pane appena sfornato e del latte di capra appena munto.
E i pastori condussero agnelli candidi come la neve.
Quando Maometto si rese conto che anche i poveri
avevano portato una manciata di datteri, rivolse lo
sguardo al cielo e commentò: “Dio manda a ogni figlio
la propria fortuna!”.
Di opinione opposta erano invece due zii del profeta, Abu Lahab e Abu Gahl, che convennero: “Chissà
mai perché fanno tanti festeggiamenti per una femmina
destinata a essere sottomessa a un uomo o sepolta sotto
la sabbia!”.
Intanto, Fatima cresceva sentendo suo padre e sua
madre recitare il Corano ad alta voce sia all’alba che al
calare della notte e così entrò in contatto con Dio. Ogni
mattina Maometto, dopo aver ultimato le preghiere, prendeva in braccio Fatima e le narrava le storie di Abramo e
di Mosè e le sofferenze degli Ebrei in Egitto, i miracoli di
Gesù, le storie di Giobbe, di Giuseppe e dei suoi fratelli.
Fatima amava profondamente i genitori e man mano
che cresceva si prendeva cura di loro. Un giorno Abu
Gahl, acerrimo nemico di Maometto, ordinò ai suoi
consiglieri di lanciare l’intestino e il fegato di un asino
sul Profeta che stava pregando dinanzi alla sacra Ka’ba.
La figlia, sconvolta nel sentire le risate denigratorie
dei meccani, corse a togliere i resti della carogna dalla
schiena del padre e pianse dinanzi a tutti. Costoro continuarono imperterriti a deridere Maometto dicendo: “È
un visionario, recita formule magiche incomprensibili”.
Fatima, infuriata, gridò loro: “Lasciatelo pregare in
pace! Non vi ha fatto alcun male!”.
“Da quando le ragazze prendono le difese del proprio padre?”
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“In questo momento mio padre non può rispondervi
perché sta pregando l’Eccelso!”
Dopo aver ultimato la preghiera rituale, Maometto
abbracciò la figlia e le disse: “Dio è amore e tu sei una
parte del mio cuore!”.
“Anche tu, padre mio.”
Mentre Fatima ritornava a casa piangendo, si imbatté
nell’altro zio di Maometto, Abu Lahab, che la schiaffeggiò in pubblico rivolgendole aspre parole: “Miscredente musulmana, come hai osato offendere i nostri
dei? Le ragazze come te meritano di essere seppellite
vive sotto la sabbia come facevano i nostri avi!”.
“Penso che coloro che seppelliscono vive le ragazze
sotto la sabbia non hanno alcun timore di Dio!”
“I nostri uccidevano le neonate per evitare che le
loro famiglie venissero macchiate di disonore.”
“E perché mai le donne devono recarvi disonore?”
“Potrebbero cadere preda di mani nemiche durante
qualche atto di razzia!”
“Mio padre ci ha insegnato a onorare la donna in
quanto simbolo dell’amore dell’Eccelso.”
“Tuo padre ha negato tutte le nostre tradizioni e
perciò non è degno di essere considerato mio nipote.
Egli ha recato solo infamia e disonore alla nostra famiglia.”
Fatima non osò replicare alcunché, ma proseguì
il cammino sulla sabbia bollente finché incrociò un
altro nemico dell’Islam, il vegliardo Abu Sufyan, che le
chiese: “Perché piangi, Fatima?”.
“Lo zio mi ha picchiata!”
“Vieni con me, figliola! Non temere! Anche se odio
tuo padre, non tollero che uno di noi schiaffeggi a sangue freddo una bambina!”
Detto ciò, condusse Fatima a casa dell’aggressore e
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dinanzi a tutti lo percosse urlando: “Se sei un uomo,
replica a me! Ti avverto: lascia Fatima libera, altrimenti
mi costringerai a ucciderti a fil di spada!”.
Fatima corse dal padre e gli riferì il bel gesto compiuto dal suo nemico.
Maometto, compiaciuto, commentò: “Abu Sufyan sarà benedetto il giorno in cui ritorneremo alla Mecca”.
E quando Maometto iniziò a predicare il verbo di
Dio tra i notabili e i dignitari, lo zio Abu Lahab e sua
moglie iniziarono a canzonarlo da un angolo all’altro
della città, dopo aver costretto il figlio Utbah a divorziare da Ruqayya, figlia di Maometto.
Questi obbedì e, dinanzi a una folla curiosa di notabili meccani, cacciò la moglie che commentò: “Mi hai
sposata e durante i festeggiamenti nuziali mi cacci via
da casa come una sgualdrina qualunque! Grazie a Dio
sono ancora pura!”.
Lo sposo, spinto dalla madre, imprecò contro di lei:
“Vattene, musulmana! Torna da tuo padre e non farmi
più vedere la tua faccia!”.
Due giorni dopo la sorella di Ruqayya, avendo subito
la medesima umiliazione, chiese agli zii: “Perché non
dite niente a vostro figlio? Vi rammento che sono vostra
nipote, sangue del vostro sangue”.
Essi replicarono: “Riferisci a tuo padre che la colpa
è solo sua”.
L’assedio e la grande fame
Nel 616 d.C. i Coreisciti pagani assediarono Maometto e i suoi seguaci, vietando a chiunque di portare
loro cibo e acqua. Affissero all’interno della Ka’ba un
editto in cui proibivano ai musulmani, e più precisa29
mente agli appartenenti al clan di Hisham e di Muttalib,
di stringere legami matrimoniali, oltre che di intrattenere
scambi commerciali con le altre tribù e gli altri membri
della comunità meccana. E quando Maometto propose
alla figlia Fatima di fuggire con la sorella e il cognato
in Abissinia, lei non accettò di fuggire, anzi, affrontò i
genitori: “La mia vita è accanto a voi, perciò non ho il
coraggio di lasciarvi soli né sarei in grado di dormire la
notte senza avervi vicini o di mangiare un pezzo di pane
diverso da quello impastato da mia madre”.
La madre rispose commossa: “Figlia mia, mi auguro
di riuscire a trovare sempre la farina da impastare”.
Maometto insistette: “Raggiungi tua sorella e suo
marito e non pensare a noi, poiché Dio provvederà alla
nostra salvezza”.
Ella rispose: “Il tuo Dio è il mio Dio. Ciò che è
stato scritto sarà fatto e io accetto con umiltà la sua
volontà”.
Maometto pianse di gioia e disse: “Le migliori donne
del Paradiso saranno Maryam, Khadigia e Fatima”.
Durante l’assedio, Fatima curava instancabilmente gli
ammalati spostandosi da una tenda all’altra, tanto che il
suo corpo iniziava ad accusare la fatica. Nonostante ciò,
incurante della stanchezza, fingeva di stare bene e rassicurava la madre che, pur essendo ridotta a uno scheletro
e camminando a fatica, si preoccupava per lei.
La donna si rammaricava: “Figlia mia, avrei dovuto
badare a te, ma non sono riuscita nel mio intento. So
che resti sveglia ormai ogni notte per portare sostegno
ai bisognosi”.
“Madre, anche tu non dormivi la notte quando io mi
ammalavo.”
“Domani cosa farai?”
“Porterò i datteri a due anziane.”
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“Ti prego di pensare un po’ a te stessa!”
“Lo farò, te lo prometto!”
“Ma io non ti credo più!”
Fatima salutò la madre con un sorriso, poi proseguì
per la sua strada, ripetendo: “Amore e carità costituiscono la strada dei giusti”.»
D’un tratto il vecchio frate si interrompe e scruta
l’orizzonte lontano, sommerso da un vortice di pensieri.
Giovanni, preoccupato per la salute del maestro,
domanda: «Cosa ti è successo? Sei sudato nonostante il
clima decisamente freddo».
Il vegliardo, dopo aver respirato profondamente,
mormora: «Ti ringrazio, figliolo! Ho bisogno di un po’
d’acqua, per favore. Potete riempirmi la bisaccia alla
fontana della Madonna di Fatima?».
Andrea e Giuseppe si precipitano ad attingere l’acqua dalla fontana e la portano al maestro, correndo come
due lepri sul sentiero stretto e ripido.
L’anziano frate, dopo aver sorseggiato l’acqua ed
essersi asciugato il sudore dalla fronte, riprende: «Vi
ringrazio! Ora mi sento meglio, perciò possiamo continuare a navigare nella storia».
Gli allievi protestano: «Maestro, sei stanco e affaticato! È giunta l’ora di fare ritorno al nostro convento».
Il saggio li redarguisce: «Siete stanchi di ascoltarmi?
Sto bene e sono in grado di restare in piedi fino all’avvento della notte».
Il discepolo prediletto, Giuseppe, lo invita a proseguire: «Siamo ansiosi di sapere che fine ha fatto la
madre di Fatima! È guarita?».
Giacobbe incalza: «Maestro, Maometto è riuscito a
togliere l’assedio? E che fine ha fatto Fatima?».
Il frate, dopo aver sorseggiato nuovamente dell’acqua, protesta: «Non volevate tornare al convento?».
31
I presenti rispondono in coro: «No, desideriamo
fermarci ancora un po’ in questo luogo sacro dove è
apparsa la Madonna di Fatima per conoscere nuove
caratteristiche di un’altra religione».
Il saggio riprende allora la sua narrazione.
«Durante il lungo assedio, durato circa tre anni, i
pagani proibirono a tutti i mercanti forestieri di vendere
o di acquistare dai seguaci dell’Islam qualsiasi merce e li
obbligarono ad alzare i prezzi dei loro prodotti, finché
Hisham ben Amro, impietositosi della pesante situazione in cui versavano i suoi zii musulmani, decise di
infrangere il divieto. Si recò all’imbocco di una valle
arida dove alcuni maomettani stavano cercando cibo e
colpì al fianco il suo mulo carico di viveri che galoppò
finché giunse nei pressi del gruppo dei suoi familiari.
Essi mangiarono e ringraziarono l’Altissimo per
quella manna celeste. Hisham ripeté ogni giorno questo gesto finché un bel giorno andò a trovare lo sceicco
Zuhair ben Umayya e gli disse: “Sei contento di indossare abiti sfarzosi, godere dei fasti dell’amore, mangiare
pasti prelibati, cavalcare cavalli purosangue mentre i tuoi
consanguinei si logorano per la fame, non possono né
vendere né comprare, mangiano le spine dei fichi d’India, gli arbusti amari delle piante e le foglie di palma?
Sei contento di sentire Abu Lahab che continua a incitare: ‘Mercanti, aumentate i prezzi per i maomettani e vi
darò il doppio! Alzate i prezzi in modo che non possano
pagarvi e ritornino con le mani vuote dai loro figli’?”.
Lo sceicco Zuhair rispose commosso: “Cosa devo fare? Sono solo. Se qualcuno si schiererà con me, giuro che
farò di tutto pur di annullare questo assurdo editto!”.
Hisham ribatté prontamente: “Hai già trovato un
altro uomo!”.
“Chi è?”
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“Sono io. Ora cerchiamo un terzo uomo.”
Hisham si recò allora nella sontuosa dimora di alMut’im e gli disse: “Sei contento, notabile uomo, di
vivere nel lusso mentre i tuoi parenti non mangiano
carne né frumento?”.
Egli ribatté: “Cosa posso fare? Sono un uomo solo”.
“No, siamo due” ribadì Hisham.
Il padrone di casa continuò: “Cerchiamo un terzo?”.
“Siamo già tre!”
Al- Mut’im chiese: “Chi è il terzo?”.
“È Zuhair.”
“Cerchiamo allora un quarto.”
L’instancabile Hisham bussò a tante porte finché riuscì a convincere la stragrande maggioranza dei notabili
che fosse necessario cancellare l’editto che impediva di
commerciare con i musulmani.
Mentre i notabili discutevano sul da farsi, Maometto
abbracciò Fatima e sua moglie Khadigia, poi radunò
tutti i suoi seguaci e disse loro: “È giunto il momento di
consegnarmi ai nemici! Essi vogliono me e solo in questo modo riuscirò a salvarvi dalla fame e dalla sete”.
Accarezzò con lo sguardo Fatima, che era pallida
come un cencio e piangeva a dirotto, poi le sussurrò:
“Non rattristarti! Devi farti forza per aiutare tua madre!
Ci rivedremo in Paradiso, dove sarò ad attenderti con
gli angeli”.
“Padre, sono ancora piccola e ho bisogno di te. Non
abbandonarmi!”
Alì, cugino nonché figlio adottivo di Maometto, propose: “Consegnami a questi sciacalli al posto tuo”.
“No, Alì, ti uccideranno e poi chiederanno ai miei
uomini di consegnarmi a loro.”
Allora ’Omar, amico del Profeta, tentò: “Forse si
accontenteranno di me e ti risparmieranno”.
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Tutta la comunità gridò: “Daremo la nostra vita per
te, Profeta. Non abbandonarci!”.
Maometto rispose: “Vi ringrazio, ma ora devo andare.
Ricordatevi di me!”.
Si incamminò verso il fatale destino, ma quando
giunse alla linea nemica, si fermò di scatto e osservò
l’orizzonte lontano. Il vecchio zio Abu Talìb si avvicinò
a lui e gli chiese: “Perché non torni indietro? Nessuno
di noi è disposto a perderti”.
“Dio mi ha rivelato una grande notizia.”
“Cosa ti ha rivelato?”
“Allah ha mandato le termiti a divorare l’editto appeso
all’interno della sacra Ka’ba.”
Lo zio, allora, gridò con tutto il fiato che possedeva:
“Coreisciti, mio nipote mi ha detto che le termiti hanno
divorato il vostro patto e che tutte le ingiurie sono state
cancellate. Andate a constatare con i vostri occhi. Se
mio nipote ha mentito, ve lo consegnerò e farete di lui
ciò che vorrete, ma se avrà detto la verità, revocherete
il vostro boicottaggio e annullerete le vostre assurde
leggi. Abbiamo perso bambini, donne e uomini per
colpa vostra. Non vi è bastato?”.
Mentre ciò accadeva, lo scriba che aveva redatto
l’editto si trovò all’improvviso con la mano destra paralizzata.
Il valente Hisham disse allora ad al- Mut’im: “Va’
subito a strappare il foglio!”.
Questi si alzò ed entrò all’interno della Ka’ba, ma
trovò il documento roso dalle termiti.
Esclamò subito: “Credo in Allah e in Maometto”.
Poi afferrò due brandelli di carta che si erano salvati,
sui quali si leggevano ancora i nomi di Dio e di Maometto.
Di lì a poco, Fatima corse ad abbracciare il padre
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dicendo: “O Dio, ti ringrazio per non avermi lasciata
orfana”.
Anche Khadigia, incredula nel veder tornare il marito
indenne, levò le mani al cielo implorando il nome
dell’Altissimo.
Fatima diventa orfana
Mentre i musulmani organizzavano una grande festa
per celebrare la loro liberazione dalle grinfie del fato,
un uomo in evidente stato di agitazione si avvicinò a
Maometto, che recitava il Corano in compagnia dei suoi
fedeli consiglieri sotto un albero maestoso, e richiamò
la sua attenzione, senza però riuscire a parlare.
Maometto, convinto che l’uomo fosse stato mandato dallo zio per invitarlo al banchetto, disse: “Non è
ancora mezzogiorno e io ho bisogno di un po’ di tempo
per recitare un’altra sura”.
“Mio signore, sono venuto a malincuore per comunicarti una brutta notizia.”
“Di che cosa si tratta? Qualcuno dei miei cari è
ammalato?”
“Sì, Fatima mi ha mandato per dirti che sua madre è
molto malata”.
Maometto, scosso dalla brutta notizia, si diresse rapidamente verso casa, dove trovò Khadigia stesa immobile sul giaciglio, grondante di sudore, con il volto giallognolo e il respiro affannoso.
Sul luogo regnava ormai sovrano l’angelo della morte,
incurante delle suppliche di Fatima che implorava Dio
di lasciare ancora in vita sua madre.
Maometto si avvicinò alla moglie, le accarezzò il viso
e le sussurrò: “Non posso oppormi a ciò che ha scritto
35
l’Eccelso. Quando vedrai Maryam, Asia e Miryam, porta
loro i miei saluti”.
La donna rispose con un filo di voce: “Sarà fatto!”.
Poi scoppiò a piangere.
La sua ancella Asma le disse con tono deciso: “Piangi
proprio tu che sei la signora di tutte le creature? E dire
che tuo marito ti aveva preannunciato che la tua dimora
sarebbe stata il Paradiso!”.
Khadigia: “Non sto versando lacrime perché sto
morendo, ma perché Fatima è ancora piccola: ha otto
anni. Quando giungerà il momento delle sue nozze, a
chi chiederà consiglio?”.
“Mia signora, ti giuro che la consiglierò io, se rimarrò
ancora in vita.”
Udita questa promessa, Khadigia si rasserenò e il suo
volto venne illuminato da un sorriso liberatorio.
Il marito aggiunse: “Non temere, Khadigia! L’arcangelo Gabriele è apparso dinanzi a me e mi ha annunciato che dimorerai in una casa di madreperla, con le
colonne di corallo rosso, che sarà lambita da un fiume
di latte e di miele. Non proverai né fame né sete e non
sarai disturbata da grida o da rumori inopportuni”.
“Maometto, ti raccomando di scegliere una moglie
che ami le nostre figlie! Io veglierò su di voi dal cielo.”
“Come riuscirò a vivere senza vedere il tuo volto?
Hai creduto in me quando ero un giovane povero e
sprovveduto e hai messo a mia disposizione tutte le
tue ricchezze! Hai indossato l’abito della povertà e hai
affrontato tutti i pericoli senza alcuna esitazione!”
“Il tuo Dio ha i suoi disegni e noi dobbiamo accettare la sua volontà.”
“Sia lodato il suo nome!”
Subito dopo la stanza piombò in un silenzio irreale e
l’angelo della morte portò a compimento la sua missione.
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Alcune donne, commosse nel vedere Khadigia immobile e priva di vita, scoppiarono in lacrime, urlarono di
dolore e si cosparsero sul volto della sabbia in segno
di lutto.
Fatima, incredula nel vedere sua madre priva di vita,
scoppiò in un pianto inconsolabile e si rifugiò tra le
braccia del padre, che cercò di consolarla dicendole:
“Non piangere!”.
“Mi mancherà la mamma! Ora sono un’orfana!”
“Nessuno di noi resta orfano! Dio ci protegge in ogni
frangente!”
Nonostante il dolore gli facesse battere il cuore all’impazzata e tremare la voce, chiese alle donne presenti di
non versare lacrime per una donna pia che era appena
salita in cielo.
Dopo aver seppellito la sua fedele Khadigia, Maometto cadde in una profonda mestizia che aumentò
tre mesi dopo, quando l’angelo dell’aldilà portò con sé
anche Abu Talìb, suo zio ottantaseienne, nonché suo
protettore.
Quando Fatima constatò che suo padre era in preda
al dolore e alla sofferenza, si prodigò per alleviare le sue
ferite.
Maometto l’abbracciò e le spiegò: “Mio zio è stato
come un padre per me, mi ha fatto crescere, mi ha protetto dai pagani e non mi ha consegnato a loro neppure
quando gli hanno offerto oro, mirra, incenso e gioielli”.
“Anch’io lo consideravo un nonno buono e generoso.
Padre, non essere ancora triste! Sicuramente andrà in
Paradiso come mia madre.”
“No, in punto di morte non ha voluto tradire la fede
dei suoi avi ed è rimasto pagano.”
Quell’anno, nemmeno la natura risparmiò La Mecca
e i suoi dintorni e l’intera regione fu colpita dalla siccità.
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Gli abitanti, disperati e affamati, vennero dal Profeta
e gli chiesero: “Prega il tuo Dio affinché ci salvi dalla
morte e faccia cadere la pioggia!”.
Egli salì su un’altura e pregò Dio. La pioggia prese a
cadere copiosa: era come se gli angeli avessero aperto le
bocche delle anfore del cielo, fino a che alcuni uomini
bagnati fradici si presentarono a Maometto e gli chiesero di mettere fine alla pioggia torrenziale, perché l’acqua aveva ormai allagato i campi ed essi temevano di
affogare.
Maometto pregò allora l’Altissimo di far cessare la
pioggia e così le dense nubi si disposero come una
corona intorno al sole.
Gli abitanti ammisero allora: “Maometto è il Profeta!”.
Fatima, invece di giocare e di divertirsi come le altre
ragazzine, si diede da fare per aiutare il padre e per
occuparsi delle faccende domestiche, tanto che in breve
tempo il suo nome finì sulle lingue di tutti i fedeli.
Alcuni la definivano “la pura, l’adoratrice”, mentre
altri la chiamavano al- Zahra, cioè “la Luminosa”.»
D’un tratto un discepolo interrompe il frate e gli
chiede: «Perché tanti musulmani venerano Fatima?».
«Perché la considerano il frutto del Paradiso.»
«Dinanzi a lei è apparso qualche angelo?»
«Certamente!»
«Quale?»
«L’arcangelo Gabriele.»
«In quale occasione?»
«Durante il viaggio notturno del Profeta verso il
settimo cielo sul dorso del proprio cavallo alato alBuraq.»
«Fatima ha assistito a questo avvenimento?»
«Sì.»
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Un allievo, di nome Simone, incalza: «Anche alla
Nostra Signora, quando era ancora giovane, era apparso
l’arcangelo Gabriele, mentre sua madre Anna viaggiava
nel mondo dei sogni».
«La storia della Nostra Signora è un’altra cosa. È inutile fare dei paragoni che non portano alcun contributo
alla storia di Fatima!»
Un altro discepolo, di nome Stefano, lancia occhiate
severe a Simone, poi lo redarguisce: «Ti rammento che la
Madonna è santa ed è la madre del Figlio di Dio, Gesù,
Nostro Signore. Fatima, invece, non è una santa».
Il frate osserva i suoi discepoli, poi chiede: «Volete
sapere come è apparso l’arcangelo Gabriele o no?».
Tutti rispondono in coro: «Certamente!».
«Ora vi trasporterò alla Mecca. Siete pronti?»
«Sì.»
Il vecchio frate segue con lo sguardo i volatili che
intrecciano garruli voli nel cielo limpido, poi riprende
il suo racconto.
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