il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di

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Anno V
Pubblicazione numero 1
2009
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Enrico Crocetti Bernardi
Antonino de Silvestri
Enrico Lubrano
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Alessia Bellomo
Marco Mazzucato
Emanuele Paolucci
Michela Pigato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale –
- ISSN 1974-5230 1
INDICE DEL FASCICOLO 1°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
ANTONINO DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di
ordinamento sportivo
pag.4
STEFANO CAVIGLIOLI,
Gare automobilistiche su circuito chiuso: doveri e
responsabilità dell’organizzatore ( e dei piloti) nei confronti degli spettatori
pag.15
LUCA PERDOMI,
sportivo
pag.29
Impugnazione del lodo arbitrale irrituale in materia di lavoro
MASSIMILIANO GIUA,
sport dilettantistico
Fisco e sport: scienza statistica e presunzioni semplici nello
pag.45
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
ANDREA PETRETTO, Tra vincolo di giustizia e clausola compromissoria passando per
l’arbitrato irritale: il lodo Terzana Calcio s.p.a.
pag.53
ROBERTO SANTONE,
Il tentativo di doping secondo il codice Wada: limiti della
prova nota alla decisione 13 Novembre 2008 n. 91 del tribunale nazionale
antidoping
pag.71
DOMENICO ZINNARI,
Lavoratori sportivi senza troppi “formalismi” . Nota a
ordinanza del tribunale di Trento del 27 Ottobre 2008
pag.92
FEDERICO GALLANA, Una discriminazione nella discriminazione : il caso Sokolov
pag.112
PARTE TERZA
SAGGI
SERGIO MIGLIORINI, Più controlli e maggior informazione per contrastare il doping
pag.128
PARTE QUARTA
GIURISPRUDENZA
MARIO TOCCI, Status civitatis comunitario dei calciatori cittadini di Stati
extracomunitari associati all’Unione Europea
2
pag.133
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
ANTONINO DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di
ordinamento sportivo
pag. 4
STEFANO CAVIGLIOLI,
Gare automobilistiche su circuito chiuso: doveri e
responsabilità dell’organizzatore ( e dei piloti) nei confronti degli spettatori
pag.15
LUCA PERDOMI,
sportivo
pag.29
Impugnazione del lodo arbitrale irrituale in materia di lavoro
MASSIMILIANO GIUA,
sport dilettantistico
Fisco e sport: scienza statistica e presunzioni semplici nello
3
pag.45
Il discorso sul metodo……
IL DISCORSO SUL METODO: OSSERVAZIONI
MINIME SUL CONCETTO DI ORDINAMENTO SPORTIVO
di Antonino De Silvestri (*)
SOMMARIO:
1. Il C.D. ordinamento sportivo nazionale.
2. Il C.D. ordinamento sportivo sovranazionale.
3. Il valore statuale dello sport extrastatuale.
1 . Il C.D. ordinamento sportivo nazionale
1.1 Lo sport istituzionalizzato, quello che si svolge nei circuiti federali ed olimpici, è un
mosaico composto da tessere disomogenee tra loro assai difficile da ricomporre.
1.2 Esso risulta regolato, infatti, da due diversi ordini di precetti, di hard law (norme statuali e
comunitarie) e di soft law (norme autodisciplinari, sia nazionali che sovranazionali),
inestricabilmente avviluppati tra loro.
1.3 Lo strumentario giuridico di cui si deve avvalere l’interprete è dunque quanto di più
complesso si possa immaginare, perché impatta con le massime tematiche di teoria generale le
quali, oltre ad essere in continua evoluzione per il progressivo affinamento della riflessione
scientifica, non possono in ogni caso prescindere dai mutevoli contesti in cui vengono impiegate e
quello sportivo, com’è noto, risulta caratterizzato da repentini e radicali cambiamenti d’assetto.
1.4 Un esempio delle cennate difficoltà è costituito sicuramente dall’impiego della teoria degli
ordinamenti giuridici (e dei correlati, polisensi concetti di “autonomia” e di “pluralismo”).
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DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
Tale teoria, dalla quale nessun giurista dello sport può prescindere, sia per motivi storici che
di diritto positivo, viene continuamente evocata con impostazioni tralaticie, semplificanti e spesso
intimamente contraddittorie, per fornire chiavi di lettura sia dei precetti statuali che di quelli
autodisciplinari.
1.5 Lungi da me l’idea di confrontarmi con la teoria in assoluto. Ne parlerò, invece, per
come è stata per lungo tempo proficuamente impiegata nello specifico, sulla scorta dell’arcinoto
saggio di Giannini del 1949 e dell’altrettanto fondamentale testo di Luiso del 1975 sulla giustizia
sportiva. E per domandarmi se, alla stessa, possa essere riconosciuta ancora un’utile funzione
euristica ed in quale contesto.
1.6 Negato il monopolio statuale sulle fonti del diritto, ed abbracciata l’opposta tesi del
pluralismo giuridico, si era in quell’ottica proceduto alla costruzione dell’ordinamento sportivo
come un “autonomo” produttore di norme che coesistevano con quelle dell’ordinamento statuale.
1.7 Si era ipotizzata la plausibilità metodologica di un ordinamento autonomo in senso
extrastatuale, dunque, di superiorem non recognoscens il quale, vigendo non all’interno di quello
statuale, ma all’esterno, e quindi in parallelo, era legittimato a considerare fonti di diritto
esclusivamente le norme “proprie”, ed a rivendicare perciò autodichia in termini di separatezza e di
incondizionata autoreferenzialità.
1.8 Anch’io ho sostenuto, nel passato, l’opportunità di ricorrere al doppio punto di vista, a
seconda dell’ordinamento preso in considerazione, per valutare i fatti dello sport, aprendo così la
strada, a livello operativo, alla fondazione di soluzioni giuridiche difformi da quelle statuali.
1.9 La ricaduta euristica di tale scelta di metodo era evidente. Consentiva, da un lato, di
spiegare come le prescrizioni sportive potessero fungere da fonte effettiva di disciplina e, dall’altro,
di valorizzare al massimo le soluzioni giustiziali interne, schermandole dagli invasivi e spesso
inopportuni interventi dei giudici dello Stato.
1.10
La plausibilità di una siffatta prospettiva era però ancorata a due imprescindibili
presupposti legittimanti:
a) la situazione di deregulation conseguente al sostanziale disinteresse del legislatore per le
problematiche dello sport in genere sino al 1981, e per la giustizia sportiva in particolare sino al
decreto Melandri del 1999 circostanze, queste, che avevano consentito la tendenziale prevalenza di
fatto delle regole autodisciplinari;
b) l’effettiva rivendicazione di incondizionata autodichia da parte degli organi di giustizia
sportiva, dichiaratamente indisponibili ad applicare fonti di diritto non “proprie”.
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DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
1.11 Non è un caso che, prima dell’entrata in vigore del predetto decreto legislativo, tutti gli
organi di giustiziali endofederali, anche a livello apicale, abbiano patrocinato, per la risoluzione di
ogni controversia, l’assoluta irrilevanza delle norme statuali non espressamente richiamate. Ne
costituisce esemplare riprova quanto affermato dagli organi d’appello della CSAI e della FIGC,
rispettivamente nel 1996 e nel 1998. Secondo i primi, infatti, l’ordinamento sportivo doveva
considerarsi addirittura sovrano, mentre per i secondi lo stesso non era suscettibile di
eterointegrazioni mediante la trasposizione di istituti di derivazione statuale.
1.12 A decorrere dal Decreto Melandri del 1999, che ha inaugurato il trend del
contemperamento tra le esigenze di autodichia delle istituzioni sportive e quelle di sovranità
statuale, il contesto legislativo-ordinamentale ha cominciato, però, a subire delle modifiche
progressive che hanno finito con il precludere definitivamente ogni possibilità di continuare a
riconoscere una qualche funzione euristica alla teoria pluralistica nel senso delineato.
1.13 Volendo usare un’espressione icasticamente rappresentativa dell’accaduto, si può dire
che lo Stato ha compiuto, nei confronti dell’ordinamento sportivo autoreferenziale, una sorta di
omicidio del consenziente.
Disciplinandolo in toto, sia a livello sostanziale (con il decreto Melandri-Pescante) che a
livello processuale (con la legge n. 280/2003), lo Stato ha infatti ucciso l’ordinamento sportivo con
pretese di sovranità e di incondizionata autodichia il quale, a sua volta, lungi dal ribellarsi come in
passato,
si è dichiaratamente trasformato da superiorem non recognoscens
in
superiorem
recognoscens, e cioè in un indiscutibile ordinamento derivato che non fonda la propria vigenza
esclusivamente sulla propria forza.
1.14 Se lo Stato si è dunque “appropriato” dell’ordinamento sportivo, ricomprendendolo nel
suo interno al pari di tutti gli altri ordinamenti particolari (senza peraltro poter concedere allo stesso
spazi di autonomia maggiori di quella costituzionalmente prevista per gli ordinamenti religiosi),
questo ha agevolato al massimo l’operazione. Basterà leggere, al proposito, gli statuti successivi
delle varie federazioni, nei quali risulta esplicito e sacralizzato l’impegno (anche per gli organi
giustiziali) a rispettare i principi costituzionali della Repubblica (art. 1/10 FIP) ed a collaborare con
le autorità pubbliche (art. 2/2 FIGC). Ed è sempre nello statuto della nostra massima federazione
(art. 30/2) che l’ordinamento sportivo, ad ulteriore e definitiva riprova dell’abbandono di ogni
pretesa di autoreferenzialità, non ha esitato ad autoqualificarsi come ordinamento “sezionale” e
cioè, per definizione, derivato da quello statuale.
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DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
1.15 Occorre dunque trarre una prima, fondamentale conclusione: sono venuti meno
i
presupposti che legittimavano la plausibilità metodologica dell’impiego della teoria ordinamentale
classica per risolvere questioni di trattamento dello sport istituzionalizzato a livello nazionale.
1.16 Per espressa disciplina di diritto positivo, ordinamento sportivo nazionale è infatti
sinonimo di ordinamento statual sportivo nazionale e l’autonomia di cui gode, peraltro differenziata
in relazione ai soggetti che ne fanno parte (CONI, FSN, DSA, affiliate, tesserati) è
coessenzialmente limitata, appunto perché statuale, tale da legittimare cioè forme di giustizia
endostatuali, come tali non alternative alla giurisdizione, che potranno tradursi in autodichia di fatto
solo ed esclusivamente nelle materie (peraltro in progressiva, inarrestabile diminuzione) irrilevanti
per la Repubblica.
1.17 Al di là delle suggestioni che non mancano nella relazione d’accompagnamento al
decreto n. 220/2003, ove si fa espresso riferimento alla teoria ordinamentale classica, la legge n.
280/2003 di conversione dello stesso, quale “norma sulla giurisdizione”, nel fondare il cosiddetto
principio di autonomia, altrimenti definito clausola di salvaguardia, non può che essersi riferita a
quella statuale quale risultante di sistema, inevitabilmente limitata, cioè, dagli imprescindibili
parametri di cui agli artt. 2, 18, 24 e 113 della Costituzione, non certo a quella extrastatuale.
1.18. Né può sfuggire, per altro verso, ad ulteriore e definitiva riprova di quanto sinora
affermato, il mutato ruolo del “vincolo di giustizia”, una volta strumento difensivo di esclusione
delle norme non “proprie” dell’ordinamento sportivo (persino di quelle penali!) ma ora, tramite la
“pregiudiziale sportiva” di cui all’art. 3, comma 1 della legge n. 280/2003, indiscutibile
meccanismo di raccordo tra l’ordinamento sportivo derivato, e quello statuale derivante, ferma
restando, in ogni caso, l’incondizionata giurisdizione del giudice penale senza bisogno di
autorizzazione alcuna dall’interno.
1.19 In un siffatto contesto, l’avvenuto inserimento dell’ “ordinamento sportivo” nel novellato
art. 117 della Costituzione non può essere riguardato, pertanto, che in ottica statalistica, non essendo
nemmeno pensabile che possa essere interpretato come attributivo di sovranità, ovvero come
fondativo di immunità giurisdizionale. Ricorrendo (inopportunamente) al concetto, appare perciò
evidente come il revisore, nel disciplinare la legislazione concorrente, abbia inteso riferirsi allo
sport organizzato come oggetto (materia) di legislazione concorrente, e non certo all’ordinamento
sportivo come soggetto.
7
DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
1.20 Ogni tentativo di applicare la teoria degli ordinamenti giuridici in senso classico
all’attuale contesto legislativo-autodisciplinare dello sport, dunque, non può che condurre a risultati
fuorvianti.
E’ proprio in tale ottica, infatti, che un commentatore, travisando il significato
necessariamente statualistico del riconoscimento del principio di autonomia, è giunto a fondare una
inammissibile posizione di privilegio dello sport istituzionalizzato rispetto a ogni altra formazione
sociale, sino a ritenere di poter giustificare anacronistiche pretese di esenzione dalla giurisdizione,
in particolare nella materia disciplinare.
2. Il C.D. ordinamento sportivo sovranazionale.
2.1 Se, dunque, sulla scorta del diritto positivo (che prevede la posizione di sottordinazione
istituzionale del CONI quale ente pubblico, e l’ autonomia disciplinare coessenzialmente limitata
delle istituzioni sportive-associazioni private), il concetto di ordinamento sportivo nazionale in
senso autoreferenziale non è più in grado di rivendicare alcun ruolo euristico, dovendo ogni
problema di trattamento che non investa l’irrilevante necessariamente confrontarsi, oltre che con la
legislazione specifica, con l’intero sistema, anche (e soprattutto) costituzionale, diversamente deve
ritenersi per quello “internazionale”, nei termini di cui dirò subito.
2.2 Deve innanzitutto sgomberarsi il terreno da una interpretazione letterale del termine
“ordinamento sportivo internazionale”, posto che la disciplina del fenomeno sportivo
istituzionalizzato a livello sovranazionale, non limitabile cioè in ambito geografico, non ha nulla a
che vedere con il diritto internazionale degli Stati e delle organizzazioni a questi riconducibili.
2.3 Occorre inoltre considerare come la nozione, ormai largamente invalsa nell’uso, anche
nella sua accezione di “mondiale”,
sconti il fuorviante convincimento, che si perpetua
tralaticiamente, che vede nello sport organizzato un’unica e totalizzante struttura piramidale che
farebbe capo al CIO quale ente esponenziale dell’intero movimento laddove, accanto a
quest’ultimo, operano invece in diverso ambito, con rilevantissime attribuzioni ed
a livello
parimenti apicale, le FSI, nonché, da pochi anni, la stessa WADA. Il legislatore ed il regolatore
CONI, che pure si avvalgono talvolta della omnicomprensiva dizione di “ordinamento sportivo
internazionale”, mostrano ciononostante di avere ben presente la reale e diversificata dimensione
dello sport sovranazionale se si considera che gli stessi menzionano anche, in luogo di quella,
appunto il CIO e le FSI, sia separatamente che congiuntamente.
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DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
2.4 E’ largamente
noto il contesto che, muovendo essenzialmente dall’Inghilterra nella
seconda metà dell’800, ha consentito la nascita dello sport moderno, ed è un dato parimenti
acquisito il carattere “originario” degli organismi sovranazionali di vertice, le cui prescrizioni, nate
al di fuori degli Stati, ma dotate di fortissima vis expansiva all’interno di questi per effetto dei
collegamenti con le corrispettive istituzioni nazionali, hanno progressivamente perseguito, anche
con sapienti attività di lobbying, imprescindibili obiettivi di universalità di disciplina.
2.5 E’ infatti sicuramente insopprimibile e coessenziale esigenza dello sport organizzato
quella di superare i confini delle singole nazioni per dar luogo ad assetti prescrittivi generali e
autoreferenziali, perché solo in tal modo possono essere raggiunti quegli obiettivi di uniformità
valutative e di certezze che costituiscono, in ultima analisi, la sua stessa ragion d’essere,
evidentemente incentrata sulla confrontabilità delle istituzioni sportive dei vari Paesi.
2.6 Perdurando, ed essendosi per certo verso rafforzata l’ effettiva vigenza delle istituzioni
sportive sovranazionali, la rappresentazione Gianniniana, continua dunque tuttora a conservare per
queste una sua efficacia non disgiunta da un indubbio fascino evocativo, a differenza di quelle
nazionali, peraltro già all’epoca nettamente differenziate dallo stesso autore perché costrette a
confrontarsi con la sovranità dei singoli Stati. E’ necessario, però, rivalutare l’intuizione alla luce
dell’attuale, rinnovato contesto giuridico.
2.7 L’interrogativo sull’accountability delle istituzioni sportive sovranazionali si inserisce
infatti nell’ambito di un dibattito, attualmente assai vivo tra gli internazionalisti, i costituzionalisti
ed i filosofi del diritto, tuttora in piena evoluzione, non ancora consolidato nemmeno nella
terminologia giuridica, che si ricollega al nuovo spazio giuridico globale che ha portato al
superamento del concetto di sovranità statuale in termini di territorialità esclusiva e, più in generale,
alla c.d. universalizzazione del diritto. Si è cosi giunti all’individuazione di svariati “sistemi
regolatori globali” o “global governances” (si parla, anche, di “regimi internazionali o di “reti di
legalità”), a base federativa o associativa i quali, affiancandosi ai tradizionali centri di potere di
natura pubblica, riescono comunque a governare aree di enorme rilievo economico e sociale con
prescrizioni che, senza validità formale di legge, possono però fare affidamento su un grado di
ottemperanza superiore perché conformi alle aspettative dei soggetti regolati e perché dotati, in ogni
caso, di efficienti e dissuasivi “organi giudicanti globali” per sanzionare le eventuali trasgressioni.
2.8
Tali “sistemi regolatori globali” hanno potuto essere individuati solo superando il
tradizionale paradigma dualistico, fondato sull’alternativa tra diritto interno degli Stati e diritto
internazionale tra Stati, che precludeva la strada ad un diritto transnazionale tra privati.
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DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
2.9 Aperta la strada all’autonomia delocalizzata degli individui, si è perciò rilevata l’esistenza
di issues areas, delle aree di sbocco autoreferenziali, quali il commercio estero, il sistema dei cambi,
la pesca oceanica, la meteorologia e, appunto, lo sport, tutte regolate da un diritto transnazionale
privato di natura pattizia, i cui protagonisti non solo non si propongono di contribuire alla stabilità
dei rispettivi ordini giuridici nazionali, ma cercano anzi di sottrarvisi in tutti i casi ritenuti
vantaggiosi ai fini del gruppo.
2.10 E’ sulla scorta di tali presupposti, al di là del nuovo ordine emergente e della
terminologia che, soprattutto al di fuori dell’Italia, non sembra più godere del favore degli studiosi,
che può dunque continuare a discorrersi di un “ordinamento sportivo internazionale”, ormai
stabilmente assestato sulla fiducia che gli appartenenti ripongono sulla concreta e comprovata
idoneità delle relative istituzioni apicali a perseguire con successo gli obbiettivi prefissati.
3. Il valore statuale dello sport extrastatuale.
3.1 Il giurista dello sport che intenda, come deve, contribuire alla soluzione dei tuttora irrisolti
problemi di trattamento del contenzioso sportivo, deve più di ogni altro abbandonare ogni pretesa
pandettistica di elaborare categorie fisse ed immutabili, per proiettarsi invece in un futuro che è già
da tempo presente.
3.2 La consueta contrapposizione tra ordinamento sportivo nazionale e ordinamento statuale
deve ritenersi completamente superata e quindi del tutto insuscettiva, come tale, di fornire
indicazioni sul piano operativo.
3.3 Il diritto nazionale dello sport è, infatti, attualmente, sinonimo di diritto statuale dello
sport, trovando ormai il fenomeno sportivo istituzionalizzato disciplina sul piano del diritto
pubblico (attività regolamentare e amministrativa del CONI nella sua veste di ente pubblico), su
quello del diritto privato (atti di autonomia privata, autodisciplinare o individuale, delle FSN e
DSA, delle affiliate e dei tesserati) nonché, sul versante processualistico, nelle previsioni della legge
n. 280/2003 la quale, interpretata necessariamente in senso costituzionalmente orientato, ha peraltro
finito con il concedere alle federazioni, in termini di gestione del contenzioso, nulla di più di quanto
le stesse potessero ottenere dal sistema.
3.4 Occorre però intendersi sul significato delle precedenti affermazioni dalle quali potrebbe
emergere, prima facie, l’integrale statalizzazione dello sport sul territorio, e quindi la mortificazione
dello stesso nella sua intima vocazione all’universalità.
10
DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
3.5 Se, infatti, ogni questione di trattamento si risolve, in realtà, in attività di stretta
interpretazione delle norme statuali di diritto positivo, sia generiche che specifiche, è però
altrettanto indubitabile che da queste non può affatto desumersi l’integrale assorbimento
dell’ordinamento sportivo nazionale, che costringerebbe altrimenti a considerare integralmente
giuridificati, e quindi statalizzati, tutti i suoi precetti autodisciplinari, compresi quelli di natura
tecnica che garantiscono l’omologazione con quelli degli altri Paesi.
3.6 Ciò non solo perché è proprio l’ordinamento generale a garantire costituzionalmente ampi
spazi di autonomia disciplinare (vedi, anche, l’art. 1322 c.c.) alle federazioni-associazioni (oltre che
alle DSA), che costituiscono il contesto elettivo in cui si realizza lo sport organizzato e si verificano
i contenziosi più rilevanti ma anche perché il legislatore, consapevole che le nostre istituzioni
sportive risultano globalmente, seppur diversamente collegate con le corrispondenti istituzioni
sovranazionali (il CONI quale fiduciario del CIO, le FSN quali articolazioni delle FSI) che ne
condizionano la disciplina ha giuridificato, quale valore statuale, solo ed sclusivamente il concreto,
dinamico adeguamento delle stesse ai relativi precetti di soft law.
3.7 Una tale conclusione, evidentemente nodale, è autorizzata da una valutazione complessiva
dell’attuale assetto dello sport istituzionalizzato quale risulta da precise disposizioni legislative e
dallo stesso regolatore CONI.
3.8 L’art. 1/1° della legge n. 280/2003, con un precetto di cui va colto il novum assoluto, è
addirittura testuale in tal senso, laddove afferma che “la Repubblica riconosce e favorisce
l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale quale articolazione dell’ordinamento sportivo
internazionale facente capo al CONI”.
3.9 Il quale CONI, oltre ed essere ente pubblico, come tale garante della conformità alle leggi
della propria attività regolamentare e amministrativa è, al tempo stesso, Confederazione delle FSN e
delle DSA (art. 2/1° D.lgs. n. 15/2004) le quali, per dettato statutario, sono a loro volta tenute a
svolgere ogni loro azione in armonia con le deliberazioni del CIO e delle FSI, cioè del c.d.
ordinamento sportivo internazionale.
3.10 Ulteriori riscontri si ricavano, in particolare, dalla posizione che il CONI riconosce a sé
stesso nel proprio statuto.
L’ente, nel dichiararsi regolato dal decreto Melandri-Pescante e dalla Carta Olimpica si
autodefinisce infatti, significativamente ed omnicomprensivamente, “autorità di disciplina,
regolazione e gestione delle attività sportive” (art. 1/2°) che svolge “le proprie funzioni ed i propri
compiti con autonomia e indipendenza di giudizio e di valutazione, in armonia con le deliberazioni
11
DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
e gli indirizzi del CIO” (art. 4/1° ; ma vedi anche i commi successivi, nonché l’art. 6 n. 4 lett. d).
Nessun dubbio, quindi, che il CONI si consideri garante, in pari misura ed in ottica di
contemperamento, sia dei valori statuali che di quelli extrastatuali, funzione che svolge
“conformando” la privata autonomia delle FSN e della DSA ai dettami di entrambi i c.d.
ordinamenti, precludendo alle stesse l’adozione di statuti contrastanti anche con uno solo dei
predetti valori”.
3.11 In un siffatto, mutato contesto, che ricaccia nel passato l’inattuale contrapposizione
giustizia sportiva – giustizia dello Stato e che si muove, invece, nell’ottica dell’armonizzazione tra
le norme di hard e di soft law, e quindi del coordinamento dei due livelli di tutela delle pretese dei
tesserati e delle affiliate, la nuova sfida del giurista dello sport, (oltre che dello stesso legislatore,
ove auspicabilmente si dovesse orientare ad una revisione della legge n. 280/2003) sarà dunque
quella di ricomporre con nuove modalità le tessere del mosaico per trarne indicazioni a livello
operativo.
3.12 Ecco, allora, che dovrà prendersi atto, innanzi tutto, della comprovata inettitudine
dell’anzidetta legge sulla giurisdizione a discriminare le pretese sportive statualmente azionabili da
quelle asseritamente riservate agli organi risolutori interni, nonché del default del modello
giustiziale di tutela (quale disegnato dal legislatore sostanziale e dal regolatore CONI, fondato sul
doppio grado endoassociativo e sul modulo arbitrale di chiusura perché alternativo alla
giurisdizione) provocato dall’attuale giurisprudenza del Consiglio di Stato.
3.13 Se poi si considera il ruolo dell’autonomia privata quale elemento fondante dell’intera
comunità sportiva transnazionale, appare allora di tutta evidenza come solo un’analoga
valorizzazione della stessa in ambito nazionale sia idonea ad innestare quel circuito virtuoso che
appare essenziale per il contemperamento tra valori statuali ed extrastatuali voluta dallo stesso
legislatore.
3.14 La scelta infelice sul piano processuale di affidare al giudice amministrativo contenziosi
privi di autoritatività con le conseguenti, ulteriori operazioni di pubblicizzazione giurisprudenziale,
incoraggiate peraltro da un filone dottrinale purtroppo consistente hanno finito, all’opposto, con lo
“scollegare” le federazioni nazionali dall’intero sistema, trascinandole in un innaturale background
pubblicistico che rende di fatto assai difficoltosa, se non impossibile, la cennata armonizzazione.
3.15 Le istituzioni sportive nazionali dovranno perciò recuperare quanto prima la loro
dimensione associativa, né è possibile continuare a riguardare l’attività delle FSN negli “innaturali”
termini di discrezionalità amministrativa in luogo di quelli “naturali” di autonomia privata.
12
DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
3.16 Il contenzioso sportivo non coinvolge alcuna PA né è tra estranei, ma si svolge
interamente tra privati, astretti tra loro da vincolo associativo senza traccia alcuna di autoritatività,
per cui risulta davvero difficile comprendere, considerando anche il crescente favor legis per il
modulo arbitrale (in particolare in ambito societario) e lo stesso principio costituzionale di
sussidiarietà orizzontale, quali siano le reali ragioni che ostano alla sua totale arbitrabilità.
3.17 Se, come pare, non sarà possibile innescare a livello interpretativo quel circuito virtuoso
di interazione che consenta l’armonizzazione tra valori statuali ed extrastatuali dello sport
istituzionalizzato, non potrà allora che farsi affidamento sull’auspicato, nuovo intervento del
legislatore volto a rivisitare integralmente l’infelice legge n. 280/2003 la quale, oltre ad avere
mancato gli obbiettivi perseguiti, appare peraltro seriamente indiziata di illegittimità costituzionale
per la carenza di quei parametri che, a norma dell’art. 103 Cost., autorizzano l’individuazione delle
“particolari materie” che possono essere devolute alla giurisdizione esclusiva.
(*) Avvocato, già consigliere della Corte Suprema di cassazione
13
DOTTRINA
Il discorso sul metodo……
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
Il testo pubblicato riproduce, in larghissima parte, i contenuti dell’intervento svolto il 13
marzo all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma in occasione della presentazione del
volume collettaneo Diritto dello Sport (a cura di L. Musumarra), Le Monnier Università Mondadori Education spa, Firenze, 2008, nel quale sono contenute in gran parte le relative
indicazioni bibliografiche che in questa sede, data la vastità dei temi trattati, possono essere fornite
solo in funzione di un primo approccio.
Sulle generali questioni di metodo vedi A. DE SILVESTRI, nel predetto volume, sub 1.6,
paragrafo attribuito ad altri per mero refuso nonché, quanto al contenzioso sportivo, sub 3.1, 3.2,
3.3, 3.4, 3.5; G. MANDREDI, Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale.
I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, G. Giappichelli editore, Torino, 2007;
sull’ordinamento sportivo nazionale, in condiviso senso critico, vedi L. FERRARA, L’ordinamento
sportivo: meno e più della libertà privata in “Diritto Pubblico”, 2007, pp 1-31; sull’ordinamento
sportivo internazionale e sulle global governances vedi A. DE SILVESTRI, Le nuove frontiere del
diritto dello sport in AA.VV, Diritto comunitario dello sport, G. Giappichelli editore, Torino, pp 78
ss, nonché i vari articoli pubblicati nei numeri più recenti di Jura Gentium, Rivista di filosofia del
diritto internazionale e della politica globale; sugli effetti distorsivi conseguenti all’applicazione
della teoria pluralistica classica nell’attuale, mutato contesto legislativo, sino a patrocinare un
inammissibile “primato” dell’ordinamento sportivo, vedi N. PAOLANTONIO, Ordinamento statale
e ordinamento sportivo, spunti problematici, in Foro Amministrativo TAR, 2007, pp1152 ss; sul
mutato ruolo del vincolo di giustizia, con particolare riguardo all’incondizionata facoltà di adire il
giudice penale, vedi infine il recentissimo lodo della C.C.A. del Coni, 5 marzo 2009, Ettore Setten e
Treviso FBC 1993 c/ FIGC e LND. s motoristici e senza alcun compenso - tutte le responsabilità
per gli incidenti verificatisi.
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DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
GARE AUTOMOBILISTICHE SU CIRCUITO CHIUSO:
DOVERI E RESPONSABILITA DELL’ORGANIZZATORE
(E DEI PILOTI) NEI CONFRONTI DEGLI SPETTATORI
di Stefano Caviglioli (*)
SOMMARIO:
1. Introduzione.
2. Doveri di garanzia nell’organizzazione di gare automobilistiche: fonti e contenuti.
3. Le responsabilità degli organizzatori e dei loro ausiliari per il danno subito dagli
spettatori: natura e limiti.
4. Conclusioni
1 . Introduzione
E’ noto che le competizioni automobilistiche possono svolgersi su circuito chiuso – strada
temporaneamente chiusa al traffico ovvero vera e propria pista – oppure su circuito aperto cioè su
una strada ordinaria aperta al traffico; è altresì consolidata l’opinione che nel primo tipo di gare non
devono essere osservate le norme sulla circolazione stradale proprio perché viene a mancare l’uso
pubblico della strada, mentre nella seconda specie di competizioni i gareggianti sono tenuti a
rispettare tutte le prescrizioni stabilite in tema di circolazione stradale (innanzitutto quelle relative ai
limiti di velocità).
Dunque se si escludono le gare di velocità non autorizzate sulle pubbliche strade – la cui
recente diffusione ha indotto il Legislatore italiano a introdurre lo specifico regime precettivo e
sanzionatorio di cui agli artt. 9bis e 9ter del D.Lvo 30/4/1992 n. 285, c.d. Codice della Strada – la
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Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
gran parte degli incidenti che determinano danni ai concorrenti e/o agli spettatori delle gare in
automobile si verifica durante le gare su circuito chiuso ed in particolare nel corso delle gare
agonistiche di velocità e di c.d. regolarità su normali percorsi stradali, ai quali partecipano spesso
piloti non professionisti.
Ma mentre l’incolumità dei concorrenti di tali competizioni è di regola tutelata sia dai
particolari presidi di sicurezza apposti sulle vetture sia dalle modalità di svolgimento della gara (ad
esempio nelle autogimkane, ove si raggiungono velocità minime), gli spettatori sono spesso esposti
al rischio di gravi lesioni, atteso che essi spesso assistono alla gara non già da apposite tribune
situate a distanza di sicurezza dal percorso seguito dalle vetture e protette da idonee protezioni –
come negli autodromi - bensì stazionando in aree non protette, site a pochi metri dai bordi del
tracciato. Quindi non è infrequente che nelle gare in questione si verifichino ancora oggi incidenti
con gravissime conseguenze per gli spettatori.1
Con il presente scritto si intende quindi proporre alcune brevi riflessioni sui doveri di
garanzia incombenti sui soggetti preposti all’organizzazione e allo svolgimento di gare
automobilistiche su circuito chiuso (in particolare su tracciato stradale) e sulla natura e sui limiti
della loro responsabilità per il danno subito dagli spettatori.
2) Doveri di garanzia nell’organizzazione di gare automobilistiche: fonti e contenuti.
I doveri di garanzia dell’altrui incolumità incombenti sugli organizzatori delle gare
automobilistiche e loro ausiliari vanno innanzitutto desunti dalla vigente normativa che regola tali
competizioni.
Tale disciplina è contenuta in primis nell’art. 9 del Codice della Strada, il quale regolamenta
invero le “competizioni sportive su strada”. I commi 1 e 3 di tale articolo di Legge (nella loro
vigente formulazione introdotta dall’art. 2 del D.Lvo 15/1/2002 n. 9) prevedono che lo svolgimento
di gare con veicoli a motore sulle strade e aree pubbliche è subordinato al rilascio di
un’autorizzazione – ove sono precisate le prescrizioni alle quali le gare stesse sono subordinate – da
parte: delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano per le strade che corrono entro
il territorio di tali enti e costituiscono la rete di interesse nazionale; della Regione per le strade
regionali; delle Province per le strade provinciali; dei Comuni per le strade comunali; sentite le
Federazioni nazionali competenti e previo il nulla osta del Ministero delle Infrastrutture e dei
1
Come, di recente, nelle edizioni 2008 della gara di velocità in salita Caprino Veronese – Spiazzi e del Rally del Ciocco.
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Trasporti e il preventivo parere del CONI (questo non è richiesto per le manifestazioni di regolarità
a cui partecipano gli autoveicoli d’epoca e di interesse storico e collezionistico, purché la velocità
imposta sia per tutto il percorso inferiore a 40 Km/h e la manifestazione sia organizzata in
conformità alle norme tecnico-sportive della Federazione di competenza).
Se l’autorizzazione concerne una manifestazione inserita nel programma federale annuale
(stilato dalla CSAI – Commissione Sportiva Automobilistica Italiana), la liceità della gara è
subordinata al rispetto delle norme tecnico-sportive e di sicurezza vigenti e all’esito favorevole del
collaudo sia del percorso di gara sia delle attrezzature relative, effettuato da un Tecnico dell’ente
proprietario della strada, assistito dai rappresentanti dei Ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e
Trasporti, unitamente ai rappresentanti degli organi sportivi competenti e dei promotori la
manifestazione. Tale collaudo è obbligatorio per tutte le gare di velocità e, per le gare di regolarità,
nelle tratte aperte al traffico in cui siano consentite velocità superiori a 50 Km/h e nei tratti chiusi al
traffico ove è lecito superare 80 Km/h.
Il comma 6 del predetto art. 9 C.d.S. prevede poi che, per tutte le competizioni sportive su
strada, l’autorizzazione è altresì subordinata alla stipula, da parte dei promotori, di un contratto di
assicurazione per la responsabilità civile ai sensi della Legge 990/69 (ora trasfusa nel D.lvo 209/05
– c.d. Codice delle Assicurazioni). Dunque può configurarsi una diretta responsabilità in sede civile
dell’Assicuratrice che ha prestato la garanzia per l’evento dannoso verificatosi nel corso della gara
automobilistica.
Altre prescrizioni da osservarsi nelle gare in questione possono essere contenute nelle
circolari di Autorità amministrative. Esemplificativamente si richiamano:
- la circolare del Ministero dell’Interno 2/7/1962 n. 68 che prevede norme di sicurezza per
l’agibilità delle piste e strade sedi di competizioni velocistiche per auto e motoveicoli, riguardanti le
caratteristiche costruttive, la larghezza della sede stradale, le fasce di emergenza, la protezione del
pubblico e i servizi di soccorso.
In particolare, secondo l’art. 5 di detto provvedimento, le protezioni del pubblico, lungo i
tratti del tracciato ove esso è ammesso, devono essere determinate secondo l'andamento del terreno
e la velocità raggiungibile in ciascun tratto; il piano di stazionamento degli spettatori deve essere
allo stesso livello o a livello superiore a quello della sede stradale, con pendenza ascendente non
superiore ad un quarto (salvo l'esistenza di gradoni o di altre strutture appositamente predisposte);
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Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
il pubblico deve essere contenuto mediante recinzioni continue in rete metallica di adeguata
robustezza (o altro dispositivo permanente equivalente) di almeno metri 1,20 di altezza o anche
mediante dispositivo provvisorio (transenne o altro equivalente), purché sorvegliato;
- la circolare del Ministero dell’Interno dd. 8/3/1968 nella quale si segnala la pericolosità delle
c.d. prove di regolarità, specie nei tratti di percorso sui quali diventa difficile mantenere i tempi di
gara come quelli aventi pendenze elevate e curve frequenti;
- le circolari annualmente emesse dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti relative al
programma annuale delle gare motoristiche predisposto dalla CSAI.
Oltre alle normative contemplate dall’Ordinamento Statale vanno applicate alle gare
automobilistiche le norme regolamentari previste dall’Ordinamento Sportivo automobilistico. In
tale ambito la fonte normativa con carattere primario è il Codice Sportivo Internazionale (Codice)
emanato dalla FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) ed integrato da Allegati che
disciplinano, nel dettaglio, i vari settori di attività. Di particolare importanza, ai fini che qui
interessano, è l’Allegato H che ha per oggetto la normativa concernente le segnalazioni e la
sorveglianza dei percorsi di gara. Detto Codice trova diretta applicazione nelle gare internazionali.
Fonti secondarie sono i regolamenti nazionali - emanati in Italia dalla CSAI che esercita il
potere sportivo in campo automobilistico a livello federale su delega dell’ACI - i quali non devono
contenere disposizioni contrarie a quelle contenute nel Codice Sportivo Internazionale.
In particolare i regolamenti da seguire nello svolgimento delle gare nazionali italiane sono
costituiti dal Regolamento Nazionale Sportivo (RNS) e dalle sue Norme Supplementari (NS) alla
cui emanazione provvede direttamente la stessa CSAI. ll RNS contiene i principi generali dello
sport automobilistico; le NS disciplinano invece, nel dettaglio, lo svolgimento delle competizioni
automobilistiche e segnatamente regolamentano la materia della sicurezza (in tema di vetture,
conduttori, percorsi, spettatori) e il controllo tecnico e sportivo delle gare.
I regolamenti sportivi automobilistici contengono anche una classificazione delle varie gare,
la quale ben può rilevare nel singolo caso per valutare l’adeguatezza delle cautele e misure di
protezione adottabili dagli organizzatori e dai loro ausiliari. In particolare nel RNS federale si
distinguono le manifestazioni agonistiche propriamente dette (ad es. i rallies), le gare a ridotto
contenuto agonistico (ad es. le gimkane) e le manifestazioni non agonistiche.
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Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
La Lega Nazionale Automobilismo della UISP (Unione Italiana Sport per Tutti) prevede
invece specifici regolamenti per le gare di abilità e precisione, per le autogimkane, per le gare dei
fuoristrada 4X4, per i c.d. minislalom e per gli autocross.2
Altre fonti normative di carattere inferiore alle precedenti sono i Regolamenti Particolari di
Gara (RPG) che contengono tutte le informazioni e le condizioni di svolgimento di una gara e
devono essere preventivamente approvati dalla CSAI. Segnatamente l’art. 27 del RNS dispone che
il Regolamento Particolare di Gara deve essere predisposto dall’organizzatore secondo le norme del
Codice Sportivo Internazionale e del RNS utilizzando, se previsti, i regolamenti-tipo stabiliti dalla
FIA e dalla CSAI. L’art. 28 RNS prevede anche l’obbligo per l’organizzatore di predisporre, dopo
l’approvazione del RPG, il programma della gara per informare il pubblico sulle modalità di
svolgimento della competizione (salvo che tali informazioni non siano già contenute nello stesso
RPG).
Fondamentale è poi l’art. 64 RNS che impone agli organizzatori di munirsi, con la richiesta
del permesso di organizzazione, delle prescritte autorizzazioni amministrative - comprese quelle
relative all’approvazione del percorso - e ad ottemperare a tutte le disposizioni impartite
dall’autorità governativa e di Pubblica Sicurezza.
Fonti normative di carattere secondario possono considerarsi anche i provvedimenti che
emette di volta in volta il Direttore di gara – designato dall’organizzatore - il quale ha il compito di
dirigere la manifestazione, secondo le disposizioni e nei limiti previsti dal RPG e dal programma
ufficiale, e di esercitare le mansioni di Ispettore alla Sicurezza ai sensi del vigente art. 142 RNS.
Egli ha, in particolare, il compito di garantire l’ordine sul campo di gara - in collegamento con le
Autorità incaricate dell’ordine pubblico e con i Servizi di sicurezza e d’emergenza – e di sospendere
o interrompere la competizione in caso di incidenti o altri casi di pericolo.
Degno di nota è anche il dovere del Direttore di Prova, nelle gare in autodromo approvate
dalla CSAI, di verificare gli allestimenti logistici e tecnico/sportivi predisposti dall’organizzatore e
di intervenire in caso di anomalie (art. 142 bis RNS).
2
Specificatamente i rallies sono definiti dal RNS come manifestazioni di regolarità che si svolgono lungo percorsi suddivisi in settori
in ciascuno dei quali sono compresi, di norma, tratti di regolarità aperti alla circolazione stradale dove è obbligatorio il rispetto delle
norme del Codice della Strada – c.d. percorso di trasferimento - e tratti a velocità libera denominate prove speciali (definite dalla NS
11 come <<tratti di percorso obbligatoriamente chiusi al traffico da percorrersi a velocità cronometrata e compresi tra due controlli
orari>>). Le gimkane sono invece qualificate dal RNS come gare con percorsi birillati di ridotta distanza ed interamente controllabili
a vista.
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Secondo taluni Autori costituiscono fonte di obblighi giuridici, con carattere vincolante, anche
i principi di diritto formulati dal Tribunale Nazionale di Appello nell’interpretazione dei
regolamenti automobilistici. Tale Collegio ha infatti la funzione di colmare le lacune
dell’Ordinamento sportivo automobilistico, desumendo dai principi giuridici generali le regole da
applicare al caso concreto non espressamente disciplinato.3
In conclusione, le competizioni di velocità su strade chiuse al traffico si devono ritenere
soggette non solo alle norme dell’Ordinamento statale ma anche alle disposizioni dei Regolamenti
sportivi che sono vincolanti nei confronti sia dei partecipanti alla gara sia degli spettatori – in
quanto da loro preventivamente conosciute e accettate – pur non avendo natura di vere e proprie
norme generali e cogenti.
Peraltro le suddette fonti obbligatorie non esauriscono l’ambito dei doveri di garanzia che
devono essere osservati dagli organizzatori delle gare in questione e dai loro ausiliari.
In particolare è opinione diffusa che tali obblighi non possono limitarsi all’osservanza delle
disposizioni specificamente indicate nelle autorizzazioni e/o nei regolamenti sportivi ma si
estendono a tutti gli accorgimenti che le particolari contingenze della gara consigliano e a tutte le
misure di protezione suggerite dalla tecnica più progredita. Pertanto l’organizzatore è tenuto ad
adottare ogni ulteriore cautela sul percorso di gara allorquando le misure prescritte dagli organi
tecnici e dalle Autorità amministrative gli appaiano, anche durante lo svolgimento della prova, non
completamente idonee ad eliminare il rischio di incidenti (in danno degli spettatori e/o degli stessi
piloti).4
In contrario non pare applicabile il corrente orientamento giurisprudenziale secondo cui gli
organizzatori hanno il dovere di apprestare solo le normali cautele sul luogo della competizione a
tutela dell’integrità dei concorrenti.
3
Vedi sull’argomento: ARIENZO A., Disciplina giuridica delle competizioni automobilistiche su strada in Riv. dir. sport. 1962, pag. 23,
il quale ha rilevato, in generale, che <<nell’interpretazione delle norme dell’ordinamento sportivo automobilistico non possono
trascurarsi il tecnicismo, la pericolosità ed il rischio quali elementi immanenti ed inscindibili della condotta sportiva, che devono
condurre a una valutazione liberale dei precetti che impongono obblighi generatori di responsabilità, civile e penale, dei soggetti
partecipi alle gare>>.
4
Vedi sul punto: GABRIELI F., Responsabilità penali nelle gare automobilistiche in Riv. giur. circ. trasp. 1955, 1185-1186; il quale ha
sottolineato che neppure i risultati positivi del collaudo del circuito di gara possono escludere la responsabilità degli organizzatori;
ALIBRANDI A., Cenni sulla disciplina delle competizioni sportive motoristiche su strada in Arch. giur. circ. sin. 1990, pagg. 853 e ss., il
quale ha evidenziato che gli organizzatori sono sempre tenuti a fronteggiare improvvise ed accidentali situazioni di pericolo nel corso
della gara; CALABRIA A.,. Le gare automobilistiche c.d. di regolarità e la tutela dell’incolumità altrui in Cass, pen. 1990, pag. 1195 e
ss., la quale ritiene che, sottostante alle specifiche norme cautelari scritte, esista una primaria e più generale norma cautelare che
impone di circoscrivere la gara ai soli percorsi che, per le loro dimensioni e la loro natura, consentano la pratica adozione delle
misure protettive nonché l’efficace controllo degli spettatori.
20
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Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
Infatti, mentre questi ultimi accettano volontariamente il rischio di subire danni dall’attività
sportiva esercitata (purché rientranti nell’alea normale), lo spettatore ha il diritto di essere tutelato
da ogni possibile rischio di lesione, se accetta e osserva le regole dettate nei loro confronti per
assistere alla gara.
Peraltro è stato esattamente osservato che i doveri cautelari dell’organizzatore di gare
automobilistiche su strada temporaneamente chiusa al traffico non possono essere equiparati agli
obblighi di protezione configurabili nelle corse su circuiti permanenti, atteso che tali specie di
competizioni si differenziano intrinsecamente per almeno due ordini di ragioni: in primo luogo le
gare motoristiche su strada mirano più a selezionare il mezzo meccanico per presentarlo agli utenti
del mercato che a perseguire il risultato sportivo e quindi dovrebbero presentare minori occasioni di
rischio per l’incolumità di terzi; in secondo luogo solo il pubblico delle gare negli autodromi paga il
biglietto e quindi è titolare ex contractu del diritto di ottenere la massima tutela da parte
dell’organizzatore.
Questi può quindi adottare sui percorsi stradali misure protettive del pubblico meno rigorose
di quelle previste – in via generale ed astratta – negli autodromi.5
Segnatamente quanto alle competizioni motoristiche su strada chiusa la corrente
Giurisprudenza tende a ricondurre gli obblighi di garanzia degli organizzatori e dei loro ausiliari
innanzitutto alle specifiche prescrizioni allegate alle autorizzazioni amministrative allo svolgimento
della gara: così in particolare la limitazione del numero degli spettatori nonché il divieto di
permanenza del pubblico a valle del percorso di gara in zone non protette e non sopraelevate; il
posizionamento degli sbandieratori o commissari di percorso in modo da consentire tra loro
comunicazioni a vista ovvero via radio; la predisposizione di cartelli con la dicitura “zona vietata al
pubblico” nelle zone più pericolose; il dovere specifico del Direttore di gara di controllare
costantemente il persistere di tutte le condizioni di sicurezza sia durante le prove sia durante la
corsa.
Di conseguenza l’omessa attuazione di tali misure è di per sé idonea a integrare la
responsabilità dell’organizzatore e/o dei suoi ausiliari se collegata causalmente all’evento dannoso.
In mancanza di criteri predeterminati l’organizzatore e i suoi ausiliari devono predisporre ogni
adeguato presidio e precauzione per il pubblico in base alla propria esperienza e – nel caso in cui gli
spettatori si siano spontaneamente portati in luoghi pericolosi – interrompere la gara per ristabilire
5
Sul punto vedi ARIENZO A., op. cit., pagg. 32.- 33.
21
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Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
le condizioni di sicurezza, quando lo ritengano opportuno, dando prevalenza alla sicurezza delle
persone e non all’interesse di far concludere la competizione ad ogni costo.6
In definitiva si può ritenere che l’organizzatore di gare automobilistiche su strade chiuse al
traffico e i suoi ausiliari hanno l’obbligo di prevenite e comunque impedire il verificarsi di
situazioni di pericolo in danno degli spettatori, secondo una valutazione ex ante in relazione a tutte
le possibili cause per le quali le vetture possano fuoriuscire dalla sede stradale, tenendo presenti le
caratteristiche dei luoghi e dei percorsi, la potenza delle vetture partecipanti alla competizione, la
tipologia della gara e la posizione delle aree destinate allo stazionamento del pubblico.
3) Le responsabilità degli organizzatori delle gare su circuito chiuso per il danno subito
dagli spettatori: natura e limiti.
La responsabilità per il danno subito dagli spettatori per fatto riconducibile
all’organizzazione della gara automobilistica su circuito chiuso si configura in maniera diversa sotto
l’aspetto penale e sotto quello civile.
Sotto il profilo penale ben può configurarsi responsabilità dell’organizzatore della
competizione e/o del Direttore di corsa e/o del Commissario di percorso per violazione dei doveri
cautelari normativamente previsti a loro carico o concretamente esigibili da parte loro nei singoli
casi.
Al riguardo si è evidenziato in Dottrina che il Direttore di Gara è al vertice della direzione
tecnica della corsa e quindi ha il compito di assicurare l’efficienza e l’esplicazione di tutti i servizi
concernenti la sicurezza del circuito; d’altra parte gli altri Ufficiali di gara (Commissari tecnici –
Commissari di percorso – Verificatori, ecc.) si possono considerare i professionisti delle gare e
quindi sono tenuti a una particolare diligenza nell’apprestamento delle misure di protezione sul
circuito.
6
Tribunale di Ivrea – sez. penale – sentenza 12/7/05 n. 544 (pubblicata, tra gli altri, su Corriere del Merito 2006, pag. 340 e ss.,
Giustizia di merito 2007, pag. 1994 e ss. e Diritto & Giustizia del 26/11/2005), il quale ha sottolineato che le prescrizioni sulla
collocazione del pubblico nel corso di una gara di rally devono considerarsi come norme cautelari c.d. rigide, escludenti cioè un
margine di discrezionalità in capo all’obbligato. Tribunale Verona – sez. civile - 13/7/1990 in Resp. civ. e prev. 1992, pag. 808 e ss., il
quale ha affermato che, pur essendo difficilmente immaginabile l’apposizione sui percorsi stradali di transenne talmente robuste da
resistere all’urto di un’auto da corsa, è tuttavia doveroso per l’organizzatore provvedere a dislocare il pubblico a congrua distanza
anche dalle installazioni protettive. Corte di Appello Bologna 4/10/1989 in Cass. pen. 1990, pag. 1191 e ss., la quale ha affermato
sussistere il dovere degli organizzatori di una corsa automobilistica c.d. di regolarità di prevenire la verificazione di eventi dannosi
per il pubblico osservando sia le misure imposte dalle circolari ministeriali sia le cautele suggerite dalla comune prudenza.
22
DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
Nelle gare in autodromo è configurabile anche responsabilità del gestore e/o del Direttore
della pista per l’insufficienza e/o l’inadeguatezza dei presidi destinati a garantire l’incolumità dei
terzi. Tutti tali soggetti possono quindi rispondere penalmente per le lesioni occorse allo spettatore
durante la competizione se il loro comportamento ha determinato, o concorso a determinare,
l’evento dannoso.7
Tali principi hanno trovato più volte riscontro nella Giurisprudenza.
In particolare – nell’ambito delle gare di c.d. regolarità - è stata ravvisata penale
responsabilità dell’organizzatore di un gara di rally per il danno subito degli spettatori, sia a titolo di
colpa generica - per non avere rispettato le comuni regole di prudenza che impongono l’adozione di
difese a tutela del pubblico nei tratti di percorso particolarmente pericoloso - sia a titolo di colpa
specifica per avere violato vuoi le prescrizioni del Codice della Strada che impongono
l’effettuazione del collaudo del percorso di gara, vuoi le disposizioni delle circolari ministeriali in
tema di presidi per il pubblico da installarsi nei c.d. percorsi speciali.
Altresì è stato ritenuto penalmente responsabile il Direttore di Gara di un rally per la morte di
alcuni spettatori causata da un’auto uscita di strada, in quanto aveva omesso di rispettare le
prescrizioni cautelari indicate nel provvedimento prefettizio di autorizzazione del rally, tra cui
quella che imponeva una distanza minima degli spettatori dal bordo del percorso di gara. Si registra
poi la condanna per omicidio colposo dell’organizzatore di una manifestazione di “Formula Sprint”
per la morte di uno spettatore a seguito di un’errata manovra del conducente di una vettura
partecipante a una prova di gimkana.8
7
GABRIELI F., op. cit., 1186- 1187. In senso parzialmente difforme vedi BONASI BENUCCI E., Responsabilità per infortuni nelle
competizioni sportive (con particolare riferimento alle gare di velocità) in Riv. giur. circ. trasp., 1954, 690 e ss., il quale ritiene che
nelle gare intrinsecamente pericolose, come quelle automobilistiche, i casi di imprudenza e negligenza ex art. 43 c.p. restano limitati
ai casi macroscopici di culpa lata. Vedi anche BACCO F., Attività sportive e rischio consentito: il caso delle competizioni
automobilistiche in Giur. merito 2007, pagg. 2002 – 2003, il quale evidenzia la difficoltà di accertare in concreto l’esigibilità del
comportamento doveroso dell’organizzatore e dei suoi ausiliari, considerando in particolare il fatto che essi non sono dotati di
sufficienti poteri coercitivi nei confronti degli spettatori per dissuaderli dall’assembrarsi nelle zone di presunto pericolo.
8
Vedi quanto al primo caso: Tribunale Bologna 20/1/1989 in Cass. Pen. 1990, pagg. 1187 e ss. e Corte di Appello Bologna
4/10/1989, cit. Quanto alla seconda e alla terza fattispecie: Tribunale di Ivrea, 12/7/05 n. 544, cit. e Tribunale di Alessandria - sez.
penale - 6/2/2006 n. 1009 in Giur. di merito 2007, pag. 1997 e ss, i quali hanno ravvisato in capo agli imputati la violazione del
capoverso dell’art. 40 c.p., secondo cui non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
Degne di nota – in quanto contenenti principi applicabili anche al caso di danni subiti dagli spettatori -
sono anche: Pretura di Imola dd. 16/12/1997 che, a conclusione del processo di primo grado svoltosi per la morte del noto
campione di Formula 1 Ayrton Senna durante il GP di San Marino del 1994, assolse il Direttore di Gara, il Direttore del circuito di
Imola e l’Amministratore delegato della società gestrice con la formula “perchè il fatto non sussiste”, per la ragione che la pista non
aveva caratteristiche tali da favorire l’incidente; Cass. pen. IV, 10/11/2005 n. 11361, la quale ha confermato le precedenti sentenze di
merito che avevano condannato l’Amministratore delegato nonché Direttore di un autodromo per la morte di un pilota a causa della
ritenuta inidoneità delle barriere protettive poste lungo il circuito.
23
DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
Sotto il profilo civile - pacifica l’inapplicabilità dell’art. 2054 c.c. alle gare automobilistiche a
circuito chiuso, non essendo queste soggette alle norme sulla circolazione stradale - sono
astrattamente applicabili all’organizzatore e ai suoi ausiliari le norme di cui agli artt. 2043, 2049 e
2050 c.c.
Il richiamo al principio del neminem laedere e all’art. 2043 c.c. nelle competizioni in
questione è ormai generalizzato sia in Dottrina che in Giurisprudenza.
Tale principio pare applicabile in particolare agli organizzatori e ai loro ausiliari, alla luce
dell’orientamento prevalente secondo cui – se non emergono specifici profili di pericolosità nella
attività di organizzazione della gara – deve escludersi a monte che l’inevitabile rischio accettato dai
concorrenti consente di ritenere pericolosa la condotta dei primi.9
Secondo un altro orientamento la responsabilità per danni causati a terzi riferibile
all’organizzazione di una gara automobilistica trova fondamento anche nell’art. 2050 c.c., atteso che
in tale specie di competizione il rischio è immanente all’attività svolta. In tale prospettiva gli
organizzatori e i loro ausiliari sono quindi responsabili se non dimostrano di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno.10
Pacifica è poi l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. a carico dell’organizzatore o dell’ausiliario
titolare di un’autonoma posizione di garanzia per il fatto illecito dei loro collaboratori. Ciò infatti
non esclude il permanere, in capo al soggetto responsabile di fronte alla Legge, di personali compiti
di vigilanza nei confronti del corretto esercizio delle attività delegate ai propri sott’ordinati.11
9
Vedi in Dottrina: FRAU G., Note in tema di responsabilità civile nelle gare automobilistiche: il caso del rally in Resp. civ. e prev.
2008, pagg. 2318- 2321; DE MARZO G., Responsabilità dell’organizzatore e rischio sportivo in Danno e resp. 1997, pag. 456 e ss.. In
Giurisprudenza ex pluribus: Tribunale Trento, 14/3/1980 in Riv. dir. sport. 1981, pag. 61; Tribunale Perugia 1/12/1987 in Riv. dir.
sport. 1988, pag. 85 e ss., Cass. civ. III, 6/5/2008 n. 11040, Cass. Civ. 6/5/2008 n. 11040 (pubblicata, tra gli altri, in Diritto &
Giustizia del 23/5/2008 e in Giust. civ. 2008, pag. 2136 e ss.), la quale ha affermato la solidale responsabilità dell’organizzatore, del
Direttore di Gara e della Compagnia assicuratrice della competizione, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il danno subito da alcuni
spettatori di una gara di rally.
10
In Dottrina: ARIENZO A., op. cit., pag. 34, il quale ritiene tuttavia che il dovere dell’organizzatore e dei suoi ausiliari di adottare tutte
le misure idonee ad evitare il danno ai sensi dell’art. 2050 c.c. incontra il limite della <<comune esperienza quale si può desumere da
quella complessiva derivante dalle gare automobilistiche in genere e da quella più particolare desunta dalle gare già svolte su
determinati tipi di percorsi o sullo stesso percorso>>; CONRADO G., Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità dell’organizzatore
di una manifestazione sportiva in Riv. dir. sport. 1991, pag. 11; DASSI A., Responsabilità del club organizzatore per incidente
verificatosi durante una manifestazione sportiva in Resp. civ. prev. 1992, pag. 810 e ss.; SANTORO L., Sport estremi e responsabilità,
Milano, 2008, pag. 158.
In Giurisprudenza si segnalano: Tribunale Verona 13/7/1990., cit., il quale ha affermato che sussiste la responsabilità
dell’organizzatore di un’autogimkana per i danni provocati agli spettatori dall’incidente avvenuto sul percorso di gara, se questi non
ha in concreto adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; Corte Appello Milano 2/6/1981, in Riv. dir. sport. 1983, pag. 411, la
quale ha ritenuto che la responsabilità civile dell’organizzatore di gare automobilistiche è presunta ex art. 2050 c.c. e quindi non è
esclusa dall’avere appaltato a terzi i servizi di prevenzione e soccorso (nella specie servizio antincendio); Cass. pen. IV, 10/11/2005
n. 11361, cit., la quale ha ricondotto i doveri di garanzia del responsabile delle attrezzature sportive sul circuito alle fattispecie di cui
agli artt. 2050 e 2051 c.c.
11
ARIENZO A., op. cit., pag. 34; Tribunale di Ivrea, cit.
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DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
Taluni Autori hanno poi giustamente sottolineato che ricorre (anche) responsabilità
contrattuale dell’organizzatore ex art. 1218 c.c. verso gli spettatori ammessi in circuito chiuso con
biglietto, in quanto egli è tenuto a garantire la loro incolumità secondo il criterio della normale
diligenza in relazione allo specifico tipo di competizione; mentre è configurabile solo responsabilità
extracontrattuale nei confronti degli spettatori delle gare non soggette a pagamento ovvero di quelli
che sono entrati abusivamente nel circuito chiuso.12
Peraltro l’applicabilità delle suddette norme di Legge all’organizzatore e ai suoi ausiliari per
il danno subito dagli spettatori può essere esclusa – in tutto o in parte – dalla concorrente colpevole
condotta della stessa vittima e/o di terzi.
Va infatti considerato innanzitutto che la condotta imprudente dello spettatore può certo
rilevare nella causazione dell’evento occorso ai suoi danni. Invero è opinione corrente che chi
assiste a una manifestazione sportiva è titolare di una sfera di autoresponsabilità che funge da
criterio per escludere o limitare il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c.; tanto
più nei casi in cui la gara presenti caratteri di pericolosità. Quindi ben può ritenersi che le
competizioni automobilistiche su strada - ove è sempre possibile la perdita di controllo del veicolo
da parte del pilota e la conseguente uscita della vettura dal tracciato - rientrano nell’ambito del
rischio assunto dagli spettatori. Ciò vale in particolare nei casi in cui l’evento dannoso è occorso
allo spettatore che stazioni in una zona del circuito il cui accesso sia stato vietato dagli organizzatori
ovvero che abbia inopinatamente invaso il percorso di gara.13
Inoltre la responsabilità dell’organizzatore verso lo spettatore può essere esclusa dal fatto
colposo del pilota. Infatti se da un lato è pacifico che al conduttore è consentito procedere, in un
circuito chiuso, alla massima velocità possibile e compiere manovre rischiose per conseguire il
miglior risultato, dall’altro lato è comune opinione che egli debba comunque conformare la propria
condotta di guida vuoi alle norme regolamentari che disciplinano la specifica attività sportiva vuoi
ai parametri di prudenza, perizia e diligenza propri – quanto meno - del c.d. pilota medio, cioè del
concorrente mediamente avveduto in relazione alle finalità e alle connotazioni tecniche della gara
cui partecipa.
12
ARIENZO A.,
cit., pag. 34.
Sul punto vedi: VIOLA L., La responsabilità civile e il danno, Halley Editrice, 2007, pag. 279; Corte Appello Milano, 30/4/1948 in
Riv. dir. sport. 1950, 128, concernente un caso di sinistro verificatosi durante l’invasione di pista degli spettatori che acclamavano il
vincitore dopo la gara. Cass. civ. III, 6/5/2008 n. 11040, cit., la quale ha confermato l’impugnata sentenza della Corte di Appello di
Torino che aveva addossato la responsabilità del sinistro nella misura del 25% agli spettatori rimasti feriti, ritenendo evidente la
situazione di pericolo alla quale essi si esposero. Contra: Tribunale Rovereto – sez. civ. – 5/12/1989 in Riv. dir. sport. 1990, 498 e ss.,
il quale ha negato che l’organizzatore della manifestazione sportiva possa invocare il c.d. principio dell’assunzione del rischio da
parte dello spettatore, trattandosi di criterio contrastante con le nuove concezioni sociali e con l’obbligo dell’organizzatore di tutelare
l’incolumità del pubblico.
13
25
DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
In tale prospettiva il comportamento del conduttore che abbia errato nell’eseguire la manovra
e arrecato danno ai terzi potrà quindi essere valutato in primo luogo in base alle regole tecniche
previste dai Regolamenti sportivi di riferimento (ovvero dal Codice Sportivo Internazionale nel caso
di gare organizzate dalla FIA, come quelle di Formula 1) ed in secondo luogo in base al grado di
accortezza esigibile dal concorrente di medie capacità.14
E’ peraltro evidente che, adottando tali criteri di valutazione della condotta del pilota, assai
difficilmente si potrà giungere ad affermare una sua responsabilità per l’evento dannoso occorso
agli spettatori. Emblematica risulta in proposito la sentenza emessa in data 30/3/1965 dal Tribunale
penale di Monza nel processo a carico del pilota di Formula 1 James Clark per l’incidente
verificatosi all’autodromo di Monza il 10/9/1961 nel corso del GP d’Italia (in Foro It. 1966, 35 e
ss.), allorquando la Lotus da lui condotta entrò in collisione con la Ferrari guidata da Wolfgang von
Trips, proiettando tale vettura contro la rete di contenimento del pubblico e causando la morte dello
stesso Von Trips e di 15 spettatori. I Giudici monzesi assolsero Clark per il motivo che egli non
aveva violato né le disposizioni del Regolamento Nazionale Sportivo all’epoca vigente (applicabile
a tutte le manifestazioni sportive indette in Italia) né le disposizioni del regolamento speciale del GP
d’Italia nonchè per la ragione che la sua condotta – consistita nell’avere tentato il sorpasso della
vettura antagonista - era stata esente da imprudenza, atteso che questa va valutata non alla stregua
dei comuni criteri di comportamento ma con riguardo alle caratteristiche dello sport automobilistico
ove predomina l’antagonismo e influisce in ampia misura l’audacia.15
Peraltro il Tribunale di Monza ritenne pure che le misure di sicurezza adottate al momento
del disastro <<erano, al lume delle concrete esperienze, adeguate a garantire l’incolumità degli
spettatori secondo l’id quod plerumque accidit”>> e quindi non riscontrò alcun concreto profilo di
responsabilità nella condotta degli organizzatori della gara.
14
In Dottrina: GABRIELI G., cit., 1188-1189, il quale ha sottolineato che nelle gare automobilistiche il conduttore versa in condizioni
particolari nell’intento di conseguire la vittoria, talchè il criterio valutativo della colpa non deve ispirarsi a principi rigorosi, come
nella normale circolazione; BONASI BENUCCI E., cit., 692, che esclude la responsabilità del conduttore nel caso in cui la condotta dannosa
del pilota sia connaturale alla competizione, si configuri cioè come conseguenza necessaria del legittimo intento di dare il massimo
rendimento. In Giurisprudenza: Tribunale Perugia 1/12/1987, cit., il quale ha affermato che la colpa del conducente in una gara di
velocità a circuito chiuso deve essere valutata non già secondo i comuni parametri di diligenza del buon padre di famiglia ma tenendo
presenti i criteri di colpevolezza adattati alla particolare fattispecie, in cui l’abilità lambisce l’imprudenza.
15
Conforme, di recente, Tribunale di Alessandria, cit., il quale ha ritenuto che il pilota la cui vettura aveva travolto gli spettatori non
avesse superato la soglia del c.d. rischio consentito nella specifica disciplina, costituita nel rimanere entro i limiti di velocità massima
prevista in quel punto del percorso dalle norme del regolamento sportivo di riferimento.
26
DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
Maggiori problemi si configurano invece nel caso in cui i regolamenti sportivi non
contengono specifiche norme indicanti le condotte di guida che il pilota deve tenere, come nei
rallies (ove, ad esempio, non è indicato come affrontare una curva a forte velocità ovvero come
comportarsi nel caso di sbandamento del veicolo per evitare la sua fuoriuscita dal percorso di gara,
ecc.).
A tale proposito un recente orientamento giurisprudenziale ritiene che il criterio di valutazione
della condotta di guida del pilota di rally va individuato non già nell’atleta di media capacità e
diligenza ma nell’homo eiusdem professionis et condicionis.
Di conseguenza tale conduttore è esonerato dalla responsabilità penale e civile derivante dalla
sua condotta solo se ha agito con quel livello di perizia, prudenza e diligenza richiesta non al “pilota
medio” ma all’astratto “pilota modello” di rally, tenuto conto della specifica prova agonistica
affrontata e delle peculiari caratteristiche del singolo mezzo guidato. Invece sussiste responsabilità
del rallysta qualora la sua imperizia e/o imprudenza sia di tale gravità da superare la soglia del c.d.
rischio consentito, da individuarsi di volta in volta dal Giudice di merito in relazione alle
circostanze del caso concreto.16
Infine può valere ad escludere la responsabilità dell’organizzatore della corsa il fatto
colposo del proprietario dell’automezzo coinvolto nel sinistro ovvero del costruttore/concorrente
(chi è titolare dell’iscrizione di uno o più veicoli alla manifestazione sportiva) allorquando l’evento
dannoso sia riferibile a difetti di progettazione e/o assemblaggio e/o funzionalità del veicolo. Infatti
la suevidenziata inapplicabilità dell’art. 2054 c.c. alle competizioni motoristiche su circuito chiuso
non esclude la configurabilità di un autonomo titolo di responsabilità della “scuderia” cui appartiene
il veicolo (ovvero, in sede penale, del suo titolare e dei suoi preposti) oppure dello stesso pilota che
gareggi in proprio, senza l’apporto di un meccanico specializzato. 17
16
Così ex professo Tribunale di Ivrea, cit., che ha condannato per omicidio colposo il pilota di una vettura da rally per la morte
arrecata ad alcuni spettatori investiti a seguito dell’uscita di strada del mezzo a causa di una manovra microscopicamente errata,
avendo ravvisato a suo carico non solo imperizia nella condotta di guida ma anche c.d. colpa per assunzione per avere egli deciso di
partecipare a una gara obiettivamente pericolosa pur non essendone del tutto all’altezza. In senso contrario: Cass. civ. III, 6/5/2008 n.
11040, cit. la quale, pur evidenziando che la violazione del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. non può a priori ed astrattamente
escludersi per il pilota impegnato in una gara sportiva di velocità per quanto a circuito chiuso, ha condiviso le argomentazioni
dell’impugnata Corte di Appello Torino dd. 24/10/02, che aveva escluso la responsabilità del pilota di rally per le lesioni arrecate agli
spettatori, evidenziando che la condotta del conducente deve essere sempre valutata in relazione alle specifiche esigenze della
competizione che imponevano di mantenere il massimo della velocità durante la prova.
17
Vedi, per un celebre precedente, il processo nei confronti del titolare, del progettista e del direttore tecnico della scuderia inglese di
Formula 1 “Williams” per la morte del pilota Ayrton Senna in occasione del GP di S. Marino del 1994. Dopo la prima sentenza del
Pretore di Imola 16/12/1997, cit., che aveva assolto tutti e tre i suddetti imputati per non aver commesso il fatto, il processo è poi
approdato per due volte avanti alla Corte di Appello di Bologna e per altrettante avanti alla Corte di Cassazione. Questa, con sentenza
n. 15050 dd. 13/4/2007, ha confermato la seconda decisione dei Giudici di Appello dd. 27/5/2005 che – pur riconducendo il sinistro
alla difettosa costruzione di un particolare meccanico della vettura - aveva assolto il progettista per non aver commesso il fatto e
dichiarato estinto per prescrizione il reato di omicidio colposo ravvisato a carico del direttore tecnico. Non essendoci stati danni agli
spettatori non si approfondisce il tema in questa sede.
27
DOTTRINA
Gare automobilistiche nei circuiti chiusi……
4) Conclusioni
Alla luce delle suddette considerazioni pare potersi concludere che in capo agli
organizzatori di gare automobilistiche su circuito chiuso, e ai loro ausiliari, si concentri la maggior
parte dei doveri di garanzia dell’incolumità degli spettatori; talchè ai primi si finisce col ricondurre,
in via esclusiva o almeno concorrente, la responsabilità per l’evento dannoso occorso ai secondi.
Peraltro si ritiene che gli obblighi di tutela dell’altrui integrità in tale ambito debbano essere
contenuti entro determinati limiti, quanto meno in riferimento alle gare su strada.
Sotto un primo profilo non sembra lecito imporre agli organizzatori delle gare di rallies e
similari l’adozione di misure di protezione difficilmente realizzabili o eccessivamente onerose,
tenendo presente che i fini perseguiti dai partecipanti a tali competizioni consistono non solo nel
conseguire il risultato sportivo ma anche nel favorire il progresso tecnico e nel soddisfare gli
interessi produttivi. D’altra parte le norme di sicurezza destinate agli organizzatori e ai loro ausiliari
dovrebbero essere interpretate in modo ragionevolmente elastico, onde poter valutare il rispetto
delle stesse in relazione alle numerose e mutevoli evenienze che si possono verificare sul percorso
di gara e, comunque, tenendo sempre presente il generale criterio della prevedibilità in concreto –
seppur ex ante – dell’evento dannoso.
Sotto un secondo profilo non pare corretto allargare eccessivamente l’ambito di
responsabilità – civile e penale - degli organizzatori delle gare in questione. Va infatti considerato
che lo spirito agonistico dei piloti e le velocità raggiunte dai mezzi da loro guidati nonché la
costante presenza del pubblico nelle immediate vicinanze del tracciato costituiscono di per sé una
situazione di immanente pericolosità, alla quale si aggiunge spesso la temerarietà degli stessi
spettatori che – trasgredendo gli ordini e/o i divieti emanati nell’ambito dell’organizzazione della
gara – si avvicinano sovente alla sede stradale a distanze assai inferiori ai requisiti minimi di
sicurezza. Si ritiene quindi condivisibile il recente orientamento interpretativo che impone di
valutare con maggiore severità la condotta sul terreno di gara sia dei piloti che degli spettatori e di
ritenere il loro concorso colposo nella produzione del sinistro, quanto meno nei casi di evidente
pericolo di danno; ciò al fine di non scaricare semplicisticamente sui protagonisti
dell’organizzazione della corsa – che spesso svolgono tale attività per puro amore degli sports
motoristici e senza alcun compenso - tutte le responsabilità per gli incidenti verificatisi.
(*) Avvocatodel Foro di Trento
28
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
IMPUGNAZIONE DEL LODO ARBITRALE IRRITUALE
IN MATERIA DI LAVORO SPORTIVO CENNI SULLA
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA VIGENTE IN AMBITO
GIUSLAVORISTICO – SPORTIVO E SULLE CLAUSOLE
COMPROMISSORIE IVI CONTENUTE
di Luca Perdomi (*)
Come noto, le tre principali categorie di sportivi professionisti (calciatori, allenatori e direttori
sportivi / segretari), tramite le rispettive associazioni di categoria, hanno stipulato con la Lega di
Serie A e B e l’allora Lega di Serie C (ora Lega Pro) contratti collettivi contenenti al loro interno
una clausola compromissoria.
Una breve rassegna delle norme collettive che prevedono la clausola compromissoria ci
fornisce l’occasione per fare il punto sulla contrattazione collettiva oggi vigente in materia dopo le
disdette ai contratti collettivi che hanno interessato due delle tre categorie di lavoratori sportivi di
cui trattiamo (allenatori e direttori sportivi/segretari).
CALCIATORI
L’Accordo Collettivo tra i calciatori e le società sportive di serie A, B, C1 e C2 (ora Prima e
Seconda Divisione) è entrato in vigore dal 1 luglio 1989 e si è tacitamente rinnovato di tre anni in
tre anni sino ad oggi.
Sino al 4 ottobre 2005 vi era sempre stato un unico Accordo Collettivo che regolava le
controversie tra i calciatori e le società appartenenti alla serie A, B, C1, C2.
A far data dal 4 ottobre 2005, è stato stipulato un nuovo Accordo Collettivo, con allegato un
nuovo regolamento per il funzionamento del Collegio arbitrale, tra i calciatori e le società
appartenenti ai campionati di serie A e B.
29
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
Il vecchio accordo collettivo rimane ancora in vigore, con il relativo regolamento per il
funzionamento del Collegio Arbitrale, per le controversie tra i calciatori e le società appartenenti
all’attuale Lega Pro1.
L’Accordo Collettivo del 4.10.2005 prevede all’art. 21 (Clausola compromissoria.
Procedimento arbitrale) che “il contratto individuale di prestazione sportiva deve contenere una
clausola compromissoria in forza della quale la soluzione di tutte le controversie aventi ad oggetto
l’interpretazione, l’esecuzione o la risoluzione di detto contratto ovvero comunque riconducibili
alle vicende del rapporto di lavoro da esso nascente sia deferita alle risoluzioni del C. A., che si
pronuncerà in modo irrituale. Con la sottoscrizione del Contratto le parti si obbligano in ragione
della loro comune appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo, dei vincoli conseguentemente
assunti con il tesseramento o l’affiliazione nonché della specialità della disciplina legislativa
applicabile alla fattispecie ad accettare senza riserve la cognizione e le risoluzioni del C.A.”.
L’Accordo Collettivo ancora vigente relativamente all’area Lega Pro dispone invece all’art.
25 che “la soluzione di tutte le controversie concernenti l’attuazione del contratto o comunque il
rapporto tra Società e Calciatori, sarà deferita ad un Collegio Arbitrale composto da tre membri,
di cui due designati, di volta in volta, rispettivamente dalla società e dal calciatore, tra le persone
indicate negli elenchi depositati presso la F.I.G.C. dalle competenti Leghe e dall’A.I.C., secondo le
disposizioni delle Carte Federali. Il Presidente sarà designato con la procedura di cui al
Regolamento per il funzionamento del Collegio Arbitrale, tra le persone inserite in altro elenco
depositato presso la F.I.G.C., preventivamente concordato dalla parti firmatarie del presente
accordo”.
ALLENATORI
L’attuale accordo collettivo tra gli allenatori e le società professionistiche appartenenti alle
due Leghe Professionistiche è in vigore dal 1 luglio 1990 e anch’esso si è tacitamente rinnovato fino
al 30 giugno 2008 stante la disdetta comunicata dalla Lega Nazionale Professionisti (d’ora in avanti
LNP) all’Associazione Italiana Allenatori Calcio (d’ora in avanti AIAC) il giorno 13 dicembre
2007.
Le parti hanno poi sottoscritto accordi per prorogare detto Accordo Colletivo dapprima, con
scrittura privata del 21 novembre 2008, sino al 31 dicembre 2008 e successivamente, con accordo
1
VESCOVI, La clausola compromissoria nei contratti collettivi di lavoro, in Giustizia Sportiva e Arbitrato, Giuffré editore 2006;
30
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
del 9 gennaio 2009, sino al 30 giugno 2009, data entro la quale si auspica possa essere siglato un
nuovo e diverso accordo.
Nell’accordo collettivo de quo, per quanto interessa in questa sede, le parti hanno disposto
all’art. 30 che “la risoluzione di tutte le controversie concernenti l'attuazione del contratto o
comunque il rapporto tra società ed allenatore, sarà deferita ad un Collegio Arbitrale composto da
tre membri, di cui due designati, di volta in volta rispettivamente dalla società e dall'allenatore, tra
le persone indicate negli elenchi depositati presso la F.l G.C. dalle competenti Leghe e dall'A.I.A.C.
secondo le disposizioni delle Carte Federali. Il Presidente sarà designato con la procedura di cui
al Regolamento per il funzionamento del Collegio Arbitrale, fra le persone inserite in altro elenco
depositato presso la F.I.G.C., preventivamente concordato dalle parti firmatarie del presente
Accordo”.
Il successivo art. 31 prevede poi che “le formalità procedurali ed i termini per adire il
Collegio, per produrre memorie e deduzioni, ove non diversamente disposto dal presente accordo,
sono quelli previsti dall'allegato Regolamento per il funzionamento del Collegio Arbitrale, che si
considera parte integrante dell'Accorso Collettivo (allegato)”.
Si precisa tuttavia che a fronte delle intervenute proroghe sopra citate, sono rimasti privi di
efficacia gli elenchi dei componenti dei Collegi Arbitrali previsti dall’accordo collettivo.
Conseguentemente le liti insorgende saranno attualmente decise da Collegi Arbitrali composti da tre
membri di cui due nominati uno ciascuno dalla Società e dell’allenatore senza alcun vincolo di lista
ed il terzo, con funzioni di Presidente, nominato di intesa tra i due membri nominati dalle parti, o, in
difetto, d’intesa tra i Presidenti di LNP e AIAC.
DIRETTORI SPORTIVI E SEGRETARI
L’ultimo accordo Collettivo, stipulato tra soggetti operanti all’interno della F.I.G.C., riguarda
quello stipulato dall’ Associazione Italiana Direttori Sportivi e Segretari (A.DI.SE.), le due Leghe
professionistiche e la F.I.G.C. stessa, per disciplinare l’attività dei direttori generali, dei direttori
sportivi, dei segretari generali o di settore.
Si precisa che tali figure professionali possono operare sia in regime di autonomia che di
subordinazione.
L’ultimo accordo è entrato in vigore il 10 luglio 1993 ed anch’esso rinnovato tacitamente di
tre anni in tre anni ma che ha cessato i suoi effetti alla data del 30 giugno 2008 stante la disdetta
31
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
deliberata dal Consiglio di Lega il 25 luglio 2007 e comunicata dalla LNP all’ADISE il 13 dicembre
2007.
Al momento non è intervenuta alcuna proroga o rinnovo dell’accordo collettivo in argomento.
L’articolo 9 disponeva anch’esso che “la risoluzione di tutte le controversie concernenti
l’attuazione dle contratto o comunque il rapporto fra società e tessarato sarà devoluta ad un
Collegio Arbitrale previsto dall’Ordinamento Federale, composto da tre membri, di cui due
designati, di volta in volta, rispettivamente dalla società e dal tesserato, tra le persone indicate
negli elenchi depositati presso la F.I.G.C., preventivamente concordato fra le parti firmatarie del
presente Accordo.
Le controversie saranno decise con arbitrato irrituale secondo il disposto di cui all’art. 5
della legge n. 533/1973”.
Ci si è soffermati particolarmente nell’accennare alle diposizioni contenute negli accordi
collettivi per il motivo per cui la legge non permette ai singoli di stipulare liberamente accordi
compromissori, né di concordare sulla procedura da seguire in arbitrato, ma rinvia su entrambi i
punti alla contrattazione collettiva.
In sostanza, il ricorso all’arbitrato irrituale è ammesso solo se sussista un contratto collettivo
che fissi le regole processuali e una legge che le individui, mentre il contenuto è deciso dalle
associazioni sindacali stipulanti che possono impedire il ricorso all’arbitrato irrituale anche
semplicemente con l’inerzia.
L’art. 806 c.p.c. “Controversie arbitrabili” dispone infatti che “le controversie di cui all’art.
409 (e quindi le controversie in materie di lavoro) possono essere decise da arbitri solo se previsto
dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”.
Recentemente, in forza di detta disposizione, si sono registrate decisioni di Collegi Arbitrali
che hanno declinato la propria competenza a conoscere della vertenza poichè il contratto
individuale richiamava un accordo collettivo non vigente/scaduto/inefficace al momento della
stipula (nella specie l’accordo AIAC – LNP).
32
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
L’ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO SPORTIVO:
L’ARBITRATO IRRITUALE
Non vi è dubbio che l’arbitrato a cui rinviano le clausole compromissorie sopra evidenziate,
sia un arbitrato di natura irrituale.
L’irritualità dell’arbitrato è stata più volte confermata dalla giurisprudenza ed anche in
ambito dottrinale vi è pressoché unanimità di giudizio nel ritenere irrituale la natura dell’arbitrato.
A favore dell’irritualità depongono infatti una serie di fattori: la procedura segue un proprio
regolamento, parte integrante dell’accordo collettivo, accettato dalle parti al momento della stipula
del contratto di lavoro subordinato sportivo, che non rimanda al Codice di procedura civile; la scelta
degli arbitri all’interno di elenchi predeterminati e depositati presso la Federazione; la preferenza
verso l’arbitrato irrituale in materia lavoristica; l’espressa qualificazione in tal senso presente negli
Accordi Collettivi e nei Regolamenti di procedura (talvolta sono le stesse parti a chiarire la
tipologia di arbitrato)2.
Prima quindi di approfondire l’argomento delle impugnazioni, si ritiene opportuno
individuare brevemente l’istituto, anche alla luce della nuova riforma dell’arbitrato.
a) Breve storia dell’istituto
Storicamente, il fenomeno dell’arbitrato irrituale o libero è risalente nel tempo. Si è soliti
datare il suo riconoscimento, da parte dell’ordinamento giuridico, con la sentenza del 27 dicembre
1904 della Cassazione di Torino, che riconobbe alle parti la facoltà di promuovere, sulla scorta della
loro autonomia contrattuale, un meccanismo per la risoluzione dei conflitti, totalmente svincolati
dalle forme che il codice di rito fissava per gli arbitrati rituali.
L’arbitrato irrituale ha goduto di non poca fortuna: si sottraeva (fino al 1983, a differenza di
quello rituale) all’onere dell’obbligatoria omologazione entro i cinque giorni successivi alla
pronuncia e quindi ai correlativi oneri fiscali.
La realtà ha invece dimostrato che le due forme di arbitrato finivano per assomigliarsi sempre
di più, sia sotto il prfilo genetico che funzionale e procedimentale. Negli anni più recenti è infatti
maturata con forza la consapevolezza che anche l’arbitrato irrituale supponga un giudizio e dunque
2
VESCOVI, La clausola compromissoria nei contratti collettivi di lavoro, in Giustizia Sportiva e Arbitrato, Giuffré editore 2006;
33
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
una decisione raggiunta attraverso modalità non lontane da quelle dell’arbitrato rituale, relegando al
passato le tesi che volevano l’arbitrato libero equivalente al riempimento di un foglio in bianco o,
comunque, al raggiungimento di una soluzione con modalità prettamente negoziali o perfino
transattive3.
b) Natura del lodo
Con riguardo alla natura del lodo, si sono contrapposte nel tempo, in dottrina ed in
giurisprudenza, due tesi tra loro antitetiche.
Tesi negozialista: secondo questo orientamento, l’arbitrato (in senso generale e dunque sia
rituale che irrituale) è un fenomeno che appartiene interamente, dal momento genetico a quello
conclusivo, all’autonomia privata delle parti. Il lodo ha quindi natura negoziale. L’effetto di
esecutorietà,
conseguente
all’omologazione
prevista
dall’art.
825
c.p.c.,
deriva
dalla
giustapposizione di un comando statuale ad un atto fra privati. Non vi è quindi alcuna differenza tra
l’arbitrato rituale e quello irrituale, se non nel senso che solo per il primo di essi la legge prevede
l’omologabilità (per scelta convenzionale e non in conseguenza di una intrinseca differenza di
natura).
Tesi giurisdizionalista: attribuisce al lodo rituale natura di sentenza: la genesi dell’arbitrato
appartiene sì alla sfera privata delle parti, ma una volta che la cognizione della controversia sia
devoluta ad arbitri, secondo le modalità previste dal codice di rito, il risultato è quello di un
provvedimento non diverso dalla sentenza del giudice. Ne consegue che l’esecutorietà discendente
dall’omologazione è un effetto naturale. Ne segue ancora che esiste una differenza radicale tra il
lodo rituale e quello irrituale, che, non seguendo il percorso fissato normativamente, ha mera
efficacia di contratto.
Tali tesi si sono fronteggiate anche in giurisprudenza con esiti non risolutivi: la sentenza n.
527 del 3 agosto 2000 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione si è espressa nel senso della
natura negoziale; nel contempo, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 376 del 28 novembre
2001, ammettendo gli arbitri alla facoltà di sollevare questioni di illegittimità costituzionale e
sottolineando la fungibilità degli arbitri e quella dei giudici, si è oggettivamente allineata alle
posizioni giurisdizionaliste.
3
BIAVATI, Le riforme del diritto italiano, vol. 7, Arbitrato irrituale.
34
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
La riforma del 2005-2006 è intervenuta su questo punto con una evidente scelta di campo a
favore delle tesi giurisdizionaliste, riaffermando la netta distinzione fra arbitrato rituale ed arbitrato
irrituale4.
c) Definizione
L’arbitrato irrituale può essere definito, alla luce della nuova formulazione dell’art. 808 ter,
come il modo “di regolare un conflitto di interessi raggiungendo una determinazione contrattuale
attraverso un processo”5.
Tutti e tre gli elementi della definizione appaiono indispensabili: senza conflitto ed un
contrasto su fatto e diritto non c’è arbitrato ma, al limite, contratto; senza il raggiungimento di una
determinazione contattuale non avremo più arbitrato irrituale ma rituale (ormai la differenza tra i
due istituti, dopo la riforma si riduce alla diversità dell’efficiacia della decisione posta a definizione
del giudizio, che nell’irrituale ha natura di mera determinazione contrattuale, mentre nell’arbitrato
rituale acquista un’efficacia analoga a quella della sentenza del del giudice ordinario, sebbene
pronunciata da un giudice privato); senza un processo non si potrà più rinvenire un arbitrato ma una
conciliazione o una mediazione.
L’IMPUGNAZIONE DEI LODI ARBITRALI IRRITUALI
Veniamo ora al’argomento centrale della presente relazione.
Le modalità di controllo e di adempimento del lodo arbitrale hanno seriamente impegnato
l’attenzione della dottrina che nel regime previgente era giunta in estrema sintesi alle seguenti
conclusioni.
Il lodo arbitrale non rituale poteva essere impugnato, in quanto nullo o annullabile, nelle
forme delle impugnative negoziali, dinanzi al giudice competente secondo le regole ordinarie,
soltanto per motivi formali e comunque non per vizi di diritto contenuti nella pronuncia degli
arbitri. In caso di inadempimento, la parte interessata doveva agire sempre in sede ordinaria, con
un’azione di adempimento contrattuale di diritto comune.
4
5
BIAVATI, Op. Cit..
BIAVATI, Op. Cit..
35
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
Il D.l. n. 40 del 2006 razionalizza i risultati della giurisprudenza e delinea con chiarezza la
necessità di proporre la domanda dinanzi al giudice ordinario. Questo vale certamente (seppure nel
silenzio della norma) per l’azione di adempimento della determinazione contenuta nel lodo irrituale.
Vale poi in modo espresso per la contestazione del lodo, attraverso la predefinizione di una griglia
di motivi, che, da un lato, disegnano esattamente i contorni dell’impugnativa e, dall’altro,
permettono una lettura in controluce della natura del lodo irrituale.
a) L’art. 808 ter II comma. Casi di annullabilità.
Il d. lgs. n. 40/2006 che ha introdotto l’art. 808 ter ha codificato una casistica tipica di motivi
di annullamento:
1) se la convenzione dell'arbitrato e' invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su
conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione e' stata sollevata nel
procedimento arbitrale;
Tale primo motivo di impugnazione non fa altro che riprendere due dei motivi già previsti per
l’impugnazione delo lodo rituale, ai nn. 1 e 4 del comma I dell’art. 829 c.p.c.. La prima ipotesi
potrebbe riscontrarsi nel caso in cui non risultasse chiara, nella convenzione d’arbitrato, la volontà
delle parti di deferire la causa a un collegio arbitrale, o quando non è espresso in forma scritta il
contenuto della convenzione o la stessa abbia ad oggetto diritti non compromettibili, o ancora
quando una clausola per arbitrato amministrato devolva la cognizione della questione a
un’istituzione non esistente. La seconda ipotesi potrebbe invece riscontrarsi quando gli arbitri si
siano pronunciati su una situazione giuridica non oggetto della convenzione che ha attribuito loro il
mandato.
2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione
arbitrale;
Tale motivo richiama evidentemente quello dell’art. 829, comma I, n. 2 c.p.c. e fa riferimento
alla eventuale violazione di tutte quelle regole negoziali poste alla base della costituzione del
collegio nell’arbitrato irrituale. In base a tale previsione, sarebbe senz’altro annullabile il lodo
pronunciato da arbitri nominati da un’autorità diversa rispetto a quella indicata nella convenzione
d’arbitrato.
3) se il lodo e' stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma
dell'articolo 812;
36
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
Tale motivo è identico all’art. 829, comma I, n. 3, c.p.c. e fa riferimento all’ipotesi di un
arbitro, investito della causa, che si riveli privo della capacità legale di agire.
4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di
validità del lodo;
Tale motivo è analogo a quello dell’art. 829, comma I, n. 7, c.p.c.; in proposito, si evidenzia
che, nel caso di arbitrato irrituale, in mancanza di ogni altra regola imposta dalle parti
negozialmente, all’arbitro libero s’impone principalmente il rispetto della sola regola del
contraddittorio. Laddove, invece, le parti abbiano dato disposizioni sull’esercizio del potere, il lodo
sarà sempre annullabile per la violazione di tali regole, indipendentemente dal fatto che il relativo
vizio sia stato fatto valere o meno nel corso del giudizio arbitrale.
Secondo alcuni autori, questo è altresì il caso, ad esempio, di una decisione secondo equità,
mentre la clausola la voleva secondo diritto ovvero il caso del mancato rispetto del termine per la
pronuncia del lodo.
In particolare, ad avviso di Biavati, “si deve includere in questo motivo anche la problematica
degli errori di fatto e di diritto. La giurisprudenza anteriore alla riforma aveva dato spazio in
qualche misura all’impugnativa negoziale per il caso di travisamento dei fatti, inteso come profilo
di errore degli arbitri. A me pare che fra le regole, seppure implicite, imposte dalle parti non possa
mancare quella di una corretta decisione della controversia, quanto meno sotto il profilo di
un’esatta percezione delle circostanze, in ordine alle quali va compiuta la determinazione
contrattuale. Ritengo quindi che il lodo irrituale sia censurabile quando l’errore sul fatto abbia
stravolto la deliberazione arbitrale. Ad analoga conclusione si deve pervenire in caso di dolo degli
arbitri, salva ogni ricaduta sul piano della responsabilità.
Per quanto concerne l’errore di diritto, la nuova formulazione dell’art. 808 ter c.p.c. sembra
autorizzare la possibilità di una revisione più ampia rispetto a quella considerata nel regime
previgente, a patto che le parti, nella clausola arbitrale, abbiano vincolato gli arbitri (ma qui,
esplicitamente) a giudicare secondo l’esatta applicazione di un dato complesso normativo, che
potrebbe anche non identificarsi con l’ordinamento positivo italiano. Va precisato che il profilo di
annullabilità concerne l’error in iudicando non in quanto tale, ma in quanto violazione di un
espresso mandato delle parti. Più in generale, va detto che la scelta di un meccanismo processuale
privato per giungere alla determinazione dell’assetto di interessi fra le parti non può prescindere
dal più sostanziale dei requisiti di ogni giudizio: vale a dire, la decisione giusta.
37
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
Non si può quindi limitare il controllo del giudice, in sede di annullamento, ai soli aspetti
formali, ma, tenendo conto della volontà espressa dalle parti nel patto di arbitrato, favorire per
quanto possibile, anche una revisione di sostanza”6.
5) se non e' stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio.
Il motivo è identico all’art. 829, comma I, n. 9, c.p.c..
E’evidente sotto questo aspetto che non ogni violazione del contraddittorio potrà fondare
l’impugnativa, ma solo quelle ipotesi in cui la lesione del diritto di difesa sia stata grave ed abbia
inciso in modo rilevante sull’esito della decisione.
In questa ipotesi ciò che rileva, in particolare, è che il contraddittorio sia stato in concreto
rispettato, dovendo l’arbitro consentire a tutte le parti la possibilità di essere ascoltate, per formare
la sua libera determinazione. Appare pertanto indifferente che ciò sia avvenuto in ossequio o meno
delle norme processuali che hanno disciplinato quella procedura, atteso che il rispetto del
contraddittorio prescinde dalle specifiche pattuizioni delle parti, rendendosi necessario a garanzia
dell’imparzialità dell’organo giudicante (pur privato) chiamato a decidere la questione sottoposta al
suo esame. La violazione di tale principio, in particolare, ricorre tutte le volte in cui gli arbitri
abbiano regolato il procedimento in termini tali da impedire a una o entrambe le parti di illustrare le
proprie ragioni7.
b) Tipicità o atipicità dei mezzi di impugnazione di cui all’art. 808 ter II comma.
Si evidenzia, già in prima battuta, che la norma parla di motivi di annullabilità mentre nulla
dice circa eventuali ipotesi di nullità.
Ciò ha aperto in dottrina un dibattito piuttosto convulso in ordine alla tipicità o meno dei
mezzi di impugnazione del lodo irrituale in esso elencati.
Secondo un primo orientamento (VERDE) attribuendosi valore contrattuale alla decisione
degli arbitri irrituali, la stessa decisione sarà annullabile, posto che non è stato diversamente
stabilito, non solo per i motivi indicati nell’articolo de quo, ma anche per i vizi che invalidano
qualsiasi contratto e per i quali il lodo libero risultava impugnabile prima della riforma (e quindi
non solo per motivi di annullabilità ma anche di nullità)8.
6
BIAVATI, Op. Cit..
SANTI e MARTIRE, “Lodo arbitrale irrituale: mezzi di impugnazione, competenza e termini”, in 24oreavvocato, n. 1/2009.
8
VERDE, “Arbitrato irrituale”, in Riv. Arb., 2005, 4, 665 e ss..
7
38
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
Questo è l’orientamento espresso da BIAVATI, op.cit., secondo cui i motivi di cui all’art. 808
ter II comma sono motivi di stretto annullamento e non di nullità, i quali sarebbero rilevabili oltre il
termine decadenziale quinquennale del codice civile. Secondo la ricostruzione operata da questo
Autore, darebbero luogo a nullità radicale del lodo irrituale la pronuncia su materia non contrattuale
e quindi non compromettibile; la difformità soggettiva fra le parti del procedimento e quelle della
clausola; l’omessa pronuncia; la violazione di norme sostanziali inderogabili9.
Secondo un’altra corrente di pensiero (SASSANI) invece, in quanto tipizzati, i motivi di cui
all’art. 808 ter sono tendenzialmente esaustivi. Secondo questo autore il fatto che il codice delinei
una disciplina, anche in ordine ai mezzi di impugnazione dell’atto finale, dovrebbe indurre a
ritenere che il lodo irrituale sia soggetto ad un’autonoma azione di impugnativa, non essendo quindi
affatto soggetto alle regole generali delle impugnative negoziali del codice civile.
Seguendo tale linea interpretativa, il Codice di rito ha, infatti, delineato una dettagliata
sequenza procedimentale dell’arbitrato irrituale, elencando persino i vizi per i quali il lodo
contrattuale è annullabile dal giudice competente; pertanto, l’aver per la prima volta, contemplato
espressamente i motivi di annullabilità del lodo irrituale indurrebbe a ritenere tale lodo non più
impugnabile per la tipologia dei motivi sottostanti alle azioni contrattuali10.
Secondo una tesi che può ritenersi intermedia (BOVE), l’art. 808 ter c.p.c. presenta non pochi
problemi interpretativi e, “pur residuando il dubbio sulla esaustività dei motivi d’impugnazione del
lodo irrituale, introdotti con la riforma”, non ci sono tuttavia ragioni imprescindibili, né in forza
dell’art. 808 ter né di altre disposizioni, che possano far propendere per l’una o per l’altra soluzione
(tipicità o meno dei motivi d’impugnazione di cui all’art. 808 ter). Sembra, quindi, “più ragionevole
accreditare l’idea più permissiva, in attesa che si formi un diritto vivente che possa tranquillizzare
l’interprete”. In ogni caso, per tale autore, nonostante l’attuale fase di incertezza sul punto, “non
sembra si possa escludere l’impugnativa per dolo dell’arbitro ai sensi dell’art. 1349, comma 2,
c.c.”11.
In merito al contrasto interpretativo appena delineato, si ritiene opportuno sottolineare che la
giurisprudenza definisce l’arbitrato irrituale come vicenda che inizia e si esaurisce sul piano
contrattuale, sostenendo che il lodo libero abbia natura negoziale, in quanto riconducibile alla
volontà delle parti manifestata nel conferire mandato agli arbitri; pertanto, in assenza di un divieto
9
BIAVATI, Op. Cit..
SASSANI, “L’arbitrato a modalità irrituale”, in Riv. Arb. 2007.
11
BOVE, “L’arbitrato irrituale dopo la riforma”, in www.judicium.it;
10
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DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
espresso, si dovrebbe considerare il lodo irrituale assimilabile ad un negozio giuridico e, in quanto
tale, impugnabile anche per i vizi che costituiscono causa di nullità e annullabilità dei contratti,
nonostante l’introduzione dei motivi specifici di cui all’art. 808 ter.
c) In particolare: l’impugnazione dell’arbitrato sportivo
In passato, ci si era innanzi tutto posti il problema dell’impugnabilità delle pronunce e, in
particolare, l’ordinamento calcistico affrontava la questione con atteggiamente duramente negativo.
In questo senso, si citava l’ora abrogato art. 27 dello Statuto Federale, il testo di alcune
clausole compromissorie inserite nei contratti – tipo ove si rinnovava l’impegno statutario alle
decisioni assunte nonché alcune disposizioni contenute nei Regolamenti dei Collegi Arbitrali
secondo cui “il Collegio decide in unica istanza”.
Attualmente, la tesi appare superata e l’impugnabilità risulta pacifica e non solo perché
affermata dall’art. 24 Cost. e dagli arttt. 1 e 3 della legge n. 280 / 2003 (accesso al giudice per la
tutela delle situazioni rilevanti per l’ordinamento statale) ma poiché ribadita in modo specifico
dall’art. 412 quater c.p.c.12 che esplicitamente permette la contestazione di fronte al Tribunale della
validità dei lodi irrituali resi al termine degli arbitrati previsti dalla contrattazione collettiva.
Come osservato da Vigoriti, non vi è dubbio che queste norme prevalgano sulle disposizioni
pattizie, e fanno ritenere che il lodo sia impugnabile, a prescindere da quanto scritto nella
convenzione arbitrale o nel Regolamento di Rito13.
Il nuovo Statuto FIGC, infine, contiene disposizioni da considerare come riconoscimento
esplicito del diritto all’azione in sede ordinaria.
L’art. 30 dello Statuto Federale FIGC, infatti, dopo aver previsto al III comma l’obbligo
generale di accedere all’arbitrato CONI, obbligo che dichiara però non sussistere per le controversie
decise con lodo arbitrale emesso dai Collegi, riconosce poi esplicitamente al IV comma il diritto di
agire “per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente”14 assumendo che il gravame non
12
Art. 412 quater. Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale “Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale
decide in unico grado il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è
depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque
dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella
cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, si sitanza della parte interessata, accertata la
regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto”.
13
VIGORITI, Le riforme del diritto italiano, vol. 8, Arbitrati Speciali.
14
Art. 30 Statuto Federale F.I.G.C. : 4. Fatto salvo il diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello Stato per la
nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente, il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il
40
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
ha neppure bisogno dell’autorizzazione del Consiglio Federale Presidente Federale ad adire il
Tribunale ordinario in deroga al vincolo di giustizia sportiva come previsto in via generale al
medesimo art. 30 IV comma.
Ritengo, peraltro, che la nullità in argomento sia da intendersi nel senso più ampio di
“invalidità” comprendente quindi anche le ipotesi di annullabilità indicate dall’art. 808 ter.
La deroga deve essere tuttavia limitata alle richieste di autorizzazione all’impugnazione del
lodo solo per motivi meramente formali, magari suscettibili di interpretazione estensiva ma pur
sempre nei limiti segnati dagli errori “in procedendo”, con la ferma esclusione delle impugnazioni
per ragioni attinenti al merito.
Attualmente, il Consiglio Federale, sulle istanze di autorizzazione ad adire il giudice ordinario
per l’impugnazione dei lodi irrituali, evidenzia la non necessità dell’autorizzazione quanto meno
“nei limiti consentiti dal codice di procedura civile”.
La problematica può sorgere in ordine a richieste per così dire “mascherate”, vale a dire per
quelle richieste per impugnative di carattere formale ma che mirano alla sostanza ad un vero e
proprio tentativo di riesame.
In questi casi, atteso che in sede di autorizzazione ex art. 30 dello Statuto, né il Consiglio
federale e né, prima di esso, la Commisione con poteri consultivi volta alla disamina delle richieste,
hanno facoltà e modo di scendere nel merito delle richieste e di verificare se effettivamente la
richiesta di impugnativa riguarda motivi effettivamente compatibili, pur sotto il profilo del “fumus”,
con le ipotesi di cui al codice di procedura in mtaria di impugnazione degli arbitrati irrituali, sembra
evidente garantire, successivamente al giudizio di impugnazione rivelatosi poi impostato su ragioni
sostanziali, la possibilità di formalizzare una denuncia alla Procura federale per violazione del
vincolo di giustizia con il conseguente deferimento e l’applicazione delle relative sanzioni.
Con riguardo ai vizi deducibili, non va dimenticato che all’arbitrato sportivo si applicano non
solo la norma di cui all’art. 808 ter ma anche degli artt. 412 ter e quater c.p.c., specifici negli
arbitrati irrituali previsti dai contratti collettivi, compresi quindi quelli sportivi.
Rapportando ora la tipologia dei vizi previsti dall’art. 808 ter c.p.c. alla materia dell’arbitrato
sportivo, come correttamente osservato da VIGORITI, è agevole rilevare che alcuni dei motivi di
doglianza ivi indicati sono difficilmente ipotizzabili.
ricorso alla giurisdizione statale in deroga al vincolo di giustizia. Ogni comportamento contrastante con gli obblighi di cui al
precedente articolo, ovvero comunque volto a eludere il vincolo di giustizia comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari
stabilite dalle norme federali. (omissis).
41
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
Così è per l’invalidità della convenzione arbitrale, contenuta nel contratto tipo, e per le
modalità di nomina ed il conferimento dell’incarico, anche in considerazione dei meccanismi di
selezione e scelta degli arbitri. Non è invece
da escludere l’esorbitanza della pronuncia, la
violazione delle regole poste dalle parti (dal regolamento) e la violazione del contraddittorio. Di
fatto, la tipologia delle censure che si muovono ai lodi impugnati non è particolarmente ricca, e si
incentra soprattutto sull’inosservanza del termine per la pronuncia15.
d) Giudizio di impugnazione. Modalità, competenza, temini. Cenni.
L’impugnazione si propone al Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, e dunque in questo
caso con ricorso, nella circoscrizione in cui è la sede dell’arbitrato (art. 412 – quater c.p.c.). Orbene,
posto che i Collegi Arbitrali hanno sede a Milano (per quanto riguarda le controversie in cui sono
coinvolte società appartenenti alla Lega Nazionale Professionisti) o a Firenze (per quanto concerne
le controversie relative a sodalizi appartenenti alla Lega Pro), solo i Tribunali presso codeste due
città sono destinati a conoscere dei ricorsi in argomento.
Il grado è unico.
Il ricorso va depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo.
Un ultimo cenno spetta alla decorrenza dei termini, trascorsi i quali ciascuna parte può fare
constatare l’inadempimento del mandato e la decadenza dalla funzione dell’arbitro. Il lodo
pronunciato oltre i termini può dare seguito ad un’azione di responsabilità, salvo non sia dovuto ad
un errore (ad es. computo ed interpretazione). La responsabilità è la stessa del mandatario, che deve
agire con diligente adempimento, certo non paragonabile a quella dei giudici statali.
L’arbitro deve essere imparziale e terzo; nel caso decida di giudicare, nonostante sussista una
causa di faziosità non dichiarata, la parte lesa potrà chiedere prima del lodo la revoca e se il lodo è
già stato pronunciato, egli potrà chiedere un’azione di annullamento per violazione delle norme
decise dalle parti (diritto ad una decisione equa).
Con riguardo ai requisiti che il lodo deve obbligatoriamente avere vi sono senza dubbio la
forma scritta e la motivazione, che rappresente non solo una conquista giuridica, ma anche
l’esplicazione della correttezza nell’esecuzione del mandato.
15
VIGORITI, nota a Tribunale Milano Sez. Lavoro, 28 Febbraio 2006, n. 736, in Giur. It. Aprile 2007, pp. 961 e ss..
42
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
e) Effetti della sentenza di annullamento
In ogni caso, in coerenza con il pensiero che inquadra il lodo irrituale nella disciplina
contrattuale, in caso di annullamento da parte del giudice ordinario, questi non può decidere nel
merito, sarebbe come redigere un contratto di sua iniziativa; quindi eliminato ogni effetto di
discordia, le parti saranno quindi costrette a dedurre la controversia di fronte al giudice ordinario,
secondo le regole del rito del lavoro.
Il giudizio rescindente non viene pertanto seguito dal rescissorio ad opera dello stesso giudice,
come invece previsto nel sistema delle impugnazioni del lodo rituale. La giurisprudenza peraltro
non sembra propensa a supplire in via interpretativa (si veda ad esempio Trib. Milano, Sez. Lavoro,
sent. 14 Aprile 2003, n. 1145, che riafferma che l’art. 412 quater riguarda solo le controversie sulla
validità del lodo, e che per quelle attinenti al rapporto “rimangono applicabili le norme generali in
materia di competenza”.
Nei casi di azione ordinaria di accertamento della nullità, per gli autori ovviamente che
riconoscono la configurabilità, occorre invece distinguere: se il lodo è nullo per vizi che non
vengono ad inficiare la possibilità di un’arbitrato irrituale, lo soluzione è quella indicata; se, al
contrario, il lodo è nullo per vizi che impediscono una qualunque determinazione di arbitri irrituali
(ad esmpio la materia non compromettibile), allora il Giudice potrà esaminare il merito sempre che
vi sia un’espressa domanda di parte.
Infine, come noto, il lodo arbitrale non può assumere efficacia di titolo esecutivo; il lodo
arbitrale del lavoro può essere dichiarato esecutivo dal giudice, qualora sussitano le condizioni
dell’art. 412 quater; il lodo arbitrale del lavoro sportivo è immediatamente esecutivo all’interno
dell’ordinamento di provenienza.
(*) Avvocato del foro di Genova
43
DOTTRINA
Impugnazione del lodo arbitrale……
BIBLIOGRAFIA:
BIAVATI, Le riforme del diritto italiano, vol. 7, Arbitrato irrituale;
BOVE, “L’arbitrato irrituale dopo la riforma”, in www.judicium.it;
CARPI, Le riforme del diritto italiano, vol. 8, Arbitrati Speciali;
SANTI e MARTIRE, “Lodo arbitrale irrituale: mezzi di impugnazione, competenza e
termini”, in 24oreavvocato, n. 1/2009;
SASSANI, “L’arbitrato a modalità irrituale”, in Riv. Arb. 2007;
VERDE, “Arbitrato irrituale”, in Riv. Arb., 2005, 4, 665 e ss.;
VESCOVI, La clausola compromissoria nei contratti collettivi di lavoro;
VIGORITI, Le riforme del diritto italiano, vol. 8, Arbitrati Speciali;
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DOTTRINA
Fisco e Sport……
FISCO E SPORT: SCIENZA STATISTICA E PRESUNZIONI
SEMPLICI NELLO SPORT DILETTANTISTICO
di Massimiliano Giua (*)
Cenni generali
Il ricorso, da parte degli organi civili e militari dell’Amministrazione finanziaria, all’utilizzo
delle “presunzioni semplici” di cui agli artt. 27271 e 27292 c.c., appare indifferibile in quei casi in
cui il contribuente, omettendo la presentazione delle dichiarazioni fiscali ed approntando una
gestione amministrativo-contabile insufficiente, impedisca all’Amministrazione finanziaria di
procedere all’accertamento analitico ed anche all’accertamento basato sugli studi di settore di cui
all’art. 62-sexies della legge 427/93.
Per consentire, quindi, all’Amministrazione finanziaria di procedere ad un accertamento
d’ufficio o induttivo3, si pone il problema, per gli organi ispettivi, di determinare i corrispettivi ed i
ricavi basandosi su dati presuntivi e fattuali logicamente ineccepibili ed incontrovertibili.
Le contestazioni, quindi, devono trovare il loro input in fatti noti ed indizi dotati della minore
incertezza possibile, rappresentando l’esito di una valutazione complessiva e globale di tutti quegli
elementi certi che, dando luogo alla presunzione stessa, devono consentire di risalire dal fatto noto a
quello ignorato.
In tema di presunzioni semplici4, l’orientamento consolidato della giurisprudenza tributaria
condivide l’esigenza di considerare l’idoneità persuasiva delle presunzioni in termini probabilistici,
il cui assunto logico induttivo deve quindi apparire non contestabile nella prova.
1
Art.2727 c.c.: “”Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato””
art.2729 c.c.: “”le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che
presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per
testimoni””
3
ai sensi e per gli effetti degli artt. 41 del Dpr. 600/73 e 55 del Dpr. 633/72
4
Caratterizzate, come noto, da gravità, precisione e concordanza
2
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DOTTRINA
Fisco e Sport……
Per le presunzioni semplici non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica
conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva
(regola della cd. inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello
ignoto, secondo un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit.
La Suprema Corte ha, a tal proposito, precisato che non è necessario ““che il fatto ignoto sia
desumibile da una pluralità di fatti noti, cioè ad una pluralità di fonti certe che parimenti
convergano verso un identico risultato logico-deduttivo; basta un unico fatto noto, quando tutti gli
aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente ed univocamente
concordanti sul verificarsi del fatto ignoto””5.
Si pone in evidenza, quindi, come il carattere della gravità suggerisca che l’indizio (ovvero il
fatto noto) deve avere un peso notevole ed importante in rapporto ai fatti cui si riferisce. In altri
termini, deve trattarsi, secondo un criterio meramente probabilistico, di una ipotesi logica ed
attendibile.
Il requisito della concordanza, pur se non necessario, va ricercato nella sussistenza di più
elementi tali da far ritenere valide le presunzioni.
Il carattere della precisione, che richiama i requisiti della certezza, dell’esattezza e della
specificità, ratifica che l’elemento fattuale su cui si basa la presunzione deve possedere, rispetto alle
conseguenze tipiche che da esso possono derivare, la qualità dell’univocità per la quale deve essere
ammissibile trarre soltanto determinate conclusioni e non altre; tutto ciò deve desumersi da
rilevamenti e da accertamenti tecnici che devono essere ampiamente documentati negli atti redatti
dall’amministrazione finanziaria.
Partendo da queste considerazioni, la scienza statistica può certamente fornire tutti quei
caratteri di gravità, concordanza, precisione, certezza, esattezza ed univocità che sono a fondamento
delle presunzioni semplici di cui ai richiamati artt. 2727 e 2729 c.c..
In particolare, mediante il procedimento della cd. inferenza statistica è possibile stabilire, tra
l’altro, i ricavi complessivamente conseguiti da un contribuente senza, tuttavia, procedere a lunghi,
analitici, onerosi e complessi computi.
5
Cassazione, Sentenza tributaria nr. 12482 dell’11.12.1998
46
DOTTRINA
Fisco e Sport……
L’inferenza statistica
L’indagine statistica, come noto, è rivolta allo studio dei fenomeni collettivi la cui conoscenza
è perseguita tramite l’osservazione delle unità statistiche che fanno parte di un collettivo.
Il collettivo statistico può comprendere tutte le unità di una popolazione oppure un suo
sottoinsieme.
In statistica al termine “popolazione” è attribuito un significato più ampio di quello espresso
dal linguaggio comune: per popolazione si intende un insieme di elementi che, a seconda delle
circostanze, possono essere rappresentati da persone, imprese, unità locali, manufatti di vario tipo,
ecc.
Le popolazioni possono essere finite o infinite.
Una popolazione finita è costituita da un insieme finito di unità statistiche (è, questo, il caso
delle popolazioni reali, concrete).
Le popolazioni infinite, invece, sono costruzioni astratte, ipotetiche; esse sono caratterizzate
da un insieme potenzialmente illimitato di unità come nel caso degli esperimenti realizzabili o dei
prodotti ottenibili con un certo processo di fabbricazione.
E’ del tutto evidente che le indagini statistiche sulle popolazioni infinite non possono
svilupparsi che attraverso una rilevazione parziale (o campionaria) effettuata su un numero più o
meno limitato di unità della popolazione.
Per le popolazioni finite invece è possibile, in linea di principio, ricorrere sia ad una
rilevazione totale che ad una rilevazione parziale. In questa ipotesi, l’indagine campionaria è
generalmente motivata dalla:
necessità di un contenimento dei costi che si devono sostenere per lo svolgimento della
indagine;
dalla possibilità di rilevare informazioni più dettagliate di quelle che altrimenti si potrebbero
ottenere nei confronti di una popolazione molto più numerosa;
dalla opportunità di disporre dei dati della ricerca in un tempo più breve rispetto a quello
necessario per compiere una rilevazione totale.
Le caratteristiche di una popolazione possono essere determinate con esattezza attraverso una
rilevazione totale; la rilevazione campionaria comporta - di contro - normalmente un errore di
campionamento dovuto al fatto che l’osservazione investe un campione, ossia un sotto insieme della
popolazione, e l’informazione che se ne trae risulta incompleta.
47
DOTTRINA
Fisco e Sport……
Pertanto, nei confronti delle rilevazioni campionarie si prospetta, in modo del tutto spontaneo,
l’interrogativo che riguarda la possibilità di estendere all’intera popolazione i risultati conseguiti
mediante il campione.
Da questo interrogativo, da questa esigenza di generalizzazione, prende l’avvio il processo
logico-operativo della inferenza statistica mediante la quale si formulano delle asserzioni sulle
caratteristiche non conosciute di una popolazione essendo note le caratteristiche di un campione
estratto da quella stessa popolazione.
L’inferenza statistica, che procede dal campione alla popolazione, è anche denominata
inferenza inversa, per distinguerla dall’inferenza diretta che invece si sviluppa in senso opposto
(cioè da una popolazione di caratteristiche note al campione).
Appare quindi del tutto evidente come il risultato dell’inferenza statistica dipenda dal grado di
rappresentatività del campione, intendendo per campione quello che riproduce un’immagine ridotta,
ma fedele, della popolazione da cui proviene.
Occorre però riconoscere che la rappresentatività di un campione è un puro concetto teorico
non suscettibile di accertamento dal momento che le caratteristiche della popolazione non sono
note.
Esempio di quantificazione di corrispettivi
Nel corso di una verifica fiscale condotta nei confronti di una associazione sportiva
dilettantistica (di seguito ASD) esercente l’attività di palestra, l’Amministrazione finanziaria ha
avuto modo di constatare la totale insussistenza di scritture contabili idonee a quantificare, in via
analitica, il reale volume d’affari del soggetto economico.
Per la ricostruzione dei corrispettivi, i verificatori hanno quindi fatto ricorso, quindi, agli altri
poteri previsti dalla vigente normativa fiscale, richiedendo, ad un campione significativo di
frequentatori, dati e notizie circa i rapporti intrattenuti con il contribuente verificato.
I verificatori, quindi, hanno proceduto, sulla sola base del campione significativo, alla
quantificazione di consistenti ricavi, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, non dichiarati
all’Erario.
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DOTTRINA
Fisco e Sport……
Partendo da questi dati, i verificatori hanno poi proceduto ad una inferenza statistica per
stabilire i ricavi complessivamente conseguiti dall’ASD negli anni esaminati (in ipotesi – in questo
caso - di popolazione finita, poiché il numero degli associati era sicuramente ben identificabile, cioè
reale e concreto).
Nella scelta del campione, i verificatori hanno proceduto, nell’universo dei campioni, ad una
selezione semplice, cioè basata sull’invio di un questionario ad un determinato numero di associati,
pur nella consapevolezza che il meccanismo di selezione casuale semplice delle unità campionarie
poteva essere eventualmente viziata da errore.
Veniva, pertanto, calcolata la media ponderata, per ciascun anno, dei compensi annualmente
corrisposti da ciascun utente associato.
Sulla sola base del campione, emergevano gli importi, al netto di IVA, che ogni utente
associato aveva mediamente corrisposto all’ASD.
Ed è da questi importi che prendeva avvio l’inferenza statistica.
In buona sostanza, avendo rilevato dal libro soci l’elenco totale dei frequentatori nel periodo
esaminato, i verificatori hanno deciso di inviare un questionario ad un numero di soci costituenti il
51,95 % della totalità.
I dati utilizzabili forniti dai questionari restituiti venivano considerati idonei ed attendibili per
il procedimento statistico.
Conoscendo, per ognuno dei singoli soci che avevano costituito il campione finale, il numero
di mesi di iscrizione alla palestra e ricavando dal listino prezzi gli importi, i verificatori sono
pervenuti alla spesa totale effettuata dai frequentatori.
Dividendo per il numero totale di soci di ciascun anno (poiché non tutti i rispondenti al
questionario avevano frequentato la palestra in tutti i periodi d’imposta esaminati), i verificatori
hanno stimato la spesa media annuale.
Data l’elevata numerosità campionaria rispetto al totale dei soci, i verificatori hanno ritenuto
che fossero rispettate le ipotesi del cd. teorema limite centrale (ipotesi di normalità delle medie
campionarie), costruendo quindi, per ciascun anno, un intervallo di confidenza per la spesa media di
tutti i soci ad un livello di fiducia pari al 99%, utilizzando la seguente formula:
sˆ
sˆ 

P  x + zα
< µ < x + z1− α
= 1− α

2
2
n
n

49
DOTTRINA
Fisco e Sport……
in cui :
x è la media campionaria, sˆ 2 è la varianza campionaria, µ la media di tutta la popolazione
n è la numerosità campionaria, 1 − α è il livello di fiducia
zα = − z1− α sono i valori dei quantili della distribuzione normale
2
2
I valori determinati con il procedimento statistico prendevano spunto da valori certi desunti da:
libro soci acquisito alla verifica;
questionari trasmessi a potenziali associati-fruitori;
listini prezzi praticati dall’associazione ed acquisiti alla verifica.
Lo strumento di indagine utilizzato dai verificatori aveva, pertanto, la connotazione della
scientificità ed attendibilità ed il suo impiego risultava necessario in ragione del fatto che l’ASD
non aveva tenuto scritture contabili idonee a risalire all’effettiva capacità contributiva.
L’Amministrazione finanziaria ha, così, potuto affermare che, fino a prova contraria, l’ASD
aveva conseguito corrispettivi almeno per gli importi minimali desunti dal procedimento statistico,
derivanti dalla sola quota di iscrizione associativa, nonché dalle quote o contributi associativi
riscossi per il periodo di frequenza, senza tener conto dei corrispettivi specifici riscossi per le altre
attività (sauna, spinning, ecc.).
Ai predetti ricavi, quindi, andavano aggiunti anche quelli derivanti dalle altre attività.
Il frutto dell’intero assunto logico induttivo prospettato dai verificatori era provvisto di tutti
quei caratteri di gravità, concordanza, precisione, certezza, esattezza ed univocità che sono a
fondamento delle “presunzioni semplici”.
L’intero procedimento logico induttivo seguito, infatti, ha permesso di desumere
dall’esistenza di un fatto noto (numero degli associati, ricavi desunti dai questionari e dai listini
prezzi) quella di un fatto ignorato, nel presupposto che dovesse essere vero (corrispettivi e ricavi
complessivamente conseguiti).
Vi è conseguenza tra il fatto notorio e quello sconosciuto, ed anche il fatto noto risulta
accertato ed univoco.
50
DOTTRINA
Fisco e Sport……
A maggiore garanzia, tuttavia, la prova circa la scientificità del procedimento di ricostruzione
induttivo del volume d’affari, adottato dai verificatori, veniva acclarata dal successivo rinvenimento
di documentazione extracontabile che consentiva di riscontrare una sostanziale corrispondenza tra i
corrispettivi effettivamente conseguiti dal soggetto sottoposto a verifica e quelli supposti mediante
il procedimento statistico6
Considerazioni
Come dimostrato nell’esempio, la scienza statistica, nella ricostruzione di un volume d’affari
di un soggetto economico, ha consentito di fornire un dato preciso tale da garantire un margine di
sicurezza assolutamente incontrovertibile.
I requisiti della
gravità, concordanza, precisione, certezza, esattezza ed univocità, che
sono a fondamento delle “presunzioni semplici”, con l’utilizzo della scienza statistica sono stati
puntualmente assoggettati tale che il reale volume d’affari successivamente accertato sulla base
della documentazione extracontabile era ricompreso tra il valore minimale ed il valore massimale
stabilito dal procedimento logico-operativo adottato (inferenza statistica).
Conseguentemente, qualora i verificatori non avessero rinvenuto la documentazione
extracontabile, bene si poteva confutare il valore minimale dell’intervallo di confidenza come ricavi
effettivamente conseguiti, fattore più favorevole al contribuente ma pur sempre certo e
presumibilmente reale.
Da quanto precede, si aprono ampi spazi concettuali ed operativi sull’effettivo utilizzo della
scienza statistica ogni qual volta ciò si rende necessario da congiunture e circostanze legalmente
accettabili (presunzioni semplici in presenza, ad esempio, di contabilità inesistente, frammentaria o
inattendibile).
Non è da escludere, infine, che il ricorso alla scienza statistica possa trovare utilizzo anche in
altre occasioni come ad esempio la ricostruzione del valore di un magazzino partendo da una
rilevazione campionaria.
(*) Avvocato Esperto fiscale e giornalista pubblicista in Torino.
Cultore di “Diritto Commerciale” all’Università di Torino
6
in particolare, i corrispettivi effettivamente conseguiti dall’associazione sportiva erano pari ad un ammontare compreso tra gli
estremi minimo e massimo dell’intervallo di confidenza calcolato secondo il procedimento indicato in questa sede
51
DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
ANDREA PETRETTO, Tra vincolo di giustizia e clausola compromissoria passando
pag.53
per l’arbitrato irritale: il lodo Terzana Calcio s.p.a.
ROBERTO SANTONE,
Il tentativo di doping secondo il codice Wada: limiti della
prova nota alla decisione 13 Novembre 2008 n. 91 del tribunale nazionale
antidoping
pag.71
DOMENICO ZINNARI,
pag.92
Lavoratori sportivi senza troppi “formalismi” . Nota a
ordinanza del tribunale di Trento del 27 Ottobre 2008
FEDERICO GALLANA, Una discriminazione nella discriminazione : il caso Sokolov
52
pag.112
Il lodo Ternana calcio...
IL COLLEGIO ARBITRALE
Prof. avv. Ferruccio Auletta
Presidente
Prof. avv. Angelo Piazza
Arbitro
Avv. Dario Buzzelli
Arbitro
nominato in data 6 agosto 2008 ai sensi del Regolamento della Camera di Conciliazione e
Arbitrato per lo Sport (“Regolamento”), riunito in conferenza personale in data 15 settembre 2008
presso la sede dell’arbitrato,
ha deliberato all’unanimità il seguente
LODO
nel procedimento di arbitrato (prot. n. 1387 del 21.7.2008) promosso da:
TERNANA Calcio s.p.a., in persona dell’amm.re unico Stefano De Dominicis, con sede in
Terni (05100), via Alerai n. 10, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Giotti presso il cui studio è
elettivamente domiciliato in Colle Val d’Elsa (SI), via Mazzini n.4
ricorrente
contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del Presidente dr Giancarlo Abete, con sede in
Roma (00198), via Allegri n. 14, rappresentata e difesa unitamente e disgiuntamente dagli avv.ti
Luigi Medugno e Mario Gallavotti, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in
Roma, Via Po n.9
resistente
53
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
La Ternana calcio s.p.a., in conseguenza di asseriti danni patrimoniali determinati dalla
dichiarata nullità del lodo arbitrale reso in data 20 ottobre 2006 dal collegio arbitrale costituito
presso la Lega Professionisti Serie C nel procedimento promosso nei confronti della stessa Società
dal calciatore Kharja Houssine, ha richiesto in data 21 marzo 2008 alla Federazione Italiana Giuoco
calcio di poter adire l’A.G. per domandare il relativo risarcimento nei confronti dei componenti il
suddetto collegio di arbitri. Invero, ai sensi dell’art. 30 dello Statuto della F.I.G.C., “il Consiglio
federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in
deroga al vincolo di giustizia”; autorizzazione senza della quale l’azione in giudizio “comporta
l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali”.
In data 15 maggio 2008, la F.I.G.C. ha comunicato all’istante che “non è stata concessa
l’autorizzazione ad adire le vie legali” e, in particolare, che “non [erano] state ravvisate le gravi
ragioni di opportunità per la concessione dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 30, comma 4 dello
Statuto Federale”.
La Ternana calcio s.p.a. nella “istanza di arbitrato” ha precisato che “la richiesta di
risarcimento danni sarebbe stata formulata in conformità a quanto previsto dall’art. 813 ter c.p.c.
che disciplina la responsabilità degli arbitri”; perciò si duole dell’assenza di una “adeguata
motivazione” nel provvedimento di diniego dell’autorizzazione ad agire, di cui domanda
l’annullamento “per difetto di motivazione e/o per tutti gli altri motivi che venissero accertati”.
La F.I.G.C. ha eccepito “l’inammissibilità dell’istanza di arbitrato proposta dalla società
Ternana per l’assenza di un accordo compromissorio tra le parti che attribuisca alla Camera il potere
di conoscere della domanda avversaria”, in particolare sostenendo che “il diniego di esonero dal
vincolo di giustizia non può dare luogo all’instaurazione di una controversia con la Federazione
secondo la comune accezione del termine” siccome “l’istante non può vantare una posizione
giuridica che assurga a dignità di pretesa azionabile in sede arbitrale e/o giudiziaria”, tanto più
considerando l’inattitudine lesiva del provvedimento “impugnato”. Invero, l’azione in giudizio non
sarebbe comunque preclusa nonostante il “rischio di un’azione disciplinare”. In ogni caso, conclude
la difesa della F.I.G.C., questo Collegio non potrebbe “accordare l’autorizzazione richiesta” per
difetto di ogni potere “sostitutivo”.
54
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
La F.I.G.C. ritiene, inoltre, che la “valutazione di inopportunità” di cui si discuta sia
incensurabile di per sé, e comunque si sottrae in concreto al vizio denunciato.
Alla udienza del 3.9.2008 le parti hanno svolto le proprie difese oralmente e il Collegio
arbitrale, ritenuta la causa matura per la decisione senza altre acquisizioni istruttorie, si riservava di
deliberare il lodo, ciò che avveniva in conferenza personale tenuta dagli arbitri in data 15 settembre
2008.
MOTIVI
1. La controversia “non [ha] per oggetto dritti indisponibili” (art. 806 c.p.c.); essa concerne, in
particolare, “diritti […] degli associati” (art. 16 c.c.) così riuscendo prospettata dalla parte attrice
anche la pretesa di accertamento della violazione, da parte della F.I.G.C., dell’obbligo (almeno) di
motivazione del provvedimento reiettivo dell’ istanza di autorizzazione ad agire presso l’A.G.. Né è
revocabile in dubbio che la parte attrice abbia interesse concreto e attuale alla presente domanda
giudiziale, atta com’è a rimuovere preventivamente il paventato “rischio di un’azione disciplinare”
(secondo le espressioni impiegate dalla difesa della stessa F.I.G.C.).
Dunque, non sussistono ragioni impedienti all’esame di merito della suddetta pretesa, la quale
è sostanzialmente intesa ad accertare la non conformità alle norme statutarie applicabili della
condotta tenuta dalla F.I.G.C., in occasione dell’adozione dell’atto “illegittimo” (anche “per tutti gli
altri motivi che venissero accertati”, con formula additiva del petitum che -se non vale a escludere
di per sé la fondatezza della sollevata eccezione sulla limitazione del titolo della domandanaturalmente non osta all’estensione dell’esame anche officioso verso le questioni che
rappresentano un antecedente logico necessario del petitum principale, qual è la questione
dell’esistenza stessa del potere rispetto alle modalità del cui esercizio si tratta).
2. La norma che contiene il c.d. “vincolo di giustizia” - art. 30 Statuto F.I.G.C.- determina per
i “tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono attività
di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’ordinamento
federale” l’obbligo di “accetta[zione del]la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento
adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo
svolgimento dell’attività federale nonché delle relative vertenze di carattere giuridico, disciplinare
ed economico”.
55
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
Nella fattispecie, non ricorrono gli elementi costitutivi del c.d. “vincolo di giustizia” (e
dunque fa assoluto difetto l’attribuzione di ogni eventuale potere derogatorio in capo alla F.I.G.C.)
poiché i componenti del collegio arbitrale (in ipotesi destinatari dell’azione giudiziaria
promuovibile dalla Ternana calcio s.p.a.) non integrano “organi o soggetti delegati”, in quanto tali
“appartenen[ti] all’ordinamento settoriale sportivo” (art. 30 Statuto, cit.).
Gli arbitri in questione originano, infatti, dalla previsione, che -nelle controversie arbitrabili di
cui all’art. 409 c.p.c.- non può che essere necessariamente eteronoma rispetto all’ autonomia
federale (artt. 806, 2° comma, e già 808, 2° comma, c.p.c.), recante la “Disciplina del lavoro
subordinato sportivo”, segnatamente contenuta nell’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91: “Il
rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la
stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria
delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all'accordo
stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie
interessate. (omissis). Nello stesso contratto potrà essere prevista una clausola compromissoria con
la quale le controversie concernenti l'attuazione del contratto e insorte fra la società sportiva e lo
sportivo sono deferite ad un collegio arbitrale.
La stessa clausola dovrà contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero degli
arbitri e il modo di nominarli”.
I collegi arbitrali (incluso quello de quo) vengono, quindi, costituiti giusta le ulteriori
previsioni dell’Accordo collettivo tra le associazioni rappresentative delle parti (ai sensi degli artt.
806, 2° comma, e già 808, 2° comma, c.p.c.), senza che la precaria investitura di singoli arbitri per
l’una o l’altra controversia tra Società e Calciatore possa di volta in volta determinare in capo agli
stessi arbitri una stabile “appartenenza all’ordinamento settoriale” ovvero la “costituzione di [alc]un
rapporto associativo”, elementi altrimenti necessari per l’ immedesimazione organica o l’esercizio
(foss’anche soltanto) delegato di funzioni “rilevanti per l’ordinamento federale” in via immediata.
Del resto, senza così voler trarre argomenti dirimenti da previsioni aliene rispetto a quelle di
più diretto interesse, lo svolgimento di mandati arbitrali rimane normalmente (v. art. 19, comma 5,
Reg. Camera conc. arb. C.O.N.I.) imputabile (come le connesse responsabilità) esclusivamente ai
soggetti che direttamente ne risultano affidatari per elezione delle parti in conflitto, rimanendo il
diverso rapporto di amministrazione dell’ arbitrato, eventualmente corrente con organi o soggetti
comunque appartenenti all’ ordinamento federale (quali “Le Leghe”, nella specie per cui è causa),
56
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
distinto rispetto al mandato arbitrale vero e proprio, il quale sempre connette in via speciale quanto
episodica le parti, congiuntamente tra loro, con gli arbitri chiamati a dirimerne le liti.
In definitiva, difettano nelle circostanze per le quali l’azione giudiziaria è stata prospettata
dalla Ternana calcio s.p.a. contro gli autori del lodo dichiarato nullo gli elementi essenziali alla
riconoscibilità del c.d. “vincolo di giustizia”, talchè, ove concretamente esperita, l’azione medesima
non potrebbe comunque sostanziare alcun comportamento “volto a eludere il vincolo di giustizia”.
Dal superiore accertamento di non conformità alle norme statutarie applicabili della condotta
tenuta dalla F.I.G.C., in occasione della determinazione “impugnat[a]”, deriva che quest’ultima -ad
instar di provvedimento viziato per “difetto assoluto di attribuzione” (arg. ex art. 21-septies l. 7
agosto 1990, n. 241)- deve ritenersi incapace di alcuna efficacia nei confronti della Ternana calcio
s.p.a.
3. Poichè la genesi della controversia non appare, dal punto di vista causale, totalmente
estranea alla stessa condotta della parte attrice, benché all’esito vittoriosa nel conseguimento
dell’utilità sostanziale ricercata con la domanda di arbitrato, sussistono giusti motivi per l’integrale
compensazione tra le parti delle spese del procedimento e per assistenza difensiva.
P.Q.M.
Il Collegio, definitivamente pronunciando nella controversia promossa da Ternana calcio
s.p.a. contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così
provvede:
• dichiara inefficace nei confronti della Ternana calcio s.p.a. la determinazione della F.I.G.C.,
comunicata in data 15 maggio 2008 (prot. n. 5.432), di “non […] concessione dell’autorizzazione ai
sensi dell’art. 30, comma 4 dello Statuto Federale”;
• dichiara interamente compensate tra le parti le spese del procedimento e per assistenza
difensiva;
• dichiara le parti tenute in egual misura, con vincolo di solidarietà, al pagamento dei diritti
degli arbitri, come separatamente liquidati, nonché dei diritti della Camera di Conciliazione e
Arbitrato per lo Sport.
Così deliberato all’unanimità dei voti in conferenza personale degli arbitri riuniti presso la
sede della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, in Roma, il 15 settembre 2008, e
sottoscritto in numero di tre originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati.
57
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
TRA VINCOLO DI GIUSTIZIA E CLAUSOLA
COMPROMISSORIA PASSANDO PER L’ARBITRATO
IRRITUALE: IL LODO TERNANA CALCIO S.P.A.
di Andrea Petretto (*)
SOMMARIO:
Introduzione
1. Il Vincolo di Giustizia e la clausola compromissoria
2. Il procedimento arbitrale sportivo e il suo rapporto con il vincolo di giustizia
sportiva.
3. Conclusioni.
Introduzione
Il lodo in esame, successivo alla dichiarazione di nullità della sentenza arbitrale resa in data
20 ottobre 2006 dal collegio arbitrale costituito presso la Lega Professionisti Serie – C
relativamente al procedimento promosso dal giocatore Kharija Houssine nei confronti della Ternana
Calcio S.p.A., deriva dal rifiuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) alla richiesta
della suddetta società calcistica di poter adire, in deroga alla clausola compromissoria federale,
l’autorità giudiziaria ordinaria contro gli arbitri del collegio che avevano emesso la decisione sopra
accennata adducendo danni patrimoniali non indifferenti.
L’autorizzazione fu negata dalla F.I.G.C., poiché riteneva non fossero “state ravvisate le gravi
ragioni di opportunità per la concessione dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 30,4° comma, dello
statuto federale” necessarie al fine di derogare al vincolo di giustizia eccependo, inoltre,
l’inammissibilità della richiesta di arbitrato per assenza di un accordo compromissorio tra le parti
che attribuisca alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (di seguito C.C.A.S.) il potere
di conoscere della domanda della Ternana Calcio S.p.A..
58
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
In particolare, sosteneva che il diniego di esonero dal vincolo di giustizia non può dare luogo
all’instaurazione di una controversia con la federazione, poiché la società calcistica istante non
poteva vantare una posizione giuridica che assurgesse a dignità di pretesa azionabile in sede
arbitrale o giudiziaria, tanto più se si considera l’inattitudine lesiva del provvedimento impugnato.
Inoltre, sempre secondo la F.I.G.C., l’azione in giudizio non sarebbe comunque preclusa,
nonostante il rischio di un’azione disciplinare.
Il collegio arbitrale costituito, però, sostiene come non vi siano gli elementi costitutivi del c.d.
vincolo di giustizia, conseguentemente alla natura stessa dei soggetti che compongono il precedente
collegio arbitrale imputato, ai quali la società calcistica in oggetto addebita la responsabilità ex art.
813-ter Cod. Proc. Civ., poiché non sono soggettivamente inquadrabili nelle fattispecie previste
dall’art. 30 dello statuto federale e, pertanto, non possono essere considerati organi o soggetti
delegati e non vanno quindi considerati come appartenenti all’ordinamento sportivo.
Gli arbitri in questione, infatti, anche secondo quanto statuito dalla C.C.A.S., originano dalla
previsione contenuta nell’art. 4 della legge n. 91 del 1981 in base alla quale i collegi arbitrali sono
costituiti in forza di quanto contenuto nell’accordo collettivo tra le associazioni rappresentative
delle parti ai sensi degli artt. 806, 2° comma, e 808, 2° comma, Cod. Proc. Civ., senza, però, che la
temporanea investitura dei singoli arbitri per l’una o l’altra controversia tra società e calciatore
comporti una stabile appartenenza all’ordinamento settoriale o la costituzione di alcun rapporto
associativo, elementi questi ritenuti necessari al fine di essere considerati parti integranti
l’ordinamento federale.
In relazione all’atto originario del rapporto, ossia il mandato arbitrale, la C.C.A.S. ritiene che
lo svolgimento dello stesso sia esclusivamente imputabile ai soggetti diretti affidatari per elezione
delle parti in conflitto, rimanendo, invece, il diverso rapporto di amministrazione dell’arbitrato
“[…] distinto rispetto al mandato arbitrale vero e proprio, che sempre connette in via speciale
quanto episodica le parti, congiuntamente tra loro, con gli arbitri chiamati a dirimerne le liti […]”.
È in base a queste considerazioni che la C.C.A.S. giunge alla conclusione che il vincolo di
giustizia non può sussistere e, di conseguenza, l’azione giudiziaria prospettata dalla Ternana Calcio
S.p.A. non potrebbe sostanziare alcun comportamento volto ad eludere il vincolo di giustizia.
59
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
Pertanto, quanto statuito nel corpo centrale del lodo emanato dalla C.C.A.S., che dichiara
l’inefficacia del diniego federale verso la Ternana Calcio S.p.A. per difetto assoluto di attribuzione
in capo alla federazione, e, al contempo afferma come l’azione ex art. 813 Cod. Proc. Civ. dinanzi
all’autorità giudiziaria ordinaria sia liberamente esercitabile dai tesserati o affiliati alla federazione,
ha apportato una definizione sull’argomento non indifferente.
Occorre, però, prima di entrare nel merito e poter comprendere e giungere comunque alla
medesima conclusione della C.C.A.S., procedere per gradi muovendo necessariamente dalla
distinzione di alcuni istituti rilevanti all’interno dell’ordinamento sportivo come quella tra vincolo
di giustizia e clausola compromissoria passando per l’arbitrato irrituale e l’applicazione dell’art.
813-ter cod. proc. Civ. partendo da principi ispiratori dell’ordinamento sportivo tra cui, primo e più
importante tra tutti, il principio dell’autonomia dello stesso.
1. Il Vincolo di Giustizia e la Clausola Compromissoria.
È noto, ormai, come il nostro ordinamento statale riconosca una serie di fenomeni
associazionistici complessi e di carattere collettivo che possiedono i caratteri della plurisoggettività,
dell’organizzazione e della normazione ai quali ci si possa riferire come degli ordinamenti giuridici
settoriali dotati di una certa autonomia propria, operanti nel rispetto della supremazia dello stesso
ordinamento statale, il quale, attraverso la stessa Costituzione (artt. 2 e 18 cost.), ne sancisce e
riconosce la legittimità, tra i quali si annovera anche l’ordinamento sportivo nazionale italiano.1
È d’obbligo precisare che sotto il profilo della teoria generale del diritto l’autonomia non
costituisce affatto sinonimo di sovranità, per la quale deve intendersi la piena e incondizionata
effettività della cogenza, potendo così considerare un ordinamento giuridico sovrano, quando sarà
originario, e cioè quando trae da se stesso l’origine della propria vigenza, validità, ed effettività. 2
Tali caratteristiche si individuano sicuramente all’ordinamento sportivo nazionale italiano
che, proprio in virtù della autonomia appena descritta, potrà dettare norme nel rispetto inderogabile
di quei principi fondamentali e di quegli inalienabili diritti della persona umana insuscettibili di
violazione da parte di qualsiasi ordinamento giuridico particolare e autonomo di cui lo Stato è
garante.
1
2
M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. Dir. Sport., 1949, n. 1-2, pp. 10 e ss.
S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, FIRENZE, 1966.
60
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
Fondamentale all’uopo si rivela il D.L. 19 agosto 2003 n. 220 (convertito con modificazioni
dalla legge del 17 ottobre 2003) che, dopo aver riconosciuto e favorito l’autonomia
dell’ordinamento sportivo nazionale, ispira al principio della stessa autonomia i rapporti tra
l’ordinamento sportivo e il diritto statale con l’unica eccezione dei casi di rilevanza per
l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con
l’ordinamento sportivo.
Notevole importanza, a tal proposito, riveste l’art. 2 della stessa legge di conversione, in forza
del quale viene riservata all’ordinamento sportivo ogni questione avente ad oggetto l’osservanza e
l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo
nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive,
nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative
sanzioni disciplinari sportive con il corollario che ogni giudice statuale difetta, in radice, di
giurisdizione in proposito.
Così posto, lo Stato stesso ha dichiarato apertamente il proprio disinteresse per ogni questione
riguardante quanto appena descritto, di modo che nessuna violazione di tali norme sportive potrà
considerarsi di alcun rilievo per l’ordinamento dello Stato stesso.
Più volte, però, il T.A.R. ha chiarito come detta disposizione, unitamente a quanto statuito
dall’art. 1, 2° comma, della stessa legge di conversione, non appare operante nel caso in cui la
sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma influisce
nell’ordinamento generale dello Stato (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 22 agosto 2006, n. 7331; T.A.R.
Lazio, sez. III, 18 aprile 2005, n. 2801; T.A.R. Lazio, sez. III, 14 dicembre 2005, n. 13616).
È questa precisazione che porta a considerare di notevole importanza ciò che in parte
definisce il limite, sottile e problematico, tra ordinamento generale dello Stato e ordinamento
sportivo: il vincolo di giustizia.
Detto vincolo sorge conseguentemente agli atti del tesseramento, per quanto riguarda le
persone fisiche, o dell’affiliazione, per quanto riguarda, invece, il rapporto tra la federazione e le
persone giuridiche quali società e associazioni.
I predetti atti rivestono un ruolo importante, a volte sottovalutato, poiché è a seguito degli
stessi che i soggetti interessati diventeranno un centro di imputazione di una serie di diritti e di
doveri dell’ordinamento sportivo, tra cui il vincolo di giustizia.
61
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
Il tesseramento, o l’affiliazione per le persone giuridiche, pertanto, è la condicio iuris
indispensabile per l’accesso all’ordinamento sportivo e costituisce un vero e proprio onere a carico
dell’istante, che, al di là della sua natura, si concretizza in una manifestazione chiara e consapevole
della volontà di accettare, con l’associazione, il complesso delle regole e dei principi che la
Federazione Sportiva Nazionale (F.S.N.) si è data.3
Tra queste notevole influenza ricopre, per l’appunto, il vincolo di giustizia, ossia la
preclusione in capo ad affiliati e tesserati di adire – pena la sanzione disciplinare – gli organi della
giustizia statale per dirimere le controversie sorte in ambito sportivo, per fatti, quindi, che,
considerata la loro specificità, possono essere stimati di ragguardevole interesse ai fini della
responsabilità solo per l’ordinamento giuridico sportivo, senza avere alcun diretto rilievo
nell’ambito statale imponendo, così, agli stessi di conformarsi ai provvedimenti e alle decisioni
degli organi a ciò preposti.
Proprio in virtù del soprarichiamato principio di autonomia, infatti, il legislatore ha riservato
all’ordinamento sportivo nazionale la disciplina di questioni aventi ad oggetto l’osservanza e
l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie del medesimo, nonché delle sue
articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed i comportamenti
rilevanti sul piano disciplinare.
L’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive, però, chiaramente
esclude la tutela di diritti indisponibili e di interessi legittimi, per i quali non è possibile rinunciare
preventivamente alla tutela giurisdizionale statale.
Già da questi brevi cenni si comprende come il vincolo di giustizia non abbia un carattere
assoluto, ma la sua validità dovrà essere limitata alle questioni rilevanti unicamente all’interno
dell’ordinamento sportivo e che qui esauriscono i propri effetti escludendo ogni rilievo per
l’ordinamento statale.
I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive
connesse con l’ordinamento sportivo, infatti, verranno attribuiti alla giurisdizione del giudice
ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.
Difficile sarà stabilire i confini di quando ciò sia o meno possibile.
A questo viene in aiuto l’art. 3 della legge di conversione che devolve al giudice ordinario le
controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni, ed atleti e alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, ogni altra controversia avente ad oggetto
3
V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, GIUFFRÈ, MILANO, 1925, pp. 125 e ss.
62
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
atti del C.O.N.I. e delle Federazioni non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo
ai sensi del precedente art. 2.
Una precisazione a questo punto è d’obbligo a proposito della clausola compromissoria, ossia
l’accettazione, all’atto del tesseramento, della possibilità di devolvere ad un collegio arbitrale la
cognizione dei rapporti economico-patrimoniali tra società sportiva e professionista tesserato con la
federazione dando così vita ad un rapporto di arbitrato obbligatorio (si è ampiamente trattato, in
dottrina, della disputa sulla presunta incostituzionalità dello stesso arrivando alla considerazione,
per ora conclusiva, che la stessa clausola, accettata dal singolo tesserato all’atto del tesseramento,
risulta essere il prodotto di una espressa manifestazione di volontà e che non impedisce comunque il
ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria).4 e 5
Sostanziale differenza tra la clausola compromissoria e il vincolo di giustizia, quindi, è, che,
mentre la prima è l’impegno assunto all’atto del tesseramento di risolvere le controversie originate
dall’attività sportiva ad appositi collegi arbitrali, le cui decisioni, se ricorrono determinati
presupposti, possono aver efficacia anche all’esterno nell’ordinamento statale, il secondo, invece,
riguarda l’obbligo di adire in via esclusiva gli organi di giustizia federale sportiva per la materia
tecnico-sportiva6
È da evidenziare, dunque, come la clausola compromissoria e il vincolo di giustizia si
muovono su piani distinti e tra loro non confrontabili, ma è altrettanto necessario riconoscere come
alle volte, anche se non interamente, possano essere sovrapponibili.
Attenta dottrina, infatti, individua due ambiti in cui si verifica detta sovrapposizione di
operatività della stessa clausola compromissoria: il primo, connesso al vincolo di giustizia che
diviene anche lo strumento attraverso il quale si esercita l’autodichia interna, che obbliga l’associato
ad accettare le decisioni degli organi di giustizia federale ed il secondo, che diviene invece lo
strumento attraverso il quale specifiche controversie vengono sottratte alla cognizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria realizzando la più ampia autonomia dell’ordinamento settoriale, che obbliga
l’associato a deferire in arbitrato determinate controversie.7 e 8
4
L. FUMAGALLI, La risoluzione delle controversie sportive: metodi giurisdizionali, arbitrali ed alternativi di
composizione, in Riv. Dir. Sport, 1999, pp. 245 e ss.
5
V. FRATTAROLO, op. cit..
6
A. DE SILVESTRI, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincoli e accordi economici, in AA.VV. “Vincolo
sportivo e diritti fondamentali”, 2002, pp. 31-65.
7
R. CAPRIOLI, L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, 1997.
8
R. PERSICHELLI, Le materie arbitrali all’interno della giurisdizione sportiva, in Riv. Dir. Sport, n. 1, 1996, pp. 706 e ss.
63
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
Particolare rilevanza in proposito acquistano i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e
atleti, nel cui caso, esaurito l’obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative
controversie vengono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
È fuor di dubbio, quindi, che, come confermato dal più recente intervento legislativo che ha
allocato nella sfera dell’indifferenza giuridico - statale le c.d. questioni tecniche e quelle
disciplinari, le controversie patrimoniali - economiche assumano, seppur sorte in ambito sportivo,
una rilevanza esterna.9
Come sopra accennato, e anche in conseguenza dell’applicazione della clausola
compromissoria, particolare rilevanza acquisisce il procedimento arbitrale che dovrà essere
considerato come mezzo di definizione e delle controversie sorte in ambito sportivo, e
dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, divenendo, così, la sottile linea di confine con lo stesso.
2. Il procedimento arbitrale sportivo e il suo rapporto con il vincolo di giustizia sportiva.
Occorre a questo punto fare un distinguo sulla tipologia di arbitrato e definirne, in prima
analisi, l’identità.
Il procedimento arbitrale che interessa nel caso di specie, in seno al quale è insorta la
controversia decisa con il lodo in oggetto, è, così come opportunamente richiamato dalla decisione
arbitrale in commento, previsto dall’art. 4, 5° comma, della legge n. 91 del 1981 al quale
giurisprudenza prevalente assegna la forma di arbitrato irrituale (Cass. SS.UU., sent. n. 4914 del
1993).
Ormai noto, infatti, è come la procedura arbitrale prevista dall’accordo collettivo con
predisposizione del contratto-tipo tra calciatori professionisti e società sportive, stipulato tra la
F.I.G.C., la Lega Nazionale Professionisti (L.N.P.) e l’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.), cui
viene annesso un regolamento del collegio arbitrale, sia da considerarsi irrituale.10
Del resto non potrebbe essere altrimenti, se si considera che l’arbitrato rituale può essere
regolato esclusivamente dalle norme di diritto ordinarie, mentre le norme collettive non operano
alcun richiamo alle prescrizioni del Cod. Proc. Civ. in tema di arbitrato rituale, ma rinviano
semplicemente alla procedura dettagliata nel regolamento allegato per il funzionamento del collegio
9
F.P. LUISO,
10
La giustizia sportiva,Giuffrè, Milano, 2005.
L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, in Riv. Arb., 1999.
F.P. LUISO,
64
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
arbitrale che, pure, non porta alcun riferimento alle norme ordinarie manifestando, quindi,
un’evidente deroga alle medesime. 11
Inoltre, l’arbitrato irrituale, come confermato da giurisprudenza di merito (ordinanza
Tribunale di Catania del 7.7.1999) che ha conferito ad un lodo pronunciato dal collegio arbitrale
previsto nell’accordo collettivo A.I.C. – Lega di Serie C, è l’unica tipologia prevista dalla disciplina
giuslavoristica che consente di derogare alla competenza esclusiva del giudice del lavoro.12 e 13
L’arbitrato irrituale (o libero), inoltre, ha la forma, la sostanza e gli effetti di un patto
contrattuale e la decisione cui pervengono gli arbitri costituisce un obbligo di natura contrattuale
che potrà essere eseguito nelle forme ordinarie dell’ingiunzione o con altra specifica azione
giudiziaria ordinaria.14
Dalla natura negoziale si può, quindi, far discendere che l’arbitro irrituale agisce quale
mandatario delle parti in controversia le quali, conferendogli l’incarico fiduciario di raggiungere un
accordo transattivo della lite (art. 1965 Cod. Civ.) o di accertare i reciproci diritti, si impegnano a
considerare la decisione dell’arbitro come propria volontà contrattuale, obbligatoria e vincolante.
Valutandolo in questo modo pronto corollario è, ad esempio, come il lodo non sia
impugnabile per iniquità, ma solo per i tipici vizi contrattuali quali l’errore, la violenza, il dolo,
l’incapacità degli arbitri, l’incapacità delle parti.
Nella fattispecie, inoltre, accettando questa valutazione si rende necessaria un’ulteriore
distinzione relativamente alle questioni che ineriscono alla successiva controversia che vedrà
contrapposti gli arbitri (o uno di essi) ad una o entrambi le parti dell’arbitrato.
Tale controversia riguarda, in particolare, il rapporto di mandato sul quale si basa il potere
degli arbitri irrituali di definire negozialmente la controversia insorta tra i mandanti.
La suddetta distinzione, infatti, è fondamentale al fine di comprendere la posizione qui presa
dalla C.C.A.S., che non considera il procedimento arbitrale tra il calciatore e la società sportiva
fondato sulla clausola compromissoria di cui all’art. 30, 3° comma, statuto F.I.G.C., bensì, in quella
prevista nell’accordo collettivo che è stato sottoscritto dalle rispettive rappresentanze sindacali e di
categoria ai sensi di quanto previsto in via generale all’art. 412-ter, 2° comma e, in via speciale, per
il rapporto di lavoro sportivo all’art. 4, 5° comma, della legge n. 91 del 1981.
11
P. RESCIGNO, Arbitrato
12
F.P. LUISO,
e autonomia contrattuale, in Riv. Dir. Sport., 1991, pp. 16 e ss.
L’arbitrato sportivo fra ordinamento statale e ordinamento federale, in Riv. dell’arbitrato, 1991, pp. 840-
846.
13
F.P. LUISO, L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro, in Riv. Arb., 1999.
14
M. CURTI, L’arbitrato: le novità della riforma, D. Lgs. 2 febbraio 2006, 2006.
65
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
È da rilevare, però, come autorevole dottrina si sia espressa in merito pronunciandosi anche in
modo contrario all’orientamento adottato dalla C.C.A.S., sostenendo che il lodo pronunciato nella
sede arbitrale collettiva è un atto assoggettato al vincolo di giustizia previsto dall’ordinamento
federale ai commi 1 e 2 dell’art. 30, poiché, sul piano soggettivo, le parti coinvolte sono
necessariamente un atleta tesserato ed una società sportiva affiliata, soggetti quindi protagonisti
dell’ordinamento sportivo in generale e, nello specifico, espressamente elencati all’art. 30, 1°
comma, dello statuto F.I.G.C..
Detta dottrina sostiene, inoltre, che sul piano oggettivo il collegio arbitrale non è certamente
un “organo federale” in senso tecnico, ma nulla può escludere che sia un soggetto delegato in una
materia comunque riconducibile allo svolgimento dell’attività federale e, quindi, ai sensi e per gli
effetti della norma in esame, assolutamente assimilabile all’organo in senso tecnico.
La succitata dottrina giunge inevitabilmente a detta conclusione sostenendo che sia la stessa
legge n. 91 del 1981 che all’art. 2 riserva il professionismo sportivo esclusivamente ai soggetti così
qualificati dalle F.S.N. e che, all’art. 4, pone le stesse F.S.N. al centro della contrattazione collettiva
quali garanti super partes delle associazioni rappresentativa firmatarie.
Inoltre, ricollegandosi alla natura irrituale del procedimento arbitrale, considera il lodo come
un atto negoziale pronunciato dagli arbitri, i quali devono essere considerati come mandatari
delegati delle parti in controversia: l’atleta tesserato e la società affiliata tra i quali intercorre - o è
intercorso – il rapporto di lavoro sportivo.15
All’art. 21 dell’accordo collettivo vigente tra la L.N.P. e l’A.I.C., per di più, l’obbligo di
accettare senza riserve i lodi è espressamente previsto.
È d’uopo precisare, però, che il vincolo di giustizia che grava così sul lodo che ha definito la
controversia di lavoro sportivo non può estendersi fino ad obbligare le parti mandanti a rinunciare
alla loro tutela avverso i casi in cui l’ordinamento rileva la responsabilità degli arbitri. Ogni diversa
argomentazione comporterebbe un’inaccettabile guarentigia per l’operato degli arbitri che, come
tutti gli ordinamenti, sono tenuti al rispetto del principio del neminem ledere.
Questo, dunque, esclude l’operatività dell’art. 30 dello statuto della F.I.G.C. sul fronte del
vincolo di giustizia propriamente detto.
15
PERSICHELLI,
op. cit..
66
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
3. Conclusioni.
Rimane, però, da esaminare se detta controversia sia assoggettata o meno alla clausola
compromissoria di cui all’art. 30, 3° comma, della citata norma statutaria.
L’analisi non può che partire da una premessa certa, ossia che, così come per il vincolo di
giustizia, anche per la clausola compromissoria l’individuazione dei soggetti che ad essa sono
sottomessi è operata con rinvio all’art. 30, 1° comma.
L’azione di responsabilità verso gli arbitri, infatti, è inevitabilmente promossa da un soggetto
rilevante per l’ordinamento federale: atleta o società i quali, con il tesseramento, hanno
espressamente accettato e sottoscritto il patto associativo anche nella parte in cui prevede il
compromesso per la pregiudiziale sportiva.
Per le suesposte ragioni in tema di vincolo di giustizia, anche i collegi de quibus, e quindi gli
arbitri che li compongono, sono soggetti rilevanti per ordinamento federale. Inoltre, gli arbitri sono
scelti dalle parti in lite tra le persone indicate negli elenchi depositati presso la F.I.G.C. dalle
competenti Leghe e dall’A.I.C., secondo le disposizioni delle carte federali ed assumono la loro
funzione consapevoli che dovranno operare e decidere nell’ambito delle norme federali e delle
funzioni che esse attribuiscono loro.
Potrebbe così sostenersi che l’accettazione dell’arbitro ad essere inserito negli appositi elenchi
costituisce accettazione implicita di tutte le norme federali e – quindi – anche della clausola
compromissoria che lo porrebbe come soggetto legittimato passivamente a essere convenuto
dinanzi agli organi sportivi per le sue responsabilità.
In tal modo, anche la lite tesserati, o affiliati, contro i loro arbitri sarebbe soggetta alla
clausola compromissoria federale e, per l’effetto, le parti attrici sarebbero obbligate ad esercitare
l’azione secondo quanto previsto dall’art. 30 , 3° comma, dello statuto F.I.G.C..
Un importante e fondamentale passaggio da tenere a mente, che risolve detta questione e
viene qui recepito, è che, pur mancando nell’ordinamento un organo deputato alla risoluzione di tali
specifiche controversie, la norma federale colma detta lacuna prevedendo una competenza residuale
generale della C.C.A.S..
La stessa dottrina, che in parte si pone in maniera contraria alle premesse della C.C.A.S.,
sostiene, infatti, che nella delicata materia della devoluzione ad arbitri di una lite non è sufficiente
un’accettazione implicita della competenza di un organo diverso dal giudice ordinario, ma sia
67
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
necessaria una rinuncia ad adire quest’ultimo risultante da un atto scritto così come poi stabilito
anche dagli artt. 807 e 808-ter Cod. Proc. Civ..
Infatti, né l’ordinamento federale, né gli accordi collettivi, prevedono per i componenti dei
collegi arbitrali la previa sottoscrizione di una clausola compromissoria che li obblighi a devolvere
le controversie in rubrica ad organi dell’ordinamento sportivo.16
Seppure contrariamente a quanto affermato dalla C.C.A.S., si ritiene che i collegi arbitrali, e
singolarmente gli arbitri che li compongono, hanno una stabile appartenenza all’ordinamento
settoriale, ma si deve anche giungere alla medesima conclusione prospettata dalla medesima
Camera, escludendo che – in difetto di un vincolo formale, quali sono esclusivamente il
tesseramento e l’affiliazione, nonché la sottoscrizione della clausola compromissoria – gli arbitri
de quibus siano legittimamente convenuti dinanzi gli organi sportivi da parte dei tesserati, o affiliati,
che reclamano la loro responsabilità per danni.
Tale difetto di legittimazione degli arbitri ad essere convenuti nell’ambito della giurisdizione
sportiva, esonera quindi i tesserati e, o affiliati che escutono la loro responsabilità dai vincoli
associativi posti dall’art. 30 statuto federale, con pieno loro diritto di adire il giudice ordinario, che,
pertanto, rimane l’unica sede dinanzi alla quale è possibile rivolgere la vocatio in ius degli arbitri,
senza che il diritto a tale azione possa essere sottoposto alla previa autorizzazione in deroga prevista
dall’ordinamento federale.
Pur volendo appoggiare la tesi contraria a quella sostenuta dalla C.C.A.S. e, quindi, a
differenza della stessa si volesse ritenere che la qualificazione soggettiva degli attori sia condizione
sufficiente affinché questi, volendo agire innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria al fine di
richiedere asseriti danni patrimoniali nella controversia contro gli arbitri di un lodo, debbano
necessariamente e sempre richiedere –come quindi giustamente fatto dalla Ternana Calcio - la
deroga di cui all’art. 30, si giunge comunque alla medesima conclusione della C.C.A.S. rilevando
che il prospettato difetto degli arbitri ad essere convenuti nelle sedi sportive integrerebbe quella
grave ragione di opportunità che, ai sensi del comma 4° della citata norma statutaria, deve
determinare comunque, ed inevitabilmente, la federazione a concedere all’affiliato, in questo caso,
la deroga al vincolo di giustizia per procedere innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.
16
F. AULETTA,
Arbitri e responsabilità civile, in Riv. Arbitrato, 2005.
68
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
La C.C.A.S, infatti, specifica come detto tipo di collegio arbitrale non sia da considerarsi
stabilmente appartenente all’ordinamento settoriale, né che implichi la costituzione di alcun
rapporto associativo, elementi necessari per l’immedesimazione organica o l’esercizio, quantomeno,
delegato di funzioni rilevanti per l’ordinamento federale in via immediata.
Tale funzione è stata riconosciuta all’arbitrato dallo stesso D.L. 19 agosto 2003 (convertito
con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2003, n. 280), al cui art. 3, fissata una “pregiudiziale” sportiva
e stabilita la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie attinenti ai rapporti patrimoniali
tra società, associazioni e atleti, e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per ogni
altra controversia avente ad oggetto atti del C.O.N.I. o di una federazione, fa espressamente salve le
clausole che deferiscono ad arbitrato entrambe le categorie di controversie.
Sicuramente, quindi, si potrà parlare di arbitrato sportivo nelle controversie in cui rientrano
gli interessi patrimoniali legati allo sviluppo della pratica sportiva.
In tale contesto, difatti, vengono fatte rientrare le controversie relative al lavoro sportivo,
nonché quelle relative a pretese di risarcimento del danno subito da una società affiliata avanzata
nei confronti della federazione per avere quest’ultima male applicato i suoi regolamenti (cfr. lodo 5
novembre 2002 dal collegio arbitrale istituito presso la camera di Conciliazione nella causa Hockey
Club Gherdeina c/ F.I.S.G.).
Inoltre, al fine di comprendere l’iter logico che la C.C.A.S. ha seguito per addivenire a dette
conclusioni, occorre evidenziare come nel lodo in commento si recepisca in toto la posizione
adottata da autorevole dottrina in ordine agli elementi costitutivi dell’arbitrato e alla concezione
dello stesso e che la sopracitata parte di dottrina contraria non ha tenuto conto.
Uno degli elementi costitutivi dell’arbitrato, nonché elemento di sostanziale differenza tra i
procedimenti arbitrali e gli altri procedimenti di giustizia sportiva, è la terzietà dell’arbitro
giudicante rispetto alle parti, ossia l’indispensabile equidistanza delle parti dal collegio, non essendo
riconosciuta a nessuna delle parti una posizione privilegiata nella sua formazione (attraverso
l’individuazione dei componenti), o nell’accesso alla funzione da esso svolto.
Nel tipico procedimento di giustizia sportiva (non avente perciò caratteristiche di procedura
arbitrale) tale aspetto di terzietà funzionale manca, e l’ente competente a dirimere le controversie
appare essere organo di una delle parti. Questo comporta che la decisione pronunciata da
quell’organo di giustizia appare essere espressione della volontà dell’ente sportivo cui esso
appartiene, mentre la decisione dell’organo arbitrale in nessun modo potrà essere riferita alla
volontà delle parti.
69
NOTE A SENTENZA
Il lodo Ternana calcio...
Solo la presenza di questo elemento - unitamente al carattere negoziale del fondamento del
potere di giudizio, all’osservanza dell’uguaglianza tra le parti del rispetto del contraddittorio ed alla
funzione sostitutiva della giurisdizione statale - consentirà di riconoscere le procedure istituite nel
quadro del Tribunale Arbitrale dello Sport (T.A.S.) e della Camera Conciliazione ed Arbitrato per lo
Sport istituita presso il CONI come idonee a realizzare meccanismi sostitutivi dell’esercizio della
funzione giurisdizionale statale volti a produrre effetti non solo per l’ordinamento sportivo, ma
anche per quello generale.
In conclusione, anche in virtù di quanto da ultimo statuito, si può ritenere non costituisca
lesione al cosiddetto vincolo di giustizia, di cui all’art. 30, 1° comma, dello statuto della F.I.G.C.,
l’azione di risarcimento danni proposta dalla società Ternana Calcio S.p.A. contro i collegi arbitrali
operanti presso la Lega Professionisti così come stabilito nel lodo qui in commento.
La presente decisione, infatti, nel richiamare espressamente l’art. 19 della C.C.A.S., da un
lato, tende a precisare come il lodo sia necessariamente imputabile esclusivamente all’organo
arbitrale e in nessun caso possa essere considerato atto della Camera stessa o del C.O.N.I., e
dall’altro, che la previsione di un vero e proprio arbitrato dello sport, come mezzo di “revisione”
esterna alla federazione della controversia già oggetto di un “giudizio” interno, garantisce in tale
quadro unità e coerenza al sistema sportivo medesimo, precludendo “incursioni” in esso dal giudice
ordinario.
Inoltre, la possibile istituzione di procedimenti arbitrali anche in riferimento a controversie
disciplinari, e non solo a quelle aventi contenuto esclusivamente economico, è invero confermata
dall’illustre esempio del Tribunale Arbitrale dello Sport tanto che su tale base si sono creati istituti
nazionali di arbitrato sportivo, tra cui la stessa Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport
presso il C.O.N.I..
(*) praticante Avvocato
70
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
TRIBUNALE NAZIONALE ANTIDOPING
così composto:
Dott. Francesco Plotino
Presidente
Dott. Luca Amato
Componente giuridico ordinario relatore
Avv. Silvia Chiappalupi
Componente giuridico ordinario
Avv. Luigi Di Maio
Componente giuridico ordinario
Dott. Antonio Marra
Componente giuridico ordinario
Prof. Ercole Brunetti
Componente tecnico non votante
Prof. Marcello Chiarotti
Componente tecnico non votante
DECISIONE
sul ricorso proposto dall'atleta Francesco Di Paolo
AVVERSO
la decisione della Commissione di Appello Federale della Federazione Ciclistica Italiana
adottata nella riunione del 9 ottobre 2008.
Il ciclista Francesco Di Paolo, nato a Pescara il 18 aprile 1982, veniva sottoposto ad
accertamenti svolti dal Nucleo Antisofisticazione e Sanità di Firenze del Comando dei Carabinieri
per la Sanità nell'ambito del procedimento penale n.33917/03 denominato "OIL FOR DRUG" a
carico di Luciano Nocera + altri relativo al commercio clandestino ed all'utilizzo di farmaci e
sostanze biologicamente e farmacologicamente attive, nonché all'adozione o sottoposizione a
pratiche mediche non giustifi-cate da condizioni patologiche, idonee a modificare le condizioni
psicofisiche o biologiche dell'or-ganismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.
Dall'esame dell'informativa conclusiva di tali indagini, di cui alla nota n.1/33 del 22 aprile
2005 svolta dal Nucleo Antisofisticazione e Sanità di Firenze del Comando dei Carabinieri per la
Sanità, ad avviso degli investigatori, emergeva lo spaccato di una estesa realtà illegale volta al
71
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
traffico di sostanze farmacologicamente attive destinate al doping sportivo ed in particolar modo ad
atleti, di vertice e non, praticanti il ciclismo in tutte le sue categorie (professionistico, dilettantesco
ed amato-riale); tale realtà si caratterizzava per l'elevato numero dei praticanti, a vario titolo, al
traffico illega-le e per la ramificazione della rete di vendita, prevalentemente nel centro Italia.
Gli investigatori individuavano l'esistenza di una associazione a delinquere in grado di gestire
una discreta fascia di mercato composta da una serie di personaggi, fra i quali evidenziavano il Dott.
Carlo Santuccione, medico di Cepagatti, con il ruolo di prescrittore e fornitore delle sostanze proibite dalla normativa antidoping.
Si precisa, al riguardo, che il Dott. Carlo Santuccione nel maggio 1995 è stato inibito
dall'ordina-mento sportivo con provvedimento sanzionatorio di cinque anni per avere fornito
sostanze vietate dalla normativa antidoping e che, successivamente, con decisione n.28/07 assunta
in data 17 dicem-bre 2007 è stato condannato da questo Collegio all'inibizione a vita dal rivestire in
futuro cariche in seno al C.O.N.I. ovvero a frequentare gli impianti sportivi ovvero a prendere parte
a manifestazioni od eventi organizzati dagli Enti sportivi per il suo pesante coinvolgimento nel
citato procedimento penale denominato "OIL FOR DRUG".
L'atleta Francesco Di Paolo risulta tesserato dall'anno 2007 quale ciclista professionista con la
so-cietà sportiva Race Team S.r.l. - Acqua e Sapone Mokambo, con sede in Sambuceto (CH),
affiliata alla Federazione Ciclistica Italiana. In precedenza, a partire dal 2001 e sino al 2006 è stato
tesserato quale ciclista dilettante con la società Velo Club Montesilvano Aran World, con sede in
Montesil-vano (PE).
Dalle intercettazioni ambientali disposte dagli investigatori emergevano riferimenti ad una
visita ef-fettuata in data 28 aprile 2004 dall'atleta Francesco Di Paolo presso il Dott. Carlo
Santuccione.
Nel corso di tale visita i due parlavano di alcuni farmaci fra i quali anche sostanze dopanti
come il Profasi e il Gonasi (indicati dal Dott. Santuccione). Parlavano inoltre di un trattamento a
base di una sostanza da somministrarsi sottocute (Eritropoietina a detta dell'Autorità inquirente).
Durante il col-loquio il Dott. Santuccione tentava di convincere l'atleta a "rischiare se vuole avere
qualche risul-tato", rassicurandolo che lo avrebbe consigliato lui per evitare problemi, l'atleta infatti
appariva preoccupato del fatto che l'anno precedente era stato sottoposto ad un controllo con il
metodo au-straliano.
72
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
Nell'ambito delle indagini cui veniva sottoposto l'atleta Di Paolo, in particolare nel corso della
per-quisizione effettuata in data 26 maggio 2004 presso la sua abitazione, veniva sequestrata
documen-tazione varia, tra cui:
- due referti analitici relativi ad analisi ematiche eseguite il 14 aprile 2004 e l'11 maggio
2004 presso il Laboratorio Ars-Medica di Cepagatti di pertinenza della moglie del Dott.
Santuccione, re-lativamente ai quali, ad avviso dell'Ufficio di Procura Antidoping, l'incremento del
tasso di emato-crito del 10% in meno di un mese in assenza di patologie è sintomatico di
stimolazione emopoietica esogena con Eritropoietina;
- un foglio di blocchetto per appunti sponsorizzato Quinazil 20 - Quinazide (un blocco
uguale era presente sulla scrivania dell'ambulatorio del Dott. Santuccione) manoscritto con la grafia
del medico: nella parte anteriore sono presenti tre colonne corrispondenti alle lettere "E" - "A" - "P"
se-guite da pallini e linee alternate, ad avviso della Procura Antidoping verosimilmente
corrispondenti allo schema posologico di assunzione di Eritropoietina, Andriol e Profasi. Sotto la
tabella è mano-scritta la lettera "K" (verosimilmente riferita al Kenakort) ed altri simboli e numeri.
Nella parte po-steriore è manoscritto uno schema di assunzione in chiaro di prodotti non vietati;
- una striscetta di carta con sequenza numerica a colonna da 12 a 19, ed in corrispondenza
dei numeri una lineetta, uno o due pallini.
L'atleta, convocato dall'Ufficio di Procura Antidoping con telegramma del 19 luglio 2007 per
essere sentito in relazione a tali addebiti, chiedeva rinvio della convocazione che veniva fissata per
il 10 dicembre 2007.
In tale occasione, alla presenza dell'Avv. Marco Femminella, testualmente dichiara-va:
"Intendo innanzitutto precisare che il mio incontro con il Dott. Santuccione non sono certo corrisponda alla data del 28.4.2004.
Dubbio che ho già espresso in sede di interrogatorio avanti la Procura di Chieti. Ciò detto
confermo che mi rivolsi al Dott. Santuccione conosciuto medico con competenza sportiva, allo
scopo di seguire i suoi consigli in merito alla mia preparazione atletica. Non c'era da parte mia
nessuna intenzione di sottopormi ad una terapia non consentita.
Per quanto riguarda il tenore delle frasi contenute nell'intercettazione escludo di aver parlato
con il Dott. Santuccione di sostanze o di metodi proibiti. Il nostro colloquio faceva solo riferimento
a pro-dotti leciti. Si è parlato poi anche di sostanze e di metodi di preparazione atletica che non
erano a me conosciuti ma che venivano assunti o utilizzati per sentito dire da un certo numero di
atleti. In merito al foglio che mi è stato sequestrato nella mia abitazione chiarisco che era una
73
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
prescrizione del Dott. Santuccione che conteneva delle tabelle di allenamento con kilometri, giorni
e tipi di alle-namento specifico.
Le lettere E - A e P seguite da pallini e linee alternate facevano riferimento: la E a lavoro
estremo, la A a lavoro aerobico e la P a lavoro di potenziamento.
Mentre il pallino indicato sulla giornata stava a significare il tipo di allenamento che dovevo
fare, mentre le linee quello che non avrei dovuto fare in quella giornata. Per quel che riguarda la K
scritta a mano sotto la tabella questa significava che quel giorno avrei dovuto compiere molti
kilometri...".
A giudizio della Procura Antidoping, la giustificazione addotta dal Di Paolo sulle sigle
rinvenute nel foglio posto sotto sequestro non risultava credibile. L'evidente mendacio di tale
affermazione risultava dal fatto che nel foglio sequestratogli sono riportate solo le tre lettere "A",
"P" e "E". Orbene, queste lettere sono proprie le stesse risultanti anche nelle agende sequestrate sia
al ciclista
Domenico Quagliarello sia al saltatore con l'asta Giuseppe Gibilisco, di pugno del Dott.
Santuccio-ne e che un altro ciclista, Giulio Salvatori, ha chiarito trattarsi di iniziali di prodotti
dopanti (A=An-driol, P=Profasi, G=GH, E=Eritropoietina), secondo una prassi consolidata tra
medici dopatori (cfr. Fuentes per l'Operation puerto e Ferrari per procedimenti penali nel mondo del
ciclismo).
Inoltre, sempre ad avviso della Procura Antidoping, quanto emergente dal contenuto della
conversa-zione oggetto di intercettazione ambientale realizzava "uso", o quantomeno "tentato uso",
di tali so-stanze vietate.
Precisava altresì la Procura Antidoping che, ove non si ritenesse dimostrata l'ipotesi di cui
all'Art. 2.2. del Codice WADA, l'atleta sarebbe comunque incorso nell'ipotesi di violazione della
normativa antidoping, sia di quella vigente all'epoca dei fatti contestati (Art. 16.4 del Regola-mento
dell'attività antidoping del C.O.N.I. nonché Art. 16 e Art. 18.13 del Regolamento dell'attività
antidoping della F.C.I.) sia di quella successivamente in vigore (Art. 3.6 delle Istruzioni operative
dell'U.P.A.), per la "frequentazione" di medico già inibito dall'ordinamento sportivo.
Del tutto irrilevante per la Procura Antidoping era, infine, il provvedimento di archiviazione
del procedimento penale a carico dell'atleta Di Paolo disposto dal Giudice per le Indagini
Preliminari di Chieti in data 15 giugno 2005, in quanto tale provvedimento veniva considerato
idoneo ad escludere soltanto il doping "consumato" e non quello "tentato".
74
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
All'esito dell'istruttoria e sulla base degli elementi di prova sopra indicati - costituiti dalle
risultanze dell'intercettazione ambientale e dal materiale sequestrato - l'Ufficio di Procura
Antidoping con provvedimento del 18 dicembre 2007 (procedimento d'indagine n.32/07) deferiva il
ciclista France-sco Di Paolo innanzi alla Commissione di Appello Federale della Federazione
Ciclistica Italiana, in quanto atleta non di livello internazionale perchè non inserito nell'RTP
dell'UCI, affinchè ricono-sciuta la responsabilità dello stesso ai sensi dell'Art. 10.2 delle vigenti
Norme Sportive Antidoping venisse sanzionato con la sospensione dall'attività sportiva per un
periodo di 2 anni.
La Commissione di Appello Federale della Federazione Ciclistica Italiana, con
provvedimento data-to 8 gennaio 2008, disponeva la sospensione cautelare dell'atleta Di Paolo per
il periodo di 60 gior-ni.
Nella memoria presentata innanzi alla Commissione di Appello Federale della Federazione
Cicli-stica Italiana, la difesa dell'atleta (nella persona dell'Avv. Lina Musumarra) evidenziava in
fatto ed in diritto quanto segue:
- la frequentazione del Dott. Santuccione da parte del Di Paolo, pur essendo un fatto ammesso
dal-l'atleta stesso, non è consistita in un reiterato e costante rapporto consapevole finalizzato
all'assun-zione di sostanze dopanti, bensì in un unico episodio finalizzato all'ottenimento di sistemi
di allena-mento utili per riprendere la forma fisica dopo i dolori accusati al ginocchio destro; nel
corso di tale incontro, tra l'altro, è percepibile la titubanza ed il timore del Di Paolo riguardo all'uso
di sostanze vietate dalla normativa antidoping ipotizzato dal Santuccione;
- il foglio sequestrato nel corso della citata perquisizione conteneva esclusivamente tabelle di
alle-namento fornite dal Dott. Santuccione con kilometri, giorni e tipi di allenamento specifico; le
lettere e le sigle ivi riportate non avevano alcun riferimento a sostanze vietate dalla normativa
antidoping;
- il Dott. Santuccione all'epoca dei fatti aveva già espiato la condanna per 5 anni a lui
comminata il 13 maggio 1995 ed era stato reiscritto presso la Federazione Medico Sportiva;
pertanto in capo a ta-le medico difettavano i presupposti (mancanza di tesseramento ed inibizione)
per poterne contestare la "frequentazione" al Di Paolo;
- il Di Paolo è stato sottoposto a numerosi controlli antidoping a sorpresa tutti di esito
negativo;
75
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
- la perquisizione subita dal Di Paolo non ha evidenziato il possesso di materiale da cui si
possa de-sumere l'effettivo utilizzo o il tentato utilizzo di sostanze vietate dalla normativa
antidoping;
- il Di Paolo all'epoca dei fatti era un ciclista dilettante e mancava nella squadra presso il
quale era iscritto (il Velo Club Montesilvano Aran World) un preparatore atletico e soprattutto
l'assistenza del medico sociale; infatti il Dott. Giovanni Posabella, nonostante l'incarico ricevuto
dalla società, non era mai presente;
- l'autonomia e la specificità dell'ordinamento sportivo non possono certo significare
"impermeabili-tà totale" rispetto all'ordinamento statuale e più precisamente quello penale; dunque,
la Procura Antidoping erroneamente non ha tenuto in alcuna considerazione il provvedimento del 6 maggio
2005 con il quale il Procuratore della Repubblica di Chieti ha chiesto disporsi l'archiviazione degli
atti nei confronti del Di Paolo ed il conseguente provvedimento di archiviazione del procedimento
penale disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari di Chieti in data 15 giugno 2005.
Affermava dunque la difesa che l'atleta non ha commesso alcuna violazione della normativa
antido-ping, nè sotto il profilo dell'uso o tentato uso di sostanze dopanti, nè per la ritenuta
frequentazione di medico già inibito dall'ordinamento sportivo.
In via istruttoria, la difesa chiedeva CTU medico specialistica in ordine ai due referti analitici
relati-vi alle analisi ematiche eseguite dall'atleta in data 14 aprile ed in data 11 maggio 2004 nonchè
l'am-missione di prove testimoniali; provvedeva altresì a trasmettere all'Organo di Giustizia
Federale: (i) perizia asseverata dal Dott. Giuseppe Di Matteo, medico specialista in ematologia, che
contestava la possibilità di attribuire al Di Paolo l'assunzione impropria di Eritropoietina sulla base
dei due referti delle analisi ematiche eseguite in data 14 aprile ed 11 maggio 2004, (ii) referti di
laboratorio relativi ad analisi ematiche effettuate dal Di Paolo in data 23 aprile 2008.
Concludeva la difesa dell'atleta chiedendo il proscioglimento dell'indagato in ordine agli
addebiti disciplinari ascrittigli, considerati unica violazione, per totale assenza di colpa del
medesimo ai sensi dell'Art. 10.5.1 delle Norme Sportive Antidoping e, in via subordinata per il caso
di ritenuta responsabilità, la riduzione del periodo di squalifica al minimo previsto dall'Art. 10.5.2
delle Norme Sportive Antidoping trattandosi di comportamento non denotante colpa o negligenza
significativa, detraendo dal periodo della squalifica quello di sospensione cautelare.
76
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
La Commissione di Appello Federale della Federazione Ciclistica Italiana, con la decisione
adottata nella riunione del 9 ottobre 2008, rigettava le istanze istruttorie avanzate dall'atleta e
ritenuti realiz-zati dal medesimo gli illeciti contestati, considerati unica violazione, comminava al
Di Paolo la san-zione della squalifica da ogni attività sportiva per un periodo di 2 anni, detratto il
periodo di sospen-sione cautelare già scontato.
Secondo l'Organo di Giustizia Federale, a carico dell'atleta sussistono precisi elementi
probatori in-diziari e presuntivi di rispondenza in ordine agli addebiti contestati tali da far ritenere
superflui gli accertamenti istruttori richiesti dalla difesa dell'atleta e raggiunto il grado di prova
richiesto dall'Art. 3.1 delle Norme Sportive Antidoping, ovvero la valutazione superiore alla
probabilità ma inferiore all'esclusione di ogni ragionevole dubbio.
Con ricorso pervenuto in data 21 ottobre 2008 al prot.n.811, l'atleta Francesco Di Paolo,
difeso sem-pre dall'Avv. Lina Musumarra, impugnava innanzi a questo Tribunale la citata decisione
della Com-missione di Appello Federale della Federazione Ciclistica Italiana.
La difesa dell'atleta ribadiva in punto di fatto e di diritto quanto ampiamente dedotto in primo
grado e chiedeva la riforma dell'impugnata decisione per errata, contraddittoria motivazione e per
errata, contraddittoria valutazione della documentazione medica prodotta.
Affermava l'insussistenza, nel caso in esame, di elementi che possano raggiungere il grado di
prova stabilito dal citato Art. 3.1 delle Norme Sportive Antidoping.
Ad avviso della difesa dell'atleta, pur senza volersi negare che l'elemento psicologico e le
condotte possano essere diverse in sede di giustizia sportiva e penale, contrariamente a quanto
sostenuto nella decisione impugnata, il provvedimento di archiviazione del procedimento penale
disposto dal Giudice ordinario si è posto il "problema del tentativo" e vale ad escludere la
sussistenza della prova sia del "reato consumato" che del "reato tentato".
Sempre con riferimento alla contestazione in capo all'atleta del "tentato uso" di sostanze
dopanti, la memoria difensiva richiamava altresì la giurisprudenza del TAS, in specie la decisione
del 9 maggio 2008 relativa all'atleta Gibilisco, secondo cui ai fini della realizzazione della
violazione di cui al-l'Art. 2.2 (uso o tentato uso di una sostanza vietata) vi è la necessità di passare
alla successiva fase dell'acquisto, non essendo sufficiente che l'atleta si sia limitato ad avere un
colloquio informativo circa l'uso di sostanze e metodi proibiti (che nel caso del Di Paolo,
comunque, non ricorrerebbe); a tale giurispudenza, ad avviso della difesa del'atleta, si ricollegava la
decisione di questo Tribunale assunta in data 8 luglio 2008 relativamente all'atleta Cedroni.
77
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
In considerazione dei suesposti rilievi, ribadite le richieste istruttorie già formulate innanzi
alla Commissione di Appello Federale, la difesa dell'atleta chiedeva a questo Tribunale, in riforma
del-l'impugnata decisione, di pronunciare sentenza di proscioglimento dell'atleta Francesco Di
Paolo in ordine agli addebiti ascrittigli, considerati unica violazione ex Art. 10.6 delle Norme
Sportive Anti-doping, per totale assenza di colpa o negligenza ai sensi dell'Art. 10.5.1 delle Norme
Sportive Anti-doping, con conseguente annullamento del periodo di squalifica.
In via subordinata, chiedeva la riduzione del periodo di squalifica al minimo di legge previsto
ai sensi dell'Art. 10.5.2 delle Norme Sportive Antidoping, dedotto il presofferto.
L'Ufficio di Procura Antidoping non presentava memorie.
All'udienza camerale del 13 novembre 2008, udita la relazione del componente delegato e
sentite le conclusioni delle parti presenti (l'Avv. Cesare Micheli per l'Ufficio di Procura Antidoping,
l'Avv. Lina Musumarra e l'Avv. Daniela Vinci per l'atleta, nonchè l'atleta stesso, i quali
confermavano le rispettive ragioni sin qui sostenute), il Collegio deliberava come da dispositivo,
successivamente co-municato alle parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale Nazionale Antidoping, giudicando sull'appello proposto dall'atleta Francesco Di
Paolo, ritiene che la decisione adottata dalla Commissione di Appello Federale della Federazione
Ciclistica Italiana nella riunione del 9 ottobre 2008 vada riformata nei termini di cui appresso.
Osserva innanzitutto questo Tribunale che, sulla scorta di un'attenta valutazione della
documenta-zione acquisita agli atti del procedimento disciplinare ed in particolare:
- delle risultanze dell'intercettazione ambientale disposta dagli investigatori a carico
dell'indagato;
- del materiale sequestrato presso l'abitazione del medesimo;
- del provvedimento con il quale il Procuratore della Repubblica di Chieti in data 6 maggio
2005 ha chiesto disporsi l'archiviazione degli atti nei confronti del Di Paolo e del conseguente
provvedi-mento di archiviazione del procedimento penale disposto dal Giudice per le Indagini
Preliminari di Chieti in data 15 giugno 2005;
non emerge un quadro probatorio rispondente a quanto previsto dall'Art. 3.1 del Codice
WADA - ovvero superiore alla semplice valutazione delle probabibilità, ma inferiore all'esclusione
di ogni ra-gionevole dubbio - relativamente alla contestata violazione di cui all'Art. 2.2 del Codice
78
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
WADA per l'uso od il tentato uso di sostanze vietate dalla normativa antidoping dal parte dell'atleta
Francesco Di Paolo.
Orbene, nel corso del colloquio intercorso tra il Dott. Santuccione e l'atleta Di Paolo, oggetto
dell'intercettazione disposta dagli investigatori in data 28 aprile 2004, emerge chiaramente che è il
predetto medico a proporre all'atleta la somministrazione di sostanze dopanti per migliorare le sue
prestazioni sportive e che l'indagato reagisce manifestando "titubanza" e "timore", anche per la
possibilità di essere sottoposto a controlli antidoping.
Proprio la titubanza dimostrata dall'atleta in tale occasione induce a ritenere che lo stesso in
precedenza non aveva mai fatto uso di sostanze vie-tate; anche per il periodo successivo, del resto,
non sono poi emersi riscontri certi da cui desumere che lo stesso abbia effettivamente seguito i
consigli illeciti del medico.
Se il contenuto del citato colloquio non ha fornito una prova conclusiva della colpevolezza
dell'atle-ta, ad analoga conclusione si deve pervenire con riferimento alla documentazione
sequestrata presso l'abitazione dell'atleta stesso.
Difatti, sebbene il Di Paolo non abbia fornito una spiegazione convincente sulle lettere che
appari-vano sugli appunti sequestrati e sebbene lettere simili siano state riscontrate nelle agende di
altri atleti i quali hanno poi ammesso che tali lettere si riferivano a pratiche volte al doping, questo
Tri-bunale non ritiene che ciò sia sufficiente a ritenere che anche il Di Paolo sia implicato in tali
prati-che illecite o che intendesse farlo.
Secondo la WADA per poter dimostrare una violazione dell'Art. 2.2 del Codice è necessario
provare che l'atleta aveva intenzione di tentare di far uso di sostanze vietate; nel caso di specie, al
contrario, è emersa piuttosto la titubanza ed il timore dell'atleta di por-re in essere pratiche volte al
doping.
Sotto il profilo propriamente scientifico, va altresì fugato il sospetto che l'incremento
dell'ematocrito dell'atleta riscontrato sulla base dei due referti delle analisi ematiche eseguite in data
14 aprile ed in data 11 maggio 2004 costituisca una prova di assunzione impropria di Eritropoietina,
poichè l'atleta, in entrambi i casi, presentava valori assolutamente nella norma.
Infine, malgrado la piena autonomia e la specificità dell'ordinamento sportivo rispetto
all'ordina-mento statuale ed in particolare a quello penale, non possono non richiamarsi le chiare
espressioni formulate dal Procuratore della Repubblica di Chieti nel provvedimento con il quale in
data 6 mag-gio 2005 chiedeva disporsi l'archiviazione degli atti nei confronti del Di Paolo:
79
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
"Gli elementi di pro-va raccolti a carico dell'indagato, in ordine al reato a lui contestato, non
sono sufficienti per so-stenere l'accusa in dibattimento.
La perquisizione personale e locale disposta ha dato esito nega-tivo, essendo stati rinvenuti
solamente appunti, che non risulta abbiano alcuna attinenza all'uso e consumo di sostanze dopanti.
A suo carico vi è solo una intercettazione telefonica ed ambientale nello studio del dott.
Santuccione....Da tale intercettazione...non emerge alcuna prova che il Di Paolo si sia sottoposto a
pratiche mediche comportanti l'uso di sostanze dopanti...".
Nè si può omettere che il Giudice per le Indagini Preliminari di Chieti in data 15 giugno 2005
ha poi disposto l'archiviazione del procedimento a carico del Di Paolo, ritenendo "corrette e
condivisibili le considerazioni svolte dal P.M. (...), che qui devono intendersi integralmente
riportate."
In tal senso, del resto, si è recentemente mossa la giurisprudenza del T.A.S. che ha posto in
eviden-za la necessità - ai fini della realizzazione della violazione di cui all'Art. 2.2 (uso o tentato
uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito) del Codice WADA - di passare alla successiva
fase dell'acquisto, non essendo sufficiente che atleta si sia limitato ad avere un colloquio
informativo cir-ca l'uso di sostanze e metodi proibiti (vedi caso Gibilisco). La suesposta conclusione
trova peraltro conferma nel caso di specie, tenuto conto che il Di Paolo non è stato trovato in
possesso di sostanze vietate.
Dunque, questo Collegio ritiene che gli indizi di prova emersi a carico del Di Paolo, seppure
possa-no gettare dei dubbi sull'atleta - tenuto anche conto che il Di Paolo è venuto meno al
contenuto pre-cettivo di cui all'Art. 4, comma 8, del Codice Etico del ciclismo, che impone ai
corridori di avvalersi esclusivamente delle prestazioni del medico di squadra o di professionisti di
elevata serietà - non possano costituire elementi di prova sufficienti per affermarne la responsabilità
per la contestata violazione di cui all'Art. 2.2 (uso o tentato uso di una sostanza vietata o di un
metodo proibito) del Codice WADA.
D'altro canto, questo Collegio ritiene integrata la previsione normativa relativa alla
"frequentazione" del Dott. Santuccione da parte del Di Paolo.
In primo luogo va chiarito che tale frequentazione risulta pacifica, in quanto non solo provata
ma anche non contestata ed ammessa espressamente dall'atleta stesso.
In secondo luogo è opportuno precisare che il Dott. Carlo Santuccione, con provvedimento
emesso in data 13 maggio 1995, è stato condannato dall'ordinamento sportivo con la sanzione della
inibizio-ne per anni cinque.
80
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
Orbene, come ha avuto modo di sostenere questo Collegio in precedenti decisioni (cfr. la
Sentenza n.11/07 del 16 ottobre 2007 relativa al caso Danilo Di Luca), la frequentazione di soggetti
inibiti da parte degli atleti rimane vietata anche dopo la scadenza del periodo di sospensione.
Risulta necessario soffermarsi sul quadro normativo in materia di attività antidoping al fine di
rico-struire la responsabilita disciplinare dell'atleta Di Paolo.
Dispone in proposito l'Art. 16.4 del Regolamento dell'attività antidoping della F.C.I., in vigore
nel 2004, che: "E' fatto obbligo all'atleta e al personale di supporto di non avvalersi della consulenza
o della prestazione di soggetti non tesserati alla Federazione Ciclistica Italiana inibiti dall'ordinamento sportivo...pena l'applicazione delle sanzioni di cui al successivo Art. 18.13". Il successivo
Art. 18.13, a sua volta, prevede che: "All'atleta e/o al personale di supporto dell'atleta che si avvalgano della consulenza o della prestazione di soggetti non tesserati inibiti dall'ordinamento
sportivo a seguito della applicazione di quanto previsto all'Art. 16.8, è comminata la sospensione
dall'atti-vità rispettivamente svolta fino ad un massimo di sei mesi. In caso di reiterazione la
sanzione è au-mentata proporzionalmente fino ad un massimo di diciotto mesi".
Le norme richiamate rispecchiano letteralmente le Norme Sportive Antidoping adottate dal
CONI; in specie, l'Art. 3.6 del Procedi-mento disciplinare e Istruzioni operative relative all'attività
dell'Ufficio di Procura Antidoping, nel testo in vigore nel 2004, recita: "E' fatto divieto all'Atleta e
al personale di supporto dell'atleta di avvalersi della consulenza o della prestazione di soggetti
inibiti dall'ordinamento sportivo, pena la sospensione dall'attività svolta fino a un massimo di sei
mesi. In caso di reiterazione la sanzione è aumentata proporzionalmente fino ad un massimo di
diciotto mesi."
La ratio di tali disposizioni va individuata nel disvalore che l'ordinamento sportivo attribuisce
alle condotte di quegli atleti che facciano ricorso alle prestazioni di soggetti nei confronti dei quali
lo stesso ordinamento abbia già avuto modo di valutare - attraverso il provvedimento sanzionatorio
- l'antigiuridicità del comportamento, sotto il profilo disciplinare. Lo status giuridico del Dott. Santuccione all'epoca dei fatti è quello di soggetto inibito dall'ordinamento sportivo per fatti di doping
con provvedimento sanzionatorio di cinque anni di sospensione dallo svolgimento di ogni attività in
sede federale (che rappresenta il massimo della pena), dal ricoprire cariche e dal rappresentare la società.
La frequentazione del Di Paolo - intesa ovviamente nell'accezione di frequentazione medica con il Dott. Santuccione, soggetto già inibito dall'ordinamento sportivo con il massimo
provvedimento sanzionatorio per fatti di doping (e non per un generico illecito disciplinare e/o
81
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
deontologico), sog-getto non tesserato per la Federazione Ciclistica Italiana, costituisce violazione
della normativa anti-doping vigente all'epoca dei fatti contestati e tuttora vigente.
Egli è anche venuto meno al contenuto precettivo di cui all'Art.4 comma 8 del Codice Etico
del ci-clismo che impone ai corridori di avvalersi esclusivamente delle prestazioni del medico di
squadra o di professionisti di elevata serietà.
Nell'articolare la propria decisione, il Collegio ha preso in esame ogni aspetto della condotta
dell'a-tleta giungendo a riconoscere la responsabilità del Di Paolo per aver egli posto in essere un
com-portamento contrario a quanto previsto e disciplinato dalla normativa antidoping, sia di quella
vi-gente all'epoca dei fatti contestati, costituita dagli Artt. 16.4 e 18.13 del Regolamento dell'attività
antidoping della F.C.I. e dall'Art. 3.6 del Procedimento disciplinare e Istruzioni operative relative
all'attività dell'U.P.A., sia di quella successivamente in vigore (Art. 2.10 delle vigenti Norme
Sportive Antidoping approvate dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione n.319 del 23
luglio 2008).
Questo Collegio ritiene pertanto il Di Paolo responsabile dell'addebito disciplinare di
frequentazione con il Dott. Carlo Santuccione, medico non tesserato ed inibito dall'ordinamento
sportivo, così derubricata l'originaria incolpazione di uso o tentato uso di sostanza vietata dalla
normativa antidoping.
Il Collegio perviene a tale derubricazione in quanto nella fattispecie in esame è risultato che:
- sin dal deferimento disposto in data 18 dicembre 2007 l'Ufficio di Procura Antidoping aveva
con-testato all'atleta Di Paolo la "frequentazione" con il Dott. Santuccione;
- l'atleta si è difeso dalla contestazione in oggetto, nelle varie fasi del procedimento;
- la frequentazione, nel caso in esame, rappresenta comunque un elemento costitutivo del
contestato illecito di uso o tentato uso di sostanze dopanti;
- la frequentazione ha costituito dunque "oggetto del procedimento disciplinare" ed è stata
espressa-mente "menzionata nella stessa motivazione della impugnata sentenza" della Commissione
di Ap-pello Federale della Federazione Ciclistica Italiana, pertanto questo Giudice ha la competenza
a de-liberare in merito ad essa.
Questo Collegio, infine, reputa che per ragioni di correttezza e di giustizia all'atleta vada
comminata una sanzione con decorrenza dalla data della sospensione cautelare (avvenuta in data 8
gennaio 2008).
82
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
In conclusione, questo Tribunale ritiene:
- che l'atleta Francesco D Paolo debba essere assolto dalla contestata violazione di cui all'Art.
2.2 del Codice WADA (uso o tentato uso di sostanze dopanti), non essendo stato raggiunto il grado
di prova richiesto dall'Art. 3.1 del Codice WADA;
- che l'atleta stesso sia colpevole dell'illecito disciplinare costituito dalla frequentazione con il
Dott. Carlo Santuccione, medico non tesserato ed inibito, e debba essere sanzionato con la
squalifica per mesi 6 (sei), a decorrere dalla data della sospensione cautelare (8 gennaio 2008) con
scadenza per-tanto al 7 luglio 2008.
P.Q.M.
Il Tribunale Nazionale Antidoping, nel procedimento disciplinare a carico dell'atleta
Francesco Di Paolo, giudicando sull'appello proposto dallo stesso Di Paolo avverso la decisione
emessa in data 09/10/2008 dalla Commissione di Appello Federale della F.C.I., in riforma della
decisione impu-gnata, ritiene l'atleta responsabile dell'illecito disciplinare costituito dalla
frequentazione con il Dott. Santuccione, medico non tesserato e inibito, e gli infligge la sanzione
della squalifica per mesi 6 (sei) a decorrere dalla data della sospensione cautelare (8/1/2008) con
scadenza 7/7/2008.
Assolve l'atleta dalla violazione antidoping contestatagli non essendo stata raggiunta la prova
richiesta dall'Art. 3.1 del Codice WADA.
Riserva per il deposito della motivazione il termine di giorni 30.
Dispone che la presente decisione sia comunicata alle parti, alla F.C.I., all'U.C.I. e alla
W.A.D.A.
La presente decisione viene affissa all'Albo delle decisioni del T.N.A. per giorni due.
Roma, lì 13 novembre 2008
83
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
IL TENTATIVO DI DOPING SECONDO IL CODICE WADA:
LIMITI DELLA PROVA NOTA ALLA DECISIONE
13 NOVEMBRE 2008 N. 91 DEL TRIBUNALE NAZIONALE
ANTIDOPING
di Roberto Santone (*)
SOMMARIO:
1.
2.
3.
4.
5.
Premessa
Il caso
La nozione del tentato uso di sostanze dopanti
I rapporti tra giustizia penale e ordinamento sportivo
Conclusioni
1. Premessa
“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!”: basterebbe richiamare il noto adagio per descrivere la
vicenda medico-sportivo-giudiziaria del giovane atleta Francesco Di Paolo, assolto dal Tribunale
Nazionale Antidoping (di seguito, TNA) dalla contestata violazione per uso o tentato uso di
sostanze dopanti e squalificato per sei mesi dal TNA per la frequentazione del medico Carlo
Santuccione, inibito dapprima temporaneamente, poi a vita, dal supremo organo di giustizia
sportiva nazionale in materia di doping.
Si farebbe, però, un ingiustificato torto alla decisione in commento - la quale contiene
numerosi profili di interesse, sia dal punto di vista della corretta applicazione dei regolamenti
antidoping, sia per quanto concerne la mai risolta questione del giusto inquadramento dei rapporti
tra ordinamento statale e ordinamento sportivo - se ci si limitasse meramente a considerare
l’elemento sanzionatorio della pronuncia del TNA, offrendo la stessa svariati e rimarchevoli spunti
di riflessione.
Procediamo con ordine.
84
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
2. Il caso
Ricostruendo in breve la vicenda, all’atleta Francesco Di Paolo, ciclista dilettante all’epoca
degli addebiti contestati, poi passato professionista nel 2007, veniva contestata, sulla base di
intercettazioni ambientali, la frequentazione con il Dott. Carlo Santuccione, il quale, all’epoca dei
fatti – 28 aprile 2004 - aveva già scontato i cinque anni di inibizione inflittigli, nel maggio 1995, dal
Giudice di Ultima Istanza in materia di doping (GUI, ora TNA) per aver fornito a diversi atleti
sostanze vietate dalla normativa antidoping. Sulla base di tali intercettazioni, che provavano, a
giudizio della Procura Antidoping del Coni (di seguito, UPA), la frequentazione tra il medico e
l’atleta, e di alcuni appunti manoscritti dal Santuccione rinvenuti presso il domicilio del Di Paolo
indicanti – secondo la ricostruzione dell’UPA – farmaci dopanti e metodi di allenamento vietati,
Francesco Di Paolo veniva deferito alla Corte d’Appello Federale (di seguito: CAF) della
Federazione Ciclistica Italiana (di seguito, FCI) per violazione della normativa antidoping.
Quest’ultimo organo, ritenendo sussistenti le violazioni del Regolamento antidoping federale e delle
Norme Sportive Antidoping (di seguito, NSA) del Coni (“uso” o quantomeno “tentato uso” di
sostanze e metodi vietati, nonché “frequentazione” di soggetto già inibito per fatti di doping
dall’ordinamento sportivo), infliggeva la squalifica di due anni all’atleta, senza, tra l’altro, tener
conto del provvedimento di archiviazione disposto dal Tribunale di Chieti nei confronti del Di
Paolo, il quale era stato oggetto di indagini nell’ambito del procedimento penale denominato “Oil
for drug”, dalle cui risultanze aveva preso le mosse il procedimento disciplinare in parola.
Avverso la suddetta decisione, l’atleta proponeva appello al TNA per i motivi di seguito
indicati - già presentati dinanzi alla CAF e rigettati in toto - lamentando l’errata, contraddittoria ed
insufficiente motivazione della decisione degli organi federali e l’errata, contraddittoria ed
insufficiente valutazione della documentazione medica prodotta, non sussistendo nel caso in esame
gli elementi che possano raggiungere il grado di prova stabilito dall’art. 3.1 delle NSA (4.1, dal 1°
gennaio 2009):
la frequentazione del Dott. Santuccione da parte del Di Paolo, pur essendo un fatto ammesso
dall’atleta stesso, “non è consistita in un reiterato e costante rapporto consapevole finalizzato
all’assunzione di sostanze dopanti, bensì in un unico episodio finalizzato all’ottenimento di sistemi
di allenamento utili per riprendere la forma fisica” (…);
85
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
l’addebito su cui si basava la sanzione verteva essenzialmente su presunzioni indiziarie,
ritenendo invece la CAF provata la fattispecie dell’uso o tentato uso di sostanze dopanti (di cui
all’art. 2.2 del Codice WADA – di seguito, il Codice) semplicemente in virtù del possesso di taluni
appunti manoscritti del Santuccione;
quest’ultimo, all’epoca dei fatti, risultava reiscritto presso la Federazione Medico Sportiva,
avendo egli espiato la condanna dell’inibizione per cinque anni;
il Di Paolo, sottoposto a diversi controlli, anche a sorpresa, era risultato sempre negativo, e
non era stato trovato in possesso di alcun farmaco proibito;
l’atleta, all’epoca dei fatti, militava in una squadra dilettantistica nella quale un medico
sociale, seppur formalmente nominato, risultava perennemente assente;
“l’autonomia e la specificità dell’ordinamento sportivo” – per citare testualmente la difesa
dell’atleta – “non possono certo significare impermeabilità totale rispetto all’ordinamento statuale
e più precisamente quello penale”.
3. La nozione del tentato uso di sostanze dopanti
Il TNA, sulla base di una attenta e corretta valutazione degli elementi di fatto emersi nel
giudizio federale e della documentazione acquisita dinanzi ad esso, accoglieva il ricorso,
riformando sensibilmente la decisione di primo grado.
Come anticipato, la pronuncia in parola risulta di particolare interesse in quanto inerente a due
profili di evidente complessità:
la corretta interpretazione dell’art. 2.2 del Codice circa la nozione del tentato uso di sostanze
dopanti;
i rapporti tra l’ordinamento statale (rectius, giustizia penale) e l’ordinamento settoriale
sportivo1.
Sembra opportuno, a parere di chi scrive, porre subito in evidenza come la decisione in
commento risulti ispirata a criteri di ragionevolezza, senza tralasciare il fatto che si tratta di una
pronuncia a suo modo innovativa. Eccone le ragioni.
1
Vexata quaestio sempre dibattuta tanto in dottrina (per limitarsi a una velocissima rassegna: GIANNINI M.S., Prime osservazioni
sugli ordinamenti sportivi, 1949; SANINO M., Diritto Sportivo, Padova, 2002; AA.VV. (COCCIA M., DE SILVESTRI A.,
FORLENZA O., FUMAGALLI L., MUSUMARRA L., SELLI L.), Diritto dello Sport (a cura di L. Musumarra), Le Monnier
Università, 2008; LUBRANO E., L’ordinamento giuridico del giuoco calcio, Roma, 2004); quanto in giurisprudenza (ex plurimis:
Tribunale di Primo Grado CE, 30 settembre 2004, causa Meca-Medina; Trib. Reggio Emilia, ord. 2/11/2000 – caso Ekong; T.A.R.
Lazio, Sez. III Ter, ord. n. 1664/2007; T.A.R. Lazio, Sez. III Ter, ord. n. 2273/2005).
86
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
Il TNA ribalta completamente la ricostruzione proposta dall’UPA e accolta integralmente
dalla CAF, secondo cui dal semplice colloquio tra l’atleta Di Paolo e il medico Santuccione sarebbe
provata l’intenzione (che raggiungerebbe la soglia del tentativo, punibile a norma dell’art. 2.2) del
ciclista di voler assumere sostanze dopanti e seguire metodi di allenamento vietati, in tal modo
infrangendo la normativa antidoping.
Come correttamente posto in rilievo, per ritenere sussistente una violazione dell’art. 2.2 del
Codice “è necessario provare che l’atleta aveva intenzione di tentare di far uso di sostanze vietate;
nel caso di specie, al contrario, è emersa piuttosto la titubanza ed il timore dell’atleta di porre in
essere pratiche volte al doping”2; prova che non risulta raggiunta, se si considera, da un lato, lo
stato psicologico in cui l’atleta ha affrontato l’incontro con Santuccione (in cui palesava un evidente
timore di violare i regolamenti, essendo stato sottoposto poco tempo prima ad un controllo con il
metodo australiano), e dall’altro, che la colpevolezza del Di Paolo veniva semplicemente presunta,
più che provata, sulla base di un’interpretazione squisitamente inquisitoria del contenuto degli
appunti manoscritti del medico3.
Scendendo più nello specifico, può dirsi che il TNA completa, con questa pronuncia, la sua
personalissima “actio finium regundorum” con riferimento alla corretta circoscrizione dei casi
rientranti nella fattispecie di cui all’art. 2.2 del Codice, sulla scorta della giurisprudenza del TAS4 e
dei suoi stessi precedenti5: viene richiamato, infatti, il principio generale espresso nell’art. 3.1 del
Codice (e ripreso fedelmente dall’art. 4.1 delle NSA del CONI-NADO), secondo cui, per ritenere
sussistente la fattispecie del “tentato uso” di sostanze dopanti, è necessario un quadro probatorio
superiore alla valutazione delle probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio,
ed essendo parimenti necessario, a giudizio del TAS6, il passaggio alla fase di acquisto delle
sostanze vietate, non potendosi ritenere raggiunto il grado di prova richiesto semplicemente sulla
base di un colloquio informativo tra l’atleta e un medico potenziale dopatore.
2
Sembra opportuno riportare la lettera dell’art. 2.2.2 del Codice: “The success or failure of the Use or Attempted Use of a Prohibited
Substance or Prohibited Method is not material. It is sufficient that the Prohibited Substance or Prohibited Method was Used or
Attempted to be Used for an Antidoping rule violation to be committed”, così commentato dal Codice stesso: “Demonstrating the
“Attempted Use” of a Prohibited Substance requires proof of intent on Athlete’s part”.
3
In particolar modo, l’UPA riteneva provata l’intenzione dell’atleta di far uso di sostanze dopanti partendo da una particolare
interpretazione di talune lettere presenti sugli appunti sequestrati, e indicanti – anche a giudizio della CAF – sotto un linguaggio
cifrato farmaci proibiti, già sequestrati ad altri atleti affidatisi alle cure del Santuccione (tra questi il saltatore con l’asta Gibilisco; v.
nota successiva): si trattava in sostanza, a giudizio dell’UPA, di Eritropoietina, Andriol, Profasi (verosimilmente indicati con le
lettere “E”, “A”, “P”).
4
V. caso Gibilisco: decisione del 26 ottobre 2007 n. 12/07, in www.coni.it.
5
Si veda la decisione 8 luglio 2008 n. 53/08, caso Cedroni, in www.coni.it.
6
Principio ripreso dal TNA nel caso Cedroni.
87
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
Nel caso in questione, dunque, il grado di prova non risulta raggiunto in virtù di molteplici
considerazioni:
la titubanza e il timore mostrati palesemente dall’atleta al medico inducono a ritenere
insussistente una sua concreta volontà di procurarsi e assumere sostanze vietate;
l’atleta non è stato trovato in possesso delle suddette sostanze, né è mai risultato positivo ai
controlli a cui è stato sottoposto;
la pur palese violazione dell’art. 4 del Codice Etico del ciclismo7 non può costituire un
elemento di prova sufficiente ad affermare la responsabilità dell’atleta;
l’archiviazione disposta nei suoi confronti dal Tribunale di Chieti, sulla base delle cui
risultanze aveva preso le mosse il procedimento disciplinare, deve essere assolutamente tenuta in
considerazione dagli organi di giustizia sportiva.
4. I rapporti tra giustizia penale e ordinamento sportivo
Proprio quest’ultimo rilievo, già evidenziato dalla difesa dell’atleta e correttamente accolto
dal TNA, merita il più ampio risalto e un doveroso approfondimento. In particolare, dall’emersione
di una vasta realtà illegale volta al traffico di sostanze farmacologicamente attive, destinate al
doping sportivo, che aveva determinato l’instaurarsi del procedimento penale denominato “Oil for
drug”, anche gli organi di giustizia sportiva erano intervenuti per sanzionare gli illeciti disciplinari
portati alla luce dalla magistratura.
Con riferimento specifico al caso de quo, l’UPA aveva formulato i propri addebiti proprio
partendo dal materiale probatorio in possesso della Procura di Chieti, presso la quale il Di Paolo
risultava indagato, salvo poi ignorare completamente, valutandolo – a giudizio di chi scrive, con
colpevole sufficienza – come del tutto irrilevante, il provvedimento di archiviazione del
procedimento penale a carico dell’atleta. Coglie, dunque, nel segno il TNA quando interviene
decisamente a cassare quella parte della decisione della CAF che faceva propri gli indirizzi posti a
base del deferimento da parte dell’UPA: correttamente, infatti, si afferma che “malgrado la piena
autonomia e la specificità dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento statuale ed in
particolare a quello penale, – qui, in tutta evidenza, il TNA fa propria la ricostruzione della difesa
dell’atleta – non possono non richiamarsi le chiare espressioni formulate dal Procuratore della
Repubblica di Chieti nel provvedimento con il quale (…) chiedeva disporsi l’archiviazione degli
7
Che impone agli atleti di avvalersi esclusivamente delle prestazioni del medico di squadra o di professionisti di assoluta serietà.
88
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
atti nei confronti del Di Paolo”, riportando testualmente parte del provvedimento del PM abruzzese.
Prosegue, poi, il TNA rilevando che né si può omettere che il Giudice per le Indagini Preliminari di
Chieti (…) ha poi disposto l’archiviazione del procedimento” (…) ‘ritenendo corrette e
condivisibili le considerazioni svolte dal P.M. (…) che qui devono intendersi integralmente
riportate’.
Non si può accedere, infatti, ad un’interpretazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo,
pur riconosciuta dalla legge (art. 1, comma secondo, L. 280/2003), come separazione ovvero
impermeabilità assoluta di un ordinamento settoriale nei confronti di una decisione di un organo
dello Stato, tanto più quando si tratta di consentire la realizzazione di una funzione fondamentale
dello Stato stesso: il rispetto e l’esecuzione che si devono a una pronuncia del giudice penale. Non
appare ultroneo, perciò, evidenziare ancora una volta come la promozione e la tutela della pratica
sportiva abbiano ormai assunto, nell’operato della giurisprudenza prima ancora che nel sentire
comune, ovvero a seguito degli interventi normativi statali e regionali, il rango di principi
costituzionalmente protetti, trovando realizzazione, in essa e con essa, taluni diritti fondamentali
riconosciuti dalla Carta8.
Se è lecito, quindi, iscrivere il diritto a praticare una disciplina sportiva nella c.d. Costituzione
materiale, non può trovare alcuna spiegazione una decisione di un organo di giustizia ‘domestica’
che si proclami indifferente e si pretenda impermeabile all’esercizio di una tra le massime funzioni
dello Stato-organizzazione che quel diritto intende riconoscere pienamente a un cittadino prima
ancora che a un atleta.
In maniera ugualmente coerente sia con le argomentazioni svolte a sostegno della presente
decisione, sia avuto riguardo alla propria giurisprudenza, il TNA infligge all’atleta Di Paolo la
squalifica di sei mesi per l’oggettiva – nonché provata e ammessa – frequentazione del medico
Santuccione.
La decisione dei giudici di ritenere responsabile l’atleta di una violazione regolamentare si
iscrive nel solco di un orientamento ormai consolidato: il TNA, infatti, si limita a riportare le
valutazioni già esposte in altri casi (tra cui quello del ciclista Di Luca9, richiamato in sentenza),
ritenendo fondamentale evitare che soggetti, in qualunque modo sanzionati e per quanto possibile
allontanati dall’ordinamento sportivo, possano intrattenere rapporti con atleti o personale di
8
Tra essi, indiscutibilmente, gli artt. 1, 4, 24, 41, 103, 113 Cost.; anche la dottrina è unanime in tal senso: su tutti, LUBRANO E., Il
TAR Lazio segna la fine del vincolo di giustizia. La FIGC si adegua, in RDES, 2/2005, pagg. 2-7; e, dello stesso Autore, Ammissione
ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, in “Analisi giuridica dell’Economia”, n. 2/2005, pagg. 2-7.
9
Decisione del 16 ottobre 2007 n. 11/07, in www.coni.it.
89
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
supporto regolarmente tesserati in un campo, quale quello dell’antidoping, in cui si mescolano
inestricabilmente la tutela della salute dei praticanti e la necessità di assicurare correttezza e lealtà
nello svolgimento delle competizioni.
In questo senso, dunque, si iscrivono le norme (dettate sia a livello generale: art. 3.6 delle
Istruzioni operative dell’UPA, nel testo in vigore nel 2004; sia dalle singole Federazioni: in tal caso,
art. 16.4 del Regolamento antidoping della FCI) che puniscono le condotte di quegli atleti che,
consapevolmente o meno, si affidano a soggetti espulsi dall’ordinamento sportivo; norme che
devono trovare incondizionata applicazione – a giudizio del TNA – se solo si considera che la loro
“ratio va individuata nel disvalore che l’ordinamento sportivo attribuisce alle condotte di quegli
atleti che facciano ricorso alle prestazioni di soggetti nei confronti dei quali lo stesso ordinamento
abbia già avuto modo di valutare – attraverso il provvedimento sanzionatorio – l’antigiuridicità del
comportamento, sotto il profilo disciplinare”.
E a nulla vale che Santuccione, all’epoca in cui si svolsero i fatti, avesse già scontato la
condanna di temporanea inibizione e ancora non fosse stato inibito a vita dall’ordinamento
sportivo10: il TNA dichiara espressamente, infatti, nella decisione n. 53/08 (caso Cedroni), che “la
frequentazione di soggetti inibiti da parte degli atleti rimane vietata anche dopo la scadenza del
periodo di sospensione”.
Coerentemente con questo indirizzo, ancora, si specifica, nel caso Di Luca, che “la
frequentazione di un soggetto colpito da provvedimento sanzionatorio per fatti di doping, e quindi
già inibito dall’ordinamento sportivo, è in re ipsa un comportamento contrario al principio di lealtà
e correttezza, oltre a costituire il presupposto applicativo della sanzione prevista dalle norme”
violate.
10
Vicenda che, in altra occasione, si è avuto modo di definire come “un vero e proprio ergastolo sportivo”: cfr. SANTONE R., Il
doping nell’ordinamento sportivo nazionale e internazionale, Tesi di Laurea, a.a. 2007/08, LUISS Guido Carli, pagg. 111 ss. .
90
NOTE A SENTENZA
Il tentativo di doping secondo il codice wada...
5. Conclusioni
Ci si può sbilanciare, allora, sostenendo che il TNA abbia definitivamente fornito la corretta
interpretazione della nozione di “tentato uso” di cui all’art. 2.2 del Codice WADA e che esso, dato il
suo tenore, finirà per non produrre contrasti applicativi in seguito? Difficile pronunciarsi: meglio
indicare come plausibile ed accedere ad una lettura dell’art. 2.2 come indicato dalla decisione in
commento, ritenendo non provata la fattispecie del “tentato uso” di sostanze dopanti in assenza di
comportamenti da cui indurre, più che verosimilmente (leggi: con una valutazione superiore alla
probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio), l’intenzione di procurarsi – al
fine di utilizzarle – tali sostanze.
Di certo, nell’individuazione e valutazione delle condotte da cui inferire la prova del “tentato
uso”, non può non tenersi conto di provvedimenti emanati da autorità diverse – e, nel caso in
questione, sovraordinate (come nell’ipotesi di archiviazione di un procedimento penale) – da quelle
appartenenti all’ordinamento sportivo.
(*) praticante Avvocato
91
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
TRIBUNALE DI TRENTO
Il Tribunale in composizione monocratica in persona del dott. Dino Erlicher
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso presentato da T. S. rappresentato e difeso dagli avv.ti *
contro
F.I.P.A.V. Federazione Italiana Pallavolo in persona del presidente in carica rappresentata e
difesa in giudizio *.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il ricorrente nato il *, cittadino bulgaro , precisando di svolgere in modo continuativo l’attività
di giocatore di pallavolo, ha dedotto che con scrittura privata datata 9.1.2008 era stato stipulato un
accordo fra di lui e le società sportive M. (Bulgaria) e X Volley spa avente ad oggetto il passaggio
dell’atleta al club X per partecipare alle tre stagioni sportive 2008-09, 2009-10 e 2010-11.
Lamentava peraltro che la richiesta di tesseramento inoltrata il 31.07.2008 alla F.I.P.A.V.
Federazione Italiana Pallavolo era stata respinta con richiamo al divieto di tesseramento degli atleti
stranieri under 23 introdotto con delibera del Consiglio Federale dd. 9.2.2008; il provvedimento
della Federazione impediva la partecipazione del giocatore alle competizioni nazionali e
internazionali nelle file del sodalizio di Trento.
Rilevando che la richiamata disposizione federale limitativa del tesseramento degli stranieri si
poneva in contrasto con le norme comunitarie e con quelle statali, essendo ingiustamente
discriminatoria alla luce della previsione dell’art. 43 del d. lgs. 286/98, il ricorrente invocava la
tutela accordata dall’art. 44 dello stesso d. lgs. chiedendo che fosse ordinato alla FIPAV di
provvedere al suo immediato tesseramento con la società X Volley.
Costituendosi in giudizio la FIPAV Federazione Italiana Pallavolo eccepiva il difetto di
giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria assumendo che la controversia, attenendo al
rapporto associativo, ricadeva nella cognizione del giudice amministrativo.
92
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Sempre in via pregiudiziale rilevava che in forza della clausola compromissoria di cui all’art.
58 dello statuto federale non poteva essere adita la giustizia ordinaria essendo prevista una
incondizionata deroga in favore della giurisdizione sportiva.
Nel merito contestava l’esistenza dei presupposti per il provvedimento cautelare rilevando
che:
il ricorrente era privo di legittimazione posto che il tesseramento poteva essere richiesto solo
dalla società X Volley;
non era stata seguita la procedura prevista per il tesseramento ed era stato omesso il
versamento della quota fissata;
doveva escludersi qualsiasi portata discriminatoria negli atti e comportamenti della FIPAV
considerato che l’attività sportiva della pallavolo era espressamente qualificata dilettantistica e che
pertanto non veniva in rilievo un diritto tutelato dall’art. 43 del d. lgs. 286/98;
mancava il periculum in mora atteso che da tempo era noto alle società affiliate FIPAV il
divieto di tesseramento per gli atleti stranieri under 23.
All’udienza del giorno 16 ottobre 2008 le parti discutevano il ricorso e il giudice si riservava
di decidere assegnando un termine per note illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Sono prive di fondamento le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla FIPAV.
Il ricorrente ha espressamente agito ai sensi degli artt. 43 e 44 del d. lgs. 286/98 a tutela del
suo diritto a non essere discriminato nell’esercizio della attività sportiva in Italia lamentando la
violazione della sua posizione giuridica per effetto del diniego di tesseramento motivato dalla
delibera federale che impedisce il tesseramento degli atleti stranieri di età inferiore a 23 anni.
Non v’è dubbio che il rimedio accordato costituisce una speciale azione civile, esperibile
anche personalmente dal soggetto interessato, per la quale sussiste la giurisdizione del giudice
ordinario anche se il comportamento discriminatorio derivi dall’applicazione di un atto
amministrativo, stante l’univoca previsione normativa e atteso che vengono in rilievo i diritti
fondamentali della persona.
Va parimenti esclusa l’operatività della clausola compromissoria (“vincolo di giustizia”)
prevista dall’art. 20 dello statuto federale FIPAV che impegna gli affiliati e i tesserati ad adire gli
organi di giustizia dell’ordinamento sportivo per la soluzione delle controversie.
93
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
E’ agevole rilevare in primo luogo che il ricorrente, non essendo ancora tesserato presso la
Federazione Italiana Pallavolo, non rientra fra i soggetti tenuti ad agire in ambito giurisdizionale
sportivo secondo la richiamata clausola statutaria. Si deve poi ritenere che la natura del diritto alla
non discriminazione sia in ogni caso ostativa alla preventiva rinuncia alla tutela davanti al giudice
ordinario. Non è infatti possibile che l’ordinamento sportivo deroghi alla tutela giurisdizionale
ordinaria trattandosi di posizione giuridica di rilievo costituzionale e che è espressione di principi
fondamentali di ordine pubblico internazionale.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla FIPAV sussiste la legittimazione del ricorrente ad
agire a tutela del proprio diritto al pari trattamento nell’esercizio dell’attività sportiva remunerata in
Italia. Assolutamente priva di rilievo è la circostanza che la domanda di tesseramento alla FIPAV
non accolta, che è all’origine dell’atto discriminatorio denunciato, sia stata presentata dalla società
X Volley perché ciò è avvenuto, con l’assenso dell’atleta, nel rispetto della procedura federale.
Resta indiscutibile il fatto che, venendo in discussione la lesione di diritti della persona, è solo
quest’ultima che può esercitare la tutela accordata dall’ordinamento.
Quanto alle contestazioni di carattere formale relative alla domanda di tesseramento si osserva
che si tratta di questioni ininfluenti nel presente giudizio essendo inidonee ad impedire l’azione
proposta.
Nel merito il ricorso è fondato e va dunque accolto.
L’art. 43 del d. lgs. 286/98 definisce il concetto di discriminazione comprendendovi, fra
l’altro, ogni comportamento che direttamente o indirettamente comporti una distinzione, esclusione,
restrizione o preferenza basata sulla origine nazionale o etnica e che produca l’effetto di impedire o
compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti
umani e delle libertà fondamentali in campo economico.
La disposizione in esame, come quella dell’art. 44, si applica anche agli atti discriminatori
compiuti nei confronti di cittadini di altri Stati membri dell’Unione Europea (quale è la Bulgaria).
Delineato in tal modo il quadro normativo, occorre verificare se il diniego di tesseramento
FIPAV del ricorrente giustificato dalla delibera federale che impedisce alle società partecipanti ai
campionati di serie A maschile di tesserare atleti stranieri under 23 costituisca atto discriminatorio
vietato dalle disposizioni richiamate.
94
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Si evince dalla documentazione allegata al ricorso che la società X Volley ha acquistato dal
club bulgaro di appartenenza di T. S. i diritti sportivi relativi all’atleta per il quale è previsto un
compenso; l’accordo stipulato dalle due società sportive e sottoscritto per adesione dal ricorrente fa
riferimento ad una separata convenzione intercorsa fra la società trentina e l’atleta avente ad oggetto
la determinazione del compenso e dei premi.
Ciò posto e considerato che la X Volley spa milita nel campionato italiano di serie A di
pallavolo e quindi ai massimi livelli, in ambito nazionale, in detta disciplina sportiva deve
ragionevolmente ritenersi che il ricorrente venga remunerato per la sua attività alla stregua di un
giocatore professionista.
Del resto S., che ha affermato (senza contestazioni della resistente) di svolgere in via
continuativa attività di pallavolista, risulta essersi trasferito in Italia unicamente per prestare attività
sportiva con la X Volley in adempimento degli impegni contrattualmente assunti.
Ne discende che il mancato tesseramento del ricorrente, ostativo all’esercizio dell’attività
sportiva remunerata, costituisce un atto discriminatorio perché dettato esclusivamente dalla sua
nazionalità straniera.
E’ priva di fondamento, ad avviso di questo giudicante, l’obiezione della resistente secondo
cui essendo la pallavolo un’attività sportiva dilettantistica non potrebbe configurarsi un rapporto di
lavoro con la conseguente inoperatività delle disposizioni anti discriminatorie che non tutelano il
diritto alla pratica sportiva tout court. Tale soluzione, che attribuisce una valenza dirimente alla
qualificazione dell’attività (professionistica o dilettantistica) dei propri tesserati da parte delle
singole federazioni sportive, non è condivisibile e si scontra con l’orientamento formatosi nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia CE.
Dopo avere affermato che l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia
configurabile come attività economica (v. Corte Giustizia sentenza 15.12.1995 Bosman ) i giudici
comunitari hanno enunciato il principio che la sola qualificazione di una disciplina sportiva come
dilettantistica da parte delle federazioni nazionali non è idonea ad escludere che gli atleti tesserati
svolgano in concreto un’attività economica quando percepiscono per le loro prestazioni un
corrispettivo, anche se di entità modesta, che non sia limitato al semplice rimborso delle spese (v.
sentenze Corte di Giustizia CE datate 11.4.2000 Deliege e dd. 13.4.2000Lehtonen).
95
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Stante la prevalenza del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali in materia di attività
economiche, fra le quali rientrano le prestazioni di lavoro subordinato e le prestazioni di servizi
remunerate, deve concludersi che sia configurabile un rapporto di lavoro sportivo quando, come nel
caso in esame, l’attività dell’atleta sia remunerata anche in quelle discipline formalmente qualificate
dilettantistiche.
La conseguenza è che il divieto di tesseramento previsto per gli atleti stranieri under 23 viola
una libertà fondamentale in campo economico qual è quella di esercitare un’attività lavorativa in
condizioni di parità e pertanto il diniego opposto dalla FIPAV ha portata discriminatoria.
Quanto al periculum in mora, pare sufficiente rilevare che il ricorrente ha l’esigenza di
partecipare immediatamente all’attività sportiva (fra cui il campionato nazionale di serie A da poco
iniziato) della X Volley sia per adempiere agli obblighi contrattuali sia per mantenere la
preparazione atletica e di gara.
Essendo applicabili all’azione civile ex art. 44 del d. lgs. 286/98 le norme sul procedimento
cautelare uniforme che prevedono come facoltativo il giudizio di merito ai sensi dell’art. 669 octies
cpc (v. Cass. S.U. 6172/2008) non si danno disposizioni per la prosecuzione del giudizio.
La particolarità delle questioni esaminate giustifica ampiamente l’integrale compensazione
delle spese.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso ordina alla FIPAV Federazione Italiana Pallavolo di provvedere
all’immediato tesseramento di T. S. con la X Volley spa. Spese compensate. Si comunichi
Trento, 27 ottobre 2008
96
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
LAVORATORI SPORTIVI SENZA TROPPI “FORMALISMI”.
NOTA A ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI TRENTO
DEL 27 OTTOBRE 2008
di Domenico Zinnari (*)
L’Ordinanza del Tribunale di Trento1 costituisce un importante tassello circa la controversa
tematica afferente la configurabilità, in ambito formalmente non professionistico a livello apicale, di
un rapporto di lavoro tra atleti e società sportive.2
Nonostante l’apparente monolitico assetto della normativa di settore (L.23 marzo 1981 n.91),
dall’analisi della quale parrebbe escludersi tassativamente la ricorrenza di un rapporto di lavoro al
di fuori del circoscritto campo di applicazione da essa delineato, gli ormai non più sporadici
interventi giurisprudenziali sul tema 3, inducono a ritenere, pur nella persistenza di margini d’
incertezza, l’emergere di una tendenza tesa a valorizzare, in sede di qualificazione del rapporto, i
profili più strettamente “fattuali”in luogo degli elementi di natura meramente formale.
1
A mero fine di completezza è da rilevarsi come l’Ordinanza sia stata revocata dal Tribunale di Trento in composizione collegiale
con Ordinanza del 4 dicembre 2008 (pubblicata in questa Rivista) stante la ritenuta inammissibilità del ricorso per difetto di
giurisdizione dell’A.G.O. essendo la “controversia”devoluta alla giurisdizione esclusiva del Tar Lazio ai sensi dell’art. 3 L.
280/2003. La natura di mero rito della prununcia in sede di reclamo, ferme alcune fondate perplessità circa la soluzione
interpretativa adottata in ordine ai rapporti tra l’azione di cui all’art.44 D.Lgs. n. 286/98 e la L. n. 280/2003, ad avviso di chi scrive
non tange il contenuto di merito della pronuncia in commento.
2
Tra i più recenti contributi in materia si segnalano: L.Musumarra, Il rapporto di lavoro sportivo, in M. Coccia, A. De Silvestri,
O.Forlenza, L.Fumagalli, L. Musumarra, L. Selli, Diritto dello Sport, Le Monnier, 2008; A.De Silvestri, Il lavoro nello sport
dilettantistico, in GiustiziaSportiva.it − Rivista Internet di diritto dello sport -, 2006 n. 1; A.De Silvestri, Ancora in tema di lavoro
nello sport dilettantistico, in E.Crocetti Bernardi, A.De Silvestri, P.Amato, L.Musumarra,T. Marchese, N.Forte, Il rapporto di lavoro
dello sportivo, Experta, 2007; E.Crocetti Bernardi, Lo sport tra lavoro e passatempo, in E.Crocetti Bernardi, A. De Silvestri,
P.Amato, L.Musumarra,T. Marchese, N.Forte, Il rapporto di lavoro dello sportivo, Experta, 2007; G.Allegro, Sport dilettantistico e
rapporti di lavoro, in Lineamenti di diritto sportivo a cura di L. Cantamessa,G.M. Riccio, G.Sciancalepore, Giuffrè, 2008; A.Del
Vecchio, Il caso Mastrangelo: luci e ombre della qualificazione giuridica dell'atleta dilettante, in GiustiziaSportiva.it − Rivista
Internet di diritto dello sport -, 2008 n. 3; V.Bernardi, L’evoluzione dello status professionale del giocatore di calcio a 5,
GiustiziaSportiva.it − Rivista Internet di diritto dello sport -, 2007 n.2; M. Grassani, L’allenatore dilettante non può essere
lavoratore subordinato. Nota a Corte d’Appello Venezia, Sez.Lav.,21 marzo 2006, in Rivista di diritto ed economia dello sport, Vol II,
Fasc. 2, 2006; A. Guadagnino, Gli allenatori di calcio non professionisti: tutela previdenziale e tutela antinfortunistica. Nota a Corte
di Appello di Venezia n. 173/2006, GiustiziaSportiva.it − Rivista Internet di diritto dello sport -, 2006 n. 3; E.Indraccolo, Rapporti e
tutele nel dilettantismo sportivo, ESI, 2008. Per una complessiva disamina dell’incidenza del diritto comunitario si veda il
recentissimo testo AA.VV., Diritto comunitario dello sport, a cura di J.Tognon, Giappichelli, 2009.
3
Tra le pronunce più prossime vedasi Tribunale di Roma,Sez. Lav.,Ordinanza 11 ottobre 2008 in GiustiziaSportiva.it − Rivista
Internet di diritto dello sport -, 2008 n. 3, con nota di A. Del Vecchio, op.cit. Sul punto anche la sentenza del Tribunale di Roma, Sez.
Lav., 27 giugno 2007 citata da L.Musumarra, Il rapporto di lavoro sportivo, op. cit., pag. 220.
97
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Se è dato assolutamente pacifico in giurisprudenza ed in dottrina quello dell’ inapplicabilità
della disciplina di cui alla L.n. 91/81 a fattispecie ad essa estranee, considerando l’ insuscettibilità di
applicazione indiretta o analogica della lex specialis, sotto l’aspetto sistematico non può non
considerasi come la formulazione dell’art. 2 della citata Legge costituisca un’ evidente anomalia
all’interno della legislazione giuslavoristica.
Dalla lettura del disposto normativo, teso ad individuare sotto il profilo oggettivo e soggettivo
il campo applicativo, si evidenzia come il Legislatore abbia inteso, da un lato, determinare
direttamente un nucleo essenziale di elementi richiamando i requisiti della onerosità e della
continuità della prestazione, e, dall’altro,
operare un rinvio alla normativa federale per quanto
attiene la distinzione tra l’attività sportiva dilettantistica e quella professionistica.
In altri termini la nozione di lavoro professionale sportivo sorgerebbe dalla commistione di
requisiti generali posti dalla Legge (onerosità e continuità del rapporto), di requisiti più specifici di
natura soggettiva (esser parte del rapporto l’atleta, l’allenatore, il direttore tecnico-sportivo, oppure
il preparatore atletico), nonché dal requisito della c.d qualificazione.
Tralasciando i profili d’analisi più strettamente legati alla natura tassativa o meramente
esemplificativa dell’elencazione delle figure professionali contenuta nell’art. 2 della L.n.91/814,
l’aspetto che in questa sede rileva è quello relativo all’opzione operata ai fini della delimitazione del
campo di applicazione “oggettivo”.
A riguardo la scarsa significatività degli elementi discriminati assunti dal Legislatore lasciano
fondatamente presumere l’incapacità selettiva degli stessi e la centralità della qualificazione
federale che, nel peculiare contesto, viene a porsi quale presupposto logico - giuridico anteposto alla
titolarità di un contratto di lavoro sportivo a titolo oneroso avente ad oggetto un’attività svolta con
continuità.
Nel predisporre, dunque, l’ organica disciplina del rapporto di lavoro sportivo, il Legislatore
con la l. 91/1981 richiama evidentemente la tradizionale dicotomia dilettante-professionista ispirata
alla filosofia dell’olimpismo, che, sebbene oggetto a radicali critiche, trova riscontro ancor oggi,
4
Da ultimo, seppure con argomentazioni non innovative, Cass., Sez. Lav., 11aprile 2008, n.9551ove:” La Corte ritiene che debba
seguirsi l'opinione secondo cui l'elencazione debba considerarsi tassativa per avere il legislatore adoperato non espressioni generiche,
tali da permettere una classificazione dell’art.2 in termini di norma aperta. Per di più assume incisivo rilievo a sostegno di quanto ora
detto la considerazione che una legge speciale, quale quella in esame, che contiene sotto molti versanti numerose e vistose regole,
sovente in senso peggiorativo, rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato non può estendersi per analogia ai
lavoratori non espressamente contemplati nel dettato normativo, e non può, neanche, accreditare una interpretazione estensiva volta
ad includere: tra i tecnici, singolarmente indicati nel già citato art.2, anche figure - quali il medico sociale ed il massaggiatore
sportivo - che hanno professionalità significativamente diverse da quelle indicate nella summenzionata norma“ .La Suprema Corte
pur negando l’applicabilità della speciale disciplina di cui alla L.91/81 alla fattispecie è però altrettanto risoluta nello statuire che ciò
non escluda, anzi implichi, l’assoggettamento della stessa alla comune normativa lavoristica.
98
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
seppure con carattere non univoco, nell’ambito delle organizzazioni federali nazionali ed
internazionali cui viene demandata l’ individuazione della linea di demarcazione nell’assenza di
specifiche disposizioni di fonte statuale.5
Tale opzione legislativa fin dall’entrata in vigore della norma ha suscitato una serie di
perplessità considerando come, nella realtà fattuale, ingenerava ed ingenera l’inconveniente di
sottrarre alla disciplina della l. n. 91/81 l’intera area del c.d. professionismo di fatto attesa
l’acquisizione dello”status” di sportivo professionista da un elemento formale, anziché dal concreto
atteggiarsi del rapporto.6
A fronte della palese anomalia, in sede di primi commenti dottrinari e con alcuni
“sibillini”riscontri in giurisprudenza, si è affermata la necessità di attribuire un significato più
generale alle norme definitorie della Legge sul professionismo in quanto indicative dei caratteri che
presiedono all’individuazione qualitativa del rapporto prescindendo dal presupposto legale (id est
la qualificazione ex art. 2).7
5
L’unica definizione di atleta non professionista nell’ambito della legislazione statale era da rinvenirsi nell’attualmente abrogato D. P.
R. n. 530 del 1974 (Regolamento di Esecuzione della L. n. 426 del 1942) che individuava l’atleta non professionista come colui il
quale “pratica lo sport senza trarne alcun profitto materiale direttamente od indirettamente”.D’interesse la definizione di sportivi
dilettanti come “tutti i tesserati che svolgano attività sportiva a titolo agonistico, non agonistico, amatoriale, ludico motorio o quale
impiego del tempo libero, con esclusione di coloro che vengono definiti professionisti dagli specifici regolamenti delle
organizzazioni sportive nazionali di appartenenza o che vengano ricompresi nelle previsioni di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38”
, contenuta nel Decreto Interministeriale 17 dicembre 2004, disciplinante le modalità tecniche per l'iscrizione all'assicurazione
obbligatoria presso la Cassa di previdenza per l'assicurazione. Correttamente si è osservato come in alcuni settori normativi si
abbozzi una linea di demarcazione diversa come ad esempio l’attuale art. 27 n. 5 bis della c.d. L. Bossi-Fini, (L 30 luglio 2002 n.
189), emendato su esplicita richiesta del CONI, che prevede, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, l’endiadi “attività sportiva
professionistica o comunque retribuita”, dizione quest’ultima che finisce con il costituire un indiretto riconoscimento legislativo del
professionismo di fatto (Cfr. A. De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 12).
In via applicativa la citata normativa ha condotto ad esiti paradossali. La società dilettantistica che intendesse avvalersi
dell’attività di uno sportivo straniero non professionista, doveva formulare comunque una proposta di soggiorno ed una richiesta di
dichiarazione nominativa di assenso per lavoro subordinato sport alla federazione di appartenenza corredata dall’autorizzazione
rilasciata dalla competente Direzione Provinciale del Lavoro anche in ipotesi in cui alcun contratto di lavoro fosse ravvisabile (come
nel caso degli atleti non professionisti). Il Ministero dell’Interno con la Circolare n.8 del 2 marzo 2007 preso atto, sic stantitibus
rebus, della non configurabilità di contratti di lavoro subordinato in ambito non professionistico, ha esonerato gli atleti
extracomunitari dilettanti dalla stipula del contratto di soggiorno.
6
Circa le problematiche della qualificazione federale si rinvia a L. Musumarra, La qualificazione degli sportivi professionisti e
dilettanti, in Rivista di diritto ed economia dello sport, Vol. I, Fasc. 2, 2005, pag. 40 seg.; E. Crocetti Bernardi, Lo sport tra lavoro e
passatempo, op.cit. pag.20 seg.; A. De Silvestri, Ancora in tema di lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 56 seg.
7
L.Mercuri, voce Sport professionistico (Rapporto di lavoro e previdenza sociale), in Nuovissimo Digesto Italiano, Utet, 1987, pag.
519;F. Realmonte, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, in Rivista di diritto sportivo, 1997, pag. 374.In giurisprudenza si attesta
su tale posizione la sentenza della Pretura Busto Arsizio 12 dicembre 1984 in Giustizia Civile, 1985, pag. 2085 con nota adesiva di C.
Zoli. Latamente sembrerebbe propugnare l’applicabilità della normativa di cui alla l. 91/81 anche ad ipotesi estranee al suo campo
applicativo Cass. Civ., Sez. Lav. 1 agosto 2003, n. 11751. In tale pronuncia la Suprema Corte, nel confermare la piena validità di un
lodo emesso nell’ambito di una federazione non professionistica quale la F. I. S. G., ha ritenuto di poter fare riferimento alle
previsioni di cui all’art. 4 co. 5 l. 91/81. In senso analogo già antecedentemente Cass. Civ.,Sez. Lav., 6 aprile 1990, n.2889 ove,
riguardo ad una controversia tra associazione sportiva ed atleta non professionista, si sostiene che le parti “avvalendosi
espressamente della facoltà prevista dal 5 comma dell'art. 4 della L. 91/81, hanno concordemente devoluto la soluzione della
controversia al Collegio Arbitrale costituito a norma del citato articolo con conseguente applicazione del procedimento previsto
dall'art. 23 del Regolamento di disciplina della F.I.G.C., procedimento che, per sua natura e definizione, ha carattere irrituale,
risolvendosi con una pronunzia emessa in unica istanza secondo equità e qualificata come definitiva e non impugnabile”.
99
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Una successiva e più attenta disamina della questione, però, ha portato alla contraria
conclusione circa l’impossibilità di estendere la normativa contenuta nell’art. 4 e seguenti della L.
91/81 oltre il campo di applicazione specificatamente delimitato, ritenendosi che tutte le questioni
relative a quei prestatori di lavoro sportivo non espressamente contemplati, ma che in ogni caso
svolgano a titolo oneroso la propria attività lavorativa, debbano essere risolte ricorrendo alla
normativa di diritto comune. 8
Sul piano dogmatico, infatti le relazioni tra normativa codicistica e la L. n. 91/81, non
possono che essere
disciplinate in base al criterio della specialità
con la conseguenza che
ogniqualvolta la fattispecie da regolamentare non presenti i tratti qualificanti della normativa
speciale la stessa non può che ricadere nell'ambito della più ampia disciplina generale.
La posizione da ultimo richiamata, senza operare forzature di carattere ermeneutico, ha il
merito di attenuare, nelle more di un intervento di riforma organica della normativa di settore 9, le
profonde disparità di trattamento che
pur si sono appalesate con riguardo al fenomeno del
professionismo di fatto nell’ambito del quale, per la sola ragione della mancanza dell’intervento
qualificatorio da parte della rispettiva Federazione, continuano ad essere inquadrati come dilettanti
soggetti che prestano la propria attività a favore di società sportive
con tutti i crismi della
professionalità.
A tale posizione si ispira nitidamente la giurisprudenza di merito, in vero non particolarmente
copiosa10, che,
in ottica eminemente garantistica, ha ritenuto di poter assoggettare al plesso
normativo regolante i generali rapporti di lavoro subordinato le ipotesi esulanti dalla L.n. 91/1981,
previa la necessaria verifica circa la sussistenza degli elementi integrativi della fattispecie di cui
all’art. 2094 C.C. o comunque in via residuale dell’art.409 C.P.C.11
8
Per tutti G.Vidiri, Il lavoro sportivo tra Codice Civile e norma speciale, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2002 pag. 39 seg.
Circa le iniziative assunte nella passata legislatura si veda A. De Silvestri, Il lavoro nello sport dilettantistico, op. cit., pag. 23 seg.;
V. Bernardi, L’evoluzione dello status professionale del giocatore di calcio a 5, op. cit. pag. 19 seg.
10
Per un ampio repertorio della giurisprudenza di merito per tutti P.Moro, Questioni di diritto sportivo, Euro 92, 1999, pag. 35 seg.
Propendono per la qualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato le seguenti sentenze: Trib. Lav. Grosseto 11
settembre 2003, n. 518, inedita; Trib. Lav. Bari., 10 marzo 2003, n., 6270, inedita; Trib. Lav. Ancona 4 luglio 2001, n. 147, in
Informazione Previdenziale, 2002, pag. 1084 con nota di A. Guadagnino, nonché la già richiamata pronuncia del Tribunale di Roma,
Sez. Lav., del 27 giugno 2007 citata da L.Musumarra, Il rapporto di lavoro sportivo, op. cit., pag. 220 .
11
Qualificano quale contratto di prestazione d’opera personale, continuativa e coordinata quello concluso tra un atleta ed una società
dilettantistica di pallavolo Pret. Bari, 26 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, pag. 140; Trib. Roma, ord. 7 febbraio 1995, cit., ove:
“Il rapporto contrattuale tra atleta e società sportiva, non costituita nella forma di società di capitali, è escluso dal campo di
applicazione della l. 91/81 ai sensi dell’art. 10; ciò non impedisce tuttavia di considerare il rapporto di collaborazione in questione
come prestazione d’opera continuativa e coordinata prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato”.
Medesimo iter argomentativo la Sentenza della Pretura di Lecce 20 gennaio 1999, inedita, ove: “la prestazione calcistica
dilettantistica dedotta nel contratto oggetto del presente giudizio è una prestazione, pur non lavorativa subordinata ex art. 94 ter
Norme Federali ed art. 3 l. 91/81, c.d. parasubordinata in quanto personale continuativa e coordinata”.
9
100
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Trattasi di indagine in vero non sempre agevole considerata la centralità dell’analisi dei
singoli casi concreti12, nonché una certa vischiosità, indubbiamente riscontrabile, da un lato tra i
profili più strettamente “associativi” del rapporto e quelli “lavoristici”, dall’altro tra le nozioni di
onerosità e gratuità delle prestazioni. 13
Fuor di metafora se infatti rilievo dominate ha nel processo di qualificazione il riscontro circa
la sussistenza dei noti indici rivelatori della subordinazione di elaborazione giurisprudenziale, punto
focale, ai fini della qualificazione del rapporto nella sua reale dinamica, appare quello inerente la
verifica circa la configurazione delle prestazione rese dallo sportivo non professionista
come“mero“ momento solutorio dell’obbligazione assunta a seguito dell’adesione all’associazione
che consegue al tesseramento o, di contro, quale adempimento di un comune contratto di lavoro.
Pur rimarcando le difficoltà sopra accennate non pare essere sorretta da adeguato impianto
motivazionale una “celebrata” pronuncia
di merito
14
che ha rigettato la domanda tesa al
riconoscimento della natura subordinata del rapporto intercorrente tra un allenatore dilettante ed una
società.
Sebbene la Corte di Appello
in un passo
della motivazione
faccia riferimento alla
circostanza in virtù della quale “non è emerso, al contrario di quanto ha ritenuto il primo giudice,
che l’attività svolta dal B. sia stata di tipo diverso sia oggettivamente con riferimento alla natura
delle prestazioni che in ordine alle modalità di espletamento delle stesse da quanto previsto dal
citato accordo e cioè che siano emersi elementi per riconoscere la subordinazione, diversi ed
aggiuntivi dal semplice impegno connaturato alla prestazione, come descritta dal sopra riportato
accordo oggetto del contratto e dal coordinamento con l’attività della società nei limiti in cui lo
richiedeva il tipo di prestazione che quale tesserato egli si era impegnato a svolgere”, il rigetto della
domanda pare fondato sulla nullità del contratto verbale per l’ inosservanza delle prescrizioni
tassative dettate dai regolamenti federali che determinerebbe l’inidoneità
a realizzare
nell’ordinamento statuale gli effetti dello stesso “mancando un interesse meritevole di tutela, non
potendo svolgere alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva”.
12
In tal senso apprezzabile l’Ordinanza del Tribunale di Roma, Sez. Lav., 11 ottobre 2008, ove: “Si esclude quindi, nel caso che ci
occupa, l'applicazione delle norme di disciplina della legge 91/81 cit. proprio in virtù della disposizione invocata che peraltro all'art.3
contempla la possibilità di qualificare gli sportivi professionisti come lavoratori subordinati. Ne consegue che il rapporto di lavoro
degli sportivi dilettanti deve essere qualificato di volta in volta, tenendo conto dei noti indici rivelatori di elaborazione
giurisprudenziale e che consentono di ritenere subordinato il rapporto anche a prescindere dalla qualificazione formale contenuta nel
contratto di ingaggio dello sportivo”.
13
Per tali profili e più in generale sul c.d. equivoco del lavoro gratuito si rinvia a A.De Silvestri, Ancora in tema di lavoro nello
sport dilettantistico,op.cit,.pag.70 seg.
14
Corte d’Appello Venezia, Sez.Lav., 21 marzo 2006 con note adesive di M.Grassani, L’allenatore dilettante non può essere
lavoratore subordinato, op.cit. e A. Guadagnino, Gli allenatori di calcio non professionisti: tutela previdenziale e tutela
antinfortunistica, op.cit.
101
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Il richiamo “tranchant”all’art. 1322 C.C. richiede una serie di puntualizzazioni critiche.
Rinviando in altra sede, stante la natura del presente scritto, ogni considerazione circa i
confini ed i parametri di riferimento del giudizio di meritevolezza, la sua natura autonoma ed
ulteriore rispetto a quello di liceità15, è da segnalarsi come l’art. 1322 co. 2 abbia, in effetti, avuto
ampia applicazione giurisprudenziale in una pluralità di difformi fattispecie afferenti rapporti
negoziali tra soggetti tesserati o comunque tenuti all’osservanza delle disposizioni statutarie e
regolamentari federali.
Presupposto imprescindibile d’analisi in chiave critica è il dato in virtù del quale l’art. 1322
co. 2 trovi, per espressa previsione normativa, il suo campo d’elezione nell’ambito dei contratti
innominati ossia non previsti dalla Legge.
Alla luce di tale fondamentale osservazione sorprende per inconferenza, il richiamo alla
mancanza di un interesse meritevole di tutela per violazione di prescrizioni previste
dall’ordinamento sportivo in ipotesi di simulazione relativa quoad pretium afferente un contratto di
lavoro stipulato ex art. 4 L. 91/8116, dovendosi nel caso di specie predicarsi non la immeritevolezza
dell’interesse ex art.1322 cpv. C.C., quanto piuttosto la nullità del contratto dissimulato per difetto
dei requisiti di forma e di sostanza specificamente previsti per il tipo negoziale dal medesimo art.
Del pari il richiamo è da ritenersi del tutto erroneo nel caso affrontato dalla Corte Veneziana
considerando la rinvenibilità nel contratto di lavoro, pur astrattamente configurabile, della funzione
tipica dello scambio tra retribuzione e pagamento di corrispettivo, dovendosi piuttosto vagliare,
operata la qualificazione del rapporto, la validità della “norma“ federale, come si dirà di natura
contrattuale, che imponga una forma convenzionale a pena di nullità.
Ma anche a voler estendere il campo di indagine alle pronunce della Suprema Corte in tema di
c.d. “contratti di cessione di calciatori” stipulati in violazione delle rigorose prescrizioni previste
15
La tematica è in realtà tra le più complesse. Basti qui sul punto sottolineare come il dibattito dottrinale circa l’interpretazione
dell’art. 1322 co. 2 C.C. conosca la sussistenza di sostenitori dell’autonomia del giudizio di meritevolezza rispetto a quello di liceità
(con varie e diverse sfumature in ordine ai parametri di riferimento del controllo giudiziale) rispetto al controllo di liceità e quella di
assertori della confluenza del primo nel secondo con lettura sostanzialmente abrogativa della norma. La divisone cennata trova eco
nella giurisprudenza di legittimità ove a fronte di perentoree affermazioni circa la superfluità di un autonomo giudizio di
meritevolezza (tra le tante Cass. Civ. 6 febbraio 2004 n.2288 ove: “ questa Corte comunque ribadisce il seguente principio di diritto
… possono dirsi diretti realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ex art. 1322, secondo comma c.c.,
tutti i contratti atipici non contrari alla legge, all'ordine pubblico ed al buon costume”), si contrappongano pronunce di segno
contrario tese a ritagliare al citato controllo autonomo rilievo.
16
Il riferimento è da intendersi alla sentenza del Tribunale di Teramo 8 novembre 2007 n. 826 in GiustiziaSportiva.it − Rivista
Internet di diritto dello sport -, 2008 n. 2 riguardante l’ipotesi di sottoscrizione di una contratto dissimulato parallelamente al
contratto di lavoro stipulato e ritualmente depositato ex art. 4 L.n.81/91. Il Tribunale, dopo aver richiamato ampiamente i disposti
della Legge sul professionismo nonché le norme di fonte collettiva in tema di conclusione del contratto afferma,
contraddittoriamente, poiché la nullità discende direttamente dalla violazione della norma imperativa di fonte statuale disciplinante
un tipico contratto di lavoro (art. 4 L.91/81) , che :“la violazione di norme dell’ordinamento sportivo (?) non possono non riflettersi
sulla validità di un accordo concluso tra soggetti assoggettati alle regole di detto ordinamento, atteso che non può ritenersi idoneo
sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti”.
102
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
dalle norme endoassociative17, non pare condivisibile l’idea di una indiscriminata applicazione
dell’art.1322 cpv. C.C., ed in particolare ai negozi di cui all’art. 5 L. 91/81, se solo si rimarchi la
piena inquadrabilità della fattispecie nell’alveo dell’art. 1406 c.c.18
Non è casuale, infatti, la circostanza in virtù della quale il precedente giurisprudenziale cui
fanno riferimento le sentenze più recenti in tema sia costituito da una pronuncia del 1981 19, vero
caso di giurisprudenza dottrinale, che, nell’elaborare il principio di diritto, muove dalla
qualificazione operata dai giudici di merito circa la natura atipica del contratto con il quale due
associazioni “fecero apparire come definitiva la cessione del calciatore in frode alla norma
regolamentare del settore dilettanti che faceva divieto alla società la quale avesse avuto piu’ di
quattro giocatori in prestito di tesserarne un altro”.20
Rigorosamente, ed in linea con quanto sopra, detto la sentenza della Cassazione Civile 5
gennaio 1994 n.75
21
fa discendere l'invalidità e l'inoperatività del contratto avente ad oggetto la
17
Si veda Cass. Civ. 23 febbraio 2004 n. 3545; Cass Civ. 5 gennaio 1994 n.75. Cass. Civ. 28 luglio 1981 n. 4845.
Tra le pronunce di merito si segnala la sentenza del Tribunale di Mantova del 27 maggio 2003, in Rassegna di diritto
economia dello sport, 2006, pag. 237 seg. con nota di C. Cacciamani, Violazione delle norme dell’ordinamento sportivo e invalidità
del contratto, ove:” l'inosservanza di prescrizioni tassative dettate dal regolamento della Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC),
se non costituisce ragione di nullita' per violazione di legge, a norma dell'art. 1418 c.c., determina l'invalidita' e l'inoperativita' del
contratto che violi dette norme, in relazione al disposto del comma 2 dell'art. 1322 c.c., atteso che esso, ancorche' astrattamente lecito
per l'ordinamento statuale, resta in concreto inidoneo a realizzare un interesse meritevole di tutela, non potendo attuare nella sfera
dell’attività sportiva, proprio per la violazione delle suddette regole, la funzione che si sarebbe dovuta realizzare secondo lo scopo
perseguito dalle parti.
Ne consegue che, essendo vietata dall’ordinamento sportivo, la cessione a titolo oneroso di calciatori dilettanti (cfr. artt. 31
e 34 del d.p.r. 2. 8.1974 n. 530 che escludono lo scopo di lucro dai fini perseguibili dalle società sportive e sanciscono per l’atleta non
professionista l’obbligo di praticare lo sport senza trarne profitto materiale diretto o indiretto), l’inadempimento dell’obbligo di
trasferire le liste di siffatti giocatori, correlandosi ad una obbligazione non avente contenuto patrimoniale, non determina l’insorgere
di un danno suscettibile di valutazione economica.”
Il Tribunale di Mantova in realtà cita una norma oggetto di espressa abrogazione legislativa da parte dell’art. 36 del D.P.R.
n. 157 del 1986, con la conseguente assenza a livello di normativa statuale di qualunque divieto di profitto per gli atleti c.d.
dilettanti. Le Norme Organizzative Interne Federali della FIGC non vietano tra società affiliate la “cessione di calciatori” a titolo
oneroso limitandosi a stabilire che eventuali pattuizioni economiche devono essere regolate direttamente tra le parti (art.95.3 NOIF).
Di contro ai sensi dell’art. 95.6 NOIF le pattuizioni diverse da quelle economiche “ non risultanti dal documento (id est modulo di
trasferimento) sono nulle ed inefficaci”.
18
Sul punto G. Vidiri, Sulla forma della cessione del contratto di lavoro del calciatore professionista, in Giustizia Civile, 2005, 2,
pag. 498 seg. Nota a Cassazione Civile, 23 Febbraio 2004, n. 3545. L’Autore, assunta la natura tipica del contratto di cessione
osserva che :“corollario di quanto sopra è che oggetto del trasferimento di cui al negozio ex art. 5 l. n. 91, cit. è il contratto di lavoro
tra la società e lo sportivo, attuandosi così un subingresso nella titolarità di tutti i diritti e gli obblighi connessi a tale contratto. Ciò
comporta a sua volta che anche il negozio con il quale si attua il trasferimento dello sportivo professionista debba avere la stessa
forma del contratto di lavoro sportivo e debba, come questo, essere depositato alla stregua del disposto dell'art. 4 l. n. 91, cit., stante il
principio secondo cui, in assenza di norme specifiche, la forma della cessione non può differire da quella del contratto ceduto, in
ragione della regola generale del rispetto necessario - come attestano gli art. 1351, 1392, 1403 c.c. - della forma richiesta per il
negozio di primo grado.”
19
Cass. Civ. 28 luglio 1981 n. 4845. Di particolare interesse il passaggio della sentenza ove si statuisce l’erroneità della motivazione
della Corte di Appello nella parte in cui ebbe ad accertare la nullità del contratto“sul riflesso che la nullità della norma sportiva si
estendeva immediatamente all’ordinamento dello Stato e ne ha quindi dedotto la nullità del contratto anche per quest’ultimo
ordinamento”.
20
21
Secondo la Suprema Corte infatti il contratto “astrattamente lecito per l'ordinamento statuale come negozio atipico (prima
dell'entrata in vigore della L. 23 marzo 1981, n. 91), resta in concreto inidoneo a realizzare un interesse meritevole di tutela, non
potendo attuare, per la violazione delle suddette regole, alcuna funzione nel campo dell'attività sportiva, riconosciuta
dall'ordinamento dello Stato.”
103
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
cessione di una “quota di compartecipazione del 25% dei cartellini” dal disposto del secondo
comma dell'art. 1322 C.c.,qualificando il negozio quale atipico non essendo applicabile, ratione
temporis, la L. n.91/1981.
Di contro non pare sorretta da adeguato impianto motivazionale la pronuncia della Suprema
Corte del 23 febbraio 2004 n. 3545 ove il riferimento all’importante precedente del 1981 appare
essere oggetto di mera acritica trascrizione,
considerando come espressamente la fattispecie
riguardasse la parziale simulazione nell’ambito di un negozio di cessione del contratto di lavoro di
un atleta professionista la cui “tipica” disciplina si rinviene nel'art. 5 della L. n.91/81 e negli artt.
1406 e seg.C.C.22
Sotto altro profilo è da evidenziarsi dalla lettura della giurisprudenza di riferimento che il
giudizio di meritevolezza sovente eluso dalla giurisprudenza statuale o nebulosamente connotato
nei contenuti, tant’è che le pronunce della Suprema Corte nello specifico ambito “sportivo”
contengono vere e proprie petizioni di principio nel delinearne l’autonomia e la prevalenza dello
stesso rispetto a quello di liceità, venga forzatamente recuperato a modi di strumento di passaggio
della sanzione di nullità da un ordinamento all’altro in un malinteso quadro dei rapporti tra gli
stessi.23
Sembra doversi ritenere che dell’art. 1322 cpv C.C. venga offerta una lettura “ambigua” e
tutto sommato rapportabile ad altro più ricorrente istituto che non quello, pur “sbandierato”, della
meritevolezza dell’interesse quale l’inidoneità in concreto della causa del negozio.
Pur nell’ottica della teoria
istituzionale classica, almeno di non voler ritenere che
l’ordinamento statale operi una sorta di integrale recezione delle prescrizioni e delle conseguenti
valutazioni/qualificazione dell’ordinamento sportivo, tale conclusione non è accettabile dovendosi,
a rigore, pensarsi che la funzionalità concreta di un contratto nell’ordinamento sportivo sia nozione
altra rispetto alla funzione rivestita dallo stesso in quello statale.
22
G. Vidiri, Sulla forma della cessione del contratto di lavoro del calciatore professionista, op.cit., pag. 499.L’Autore ritiene,
condivisibilmente, che “il giudizio sulla validità della cessione del calciatore operato attraverso un contratto (non conforme al
contratto-tipo e) non depositato presso la federazione, invece di essere devoluto al giudice di rinvio per un esame sulla compatibilità
del contratto stesso (e di tutta la procedura seguita per pervenire al trasferimento del calciatore) con le norme federali, ben poteva
essere formulato dai giudici di legittimità con approdo ad una declaratoria della nullità della cessione, perché non rispettosa dell'iter
procedurale imposto dall'art. 4 l. n. 91, cit. per il contratto di lavoro dello sportivo, e perché lesiva di quell'interesse alla trasparenza
dell'attività sportiva che il legislatore ha inteso perseguire stante il rilievo socio-economico rivestito da detta attività a livello
professionistico.”
23
Non è casuale che la più attenta dottrina “suggerisca” letture correttive delle pronunce della Corte di Cassazione. Sul punto oltre a
G. Vidiri, op. ult. cit., vedasi anche R. Pardolesi, Nota a Cass. Civile 5 gennaio 1994, n.75 in Foro Italiano, 1994 ,I, pag. 413 il quale
propende decisamente per un “aggiustamento “ della motivazione della decisione annotata in chiave di nullità del contratto per
illiceità dell’oggetto.
104
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Se si accetta l’idea che siano venuti meno i presupposti che legittimavano la plausibilità
metodologica dell’impiego della teoria ordinamentale per risolvere questioni di trattamento dello
sport istituzionalizzato24, non appare soddisfacente la lettura interpretativa che vorrebbe tutti i
negozi conclusi in violazione delle norme sportive come immeritevoli di tutela, in difetto, da un
lato, di specifica indagine circa la natura delle norme violate 25, e dall’altro, di attenta valutazione
circa l’incidenza della “violazione” sulla causa del negozio pur intesa non
nell’accezione
tradizionale di funzione economica-sociale astratta, quanto in quella, che pare fatta propria dalla più
recente giurisprudenza, di funzione individuale del singolo e specifico contratto posto in essere.26
Dalla qualificazione delle Federazioni Sportive quali associazioni con personalità giuridica
dovrebbe inevitabilmente ricavarsi la natura puramente negoziale delle normative statutarie e
regolamentari federali fatti salvi i casi in cui sia la Legge stessa ad attribuire carattere pubblicistico
a determinate attività e peculiari tipologie di atti (esemplificativamente art.10 Legge 23 marzo 181
n.91 in tema di affiliazione di società sportive professionistiche).27
Tale conclusione non sarebbe inficiata ma valorizzata alla luce del D. Lgs n. 14/2004 e succ.
mod. ove espressamente si afferma che la valenza pubblicistica di “specifiche tipologie di attività
individuate dallo Statuto del CONI” sia inidonea a sottrarre all’ordinario regime privatistico i
singoli atti.
In particolare, per quanto in questa sede rileva, nei più recenti interventi legislativi paiono
sostanziarsi i dicta della giurisprudenza di legittimità in virtù dei quali la normativa contenuta nei
regolamenti delle federazioni sportive la quale disciplini rapporti intersoggettivi privati, ed in
particolare rapporti negoziali, sia da qualificarsi di chiara matrice privatistica trovando il suo
fondamento nell’ambito dell’autonomia negoziale. 28
24
L’espressione è di A. De Silvestri, Il discorso sul metodo:osservazione minime sul concetto di ordinamento sportivo, in corso di
pubblicazione. Sul punto anche L. Di Nella, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Jovene, 1999, pag. 25 seg.,L.Ferrara,
L’ordinamento sportivo:meno o più della libertà privata, in Diritto Pubblico, 2007, I, pag. 1 seg., C. Alvisi, Autonomia privata e
autodisciplina sportiva, Giuffre, 2000.
25
Non passi inosservato come,ad esempio, l’art. 94 delle NOIF della Federazione Italiana Giuoco Calcio dopo aver ribadito il divieto
di accordi tra società e tesserati in contrasto con le norme federali consideri le azioni tendenti alla tutela dei diritti da essi derivanti
estranee al vincolo di giustizia e come tali non bisognevoli di autorizzazione in deroga.
26
Per un meditato superamento della concezione della causa come funzione economica, con l’accreditamento, invece, di un concetto
di causa come funzione individuale del contratto si veda Cass. Civ. 8 maggio 2006, n. 10490.
27
Ma per una lettura in chiave “privatistica” anche dell’affiliazione si veda L.Ferrara, L’ordinamento sportivo:meno o più della
libertà privata, op. cit., pag. 26.
28
Da ciò consegue che “poiché le norme regolamentari delle federazioni vincolano solo i soggetti dell'ordinamento sportivo, di tali
norme non occorre tener conto per valutare la validità di contratti, ancorché aventi attinenza con l'attività sportiva, di cui siano parti
soggetti estranei a tale ordinamento” risultando “meritevole di tutela l'interesse che sottostà ad un accordo di tipo contrattuale con cui
un soggetto estraneo all'ordinamento sportivo, cede ad altri la c.d. "lista di trasferimento" relativa ad un giocatore non
professionistico, dovendosi analizzare la fattispecie solo alla luce della possibile violazione di norme imperative di Legge.” Così
Cass. Civ. 24 settembre 1994 n.7856. Sul punto già Cass. Civ. 11 febbraio 1978 n.625 e conformemente Cass.Civ. 3 aprile 1987
n.3218 ove si è ritenuto perfettamente valido un contratto avente per oggetto la previsione di un corrispettivo a vantaggio di un
privato estraneo all’ordinamento sportivo, per l'opera prestata nella preparazione atletica di un giocatore ancorché il compenso
105
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
A riprova di quanto sopra il Legislatore della L.280/2003, in un contesto caratterizzato da
opzioni ampiamente criticabili per impostazione di metodo e concrete scelte in tema di
giurisdizione amministrativa esclusiva, in modo lineare e coerente ha espressamente devoluto al
giudice ordinario tutte le controversie afferenti rapporti patrimoniali tra associazioni, società ed
atleti .
Sembrerebbe allora doversi attribuire alla normativa federale in parte qua natura di contratto
normativo posto in essere non direttamente dalle parti stipulanti i futuri contratti ai quali l’accordo
si riferisce quanto dall’associazione cui le parti stesse aderiscono in forza di un vincolo di
appartenenza che lega i singoli contraenti alle organizzazioni i quali predispongono l’accordo
medesimo.
Tale contratto normativo, o anche detto regolamentare, avrebbe quale contenuto la disciplina
delle condizioni a cui i futuri ed eventuali contratti particolari inter partes dovranno essere conclusi.
Se, pertanto,
la materia negoziale tra i soggetti affiliati e tesserati è legittimamente
suscettibile di disciplina da parte delle federazione sportive tale disciplina avrà efficacia
corrispondente a quella di qualsiasi contratto.
La pattuizione di un accordo in violazione delle “norme” contrattuali federali, dunque, non
potrà comportare ex sé la nullità dello stesso, essendo precluso in linea tendenziale ai privati
ampliare il novero delle invalidità, quanto piuttosto rileverà sul piano endoassociativo quale
inadempimento del contratto normativo cui si riconnettono sanzioni (pene private) di natura
inibitiva ed economica.
La declaratoria di invalidità dello stesso, ove si intendesse agire innanzi all’autorità
giudiziaria ordinaria a tutela dei diritti da esso derivanti, non potrebbe prescindere dal preliminare
vaglio circa la piena validità delle “clausole“ del contratto normativo.
Un specifica attenzione, ad esempio, dovrebbe essere prestata ai pacta de non contrahendum
afferenti il divieto di conclusione di contratti di lavoro subordinato, autonomo o comunque onerosi
nel settore non professionistico, la cui validità è in vero dubitabile, non sfuggendo a tale vaglio
anche quelle clausole configurabili che nell’imporre obblighi di forma convenzionale ove gli stessi
non siano compatibili con i principi e le norme di fonte statuale.29
previsto a vantaggio del privato consistesse in metà della somma percepita dalla società sportiva per la "cessione" del calciatore. Nel
caso esaminato nella sentenza 3 aprile 1987, n. 3218, al privato non era dunque attribuito il diritto di “disporre” direttamente della
attività sportiva del giocatore ma semplicemente il diritto a percepire una somma in occasione del passaggio del calciatore ad altro
sodalizio sportivo.
29
Esemplificativamente l’art. 2094 C.C non prevede la forma scritta ad substantiam per la conclusione di un contratto di lavoro e le
norme sul contratto a termine, diversamente da quanto previsto specificatamente dall’art. 4 L. n. 91/1981, prevedono che in ipotesi di
difetto di forma scritta che il rapporto di consideri a tempo determinato. Nel caso affrontato dalla Corte di Appello di Venezia già
106
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Assunta la norma contrattuale federale quale non affetta da patologie e dunque vincolante
potrà, di poi valutarsi, nell’ottica propugnata dalla giurisprudenza di legittimità, l’ “interferenza“
delle eventuali violazioni sul contratto.
Come accennato la giurisprudenza parrebbe “ragionare” in termini di irrealizzabilità della
ragione giustificatrice del negozio stante l’inidoneità dello stesso a porsi come assetto di interessi
vincolante nell’ambito dell’ordinamento sportivo.
La posizione assunta dalla giurisprudenza alimenta l’idea, erronea, che il contratto possa
esplicare la sua funzione in un contesto diverso dall’ordinamento statuale ed, in qualche misura,
opera una valutazione esterna al negozio, avendo ad oggetto un giudizio sull’interesse perseguito,
astrattamente inteso ed avulso dalla struttura contrattuale cui ha dato luogo, mentre il controllo sulla
causa dovrebbe essere teso a valutare “l’efficienza” del contratto in concreto, avendo ad oggetto il
fenomeno negoziale ed il suo riverbero sulla sfera giuridica dei contraenti .30
In linea tendenziale il giudizio sulla validità del contratto concluso in violazione delle norme
federali andrebbe operato valorizzando l’appartenenza dei soggetti ad un gruppo sociale
organizzato, e dunque in considerazione della natura tendenzialmente vincolante, salve le riserve
sopra menzionate, delle clausole del “contratto associativo” finalizzate a conformare le operazioni
negoziali tra soggetti tesserati o comunque tenuti all’osservanza delle disposizioni statutarie e
regolamentari federali.
L’indubbia varietà della casistica generata dalla “creatività” che spesso accompagna i
fenomeni negoziali in ambito “sportivo”, al di fuori dei casi in cui lo stesso Legislatore (es. art. 4
L.n. 91/81) preveda uno specifico apparato sanzionatorio, richiederà delle soluzioni articolate e
citata si è affermata la nullità del contratto verbale intercorso tra allenatore e società per l’ inosservanza delle prescrizioni tassative
dettate dai regolamenti federali. In sostanza la pronuncia è resa in base ad argomentazioni che poggiano sul semplice rilievo della
nullità dell’atto per violazione della norma “contrattuale” sportiva, senza alcuna valutazione circa la validità di quest’ultima nel
quadro della legislazione giuslavoristica ed in relazione al tendenziale principio di libertà delle forme. Anche ad ammettersi la
validità della norma sarebbero da vagliarsi i consistenti margini di applicabilità del disposto dell’art. 2126 C.C.
30
Emblematica a riguardo la pur risalente Cass. Civ. 3 luglio 1968, n. 2228, in Foro Italiano,1968,I, pag.2087 ove “l’obbligazione
assunta da un ente sportivo verso un privato di corrispondergli una parte di una somma di danaro ricavabile dalla cessione di un
giocatore presso di lui tesserato per altra società, come compenso della perdita del preteso diritto del privato alle prestazioni
agonistiche dell’atleta, va considerata priva di causa e quindi nulla”.La fattispecie afferiva il riconoscimento ad un soggetto privato,
che aveva “procurato” il giocatore alla società, di una quota della somma ricavabile dalla cessione dello stesso ad altra società. La
Suprema Corte sottolinea come nell’ambito della regolamentazione federale non sia previsto un diritto del privato ad ottenere che un
atleta esplichi la propria attività per conto di una persona fisica oltre che del sodalizio per cui è tesserato per cui il contratto
difetterebbe di causa. Si noti l’assenza di alcun richiamo alla meritevolezza dell’interesse.
107
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
non stereotipate che, pur non esaurientemente espresse nell’inadempimento del contratto normativo,
comunque non paiono dissimili dalle “comuni“ ipotesi di nullità od inefficacia contrattuale. 3132
La rilevanza della pronuncia del Tribunale di Trento, pur considerando la peculiare sedes
processuale, è da individuarsi nella decisa affermazione circa l’irrilevanza della qualificazione
dell’attività (professionistica o dilettantistica) da parte delle singole federazioni sportive ai fini della
configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato in ambito non professionistico.
Oltre alla valorizzazione del portato della giurisprudenza comunitaria in tema, utilizzata a
modi di grimaldello al fine di “scardinare” la porta d’accesso alla tutela lavoristica rappresentata
dall’art. 2 della L.91/1981, a quanto consta, per la prima volta in Italia alla specifica questione ha
trovato diretta applicazione il diritto comunitario stante il carattere non puramente interno della
fattispecie.
Se infatti nell’ottica dell’ordinamento nazionale italiano ai sensi del combinato disposto degli
artt. 2 e 4 l. 23 marzo 1981, la nozione di sportivo professionista, dunque la configurabilità di un
rapporto di lavoro autonomo o subordinato (cfr. quanto agli atleti art. 3 l. 23 marzo 1981), seppur
con i legittimi dubbi già paventati, potrebbe ritenersi ancorata alla presupposta qualificazione
federale in termini professionistici dell’attività svolta, in ottica
comunitaria il problema
dell’assoggettabilità al diritto comunitario dello sport ufficialmente non professionistico si affranca
dal rigido criterio formalistico della distinzione dilettantismo/professionismo, sottraendosi all’egida
delle norme comunitarie solo l’attività di livello meramente amatoriale. 33
31
A titolo meramente esemplificativo la previsione nell’ambito dei regolamenti federali di una forma convenzionale ad substantiam
ben potrà essere ricondotta alla previsione di cui all’art. 1352 C.C.
L'art. 1352 c.c. statuisce che :"se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura
conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”.Non osta all’applicazione del disposto
la circostanza che la forma convenzionale sia prevista nell’ambito del contratto normativo. Sul punto si veda la giurisprudenza di
legittimità in tema di forma vincolata dell’atto unilaterale di dimissioni : “qualora il contratto collettivo (o individuale) preveda per le
dimissioni la forma scritta, quest'ultima si presume voluta per la validità dell'atto di dimissioni, a norma dell'art. 1352 c.c., con la
conseguenza che le dimissioni rassegnate oralmente o per fatti concludenti non possono essere considerate valide per difetto della
forma ad substantiam”.Cass. Civ. Lav., 13luglio 2001, n.9554.
Si potrà valutare, inoltre, la configurabilità dell’ impossibilità dell’oggetto nei casi di contratto di “cessione del cartellino ”
per quanto attiene specificatamente l’ambito non professionistico.
32
Ritiene che la violazione di norme sportive pur non “non influendo sotto i profili della contrarietà a norma imperativa e della non
meritevolezza dell’interesse” inciderebbe “sulla natura delle obbligazioni, privandole di giuridicità e coercibilità, relegandole nella
categoria dei rapporti di fatto“S.Izar, Cessione del calciatore professionista e simulazione quoad pretium, in I Contratti, 10, 2004,
pag. 891. L’Autore fa riferimento alla disciplina di cui all’art. 2034 C.C. in tema di obbligazioni naturali ritenendo che l’ordinamento
statuale “non attribuirebbe rilevanza agli accordi in contrasto con le regole emanate dalla FIGC considerandoli come meri vincoli non
giuridici“ ma, per altro verso lo stesso ordinamento statuale “farebbe sì che la volontà delle parti sia produttiva di determinati effetti
giuridici ammettendo la spontanea esecuzione degli accordi ed escludendo la ripetizione di quanto prestato”.
33
Per una interessante disamina di diritto comparato circa il diverso approccio alla tematica della distinzione tra sportivi
professionisti e non professionisti nell’ambito di altri sistemi giuridici ed in particolare quello tedesco si veda E.Indraccolo, op.cit.,
pag.35 seg.
La Corte di Giustizia, in assenza di alcuna specifica definizione di “lavoratore” ha avvertito la necessità di intervenire sul
punto per evitare che le differenti posizioni delle legislazioni nazionali potessero compromettere le garanzie offerte dal Trattato.
La consapevolezza del grande rilievo e delle implicazione della questione ha indotto la giurisprudenza comunitaria ad
affermare come la nozione di lavoratore subordinato non dipenda dalle specifiche disposizioni normativa dei singoli stati ma da
108
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
Il provvedimento in verità si pone sulla scia di altre pronunce che, pur consolidando la
tendenza ad un approccio meno formalistico mirante al “superamento” della qualificazione federale,
in realtà non potevano, trattandosi di fattispecie sottratte all’egida del diritto comunitario, o non
hanno inteso applicare le norme dell’Unione Europea.
Esemplare quanto all’ultima ipotesi l’Ordinanza del Tribunale di Pescara34 anch’essa in tema
di divieti di tesseramento di atleti aventi cittadinanza comunitaria.
La pronuncia se da un lato argomenta in ordine alla riconducibilità dei divieti di tesseramento
alla nozione di “comportamento discriminatorio”, rientrando in tale ottica l’interesse alla pratica
dello sport agonistico e l’inserimento nell’ambito delle strutture federali nel novero delle «libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale ed in ogni altro settore della vita
pubblica», dall’altro, si limita solo incidentalmente a rimarcare che
la “distinzione tra
professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si mostra, priva di ogni rilievo, non
comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante.”
Sottolineando il tenore universale della scelta del legislatore in sede di redazione dell’art. 43
D. Lgs.n. 286/98 attraverso il riconoscimento, quale oggetto di tutela, di ogni attività di rilievo
sociale, non fonda la decisione, pur avendone incidentalmente accennato, al rilievo patrimoniale ed
economico delle prestazioni rese dall’atleta dilettante.
In sede di reclamo
35
il provvedimento assunto in prima istanza che obbligava la Federazione
a procedere al tesseramento dell’atleta veniva revocato ritenendosi “la lamentela del giocatore
diretta a far eliminare un pregiudizio ad un bene della vita che non forma oggetto di alcuna libertà
fondamentale, perché né l’art. 2 della Cost., né ulteriori fonti normative di diritto internazionale
convenzionale annoverano l’interesse a far pratica sportiva ed ad impiegare il proprio tempo libero
tra le libertà fondamentali dell’individuo.”
Sfuggono al Collegio alcune circostanze di fondamentale rilevanza; la cittadinanza
comunitaria dell’atleta in virtù della quale egli dovrebbe godere ai sensi dell’art. 16 del Trattato del
diritto di “circolare e soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato membro”, la rilevanza,
quelle comunitarie; d’altra parte l’esito interpretativo risulta obbligato per alcuni versi in tal senso considerando come altrimenti
“ciascun stato potrebbe modificare la portata della nozione di lavoratore ed escludere a suo piacimento determinate categorie di
persone dalle garanzie del Trattato”(per tutte Corte di Giustizia, 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger, in Racc. GC, 1964, pag. 364).
La nozione di lavoratore nell’ottica comunitaria deve esser definita in base a criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto
di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate, individuabili nella circostanza che una persona fisica
fornisca per un certo periodo di tempo a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali
riceve una retribuzione.
34
Tribunale di Pescara, Ordinanza 18 ottobre 2001, in Foro Italiano, 2002, pag. 897.
35
Tribunale di Pescara, Ordinanza 14 Dicembre 2001, in Corriere Giuridico, 2002, pag. 223
109
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
anche sul piano costituzionale dell’attività sportiva, nonché il rilievo patrimoniale delle prestazioni
dell’atleta.
Pur ammettendo infatti la natura meramente amatoriale e dilettantistica dell’attività, la
nozione di cittadinanza europea introdotta dal Trattato di Maastricht, implicando su un piano
politico l’abbandono del carattere meramente economico della costruzione europea e riferendo il
diritto di circolazione e soggiorno al cittadino europeo invece che al lavoratore al cittadino,
dovrebbe comportare la considerazione nel novero dei diritti fondamentali non più soltanto il
diritto di stipulare contratti di lavoro, d’opera ma più in generale, qualsiasi diritto connesso
all’esercizio del diritto di circolazione e di stabilimento.
Se il diritto di stabilimento e circolazione non designa rigorosamente e chiaramente le
situazioni soggettive riferite al cittadino comunitario, ma sembra garantire piuttosto lo svolgersi di
determinati comportamenti, la realizzazione di tale situazione di fatto passa attraverso il
riconoscimento di situazioni soggettive più puntualmente descritte come ad esempio il diritto di non
esser discriminato, in base all’origine nazionale, nell’accesso alla pratica di attività sportiva, quale
espressione del più generale diritto di associazione.
Sotto altro aspetto appare poco condivisibile
la posizione del Collegio in ordine alla
possibilità di qualificare il rifiuto di tesseramento quale incidente sul connesso diritto al lavoro
in
quanto improntata ad una lettura meramente “formalistica” dei disposti della L.n.91/1981 36 in palese
contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza comunitaria puntualmente richiamata dal
Tribunale Trentino.
Di contro di grande interesse, pur in fattispecie sottratte all’egida del diritto comunitario, sul
tema della qualificazione delle prestazioni rese dagli atleti dilettanti quali prestazioni di lavoro il
Tribunale di Verona37 ove: “valutando unitariamente gli elementi probatori acquisiti in giudizio (…)
è ben possibile affermare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a danno di Ramon
Ismael Gato Moya e lesivo del diritto di questi al lavoro» considerando come “seppur formalmente
dilettanti i giocatori come l’odierno ricorrente prestano la propria attività a favore delle società
36
Tribunale di Pescara, Ordinanza 14 Dicembre 2001, cit., ove:“né l’interesse tutelato del ricorrente può dirsi ricompresso nel diritto
del lavoro e quindi facente parte dei diritti fondamentali perché dalla normativa di settore (art. 5 Statuto F. I..N.) non si ricava alcun
modo che il campionato nazionale di pallanuoto sia stato organizzato su base professionistica”.
37
Tribunale Verona, Ordinanza 23 luglio 2002, citata da E.Crocetti Bernardi, La discriminazione nei confronti di atleti stranieri, in
Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Euro 92, 2002, pag. 78. In quella sede si definì quale discriminatorio il comportamento della
Federazione Italiana Pallavolo nel negare il tesseramento ad un atleta di nazionalità cubana, in assenza del transfert della federazione
di provenienza.
110
NOTE A SENTENZA
Lavoratori sportivi senza troppi formalismi...
sportive italiane in virtù di un rapporto contrattuale che presenta tutte le caratteristiche di un
rapporto di lavoro.”38
Di analogo tenore l’Ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 12 maggio 2002
nell’ambito della quale si afferma che “i praticanti una disciplina dilettantistica pur essendo esclusi
dalla tutela prevista dalla legge sul professionismo possono svolgere tuttavia la propria attività
percependo compensi più o meno elevati in forza di contratti stipulati con le società sportive” e
pertanto in sede cautelare è tutelabile l’interesse dell’atleta dilettante a scongiurare “la perdita del
corrispettivo alla prestazione sportiva che sarebbe assicurato dal contratto stipulato dalla società.”39
Dalla disamina di cui sopra emerge come pare ormai assunto quale “obsoleto” il meccanismo
legislativo ex art. 2 l. 91/81 che subordina alla qualificazione federale del rilievo professionistico
dell’attività sportiva l’applicazione della normativa lavoristica, propugnandosi, in termini del tutto
condivisibili, nelle fattispecie de quo l’accertamento caso per caso della natura del rapporto.
(*) Avvocato del foro di Lecce
38
Trib. Verona, Ordinanza 23 luglio 2002, cit.
Tribunale Reggio Calabria, Ordinanza 12 maggio 2002, in D.Zinnari, Atleti dilettanti, sportivi non professionisti?, in
GiustiziaSportiva.it − Rivista Internet di diritto dello sport -, 2007 n. , pag. 31. Ma in senso contrario Tribunale di Roma, Ordinanza
10 luglio 2002, citata da E. E.Crocetti Bernardi, La discriminazione nei confronti di atleti stranieri, cit., pag. 81 ove si rileva che agli
atleti qualificati dilettanti «non sono applicabili le disposizioni della l. 23 marzo 1981 n. 91» pertanto non sono tutelabili in sede
giudiziaria eventuali pretese violazioni dei principi in materia di libertà contrattuale degli atleti previsti dalla legge sul
professionismo da parte di norme sul tesseramento.
39
111
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
TRIBUNALE DI TRENTO
Sezione Civile
Ordinanza a seguito di reclamo avverso provvedimento emesso ai sensi dell’art. 44 del
D. Lgs. 286/1998
Il Tribunale in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati, signori:
dott. Battista Palestra
dott. Anna Mantovani
dott. Giulio Adilardi
Presidente
Giudice
Giudice estensore
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 4.12.2008
OSSERVA
1. L’eccezione di inammissibilità dell’intervento del CONI, sollevata dal S., è infondata. Il
terzo interviene nel presente giudizio per sostenere le ragioni della reclamante, avendovi un proprio
interesse non meramente di fatto ma giuridico, presentandosi come titolare di un rapporto giuridico
connesso con quello dedotto in lite da una delle parti originarie con l’altra o, quanto meno da esso
dipendente.
Non può, infatti, non rilevarsi che l’ente interveniente vanta un potere di indirizzo nei
confronti della FIPAV ed esercita le relative funzioni di controllo e vigilanza ai sensi dell’art. 5,
secondo comma, lettera e) e dell’art. 7 lettera c) del D. Lgs. n. 242 del 1999. Nell’ambito di tali
poteri di vigilanza, il CONI, con deliberazione 1164 del 22.12.2000 nel dettare i criteri di esercizio
della stessa, ha stabilito che le disposizioni regolamentari attinenti ai profili pubblicistici
dell’attività delle Federazioni Sportive Nazionali (tra le quali si annoverano quelle relative al
tesseramento degli atleti), sono trasmesse al CONI per l’esercizio della vigilanza.
Inoltre, l’art. 2 m. 1 e 2, 3 e 4 bis dello statuto del C.O.N.I., stabilisce che detto ente detti i
principi od emani i regolamenti in tema di tesseramento ed utilizzazione degli atleti di provenienza
estera, al fine di promuovere la competitività delle squadre nazionali, di salvaguardare il patrimonio
sportivo nazionale e di tutelare i vivai giovanili.
112
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
Il CONI, nell’esercitare la vigilanza sulla FIPAV, nel quadro delle competenze sopra delineate,
ha condiviso la deliberazione n. 3 del 9 febbraio 2008, diretta a tutelare i vivai sportivi nazionali
poichè ritenuta conforme allo spirito ed alle linee guida tracciate dal proprio Statuto, con la
conseguenza che può ben comprendersi come tra la posizione giuridica della FIPAV e quella del
CONI si registri una connessione o dipendenza che comporta un pregiudizio, totale o parziale, del
diritto di cui il terzo stesso si asserisce titolare, nell’ipotesi di soccombenza della parte originaria
adiuvata. L’intervento non può, peraltro, qualificarsi quale intervento autonomo, non risultando il
C.O.N.I. il diretto titolare del diritto oggetto della controversia, posto che la domanda trova il
proprio fondamento nel rapporto diretto tra atleta e federazione cui l’interveniente è, pacificamente,
estraneo.
2. Nel merito, il Tribunale ritiene che colga nel segno l’eccezione sollevata dal reclamante e
dall’interveniente in ordine alla inammissibilità del rimedio azionato dal ricorrente ed al necessario
radicamento della controversia innanzi al Tribunale Amministrativo del Lazio – Roma.
Il ricorrente assume che il diniego del tesseramento opposto dalla FIPAV integra un atto di
discriminazione per motivi di nazionalità e, conseguentemente, invoca la disciplina e la tutela
prevista dagli articoli 43 e 44 della legge 40/1998.
Dette disposizioni recano, in effetti, un’individuazione puntuale degli atti di discriminazione e
la disciplina dell’azione in sede civile contro gli atti di discriminazione.
In sintesi, l’art. 43 qualifica come discriminatori i comportamenti che, direttamente o
indirettamente, operano una distinzione, un’esclusione, una restrizione o una preferenza per motivi
di razza, colore, nazionalità, etnia, religione e che abbiano l’intento o l’effetto di distruggere o
compromettere il riconoscimento o l’esercizio, in condizione di parità, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della
vita pubblica.
In particolare sono individuati i seguenti atti di discriminazione in ragione dell’appartenenza
ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità:
- compimento o omissione di un atto ingiustamente discriminatorio nei confronti di un
cittadino straniero, da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio o di un
esercente un servizio di pubblica utilità;
- imposizione di condizioni più svantaggiose o rifiuto di fornire beni o servizi offerti al
pubblico;
113
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
- imposizione di condizioni più svantaggiose o rifiuto di fornire l’accesso all’occupazione,
all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi socio-assistenziali allo straniero
regolarmente soggiornante in Italia;
- azioni od omissioni dirette ad impedire l’esercizio di un’attività economica legittimamente
intrapresa dallo straniero regolarmente soggiornante in Italia;
- atti o comportamenti compiuti dal datore di lavoro o dai suoi preposti diretti a discriminare
anche indirettamente il lavoratore straniero.
La disposizione fornisce, inoltre, un’individuazione dei criteri in base ai quali individuare la
cl. “discriminazione indiretta” definendo tale ogni trattamento pregiudizievole conseguente
all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori
appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una
determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo
svolgimento dell’attività lavorativa.
L’articolo 44 istituisce e disciplina, infine, l’azione in sede civile contro gli atti di
discriminazione, prevedendo la possibilità di agire in giudizio avanti il Tribunale civile in
composizione monocratica con un ricorso privo di formalità, teso ad ottenere un provvedimento,
impugnabile davanti al Tribunale collegiale, che, eventualmente, anche in via d’urgenza, possa
rimuovere gli effetti della discriminazione e risarcire il danno subito.
3. La disciplina sopra brevemente tratteggiata ha costituito, in un recente passato, in assenza
di alcuna specifica normativa in materia di rapporti tra l’ordinamento statale e l’ordinamento
sportivo, un’intuitiva soluzione dei casi di discriminazione sportiva fondati sulla nazionalità del
tesserando nei quali, secondo l’orientamento prevalente dei giudici di merito, coniugandosi la
discriminazione alla limitazione del diritto al lavoro ed alla libera circolazione dei lavoratori, sulla
base della giurisprudenza comunitaria risultava del tutto piana la soluzione positiva.
In tale filone si inquadrano le decisioni giurisdizionali segnalate dalle parti del giudizio, che
sono tutte anteriori all’entrata in vigore della legge 17 ottobre 2003 n. 280.
Nella giurisprudenza del giudice ordinario non è stato, inoltre, posto in dubbio che la speciale
tutela antidiscriminatoria potesse essere invocata anche ove la condotta fosse stata adottata dalla
pubblica amministrazione ed a mezzo di atti amministrativi, non considerandosi l’esercizio del
potere amministrativo in grado di degradare il diritto soggettivo assoluto alla non discriminazione
ovvero i correlati diritti al lavoro ed alla libera circolazione nel territorio comunitario (Tribunale
114
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
Milano 21.3.2002; Corte d’appello Firenze 2.7.2002; Trib. Perugia 6.12.2006 e da ultimo Trib.
Milano 11.2.2008 n. 2380).
Un elemento di novità è stato, peraltro, introdotto, a parere del Tribunale, sul piano delle
discriminazioni che si collegano ai rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale, dalle
legge 280/2003 che ha disciplinato esaustivamente e specificamente la materia dei rapporti di
interferenza tra ordinamento statale ed ordinamenti sportivi.
La normativa in esame, muovendo dall’esigenza di contemperare il riconoscimento
dell’autonomia dell’ordinamento sportivo con la delimitazione degli ambiti di detta autonomia, ha
tracciato in via esaustiva e completa il sistema dei rapporti tra detti ordinamenti introducendo una
disciplina speciale che, per i suoi obiettivi e la sua connotazione, si colloca in un evidente rapporto
di “competenza” ovvero, in subordine, di “specialità” con le altre normative generali con essa
interferenti.
Che il legislatore abbia inteso sottoporre in via esclusiva alla disciplina della legge n.
280/2003 ogni situazione che attinga ai rapporti tra ordinamento statale ed ordinamenti sportivi si
evince chiaramente dalla ratio della legge, esaminata alla luce delle ragioni che hanno indotto il
legislatore ad introdurla, le quali trovano fondamento nelle plurime tensioni tra l’ordinamento
statale e quello sportivo, per lo più emerse in sede di contenzioso giudiziario, con precipuo
riferimento all’istituto del cosiddetto “vincolo di giustizia”, la conformità del quale all’ordinamento
statuale è stata, invero, contestata dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, perchè in conflitto con
i principi sanciti dagli artt. 24, 103 e 113 Cost..
Il riconoscimento dell’autonomia degli ordinamenti sportivi, collocato nel quadro
dell’affermazione del principio di gerarchia delle fonti aveva, infatti, generato una giurisprudenza
concorde nel ritenere riservate all’ordinamento sportivo le sole questioni aventi una portata
meramente interna a detto ordinamento. Nella diversa evenienza di atti o comportamenti lesivi di
posizioni giuridiche soggettive rilevanti anche per l’ordinamento statale, e cioè di diritti soggettivi
indisponibili od interessi legittimi, è stata affermata, invece, la persistenza della giurisdizione degli
organi statali (Cons. St., sez. VI, 30 settembre 1995 n. 1050).
In tale contesto, le questioni di carattere disciplinare, di carattere patrimoniale e di carattere
amministrativo (che comprendono anche i provvedimenti relativi al tesseramento di cui ci si
occupa) sono state considerate giustiziabili dagli organi giurisdizionali dello stato, sulla
considerazione che essi possono comportare conseguenze, anche economiche, di sicuro rilievo
115
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
(Cons. St. cit.), mentre le sole questioni meramente tecniche sono state considerate di esclusiva
competenza dell’ordinamento sportivo.
L’individuazione dei limiti di sindacabilità dei provvedimenti degli ordinamenti sportivi da
parte degli organi giurisdizionali statali non ha, tuttavia, escluso il verificarsi di situazioni di
conflittualità, anche giudiziaria, che hanno indotto il legislatore a disciplinare in modo chiaro, con
fronte legislativa, i confini dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale ed i limiti
dell’autonomia del primo rispetto al secondo.
L’antecedente storico immediato della disciplina è costituito dalla vicenda dell’iscrizione delle
squadre professionistiche al campionato di calcio di serie A dell’anno 2003 che aveva visto i diversi
Tribunali aditi assumere decisioni contrastanti, con un conseguente, innegabile, negativo riflesso sul
regolare svolgimento del campionato.
Il legislatore ha, conseguentemente, inteso codificare in modo completo ed esaustivo i
principi generali, già sanciti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in materia di rapporti tra gli
ordinamenti sportivi e l’ordinamento statale.
Nel riservare le sole questioni tecniche all’ordinamento sportivo, la disciplina in commento ha
previsto che la materia amministrativa (nelle quali sono comprese, pacificamente, le questioni
relative al tesseramento degli atleti) possa essere soggetta al vaglio degli organi giurisdizionali
statali.
Tale conclusione non si fonda sull’interpretazione del mero dato letterale dell’art. 2, nel corpo
del quale la materia amministrativa non è menzionata quale riservata all’ordinamento sportivo, ma
tiene conto del criterio ermeneutico logico e teleologico.
Sotto il primo profilo non è concepibile che sia riservata all’ordinamento sportivo una
questione idonea a pregiudicare posizioni giuridiche soggettive rilevanti anche per l’ordinamento
statale: più precisamente, con riferimento agli atleti professionisti il diniego di tesseramento incide
sul diritto al lavoro ed al libero stabilimento mentre con riguardo ai non professionisti il diniego di
tesseramento limita, in ogni caso, il diritto di associazione nell’ambito dell’ordinamento sportivo
(art. 18 Cost.).
Quanto al criterio teleologico è sufficiente osservare che la legge 280/2003 in sede di
conversione ha soppresso le lettere c) e d) dell’art. 2 del D.L. 220/2003 le quali riservavano le
questioni amministrative (e quindi relative al tesseramento) alla giustizia sportiva.
La elisione rende, a parere del Tribunale, manifesta l’intenzione del legislatore di restituire
tali questioni alla cognizione del giudice dell’ordinamento statale.
116
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
L’excursus della legge consente di ritenere, in definitiva, che il legislatore, alla luce del
precedente storico immediato, abbia inteso individuare l’area di intervento del giudice statale nella
materia sportiva assicurando, nel contempo, l’uniformità delle decisioni giurisdizionali che, si badi
bene, nella materia sportiva è un valore essenziale poichè consente il paritario trattamento di
analoghe situazioni e garantisce, quindi, il regolare svolgimento dei campionati e delle singole
competizioni.
La norma deve inquadrarsi, anche ai fini della definizione del riparto di giurisdizione con il
giudice ordinario con riferimento alla discriminazione “sportiva”, nel quadro nella più ampia
relazione intercorrente tra la disciplina della L. 280/2003 e quella del D. Lgs. 286/1998.
La prima legge regola, in via innovativa ed esclusiva, i rapporti tra ordinamento statale ed
ordinamento sportivo e quindi si relaziona alle altre discipline sopra indicate in termini di
“competenza”, essendo diretta a stabilire un’area di esclusiva disciplina del settore, non soltanto sul
piano sostanziale ma anche, si ritiene, sul versante delle regole dirette alla individuazione del
giudice competente a conoscere delle connesse controversie: il tutto in vista, si ribadisce, dalla
prioritaria dell’esigenza di assicurare l’uniformità delle decisioni che incidono sulla stessa
funzionalità dell’ordinamento sportivo, ad evitare il rischio che la competenza diffusa e le
conseguenti possibili decisioni giudiziali contrastanti e contraddittorie, possano incidere sul
presupposto essenziale per il regolare svolgimento della pratica agonistica sportiva, costituito dalla
parità di trattamento delle società e dei tesserati, funzionale all’assicurazione della regolarità delle
competizioni e dei campionati e, quindi, allo stesso ordinato sviluppo dell’attività sportiva associata
(art. 18 Cost.).
L’art. 3 della legge 280/2003 prevede che esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma
restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e
atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano o
delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi
dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Sul piano del mero esame del rapporto tra le fonti, tenuto conto della ratio legis, la
giurisdizione fissata dall’art. 3 della L. 280/2003 prevale, in termini di rapporto di competenza,
sulla disciplina prevista dagli artt. 43 e 44 del D. Lgs. 286/98 considerato il chiaro intento del
legislatore di riservare l’intera materia dei rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale
alla disciplina del 2003, con conseguente introduzione di un sistema normativo tendenzialmente
117
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
completo come tale derogatorio rispetto alle altre discipline configgenti (Corte Cost. n. 1110 del
1982).
Si osserva, a conforto di tale interpretazione, che la condotta discriminatoria può consistere
nell’adozione di un provvedimento amministrativo che può, a sua volta, trovare fondamento in un
provvedimento generale adottato dalla stessa Federazione nell’esercizio di poteri pubblicistici.
L’attività delle Federazioni è, infatti, connotata da profili di interesse pubblicistico allorchè
esse agiscano come organi del CONI e, dunque, quali soggetti di diritto pubblico, istituzionalmente
attributari di potere (del pari) pubblico, con possibile emersione in capo ai terzi di diritti, stavolta,
“condizionati” all’interesse (nuovamente) pubblico perseguito (c.d. interessi legittimi).
Tale impostazione, già accolta in giurisprudenza (Cass., S.U. n. 3092 del 1986) ed in seguito
riferita specificamente all’attività normativa regolamentare a contenuto organizzatorio dal
pedissequo rispetto della quale dipenda il raggiungimento dei fini istituzionali del CONI
nell’ambito della singola disciplina sportiva di riferimento (Cass. S.U. n. 4399 del 1989 e Cass.
S.U. n. 46 del 2000; Cons. di Stato sez. VI, 31 dicembre 1993 n. 1112), è stata confermata dallo
stesso legislatore in sede di riforma del CONI (D. Lgsl.vo 23 luglio 1999 n. 242) e consente di
giustificare la scelta legislativa, ed in tal senso si chiude il cerchio del ragionamento in ordine alla
riserva di competenza della legge 280/2003, secondo la quale per le controversie sorte nell’ambito
dell’ordinamento sportivo che, attengono alla lesione di situazioni giuridiche
rilevanti per
l’ordinamento statale, la giurisdizione è radicata in capo al giudice amministrativo in sede esclusiva.
La circostanza che dette controversie possano derivare, quindi, da atti amministrativi adottati
dall’ordinamento sportivo, giustifica pienamente e completa la scelta del legislatore, primariamente
diretta ad assicurare l’uniformità di orientamento giurisdizionale per le ragioni sopra esposte.
In tale quadro deve, peraltro, ritenersi costituzionalmente corretta l’opzione legislativa posto
che, affermata la natura (anche) pubblicistica dell’attività delle Federazioni, la materia de qua può
certamente definirsi “particolare” ai sensi dell’art. 103 Cost., nel senso illustrato nella nota
decisione della Corte Costituzionale n. 204/2004.
Non si registra, peraltro, a seguito dell’interpretazione del sistema dei rapporti tra art. 44 D.
Lgs. 286/98 ed art. 3 L. 280/2003, alcun vuoto di tutela giurisdizionale, essendo assicurata al
ricorrente ogni idonea tutela avverso gli atti discriminatori “sportivi” anche nell’ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Si osserva, anzitutto, che in sede di giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo è
riconosciuta la facoltà di assicurare la tutela dei diritti soggettivi fondamentali (quale è quello alla
118
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
non discriminazione per motivi di nazionalità), ove la loro lesione sia dedotta come effetto di un
comportamento materiale espressione di poteri autoritativi ovvero di atti della P.A., in materie
riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi (da ultimo e per tutte si veda Cass.
S.U. 28 dicembre 2007 n. 27187), con conseguente facoltà di emissione dei provvedimenti cautelari
che siano necessari per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle
richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere
danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti.
D’altro canto, non appare superfluo ricordare che il diritto alla non discriminazione non è
stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 43 del D. Lgs. 286/98, ma preesiste ad esso essendo
garantito e tutelato dalla Costituzione della Repubblica (art. 3 Cost.).
La Corte Costituzionale si è, infatti, espressamente pronunziata, sin dalla sua prima
giurisprudenza, nel senso della illegittimità, in generale, dei trattamenti discriminatori fondati su
distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali
evidenziando che l’art. 3 Cost. contiene un precetto di fronte al quale non sono ammesse deroghe da
parte del legislatore ordinario (Corte Cost., n. 56 del 1958).
La Corte ha inoltre ritenuto di individuare una serie di libertà costituzionali intangibili, siano
esse o meno di titolarità di cittadini, in relazione alle quali non è tollerata alcuna discriminazione ed
in relazione alle quali la valutazione di ragionevolezza di un eventuale trattamento discriminatorio
deve esser condotta in modo severo, risultando interdetta qualunque opzione che fondi e giustifichi
la differenza di trattamento sulla base di un generico riferimento alla nazionalità ed alla
cittadinanza.
Nell’ambito dei diritti fondamentali il giudice delle leggi ha, peraltro, da tempo affermato che
il principio costituzionale di uguaglianza non tollera discriminazioni fondate sulla nazionalità
(Corte Cost. n. 452 del 2005). La nozione del principio di uguaglianza è, infatti, inclusiva della
condizione dei non cittadini posto che l’art. 3 Cost. deve leggersi in combinato disposto con l’art. 2
Cost., con il rafforzamento della riserva di legge derivante dall’obbligo di conformità ai trattati
internazionali di cui all’art. 10 cpv. Cost..
Ne consegue che l’art. 3 sebbene si riferisca espressamente ai soli cittadini, deve ritenersi
esteso anche agli stranieri allorchè si tratti della tutela di diritti inviolabili dell’uomo, garantiti allo
straniero anche in conformità all’ordinamento internazionale (in questo senso, Corte Cost. n. 290
del 1995; Corte Cost. n. 34 del 1995; Corte Cost. n. 62 del 1994; Corte Cost. n. 120 del 1967).
119
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
In tale quadro debbono, ulteriormente, richiamarsi quali norme fondanti il divieto di
discriminazione per nazionalità sia le previsioni generali del Trattato CE (art. 12) che quelle
speciali del medesimo Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di
stabilimento (art. 39 e 43), le convenzioni internazionali ed europee (art. 2 della Dichiarazione
Universale dei diritti dell’uomo; art. 14 della Convenzione Europea dei diritti umani; art. 21 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) oltre alle numerose decisioni della Corte di
Giustizia CE nella materia del diritto al lavoro e di stabilimento, anche in materia sportiva (per tutte
Corte di Giustizia CE, 11 settembre 2008, Rozet + altri / Repubblica Italiana; Corte Giustizia CE,
sentenza 8 maggio 2003 Deutscher Handballbund / Maros Kolpak; Corte Giustizia CE, sentenza 15
dicembre 1995 Bosman).
Si vuole, in sostanza, evidenziare che il diritto alla non discriminazione non nasce con il D.
Lgs. 286/98 nè con il successivo D. Lgs. 215/2003 (che peraltro, a norma dell’art. 3 comma 2, non
riguarda la tutela della discriminazione per nazionalità) ma è consacrato da norme costituzionali od
a copertura costituzionale: la disciplina del 1998 si limita, quindi, ad individuare una modalità di
tutela della discriminazione, peraltro non esclusiva.
La tutela della discriminazione per nazionalità non si esaurisce, infatti, negli ambiti e secondo
le procedure definite da detta normativa, posto che il diritto alla non discriminazione trova il proprio
fondamento in molteplici fonti, anche anteriori, ed il legislatore non riserva espressamente ed in via
esclusiva al giudice ordinario ed alla procedura speciale dell’art. 44 la tutela antidiscriminatoria.
Perchè operi la deroga in favore di altre giurisdizioni o di altri giudici specializzati è, peraltro,
necessario che a costoro il legislatore affidi la cognizione di un intero settore di materia nel rispetto
dei principi costituzionali (il che nella specie avviene configurandosi la materia come particolare ai
sensi dell’art. 103 Cost. e quindi suscettibile di affidamento alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo) e che dalla legislazione vigente possa evincersi una competenza dei giudici
designati con riferimento ad una intera organica materia o settore, in modo tale che non appaia
dubbio che essa attragga ogni ulteriore questione connessa, compresa quelle relative alla
discriminazione. È inoltre necessario che l’ordinamento assicuri, per tal via, un’adeguata ed efficace
tutela.
Nella specie, come sopra ampiamente argomentato, risulta la chiara volontà legislativa di
disciplinare la materia delle situazioni giuridiche incise dall’ordinamento sportivo e rilevanti per
l’ordinamento statale secondo una logica di “competenza esclusiva”, con la conseguenza che
avverso i comportamenti o gli atti amministrativi discriminatori posti in essere nell’ambito degli
120
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
ordinamenti sportivi è assicurata tutela innanzi al solo giudice amministrativo, individuato dall’art.
3 della L. 280/2003.
La tutela è, peraltro, completa ed efficace essendo attribuita al giudice amministrativo, in sede
di giurisdizione esclusiva, la facoltà di adottare, in caso di lesione di diritti soggettivi,
provvedimenti cautelari e di merito del tutto analoghi a quelli adottabili dal giudice ordinario, come
tali idonei a garantire adeguata e celere protezione agli interessi coinvolti.
L’efficacia e la tempestività dell’intervento giurisdizionale del giudice amministrativo è,
quindi, analoga a quella assicurata dal giudice ordinario con il procedimento speciale di cui all’art.
44 citato, potendo disporre ogni misura cautelare ad effetti anticipatori.
Alla luce di tali considerazioni può, ulteriormente, affermarsi che la tutela assicurata dal
giudice amministrativo nella materia delle situazioni giuridiche incise dalle Federazioni Sportive
non solo è equivalente a quella assicurata dal giudice ordinario, ma è, addirittura, più completa e
stabile posto che – ove siano rispettati i termini di decadenza per l’impugnazione degli atti
amministrativi e salva la facoltà di disapplicazione dei provvedimenti da parte dello stesso giudice
amministrativo nel caso di lesione di diritti fondamentali ed incomprimibili – essa consente – nei
limiti sopra evidenziati, l’annullamento con efficacia erga omnes, dell’atto generale di natura
amministrativa, unitamente all’annullamento del provvedimento applicativo negativo.
P.Q.M.
1) Accoglie il reclamo e per l’effetto dichiara l’inammissibilità del ricorso, revocando il
provvedimento cautelare reclamato.
2) considerata la complessità della materia dichiara compensate tra le parti le spese del
presente grado di procedimento.
121
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
UNA DISCRIMINAZIONE NELLA DISCRIMINAZIONE:
IL CASO SOKOLOV
di Federico Gallana (*)
Sommario:
1. Breve excursus sulla vicenda emarginata
2. Le censure alla tesi della competenza esclusiva del G.A.
3. Conclusioni: la questione analizzata sotto un differente punto di vista
1. Breve excursus sulla vicenda emarginata
L’ordinanza collegiale del Tribunale di Trento che andiamo a commentare prende le mossa
dalla nota vicenda dell’atleta bulgaro under 23 Tsvetan Sokolov -ingaggiato dalla Itas Diatek- cui la
Fipav ha inteso negare il tesseramento in adozione della nota delibera nr. 3 del 09/02/2008, che
impedisce di fatto l’arrivo di pallavolisti stranieri infra ventitreenni nel nostro campionato.
L’ingresso di tale delibera nel panorama normativo della Fipav, come sappiamo, è stato
giustificato dalla Federazione stessa con la necessità di proteggere la crescita e lo sviluppo dei vivai
italiani.
Motivazioni queste che evidentemente non hanno convinto il giovane schiacciatore bulgaro, il
cui ricorso ex art. 44 D.lgs. 286/1998 -promosso avanti il Foro tridentino- è stato inizialmente
accolto ancora in data 12/11/2008, con la contestuale condanna della Fipav all’eliminazione del
comportamento ritenuto discriminatorio, vale a dire la negazione del tesseramento.
L’ordinanza de quo del Tribunale in formazione collegiale accoglie il reclamo proposto dalla
Fipav (con il Coni terzo interveniente adesivo nel giudizio) e dichiara, pertanto, inammissibile il
ricorso del giovane atleta.
122
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
Prima di entrare nel merito di quanto detto e scritto dal Collegio a motivazione di ciò, si rende
a nostro avviso necessaria una preliminare visione d’insieme dello strumento legislativo azionato
dal Sokolov, vale a dire il D.lgs. 286/1998 -conosciuto anche come il T.U. sull’immigrazionerelativamente a quanto disciplinato agli artt. 43 e 44.
Il ricorrente, infatti, assumeva nel proprio atto introduttivo che il diniego di tesseramento fatto
valere dalla Fipav nei suoi confronti costituisse un vero e proprio atto discriminatorio (o meglio
un’omissione di un atto dovuto) sulla base della nazionalità e dell’età dell’atleta.
Ricordiamo come l’art. 43 del citato decreto contenga un vero e proprio elenco -a mero titolo
esemplificativo- dei comportamenti diretti od indiretti, attivi od omissivi, il cui risultato, in buona
sostanza, sia quello di porre in essere ingiustificati trattamenti discriminatori.
Il primo comma dà un’idea di quello che andiamo dicendo:
“Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente
o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il
colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia
lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio,
in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico,
sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.
Mentre il successivo art. 44 prevede quella che la stessa rubrica della norma chiama “Azione
civile contro la discriminazione”: un rimedio apprestato dall’ordinamento nei casi in cui “il
comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per
motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e che consente al “giudice (…), su istanza di parte, di
ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento
idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione”.
Ora, venendo in medias res, la decisione collegiale del Tribunale di Trento in accoglimento
del reclamo proposto dalla Fipav presta indubbiamente il fianco ad importanti censure.
Il Collegio richiama infatti la riserva di competenza esclusiva del G.A. -fissata dall’art. 3, L.
280/2003- per le controversie aventi ad oggetto atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive non
riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo stesso.
In altre parole, si fa rientrare il diniego di tesseramento basato su motivi di nazionalità (atteso
che questo pare un dato indubbio) tra le situazioni giuridiche rilevanti tra le controversie di carattere
sportivo, con la conseguenza che tali vertenze vengono sì attratte dalla sfera di competenza
123
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
dell’ordinamento
statale,
ma
devolute
inderogabilmente
alla
competenza
del
Giudice
Amministrativo ex art. 3 L. 280/2003.
Ritiene quindi il Collegio che il ricorso del Sokolov sia inammissibile, in quanto azionato
secondo il diverso strumento di tutela fornito dal D.lgs. 286/1998, che prevede invece la
giurisdizione del Giudice ordinario.
Contestualmente il Tribunale sottolinea da un lato la non esclusività del rimedio apprestato
dal D. lgs. 286/1998 per i casi di supposta discriminazione; e, dall’altro, l’idoneità del giudizio
amministrativo a fornire un’ampia e celere tutela dei diritti soggettivi in ipotesi lesi, anche in via
cautelare.
2. Le censure alla tesi della competenza esclusiva del G.A.
Questa logica di competenza esclusiva su tali delicati temi, però, non convince.
Non convince in primo luogo poiché siffatta interpretazione, a nostro modesto avviso, opera
un’ingiustificata disparità di trattamento per il soggetto che -causa la riconducibilità della propria
particolare controversia al genus delle vertenze di carattere sportivo- si trova impossibilitato a
ricorrere all’efficace e specifica tutela di cui al T.U. sull’immigrazione.
Tale decisione, in altre parole, desta numerosi dubbi, poiché ci dice che lo sportivo, nei casi di
supposta discriminazione come quello esaminato, avrà un rimedio in meno di un cittadino o
lavoratore qualsiasi, non potendo ricorrere all’efficace e celere tutela fornita dal D. lgs. 286/1998.
Una disparità di trattamento – che si potrebbe ritenere addirittura inconciliabile con l’art. 3
della Carta Suprema- che peraltro si risolve in una variazione in peius dei rimedi processuali
normalmente a disposizione, atteso che il procedimento di cui all’art. 44 D.lgs. 286/1998, dalla
spiccata natura cautelare come di recente sottolineato anche dalle Sezioni Unite 1, consente una
rapida decisione ed un ampio potere discrezionale del Giudice ordinario nella scelta del
provvedimento -immediatamente esecutivo- più consono alla realtà fattuale.
Con l’ulteriore possibilità, peraltro, di ottenere, nei casi di particolare urgenza, un decreto
inaudita altera parte.
E’ dunque chiara la ratio che sta alla base di tale strumento processuale, come sono parimenti
chiare le risposte che lo Stato vuole dare in tema di discriminazione, garantendo al soggetto in
1
Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sent. nr. 6172/2008.
124
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
ipotesi vittima di un torto un rimedio sottratto alle lungaggini tipiche del nostro ordinamento
processuale.
In altre parole, il ricorso ex art. 44 D.lgs. 286/1998 è stato concepito come uno strumento
agevole ed immediato per fornire una pronta soluzione ai comportamenti che, proprio in quanto
discriminatori, si pongono in contrasto con la Costituzione italiana.
Per tutte queste ragioni il voler impedire ad un soggetto in ipotesi discriminato di beneficiare
di tale rimedio processuale solo perché atleta -e perciò vincolato alla L. 280/2003- potrebbe
apparire, a parere di chi scrive, una soluzione quantomeno contra legem, ove per Legge si devono
intendere i principi cardine del nostro ordinamento giuridico.
Sarebbe quindi, paradossalmente, un’ulteriore discriminazione.
Il caso del diniego di tesseramento dell’atleta Sokolov si attaglia peraltro proprio ad una delle
condotte specificamente elencate all’art. 43 del citato Decreto Legislativo.
Vale a dire la condotta di chi “illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si
rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione”, il che indirettamente ci rimanda alla protezione
costituzionale fornita dall’art. 4 della Carta Suprema in tema di paritetiche condizioni di accesso al
lavoro.
La delibera adottata dalla Fipav, pertanto, potrebbe in ipotesi rivelarsi lesiva di valori
costituzionalmente garantiti -quali l’uguaglianza delle persone ed il diritto allo svolgimento della
prestazione lavorativa- poiché l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può e non deve
significare totale impermeabilità dello stesso rispetto ai principi cardine dell’ordinamento statuale.
Se dunque, come pare, si parla di diritti e libertà fondamentali della persona, non vi potrà mai
essere una competenza esclusiva per la loro tutela devoluta al Giudice Amministrativo, atteso che
sarà invece il Giudice ordinario a godere di piena ed assoluta giurisdizione.
Né si potranno stabilire due distinti canali processuali di accesso ai rimedi previsti dallo Stato
in casi così gravi come quelli di supposta discriminazione, poiché così facendo si rischierebbe di
incidere negativamente su diritti fondamentali del cittadino, ermeticamente tutelati dagli artt. 3, 4,
24, 25 e 111 della nostra Legge Fondamentale.
125
NOTE A SENTENZA
Il caso Sokolov...
3. Conclusioni: la questione analizzata sotto un differente punto di vista
Queste argomentazioni appaiono, a nostro modesto avviso, del tutto risolutive circa la
questione dibattuta.
Qualora infatti non si volesse accedere alla tesi che nega la competenza esclusiva del Giudice
Amministrativo nella fattispecie emarginata, potrebbe comunque giungere in soccorso il fatto che,
trattandosi di un diniego di tesseramento, il Sokolov, tanto al momento dei fatti quanto all’epoca
della proposizione del ricorso, non rivestiva, per forza di cose, la qualità di tesserato.
Con la conseguenza che non si potrebbe parlare di applicabilità dell’art. 3, L. 280/2003,
risolvendosi a monte qualsiasi questione di conflitto di competenza con il D.lgs. 286/1998.
Non si dovrebbe, dunque, nella fattispecie de quo, neppure disquisire sulla portata della L.
280/2003.
Né, tantomeno, ragionare in termini di competenza esclusiva del Giudice Amministrativo e di
rapporti con la giurisdizione ordinaria in un tema così delicato -ma ben potrebbero essercene altricome quello della discriminazione.
Manca inesorabilmente, infatti, la condizione prima ed irrinunciabile giusta la quale si possa
parlare di rapporto e confronto tra ordinamento sportivo e statuale, vale a dire lo status di tesserato,
l’appartenenza del Sokolov all’ordinamento sportivo.
Non essendoci tale qualifica, cade inesorabilmente la riserva a favore dell’autonomia
dell’ordinamento sportivo stesso.
In altre parole, difetta irrimediabilmente nel Sokolov uno degli status enunciati al secondo
comma dell’art. 2 L. 280/2003, ove vengono elencati i soggetti sottoposti all’ordinamento sportivo:
società, associazioni, affiliati e tesserati.
Anche volendo in ipotesi ammettere, quindi, la competenza esclusiva del G.A., non possiamo
non rilevare come tale competenza trovi applicazione solo allorchè a ricorrere siano i soggetti
interni al mondo sportivo.
Il Sokolov, invece, si è addirittura visto negare da parte della Fipav l’ingresso nel mondo
sportivo, rimanendo, all’evidenza, un soggetto estraneo e del tutto svincolato dalle pregiudiziali e
dalle preclusioni sancite dalla L. 280/2003.
(*) praticante Avvocato
126
NOTE A SENTENZA
PARTE TERZA
SAGGI
SOMMARIO:
SERGIO MIGLIORINI, Più controlli e maggior informazione per contrastare il
doping
127
pag.128
Doping: più controlli e maggior informazione...
PIU’ CONTROLLI E MAGGIOR INFORMAZIONE
PER CONTRASTARE IL DOPING
di Sergio Migliorini (*)
Con l’Olimpiade di Pechino si è assistito ad un ulteriore aumento del numero dei controlli
effettuati passando dai 3600 di Atene ai 4500 di Pechino, controllando sempre i primi 5 classificati
di ogni gara, più due a sorte. E’ importante notare che gran parte di questi controlli sono stati
effettuati a sorpresa, al di fuori della competizione, in quello che sembra essere la strategia più
efficace nella lotta al doping : il controllo durante il periodo di allenamento. Sul totale dei 4500 test,
dai 700 agli 800 sono stati dedicati alla ricerca di EPO nelle urine e 900 a test ematici. Le novità
inserite nel regolamento Olimpico sono state :
- un atleta poteva essere testato più di una volta nello stesso giorno
- gli atleti che non si presentavano ai test in due separate occasioni durante i giochi o in una
occasione durante i giochi e in due nei 18 mesi precedenti, venivano considerati come se avessero
commesso una violazione del regolamento antidoping.
- il possesso di una qualsiasi sostanza dalla lista delle sostanze proibite è stato considerato
come una violazione (a meno che giustificata da certificazione TUE/ATUE).
Il comunicato esecutivo della WADA,
nella prima riunione dopo i Giochi Olimpici di
Pechino alla fine di Settembre, ha approvato la Lista delle Sostanze e Metodi Proibiti 2009, che avrà
piena operatività a partire dal 1° Gennaio 2009. “E’ sempre più sentita l’esigenza di adottare tutte le
misure e le iniziative possibili per salvaguardare la salute degli atleti e l’integrità dello sport a
livello mondiale”. Così si è espresso dopo la riunione il presidente della WADA John Fahey.
La revisione della lista è stata guidata dall’intento di essere più flessibili con le sanzioni, con
squalifiche più efficaci per chi ha deliberatamente effettuato il doping, e con l’applicazione di
sanzioni ridotte per chi ha assunto una sostanza proibita inavvertitamente e senza lo scopo di
aumentare le proprie prestazioni. Di conseguenza mentre tutti i metodi proibiti, le classi degli agenti
anabolizzanti e gli ormoni, così come gli stimolanti e gli antagonisti ormonali e modulatori, i
diuretici e gli agenti mascheranti, mantengono il loro stato nella Lista 2009, le rimanenti sostanze
stimolanti proibite sono ora considerate come sostanze “specifiche” nell’intento di applicare
sanzioni più flessibili.
128
SAGGI
Doping: più controlli e maggior informazione...
Questo significa che quando l’atleta può chiaramente stabilire come ha assunto una
“specifica” sostanza e come ne è venuto in possesso, non avendo avuto l’intenzione di migliorare
illegalmente le proprie prestazioni agonistiche, la sanzione può essere ridotta.
Nel caso in cui però non vi siano i criteri di riduzione della pena e in presenza di circostanze
aggravanti, può essere invece applicato il massimo della squalifica di quattro anni.
Allo stesso modo l’assunzione di una sostanza “non specifica” può portare alla squalifica di
due anni per la prima violazione o di quattro anni nel caso di circostanze aggravanti che
comprendono l’essere parte di una organizzazione atta a procurare il doping, o l’aver assunto più
sostanze proibite contemporaneamente o sostanze proibite in altre occasioni.
Comunque da uno studio della problematica, è opinione comune che ci siano alte probabilità
che l’assunzione di una “sostanza specifica”, a differenza di una “sostanza non specifica”, possa
credibilmente essere stata effettuata senza lo scopo del doping.
I principali cambiamenti per il 2009.
Gli stimolanti proibiti solo in competizione sono ora suddivisi nella Lista WADA 2009 in
“specifici” e “non specifici”.
Per stabilire quali stimolanti devono essere classificati come sostanze “specifiche” o “non
specifiche” nella Lista 2009 i consulenti della commissione scientifica della WADA hanno
attentamente considerato molti parametri, compreso il loro rischio per la salute, l’uso generale di
questi prodotti in medicina, il loro potenziale nell’aumentare le prestazioni sportive, la disponibilità
della sostanza nella distribuzione autorizzata nei vari paesi, le statistiche dell’uso a scopo di doping,
le caratteristiche farmacologiche, la possibilità di assunzione a scopo terapeutico, così come la
possibilità di un uso che non ha lo scopo del doping.
Come risultato di questo processo di revisione gli stimolanti identificati come sostanze “non
specifiche” nella Lista 2009 (e quindi soggetti alla sospensione di due anni in assenza di circostanze
aggravanti o attenuanti) includono per esempio le anfetamine, cocaina, bromantan e modafinil.
Un’ altra importante modifica nella Lista 2009 è la rimozione degli inibitori della alpha
reduttasi, una classe di agenti mascheranti che erano proibiti in e fuori competizione. Queste
sostanze sono infatti rese inefficaci come agenti mascheranti l’assunzione di steroidi anabolizzanti,
dai nuovi profili degli steroidi ottenuti dai laboratori antidoping.
129
SAGGI
Doping: più controlli e maggior informazione...
Come conseguenza delle ricerche scientifiche applicate all’antidoping, effettuate per avere in
un futuro il Passaporto dell’Atleta che permetta di monitorare nel tempo i parametri ematochimici
per evidenziare variazioni che possano essere dovute a potenziale doping, oggi i laboratori
antidoping accreditati dalla WADA sono in grado sistematicamente di avere il profilo degli steroidi
nel controllo delle urine, il che permette così di vanificare l’effetto mascherante degli inibitori
dell’alpha redattasi.
Lo sforzo della WADA nel contrastare il fenomeno doping ha dato impulso ad un intenso
programma di ricerca che impegna circa 6.5 milioni di US dollari, approssimativamente un quarto
del budget totale della WADA stessa. Anche i recenti sviluppi in questo campo, con il riscontro
dell’uso del CERA al recente Tour de France, testimonia come la collaborazione fra i ricercatori e le
industrie farmaceutiche stia dando i suoi frutti.
Strategie
Per contrastare il fenomeno doping a livello degli atleti professionisti oltre all’incremento
delle metodiche di ricerca delle sostanze proibite,
è fondamentale l’ulteriore incremento dei
controlli a sorpresa al di fuori della competizione. Controllare gli atleti nei raduni, sui campi di
allenamento o al loro domicilio, è sicuramente una strategia molto efficace.
In questo senso l’attuazione della lista RTP e Whereabouts che tutti gli atleti facenti parte
sono tenuti a rispettare, è sicuramente un mezzo efficace per poter controllare gli atleti in ogni
momento e in ogni luogo.
Quando in un prossimo futuro sarà pienamente applicato in tutto il mondo
il sistema
informatizzato ADAMS si avrà a disposizione uno strumento ancora più efficace.
Il doping comunque non è più solo un problema di salute sportiva ma di salute pubblica e
purtroppo bisogna riconoscere che non coinvolge più solamente gli atleti professionisti, ma
interessa sempre di più anche gli sportivi amatoriali e i più giovani.
Queste ultime categorie sono poi le meno controllate ed assistite, e quindi sono le più esposte
ai danni causati dal doping. E’ opinione comune che il fenomeno doping sia sottostimato.
Vi è una certa carenza di dati epidemiologici che possano contribuire a definirne le reali
dimensioni.
130
SAGGI
Doping: più controlli e maggior informazione...
Dai dati a disposizione si evidenzia che la maggior parte degli eventi avversi (135 negli ultimi
50 anni) correlati all’uso di sostanze proibite o al ricorso di pratiche mediche vietate per doping,
sono legati all’uso degli anabolizzanti e sono prevalentemente di natura psichiatrica (depressione) e
cardiovascolare (infarto del miocardio).
Gli anabolizzanti sono la classe farmacologica correlata al maggior numero dei casi di morte
causata da uso di farmaci a scopo di doping.
E’ certo che il principale strumento che oggi abbiamo per prevenire e limitare la diffusione del
doping tra lo sport amatoriale e giovanile è rappresentato da iniziative di informazione e
sensibilizzazione, oltre che di controllo.
In questo senso è importante il ruolo svolto dalle società sportive, dai medici dello sport e
non, e dalla scuola. Solo nella scuola in collaborazione con i Comitati Olimpici locali del CONI e/o
con le società sportive si può realmente organizzare una efficace campagna di informazione sui
danni causati dalla pratica del doping.
(*) Medico Federale F.I.TRI.
I.T.U. Medical Committee
131
SAGGI
PARTE QUARTA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
MARIO TOCCI, Status civitatis comunitario dei calciatori cittadini di Stati
extracomunitari associati all’Unione Europea
132
pag. 133
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
ORDINANZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
25 luglio 2008 (*)
«Art. 104, n. 3, del regolamento di procedura – Accordo di associazione CEE-Turchia – Art.
37 del protocollo addizionale – Effetti diretti – Condizioni di lavoro – Principio di non
discriminazione – Football – Limitazione del numero dei giocatori professionisti provenienti da
Stati terzi che possono essere schierati per squadra in una competizione nazionale»
Nella causa C-152/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal Superior de Justicia de Madrid (Spagna) con
decisione 24 ottobre 2007, pervenuta in cancelleria il 15 aprile 2008,
nella causa
Real Sociedad de Fútbol SAD, Nihat Kahveci
contro
Consejo Superior de Deportes, Real Federación Española de Fútbol,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič (relatore) e E. Levits,
giudici, avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. R. Grass
intendendo statuire con ordinanza motivata in conformità dell’art. 104, n. 3, primo comma,
del suo regolamento di procedura, sentito l’avvocato generale,
ha emesso la seguente
Ordinanza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 37 del
Protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e
confermato in nome della Comunità con il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n.
2760/72 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «Protocollo addizionale»), allegato all’Accordo di
associazione CEE Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica turca, da una
parte, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altra, concluso, approvato e
133
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
confermato in nome della Comunità con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE
(GU 1964, 217, pag. 3685; in prosieguo l’«Accordo di associazione»).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Real Sociedad de
Fútbol SAD e il sig. Kahveci, da una parte, e il Consejo Superior de Deportes e la Real Federación
Española de Fútbol (federazione spagnola di football; in prosieguo: la «RFEF»), dall’altra, con
riguardo ad un regolamento sportivo che limita il numero dei giocatori di Stati terzi che possono
essere schierati in competizioni nazionali.
Contesto normativo
3 A norma del suo art. 2, n. 1, l’Accordo di associazione ha lo scopo di promuovere un
rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti
contraenti. A tal fine, l’Accordo di associazione prevede una fase preparatoria che consenta alla
Repubblica di Turchia di rafforzare la propria economia, con l’aiuto della Comunità (art. 3), una
fase transitoria, nel corso della quale vengono garantiti l’attuazione progressiva di un’unione
doganale e il ravvicinamento delle politiche economiche (art. 4), nonché una fase definitiva basata
sull’unione doganale e che implica il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche
(art. 5).
4 L’art. 6 dell’Accordo di associazione è del seguente tenore: «Per assicurare l’applicazione
ed il progressivo sviluppo del regime di associazione, le Parti Contraenti si riuniscono in un
Consiglio di associazione che agisce nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall’Accordo».
5 L’art. 9 dell’Accordo di associazione dispone quanto segue: «Le Parti Contraenti
riconoscono che nel campo di applicazione dell’Accordo, e senza pregiudizio delle disposizioni
particolari eventualmente fissate in applicazione dell’articolo 8, qualsiasi discriminazione fondata
sulla nazionalità è vietata in conformità del principio enunciato nell’articolo 7 del Trattato che
istituisce la Comunità».
6 Il Protocollo addizionale che, conformemente al suo art. 62, costituisce parte integrante
dell’Accordo di associazione, prevede, all’art. 1, le condizioni, le modalità ed i ritmi di
realizzazione della fase transitoria di cui all’art. 4 di detto accordo.
7 A termini dell’art. 37 del Protocollo addizionale: «Ciascuno Stato membro accorda ai
lavoratori di nazionalità turca occupati nella Comunità un regime caratterizzato dall’assenza di
134
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
discriminazioni fondate sulla nazionalità [rispetto ai] lavoratori cittadini degli Stati membri della
Comunità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e la retribuzione».
8 L’art. 39, n. 1, del Protocollo addizionale così recita: «Prima della fine del primo anno
dall’entrata in vigore del presente protocollo, il Consiglio di associazione adotta disposizioni in
materia di sicurezza sociale a favore dei lavoratori di nazionalità turca che si spostano all’interno
della Comunità e delle loro famiglie residenti nella Comunità».
9 La decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1, relativa allo sviluppo
dell’associazione, prevede, all’art. 10, n. 1: «Gli Stati membri della Comunità concedono ai
lavoratori turchi appartenenti al loro regolare mercato del lavoro un regime caratterizzato dalla
mancanza di qualsiasi discriminazione di nazionalità rispetto ai lavoratori comunitari, con
riferimento alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro».
Causa principale e questione pregiudiziale
10 Il sig. Kahveci è un cittadino turco residente in Spagna, ove è titolare di un permesso di
soggiorno e di lavoro. Essendo occupato come calciatore professionista in forza di un contratto di
lavoro concluso con la Real Sociedad de Fútbol SAD, ha conseguito una licenza della federazione
in qualità di calciatore non comunitario.
11 Il sig. Kahveci ha presentato, mediante tale società, una domanda alla RFEF chiedendo
che quest’ultima sostituisca la licenza di cui è titolare con una licenza di calciatore professionista
identica a quella dei giocatori comunitari. A sostegno della domanda, ha invocato l’Accordo di
associazione e il Protocollo addizionale.
12 Ai sensi dell’art. 129 del regolamento generale de la RFEF, la licenza di calciatore
professionista è un documento rilasciato da detta federazione, che consente di praticare tale sport
come tesserato della federazione e di essere schierato in incontri e competizioni ufficiali, come
calciatore di una determinata squadra.
13 L’art. 173 di detto regolamento generale dispone quanto segue: «Salvo le deroghe
previste dal presente capitolo, costituisce requisito generale che i calciatori devono soddisfare per
iscriversi e ottenere la licenza in qualità di professionisti, il possesso della cittadinanza spagnola o
di quella di uno degli altri paesi che costituiscono l’Unione europea o lo Spazio Economico
Europeo».
135
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
14 L’art. 176, n. 1, di tale regolamento generale così recita:
«Le squadre iscritte a competizioni ufficiali di ambito nazionale e a carattere
professionistico possono iscrivere calciatori stranieri non comunitari nel numero stabilito negli
accordi conclusi al riguardo tra la RFEF, la Liga Nacional de Fútbol Profesional e la Asociación de
Futbolistas Españoles, nei quali viene disciplinato, inoltre, il numero di calciatori di tale categoria
che possono essere schierati contemporaneamente (…)».
15 Secondo l’accordo concluso il 28 maggio 1999 tra la RFEF e la federazione nazionale di
calcio professionista, il numero di giocatori che non siano cittadini di Stati membri che possono
giocare contemporaneamente in prima divisione è limitato a tre per le stagioni dal 2000/2001 al
2004/2005 e, per quanto riguarda la seconda divisione, a tre per le stagioni 2000/2001 nonché
2001/2002 e a due per le tre stagioni successive.
16 Con decisione del 5 febbraio 2002, la RFEF ha respinto la domanda del sig. Kahveci, il
quale ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Consejo Superior de Deportes.
17 Essendo stato respinto il detto ricorso con decisione del 26 giugno 2002, il sig. Kahveci
ha contestato tale decisione dinanzi al giudice del rinvio.
18 Ciò premesso, il Tribunal Superior de Justicia de Madrid ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’art. 37 [del Protocollo
addizionale osti] a che una federazione sportiva applichi a un atleta professionista cittadino turco,
come quello della causa principale, regolarmente occupato da una società calcistica spagnola, una
normativa in forza della quale le società possano utilizzare nelle competizioni in ambito nazionale
solo un numero limitato di giocatori provenienti da Stati terzi non appartenenti allo Spazio
economico europeo»
.
Sulla questione pregiudiziale
19 Ai sensi dell’art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, qualora la
soluzione di una questione pregiudiziale possa essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la
Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza
motivata contenente riferimento alla precedente sentenza o alla giurisprudenza pertinente.
136
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
20 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il divieto di qualsivoglia
discriminazione nei confronti dei lavoratori turchi regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli
Stati membri con riguardo alla retribuzione ed alle altre condizioni di lavoro, come previsto dall’art.
37 del Protocollo addizionale nonché dall’art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80, vadano interpretati
nel senso che osta all’applicazione ad uno sportivo professionista di nazionalità turca, regolarmente
occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una norma emanata da una federazione
sportiva dello Stato medesimo, secondo cui le società sono autorizzate a far giocare, nelle
competizioni organizzate a livello nazionale, solo un numero limitato di giocatori provenienti da
Stati terzi non appartenenti all’accordo sullo Spazio economico europeo.
21 Tale questione è analoga a quella sottoposta alla Corte nelle cause sfociate nelle sentenze
8 maggio 2003, causa C-438/00, Deutscher Handballbund (Racc. pag. I-4135) e 12 aprile 2005,
causa C-265/03, Simutenkov (Racc. pag. I-2579).
22 Nella sentenza Deutscher Handballbund, citata supra, la Corte ha statuito che l’art. 38, n.
1, primo trattino, dell’Accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i
loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 4
ottobre 1993 e approvato a nome delle Comunità con la decisione del Consiglio e della
Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CE, CECA,, Euratom (GU L 359, pag. 1; in prosieguo:
l’«Accordo di associazione Comunità-Slovacchia»), doveva essere interpretato nel senso che osta
all’applicazione ad uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da
una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del
medesimo Stato secondo cui le società sono autorizzate a schierare, in occasione delle partite di
campionato o di coppa, solo un numero limitato di giocatori originari di paesi terzi che non sono
parti dell’accordo sullo Spazio economico europeo.
23 Nella sentenza Simutenkov, citata supra, in cui erano in causa le medesime disposizioni
del regolamento generale della RFEF e dell’accordo del 28 maggio 1999, citato al punto 15 della
presente ordinanza, che costituiscono l’oggetto della causa principale, la Corte ha statuito che l’art.
23, n. 1, dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità
europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra, sottoscritto a Corfù il
24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione del Consiglio e della
Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CE, CECA, Euratom (GU L 327, pag. 1; in prosieguo:
l’«accordo di partenariato Comunità-Russia») doveva essere interprato nel senso che osta
all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente occupato da una
137
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso
Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni
organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non
sono parti dell’accordo sullo Spazio economico europeo.
24 La Corte ha dichiarato, in particolare, che una norma limitante il numero di giocatori
professionisti cittadini dello Stato terzo interessato che potevano essere schierati nel campionato
nazionale è relativa alle condizioni di lavoro in quanto ha un impatto diretto sulla partecipazione
agli incontri di campionato di un giocatore professionista di tale Stato già regolarmente occupato
nello Stato membro ospitante (sentenze citate supra, Deutscher Handballbund, punti 44-46, nonché
Simutenkov, punti 32, 36 e 37).
25 Orbene, il disposto dell’art. 37 del Protocollo addizionale è molto simile a quello dell’art.
38, n. 1, primo trattino, dell’Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, nonché a quello
dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia.
26 Infatti, l’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
era del seguente tenore: «Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato
membro (…) il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca
legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi discriminazione basata
sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento,
rispetto ai cittadini di quello Stato membro».
27 L’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia disponeva quanto segue:
«Conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro, la
Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi legalmente impiegati sul territorio di
uno Stato membro siano oggetto, rispetto ai loro cittadini, di discriminazioni basate sulla nazionalità
per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento».
28 Come rilevato dalla Corte, tali disposizioni sanciscono, in termini chiari, precisi e
incondizionati, il divieto per ciascuno Stato membro di assoggettare a trattamento discriminatorio
rispetto ai propri cittadini, a causa della loro cittadinanza, i lavoratori dello Stato terzo interessato,
per quel che concerne le loro condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. Dette
disposizioni possono essere pertanto invocate dagli amministrati dinanzi ai giudici degli Stati
membri (sentenze citate supra Deutscher Handballbund, punti 28-30, e Simutenkov, punti 22-24).
138
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
29 Tale rilievo deve essere trasposto all’art. 37 del Protocollo addizionale, in quanto il suo
tenore letterale non presenta alcuna differenza essenziale rispetto a quello dell’art. 38, n. 1,
dell’Accordo di associazione Comunità-Slovacchia e dell’art. 23, n. 1, dell’Accordo di partenariato
Comunità-Russia. Peraltro, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che l’art. 10, n. 1, della
decisione n. 1/80, che riprende la norma prevista dall’art. 37 del Protocollo addizionale, sancisce, in
termini chiari, precisi e tassativi, il divieto per gli Stati membri di operare discriminazioni, a motivo
della nazionalità, a danno dei lavoratori migranti turchi regolarmente inseriti nel mercato del lavoro
degli Stati medesimi, per quanto attiene alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro (sentenza 8
maggio 2003, causa C-171/01, Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I-4301, punto 57).
30 Del resto, come la Corte ha già avuto modo di affermare, il rilievo secondo cui il divieto
di operare discriminazioni, a motivo della nazionalità, a danno dei lavoratori di nazionalità turca
regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri, per quanto attiene alla retribuzione
e alle altre condizioni di lavoro ha effetti diretti, è conforme alla finalità dell’Accordo di
associazione.
Tale Accordo, infatti, mira ad istituire un’associazione diretta a promuovere lo sviluppo
delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, anche per mezzo della graduale
realizzazione della libera circolazione dei lavoratori. Una siffatta finalità consente il
riconoscimento, da parte della Comunità, degli effetti diretti delle disposizioni di tale accordo che
fissano principi sufficientemente precisi ed incondizionati per poter essere applicati dall’autorità
giudiziaria nazionale (sentenza Wählergruppe Gemeinsam, cit. supra, punti 62, 65 e 66).
31 Alla luce delle suesposte considerazioni, risulta chiaramente che l’interpretazione accolta
dalla Corte nelle menzionate sentenze Deutscher Handballbund e Simutenkov è parimenti
applicabile nel contesto dell’Accordo di associazione.
32 La questione pregiudiziale deve pertanto essere risolta nel senso che il divieto di operare
discriminazioni a danno dei lavoratori di nazionalità turca regolarmente inseriti nel mercato del
lavoro degli Stati membri, per quanto attiene alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro, quale
previsto dall’art. 37 del Protocollo addizionale nonché dall’art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80,
dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza
turca, regolarmente occupato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da
una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a
schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di
giocatori originari di Stati terzi che non sono parti dell’accordo sullo Spazio economico europeo.
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GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
Sulle spese
33 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
Il divieto di operare discriminazioni a danno dei lavoratori di nazionalità turca regolarmente
inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri, per quanto attiene alla retribuzione e alle altre
condizioni di lavoro, quale previsto dall’art. 37 del Protocollo addizionale, firmato il 23 novembre
1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato in nome della Comunità con il regolamento
(CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760, allegato all’Accordo di associazione CEE-Turchia,
firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica turca, da una parte, nonché dagli Stati
membri della CEE e dalla Comunità, dall’altra, concluso, approvato e confermato in nome della
Comunità con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE, nonché dall’art. 10, n. 1,
della decisione del consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1, relativa allo sviluppo
dell’associazione, dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta
professionista di cittadinanza turca, regolarmente occupato da una società con sede in uno Stato
membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le
società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale,
solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti dell’accordo sullo
Spazio economico europeo.
140
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
Status civitatis comunitario
dei calciatori cittadini di Stati extracomunitari associati
all’Unione Europea
di Mario Tocci (*)
Con l’importante ordinanza del 25 luglio 2008, intervenuta nella causa C152/08, la Corte di
Giustizia delle Comunità Europee ha affermato il principio secondo cui i calciatori aventi
cittadinanza di Stati extracomunitari associati all’Unione Europea godono dello status civitatis
comunitario.
Dal divisato principio – rilevante per il diritto comunitario – discendono importanti effetti
sul piano del diritto sportivo, atteso che tali calciatori possono essere impiegati al pari di quelli
aventi cittadinanza di Stati membri dell’Unione Europea.
Alla Corte di Giustizia si era rivolto in via pregiudiziale il Tribunale Superiore di Giustizia
di Madrid, chiamato a pronunciarsi sull’impugnativa proposta da un calciatore turco della squadra
Real Sociedad de Futbol Sad (pure parte del giudizio) avverso un regolamento della federazione
calcistica spagnola che limitava l’impiego nelle partite ufficiali di atleti provenienti da Stati
extracomunitari senza distinzioni di alcun genere; detto regolamento, in accoglimento delle censure
dei ricorrenti, è stato ritenuto contrario all’accordo di associazione concluso dalla Turchia con
l’allora Comunità Economica Europea addì 22 dicembre 1963.
L’ordinanza di cui si è detto non mancherà di irradiare i propri riflessi sull’ordinamento
calcistico italiano, in quanto la regolamentazione della Federazione Italiana Giuoco Calcio è
analoga a quella della federazione calcistica spagnola allorché limita il numero di calciatori
extracomunitari impiegabili senza operare alcuna, evidentemente necessaria, diversificazione.
Orbene, per comprendere appieno la portata dell’arresto giurisprudenziale di cui si discetta,
è necessario chiarire in cosa consistano gli accordi di associazione tra Stati extracomunitari e
Unione Europea.
141
GIURISPRUDENZA
Stato civitatis comunitario dei calciatori…
Pervero, gli accordi di associazione in questione sono convenzioni stipulate al fine di
favorire la circolazione di persone, beni e servizi provenienti da Stati non aderenti all’Unione
Europea nell’ambito territoriale della medesima; trattasi in sostanza di patti economici volti ad
estendere le garanzie del libero scambio di risorse a Stati che seppure non membri dell’Unione
Europea intrattengono relazioni commerciali con i partners comunitari.
A riguardo, appare rilevante quanto statuito nella sentenza della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee del 12 aprile 2005 nella causa C265/2003, in cui era stato affermato che
l’accordo di associazione non specificamente relativo alla circolazione dei lavoratori dovesse
automaticamente intendersi come concernente anche la circolazione medesima.
La decisione in questione non è affatto nuova per il diritto comunitario, atteso che con
riguardo alla libera circolazione dei lavoratori in genere essa rinviene un precedente (sentenza 08
maggio 2003 nella causa C438/2000).
Essa, peraltro, era stata preceduta da analoghi arresti riferiti ai giocatori di pallacanestro
(sentenza del 13 aprile 2000 nella causa C191/1997).
(*) Avvocato e dottorando di ricerca in “Impresa, Stato e Mercato”
nell’Università degli Studi della Calabria.
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GIURISPRUDENZA
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Jacopo Tognon (a cura di)
Diritto
comunitario
dello sport
► 2009 - pp. XII-324 ● € 25.00 - ISBN 978-88-348-8671-7
l’Opera
Le regole dello sport alla luce dei più significativi interventi in materia dell'Unione Europea; la giurisprudenza comunitaria di riferimento sulla libera circolazione e il diritto antitrust; i diritti dei media e l'abuso di posizione dominante; il doping nella normativa italiana e straniera con precisi richiami alla giurisprudenza del Tribunale Arbitrale
dello Sport di Losanna.
Un testo completo che ripercorre con metodo e scientificità le problematiche principali in ambito comunitario legate al fenomeno sportivo, passando dalla centralità dell'Unione Europea al principio di specificità.
“Diritto Comunitario dello Sport” nasce dall’esperienza di un importante convegno internazionale organizzato
dall’Università degli Studi di Padova nel 2008 (“Il ruolo dello sport nell’Unione Europea: impegno sociale, impatto
economico e lotta contro il doping”) che ha permesso lo scambio di idee e il contributo di numerosi esperti e
appassionati della materia.
Ne è nata quest’opera collettanea, divisa in tre capitoli, che pur senza pretesa di esaustività, per prima si premura di
armonizzare le grandi macro aree oggetto di ricerca con un risultato di sintesi, notevole anche nel panorama della
più recente dottrina.
Ed in effetti l’eterogenea provenienza degli autori garantisce quella pluralità di pensiero indispensabile per
affrontare queste tematiche ad ampio spettro.
l’Indice
Parte Prima - La Centralità Dell’Unione Europea In Ambito Sportivo: Unione Europea e sport: evoluzioni e
sviluppi di un rapporto “particolare”(J. Tognon) - La politica dell’unione europea per lo sport: problemi e prospettive (F. Basile) - Diritti umani e sport nell’anno europeo del dialogo interculturale (A. Papisca) - Le nuove frontiere
del diritto dello sport (A. De Silvestri) - La fonte europea del giusto processo sportivo (P. Moro) - Parte Seconda Attività Economica E Diritto Europeo Dello Sport: Trattamento fiscale e previdenziale dei compensi corrisposti
per prestazioni sportive dilettantistiche svolte in italia da atleti e tecnici italiani e comunitari (G. Martinelli) - Autonomia, concorrenza e autogoverno dello sport in europa (M. Pierini) - Contratti commerciali nello sport e diritto europeo: attuali problemi e nuove prospettive (L. Colantuoni) - L’abuso di posizione dominante in ambito sportivo
(B. Agostinis) - Spagna: sport e diritto della concorrenza (I. Arroyo) - Parte Terza - Il Doping Nell’Unione Europea: La giurisprudenza del tas in materia di doping (M. Coccia) - L’attività antidoping del coni nel nuovo contesto normativo internazionale (M. Arpino) - La lotta al doping nell’unione europea: le azioni di prevenzione (L. Musumarra) - Il fenomeno del ‘doping’ nella giurisprudenza della corte di cassazione (M. Nuccio) - La legislazione
nazionale in materia di doping (N. Grippa) - La lotta contro il doping all’interno e all’esterno del libro bianco sullo
sport della commissione europea (J. Kornbeck)
143
Autori
Jacopo Tognon (Avvocato; Docente di Diritto Europeo dello Sport e di Sport e Diritti Umani nel diritto dell’UE,
azione Jean Monnet, nell’Università di Padova; Arbitro del TAS, Tribunal Arbitral du Sport di Losanna)
Filadelfio Basile (Professore Ordinario di Politica economica nell’Università degli Studi di Catania)
Antonio Papisca - (Professore Ordinario di Relazioni Internazionali nell’Università di Padova e Cattedra Jean
Monnet honoris causa)
Antonino De Silvestri (Avvocato, già Consigliere della Suprema Corte di Cassazione)
Paolo Moro (Avvocato, Docente di Informatica Giuridica nell’Università di Padova)
Guido Martinelli (Avvocato, Professore aggregato presso l’Università di Ferrara di “Legislazione sportiva)
Marcello Pierini (Cattedra Jean Monnet in European Law, Direttore Centro Europe Direct Marche, Università di
Urbino “Carlo Bo”)
Lucio Colantuoni (Avvocato, Professore a contratto di diritto sportivo nell’Università Statale di Milano, Componente della Commissione Disciplinare Nazionale presso la FIGC)
Barbara Agostinis (Avvocato, docente di diritto dello sport presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di
Urbino “Carlo Bo”)
Ignacio Arroyo (Avvocato, Professore Ordinario di diritto commerciale nell’Università autonoma di Barcellona)
Massimo Coccia (Avvocato, Professore incaricato di Diritto Internazionale nell’Università della Tuscia, Arbitro
del TAS, Tribunal Arbitral du Sport di Losanna)
Marco Arpino (Direttore Ufficio Antidoping del Comitato Olimpico Nazionale Italiano)
Lina Musumarra (Avvocato, Docente di diritto sportivo nell’Università Luiss Guido Carli, Roma )
Marina Nuccio (Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino)
Nicola Grippa (Avvocato, Presidente della sezione AIGA di Taranto)
Jacob Kornbeck (funzionario della Commissione Europea, Direzione Generale dell’Istruzione e della Cultura
Gioventù, Sport e relazioni con i cittadini, Unità Sport)
Cedola d’acquisto da inviare all’Editore
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Jacopo Tognon – Diritto
Comunitario dello Sport
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ISBN
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