Un`etica povera per paesi ricchi

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per porre la questione
Un’etica povera per paesi ricchi
ALDO e CINZIA PANZIA OGLIETTI*
Torino
• Se l’etica è quella disciplina che studia le regole della condotta umana, non si può non rilevare nella nostra società un preoccupante scadimento dei comportamenti etici, che si stanno livellando verso il basso
• Questo scadimento riguarda vari ambiti della vita, dalle scelte bioetiche (spesso un «far west») alle scelte politiche (che hanno perso di vista
il bene comune perché condizionate dal conflitto d’interesse); dall’economia (sempre più favorevole ai ricchi) al mondo del lavoro (segnato
dalla precarietà) • Non è quindi un paradosso parlare di etica «povera»
dei paesi «ricchi», ma la famiglia può fare molto per arricchire l’etica.
Una possibile definizione dell’etica
(ethos = costume, carattere) è l’insieme
dei principi e delle norme che regolano la
condotta umana.
L’etica studia quindi le regole della
condotta umana, cercando di rispondere
a domande del tipo: quando un’azione è
giusta o sbagliata? Qual è la natura o la
norma che decide del bene o del male?
La costruzione dell’etica
La necessità di dare una legittimazione ai vari comportamenti umani si è presentata fin da quando l’umanità ha cominciato a vivere in gruppo.
Questa legittimazione è passata attraverso usi e costumi, tabù (divieti) e obblighi, norme e leggi che cercarono di consolidare quello che veniva ritenuto il
comportamento migliore, per il bene della collettività.
Nascono ovviamente delle domande:
– come si può stabilire oggettivamente
il miglior bene di tutti?
– come può essere «libero» un individuo di scegliere un comportamento
entro una determinata serie di regole?
– quanto è giusto che uno si adegui al
«pensiero comune» (ammesso che sia
la soluzione migliore per tutti) se non
va bene per lui?
* Della Redazione di Famiglia Domani.
FAMIGLIA DOMANI 3/2006
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Inoltre, l’insieme di usi, abitudini,
norme, regole morali, cambiano i loro
contenuti e le modalità nel corso dei tempi e dei luoghi. Ciò che era eticamente
sconveniente in una data epoca e società,
può tranquillamente essere valido e buono in altri tempi e luoghi.
Pur con queste difficoltà di identificazione, la sedimentazione di una serie di
«sani» comportamenti nei secoli ha permesso tuttavia di identificare nella collettività una serie di comportamenti correttamente etici, mentre quelli fortemente
non etici sono stati in genere codificati
con leggi e punizioni sociali: non uccidere, non rubare, non prendere la donna
d’altri, non mentire.
Su queste scelte morali ha fortemente
pesato, nel mondo occidentale, la religione cristiana, con i suoi comandamenti e i
suoi precetti, ma non si può negare che
molte di queste regole siano le stesse che
l’umanità vede da sempre come imprescindibili.
È quindi un dovere sociale, umano
(anche religioso) di qualunque individuo
assumere delle decisioni comportamentali alla luce di una seria analisi etica, potremmo anche dire di «un esame di coscienza».
Ma oggi la messa in discussione e lo
scadimento di molti valori socio-culturali passati (pensiamo al vecchio: Dio, Patria, famiglia) comporta segni preoccupanti di crisi, di involuzione, di rottura su
vari fronti dell’etica.
Forse ciò è facilitato anche dal fatto
che la religione cristiana, per secoli baluardo di valori e regole, non conta ormai
più molto nella società. E dal fatto che anche i cosiddetti cristiani tendano sovente a
relegare il proprio credo al privato, distaccandolo dagli aspetti e dai doveri sociali conseguenti.
Nel marasma dei valori buttati alle ortiche, diventa più difficile identificare
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nuovi comportamenti che si possano definire etici, anche perché in carenza di valori forti, l’approssimazione dei comportamenti tende verso il basso, con uno scadimento e impoverimento oggettivo del
sistema etico.
L’impoverimento dell’etica
Si possono individuare alcuni ambiti
di questo impoverimento:
– La bioetica: è un termine nuovo, inventato proprio per definire un quadro accettabile in campi che rischiano di sfuggire alla società: la procreazione assistita, la clonazione, l’eutanasia, la ricerca
sanitaria sono diventati un far-west, in cui
sulla base di diritti individuali privati, veri o presunti, si dà spazio a una libertà (lo
è?) «individuale» assoluta senza doveri
sociali. In molte situazioni vi sono poi
componenti economiche non trascurabili, che tendono a stravolgere una reale valutazione del bene collettivo.
– La politica: è per eccellenza la sperimentazione della ricerca del bene di tutti, e quindi richiede un comportamento
fortemente etico; ora, come purtroppo in
altri momenti storici, sembra sempre più
indirizzata al benessere di pochi, alla cura dei propri interessi, tanto che una evidenza macroscopica italiana come il conflitto di interessi diventa quasi un vanto
piuttosto che qualcosa di inaccettabile. La
dialettica politica si interessa di screditare l’avversario più che di proporre programmi per i cittadini, e lo scadimento
etico si denota anche dal fatto che una
parte dell’opinione pubblica sopporta, se
non talvolta condivide, questi comportamenti.
– L’economia: sembra stare ancor
peggio, è un campo dove la necessità di
«far soldi» giustifica qualunque comportamento. Tutto è valido e accettabile, baPER PORRE LA QUESTIONE
sta che non violi la legge (e sovente lo fa).
La trasformazione degli imprenditori da
industriali (industriarsi a produrre qualcosa) a finanzieri (gestire le finanze degli
altri), nonché i vari casi Parmalat, Enron,
Cirio e così via, sono segnali d’allarme
che cominciano a preoccupare perfino coloro che usano abitualmente questi metodi.
– Il lavoro: un tempo esisteva in questo contesto una certa etica, anche se il padrone sfruttatore è sempre esistito e il lavoratore fannullone pure; una serie accettata di regole, ad esempio lo «statuto dei
lavoratori», ha evitato per decenni conflitti economico-sociali non trascurabili,
incentrati su un equilibrio basato sull’impegno lavorativo del dipendente e su un
posto di lavoro e un’equa retribuzione da
parte del datore di lavoro. Ora sembrano
emergere nuove forne di schiavismo; a
parte il fatto che che in certi paesi del
mondo purtroppo non è mai sparito, come si possono definire tutte le nuove invenzioni che il capitalismo, sull’altare
della massima redditività, ha inventato e
messo in auge: lavoro interinale, stagista,
lavoro a progetto, co.co.co., assunzione
temporanea, incarico a termine? Senza
parlare dello sfruttamento, coperto o scoperto, degli immigrati clandestini, quindi
senza difese.
L’etica del denaro, del mercato
e dei «media»
Ma è su un comune denominatore delle situazioni sopra elencate che vogliamo
ancora concentrarci per una analisi particolare: il denaro. Questo strumento, inventato dall’uomo per permettergli di
scambiare i beni prodotti, quindi per «stare meglio tutti», è da sempre il tarlo della
nostra società, ma oggi ne sembra diventato il nuovo dio.
FAMIGLIA DOMANI 3/2006
È invalso ormai il concetto che le
«leggi del mercato» (e del denaro) siano
ineluttabili e insuperabili, pena minori introiti, quindi l’emarginazione e il crollo
economico; tali leggi che ormai governano anche i «governi» degli stati, ormai superano, o meglio, ridefiniscono anche l’etica, per cui ad esempio è moralmente accettabile che vi sia un certo livello di disoccupazione, per contenere i costi del lavoro, per produrre meglio e vendere di
più, e alla fine affinché si stia tutti meglio
(teoricamente).
Siamo ormai ad una doppia etica,
quella dei ricchi e quella degli altri, con
schemi e regole differenti, con l’estremo
che quanto è «accettabile» da un ricco
(per mille giustificazioni) non lo è da un
poveraccio: come già si diceva tempi addietro, se un poveraccio ruba una mela è
un ladro, se un furbo ruba miliardi allo
Stato, è un imprenditore.
Si sta instaurando una cultura, un’etica della disuguaglianza, complice anche
la debolezza dell’atteggiamento eticogiuridico che dovrebbe contrastarla.
Un amplificatore di questo decadimento verso il basso sono i cosiddetti
«media». Radio, televisione, giornali sono stati mezzi stupendi per diffondere conoscenza, idee, educazione, e in parte
svolgono ancora questa ottima funzione.
Sul fronte dell’etica non sono stati altrettanto positivi; specialmente la TV ha ormai talmente riempito le nostre case e il
nostro tempo che vi ha immesso a piene
mani il livellamento verso il basso che il
«mercato» e il pensiero comune (di chi?)
stanno portando nelle nostre teste. Il sapere non necessita più, se è possibile
prendere milioni sventolando gambe o
«sparando cretinate» dal piccolo schermo; la tv e i suoi modelli diventano la
fonte d’insegnamento principale di molti
giovani. Con sottigliezza l’«etica» dei ricchi viene fatta digerire ai poveri. Al mer-
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cato in fondo serve un ottundimento del
senso critico del «consumatore» (non più
cittadino).
Arricchire l’etica
Questa povertà etica dei paesi ricchi
diventa però anche uno stimolo, diremmo
una spina nel fianco, per i cristiani. Come
scrive uno studioso: «il trionfo del mercato è divenuto l’eclisse della compassione».
È questo l’assillo che secondo noi i
cristiani (se si ritengono seguaci di Cristo) devono avere: sentirsi coinvolti, sulle spine, tirati per i capelli in un mondo in
cui l’etica, che si è costruita nel passato
in gran parte sui comandamenti di Dio,
pur con alcune ipocrisie e difficoltà, si sta
allineando al basso, sta diventando povera, si adegua ai più bassi traguardi che la
nostra società sembra volere: successo,
denaro, potere, prevalenza sull’altro.
Occorre porci tutta una serie di questioni.
Qual è per un cristiano il «bene comune»? Come si può pensare che comportamenti palesemente in contrasto con «la
difesa del povero e della vedova» (base
sociale della Bibbia e del Corano) possano divenire delle abitudini, senza nessuna
opposizione, se non per credo religioso,
almeno per quella «compassione» pienamente umana?
E dobbiamo anche interrogarci sulle
cause che hanno portato a questo scadi-
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mento dell’etica. Il benessere diffuso dell’occidente, che ora non si diffonde più
(come abbiamo visto), ha portato a uno
scadimento dei valori?
Se si ritiene che i luminosi traguardi
sociali, denaro, successo, potere, siano
specchi per le allodole, e che comunque
si sa che sono raggiungibili solo da alcuni, sufficientemente spregiudicati per farlo, diventa evidente che questo non corrisponde al bene comune, al far migliorare la società, e che la sete di potere, la
spregiudicatezza negli affari, l’arricchirsi in modo improprio, sono e rimangono
comportamenti per nulla etici, anzi immorali.
Riaffermiamo il ruolo importante che
ha la famiglia nella trasmissione di valori
e giusti comportamenti, come campo dove coltivare i valori etici, dove i genitori e
i nonni sono l’esempio per i figli che si
può vivere serenamente credendo nei
profondi valori nella vita anche se con minori mezzi materiali, se l’acquisizione di
tali mezzi comporta fare scelte dubbie o
inaccettabili dal punto di vista morale.
Dobbiamo pensare a come possiamo
intervenire, a livello anche personale, affinché non vi siano ulteriori degradazioni,
ma anzi si riacquisiscano e si rimettano in
gioco i valori che hanno permesso, in
molte epoche, di raggiungere il bene di
tutti.
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Aldo e Cinzia Panzia Oglietti
[email protected]
PER PORRE LA QUESTIONE
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