07-Bonmassari (33-35) - Giornale Italiano di Cardiologia

MORTE IMPROVVISA
Pazienti resuscitati da arresto cardiaco extraospedaliero:
coronarografia e rivascolarizzazione a tutti?
Roberto Bonmassari, Elisa Minchio
U.O. Cardiologia, Ospedale S. Chiara, Trento
Out-of-hospital cardiac arrest with return of spontaneous circulation represents a great challenge even for advanced healthcare systems because of the high risk and frequency of this event. The most common cause of
out-of-hospital cardiac arrest is an acute coronary syndrome, and noninvasive diagnostic tools are quite inadequate. The poor outcome observed so far seems to improve significantly when early treatment with hypothermia and myocardial revascularization is performed. Emergent coronary angiography and myocardial
revascularization seem to be reasonable and appropriate therapeutic option not only for patients with ST-elevation myocardial infarction but also for other patient subsets.
Key words. Coronary angiography; Myocardial revascularization; Out-of-hospital cardiac arrest.
G Ital Cardiol 2012;13(10 Suppl 2):33S-35S
INTRODUZIONE
REVISIONE DELLA LETTERATURA
L’arresto cardiaco (AC) extraospedaliero, oltre ad essere un
evento drammatico, costituisce un rilevante problema di sanità pubblica: negli Stati Uniti colpisce dalle 236 000 alle 325 000
persone all’anno, risultando la terza causa di morte se valutato isolatamente.
La prognosi dei pazienti colpiti da AC extraospedaliero presenta ampie e rilevanti variazioni territoriali (fino a 5 volte) e rimane severa. La mortalità si conferma molto elevata, raggiungendo, anche in tempi recenti, il 75%, e le cause sono equamente distribuite tra danno nervoso, insufficienza cardiaca e
sepsi-sindrome da insufficienza multiorgano1.
L’AC extraospedaliero frequentemente si manifesta come
morte improvvisa che riconosce una causa cardiaca nel 90% dei
casi. La malattia coronarica è la più frequente (70-80% dei casi)
seguita da cardiomiopatie (10-15%) o disturbi primari del ritmo
(10-15%). L’evento finale è quasi sempre costituito da un’aritmia
(90% dei casi), soprattutto la fibrillazione ventricolare (70-80%).
Lo scenario abituale dell’AC extraospedaliero deve essere
immaginato come una situazione caratterizzata da un’elevata,
anche se non precisabile, percentuale di pazienti che non vengono sottoposti a rianimazione cardiopolmonare. Quelli che
vengono soccorsi con una rianimazione cardiopolmonare (secondo alcune stime circa 40 per 100 000 abitanti per anno)
presentano una ripresa dell’attività circolatoria spontanea
(ROSC) in una percentuale intorno al 30%. Questi sono i pazienti che pervengono in ospedale.
Poiché nelle varie esperienze le modalità di raccolta dati presentano ampie variabilità da centro a centro, è stato compiuto
un grande sforzo per ricercare e condividere degli standard per
la conduzione degli studi e per facilitarne il confronto2.
Considerata la prognosi molto severa, la necessità di un cambiamento nell’approccio terapeutico è stata valutata in due rilevanti studi. Nel primo, uno studio norvegese del 2007, in una
popolazione di 119 pazienti è stata messa a confronto una strategia conservativa con un’altra più recente di tipo interventistico: all’incirca nella metà della popolazione è stata praticata
l’ipotermia e l’angioplastica coronarica ed il ricorso alla contropulsazione aortica non è stato occasionale. In questi pazienti si
è osservato un incremento statisticamente significativo della sopravvivenza intraospedaliera (dal 31% al 56%), a distanza di 1
anno (dal 26% al 56%) e dell’outcome neurologico (dal 26%
al 56%). Ad una analisi multivariata, inoltre, è emerso come
l’appartenere al periodo interventistico rappresenti l’unico fattore migliorativo in senso prognostico3.
Il secondo studio, condotto in Slovenia, ha seguito un protocollo estesamente interventistico confrontando, in 72 pazienti, un approccio di sola rivascolarizzazione miocardica,
quando indicato e possibile, con un trattamento combinato di
rivascolarizzazione ed ipotermia. Pur non essendo uno studio
randomizzato, la sopravvivenza in ospedale e a 6 mesi ha avuto un incremento significativo, rispettivamente dal 44% al 75%
e dal 38% al 60% mantenendosi stabile a 6 mesi e con un
buon outcome neurologico4.
Da un recente lavoro del 2010 che raccoglie i dati di 17 studi per un totale di 930 pazienti emerge come il paziente che
giunge in ospedale dopo un AC extraospedaliero rianimato con
ROSC si giovi di un esame emodinamico e, quando possibile, di
una rivascolarizzazione miocardica mediante stent. In questa serie la sopravvivenza migliora fino a giungere al 60% con una ripresa neurologica nell’87% dei casi. Inoltre l’utilizzo combinato di ipotermia e rivascolarizzazione miocardica in 4 di questi
studi ha aumentato ulteriormente la sopravvivenza portandola
al 70% con una buona ripresa neurologica nell’81% dei casi5.
Nel Registro LombardIMA, da una prospettiva diversa il cui
punto di osservazione è stato il laboratorio di emodinamica nel
trattamento dell’infarto miocardico con sopraslivellamento del
tratto ST (STEMI), il confronto tra una popolazione di pazienti
© 2012 Il Pensiero Scientifico Editore
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Roberto Bonmassari U.O. Cardiologia, Ospedale S. Chiara,
Largo Medaglie d’Oro 9, 38122 Trento
e-mail: [email protected]
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R BONMASSARI, E MINCHIO
consecutivi con STEMI ed AC extraospedaliero (il 3.8% del totale) e STEMI senza AC extraospedaliero (96.2%) ha rivelato
una prognosi nettamente peggiore nel primo gruppo, con una
mortalità ospedaliera pari al 22 vs 3%, e una mortalità a 6 mesi invece piuttosto simile (4 vs 2%). È da sottolineare come questo outcome risulti nettamente migliore rispetto alle precedenti esperienze. La possibile spiegazione di tale risultato migliorativo appare in relazione alla particolare selezione della popolazione con AC extraospedaliero con ROSC (tutti pazienti con
segni elettrocardiografici di STEMI) determinata dalla particolare
prospettiva “emodinamicocentrica” dello studio. In questo registro il trattamento con ipotermia non è specificato, mentre
tutti i pazienti sono stati sottoposti a trattamento coronarico
percutaneo. Ad una analisi univariata i predittori di mortalità
intraospedaliera sono risultati il riscontro di asistolia al momento del primo contatto, lo shock cardiogeno, un lungo intervallo tra chiamata di emergenza e manovre rianimatorie ed
un elevato grado di scala di Glasgow6.
RACCOMANDAZIONI
Come suggerito anche nelle linee guida americane, l’obiettivo
verso il quale orientarsi per dare una risposta a questo complesso problema sembra essere l’istituzione di un sistema territoriale di cura per i pazienti colpiti da AC extraospedaliero, analogamente ai sistemi di Trauma Center1. In una prospettiva di
questo tipo la creazione di percorsi facilitati e la concentrazione di attività in centri ad alto volume sono il presupposto per
l’incremento dell’esperienza degli operatori e il miglioramento
della prognosi dei pazienti. L’obiettivo di tale sistema territoriale è realizzare il trasporto nella maniera più efficace (sicurezza/tempo) nella sede più adeguata. Poiché, come è stato in precedenza sottolineato, la causa principale di AC è la cardiopatia
ischemica acuta, uno degli obiettivi del percorso sembra essere la possibilità di giungere velocemente in sala di emodinamica. Ma quali sono i pazienti da sottoporre a coronarografia
emergente? Risulta cruciale domandarsi se, con i nostri abituali
strumenti diagnostici non invasivi, siamo in grado di individuare, nei pazienti sopravvissuti ad AC extraospedaliero, quelli che
possono giovarsi di una rivascolarizzazione miocardica emergente con angioplastica. La risposta che appare delinearsi da
numerose esperienze è che non siamo in grado di farlo. Infatti, nel paziente sopravvissuto ad un AC extraospedaliero che,
nel 97% dei casi presenta una coronaropatia e nel 50% addirittura una coronaria occlusa acutamente, i segni clinici, elettrocardiografici ed ecocardiografici possono non di rado risultare incompleti, incerti, o a volte fuorvianti. È noto, infatti, come in questa particolare circostanza, fino al 15% dei pazienti
con un’arteria coronaria occlusa acutamente può presentare
un ECG senza sopraslivellamento del tratto ST e il dolore tora-
cico all’esordio dell’evento può essere assente in un paziente su
dieci. Si può quindi concludere che, in caso di AC extraospedaliero con ROSC, l’assenza di sopraslivellamento del tratto ST
presenta un valore predittivo negativo limitato (44%), mentre
la sua presenza un valore predittivo positivo molto elevato
(95%). Su questa base e, considerati i positivi risultati quoad
vitam di una precoce rivascolarizzazione in caso di una sindrome coronarica acuta esordita con AC, in accordo con le indicazioni delle società cardiologiche e di anestesia-rianimazione
europee e americane, appare ragionevole raccomandare l’esecuzione di una coronarografia emergente non solo nei pazienti con segni di STEMI (indicazione condivisa) ma anche in quelli che non presentino tali segni, visti i limiti nella capacità diagnostica non invasiva in tali pazienti7,8. Non vanno inseriti in
questo percorso “fast” per coronarografia i casi in cui vi sia una
riconosciuta causa extracardiaca o cardiaca non ischemica dell’AC. Il sistema di cura territoriale per l’AC extraospedaliero non
può quindi non sovrapporsi, fino ad identificarsi, con la rete
Hub & Spoke per lo STEMI e dovrebbe coniugare sicurezza, rapidità e centralizzazione del paziente per ipotermia terapeutica e rivascolarizzazione miocardica.
CONCLUSIONI
Nei pazienti colpiti da AC extraospedaliero appare raccomandabile l’esecuzione in emergenza della coronarografia in molti
casi: in presenza di segni di STEMI, ma anche in molti pazienti
in assenza di tali evidenze visti i limiti diagnostici. La rivascolarizzazione appare indicata, se fattibile, nei casi con indicazione
clinica ed angiografica di sindrome coronarica acuta. Vanno
esclusi da questo percorso quei pazienti nei quali sia individuabile una causa extracardiaca o cardiaca non coronarica dell’arresto.
RIASSUNTO
L’arresto cardiaco extraospedaliero con ripresa di attività circolatoria spontanea costituisce, anche per i sistemi sanitari più avanzati,
una importante sfida per la drammaticità dell’evento e per la sua
diffusione. La causa più frequente di arresto cardiaco extraospedaliero è una sindrome coronarica acuta e le possibilità diagnostiche non invasive in tale scenario sono non di rado inadeguate. La
prognosi molto povera nel recente passato sembra migliorare significativamente nei pazienti sottoposti tempestivamente ad ipotermia terapeutica e rivascolarizzazione miocardica con angioplastica in emergenza, quando indicato. L’esecuzione di coronarografia e angioplastica emergenti appare raccomandabile in molti pazienti, non solo in quelli con segni di infarto con sopraslivellamento del tratto ST in corso.
Parole chiave. Arresto cardiaco extraospedaliero; Coronarografia;
Rivascolarizzazione miocardica.
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