Sbilanciamoci! 2005
Promuoviamo l’Altra Economia
A cura di Alberto Zoratti e Monica Di Sisto
Il termine “economia sociale” è utilizzato a partire dal XIX secolo in Francia per indicare le
esperienze cooperative e mutualistiche che intervengono tra stato e mercato per soddisfare
“bisogni” primari (gli stessi che poi, dal secondo dopoguerra, diventeranno finalmente “diritti”) dei
cittadini. Secondo molti studiosi si tratta di una formula niente affatto alternativa al modello
capitalistico ma che, anzi, in esso trova la sua ragione di essere e i suoi stessi principi di
funzionamento 1 . E’ tuttora utilizzata in Francia per identificare il vasto movimento cooperativo e
delle banche popolari.
L’economia “solidale” è invece un concetto assai più recente, proposto in modo strutturato all’inizio
degli anni ’90, quando sono ormai molti gli studi che propongono il “terzo settore” come una delle
possibili soluzioni alla crisi dei sistemi di welfare e al problema della crescita senza occupazione 2 .
Secondo il suo massimo teorico, Jean Louis Laville, l’economia solidale può nascere da un nuovo
equilibrio tra intervento pubblico, reti informali e domestiche e imprese cooperative e nonprofit.
Quella che Laville definisce l’ibridazione del sistema può permettere la rigenerazio ne del tessuto
sociale e il reinserimento, come indicato da Polanyi, della politica e della società all’interno
dell’economia 3 .
Ma senza dubbio il termine che più si è affermato è quello di terzo settore (o non profit). Utilizzato
per distinguere tutto ciò che sta tra stato e mercato, dalla filantropia al centro sociale, questa
(non)definizione si limita a proporre un gran contenitore di soggetti che - tecnicamente - non
devono fare altro che inibire la distribuzione degli utili ai propri soci. E’ evidente che dietro questo
unico punto in comune ci saranno organizzazioni molto differenti per finalità, metodologie di
intervento, settore di attività. E i tentativi fatti nel tempo di dargli una connotazione positiva (terzo
settore ristretto, solidale, democratico, produttore di utilità sociale ecc.) non hanno influito più di
tanto sul dibattito e sulla percezione comune 4 .
Ma è comunque all’interno di questi spazi che cresce e si può identificare un’altra economia.
Certamente dentro l’ambito di intervento del terzo settore, ma anche a cavallo tra economia sociale
e solidale, senza dimenticare il ruolo cruciale di quella informale.
In particolare può essere utile immaginare quest’altra economia come una rete, o meglio un insieme
di reti, di operatori economici (ma anche politici e culturali) il cui comportamento sia basato su
principi originali di funzionamento, solidali, etici, che mettono al centro dell’azione il bene comune
e collettivo. E, proprio concentrandosi sulle reti di economia solidale, Euclides Mance ha scritto: “la
rivoluzione delle reti darà il via all’organizzazione di una società post-capitalista che non si
confonde con nessun cooperativismo capitalista, né con qualche variante anarchica, né con il
socialismo statale, ma assorbe elementi delle più diverse proposte emancipatrici elaborate nella
storia degli oppressi e gran parte delle risorse tecnologiche sviluppate dall’attuale società
1
L’economia sociale poggia, in termini teorici e pratici, sulla stessa teoria dell’equilibrio generale che è alla base del
pensiero dell’economia liberale, in quegli anni dominante. “Con l’economia sociale, in Francia, il conflitto capitalelavoro, al centro dell’ideologia socialista, viene sostituito dalla più moderata contrapposizione consumatore-produttore.
Il progetto cooperativo, concentrato sulla ricerca del giusto prezzo, accetta la visione meccanicista dell’ordine
economico e legittima l’esclusione della politica dalla riflessione economica”. Cfr. Azam (2003).
2
Tra i vari contributi merita senza dubbio menzione speciale il Libro bianco della Commissione europea curato da
Delors (1992).
3
Cfr, Laville (1998). L’influenza del suo lavoro è notevole in Francia, dove oggi esiste addirittura un Ministero
dell’economia solidale e in Europa, dove questo approccio è l’unico che riesce in qualche modo a competere con quello
di matrice anglosassone, che - semplificando - vede il nonprofit come mero sostituto dello Stato.
4
Cfr. Lunaria (1997). Si tratta del tentativo più ambizioso e approfondito di definire (e misurare) un terzo settore
ristretto, da contrapporre a quello decisamente più mainstream di Giampaolo Barbetta (1996).
capitalistica […], superando così tutti questi modelli e ampliando le libertà pubbliche e private in
maniera inedita per la storia dell’umanità”5 .
I confini dell’altra economia tra stato, mercato, terzo settore, economia informale, sociale e
solidale
Stato
Economia
sociale
Economia
solidale
Altra
Economia
Economia
informale
Terzo settore
Mercato
Oggi sono già molte le pratiche che si ispirano a questa filosofia. Volendone tracciare un quadro
generale e generalizzante si può partire dai valori di fondo che le accomunano 6 :
1. assenza di scopo di lucro: le imprese dell’altra economia sono tendenzialmente nonprofit, poco
importa se nella forma giuridica o nella prassi. Questo perché, pur garantendo capacità di creazione
di nuovi posti di lavoro e qualità produttiva, sono consapevoli della necessità di limitare la
distorsione dei comportamenti economici indotta dalla logica del profitto. Tutto il surplus creato
viene perciò reinvestito all’interno dell’impresa, per migliorare il ciclo produttivo, le condizioni di
lavoro, la qualità dei servizi, ridurre l’impatto ambientale;
2. efficienza: non si tratta di proporre un’economia più buona e di cadere così nella beneficenza.
Bensì di costruire un’attività economicamente vitale che intende essere socialmente utile;
3. trasparenza: ogni operatore dell’altra economia conta di produrre valore sulla base della sua
attività reale e non grazie all’occultamento di informazioni, dunque si assume anche l’onere di
garantire una massima trasparenza e di adottare tutti gli strumenti utili per consentire ai terzi
(consumatori, risparmiatori, fornitori, istituzioni pubbliche ecc.) una valutazione corretta dei beni e
servizi offerti;
4. partecipazione: l’operatore dell’altra economia si sente parte di un sistema complesso a cui vuole
apportare valore e di cui riconosce il valore. Per questo nella sua attività prevede il coinvolgimento e
la partecipazione di tutti coloro che possono averne interesse: lavoratori, cittadini, finanziatori,
pubblica amministrazione ecc.;
5. responsabilità sociale ed ambientale: in ogni ambito di attività si privilegia la promozione dello
sviluppo umano, attraverso un’attenzione costante alla responsabilità sociale ed ambientale - che
5
Cfr. Mance (2003).
Gran parte di questi principi è tratta dal Manifesto della finanza etica e solidale elaborato dall’Associazione Finanza
Etica (www.finanza-etica.org).
6
devono integrare quella economica, legale, produttiva - dell’impresa. Simmetricamente, si
escludono per principio i rapporti di ogni tipo - economici, finanziari, produttivi - con quelle attività
che ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a violare i diritti fondamentali della persona,
come la produzione e il commercio di armi, le produzioni gravemente lesive della salute e
dell’ambiente, le attività che si fondano sullo sfruttamento dei minori o sulla repressione delle
libertà civili;
6. un’adesione globale e coerente dell’attività: ciò significa applicare in ogni ambito di azione
economica (interna ed esterna) questi principi, che quindi devono impattare anche
sull’organizzazione interna, sulle gerarchie aziendali, sulla forbice dei redditi tra i lavoratori e i
dirigenti, su tutti i rapporti che l’impresa costruisce nel tempo.
Dal punto di vista delle pratiche e delle sperimentazioni ormai consolidate, questi principi trovano
riscontro in alcune pratiche che si possono ormai identificare chiaramente. A partire dall’esperienza
del movimento cooperativo e del mutualismo operaio degli inizi del Novecento, infatti, almeno
parte dei principi proposti hanno trovato concretezza nelle esperienze di migliaia di imprese,
cooperative, forme auto-organizzate di protezione sociale, consumo, risparmio. Nel corso dei
decenni e in particolare negli ultimi 20-30 anni tali iniziative hanno subito profondi e radicali
cambiamenti, tra cui forse il più rilevante è l’adozione di cause rappresentative di interessi esterni ai
soggetti che le animano. E’ scomparso cioè l’elemento mutualistico e corporativo (nel senso
migliore del termine) e si sono introdotte nell’azione forme di advocacy e di tutela dei diritti di
categorie deboli non in grado di far sentire la propria voce. Così, ad esempio, i consumatori
occidentali si impegnano per i coltivatori del sud del mondo con le pratiche del commercio equo e
solidale e gli ambientalisti - attraverso la tutela delle risorse naturali - per i diritti delle generazioni
future. Citando ancora Mance: “il consumo solidale si basa sulla consapevolezza che il consumo è
l’obiettivo finale di tutto il processo produttivo e che, nel consumare, contribuiamo a preservare o a
distruggere gli ecosistemi, a salvaguardare posti di lavoro o a determinare i livelli di disoccupazione
nel nostro paese o nella nostra città; contribuiamo a mantenere lo sfruttamento dei lavoratori in una
società capitalista ingiusta o collaboriamo ad eliminarlo in ogni sua forma e a costruire una nuova
società collaborativa e solidale 7 ”.
Le forme organizzative scelte da chi promuove l’altra economia sono le più varie, anche se è forte
la prevalenza dello strumento associativo e cooperativo. Allo stesso modo, per quanto riguarda le
attività, ve ne sono alcune che esemplificano al meglio il percorso di costruzione di un’altra
economia, come ad esempio il consumo critico e il commercio equo e solidale.
Il consumo critico
Il consumo critico è un modo di consumare, ovvero di acquistare ed utilizzare beni e servizi,
secondo criteri di salvaguardia dell’ambiente naturale e di solidarietà internazionale. Muove i suoi
passi dalla consapevolezza della insostenibilità - ambientale e sociale - degli attuali livelli di
consumo del nord del mondo. In tal senso consumo critico vuol dire innanzitutto riduzione dei
livelli di consumo; vuol dire recupero e riuso dei materiali e riciclaggio dei rifiuti; vuol dire
scegliere di acquistare ciò che è stato prodotto con tecnologie a minor impatto ambientale e con
materiali riciclati o materie prime non scarse o in via di esaurimento; vuol dire non scegliere di
acquistare ciò che è stato prodotto con lo sfruttamento del lavoro di adulti e ancor peggio bambini.
Ma soprattutto vuol dire ripensare il proprio stile di vita dando centralità alla socialità e ai ritmi
naturali del vivere, facendo dell’atto del consumo un momento di soddisfazione di reali bisogni.
Dietro al consumo critico vi è dunque, non solo il cambiamento dei propri consumi individuali, ma
anche il contributo alla formulazione e realizzazione di un nuovo concetto di sviluppo che sia una
reale occasione di diffusione del benessere e della qualità della vita senza distinzione tra gli emisferi
del pianeta. La pratica del consumo critico implica quindi la partecipazione attiva alle molteplici
7
Cfr. Mance, op. cit.
esperienze di “altra economia”, dal commercio equo e solidale ai gruppi d’acquisto biologici e
solidali, dal turismo responsabile alla finanza etica.
In particolare i gruppi d’acquisto solidale sono gruppi di persone che si riuniscono per acquistare
insieme non solo in base alla qualità e al prezzo dei prodotti, ma in base a criteri etici, e
rappresentano una delle realtà più concrete nell’ambito del più generale consumo critico. Questi
gruppi si stanno sviluppando in varie direzioni: in particolare alcuni di questi sono diventati delle
vere e proprie cooperative di consumo, che aprono punti vendita e quindi devono rispettare una
serie di normative che fanno lievitare i costi, inserendo un elemento di mediazione - il punto vendita
- che rischia di allentare la consapevolezza dei consumatori nei confronti dei produttori.
Il commercio equo e solidale
L'esperienza del commercio equo e solidale si è rivelata un importante strumento per favorire lo
sviluppo dell'uomo e per promuovere regole internazionali in materia economica e commerciale
ispirate a maggiore giustizia ed equità tra nord e sud del mondo. L’ obiettivo del commercio equo e
solidale, a breve termine, è fornire maggiori opportunità ai piccoli produttori e ai lavoratori dei
Paesi in via di sviluppo e, in tal modo, apportare un contributo alla promozione di uno sviluppo
sociale ed economico durevole per le loro popolazioni; a più lungo termine, il commercio equo e
solidale mira a orientare il sistema commerciale internazionale in un senso più equo, praticando un
modello di relazioni commerciali internazionali eque e solidali, ed esercitando pressioni su Governi,
organizzazioni internazionali e imprese, affinché ne riconoscano e adottino le regole principali.
Il commercio equo e solidale, è una pratica dal basso che promuove giustizia sociale ed economica,
sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente, attraverso il commercio, l'educazione e
l'azione politica. Il suo scopo è riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati,
migliorando l'accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati, attraverso una
più equa distribuzione dei guadagni. Il commercio equo e solidale è una relazione paritaria fra tutti i
soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, «Botteghe del
mondo», importatori e consumatori. Il commercio equo e solidale:
a) promuove migliori condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati, rimuovendo gli
svantaggi sofferti dai produttori per facilitarne l'accesso al mercato;
b) tramite la vendita di prodotti, divulga informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento,
favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello
economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo;
c) organizza rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto e valorizzazione delle
persone;
d) promuove i diritti umani, in particolare dei gruppi e delle categorie svantaggiate;
e) mira alla creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste, tanto nei Paesi economicamente
svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati;
f) favorisce l'incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno
sviluppati;
g) sostiene l'autosviluppo economico e sociale;
h) stimola le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a
difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale;
i) promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali.
La rete internazionale del commercio equo e solidale può contare su 4.000 organizzazioni
economiche non profit attive in 50 paesi, una filiera che permette a contadini ed artigiani del Sud
del Mondo di sviluppare e vendere i loro prodotti e far conoscere la loro storia e cultura. In Europa
sono 18 i Paesi coinvolti, 100 le Organizzazioni di importazione, • 2.750 le Botteghe del Mondo,
60.000 i supermercati e negozi tradizionali che vendono prodotti commercio equo, 100.000 i
volontari e• il fatturato europeo ammonta a 370.000.000 Euro
a
I distretti di economia solidale
Dall’esperienza dei gruppi d’acquisto è nata la proposta di creare veri e propri laboratori pilota
locali in cui si sperimentano forme di collaborazione e di sinergia tra le varie realtà che si
riconoscono nei principi prima enunciati. Possono far parte dei distretti:
- le imprese dell’economia solidale e le loro associazioni
- i consumatori dei prodotti e servizi dell’economia solidale e le loro associazioni
- i risparmiatori- finanziatori delle imprese e delle iniziative dell’economia solidale e le loro
associazioni o imprese
- i lavoratori dell’economia solidale
- gli enti locali che intendono favorire sul proprio territorio la nascita e lo sviluppo di esperienze di
economia solidale.
I distretti sono in pratica la sperimentazione di un modello che pratica modalità opposte a quello
(dominante e presentato come unico possibile) della globalizzazione neoliberista, sulla base di:
- Valorizzazione della dimensione locale, il che significa dare la priorità alla produzione e al
consumo delle risorse del luogo, sia in termini di materie prime ed energia, sia in termini di
conoscenze, saperi e pratiche tradizionali, relazioni.
- Economia equa e socialmente sostenibile: i soggetti che appartengono ai distretti si impegnano a
comportarsi in modo equo nella distribuzione dei proventi delle attività economiche (lavoratori
locali e del Sud del mondo) e nella definizione dei prezzi da attribuire a merci e servizi
- Sostenibilità ecologica: i soggetti aderenti ai distretti si impegnano a praticare un economia
rispettosa dell ambiente (sia nell uso di energia e materie prime, sia nella produzione di scorie) e il
più possibile contenuta nell’impatto ambientale.
I soggetti che fanno parte dei distretti, nel contribuire a definire concretamente come gestire i
processi economici, faranno riferimento al metodo della partecipazione attiva e democratica.
Gli obiettivi dei vari soggetti che fanno parte dei distretti sono:
- utilizzare prioritariamente beni e servizi forniti da altri membri del distretto stesso
- investire preferibilmente gli utili nelle imprese che fanno parte del distretto
- diffondere in modo sinergico la cultura dell’economia solidale.
Questo non esclude ovviamente la possibilità di collegarsi, a livello nazionale o internazionale, con
altre realtà che svolgono attività analoghe (altri distretti, reti di commercio equo, di finanza etica, di
turismo responsabile e così via).
Un primo esperimento di costituzione di DES è in corso a Torino, mentre il Comune di Roma, in
collaborazione con il Tavolo cittadino dell’Altra Economia ha deliberato la creazione di una vera e
propria Città Dell’Altra Economia, la cui prima pietra verrà posata entro il prossimo anno.
Le proposte
Il consumo critico coinvolge le istituzioni
Gli approvvigionamenti pubblici rappresentano mediamente il 14% del PIL dell'Unione Europea, e
in Italia raggiungono addirittura il 17%. Queste cifre sono sufficienti per capire che le
Amministrazioni pubbliche dispongono di un potere d'acquisto tale da poter svolgere un ruolo
determinante per orientare imprese e cittadini verso scelte di produzione e consumo ambientalmente
e socialmente responsabili.
Gli Enti Locali, ad esempio, introducendo opportuni criteri di "preferibilità" nelle loro procedure di
acquisto di prodotti, o di affidamento di servizi, possono spingere il sistema produttivo a competere
per produzio ni più ecoefficienti e più attente alle condizioni di lavoro e al rispetto dei diritti umani
lungo tutta la filiera produttiva.
La crescente attenzione della Pubblica Amministrazione verso gli aspetti ambientali (gli “appalti
verdi”, Green Public Procurement – GPP) ed etico-sociali degli approvvigionamenti è assimilabile
al concetto, sempre più diffuso tra le famiglie, del “consumo critico”, cioè al comportamento
orientato alla sobrietà degli stili di vita, attento al comportamento responsabile delle imprese,
all’acquisto di prodotti ecologici e del commercio equo e solidale, alla finanza etica, al turismo
responsabile, ai boicottaggi, agli acquisti di gruppo direttamente da produttori agricoli locali
(Gruppi d’Acquisto Solidali – GAS). Le Pubbliche amministrazioni stanno cominciando, ad
esempio, ad introdurre in particolare a livello locale carta ecologica dotata di marchi selettivi
riconosciuti da organismi pubblici; arredi per ufficio usati (Comune di Ferrara) o in legno certificato
FSC proveniente da foreste gestite in maniera sostenibile (Consiglio Regionale della Toscana);
sistemi illuminanti e apparecchi per ufficio a ridotto consumo energetico; prodotti biologici nelle
mense scolastiche; prodotti biologici nelle mense scolastiche; prodotti del commercio equo e
solidale nella ristorazione pubblica (Comuni di Genova e Firenze); non concessione di
sponsorizzazioni e patrocini a manifestazioni che coinvolgono imprese responsabili della violazione
di codici internazionali (Comune di Roma nel caso della Nestlè a Eurochocolate 2003 e Bimbinfiera
2004). Ad oggi sono 16 i capitolati d’appalto pubblici con inserimento formale del commercio equo
e solidale, diversi comuni come Genova, Firenze, Piacenza, Bolzano, Gorgonzola, S.Donato
Milanese e Alessandria hanno già forniture in corso di prodotti come banane, cioccolato, snack,
quinoa, riso e altri cereali tra cui diversi anche biologici. Almeno 70.000 studenti e le loro famiglie
sono coinvolti nell’attività informativa e didattica sul commercio equo e solidale e sui temi dello
sviluppo sostenibile a partire dalle pratiche di fornitura. Dal punto di vista legislativo le regioni
Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto e Umbria hanno emanato apposite leggi
regionali per la promozione e lo sviluppo del commercio equo e solidale; numerosi comuni italiani
hanno emanato specifiche delibere per favorire l'uso di prodotti equi e garantiti nelle manifestazioni
pubbliche.
Una legislazione equa e solidale
Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione l'8 ottobre 1991 sul sostegno attivo ai piccoli
coltivatori di caffè del Terzo Mondo mediante una politica mirata di approvvigionamento e di
introduzione di tale prodotto di provenienza del commercio equo e solidale nelle istituzioni
comunitarie; il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla promozione del commercio
equo e solidale fra nord e sud, la n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994;
nel 1998 è stata approvata dal Parlamento europeo la risoluzione n. 198/98 sul commercio equo e
solidale, nella quale, tra l'altro, si chiede alla Commissione europea:
«a) di fare in modo che il sostegno al commercio equo e solidale diventi elemento integrante della
politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Unione europea, compreso lo
sviluppo di codici di condotta per le società multinazionali operanti nei Paesi in via di sviluppo e, in
particolare, di garantire un adeguato coordinamento tra le direzioni e i servizi competenti, nonché di
istituire le necessarie strutture amministrative per metterlo in pratica.
b) che la promozione del commercio equo e solidale sia inserita come strumento di sviluppo nella
conclusione di un nuovo accordo con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp).
In Italia, in questa legislatura, il senatore Nuccio Novene ha presentato al Senato come primo
firmatario la mozione 1-00098 nella quale ha ricordato che “i prodotti attualmente venduti
nell'Unione Europea attraverso le varie iniziative di commercio equo e solidale sono principalmente
caffè, manufatti artigianali, tè, cioccolato, frutta secca, miele, zucchero, banane, ecc., tra i quali
recano attualmente il marchio di garanzia di commercio equo e solidale caffè, cacao, banane,
zucchero, miele, tè, succhi, riso, fiori e palloni”. E che, nell'insieme, “l'11% della popolazione
dell'Unione Europea ha già acquistato prodotti equi e solidali, con ampie variazioni da un paese
all'altro, che vanno dal 3% in Portogallo e Grecia al 49% dei Paesi Bassi”. La mozione, approvata il
06/02/2003, ha impegnato questo Governo a “mettere in atto misure di sostegno fiscale in favore
delle organizzazioni di commercio equo e solidale al fine di far crescere anche in Italia questa
importante esperienza”; ma anche a “promuovere attraverso apposite campagne informative
televisive, radiofoniche e sulla carta stampata le esperienze di commercio equo e solidale come
strumento di lotta alla povertà al fine di sensibilizzare i cittadini italiani”.
Alla Camera la mozione 1/00110 primo firmatario il deputato Giuseppe Fioroni, approvata il
29/05/2003 ha impegnato questo Governo “a favorire la diffusione del commercio equo e solidale,
come strumento aggiuntivo di sviluppo con particolare riferimento agli acquisti delle
amministrazioni centrali dello Stato, degli enti locali e delle istituzioni pubbliche”; e a “considerare
la possibilità di introdurre, nel rispetto dei parametri fissati dalla normativa comunitaria, un
eventuale incentivo fiscale a favore dei consumatori e una facoltà analoga all'eventuale riduzione da
parte degli Enti locali dei tributi di propria competenza a favore delle botteghe del Commercio equo
e solidale”. Il Governo è impegnato altresì nel “sensibilizzare l'opinione pubblica sulle esperienze di
commercio equo e solidale, quale strumento di lotta alla povertà; a favorire la presenza nelle scuole
di programmi di educazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale, contrasto alla povertà e
lotta alla fame, per una maggiore conoscenza delle risorse naturali e per un loro uso consapevole”
Un impegno bipartisan se si considera che le mozioni 1/00213 presentata dal capogruppo della Lega
nord alla camera Alessandro Cè e la mozione 1-00211 presentata dal deputato di Alleanza
Nazionale Enzo Raisi, discusse congiuntamente alla precedente e approvate nella medesima seduta,
dopo aver ricordato che “l'attuale Governo ha già assunto orientamenti a favore del consumo
consapevole e dello sviluppo dei Paesi in ritardo, prevedendo, tra l'altro, nella legge delega per la
riforma del sistema fiscale n. 80 del 2003 che la riforma dell'Iva sia, tra l'altro, ispirata ad
«escludere dalla base imponibile (..) e da ogni altra forma di imposizione a carico del soggetto
passivo la quota del corrispettivo destinato dal consumatore a finalità etiche”, hanno impegnato
rispettivamente il Governo “a studiare, in sede di conferenza Stato - regioni, metodi coordinati di
sensibilizzazione sulla natura e sui fini del commercio equo e solidale, come strumento di lotta alla
povertà, e a valutare l'opportunità di un'armonizzazione nelle normative e nella pianificazione
commerciale in materia di sostegno ed incentivazione alla diffusione del commercio equo e
solidale” ed a “a proseguire nella politica assunta, a favore del commercio equo e solidale, ispirata
da finalità etiche”.
Una legge Finanziaria che volesse puntare a favorire uno sviluppo solidale e sostenibile della nostra
economia, promuovendo le esperienze di solidarietà e di commercio giusto che la società civile
italiana già sperimenta quotidianamente grazie all’alleanza ideale ed economica con i consumatori
consapevoli, dovrebbe cominciare a dare attuazione a queste misure già previste dai diversi livelli
legislativi
- favorendo la diffusione del commercio equo e solidale, con particolare riferimento agli
acquisti delle amministrazioni centrali dello Stato, degli enti locali e delle istituzioni
pubbliche;
- introducendo un dispositivo premiale rispetto al tetto dei livelli previsti per la spesa
pubblica, per quegli Enti Locali che abbiano introdotto opportuni criteri di "preferibilità"
sociale, ambientale o equo-solidale nelle loro procedure di acquisto di prodotti, o di
affidamento di servizi;
- prevedendo nei Piani di sviluppo locali appositi finanziamenti per le esperienze di rete e di
distretto delle economie solidali, co-promosse o partecipate dagli Enti Locali;
- mettendo in atto misure di sostegno fiscale in favore delle organizzazioni di economia
solidale, al fine di far crescere anche in Italia questa importante esperienza;
- prevedendo una facoltà analoga all'eventuale riduzione da parte degli Enti locali dei tributi
di propria competenza a favore delle botteghe del Commercio equo e solidale;
- introducendo, nel rispetto dei parametri fissati dalla normativa dell’Unione, un eventuale
incentivo fiscale a favore dei consumatori dei prodotti equosolidali;
- promuovendo attraverso apposite campagne pubbliche d’informazione televisive,
radiofoniche e sulla carta stampata le esperienze di commercio equo e di economia solidale
come strumento di lotta alla povertà al fine di sensibilizzare i cittadini italiani”.