Economia Wall Street trema Un'unica rete globale che unisca i prodotti equi dei paesi in via di sviluppo al consumo critico dei paesi occidentali: questa la tesi dell'economista Euclides André Mance, consulente del presidente Lula. Che sostiene: «l'economia solidale è un'alternativa reale a quella di mercato» Nicola Furini Volontari per lo Sviluppo, novembre 2003 Filosofo-economista, ricercatore, animatore sociale, consulente nel governo brasiliano di Lula e autore del libro "La Rivoluzione delle reti, l'economia solidale per un'altra globalizzazione" (Emi 2003), Euclides André Mance non ha dubbi: «per valorizzare le realtà di economia solidale affermatesi in Sudamerica e quelle legate al commercio equo e solidale e al consumo critico in Europa, esiste un'unica strada: articolare tutte queste realtà in una logica di rete». Nel corso di un intervento tenuto a Lucca lo scorso 30 agosto, Mance ha analizzato le numerose realtà che già oggi propongono un modello alternativo di mercato e di economia (botteghe del commercio equo, gruppi di acquisto solidali, gruppi di consumo critico, cooperative sociali, ong, piccoli produttori biologici, ecc.), e ha sottolineato la necessità di integrare le varie cellule di produzione, distribuzione, consumo, credito, trasporto, comunicazione-informazione in un contesto strategico nel quale ciascuno sostiene gli altri: in poche parole un distretto economico etico. «Ogni rete è costituita da "cellule" (produttori, consumatori, finanziatori, comunità locale di riferimento), dalle loro connessioni relazionali e dai flussi che le alimentano (d'informazione e tecnologia, di beni e prodotti, di valori sia economici sia etici). Le dinamiche relazionali fra cellule avvengono senza gerarchie verticali prestabilite, come invece avviene nel modello capitalista. Ogni volta che due gruppi si integrano con altri gruppi, dove uno alimenta l'altro in un interscambio di diversità e arricchimento reciproco, allora abbiamo una rete». Condizione della crescita della rete è la promozione del consumo. Ma nella prospettiva solidale, la relazione tra chi consuma e chi produce va al di là del comprare o vendere qualcosa: comporta maturare la coscienza del rispetto verso le persone e verso l'ambiente, a favore del benessere di tutti, oggi come domani. «Solo così - conclude il filosofo-economista - il distretto può, secondo una logica economica, generare un profitto che in questo caso andrà a beneficio della comunità, e sarà la comunità a deciderne la destinazione, per esempio finanziando la costituzione di un nuovo distretto (che produrrà altri posti di lavoro, altri prodotti da acquistare, ecc.)». Realtà differenti, scopi comuni Fare un parallelismo tra le realtà di economia solidale sudamericane ed europee può essere corretto, ma solo parzialmente. Le esperienze che danno vita alle reti di economia solidale in Sudamerica nascono infatti come unica risposta possibile a condizioni di povertà estrema e di bisogno. Mentre le reti di commercio equo e solidale, così come dei gruppi di consumo critico e di boicottaggio nel mondo ricco nascono da scelte soggettive (individuali o di gruppo) di tipo etico e culturale; rappresentano un'esperienza di solidarietà importante ma coprono una nicchia di mercato ancora marginale. Ma, nonostante le differenze di fondo, si tratta pur sempre di un variegato arcipelago di realtà che, dal punto di vista economico e sociale, propone un'alternativa concreta a un modello di sviluppo sempre più inadeguato a soddisfare i bisogni profondi dell'uomo. Da qualche anno assistiamo all'evoluzione di un movimento sinergico di collegamenti internazionali di reti (intese come intreccio di relazioni), emerse nell'ambito dei Forum sociali mondiali, dei Forum continentali e dei vari Forum tematici nazionali. Da queste pratiche sono andate emergendo vere e proprie reti globali che oggi integrano in diversi settori, produzione, commercio, servizi, finanziamento, consumo, in grado di movimentare ogni anno centinaia di milioni di dollari. Una nuova razionalità Le prime tracce dell'economia solidale possono essere individuate in America Latina, storicamente legata a situazioni di profonda crisi economica e di acuta povertà che a partire dall'inizio degli anni '80 hanno coinvolto paesi come Cile, Brasile e più recentemente Argentina. Anche nelle situazioni di crisi più grave, queste esperienze non si sono limitate a rappresentare uno strumento di lotta contro la povertà, ma hanno inaugurato percorsi che esplorano forme alternative e solidali di economia. A dimostrazione che - per dirla con le parole di Mance - «nel momento in cui la solidarietà fa il suo ingresso nella teoria e nella pratica dell'economia, succedono cose sorprendenti e nasce una nuova razionalità economica, efficiente e capace di contribuire al superamento dei grandi problemi che affliggono l'uomo e la società contemporanea». Ad esempio stabilimenti autogestiti da lavoratori licenziati dai precedenti datori di lavoro. In Brasile esiste un'associazione nazionale dei lavoratori delle imprese in autogestione, e i lavoratori impegnati sono circa 23 mila, con un fatturato annuo di 300 milioni di reales (circa 90 milioni di euro). Vi sono poi le cooperative che gestiscono attività di microcredito per finanziare il funzionamento di piccole iniziative imprenditoriali. O i circuiti locali di baratto (simili, per certi versi, alle nostre banche del tempo), dove lo scambio di prodotti e servizi viene regolato per mezzo di una "moneta sociale". Questa è dotata della peculiare caratteristica della scadenza: dopo una certa data impressa sulle banconote stesse, la moneta non ha più valore. Questo fa sì che nessuno pensi ad accumulare denaro, e che invece lo si usi per acquistare beni o servizi dagli altri membri della comunità, che a loro volta compreranno beni e servizi prodotti da altri, e così via. In questo modo si innesca un circolo virtuoso in grado di dare impulso e sviluppo all'economia locale (la moneta sociale stimola gli acquisti, la produzione, gli scambi e quindi il miglioramento delle condizioni di vita di tutti nella comunità). L'aspetto interessante è che di questi circuiti fanno parte anche alcune multinazionali, conferendo ai circuiti stessi una portata che a volte travalica i confini nazionali. Ricordiamo infine le aziende che attuano esperienze di economia di comunione (come in Italia), cooperative per il commercio equo, gruppi di consumo critico, comunità di sviluppatori di software libero, ecc. In Brasile sono stati recentemente istituiti enti che, in base alla verifica di particolari requisiti, conferiscono la certificazione alle imprese che intendono aderire ai circuiti di economia solidale. Il caso Italia Iniziative e dibattiti in corso fanno ben sperare per la costituzione, nei prossimi mesi, di distretti di economia solidale in alcune regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Marche, Toscana). Non mancano però le critiche: la strategia di collaborazione di cui parla Mance è molto difficile da praticare in Italia, visto che da noi risulta pressoché assente il collante della povertà, mentre le varie realtà italiane (differenti per storia, vocazione, dimensione) tendono ai muoversi su posizioni "egoistiche" che rendono problematico qualunque approccio di tipo collaborativo. Infine, risulta penalizzante la difficoltà di dialogare con istituzioni ed enti locali, imprescindibili per realizzare con successo qualunque progetto che coinvolga le comunità locali. Rimane quindi aperto l'interrogativo se l'economia solidale possa rappresentare davvero un'alternativa all'economia capitalistica globalizzata. Non è facile comprendere questa sfida che è sì teorica, ma soprattutto sociale e politica. Una prospettiva che può apparire ingenua e utopica, specialmente agli occhi di noi europei. Ma non può essere ignorata. Perché non si sta parlando di un sogno, di un progetto in cantiere, ma di qualcosa che esiste e già funziona: nei distretti di economia solidale sono coinvolte imprese, piccole e grandi, regolarmente registrate, con regolari bilanci, che pagano imposte, che elaborano piani di fattibilità e di sviluppo. E chissà che i costituendi distretti italiani superino l'imbarazzo della propria "diversità".