I due principino con la stella in fronte

Ariete
I due principini con la stella in fronte
C’era una volta un giovane imperatore che dominava un vasto regno. Un giorno, andando a
caccia insieme ai suoi amici e cortigiani, incontrò sul limitare del bosco tre sorelle, una più bella
dell’altra.
«Se costui mi prendesse in sposa» disse la maggiore «io gli farei un pane che, mangiandolo, egli si
sentirebbe eternamente giovane e forte, più forte di tutti i forti del mondo.»
«Se scegliesse me» disse la mediana «io gli filerei una camicia, tessuta e cucita e in modo tale che,
indossandola, potrebbe battersi con i draghi più feroci, entrare in acqua senza bagnarsi,
attraversare il fuoco senza bruciarsi.
«E io» dichiarò Latticella, la più giovane e più bella «gli farei dono di due gemelli, due principini
coi capelli d’oro e una stella in fronte.»
Udite queste parole, l’imperatore disse solennemente: «Siano le tue parole santa verità, e tu sarai
mia sposa!» e sollevò in sella accanto a sé la giovane Latticella.
«E tua mia, sarai!» disse il primo dei cavalieri del seguito imperiale, rivolto alla mediana, imitando
il gesto del suo sovrano.
«E tu mia!» disse il secondo dei cavalieri alla sorella maggiore.
Il giorno seguente ebbero luogo le nozze e per tre giorni e tre notti si festeggiò.
Trascorsi altri tre giorni e tre notte, si diffuse la notizia che la sorella maggiore aveva fatto il suo
meraviglioso pane: aveva raccolto i chicchi, li aveva macinati e dopo aver setacciato la farina
aveva impastato e cotto il pane così come aveva promesso nel bosco.
Dopo altri tre giorni e tre notti, si diffuse la notizia che la sorella mediana aveva tessuto la sua
famosa camicia. Aveva raccolto il lino, lo aveva pestato, filato e tessuto la tela, cucendo poi la
camicia su misura per il proprio sposo, come aveva promesso nel bosco.
Il settimo mese dopo le nozze, l’imperatore riunì i suoi cortigiani per annunciare che da quel
momento non si sarebbe più allontanato da corte per restare accanto alla sua sposa. Stava dunque
per accadere quanto Latticella aveva preannunciato nel bosco.
L’imperatore aveva una matrigna e costei una figliola da marito nata dal suo primo matrimonio.
Poiché, secondo i suoi piani, era sua figlia che avrebbe dovuto diventare imperatrice, vedendo
che la promessa di Latticella stava per compiersi, ordì un piano: doveva far credere all’imperatore
che Latticello aveva mentito.
Poiché l’imperatore vegliava giorno e notte il capezzale della sposa, la matrigna scrisse a suo
fratello, re di un regno vicino, ordinandogli di dichiarar guerra all’imperatore.
L’imperatore andò su tutte le furie, ma partì per la guerra. Proprio mentre era assente Latticella
diede alla luce due gemelli dai capelli d’oro e una stella in fronte, come aveva promesso.
Ma la matrigna sostituì subito i due gemelli con due cagnolini e seppellì i due gemelli all’angolo
del palazzo, proprio sotto le finestre del padre.
Poco dopo l’imperatore fu di ritorno e appena vide i due cagnolini, sebbene a malincuore, non
poté che punire quella che credeva una bugiarda. La fece seppellire nella terra fino al petto,
perché tutti sapessero cosa significa ingannare un imperatore!
Trascorso un po’ di tempo, il sogno della matrigna si realizzò: il principe sposò sua figlia e di
nuovo in tutto il regno si festeggiò per tre giorni e tre notti.
Ma i due principini non trovavano requie sotto terra. Nel punto in cui erano stati sepolti,
spuntarono due bellissimi platani, che crescevano come nessun platano era mai cresciuto: in un
giorno per un anno, in una notte per un altro anno, e allo spuntar dell’alba per tre anni in un
attimo. Dopo tre giorni e tre notti i due platani erano alti e superbi e levavano le loro fronde fino
alle finestre dell’imperatore. L’imperatore amava ascoltare per intere giornate il mormorio fra le
loro foglie.
Ma la matrigna sapeva bene di cosa si trattava e istruì per bene sua figlia: l’imperatore infine si
fece convincere a estirpare i platani, a patto che ne facessero due letti, uno per lui e uno per lei.
Quando l’imperatore si coricò nel nuovo letto, riposò come mai in tutta la sua vita.
L’imperatrice invece aveva l’impressione di giacere su un mucchio di rovi.
Non appena l’imperatore si fu addormentato, i letti cominciarono a scricchiolare e tra questi
scricchiolii l’imperatrice sentì giungere all’orecchio parole che solo lei poteva comprendere.
«Stai male fratellino?» chiese uno dei letti.
«Niente affatto!» rispose l’altro, quello su cui dormiva l’imperatore. «Anzi, sto benone, poiché su
di me riposa il nostro amato padre.
«Io sto male» disse l’altro «poiché su di me giace un cuore malvagio.»
Appena si fece giorno l’imperatrice ordinò che si costruissero due letti uguali a quelli e quando
l’imperatore uscì per andare a caccia, li sostituì; i letti di platano furono gettati nel fuoco.
Ma nel momento in cui le fiamme raggiungevano la massima altezza, due piccole scintille si
levarono in alto per andare a posarsi là dove erano cresciuti i due platani, e si trasformarono
all’istante in due bellissimi agnellini dalla lana soffice e brillante.
Quando l’imperatore li vide pascolare sotto le sue finestre, se ne invaghì; voleva sempre averli
attorno. L’imperatrice fu nuovamente colta da cattivi pensieri e diede ordine di farli macellare.
Ma sul fondo del mastello in cui era stata lavata la carne si erano annidati due pezzetti di cervella
e quando un servitore andò ad attingere acqua con quel mastello, i due pezzettini si staccarono e
galleggiando sull’acqua del ruscello furono trascinati nel grande canale che passava per la tenuta
reale. Giunti colà si trasformarono in due pesciolini dalle squame d’oro.
Un bel mattino un pescatore tirando la rete vide due pesciolini dalle squame d’oro e decise di
portare i due pesci in dono all’imperatore.
«Non portarci là, che là avemmo origine e là troveremmo la nostra fine!» pregarono i due
pesciolini. «Raccogli la rugiada delle foglie, lasciaci nuotare in essa, distendici al sole e non venirci
a toccare finché i raggi solare non avranno assorbito completamente la rugiada che ci ricopre.»
Così fece il pescatore. E quando tornò, al posto dei pesciolini, trovò due bellissimi gemelli coi
capelli d’oro e una stella in fronte.
I fanciulli crebbero rapidamente, ogni giorno per un anno, ogni notte per un altro anno, e allo
spuntar dell’alba, quando le stelle si spegnevano in cielo, crescevano per tre anni in un attimo.
Trascorsi tre giorni e tre notti, avevano già raggiunto l’aspetto di i fanciulli di 12 anni, ma
avevano la forza di un uomo di 24 e l’intelletto di 36.
A quel punto decisero di andare a palazzo dal loro genitore e il pescatore confezionò per ognuno
un berretto d’agnello, col quale si coprirono il capo per non lasciar vedere i capelli d’oro e la
stella sulla fronte.
A palazzo non volevano farli entrare, ma essi riuscirono a sgusciare tra le guardie e si diressero
alla sala da pranzo dove l’imperatore stava mangiando. Le guardie cercarono di impedire loro di
entrare e scoppiò una baruffa il cui baccano risuonò in tutto il palazzo.
«Che succede là fuori?» Domandò l’imperatore.
«Due ragazzi vogliono entrare con la forza!»
«Chi può osare entrare con la forza alla mia corte? Buttateli fuori!» Gridò.
«No, voglio sentire la loro storia», disse invece l’imperatrice.
E così i due ragazzi furono fatti entrare.
«Toglietevi i berretti!» Esclamò sdegnato un cortigiano.
«La copertura del capo è l’onore dell’uomo! Noi abbiamo l’ordine di essere come siamo.»
«E sia!» disse l’imperatore raddolcito dal suono di quelle parole. «Ma chi siete? Da dove venite?»
«Siamo due gemelli, due germogli dello stesso seme spezzato in due, metà nella terra e metà a
capotavola. Veniamo da dove partimmo e giungiamo là da dove provenimmo. Arduo fu il nostro
cammino. Parlammo col linguaggio del vento e con quello degli animali, cantammo con le onde
e ora con linguaggio umano vogliamo dirti un canto che tu conosci senza saperlo!»
E così i gemelli presero a narrare cantando la storia della loro vita.
«C’era una volta un imperatore…» cominciarono.
Alla fine del canto i ragazzi si tolsero i cappelli mostrando i capelli d’oro e la stella in fronte,
tanto che tutti i presenti dovettero coprirsi gli occhi per paura di perdere la vista di fronte a tanta
luce improvvisa. Fu chiaro a tutti che Latticella era stata vittima di un inganno e poté
immediatamente riprendere il suo legittimo posto accanto all’imperatore e ai figli.
La figlia della matrigna divenne l’ultima serva alla corte e alla matrigna fu fatto fare per sette
volte il giro dell’impero affinché la gente non dimenticasse mai più che chi fa del male, male
riceverà.
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I temi di questa fiaba dell’area slava, riportata dallo scrittore rumeno Ioan Slavici (1848-1925), si
possono ritrovare con notevoli varianti in altri racconti, tra cui la fiaba di Zar Saltano di Puskin,
I figli d’oro e I tre uccellini dei fratelli Grimm,
Perché è la fiaba dell’Ariete
Ho tradotto nel linguaggio astrologico la stella che splende in fronte ai due principi come il Sole
che governa il segno dell’Ariete. L’Ariete è infatti la sede della sua esaltazione: qui il Sole si trova
a suo agio, tanto quanto può esserlo un ospite di riguardo da trattare ancora meglio dei signori di
casa: Marte e Plutone, che nell’Ariete hanno il loro domicilio.
La stella e i capelli d’oro (un altro attributo solare) sono dunque il marchio che contraddistingue
i due protagonisti, ed è posta in fronte, la parte anatomica collegata all’Ariete.
La fiaba inizia con l’incontro tra il maschile (il giovane e gagliardo imperatore, nel pieno delle
sue forze, è una perfetta rappresentazione di Marte, e infatti dovrà partire per la guerra) e il
femminile: le tre sorelle, una più bella dell’altra. Le tre ragazze esibiscono doti tipicamente
femminili, la cucina, la filatura e la capacità riproduttiva, ma tutte ammantate di qualcosa di
favoloso: garantiscono un primato (la forza, l’invincibilità e una prole straordinaria); tra queste
l’imperatore-Marte sceglie la qualità senz’altro più attraente per un giovane nel pieno della sua
energia sessuale: la possibilità di riprodursi generando due pargoli la cui regalità è sottolineata dai
capelli d’oro e dalla stella in capo.
Tale riproduzione, che sottintende i piaceri del talamo nuziale, ci segnala la funzione di Venere,
rappresentata dalle sorelle, e in particolare da Latticella, ovvero la funzione della bellezza, del
piacere e dell’amore da suggellare in un patto nuziale. Dalla parte opposta dello Zodiaco rispetto
all’Ariete, segno prettamente maschile (governato dagli archetipi virili di Marte, Plutone, Sole), si
pone infatti la Bilancia: un segno tutto al femminile secondo la dialettica morpurghiana, con
Venere, X e Saturno (che in tale segno assume la funzione di Atena, ovvero una razionalità
pacata ma capace di scartare il superfluo in modo implacabile).
Quando viene attraversato dal Sole, il punto vernale sull’eclittica a 0 gradi del segno dell’Ariete
segnala l’arrivo della primavera: è il primo segno dello Zodiaco. Spesso i rappresentanti del segno
vogliono essere i primi, eccellere in qualcosa. Così vediamo l’imperatore della fiaba, il “primo
inter pares” tra i suoi cavalieri, aggiudicarsi il dono offertogli dalla bella Latticella, il migliore (a
suo parere) tra i primati garantiti dalle tre sorelle.
Questo primato, ci insegna Lisa Morpurgo, è il primato dell’ego, che ha bisogno (forse per una
sua intrinseca insicurezza) di affermarsi. Ciò che più minaccia l’ego è l’altro, rappresentato
proprio dall’opposto segno della Bilancia, che rappresenta il matrimonio.
I due segni dell’asse Ariete-Bilancia ci introducono nel confronto tra l’io e gli altri. L’altro per
eccellenza è il proprio sposo o la propria sposa: i contratti in genere (simboleggiati dalla Bilancia),
ma soprattutto quello matrimoniale, esemplificano la necessità di venire a patti con gli altri,
limitando le pretese dell’io.
Tale conflitto primordiale tra l’io e gli altri è dunque anche un conflitto tra sessualità maschile e
sessualità femminile. Un conflitto vissuto qui soprattutto in ambito “sociale”. Di solito è la
donna che tiene maggiormente al matrimonio, come status sociale (ricordiamoci che un tempo
era la sola fonte di sicurezza garantita a una donna); l’uomo giovane e intraprendente, invece,
non vorrebbe vedere limitato da nessun altro essere il proprio diritto a fare ciò che vuole e
quando lo vuole. Ma la necessità di accoppiarsi lo spinge a venire a venire a compromessi con il
proprio io e ad “aggiogare” la propria volontà a quella di un altro essere, l’essere che meno è in
grado di capire: la donna. L’imperatore infatti, quando si crede ingannato dalla sposa, non mette
in dubbio i fatti per quello che appaiono: è accecato dalla propria arroganza (un’altra
caratteristica comune agli Ariete) e gli sarà necessaria la luce abbagliante della stella dei figli per
riuscire a vedere le cose come stanno veramente.
L’imperatore si aspetta che la sposa-Venere compia il suo dovere riproduttivo. Ecco però che nel
momento clou le manovre di palazzo, in cui possiamo riconoscere l’azione di Plutone, mettono i
bastoni fra le ruote ai due sposi.
Che l’imperatore scambi un’innocente per un’ingannatrice e si faccia invece manipolare dalle
persone che meno sospetta, riflette un’altra caratteristica arietina: i rappresentanti del segno sono
sospettosi, sempre per via di quel conflitto tra l’io e gli altri, ma non solo: anche a causa della
caduta di Saturno-razionalità e della mancanza di pianeti legati specificamente alle percezioni o
all’intelletto (Mercurio, Luna, Urano) nel loro segno: gli Arieti sono tutta azione e istinto vitale.
Questo li porta a diffidare degli altri, a volte a sproposito, e a non vedere il tranello là dove
invece c’è davvero.
Latticella viene sepolta fino al petto e i gemelli vengono seppelliti in giardino. Anche qui
possiamo vedere l’influenza di Plutone, signore di tutto ciò che è “infero”, sotterraneo, oscuro
come la terra. Proprio nella terra il seme (altro simbolo plutonico) può trasformarsi e
germogliare.
E così succede ai due fanciulli: oscurata per un momento la luce del Sole, nella terra si
trasformano e rinascono come due alberi. Questa, come le prossime trasformazioni, indica
l’influenza plutonica che dona la capacità di riscattarsi anche nella peggiore delle situazioni e di
rigenerarsi.
Questa rigenerazione testarda e indomita, che richiama alla memoria il “Sole invitto” che mai
sarà sconfitto dall’inverno, esplode ogni anno con la primavera, la stagione dell’Ariete.
Anche le forme che assumono i due principini (i platani e gli agnelli) ci riportano alla mente
immagini primaverili; gli agnelli poi sono l’animale totem del segno! E sempre di pelo di agnello
saranno i berretti con cui i fanciulli si copriranno i capelli d’oro e la stella. Sembra proprio che
l’estensore di questa fiaba, così come i primordiali narratori che la composero, stesse
inconsciamente collegandosi ai simboli solari dell’Ariete.
I pesciolini, invece, l’ultima “reincarnazione” subita dai fanciulli prima di ritrovare le sembianze
umane, potrebbero essere un accenno al segno precedente l’Ariete nel cerchio zodiacale, i Pesci,
come a ricordarci il collegamento tra un segno e l’altro. I Pesci sono il sacrificio simbolico
accettato dai due fanciulli per divenire, e poter infine essere se stessi. Pesci e Ariete (agnelli,
montoni) sono legati all’idea del sacrificio, ed entrambi sono simboli religiosi: l’agnello sacrificale
e i pesci del Cristianesimo primitivo.
L’Ariete è spesso inconsapevole di sé: si lascia agire dalla sua debordante energia senza fermarsi a
riflettere per capire chi è, pur presumendo di saperlo fin troppo bene. Ecco dunque che la serie di
trasformazioni che avvengono nella fiaba indica che per divenire veramente Noi Stessi dobbiamo
avere l’umiltà di morire, almeno un po’; “perdere”, per poter vincere il nostro vero Io. Bisogna
avere il coraggio di attraversare le proprie tenebre (la terra in cui sono stati sepolti i gemelli) e
immergersi nel torrente della vita sperimentando l’indiffenziato rappresentato dall’acqua e dai
pesci, per poter trovare l’unicità rappresentata dall’Ariete.
Il fatto che in ogni loro esistenza i fanciulli crescano «ogni giorno per un anno, ogni notte per un
altro anno, e allo spuntar dell’alba, quando le stelle si spegnevano in cielo, per tre anni in un
attimo» indica un’altra caratteristica dell’Ariete: l’impazienza, la fretta, che in questo caso
specifico non è affatto una cattiva consigliera.
L’alba, il momento di massima crescita dei due fanciulli, è difatti il momento in cui la forza yangsolare è più esplosiva e in crescita, sebbene non ancora pienamente sviluppata, come non sono
ancora pienamente sviluppati i gemelli, che comunque in pochi giorni raggiungono l’età
apparente di 12 anni, la forza fisica di un uomo di 24 e l’età mentale di uno di 24.
Come usare questa fiaba
Questa fiaba insegna all’Ariete a usare la parte più negletta di sé: quella plutonica, presente nelle
caratteristiche del segno soprattutto come energia esplosiva e pulsione primordiale. Sembra
invece sconosciuta al segno la caratteristica plutonica relativa a intrighi e manipolazioni, e
proprio questa inconsapevolezza rende spesso i nativi vittime dei venditori di fumo.
Nell’Ariete prevale la dote solare legata alla luce, intesa come lealtà, genuinità e come “Verità” (e
infatti i nativi hanno pochi dubbi). Ma le pulsioni sotterranee, se non riconosciute in noi stessi
causano danni e ci espongono a essere manipolati e ingannati dagli altri, che si fanno beffe delle
nostre apparenti certezze, che potrebbero rivelarsi delle menzogne.
Nella fiaba alla fine la Verità trionfa, ma quante peripezie hanno dovuto subire i protagonisti per
farla risplendere! Leggere questa fiaba a voce alta ai vostri bimbi (o farvela leggere dal vostro
partner, in una piacevole regressione infantile) e farne motivo di meditazione vi aiuterà a far
risplendere la vostra verità interiore, a focalizzare i vostri obiettivi e a non spaventarvi dei
sacrifici e delle trasformazioni necessarie per raggiungerli.
È inoltre un insegnamento a non temere la morte: nonostante l’Ariete ospiti Plutone, signore
delle tenebre e degli inferi, è un segno legato soprattutto alla vitalità, alla nascita, all’inizio delle
cose e rifiuta l’idea della fine. L’energia dell’Ariete è quella dei giovani, debordanti di forza,
convinti di poter vivere per sempre. Ma da questo surplus di energia nasce l’attaccamento
testardo alle cose, l’illusione che così sarà per sempre (L’Ariete ospita l’esaltazione per
trasparenza di Y, il signore del tempo). L’ombra di Plutone insegna invece che ogni nascita è
preceduta da una morte: qualcosa deve lasciare posto a qualcos’altro, deve trasformarsi per poter
vivere ancora più pienamente.
© 2009 Monica Amarillis Rossi, tutti i diritti riservati