RADICATI E FONDATI NELLA CARITA’
per essere sale e lievito
nel mondo di oggi
Relazione di Sembrano
ripresa dal registratore
( 2^ parte)
Il 22 gennaio scorso abbiamo trattato l’inizio e la fine di questo tema, dando forma al contenitore –
il mondo – nel quale vivere oggi con il nostro specifico contributo, la nostra vocazione di “sale,
luce, lievito”.
Come provocazione iniziale ascoltiamo l’inno col quale Paolo apre la lettera agli Efesini (1,3- 23),
comunità a cui è molto legato perché l’ha strappata al paganesimo e condotta a Cristo:
<<Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d'amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati - secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Anch'io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete
verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere,
affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di
sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro
cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria
racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza
verso di noi, che crediamo, secondo l'efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
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e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose>>.
Le parole di Paolo sono una preghiera e, al tempo stesso, un trattato di ecclesiologia. Essere nella
Chiesa vuol dire fare la scoperta di partecipare al dono della dignità filiale: figli come il Figlio. Non
c’è differenza tra il Padre di Gesù che il Figlio chiama: “Abbà-Padre” e il Dio che noi chiamiamo:
“Padre nostro”. Cristo ci apre le porte della dignità di figli e ci permette di chiamare Dio col nome di
“papà”.
un solo corpo
Entrare nella Chiesa significa riconoscere che, essendo figli, abbiamo un unico Padre e quindi
siamo tutti fratelli. Questa realtà abbatte tutte le barriere possibili e immaginabili! Siamo una sola
cosa perché membra del Corpo di cui Lui è il Capo (“Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi”);
ne consegue che se c’è armonia tra le membra tutto funziona, ma se c’è distonia nascono i
problemi che ben conosciamo.
tralci uniti alla vite
Gesù rende evidente la medesima realtà con immagini a noi più comprensibili. In continuità con il
Primo Testamento, Egli si presenta come “vera vite” e invita noi “tralci” a rimanere uniti a Lui per
poter dare frutto;a lasciarci potare per dare “più frutto”. (Gv 15, 1- 11). Il nostro pensiero va ad
Osea, il profeta che presenta il disegno di Dio per il suo popolo con l’immagine di una vite
rigogliosa. <<Vite rigogliosa era Israele,
che dava sempre il suo frutto;
ma più abbondante era il suo frutto,
più moltiplicava gli altari;
più ricca era la terra,
più belle faceva le sue stele.
Il loro cuore è falso;
orbene, sconteranno la pena!
Egli stesso demolirà i loro altari,
distruggerà le loro stele.
Allora diranno: "Non abbiamo più re,
perché non rispettiamo il Signore.
Ma anche il re, che cosa potrebbe fare per noi?>> (10, 1 – 3).
C’è però una contrapposizione, una discontinuità tra l’allegoria presentata da Gesù e l’immagine di
cui parla Osea. Gesù illustra la sua profonda e vitale unità con i discepoli e con la Chiesa, mentre
Osea mostra come Israele è la vite che si dà all’idolatria. Anche Isaia descrive la parabola della
vigna dalla quale Dio si aspettava abbondanti frutti perché aveva fatto tutto quello che un buon
agricoltore poteva fare, e invece essa dà frutti selvatici. (Is 5, 1 – 7).
Gesù taglia corto col passato e fa una “cosa nuova” (Is 43,19; Ger 31,32). Nel Vangelo di Giovanni
c’è un fossato tra il Primo e il Nuovo Testamento. Gesù sottolinea che è lui la vite vera, in tal modo
respinge i testi tardivi del vicino oriente – Qumran, Esseni… - che parlavano di messaggeri celesti
e di esseri provenienti dal mondo della luce che si definivano “la vite”. Il nuovo Israele abbandona
gli idoli, non dà più uva selvatica, accetta le potature per portare molto frutto e si sforza di
corrispondere alla volontà di Dio.
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la nostra relazione con Lui
Il successo della nostra carità dipende dal nostro essere innestati in questa vite. Conoscendo le
nostre fragilità e debolezze, la nostra durezza di cuore a convertirci, cosa possiamo fare per poter
essere veramente innestati in Lui in modo che la vera vita possa attecchire in noi?
seme che fruttifica
Per fruttificare è importante il terreno-Chiesa. Essere radicati nella carità vuol dire essere membra
della Chiesa, Corpo di Cristo; riconoscere Lui come Capo. Gesù ha parlato anche del seme della
Parola che porta frutto a seconda del terreno che lo accoglie: se cade tra sassi e spine o lungo la
strada non può giungere a maturazione
pastore e porta delle pecore
Gesù è il pastore, il Buon Pastore che dona la vita per salvare le sue pecore (Gv 10, 1 – 21),
facciamo parte del suo gregge, immagine per dire che siamo suo popolo; Gesù è anche la porta
delle pecore, (ivi), la porta della casa del cosmo ( E’ BENE SPIEGARE QUESTA
AFFERMAZIONE), porta spalancata, per trovare salvezza è necessario passare attraverso di lui
che è la porta della carità.
forza di attrazione
Da soli non possiamo fare nulla: <<senza di me non potete far nulla>> (Gv 15,5); abbiamo bisogno
che dalla vite arrivi la linfa, in modo che il tralcio possa vivere e portare frutto. Gesù annuncia:
<<nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno>> (Gv 6,44). Il Padre è l’agricoltore che attrae a Gesù; è Lui che unisce a Gesù.
Il potere di attrazione - che sant’Agostino chiama “la grazia” – suscita nel cuore il desiderio, il
piacere, la forza: è il mistero dell’amore. Non bastano i buoni propositi, se non si muove il cuore!
scenario incoraggiante
Gesù, consapevole delle difficoltà, nel suo “testamento” prega per i suoi: <<Tu hai dato al Figlio
potere su ogni essere umano perché egli dia la vita eterna (=definitiva, senza fine) a tutti coloro
che gli hai dato>> (Gv 17,2). Uno scenario per noi molto incoraggiante, se ci lasciamo trasportare
nel dinamismo d’amore del Padre e del Figlio.
autorità = servizio
Nei Vangeli troviamo solo un abbozzo di vita comunitaria perché l’organizzazione gerarchica inizia
a partire dal 2° secolo. Nella Chiesa, istituzione divino-apostolica, Gesù è l’unica autorità; tutte le
altre autorità scompaiono perché l’autorità della Chiesa è servizio; quando non è così si ha la
caricatura delle istituzioni umane.
conforto e incoraggiamento
Nel libro degli Atti e in quello dell’Apocalisse il termine “ecclesìa” si riferisce non a una grande
Chiesa, ma alle singole, concrete comunità che si radunano in un luogo particolare: le chiese
locali.
Molto belle le lettere alle sette chiese (Ap 2 – 3). e la visione dei sette angeli che tengono in mano
le sette lampade (Ap 1, 12 – 20). Sono immagini che rendono comprensibile il messaggio:
<<Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro e,
in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al
petto con una fascia d'oro. I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I
suoi occhi erano come fiamma di fuoco. I piedi avevano l'aspetto del bronzo splendente, purificato
nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque. Teneva nella sua destra sette
stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole
quando splende in tutta la sua forza. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto>>.
Il povero veggente non capisce nulla, ma l’angelo che lo accompagna lo tranquillizza e rassicura:
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<<Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: "Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, e il
Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque
le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito>>.
L’angelo gli spiega il senso delle cose che ha visto:
<<Il senso nascosto delle sette stelle, che hai visto nella mia destra, e dei sette candelabri d'oro è
questo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette
Chiese>>. (Ap 1, 12-20)
L’Apocalisse inizia con la visione di sette lettere inviate da Gesù a sette comunità – noi le
chiameremmo diocesi – che vivono, con maggiore o minore fedeltà, situazioni di persecuzione. Per
tutte c’è un messaggio di conforto, un incoraggiamento di fronte alle tentazioni, un invito al
ravvedimento come via al radicamento nella carità. Ogni lettera non è indirizzata “alla chiesa di…”,
ma “all’angelo della chiesa di…”, vale dire: al vescovo di quella chiesa. Siamo all’inizio del 2°
secolo e vi sono già elementi di ecclesiologia, di una chiesa resa visibile, incarnata nel mondo,
dentro la storia di quel tempo.
alzare lo sguardo
Per ciascuna comunità c’è un invito a non guardare tanto alle proprie debolezze e fragilità, quanto
piuttosto ad alzare lo sguardo a <<Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in
mezzo ai sette candelabri d'oro>> ( Ap 2, 1). Allora si abbandonano ansie ed angosce e torna la
pace del cuore.
Guardiamo all’esempio di Papa Giovanni XXIII, che dopo una giornata di riunioni e preoccupazioni,
non riusciva a dormire; poi pensò: “perché mi preoccupo? La Chiesa è tua, Signore!” Con questa
certezza, si addormentò tranquillo.
Nonostante la buona volontà e l’impegno, spesso soffriamo perché i problemi si ingrandiscono e ci
sembra che non ci siano soluzioni; oppure noi abbiamo chiara la soluzione, ma i nostri progetti non
vengono accettati. Ascoltiamo, con speranza e fiducia, cosa dice lo Spirito alla chiesa, ad ogni
comunità.
ascoltare
<<Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese>>. Questo versetto si ripete per sette
volte (Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13. 22) perché per ogni chiesa c’è un messaggio rivolto a tutte le
chiese; infatti il numero sette dice la pienezza e la totalità.
All’inizio del libro dell’Apocalisse Gesù appare simile a un Figlio d’uomo in vesti sacerdotali e regali
(1, 13-15) ed è lo Spirito che parla; al termine dello stesso libro parla invece Gesù: <<Io, Gesù, ho
mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice e
la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino>> (Ap 22,16).
la nostra missione
Prendiamo consapevolezza del grande orizzonte nel quale si deve svolgere la nostra missione –
soprattutto la vostra missione – anche se non sempre vi trovate in situazioni ideali , il vostro cuore
sa che c’è una circolarità di bene e che un semplice, piccolo battito d’ali di farfalla provoca
nell’universo effetti incredibili.
il ministero ecclesiale
Nella lettera di Giacomo, che riflette la prassi della comunità locale, troviamo un accenno di
radicamento nella chiesa e relazione tra membra e capo nella preghiera e unzione dei malati:
<<Chi è malato, chiami presso di sé i presbìteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo
con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo
solleverà >> (Gc 5, 14-15).
C’è qui un certo riconoscimento del ministero ecclesiale nella comunità. Osservate che è il malato
che chiama i presbiteri, gli anziani presso di lui. Rendere efficace la preghiera per l’infermo, era di
uso comune presso gli Ebrei e raccomandata dai rabbini; siamo perciò debitori al giudaismo di
questa ecclesiologia.
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una chiesa radunata, convocata
Nella lettera agli Ebrei troviamo una citazione che ci consegna la comunità radunata – convocata per la lode:
<<Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine;
per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo:
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
in mezzo all'assemblea (ecclesìa) canterò le tue lodi>> (cfr Sal 22,23) - (Ebr 2,12)
Gesù è il primogenito
Un universo simbolico che si allarga sempre più, con richiami teologici che vanno dal libro della
Genesi a quello dell’Apocalisse, con al centro il sacrificio di Cristo:
<<Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e
a migliaia di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea (ecclesìa) dei primogeniti i cui nomi sono
scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore
dell'alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele>>(Ebr 12, 22 –
24). L’ assemblea dei primogeniti è formata da tutti i credenti, eletti da Dio e membri della nuova
alleanza, di cui è mediatore Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
.
Cerchiamo di cogliere almeno qualcuna delle numerose immagini; molte ci vengono dalla
tradizione ebraica: il monte Sion, la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste…Tutte attese
tenute vive dai profeti.
La terminologia è quella dei sacrifici del culto in Gerusalemme; un richiamo all’esperienza liturgica,
si fa parte della chiesa perché si entra in relazione con Gesù, il mediatore della nuova alleanza, il
primogenito, il modello. La prima alleanza non esiste più, è stata sostituita da una nuova, definitiva.
E’ il tempo della presenza di Dio! La Chiesa non è istituzione umana, ma è il frutto di un disegno
del Padre. Il sangue asperso è quello della Croce; passiamo dalla dimensione spaziale all’evento
escatologico del mistero pasquale. La dinamica che noi viviamo nella chiesa locale porta a vivere
la dimensione escatologica della Pasqua di Cristo.
comunità di discepoli
Nel giudaismo rabbinico per indicare il discepolo veniva usato il termine madetés, parola che
creava una relazione quasi genitoriale con il “maestro”; parola che però non troviamo nella
versione dei Settanta. In tale traduzione il vocabolo è sempre usato al plurale: “i discepoli”, perché
la comunità cristiana è comunità di discepoli.
A conferma di questo evidenziamo che nei Vangeli il termine “discepoli” è citato 168 volte in
Matteo, 44 in Marco e 58 in Giovanni. Luca, che si distingue per finezze linguistiche, usa il termine
“discepoli” 24 volte nel Vangelo, ma solo fino alla scena del Getsemani (22,40); poi il discepolato
scompare e compare negli Atti dove è citato 24 volte a partire dal 6° capitolo.
Probabilmente Luca vuole farci capire che l’esperienza dei discepoli si realizza intorno a Gesù
quando raduna i discepoli attorno a sé; nel Vangelo durante la sua vita terrena; negli Atti quando Risorto - si manifesta, esaltato attraverso lo Spirito, e di nuovo raduna i discepoli attorno a sé.
Tra la passione di Gesù e la comunità post-pasquale c’è una rottura – i discepoli fuggirono tutti e, se Gesù non li avesse ripresi e riportati, l’esperienza della Chiesa non sarebbe mai iniziata.
i santi, gli eletti
Un termine che forse nasce proprio nella comunità di Gerusalemme è: “ i santi; gli eletti”, vale a
dire: quelli che sono stati santificati da Dio. Lo troviamo 5 volte negli Atti (3,21; 9, 13.32.41;26,10)
e molte volte in Paolo (Rm 1,7; 8,27; 11,16; 12,13;15,25.26.31; 16,15. 1Cor 1,2;6,1.2;
7,14;14,34;16,1. Col 1, 2.4.12.22.26; 3,12 ecc).
Nella prima lettera di Pietro gli eletti sono dispersi:<< Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli che
vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell'Asia e nella
Bitinia>>; << (1Pt 1,1); sono i santi della diaspora, fedeli a Dio. In questa lettera, con un richiamo
all’esperienza dell’esodo, Pietro sottolinea che la comunità cristiana è il compimento delle
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promesse fatte da Dio ad Israele. Infatti parla di <<stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa,
popolo che Dio si è acquistato…>> (1Pt 2,9).
Ci sono ebrei che leggendo il Nuovo Testamento riconoscono il Cristo ma non si lasciano
incorporare nella Chiesa con il Battesimo per colpa dell’agire troppo materiale della stessa Chiesa.
E’ vero che gli ultimi Papi hanno fatto ogni sforzo per rendere la Chiesa più vicina al Vangelo, ma
millenni di storia hanno creato un apparato secolare massiccio; per cancellare i pregiudizi occorre
un dialogo ecumenico orientato a reciproca fiducia. Noi stessi, quando abbiamo l’opportunità di
parlare della Chiesa facciamo vedere lo Spirito che agisce. E’ vero che al timone c’è Pietro e tutti
quelli che danno una mano, ma se non ci fosse il vento che soffia nelle vele la chiesa non potrebbe
mai andare avanti. Dobbiamo dire questo, così si ridimensiona il ruolo umano, la visibilità.
come pietre vive
Pietro ricorda le parole scritte nel Primo Testamento per esprimere la coscienza che Israele aveva
di essere un popolo portatore del disegno di Dio. Molto bello il paragone delle “pietre vive” che
vivono della vita ricevuta dal Cristo: “<<Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma
scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale,
per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo>>. (1 Pt
1, 4 – 5). Siamo pietre viventi, che vivono della vita ricevuta da Lui; siamo chiesa, casa spirituale,
non materiale, formata di pietre unite dal cemento della solidarietà e dell’amore. Nonostante ogni
debolezza umana, attraverso tutte le situazioni e tutte le prove, cresciamo in Lui e costruiamo
l’edificio-chiesa che avrà la forma dell'amore..
fratelli
Questa espressione la troviamo soprattutto in Paolo, 73 volte come vocativo per esprimere la
chiamata, il richiamo, l’invocazione; e altre 23 volte in altri casi. Paolo era tutto tranne che clericale
(a quell’epoca non esisteva il clericalismo!), lo sottolinea perfino Luca. Quando Paolo, a Mileto, dà
l’addio agli anziani di Efeso, non li invita, come avrebbe detto un vescovo, a inginocchiarsi e
chinare il capo per la benedizione, ma si inginocchia con tutti loro e prega con loro. Quando li
chiama “fratelli” non si sente padre, ma con-fratello con tutti i cristiani.
Un esempio di carità vera che unisce i fratelli: << Dopo aver detto questo, si inginocchiò con tutti
loro e pregò. Tutti scoppiarono in pianto e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati
soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino
alla nave>>. (At 20, 36 – 38).
fondati nella carità
Il fondamento è solamente Cristo; se togliamo di mezzo Cristo costruiamo sulla sabbia e non sulla
pietra. << Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo
saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i
venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia>> (Mt 7,
24 – 25).
Il termine “petra” – vuol dire roccia, quella che noi chiamiamo pietra viva. La casa che non crolla è
quella edificata direttamente sulla pietra viva. Viaggiando possiamo vedere bellissimi borghi
costruiti direttamente su uno zoccolo roccioso, al sicuro da ogni catastrofe naturale. Se fondiamo
la nostra casa sulla roccia viva , che è Cristo, siamo al riparo, protetti, in sicurezza totale , a prova
di bomba!
Aggiungo anche una curiosità. Giuseppe d’Arimatea aveva fatto scavare lo spazio per la sua
sepoltura in una roccia naturale di questo tipo. Sappiamo che poi divenne il sepolcro dove fu posto
Gesù: << Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch'egli il regno di
Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto
e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse
la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il
lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. (Mc 15, 43 – 46).
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Possiamo ricordare anche il seme che cade su uno strato sottile di terra sopra questo tipo di
roccia: <<Un'altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di
umidità>> ( Lc 8, 6).
per essere sale
Leggete le molte citazioni che vi propongo e scoprirete l’importanza fondamentale del sale.
come salario
<<Ora, poiché noi mangiamo il sale della reggia e per noi non è decoroso stare a guardare la
spoliazione del re, mandiamo informazioni al re, perché si facciano ricerche nel libro delle memorie
dei tuoi padri>> (Esd 4, 14 – 15). Mangiare il sale di qualcuno significa essere suo stipendiato o
alleato.
per il culto
<<Ciò che loro occorre, giovenchi, arieti e agnelli, per gli olocausti al Dio del cielo, grano, sale, vino
e olio siano loro forniti ogni giorno senza negligenza, secondo le indicazioni dei sacerdoti di
Gerusalemme>> (Esd 6, 9).
<<Io, il re Artaserse, ordino a tutti i tesorieri dell'Oltrefiume: Tutto ciò che Esdra, sacerdote e scriba
della legge del Dio del cielo, vi domanderà, sia fatto integralmente, fino a cento talenti d'argento,
cento kor di grano, cento bat di vino, cento bat di olio e sale a volontà>> (Esd 7, 21 – 22).
come tributo
<<Fin da ora dispenso voi ed esonero tutti i Giudei dal tributo e dalla tassa del sale e dalle
corone>> (1 Mac 10, 29). La tassa del sale era una tassa personale fondata sul consumo di sale,
calcolato mediamente per ogni individuo.
indispensabile in cucina
<<Si mangia forse un cibo insipido, senza sale?>> (Gb 6, 6).
preziosissimo
<<Le cose di prima necessità per la vita dell'uomo sono:
acqua, fuoco, ferro, sale,
farina di frumento, latte, miele,
succo di uva, olio e vestito>>. (Sir 39, 26).
conserva i cibi
<<I loro sacerdoti vendono le loro vittime e ne traggono profitto; allo stesso modo le mogli di
costoro ne pongono sotto sale una parte e non ne danno né ai poveri né ai bisognosi >> (Bar 6,
27). In Israele le donne non partecipavano al culto pubblico. Qui si accenna ad alcune proibizioni
della legge ebraica.
preparato terapeutico
<<Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata
con l'acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce>> (Ez 16,4).
per la consacrazione dell’altare
<<Tu li offrirai al Signore e i sacerdoti getteranno il sale su di loro, poi li offriranno in olocausto al
Signore>> (Ez 43, 24). Vengono descritte le norme per l’altare.
Dobbiamo capire le strane espressioni di Gesù:<<se il sale perdesse il suo sapore a che cosa
servirebbe?>>. Il cloruro di sodio non può perdere il suo sapore, ma nell’antichità i commercianti
disonesti mescolavano al sale altre polverine; il peso era lo stesso, ma risultava inservibile e
veniva gettato via.
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Essere sale significa riconoscere che, dopo aver controllato l’olio e l’acqua e aver fatto il pieno alla
stazione di servizio (= la comunità), andiamo nel mondo dove siamo chiamati a vivere, nella
certezza che siamo sale, non che dobbiamo esserlo!
E’ un dono che Lui ci ha già fatto e che ci chiede di vigilare, prevenire, faticare perché non venga
manipolato e contraffatto. Facciamo quanto è in nostro potere per non cadere in tentazione e
saremmo:
segno efficace per il mondo
<<Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A
null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente>> (Mt 5, 13).
<<Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate
sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri>> (Mc 9, 50). Il sale impedisce o rallenta la
corruzione.
<<Buona cosa è il sale, ma se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato? Non serve
né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti>> (Lc
14, 34).
per essere lievito
Troviamo esempi concreti e parabole:
fa fermentare tutta la pasta
<<Disse loro un'altra parabola: "Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò
in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata">> (Mt 13, 33).
<<E disse ancora: "A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna
prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata">> (Lc 13, 20 – 21).
Il lievito è indispensabile, è importante; è una serie di enzimi naturali, organici; aggiunge elementi
di digeribilità ma deve essere lievito buono.
il lievito dei farisei
Gesù mette in guardia dal lievito dei farisei, cioè dal loro insegnamento, dal formalismo,
dall’ipocrisia e dalla brama di potere.
<<Gesù disse loro: "Fate attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei">> (Mt 16,6).
<<Come mai non capite che non vi parlavo di pane? Guardatevi invece dal lievito dei farisei e dei
sadducei". Allora essi compresero che egli non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma
dall'insegnamento dei farisei e dei sadducei>> (Mt 16, 11 – 12).
<<Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane.
Allora egli li ammoniva dicendo: "Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di
Erode!"( Mc 8, 14 – 15).
<<Intanto si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù
cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: "Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è
l'ipocrisia”>> (Lc 12, 1).
Il lievito deve essere buono; quello vecchio va gettato via. Prima della celebrazione della Pasqua
gli Ebrei fanno sparire ogni traccia di pane fermentato e di lievito perché durante le festività
pasquali mangiano soltanto pane àzzimo. Paolo invita ad essere “pasta nuova in Cristo”:
<< Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta?
Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra
Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di
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malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità >> (1 Cor 5, 6-8) . Per tornare al
nostro tema, io aggiungo “di carità”.
Il pane azzimo esprime la malizia degli egiziani, ma c’è pure la malizia dei farisei e quella dei
cristiani, farisei di oggi; c’è anche la nostra malizia dalla quale dobbiamo fuggire per essere, come
ci dice Gesù: << semplici come le colombe>> (Mt 10, 16).
una sfida
<<Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta.>> (Gal 5,9). Essere lievito oggi nel mondo, è una
bella sfida. Anche noi forse ci chiediamo se <<Il Figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla
terra?>> (Lc 18, 8). Ricordiamoci sempre che il Figlio dell’uomo è risorto e si prende cura della sua
Chiesa, tenendo nelle sue mani le sette stelle, cioè la nostra storia. Nonostante problemi e
situazioni difficili manteniamo forte la speranza e viviamo radicati nella carità.
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