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Emanuela Fusa – Giorgio Guatri
LA VALUTAZIONE
DEL CAPITALE ECONOMICO
DELL’IMPRESA
Metodi tradizionali, innovativi ed empirici
Casi pratici
Prefazione di Luigi Guatri
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
La presente edizione è stata chiusa in redazione il 18 dicembre 1998
ISBN 88-324-3484-9
© 1999 — Il Sole 24 Ore S.p.a.
Area Strategica d’Affari Pirola
Sede legale: via Paolo Lomazzo 52, 20154 Milano
Reazione: via Castellanza 11, 20151 Milano
Per informazioni: Servizio Clienti 02 30.22.33.23
Prima edizione: gennaio 1999
Tutti i diritti sono riservati.
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per involontari errori o inesattezze.
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SOMMARIO
PREFAZIONE DI LUIGI GUATRI ................................................................................VII
PREMESSA ............................................................................................................... IX
METODI TRADIZIONALI, INNOVATIVI ED EMPIRICI
(DI EMANUELA FUSA) ......................................................................................... 1
1.
I METODI DI VALUTAZIONE ................................................................................ 3
1.1
IL METODO PATRIMONIALE ...................................................................................4
1.1.1 Il metodo patrimoniale semplice ..............................................................6
1.1.2 Il metodo patrimoniale complesso ...........................................................6
1.2
IL METODO REDDITUALE .......................................................................................8
1.2.1 Il tasso di capitalizzazione......................................................................10
1.2.2 Arco temporale di riferimento................................................................11
1.2.3 Reddito medio normale atteso................................................................11
1.3
IL METODO MISTO PATRIMONIALE-REDDITUALE .................................................12
1.4
IL METODO FINANZIARIO .....................................................................................14
1.5
I METODI EMPIRICI ..............................................................................................17
1.5.1 La valutazione dei beni immateriali .......................................................24
1.5.2 Il criterio del costo .................................................................................27
1.5.3 I metodi reddituali..................................................................................28
1.5.4 Il tasso di attualizzazione .......................................................................29
2.
PROBLEMATICHE PARTICOLARI ....................................................................... 31
3.
LA SCELTA DEI METODI ................................................................................... 37
4.
LA VALUTAZIONE DEI GRUPPI AZIENDALI ....................................................... 41
5.
I REDDITI ATTESI ............................................................................................. 45
6.
EFFETTI FISCALI............................................................................................... 49
7.
LA PRASSI INTERNAZIONALE ........................................................................... 57
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VI
8.
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA PER L’OTTENIMENTO DEI VALORI .... 63
8.1
9.
BUSINESS PLAN ...................................................................................................64
QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO ................... 69
9.1
PREMESSA ...........................................................................................................69
9.2
IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO NELLE OPERAZIONI STRAORDINARIE ......70
9.3
IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO E LA QUOTAZIONE ..................................74
9.3.1 L’iter da seguire per accedere alla quotazione (di Giancarlo
Pizzocaro, Ria & Partners) ....................................................................75
9.3.2 La quotazione e la determinazione del valore ........................................79
9.4
LA DETERMINAZIONE DEL VALORE ECONOMICO E LE ESIGENZE INTERNE: LE
STRATEGIE ..........................................................................................................80
9.4.1
9.4.2
I modelli di valutazione delle strategie d’impresa..................................82
Gli indicatori di performance: la nuova rilevanza dell’EVA..................85
CASI PRATICI....................................................................................................... 89
VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DI UN’AZIENDA ALIMENTARE
(DI EMANUELA FUSA) ....................................................................................... 91
VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DI UN’IMPRESA DI ASSICURAZIONE
(DI EMANUELA FUSA) ..................................................................................... 101
PARERE SULLA CONGRUITÀ DEI RAPPORTI DI CONCAMBIO DI DUE ISTITUTI DI
CREDITO (DI EMANUELA FUSA)...................................................................... 109
VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DI UN GRUPPO MULTINAZIONALE
INDUSTRIALE (DI EMANUELA FUSA) .............................................................. 117
VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DI UN’AZIENDA ALBERGHIERA
(DI GIORGIO GUATRI) ..................................................................................... 131
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DI UN’AZIENDA OPERANTE
NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE (DI GIORGIO GUATRI)................................. 139
DETERMINAZIONE DEL RAPPORTO DI CONCAMBIO PER LA FUSIONE PER
INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI EDITORE S.P.A NELLA A.
MONDADORI EDITORE FINANZIARIA S.P.A (DI GIORGIO GUATRI) ............... 153
DETERMINAZIONE DEL RAPPORTO DI CONCAMBIO PER LA FUSIONE PER
INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI
S.P.A. (DI GIORGIO GUATRI) .......................................................................... 173
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................... 191
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Prefazione
di Luigi Guatri
È sempre più condivisa l’idea che la misura del valore delle aziende rappresenti un
tema di rilievo non solo per alcune operazioni finanziarie, ma più in generale
nell’orientamento delle strategie e delle scelte di gestione. A ben vedere,
l’attenzione crescente che, specie dagli anni Ottanta, caratterizza i problemi di
stima delle aziende (sinteticamente, i problemi di “valore”) ha diverse origini e stimoli:
– l’importanza assunta dalla crescita delle imprese per via esterna, che pone in
prima linea la necessità di controllare il rischio di acquisizioni a prezzo eccessivo e, per chi vende, di evitare cessioni a condizioni inadeguate;
– la frequenza e complessità delle operazioni sul capitale, delle fusioni, delle
scissioni, degli scorpori, in genere delle operazioni di finanza straordinaria;
– in alcuni Paesi, la sentita necessità di controllare i rapporti tra quotazioni di
mercato e valori intrinseci, specialmente da parte delle società sottovalutate e
perciò a rischio di scalate;
– l’opinione, infine, che i tradizionali “risultati” contabili siano misure incomplete della vera performance dell’impresa, e soprattutto non proiettate nel futuro,
così che esse risultano inette a mettere in evidenza tutto il valore che si “crea” o
si “distrugge”. Da ciò l’esigenza di integrare i risultati contabili con altre stime
e informazioni, che nella dinamica del valore hanno appunto il loro riferimento
principale.
Queste e altre ragioni fanno sì che, in tutto il mondo, del tema del valore si occupino, con crescente impegno, operatori professionali, istituzioni finanziarie, imprese e ovviamente il mondo accademico. Nasce anche un confronto, in vari Paesi,
tra queste categorie di soggetti, che mostrano talora convergenze, altre volte contrasti d’opinione. I Paesi di più radicata cultura economica assumono spesso posizioni differenziate: il mondo anglosassone trae dalle proprie radici e dal proprio
ambiente, caratterizzato dall’efficienza dei mercati, criteri e metodi peculiari, che
solo in parte, per esempio, coincidono con quelli espressi dal mondo europeo. Anche se vi sono alcune categorie di operatori, quali le merchant bank, che tendono a
utilizzare ovunque gli stessi modelli.
Il nostro Paese ha una sua “cultura” in tema di valutazione delle aziende, che
affonda le radici nella tradizione zappiana (che data dagli ultimi anni Venti) e in
quella della prima Europa (l’Europa a 6) sintetizzata in un libro dell’Union Euro-
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VIII
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
péenne des Expert Comptables (UEC) del 1961, e, a partire dagli anni Ottanta, in
vari rilevanti contributi di matrice accademica.
Questa situazione è stata da me sintetizzata, a volte, nella contrapposizione tra
una cultura mittel-europea in tema di valutazione del capitale delle aziende e una
cultura anglo-sassone. Si tratta di due culture di pari dignità scientifica, anche se il
loro “peso” operativo è diverso, in relazione alla differente importanza economica
e soprattutto finanziaria dei Paesi che li esprimono.
Ma più volte ho anche ammonito che la cultura anglo-sassone non può essere
trasferita tal quale nel nostro Paese, sia per la diversità del contesto economico
(peso rilevante della media e piccola impresa, ridotto numero di società quotate,
scarsa efficienza dei mercati finanziari, diversi approcci alla comunicazione da
parte delle società ecc.) sia per la diversità delle norme legislative.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente delicato, e credo che verrà presto alla
luce come alcuni metodi di pura ispirazione anglosassone (quale l’Unlevered Discounted Cash Flows) solo con vere forzature concettuali e operative rispettano le
norme in tema di determinazione dei concambi in sede di fusione e di scissione di
società, nella stima dei valori d’apporto, nelle decisioni sulla rinuncia al diritto
d’opzione e in altre occasioni in cui le finalità della stima hanno natura cautelativa
e di protezione degli interessi degli azionisti minoritari.
Nell’opera di sostegno della cultura mittel-europea in tema di valutazione delle
aziende, siano i benvenuti anche i lavori applicativi, come quello qui presentato,
che svolgono opera di diffusione delle idee tra gli operatori, pur senza la pretesa di
elaborare punti di vista originali o di documentare con rigore scientifico le tesi sostenute. E che questa diffusione svolgono perciò soprattutto verso la piccola e media impresa e i loro consulenti quotidiani (commercialisti, ragionieri ecc.) che non
possono essere specialisti della materia. Essi abbisognano perciò di regole semplici e standardizzate, di riferimenti pratici, di modelli operativi comprensibili. Anche questo è un modo efficace per contribuire al sostegno della nostra cultura.
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Premessa
L’evolversi degli scenari economici nazionali e internazionali ha avuto, come diretta conseguenza, l’intensificarsi delle operazioni di trasferimento di imprese affiancate dai processi di privatizzazione delle attività produttive dello Stato e degli
altri enti pubblici.
Negli ultimi anni, l’intervento massiccio degli investitori sui mercati finanziari,
il frequente manifestarsi di operazioni di compravendita di aziende nonché la sostenuta pratica di operazioni straordinarie (fusioni, scorpori, operazioni sul capitale delle imprese), hanno enfatizzato l’esigenza della determinazione dei valori da
considerare quale base per la definizione dei prezzi di trasferimento.
È così cresciuta l’attenzione pubblica e quella del mondo professionale alle metodologie utili per la determinazione del valore economico delle imprese.
Diverse sono le regole che devono guidare le scelte dei differenti metodi di valutazione in relazione alle diverse realtà aziendali (si vedano i “Principi e metodi
nella valutazione di aziende e di partecipazioni societarie” formulati dalla Commissione promossa dall’Istituto di Economia delle Aziende industriali e commerciali dell’Università L. Bocconi, con l’Assirevi, la Borsa Valori di Milano e il
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti − 1989).
Nel caso del trasferimento il prezzo dell’azienda è di solito concepito come un
valore da attribuire a una particolare configurazione del suo “capitale economico”
che può essere opportunamente determinato solo grazie a un’adeguata valutazione.
L’oggetto della stima non è naturalmente costituito dall’ammontare del patrimonio netto contabile, fattore che può unicamente costituire uno dei diversi elementi produttivi del valore aziendale.
Per capire e individuare gli elementi utili per la determinazione del valore è
particolarmente necessario considerare l’azienda quale istituzione economica volta
a perdurare nel tempo, utile alla produzione di beni e/o allo scambio di servizi al
fine di realizzare un profitto.
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X
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Se siamo di fronte a un’entità volta a generare profitto, istituto economico funzionante in condizioni di continuità, il suo valore dovrebbe proprio ottenersi dalla
capitalizzazione o attualizzazione dei redditi futuri.
Ne consegue la particolare rilevanza delle previsioni sui redditi futuri così come la struttura qualitativa e quantitativa del capitale di trasferimento, elemento
questo che condiziona, in parte, la stessa redditività.
Guida alla lettura
Nella prima parte del libro vengono esaminati i pricipali metodi di valutazione
d’azienda ed evidenziati gli ambiti di applicazione.
Nella seconda parte sono invece presentati alcuni casi pratici relativi ad aziende
e gruppi di aziende appartenenti a settori diversi. Trattasi di lavori eseguiti tra il
1991 e il 1998. Per motivi di riservatezza ci siamo limitati a trascrivere i punti salienti evitando riferimenti diretti all’azienda coinvolta. Per gli stessi motivi i dati
indicati sono opportunamente modificati rispetto a quelli reali. Solo per gli ultimi
due casi esposti (Mondadori e In.Pro.Di./Cantoni) trattandosi di perizie pubbliche,
tali accorgimenti non sono stati presi.
Per comprendere l’operato e le scelte del perito è opportuno analizzare i vari
casi alla luce dei commenti riportati nella parte prima.
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Parte prima
METODI TRADIZIONALI, INNOVATIVI
ED EMPIRICI
di Emanuela Fusa
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1.
I metodi di valutazione
Nella valutazione del capitale economico si deve adottare un metodo che tenga
conto delle caratteristiche settoriali in cui l’azienda opera e lo scopo della valutazione.
Individuare il valore di un’azienda, al fine della sua successiva liquidazione, richiederà l’applicazione di un procedimento metodologico certamente diverso da
quello utilizzabile per un’eventuale cessione a terzi.
Nessuna normativa di legge, civilistica o fiscale, indica quale metodo il professionista debba usare nella valutazione.
Tale indicazione non è fornita nemmeno nei casi espressi previsti dalla legge in
cui la relazione di stima è richiesta; ebbene, anche in tali situazioni, le norme non
possono che rimandare a disposizioni tecniche di generale accettazione.
Esiste comunque l’obbligo per il professionista di dichiarare le metodologie seguite in quanto, proprio come la tecnica insegna, possono essere diverse e avere
una differente validità in relazione alle situazioni in cui trovano applicazione.
Il valore del capitale economico di un’azienda può indicarsi come “generale”
quando, in normali condizioni di mercato, è ritenuto congruo senza considerare la
natura delle parti interessate nella transazione, la loro forza contrattuale e i loro interessi. In questo modo il valore che si determina costituisce un punto di riferimento distinto da una valutazione soggettiva che considera, al contrario, l’utilità dell’azienda per specifici operatori. In tal senso, non bisogna confondere il “prezzo”
con il concetto di “valore”.
Considerando gli aspetti pratici che dovrebbero guidare le valutazioni
d’azienda si deve tenere presente come diverse siano le informazioni contabili e
gestionali che l’esperto dovrebbe avere a disposizione.
Prima di tutto si devono fornire indicazioni utili per un’idonea scelta della metodologia da seguire. Trattasi di informazioni sull’attività esercitata dalla società,
sul settore di appartenenza, sulla presenza o meno di particolari operazioni gestionali ecc.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
4
I diversi metodi elaborati dalla dottrina economico-aziendale possono sinteticamente suddividersi in:
–
–
–
–
patrimoniale;
reddituale;
misto patrimoniale-reddituale;
finanziario.
Ognuno dei menzionati criteri può presentare pregi e difetti, tuttavia la scelta dovrebbe essere fortemente influenzata dalle specifiche particolarità dell’azienda che
si valuta.
In modo più analitico, potremmo indicare i seguenti fattori da tenere presenti:
–
–
–
–
caratteristiche dell’azienda da valutarsi;
caratteristiche del settore in cui l’azienda opera;
correttezza dei bilanci aziendali;
adeguatezza del sistema informativo aziendale (per conseguente significatività
dei budget).
Particolarmente importante è considerare il settore in cui la società opera. Per esempio, per una società immobiliare i metodi patrimoniali sono certamente quelli
più adeguati, mentre meno idonei possono ritenersi i metodi basati sui flussi finanziari o reddituali. Al contrario tali ultime metodologie sono meglio utilizzabili in
caso di scarsa significatività delle poste patrimoniali dell’azienda.
Entro certi limiti, nella scelta del metodo possono incidere anche alcune considerazioni sulle caratteristiche dell’operazione che ha richiesto la valutazione
dell’azienda; si pensi ai conferimenti per i quali oltre a rilevare il capitale economico è necessario ottenere una situazione patrimoniale, base per le future determinazioni dei redditi della conferitaria. Ebbene, in questi casi l’uso della metodologia patrimoniale può ritenersi più adeguato.
In ultima analisi, il valutatore deve quindi considerare gli aspetti particolari
dell’azienda da valutare e le informazioni ottenibili al fine di scegliere in modo
opportuno il metodo da utilizzare.
Veniamo ora a considerare le caratteristiche delle varie metodologie.
1.1
Il metodo patrimoniale
Il metodo patrimoniale considera i diversi elementi che costituiscono il patrimonio
netto, opportunamente rettificati dai meccanismi contabili che guidano i criteri di
valutazione utilizzati nella predisposizione del bilancio (principalmente il criterio
del costo storico).
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I METODI DI VALUTAZIONE
5
A titolo di esempio, i valori netti contabili delle immobilizzazioni, dovranno
essere opportunamente confrontati con i relativi valori correnti ottenibili attraverso
idonee perizie tecniche.
In genere, altre rettifiche relative all’applicazione della metodologia patrimoniale possono riferirsi alla valutazione delle rimanenze, per le quali dovrebbe evidenziarsi il valore di mercato, nonché la congruità degli accantonamenti per
prevedibili costi futuri.
In modo più analitico dovrebbero utilizzarsi i seguenti criteri:
Beni
Beni destinati alla vendita
Magazzino
Beni strumentali
Crediti e debiti
Partecipazioni
Criteri di valutazione
Valore di mercato
Costo medio di vendita al netto degli oneri di
commercializzazione
Costo di ricostruzione a nuovo
Valore netto di presunto realizzo o estinzione
Patrimonio netto (valutazione quale parte integrante del patrimonio della controllante)
Risulta doveroso tenere conto anche del possibile effetto fiscale legato alle menzionate rettifiche; pertanto, eventuali rivalutazioni dei beni patrimoniali dovranno
considerare l’influenza delle “imposte latenti”.
Sorge a questo punto il problema di individuare l’aliquota piena o ridotta da utilizzare al fine di determinare l’effetto fiscale.
L’osservazione di casi concreti ha portato la dottrina a privilegiare l’uso di un’aliquota ridotta rispetto a quella normale anche se, indubbiamente, meglio sarebbe non generalizzare ma valutare l’opportunità di utilizzare un determinato parametro in relazione a ogni singola fattispecie.
A ogni modo, per i possibili oneri fiscali che gravano sulle riserve in caso di distribuzione, la dottrina prevalente, tenendo presente il legame a un evento di differimento incerto, indeterminato e soprattutto non legato direttamente alla gestione
dell’impresa, ne ha sconsigliato la considerazione; tale conclusione acquista maggior valore, come in seguito vedremo, grazie anche alle ultime modifiche fiscali
della normativa sul “credito d’imposta”.
Egualmente gli eventuali beni immateriali in seno all’azienda, anche se contabilmente non evidenziati nel suo patrimonio, possono essere oggetto di valutazione.
I metodi patrimoniali pertanto si distinguono in semplici e complessi in relazione al fatto che, rispettivamente, non considerino o meno i beni immateriali.
Gli intangibles possono essere valutati in modo motivato e documentato, dando
luogo a vere e proprie “stime analitiche” nonché attraverso l’utilizzo di parametri
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
6
o formule che si originano dall’osservazione pratica dei mercati; in quest’ultimo
caso siamo di fronte a “valutazioni empiriche”.
Le valutazioni empiriche, a differenza di quelle analitiche basate su dimostrazioni
razionali, si ottengono attraverso l’applicazione di parametri e formule che traggono
origine dall’osservazione del mercato. Proprio per questo motivo, hanno una valenza
pratica solo in presenza di frequenti e omogenee transazioni.
1.1.1
Il metodo patrimoniale semplice
Il metodo patrimoniale semplice considera solo i beni materiali e gli oneri a utilità
pluriennale risultanti dalla situazione contabile.
Tali aggregati devono essere esaminati in modo accurato al fine di poter determinare il “patrimonio netto rettificato”. Questo metodo può esprimersi attraverso
la seguente formula:
W = Pn + (Rt - I)
dove:
W = valore dell’azienda
Pn = patrimonio netto contabile
Rt = rettifiche del patrimonio netto contabile
I
= effetto fiscale delle rettifiche
1.1.2
Il metodo patrimoniale complesso
Il processo di valutazione si riferisce in questo caso ai beni materiali e agli oneri a
utilità pluriennale evidenziati dalla situazione contabile della società nonché ai beni immateriali contabilizzati e non. Per poter valutare i beni immateriali, che devono comunque essere trasferibili ai terzi, è necessario che il loro valore sia effettivamente misurabile e che la loro utilità perduri nel tempo.
Il requisito della trasferibilità è soddisfatto anche quando il bene immateriale è
cedibile unicamente insieme ad altri beni aziendali. I metodi di valutazione elaborati dalla dottrina per i beni immateriali sono sintetizzabili nei seguenti:
– valore residuo dei costi sostenuti per ottenere i beni. Si individuano i costi sostenuti in passato esprimendoli a prezzi correnti (al netto del deperimento
intervenuto);
– attualizzazione dei costi da sostenere per riprodurre i beni. Si stimano i costi
da sostenere per ricreare i beni immateriali, vale a dire l’investimento necessario per ottenere tutti quei benefici attribuibili al bene esistente;
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I METODI DI VALUTAZIONE
7
– attualizzazione dei redditi differenziali dovuti al possesso dei beni. Si quantificano i benefici attribuibili ai beni immateriali isolando i risultati differenziali
dovuti al loro possesso, attualizzandone la consistenza economica. (È un
procedimento di difficile applicazione a causa della difficoltà ad individuare
ricavi e costi riferibili ai beni immateriali);
– attualizzazione delle perdite che si subirebbero nell’ipotesi di cessione dei beni. Si calcola il costo attribuibile al soggetto che si priva del bene, vale a dire la
contrazione dei margini di contribuzione e l’incremento dei costi necessari per
far fronte, entro un certo periodo di tempo, alle conseguenti difficoltà.
Oltre a queste tecniche analitiche di valutazione dei beni immateriali, la dottrina
ha egualmente elaborato dei criteri empirici.
Si tratta di metodologie caratterizzate dall’applicazione di formule pratiche. Il
loro utilizzo è spesso legato alla disponibilità di aggiornate informazioni in merito
a trattative di compravendita relative ad aziende analoghe a quella che detiene i
beni da valutare.
Il patrimonio netto rettificato determinabile attraverso l’applicazione del metodo patrimoniale complesso può essere rappresentato dalla seguente formula:
W = Pn + (Rt − I) + B
dove:
W = valore dell’azienda
Pn = patrimonio netto contabile
Rt = rettifiche del patrimonio netto contabile
I = effetto fiscale delle rettifiche
B = valore dei beni immateriali
Oltre agli effetti fiscali connessi alle rettifiche dei valori contabili dovuti alle rilevazioni di plusvalenze per l’adeguamento a valori correnti, si dovrebbero considerare, nel caso in cui il bilancio non le evidenziasse, anche le imposte differite dovute alle differenze “temporanee” esistenti tra disposizioni civilistiche e fiscali, in
merito alla determinazione del reddito.
Se si suppone, a titolo di esempio, di avere:
Pn = 300.000.000
Rt = 240.000.000
dovute a:
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
8
–
–
–
–
–
–
–
–
maggior valore di mercato delle immobilizzazioni tecniche 150.000.000
maggior valore di mercato delle rimanenze
10.000.000
1
ammortamenti anticipati operati negli anni
80.000.000
totale delle rettifiche prima dell‘effetto fiscale (a)
240.000.000
2
imposte sulle rivalutazioni (160.000.000 × 41,25% )
− 66.000.000
3
imposte differite sugli anticipati (80.000.000 × 41,25% ) − 33.000.000
totale delle rettifiche fiscali (b)
− 99.000.000
totale delle rettifiche del patrimonio netto (c) = (a) − (b)
141.000.000
I = 99.000.000
B = 50.000.000 (avviamento ipotizzato).
In queste condizioni il valore dell’azienda sarebbe pari a:
W = 300.000.000 + (240.000.000 − 99.000.000) + 50.000.000
W = 491.000.000
1.2
Il metodo reddituale
Risulta comunque evidente come una valutazione che si basi sulla metodologia patrimoniale non sia certo la più idonea a rappresentare l’azienda come istituto vivente e in funzionamento. I fenomeni di crescita, ampliamento, trasformazione,
non sono rilevabili con una simile metodologia in quanto strettamente connessi alla capacità reddituale dell’azienda. Non è difficile capire come la valutazione di
un’entità in funzionamento sia strettamente legata al reddito atteso e non al patrimonio netto di cui l’azienda dispone. Tale affermazione, ormai largamente accettata dalla dottrina, ci porta a considerare la metodologia reddituale ritenendola più
consona a determinare il valore di un’azienda.
In questo caso, per determinare il valore del capitale economico si dovrebbe
procedere a quantificare il “reddito normalizzato” dell’azienda, vale a dire il reddito realizzabile in condizioni normali di mercato senza tenere conto di accadimenti
eccezionali o estranei alla gestione.
Non è certamente difficile procedere a determinare il reddito normalizzato
quando l’azienda si trova in condizioni di ristrutturazione organizzativa poiché,
spesso, in tali situazioni, si dispone di piani pluriennali volti a proiettare il reddito
normalizzato a breve e medio termine.
1
L’effetto ipotizzato di 80.000.000 è costituito da una riserva patrimoniale occulta dovuta ai maggiori ammortamenti effettuati unicamente ai fini fiscali che hanno ridotto, nei diversi esercizi in cui
sono stati operati, i rispettivi risultati economici.
2
Aliquota piena usata per semplificare l’esposizione.
3
Aliquota piena usata per semplificare l’esposizione.
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I METODI DI VALUTAZIONE
9
Naturalmente la disponibilità di piani pluriennali è strettamente legata
all’organizzazione e all’attitudine dell’azienda a formulare previsioni (budget).
Tuttavia, anche in presenza di un’adeguata struttura interna che favorisce le
stime future, non deve mai dimenticarsi che più si estende l’arco temporale di osservazione più la previsione diventa incerta e spesso non attendibile.
Se, pertanto, in condizioni normali può ritenersi accettabile una previsione sull’arco temporale di tre anni, estendibile a cinque in casi particolari, una certa cautela deve invece essere adottata quando manchino i piani pluriennali. Proprio a
causa di tali problematiche la metodologia in oggetto non ha avuto grandi applicazioni nel passato.
Operativamente possono utilizzarsi sia le stime dei redditi futuri a durata illimitata che limitata nel tempo; tuttavia, quando il periodo considerato è piuttosto esteso, i risultati ottenibili in entrambi i casi tendono a equivalere.
Quando si utilizzano redditi futuri di durata illimitata il metodo reddituale si
esprime attraverso la seguente formula:
W=
R

i
dove:
W = valore dell’azienda
R = reddito medio normalizzato
i = tasso di capitalizzazione
Si tratta in pratica della formula relativa alla determinazione di una rendita perpetua dove il fattore tempo non è, di conseguenza, preso in considerazione.
Al contrario, quando i redditi si presumono di durata limitata, la formula relativa all’applicazione pratica della metodologia reddituale è costituita dal valore attuale di una rendita annua posticipata di durata definita in n anni:
(1 + i) − 1
W = R ⋅ 
n
(1 + i) × i
n
vale a dire:
W = R × a n i
dove:
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
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W = valore dell‘azienda
R = reddito medio normalizzato
an i = fattore di attualizzazione.
Il reddito “normale atteso” utilizzato deve essere depurato dei seguenti elementi:
–
–
–
–
componenti reddituali straordinari;
fluttuazioni anomale di mercato;
ricalcolo delle imposte sul nuovo reddito determinato;
allineamento dei redditi per renderli omogenei nel tempo.
È infine importante notare come, quando si considerano i redditi attesi anno per anno, tenendone così presente l’evoluzione temporale, la formula utilizzabile è la seguente:
R1
W = 
(1 + i)
1.2.1
R2
+ 
2
(1 + i)
R3
+ 
3
(1 + i)
Rn
+ ………

n
(1 + i)
Il tasso di capitalizzazione
Il tasso di capitalizzazione rappresenta il rendimento dell’investimento. La determinazione del tasso di capitalizzazione dipende da considerazioni relative al rischio presente nell’investimento nell’impresa oggetto della valutazione rispetto a
investimenti alternativi a rischio minimo.
È chiaro come, al fine di individuare il tasso, sia molto importante conoscere
l’azienda che si valuta, le sue problematiche interne e quelle eventualmente presenti nel settore in cui opera. Il rischio che si vuole stimare è quindi connesso al
perdurare o meno della redditività aziendale.
La scelta del tasso è molto rilevante, piccole variazioni conducono a differenze
notevoli nel risultato.
In particolare si devono prendere in considerazione:
– la remunerazione di un investimento privo di rischio;
– l’apprezzamento del rischio presente nell’investimento.
Per determinare il tasso degli investimenti privi di rischio si fa normalmente riferimento al rendimento dei titoli di Stato o garantiti dallo Stato. Gli investimenti
con un grado maggiore di rischio, come quelli in un’azienda, devono quindi offrire
un rendimento proporzionalmente più elevato rispetto agli impieghi a rischio limitato.
Il rischio dell’investimento stimato deve tenere conto:
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I METODI DI VALUTAZIONE
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– del contesto economico-sociale in cui l’azienda opera e della struttura del settore di appartenenza;
– dei rendimenti eventualmente rilevabili dal mercato azionario o riconosciuti dal
mercato finanziario nelle negoziazioni di aziende operanti in settori analoghi.
È comunque opportuno che i tassi siano omogenei rispetto ai redditi da capitalizzare, ne consegue la necessità di assumerli al netto dell’inflazione.
Sul problema della scelta del tasso di capitalizzazione torneremo in seguito.
1.2.2
Arco temporale di riferimento
La scelta di considerare la vita dell’azienda come illimitata, in quanto
l’abbattimento dei valori dovuto dalla progressione esponenziale dei tassi di sconto rende irrilevanti le differenze di durata dopo un certo numero di anni, non deve
essere adottata poiché nessuna impresa genera profitti a tempo indeterminato.
Per definire l’estensione temporale delle previsioni reddituali si devono tenere
presenti: il settore in cui opera l’azienda, il ciclo di vita dei suoi prodotti e le tecnologie disponibili.
La dottrina solitamente raccomanda l’uso di un arco temporale compreso tra i
cinque e i dieci anni. Anche tale aspetto verrà ripreso in considerazione in seguito.
1.2.3
Reddito medio normale atteso
Altra rilevante incognita nell’applicazione della metodologia reddituale è la previsione sui redditi attesi.
Diverse possono essere le considerazioni effettuabili per stimare il reddito atteso. In particolare si può trarre la previsione direttamente dal passato, vale a dire
supponendo che i risultati storici si mantengano in futuro (metodo dei risultati storici). Tale metodologia è chiaramente insoddisfacente in quanto il valore di un’azienda dipende non dai risultati ottenuti bensì da quelli che potrà ottenere in futuro. In ogni caso si dovrebbero considerare solo i periodi passati caratterizzati da
una certa omogeneità.
Sulla considerazione che le previsioni sono necessarie per valutare un’azienda,
ma che la sua storia dovrebbe comunque costituire una valida base per formulare
stime più corrette, si basa a sua volta il metodo della proiezione dei risultati storici. Vengono così individuati alcuni fattori rilevanti al variare dei quali diversi sono
i risultati attesi.
I rischi che tale metodologia presenta risiedono nella possibilità che, anche con
piccoli cambiamenti delle ipotesi relative alle variazioni dei fattori individuati, si
ottengano risultati sostanzialmente diversi.
In un’impresa, con il trascorrere del tempo, si dovrebbero mettere in atto nuove
strategie per realizzare risultati migliori, sembra pertanto più giusto considerare le
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
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previsioni e il reddito previsto. I budget dovrebbero essere la diretta espressione
delle attese economiche aziendali per il futuro in relazione a determinati obiettivi
da raggiungere. Naturalmente la programmazione rispecchierà meglio la realtà
quando gli obiettivi saranno realistici e quindi effettivamente raggiungibili. Perché
si realizzi tutto questo occorre, principalmente, essere coscienti dei limiti dell’azienda e delle sue effettive potenzialità. Tali fattori sono meglio osservabili in
un arco temporale limitato che non dovrebbe superare i cinque anni assestandosi
intorno ai tre.
Quando si parla di reddito ci si riferisce poi non al reddito contabile bensì a
quello “normalizzato”.
Il reddito contabile deve quindi essere sottoposto a un processo volto a renderlo
espressivo della capacità reddituale dell’azienda (normalizzazione). In questo modo i redditi sono rettificati al fine di neutralizzare gli effetti di componenti straordinari, non attinenti alla gestione dell’impresa e relativi all’applicazione di specifiche politiche di bilancio.
È chiaro che, una volta ottenuto il reddito normalizzato e individuato il tasso di
capitalizzazione, l’automatismo della formula relativa alla metodologia reddituale
è abbastanza semplice, tuttavia proprio la determinazione a monte delle menzionate variabili può risultare particolarmente complessa e ardua. Per limitare l’effetto
di tali inconvenienti sono stati elaborati i metodi di valutazione misti.
1.3
Il metodo misto patrimoniale-reddituale
La determinazione del reddito normalizzato e l’individuazione del tasso di capitalizzazione, variabili principali nell’applicazione della metodologia reddituale, può
risultare particolarmente complessa e ardua; proprio al fine di limitare tale inconvenienti è stato elaborato un metodo di valutazione misto.
Tale metodologia nasce quindi dalle critiche mosse ai metodi di valutazione patrimoniali e reddituali dalla prassi professionale che ha, di conseguenza, sviluppato
metodi di valutazione misti. Il fine è stato quello di conciliare la maggiore obiettività della metodologia patrimoniale con la considerazione delle prospettive di reddito dell’azienda.
Con i metodi misti nel determinare il valore del capitale economico si considera sia il valore del patrimonio netto rettificato sia la redditività aggiunta dell’impresa. Si cercato così di migliorare la logica e la razionalità delle valutazioni.
In pratica, si tende ad assumere come valore minimo del capitale economico, il
valore del patrimonio netto rettificato; a questo punto, dopo averne calcolato il
rendimento, si procede a determinare l’eventuale goodwill (sovrareddito) da
capitalizzare.
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I METODI DI VALUTAZIONE
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Naturalmente, quando la differenza tra il reddito atteso e il rendimento del patrimonio netto dovesse avere segno negativo, ci si troverebbe di fronte a un badwill (sottoreddito) che ridurrebbe il valore del patrimonio netto.
I procedimenti misti possono esprimersi come:
– capitalizzazione limitata del profitto medio;
– capitalizzazione illimitata del profitto medio;
– capitalizzazione dei risultati netti di alcuni esercizi futuri.
1. Metodo misto con capitalizzazione limitata del profitto medio
La metodologia mista, nella prima fattispecie, è rappresentabile dall’uso della seguente formula:
W = Pn + (Rt - iPn) a n i‘
dove:
W = valore dell’azienda
Pn = capitale netto contabile rettificato
Rt = reddito normalizzato
i = tasso di capitalizzazione
i’ = tasso di attualizzazione
Il tasso d’interesse (i) è volto a determinare un rendimento giudicato soddisfacente
in relazione al grado di rischio presente nell’azienda da valutare.
Tale tasso può coincidere con quello utilizzabile nella metodologia reddituale
(tasso normale di rendimento) se si considera il rischio proprio dell’impresa e non
quello, preferito dalla dottrina, relativo al settore in cui opera.
Il tasso di attualizzazione (i’), a sua volta, rappresenta il compenso finanziario
dovuto al “trascorrere del tempo”. Questo parametro non dipende dal rischio specifico dell’investimento nell’impresa, bensì si riferisce a investimenti senza alcun
rischio come potrebbero essere, a titolo di esempio, gli investimenti in titoli di Stato.
2. Metodo misto con capitalizzazione illimitata del profitto medio
Applicando la metodologia mista attraverso la “capitalizzazione illimitata del profitto medio”, il valore economico dell’azienda si ottiene dalla somma del patrimonio netto rettificato e del suo goodwill determinato come rendita perpetua, vale a
dire supponendo che il sovrareddito si produca all’infinito.
Si avrebbe pertanto:
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
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(R − iK)
W = K + 
i’
3. Metodo misto con capitalizzazione dei risultati netti di alcuni esercizi futuri
Il metodo misto con capitalizzazione del reddito di alcuni esercizi futuri è solitamente rappresentato dalla seguente formula:
1
2
n
W = K + [(R1− i K ) ⋅ V + (R2− i K ) ⋅ V + (Rn− i K ) ⋅ V ]
1
1
1
dove:
W
= valore dell’azienda;
K
= patrimonio netto rettificato;
R1, R2, Rn = valore normale del reddito atteso per gli esercizi da 1 a n;
i
= tasso di remunerazione del capitale investito;
= patrimonio netto da remunerare;
K
1
1
2
n
V , V , V = fattore di attualizzazione.
Tale metodologia, usata soprattutto in presenza di piani pluriennali, è rappresentata come “attualizzazione dei risultati netti di alcuni esercizi futuri”, il punto di riferimento è costituito da un insieme di valori specifici relativi ai risultati di determinati anni futuri al netto del rendimento normale del capitale investito.
1.4
Il metodo finanziario
Attraverso la metodologia finanziaria si determina il valore attuale dei flussi di
cassa che l’azienda prevede di poter generare in futuro. Date le difficoltà presenti
nella determinazione quantitativa dei flussi, anche se riferiti a un ridotto arco temporale, l’applicazione del metodo finanziario non ha avuto molto successo.
La determinazione futura dei flussi di cassa è strettamente connessa alle politiche aziendali, frutto di determinate e soggettive scelte imprenditoriali. Proprio la
soggettività presente è un fattore che rende tale metodologia non applicabile con il
necessario grado di generalità.
Ne consegue che, salvo in situazioni particolari, il metodo finanziario potrebbe
essere usato unicamente al fine di ottenere un riscontro della valutazione operata
attraverso altri metodi. La formula principale che lo rappresenta è tuttavia la seguente:
n
Wf = Ei Fc + Pr
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I METODI DI VALUTAZIONE
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dove:
Fc =
flussi di cassa
Pr =
patrimonio residuale
Dalla formula riportata risulta chiaro come, attraverso il metodo finanziario, il valore di un’azienda sia identificato dalla sommatoria dei suoi futuri flussi monetari
attualizzati a un tasso appropriato.
La quantificazione delle variabili che compaiono nella formula è abbastanza
difficoltosa.
Si considerino i problemi riscontrabili nell’ottenere informazioni sui dividendi
distribuibili in futuro. A tale impostazione la dottrina e la prassi professionale
hanno affiancato diverse alternative metodologiche di quantificazione dei flussi finanziari.
Da qui la necessaria ipotesi che i flussi monetari disponibili non vengano reinvestiti nella gestione.
Nel considerare i flussi si può alternativamente tenere conto di:
– flussi monetari disponibili;
– flussi della gestione corrente.
Il primo metodo è quello maggiormente raccomandato dalla dottrina, i flussi monetari disponibili possono essere rappresentati da:
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Utile netto dell’esercizio
+/- Oneri/proventi finanziari
+ Imposte dell’esercizio
= Reddito lordo
- Imposte ricalcolate
= REDDITO OPERATIVO
Reddito operativo
+
Ammortamenti
+/- Incrementi/decrementi del capitale circolante
+/- Incrementi/decrementi del Fondo di trattamento di fine rapporto
+/- Incrementi/decrementi fondi
+/- Incrementi/decrementi immobilizzazioni materiali
+/- Incrementi/decrementi Immobilizzazioni immateriali
+/- Incrementi/decrementi immobilizzazioni finanziarie
+/- Incrementi/decrementi febiti a medio lungo termine
= FLUSSI MONETARI DISPONIBILI
I flussi devono essere attualizzati a un tasso che tenga conto della composizione
della struttura finanziaria ottimale o di quella presente.
Detraendo dalla somma dei flussi monetari operativi attualizzati e dal valore finale le passività finanziarie si ottiene il valore aziendale.
Per quanto riguarda l’arco temporale di riferimento si deve comunque rilevare
come, relativamente al metodo finanziario, l’ipotesi di durata illimitata dei flussi
monetari non possa essere accettata in quanto non realistica a causa
dell’inattendibilità della loro previsione.
Quanto alla determinazione del valore residuo dell’azienda al termine del periodo di valutazione, scartando la possibilità di considerarlo pari al valore netto risultante dalla liquidazione delle attività e delle passività, in quanto sarebbe scorretto considerare un’azienda in funzionamento come un qualsiasi bene che possa
essere facilmente liquidato, deve tenersi presente come, per individuare il valore
finale, siano stati proposti diversi approcci tra cui, i principali:
– crescita costante del flusso di cassa;
– fattori generatori di valore;
– comparazione diretta.
Per semplicità, dal punto di vista operativo, si usa solitamente fare riferimento ad
approcci semplificati volti a consentire la stima del valore residuo senza prevedere
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I METODI DI VALUTAZIONE
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esattamente i flussi di cassa per un periodo indefinito. Quanto sopra si realizza attraverso l’utilizzo della seguente formula:
RO
Tn = 
n
i
dove:
Tn = valore residuo dell’azienda
RO = reddito operativo al netto delle imposte
i
= tasso di attualizzazione
Il tasso da utilizzare è costituito dal costo medio ponderato del capitale. Tale fattore deve rispecchiare la composizione della struttura finanziaria dell’azienda.
Tutto questo è possibile determinando il tasso della media ponderata dei costi
di tutte le fonti di capitale dell’azienda.
La formula per la stima del costo del capitale è la seguente:
i = [(t1 + r)m] + {[p (1 − z)] d}
dove:
t1 = tasso di rendimento degli investimenti privi di rischio;
r = remunerazione del rischio d’impresa;
m = percentuale dei mezzi propri sul totale del capitale investito;
p = valore del “prime rate” o del tasso che l’azienda può ottenere sul mercato finanziario;
z = aliquota d’imposta marginale;
d = percentuale dei debiti finanziari sul totale del capitale investito.
1.5
I metodi empirici
I metodi empirici, facendo principalmente riferimento al mercato, possono a loro
volta essere utilizzati quale riscontro a conferma delle valutazioni ottenute attraverso l’applicazione dei metodi fondamentali (reddituale e misto).
I principali approcci empirici comprendono il metodo del prezzo delle azioni
quotate in Borsa, le metodologie dei moltiplicatori e, infine, quella dei parametri
rilevanti per particolari settori (la testata nelle aziende editrici, la capacità di raccolta negli istituti finanziari, il portafoglio premi per le imprese assicurative ecc.).
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Anche con l’uso dei moltiplicatori si può determinare il valore economico di
un’azienda. Tale metodologia trova attualmente una buona diffusione soprattutto a
livello internazionale.
Si stima il valore dell’impresa utilizzando appositi coefficienti, moltiplicatori o
multipli, che si ottengono rapportando il valore di mercato di imprese similari a
quella da valutare alle loro grandezze contabili (utile netto, reddito operativo ecc.).
Ai fini della valutazione di un’impresa i multipli più diffusi sono:
− Price/Earnings (P/E) ratio
=
Prezzo della singola azione/Utile
netto per azione
− Multiplo del reddito operativo =
(Ebit)
Valore di mercato del capitale
azionario e del debito (Market
Enterprice Value)/Ebit
− Price/Sales (P/S) ratio
=
Valore di mercato del capitale
azionario e dei debiti/Fatturato
− Multiplo del margine operativo =
lordo (Mol)
Valore di mercato del capitale
azionario e del debito/Mol
− Price-Book Value ratio
Valore di mercato del capitale
azionario/Patrimonio contabile netto
=
Considerando le quotazioni di Borsa, la scelta dei valori di mercato di riferimento
non è difficile. Solitamente si tengono presenti periodi che variano da un giorno a
due settimane. Quando le quotazioni dell’impresa sono caratterizzate da notevoli
fluttuazioni non dovute a fattori economico-finanziari, è apprezzabile considerare
periodi temporali più estesi.
Relativamente ai valori contabili, per le società quotate, si possono utilizzare
sia i dati consuntivi dell’ultimo bilancio sia quelli previsionali elaborati dagli analisti di Borsa.
La rappresentatività dei valori rispetto alla situazione normale di lungo periodo
della società deve guidare la scelta.
Per le operazioni di corporate finance la metodologia dei moltiplicatori è particolarmente diffusa in presenza di operatori provenienti dai Paesi anglosassoni e
del nord Europa (a eccezione della Germania).
Operativamente la tecnica in oggetto è caratterizzata dalle seguenti fasi:
– individuazione delle imprese similari (comparabili);
– calcolo dei moltiplicatori considerando i valori di tali imprese;
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I METODI DI VALUTAZIONE
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– confronto delle caratteristiche e dei profili di rischio operativo/finanziario della
società da valutare e di quelle similari;
– scelta e applicazione dei moltiplicatori.
Attraverso l’utilizzo della metodologia dei moltiplicatori si cerca di individuare un
range di valori utili alla verifica delle elaborazioni analitiche (metodologie di base).
Le caratteristiche delle società similari ne guidano la scelta. Tali caratteristiche
possono riassumersi in:
– medesimi settori e mercati geografici;
– analoga posizione competitiva;
– simili dimensioni e caratteristiche relativamente a: fatturato; capitale investito;
tassi di crescita; strutture finanziarie ecc.
Nella realtà, tutte queste condizioni sono raramente presenti contemporaneamente,
pertanto il valutatore deve spesso procedere a modificare i multipli per mitigare gli
effetti delle differenze; tali operazioni non sono naturalmente prive di difficoltà. È
comunque importante notare come i prezzi delle azioni di società quotate siano influenzati dalla struttura proprietaria della società cui si riferiscono (scambi di pacchetti azionari di modesta entità influenzati da sconti di minoranza) rispetto a un
ipotetico loro valore economico.
Gli aspetti similari delle società considerate rispetto alla società da valutare
vengono integrati da considerazioni generalmente inerenti i suoi punti di forza (debolezza), fonti del vantaggio (svantaggio) competitivo. Trattasi della dinamica
delle vendite, dei risultati di bilancio, della redditività operativa, della struttura dei
costi e della leva operativa (solitamente riferiti agli ultimi tre anni). Non sono poi
da dimenticare le strategie di sviluppo e di diversificazione, le politiche di Ricerca
e Sviluppo (R&S) e di marketing.
Vediamo ora alcune caratteristiche di principali multipli usati a livello internazionale.
1. P/E ratio
Nell’applicazione di tale moltiplicatore è necessario che nel calcolo dell’utile si
proceda a:
– incorporare eventuali risultati infrannuali resi pubblici;
– neutralizzare gli effetti dei possibili cambiamenti nelle politiche contabili;
– eliminare costi o ricavi eccezionali.
Tali rettifiche devono essere considerate al netto del relativo effetto fiscale.
Se si valuta una società non quotata con l’uso dei moltiplicatori si deve ulteriormente:
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
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– esaminare le caratteristiche delle società similari;
– confrontare le caratteristiche delle imprese similari con quelle della società da
valutare, nonché considerare il loro possibile impatto sul valore e sulla capacità
prospettica di generare ricchezza per gli azionisti.
Solo in questo modo si potrà identificare un multiplo realmente significativo.
Una variante del P/E ratio è costituita dal Price/Cash Flow ratio, vale a dire:
V

U
dove:
V = Valore di mercato dei capitale azionario;
U = Utile netto di bilancio al netto di costi o proventi straordinari + ammortamenti.
Una variante del Price/Cash Flow ratio, che trova la sua giustificazione nel metodo di valutazione analitico del leverage cash flow, è rappresentabile dal seguente
rapporto:
V

Ui
dove:
V = Valore di mercato dei capitale azionario
Ui = Utile netto di bilancio al netto di costi o proventi straordinari +
Ammortamenti al netto degli investimenti +
Altri costi non monetari significativi quali gli accantonamenti netti al fondo TFR −
Investimenti in Working Capital.
Tale rapporto non è di facile determinazione; infatti, per eliminare eventi o condizioni destinati a non ripetersi, occorre un complesso lavoro di “normalizzazione”
dei flussi di cassa storici. Nella valutazione di imprese che operano in settori maturi e con flussi di cassa stabili il multiplo considerato è particolarmente adatto presentando i seguenti vantaggi:
– non è influenzato dalle differenze esistenti tra i vari Paesi nelle politiche e principi contabili sugli ammortamenti;
– il cash flow tende a essere più stabile degli utili contabili e meno sensibile all’adozione di politiche di bilancio.
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I METODI DI VALUTAZIONE
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2. Il multiplo del reddito operativo
Nell’utilizzare tale multiplo si deve tenere presente che:
1. il reddito operativo viene considerato nella sua interezza indipendentemente da
eventuali pertinenze di terzi;
2. si utilizza l’utile operativo al lordo delle tasse. Imprese similari operanti in Paesi diversi sono a volte soggette a sistemi di tassazione diversi, elemento distorsivo in caso di confronto;
3. sono necessari aggiustamenti dei multipli, calcolati sulla base dei dati relativi a
società quotate, in quanto trattasi di imprese con strutture finanziarie diverse
con differenti costi medi del capitale;
4. i multipli dell’Ebit devono essere adeguatamente corretti quando sono calcolati
con riferimento a imprese consolidate, rispetto a imprese che operano nel medesimo business ma con notevoli esigenze finanziarie dovute all’espansione in
corso.
Relativamente al primo punto, il problema può essere risolto con un approccio di
tipo sintetico o analitico.
Sintetico
Si considera l’utile operativo calcolato sulla base dell’incidenza delle interessenze
di terzi sul patrimonio netto complessivo (tecnica utilizzata solo nei gruppi caratterizzati da un limitato peso delle interessenze dei terzi).
Analitico
Si considera sempre un utile operativo tenendo presente il suo effettivo “assorbimento” da parte dei terzi (richiede una notevole disponibilità di informazioni non
sempre facilmente reperibili).
Alcuni esperti preferiscono utilizzare il Market Enterprise Value (margine operativo
lordo), una particolare variante del moltiplicatore del reddito operativo, vale a dire:
V

U2
dove:
V = Valore di mercato dei capitale azionario + Valore di mercato del debito finanziario
U2 = Utile operativo di bilancio + Ammortamenti
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
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Tale moltiplicatore permette di neutralizzare l’effetto delle differenti politiche di
ammortamento esistenti tra vari Paesi (largamente usato negli Usa nelle valutazioni di imprese operanti in settori altamente ciclici).
3. Il multiplo del fatturato
Il presupposto del P/S (Price/Sales) è rappresentato dalla redditività operativa.
Il multiplo delle vendite presenta problematiche simili al multiplo dell’utile operativo, in ogni caso i motivi del suo utilizzo sono:
– presenta una buona stabilità nel tempo;
– può utilizzarsi anche per valutare imprese in perdita;
– le vendite possono essere influenzate dalle politiche contabili solo in modo limitato.
Nell’applicazione del P/S ratio il fatturato può essere sostituito da grandezze ritenute più espressive del profilo operativo (portafoglio ordini, volume della raccolta
per le imprese operanti in alcuni settori particolari, imprese di engineering o di costruzioni, per il secondo, banche, istituti di credito e società di gestione di fondi
comuni di investimento).
4. Il multiplo del patrimonio netto
Il multiplo del patrimonio netto P/BV (Price/Book Value) è particolarmente usato
nella valutazione di banche e assicurazioni nazionali, con ingenti investimenti in
attività che producono redditi limitati fino al momento della loro dismissione.
Tale multiplo può indicarsi con il seguente rapporto:
V

PN
dove:
V = Valore di mercato del capitale azionario
PN = Patrimonio contabile netto
ovvero:
ROE − g

Ke − g
dove:
g = tasso di crescita atteso nel lungo termine dell‘utile netto
Ke = redditività richiesta dagli investitori.
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I METODI DI VALUTAZIONE
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La non adattabilità alle imprese internazionali è dovuta al fatto che i fattori che lo
determinano subiscono l’influsso delle diverse politiche contabili adottate.
Il P/BV ratio può egualmente indicarsi con il seguente rapporto:
F

R
dove:
F = Flussi di cassa attesi dal mercato
R = Risorse investite nell‘azienda.
A seconda delle grandezze rilevate, il rapporto può assumere i seguenti significati:
– rapporto = 1: i flussi attesi offrono un rendimento adeguato alle risorse investite
a titolo di capitale proprio;
– rapporto > 1: l’impresa sta producendo valore;
– rapporto < 1: l’impresa sta distruggendo valore.
II multiplo permette un’immediata analisi sulla capacità dell’impresa a creare valore, soprattutto in presenza di mercati azionari efficienti, ma presuppone una
stretta relazione tra i seguenti fattori:
– valore azionario di mercato e valore contabile;
– ROE e spread tra la redditività richiesta dagli investitori e il tasso di crescita atteso degli utili (Ke − g);
– valore attuale dei flussi di cassa attesi.
Dopo queste brevi considerazioni sull’uso dei moltiplicatori, ribadiamo come nella
valutazione di un’azienda si debbano utilizzare più multipli; nasce così un confronto tra un range di valori. Solo il moltiplicatore ritenibile più adatto in base alle
caratteristiche dell’impresa da valutare avrà maggior credito.
Distorsioni provocate da cambiamenti in politiche contabili o combinazione del
business possono richiedere, nel lungo periodo, delle normalizzazioni dei multipli.
A livello internazionale, a fini valutativi, delle linee guida da adottare nel calcolo
degli earnings per share, sono indicati nel documento SSAP 3.
I multipli possono essere utilizzati sia in operazioni di acquisizione sia di fusione presentando i vantaggi e gli svantaggi di seguito esposti.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
24
Vantaggi
Si riferiscono a valori che, quando caratterizzano transazioni relative a pacchetti di
controllo di una società, incorporano l’intero capitale azionario o i premi di maggioranza.
Svantaggi
– I valori registrati dalle operazioni straordinarie sono non tanto valori economici
quanto prezzi. Ne consegue una forte influenza dalle particolari condizioni di
negoziazione e dalle situazioni specifiche delle varie controparti;
– le informazioni sui risultati e sulla situazione economico-finanziaria delle società oggetto delle transazioni sono limitate;
– non sono generalmente resi pubblici i termini delle transazioni diversi dal
prezzo.
Metodologicamente nell’applicazione del metodo dei moltiplicatori a transazioni
del mercato dell’M&A (Merger and Acquisition), rispetto a quanto già osservato
per l’applicazione ai prezzi delle imprese quotate sui mercati borsistici, non vi sono differenze sostanziali.
Multipli significativi si ottengono individuando almeno 7-10 transazioni aventi
per oggetto imprese con caratteristiche simili a quelle dell’azienda da valutare. I
multipli sono determinati considerando la redditività dell’impresa, la crescita attesa degli utili, il suo rischio operativo e finanziario e il rendimento richiesto dagli
investitori. Tutto questo necessita di un’attenta considerazione alle differenze esistenti tra le imprese, cosa certamente di non facile attuazione pratica.
Spesso nei mercati finanziari più evoluti può essere fatto uso del metodo della
regressione sull’intera popolazione delle aziende quotate disponibili; tale metodologia può affiancare o essere alternativa all’impiego di società similari.
1.5.1
La valutazione dei beni immateriali
Come già indicato, gli strumenti metodologici tradizionali voluti dalla dottrina per
valutare le aziende possono essere classificati in:
– metodi sintetici, il valore di un’azienda si identifica con la sua capacità di produrre in futuro redditi o flussi finanziari netti;
– metodi patrimoniali, il valore dell’azienda è rappresentato dai valori correnti
dei beni patrimoniali;
– metodi misti, compromesso tra i primi due.
I metodi ritenuti maggiormente coerenti sono quelli sintetici anche se privi della
necessaria oggettività.
Il confronto tra metodi sintetici e analitici ha senso solo in presenza di una loro
omogeneità (si pensi ad aziende caratterizzate da ingenti beni materiali).
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I METODI DI VALUTAZIONE
25
Il discorso è diverso per le imprese il cui valore è prevalentemente dovuto a elementi immateriali (aziende a elevato contenuto professionale dove i veri punti di
forza sono rappresentati da beni immateriali come immagine, know-how tecnico e
portafoglio clienti). In questi casi sono particolarmente importanti nuove metodologie patrimoniali che considerano soprattutto i beni immateriali (metodi patrimoniali complessi). Con tali metodi si cerca di attribuire un valore anche alle risorse
aziendali basate sull’informazione, risorse di cui l’azienda può disporre, come:
– informazioni interne, know-how tecnologico, di marketing, produttivo, finanziario o manageriale;
– informazioni esterne, credibilità, reputazione, fiducia ecc.)
Le informazioni esterne si prestano molto meno a una analisi valutativa dei singoli
componenti rispetto alle informazioni interne. Per tali risorse deve rilevarsi come
in passato la prassi prevalente era quella di attribuire all’avviamento la parte del
valore aziendale non associabile a beni patrimoniali materiali. Tale soluzione era
del tutto irrazionale. Occorre pertanto ricorrere a metodologie che permettano anche la stima dell’entità dei beni immateriali singolarmente.
Diversi sono i problemi dovuti all’identificazione specifica di tali beni, operazione estremamente necessaria per la loro successiva valutazione. La linea di confine tra il concetto di bene immateriale e quello di avviamento è, infatti, piuttosto
sottile.
Altro aspetto molto importante da considerare è la necessità di evitare i rischi
di duplicazione dovuti alla natura dei presupposti che permettono l’identificazione
dei beni immateriali. Occorre considerare le possibili sovrapposizioni tra più elementi immateriali. Si pensi alle relazioni tra il know-how, le risorse umane, il possesso di licenze, l’immagine ecc.
Secondo la dottrina (vedi bibliografia) un bene immateriale può essere valutato
in modo autonomo quando contemporaneamente sia:
– oggetto di un significativo flusso di investimenti;
– origine di benefici economici differenti e valutabili;
– trasferibile (deve poter essere negoziato in modo autonomo).
Per esempio, relativamente al marketing, hanno autonoma trasferibilità:
–
–
–
–
–
–
i marchi;
il nome;
le quote di mercato;
i prodotti;
le reti di distribuzione;
il management ecc.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Anche se alcune di queste voci identificano spesso in modo diverso gli stessi concetti, considerando il requisito della cedibilità si elimina ogni rischio di duplicazione. La separata trasferibilità conferisce quindi una certa obiettività alla valutazione del bene immateriale rappresentando un valido parametro di riferimento per
individuarne l’utilità.
Il know-how
Il know-how può comprendere conoscenze e capacità manageriali nonché tecniche
particolari. Si tratta quindi di un bene immateriale eterogeneo le cui definizioni ne
circoscrivono spesso il contenuto. Gli aspetti principali che possono caratterizzare
il know-how sono:
– possibile transazione autonoma delle conoscenze;
– particolarità delle esperienze che solitamente caratterizzano le aree ricerca e
sviluppo, produzione e marketing (know-how tecnologico e di marketing);
– possibilità per il know-how commerciale di essere oggetto di valutazione patrimoniale (si pensi alla previsione del pagamento di royalties per l’utilizzo);
– idoneità delle conoscenze tecniche ad avere tutela giuridica (potenziale ottenibilità di una tutela brevettuale).
La valutazione del know-how: i criteri empirici
Come abbiamo già anticipato nella valutazione dei beni immateriali esistono diversi espedienti empirici, spesso, purtroppo, privi di qualsiasi fondamento. Tuttavia, le ragioni del loro utilizzo sono principalmente dovute alle notevoli difficoltà
nell’identificazione dei componenti patrimoniali secondo i classici schemi concettuali. Tali problematiche sono certamente molto forti per il know-how aziendale.
I criteri empirici sono validi solo se il mercato è idoneo a fornire le informazioni che si utilizzano (frequenza delle transazioni considerate, trasparenza degli
elementi effettivi delle singole transazioni, omogeneità); tali caratteristiche sono
però difficilmente riscontrabili nelle transazioni del know-how.
Le aziende con un elevato contenuto patrimoniale immateriale non costituiscono infatti ancora un vero e proprio mercato, in quanto caratterizzato da uno stadio
evolutivo troppo recente.
Il know-how possiede solitamente un valore autonomo dovuto alle sue caratteristiche; considerando pertanto la disomogeneità del bene, ogni riferimento a
precedenti transazioni sarebbe inopportuno. Per la valutazione del know-how,
quindi, i metodi empirici sono solitamente utilizzati proprio a causa delle difficoltà
ad adottare strumenti metodologici più rigorosi.
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I METODI DI VALUTAZIONE
1.5.2
27
Il criterio del costo
Anche per i beni immateriali, come per ogni altro componente patrimoniale, il criterio di valutazione di base deve considerare i redditi futuri dell’azienda. Nonostante ciò, la metodologia del costo ha ancora notevole applicazione per le seguenti ragioni:
– difficoltà operativa nell’adottare i metodi reddituali;
– natura pluriennale dei costi dei beni immateriali.
Aspetto particolare dei metodi di valutazione basati sul costo è l’individuazione
degli oneri relativi alla formazione del bene.
In proposito, se solitamente non si hanno problemi per individuare i costi, relativi al know-how tecnologico, altrettanto non può dirsi per il know-how di marketing dove l’area d’investimento non è solitamente già delineata come nella Ricerca
e Sviluppo). In questo caso infatti, deve prestarsi attenzione non solo all’area del
marketing bensì anche ad altre aree aziendali implicate.
Nell’applicare la metodologia del costo si può alternativamente ricorrere a:
– individuare il costo di produzione;
– stimare il costo di riproduzione.
Il costo storico adeguato
Salvi gli effetti inflazionistici, il metodo del costo storico adeguato si basa
sull’ipotesi che gli investimenti sostenuti per realizzare il bene immateriale siano
rappresentativi dei costi che si dovrebbero sostenere alla data della valutazione per
poterne disporre. Tale semplice ipotesi, che considera l’identità tra il costo storico
e il valore di rimpiazzo, è realistica solo in presenza delle seguenti condizioni:
– mancati cambiamenti, al momento della stima, del contesto economicoambientale nel quale si sono formati i costi storici;
– gli impieghi di risorse per acquisire o produrre il bene immateriale costituiscono investimenti remunerativi.
Nell’applicazione della metodologia del costo storico adeguato si incontrano difficoltà nella scelta dei costi da capitalizzare e degli oneri relativi a investimenti durevoli.
Per il know-how è particolarmente difficile riconoscere la natura incrementativa dei costi sostenuti; la formazione di tale bene immateriale è spesso caratterizzata infatti da un processo lento e graduale che, nel tempo, può aumentare il valore
della proprietà intellettuale.
Nell’applicare il metodo del costo si deve inoltre tener conto degli effetti inflazionistici poiché i valori considerati possono essere stati sostenuti in epoca lontana
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
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rispetto alla stima. Quanto sopra può essere operato attraverso indici espressivi del
variabile potere di acquisto della moneta.
Nel valutare i beni immateriali si deve inoltre considerare come, a differenza di
quelli materiali, non subiscano alcun deperimento fisico, mentre sono maggiormente sensibili allo sviluppo tecnologico del settore.
Rilevante diventa pertanto l’analisi della concorrenza: il know-how perde il suo
valore economico quando altre innovazioni lo superano tecnologicamente.
Il costo di riproduzione
La metodologia del costo di riproduzione considera l’ammontare degli oneri da
sopportarsi per disporre di un bene con le medesime utilità e potenzialità economiche del bene immateriale da valutare. Diventano quindi importanti le condizioni
attuali e prospettiche di ricostituzione del bene immateriale. Tale metodo si fonda
su presupposti più aderenti alla realtà soprattutto per quanto attiene il know-how in
relazione alla sua natura.
L’utilizzo del costo di riproduzione presuppone alcune ipotesi relative a:
– dimensione dei costi rilevanti;
– ampiezza dell’orizzonte temporale necessario per la formazione del bene.
I costi possono essere rilevati seguendo procedimenti analitici o sintetici.
Nel primo caso si identificano in modo dettagliato gli investimenti per la riproduzione dei beni immateriali e i tempi necessari. Il tasso di attualizzazione dovrà
essere determinato considerando il rischio dell’investimento.
Il costo di riproduzione dovrebbe inoltre tenere conto di possibili reazioni della
concorrenza, tuttavia, date le difficoltà, l’incertezza e la soggettività di tali previsioni, se ne trascura spesso la possibile evoluzione. È questa una fondamentale limitazione del metodo in oggetto.
In alternativa alla metodologia dei costi di riproduzione, possono essere usati
alcuni criteri empirici che considerano impossibile, per la formazione del bene
immateriale, distinguere, nell’ambito dei costi annuali, quelli di mantenimento rispetto a quelli incrementativi del valore del bene. In ogni caso l’investimento annuo da considerare deve quantificare le risorse necessarie al fisiologico nascere e
proseguire del processo economico di formazione del bene.
1.5.3
I metodi reddituali
La metodologia reddituale considera la capacità dei beni a produrre vantaggi economici futuri, pertanto deve ritenersi la più corretta concettualmente.
I principali fattori da quantificare sono:
– flussi di reddito futuri dovuti al bene immateriale;
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I METODI DI VALUTAZIONE
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– tasso di attualizzazione;
– orizzonte temporale.
Il flusso di reddito
La determinazione del flusso di reddito può avvenire sia con il procedimento indiretto sia con quello diretto.
Procedimento indiretto
Considera analiticamente (conti economici prospettici) gli elementi reddituali connessi al bene immateriale da valutare. Il reddito utile deve essere normalizzato per
poter esprimere la capacità reddituale prospettica.
Questo procedimento può essere usato solo quando l’opinabilità dei risultati è
accettabile; si devono poter limitare gli effetti legati alla presenza del bene immateriale a un’area aziendale sufficientemente autonoma.
Tutto questo è molto difficile per il know-how data la problematica connessa con
l’identificazione dei costi e ricavi di specifica pertinenza del bene estrapolandoli dai
conti economici storici e/o previsionali; sarebbe pertanto più corretto capire le conseguenze dovute all’assenza dei costi e dei ricavi relativi al bene immateriale.
Procedimento diretto
Quando è possibile si considera il dato reddituale con il conforto di un valore meno fondato su stime soggettive ma riferito al mercato.
Si ritiene che i vantaggi dovuti al bene immateriale non possano essere inferiori
a quanto l’imprenditore dovrebbe pagare a terzi per ottenerne la disponibilità (per
esempio con esposizione di royalties). La misura della remunerazione è pertanto
ritenuta espressiva del valore del bene immateriale.
1.5.4
Il tasso di attualizzazione
Il tasso di attualizzazione dei redditi, nella valutazione dei beni immateriali, deve
essere determinato in misura normalmente superiore a quello proprio dell’azienda
al fine di considerare il loro grado di rischiosità.
La determinazione del tasso dipende dalla tecnica utilizzata per quantificare i
risultati reddituali attribuibili al bene. Nel caso di normalizzazione e ponderazione
dei redditi in relazione al grado di verificabilità e sottoposizione ad adeguamento
monetario, il tasso da applicare dovrà essere pari a quello degli investimenti privi
di rischio depurato dagli eventuali effetti inflazionistici.
I fattori attribuibili alla misura del rischio insito nel singolo bene immateriale
possono essere:
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
– facilità di trasferimento: la possibilità di realizzare direttamente il bene in oggetto mediante cessione a terzi. Tale fattore è inversamente correlato al grado
di specificità del know-how rispetto all’azienda cui appartiene.
– stadio del ciclo di vita nel quale si colloca il know-how: è possibile delineare un ciclo di vita come per i beni materiali (se il know-how si trova in un ciclo di vita stabile il rischio da assegnargli è più modesto di quello relativo a uno stadio diverso);
– livello di appropriabilità: la vera forma di difesa dall’imitazione per i patrimoni di conoscenza è costituita dal grado di segretezza e dalle loro complessità
(sforzi particolarmente intensi per appropriarsi del bene);
– il rischio di deperimento economico: quando il bene è impiegato in un contesto
fortemente instabile, il rischio che vengano compromesse le sue potenzialità
economiche è certamente più elevato.
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2.
Problematiche particolari
Nel definire il valore economico di un’azienda l’esperto deve accuratamente scegliere la metodologia da usarsi con particolare attenzione alla definizione dei parametri. I parametri, particolarmente importanti nell’applicazione del metodo misto patrimoniale-reddituale con capitalizzazione limitata del sovra(sotto)reddito
(metodo UEC), sono sintetizzabili nei seguenti:
–
–
–
–
consistenza patrimoniale;
capacità di generare reddito;
definizione dell’orizzonte temporale;
definizione del tasso di capitalizzazione.
Come abbiamo già illustrato, il metodo patrimoniale-reddituale con capitalizzazione limitata del sovra(sotto)reddito permette di stimare il valore economico di
un’azienda integrando il patrimonio netto rettificato (patrimonio netto contabile a
valori correnti), con il valore eventuale del goodwill o del badwill. È pertanto necessario attualizzare, in un arco di tempo significativo e utilizzando un tasso appropriato, il differenziale di redditività che l’azienda è in grado di generare. Il valore del capitale economico viene determinato attraverso la seguente formula:
W = K + (R − i K) a n i’
dove:
W = Valore del capitale economico
K = Patrimonio netto rettificato
R = Reddito medio normale atteso
i = Tasso di rendimento
i’ = Tasso di attualizzazione
n = Orizzonte temporale.
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32
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
La scelta dei parametri influisce sulla determinazione del valore economico dell’azienda. In ogni caso, cercheremo di evidenziare le difficoltà riscontrabili nella
determinazione:
1. del saggio di remunerazione (i);
2. dell’orizzonte temporale (n);
3. del tasso di attualizzazione (i’).
1. Il saggio di remunerazione
Il saggio di rendimento normale di settore esprime i1 livello di remunerazione
giudicato soddisfacente da un generico investitore che intenda impiegare il proprio capitale nelle attività in cui opera l’azienda da valutare (costo opportunità
del capitale). Sul piano operativo, definire la misura di tale saggio è abbastanza
problematico.
Non è difficile immaginare come la scelta dipenda principalmente dalla sensibilità dell’esperto, interprete attento degli orientamenti espressi dal mercato dei
capitali aziendali in condizioni di equilibrio.
In Italia i fattori che possono rendere particolarmente difficile tale interpretazione possono sintetizzarsi nei seguenti:
– particolarità delle operazioni e delle correlate condizioni di negoziazione realizzate nei mercati dei capitali di rischio (fattori difficilmente ripetibili);
– difficoltà di accedere a informazioni rilevanti (dati realmente espressivi degli
orientamenti generali del mercato).
Proprio per i motivi esposti l’interpretazione dei dati di mercato è spesso influenzata dai giudizi soggettivi dell’esperto (possibili discrezionalità non controllabili).
In queste condizioni si potrebbe ritenere come, in linea teorica, l’uso di fattori
quali quelli espressi dal mercato finanziario, fattori obiettivi e imparziali, dovrebbe poter limitare l’eccessiva soggettività. Potrebbe essere quindi utile
l’osservazione del Price/Earning, moltiplicatore di borsa mediamente espresso
dalle aziende operanti nello stesso settore di attività di quella da valutare.
Il P/E indica il “valore” di un’azienda considerando il livello di reddito che è in
grado di generare; il suo reciproco è pertanto il saggio di capitalizzazione dell’utile
aziendale implicito nel prezzo quotato dal mercato; a livello medio di settore è il
rendimento che il mercato finanziario giudica normale.
Se la tecnica dei moltiplicatori si presta a ridurre l’eccessiva soggettività del
valutatore, non si deve comunque credere, come abbiamo già evidenziato, che sia
priva di aspetti negativi e critiche varie.Tra queste il confronto intrinseco tra prezzo corrente, espressivo di condizioni e attese, rispetto all’utile contabile. Ne consegue come sarebbe certamente più significativo correggere il moltiplicatore rapportando al prezzo la redditività media normale attesa.
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PROBLEMATICHE PARTICOLARI
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Altro limite concettuale, che caratterizza la metodologia dei moltiplicatori nella
definizione del tasso di rendimento normale di settore (i), consiste nel considerare
i prezzi del mercato (quotazioni). Il tasso di rendimento viene pertanto determinato
riferendosi a quello implicitamente riflesso nel valore di mercato del capitale aziendale espresso dalla Borsa. Non si deve dimenticare però come il valore economico e quello di mercato quantifichino il patrimonio netto aziendale in base a
prospettive diverse. Il valore economico esprime il valore strategico dell’investimento azionario secondo una valutazione generale che non considera le
relazioni tra domanda e offerta.
Il valore di scambio attribuibile al capitale proprio aziendale è invece considerato dal valore di mercato. Pertanto il tasso riflesso dal mercato considera una diversa prospettiva esprimendosi, per le società con titoli quotati, dai prezzi negoziati nell’ambito di mercati finanziari organizzati.
Le quotazioni sono però anche l’espressione di variabili e fenomeni estranei alla situazione economica dell’azienda, ne consegue come i prezzi quotati sono
spesso dovuti a circostanze non sempre coincidenti con quelle che concorrono alla
determinazione del valore economico del capitale.
Da quanto abbiamo detto non può che conseguire come il tasso di rendimento
normale del settore, ottenuto in base all’osservazione del Price/Earning, se può
avere il pregio di circoscrivere i margini di soggettività del valutatore, ha il difetto
di basarsi su un approccio concettualmente improprio. Viste pertanto le limitazioni
di questo parametro deve concludersi come sia certamente più idoneo considerarlo
quale dato oggettivo, utile fattore di orientamento per la scelta del tasso di rendimento normale di settore.
Non si deve comunque dimenticare che, in generale nell’applicare la tecnica dei
moltiplicatori, occorre procedere a individuarli in base alla loro idoneità all’uso che
si intende farne. Tale caratteristica è strettamente connessa al grado di efficienza del
mercato finanziario in cui si formano i valori che costituiscono gli stessi indicatori.
Le carenze strutturali e funzionali che ancora caratterizzano la Borsa italiana
rendono i dati che vi vengono mediamente espressi limitatamente significativi.
L’esperto può quindi procedere a configurare il Price/Earning del settore che lo
interessa selezionando opportunamente le imprese che ritiene maggiormente rappresentative (considerazioni soggettive). In caso contrario potrebbe utilizzare Price/Earning indicati da mercati finanziari efficienti, solitamente attraverso la
stampa economica.
L’analisi congiunta di entrambi gli approcci proposti potrebbe rappresentare la
metodologia più corretta.
2. L’orizzonte temporale di riferimento
La presenza di un sovrareddito o di un sottoreddito è determinata dal confronto tra
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
il reddito medio-normale che l’impresa è in grado di generare e il livello di remunerazione giudicato soddisfacente, in base all’entità dell’investimento. Ne consegue che un altro parametro particolarmente significativo è costituito dalla definizione
dell’arco temporale in cui si crede che il differenziale di redditività potrà manifestarsi. Trattasi del tempo necessario per riallineare il livello di redditività specifico
dell’impresa da valutare a quello normale del settore cui appartiene. In generale la
più autorevole dottrina e la pratica hanno identificato il periodo cui estendere
l’osservazione del differenziale di reddito in un range di 3/5 anni. Negli anni più recenti tale convenzione è stata spesso resa più analitica da approcci diversi che considerano la presenza di un sovrareddito o di un sottoreddito.
In caso di goodwill il crescente rilievo attribuito al profilo reddituale, rispetto a
quello patrimoniale, ha portato a ritenere che l’assunzione del range indicato provochi una sottovalutazione aziendale.
Si tende pertanto a elevare l’orizzonte temporale nella valutazione delle aziende che, in rapporto al loro patrimonio, offrono livelli di reddito particolarmente elevati e stabili, dovuti a vantaggi competitivi. In questi casi l’arco temporale può
arrivare fino ai 10 anni.
Margini reddituali relativamente stabili per un certo numero di anni possono
caratterizzare, a titolo di esempio, società di leasing e compagnie di assicurazione
(in relazione naturalmente ai rami esercitati), nelle quali rispettivamente il portafoglio contratti e il portafoglio premi garantiscono, in presenza di un certo equilibrio tra struttura della raccolta e struttura degli impieghi, margini prospettici durevoli. Anche le società che in genere raccolgono risparmio, come le banche, sono
caratterizzate da condizioni analoghe in presenza di una raccolta stabile opportunamente impiegata.
Analoga tendenza si segue nel valutare le imprese caratterizzate dalla presenza di
beni immateriali con rilievo autonomo. Anche in tali casi si utilizzano ampi orizzonti
temporali in considerazione del ciclo di vita del bene che distingue l’impresa. Ciò
può essere naturalmente indipendente dalle capacità reddituali dell’azienda.
Quando le previsioni reddituali ricoprono periodi abbastanza lunghi, aumenta
comunque il grado di incertezza dei flussi futuri. Tale considerazione non deve naturalmente essere dimenticata nella scelta del tasso di attualizzazione.
In ogni caso, come abbiamo già indicato, la scelta dell’orizzonte temporale richiede un approccio differente in relazione alla presenza o meno di un badwill.La
presenza di un badwill testimonia una situazione di anti-economicità della attività
imprenditoriale che, purtroppo, non è in grado di remunerare congruamente i capitali investiti.
In tali situazioni si deve cercare, in breve tempo, di recuperare le condizioni
che assicurano una soddisfacente redditività (in caso contrario, si potrebbe arrivare
al dissesto aziendale). L’orizzonte temporale generalmente considerato viene così
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PROBLEMATICHE PARTICOLARI
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ricompreso in un periodo tra tre e cinque anni, in base a informazioni specifiche
dei piani di ristrutturazione (tempo necessario per ripristinare un livello di redditività).
In presenza di piani di intervento ben definiti, l’orizzonte che considera la durata del sottoreddito può anche essere contenuto nel limite dei tre anni con un tasso
di attualizzazione prudenziale.
L’arco temporale può essere limitato anche nelle società appartenenti a grandi
gruppi dove si può ragionevolmente prevedere che la redditività sia recuperabile in
tempi brevi anche mediante la riallocazione di risorse all’interno del gruppo. In
questi casi, a scopo prudenziale, l’orizzonte temporale del sottoreddito solitamente
può aggirarsi intorno ai 5 anni.
3. Il tasso di attualizzazione
Il tasso di attualizzazione non determina il segno del sovra(sotto)/reddito ma, insieme agli altri parametri, ne condiziona il profilo quantitativo.
Il tasso di attualizzazione dovrebbe rappresentare il puro compenso finanziario
per il trascorrere del tempo. Tale tasso è quindi indipendente dal rischio specifico
dell’impresa e si collega a parametri finanziari relativi a investimenti privi di rischio quali, a titolo di esempio, il tasso di rendimento dei titoli dello Stato.
Da non dimenticare, tuttavia, come alcuni ritengano che il tasso di attualizzazione debba invece riflettere il rischio presente nella possibilità del mancato conseguimento di un determinato goodwill. Sulla base di tali considerazioni questo
parametro dovrebbe riflettere il rischio relativo a possibili cambiamenti nel tempo
della posizione competitiva dell’azienda.
In merito a tale approccio si deve rilevare come l’aleatorietà dei flussi di reddito futuri (rischiosità specifica di impresa) sia già riflessa nel profilo reddituale (R)
e, pertanto, considerare la rischiosità anche nella definizione del tasso di attualizzazione equivarrebbe a una duplicazione.
In ogni caso, neutralizzando questo aspetto, se si vuole comunque procedere alla determinazione di un tasso di attualizzazione che rifletta anche il rischio
dell’impresa, si deve prima rilevare il saggio di rendimento normale del settore.
In presenza di una redditività superiore alla norma, il tasso di attualizzazione si
può ottenere aumentando il tasso di rendimento normale del settore da uno a quattro punti percentuali in relazione ai seguenti fattori:
– livello di aleatorietà che caratterizza la realizzabilità del sovrareddito, tenuto
conto della posizione competitiva dell’impresa;
– estensione dell’orizzonte temporale di osservazione (n) del sovrareddito.
Naturalmente, in presenza di un badwill, non vi è l’esigenza di elevare il tasso di
attualizzazione rispetto a quello di rendimento.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Considerando l’opportunità di determinare la misura del tasso di attualizzazione elevando il rendimento normale di settore, gli orientamenti più diffusi in presenza di un sottoreddito consistono nel riconoscere al tasso di attualizzazione la
funzione esclusiva di ricondurre i valori futuri al momento cui la stima si riferisce.
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3.
La scelta dei metodi
Sulla base delle caratteristiche dell’azienda oggetto di valutazione si dovrà individuare il metodo che meglio può rappresentare il “valore economico” dell’azienda.
Naturalmente nella scelta si deve tenere presente l’idoneità a rilevare una misura del capitale che sia razionale, dimostrabile, oggettiva e non priva di stabilità nel
tempo. In pratica la valutazione deve aversi attraverso un processo logico, condivisibile, esprimibile attraverso una formula le cui variabili siano supportate da dati
controllabili. Le scelte devono essere dimostrabili in modo oggettivo, limitando
pertanto al minimo l’influenza soggettiva del valutatore.
Nella relazione di stima dovranno sempre indicarsi i motivi che hanno guidato
le scelte dei criteri di valutazione adottati, tenendo presente che spesso un metodo
base può essere supportato da un metodo di controllo.
Già abbiamo indicato come la scelta dovrà considerare diversi fattori tra cui,
oltre allo scopo della valutazione, anche e soprattutto le caratteristiche
dell’impresa con particolare riferimento al settore in cui opera.
Per le aziende industriali, i metodi misti “patrimoniali/reddituali con stima autonoma del goodwill (o badwill)” sono solitamente da preferire nelle aziende redditizie. In presenza di scarsi redditi potrebbe invece essere meglio adottare un metodo misto patrimoniale semplice con rivalutazione controllata. Quando poi ci si
dovesse trovare di fronte ad aziende in perdita si potrebbe ricorrere a un metodo
misto patrimoniale semplice o anche complesso (dove i beni immateriali sono solitamente costituiti da marchi e tecnologia) con rivalutazione controllata e stima autonoma del sottoreddito (badwill).
Se quanto esposto può costituire il criterio di riferimento, non deve dimenticarsi come il metodo di controllo possa a sua volta essere costituito dalla metodologia
reddituale o da quella patrimoniale semplice se non da comparazioni di mercato
(vale a dire dai seguenti metodi: delle società comparabili; del confronto diretto
con i prezzi di società comparabili a ristretta base azionaria e del break-up).
Nelle aziende commerciali, al contrario di quelle industriali, ci si orienta soprattutto verso il metodo misto patrimoniale complesso con stima autonoma del
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
goodwill o (badwill); in tali situazioni particolare importanza può rivestire la necessaria autorizzazione a operare (licenza).
Anche in tali aziende le metodologie di controllo possono essere costituite da
comparazioni con il mercato, metodi reddituali, patrimoniali complessi, nonché
empirici. Con i metodi “patrimoniali/reddituali” la valutazione considera, oltre al
valore dei beni, anche il relativo sfruttamento economico utile per l’ottenimento
dei redditi futuri.
Al contrario i metodi “patrimoniali/finanziari” si basano sulla stima del ritorno
finanziario dell’investimento atteso.
Mentre i metodi finanziari e reddituali considerano gli accadimenti futuri, i metodi patrimoniali si concentrano sui valori attuali. Nella pratica il metodo finanziario è utilizzato nelle valutazioni volte a determinare un valore di negoziazione per
un ipotetico acquirente dotato di risorse tali da poter modificare la struttura finanziaria dell’azienda acquisita al fine di massimizzare i risultati.
Analogamente la metodologia finanziaria potrebbe trovare impiego nelle operazioni di conferimento aziendale dove il valore dell’azienda conferita si identifica
con il suo capitale di rischio.
In pratica si deve tenere presente come sia i metodi finanziari che talune metodologie reddituali, in quanto legate a previsione di lungo termine e a performance
ancora da dimostrare, hanno puramente una natura potenziale.
Considerando poi i settori speciali si rileva come per le aziende creditizie il metodo valutativo più consono, dovendo considerare il “valore della raccolta”, sia
quello misto patrimoniale complesso con stima autonoma del goodwill o badwill.
Le metodologie di controllo a loro volta potranno essere rappresentate da comparazioni con il mercato o da metodologie reddituali.
Il metodo misto patrimoniale complesso con stima autonoma del goodwill o badwill è egualmente la metodologia principale da adottarsi nelle valutazioni delle aziende di assicurazione, dove si cerca di stimare il valore del portafoglio premi. Tale
metodo è soggetto a controllo attraverso comparazioni di mercato. Per le imprese di
assicurazione le metodologie finanziarie possono consistere in metodi potenziali che,
tenendo opportuna considerazione dei relativi limiti, sono a volte applicati.
Data l’importanza dell’elemento patrimoniale, deve rilevarsi come il metodo
patrimoniale semplice sia di gran lunga quello adottabile sia per le società immobiliari sia per le holding pure che non costituiscono la capo-gruppo. Invece la metodologia patrimoniale complessa con stima autonoma del goodwill è certamente
più idonea nelle holding pure e miste che rappresentano la capo-gruppo. Infine,
piccole aziende del settore commerciale e professionale possono, a loro volta, essere opportunamente considerate, anche se non valutate relativamente al loro capitale economico, facendo ricorso alle metodologie empiriche.
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LA SCELTA DEI METODI
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Quanto illustrato evidenzia chiaramente come la dottrina (vedi bibliografia)
abbia in generale espresso una certa preferenza per l’applicazione dei metodi misti
patrimoniali reddituali, considerandone le caratteristiche volte a tener conto sia
dell’elemento patrimoniale che di quello reddituale.
I metodi reddituali puri sono invece considerati come una valida metodologia
di controllo del metodo principale utilizzato, funzione che viene egualmente attribuita anche alle comparazioni con il mercato soprattutto quando alcune incertezze
caratterizzano la metodologia di base.
A loro volta i metodi finanziari possono essere usati quali metodi di base solo
quando i dati su cui si basano sono abbastanza credibili e soprattutto oggettivi
(controllabili); in caso contrario anche tali metodologie potranno unicamente essere usate quali metodi di controllo.
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4.
La valutazione dei gruppi aziendali
Gli scambi e i legami esistenti tra le imprese sono sempre frutto di rapporti che nascono tra loro e l’ambiente che le circonda. Le moderne economie hanno portato a
forme di integrazioni e aggregazioni particolari tra le imprese, soggetti giuridicamente indipendenti ma spesso legati da complessi rapporti di partecipazione. Le
“società multinazionali” sono infatti organizzazioni che spesso, attraverso una gestione unitaria delle risorse, operano in diversi paesi attraverso loro controllate.
Per potersi avere quindi, in linea di massima, un gruppo aziendale, devono essere presenti i seguenti elementi:
– una pluralità di aziende, giuridicamente distinte, caratterizzate da una struttura
societaria;
– rapporti di partecipazione tra le aziende e la società “capogruppo”, comune
soggetto economico.
In questa situazione è particolarmente importante conoscere, sia per i soggetti che
costituiscono il gruppo sia per i terzi che vi intrattengono rapporti, le sue consistenze patrimoniali e finanziarie nonché la sua potenziale redditività. Questa funzione informativa può in parte ottenersi attraverso il bilancio consolidato quale
supporto al bilancio d’esercizio della società controllante. L’informazione è quindi
il principale scopo del bilancio consolidato.
I bilanci delle singole società appartenenti a un gruppo economico, non sono
sufficienti a fornire adeguate informazioni sulla consistenza patrimoniale, finanziaria ed economica del gruppo; ne consegue la necessità di predisporre un documento che consenta una visione unitaria delle diverse società.
Il bilancio consolidato deve quindi evidenziare quantitativamente e qualitativamente il patrimonio e il reddito del gruppo cui si riferisce. Le aziende appartenenti a un gruppo, anche se continuano a mantenere una vera e propria autonomia
giuridica, costituiscono, di fatto, un’unità unica nel cui ambito il ruolo informativo
assunto dal bilancio consolidato diventa essenziale sia per i soggetti interni sia per
quelli esterni. Le informazioni sul gruppo consentono migliori decisioni nelle scel-
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
te gestionali per dirigerlo in modo unitario, con particolare attenzione alla sua redditività. Per i gruppi aziendali, nell’individuare gli scopi, le politiche o nel valutare
l’andamento gestionale, non ha senso considerare le singole aziende, bensì l’entità
nel suo insieme.
Il bilancio consolidato è quindi uno strumento utile per l’informativa interna e,
soprattutto, un documento necessario ai terzi ormai tutelati da una normativa civilistica che ne ha affermato l’imposizione.
Ma considerare il gruppo nel suo insieme non è un approccio idoneo solo nelle
scelte gestionali interne e per le informazioni utili ai terzi. Tale modo di procedere
può assumere rilevanza anche per quanto attiene le valutazioni d’azienda. Il gruppo non dovrebbe essere valutato considerando le singole aziende, bensì l’intera entità nel suo insieme, tenendo presente pertanto i punti di forza e di debolezza e le
sinergie che si riescono a creare.
Da quanto sopra deriva che, per l’approccio patrimoniale alle valutazioni o per
quello reddituale, il punto di riferimento dovrebbe rispettivamente essere costituito
dal patrimonio e dai flussi di reddito previsti per il gruppo. Diventa pertanto particolarmente importante la conoscenza del gruppo indipendentemente dalle sue caratteristiche giuridiche, quindi quale entità rappresentante una vera e propria realtà
economico-aziendale.
Tale realtà si può presentare nelle più svariate e articolate forme e può operare
in mercati anche altamente diversi. In ogni caso per comprendere il risultato della
gestione del gruppo e l’attendibilità delle sue proiezioni future, al fine di valutarle
e apprezzarle in modo corretto, occorre in generale conoscerne:
–
–
–
–
il settore e il mercato in cui opera;
l’articolazione;
la natura;
l’organizzazione interna.
Naturalmente la valutazione del gruppo deve tenere presenti quegli aspetti e quei
valori in più che le diverse aziende che lo costituiscono realizzano quando sono viste come un’unica entità.
Da questo concetto non può che derivare come la stima minima di un gruppo
sia costituita almeno dalla sommatoria dei valori delle singole aziende che lo
costituiscono (dopo averli comunque depurati da eventuali operazioni infragruppo).Tale valore sarebbe infatti il valore minimo ottenibile poiché non considera i
maggiori valori realizzabili dalle sinergie presenti nelle aziende che costituiscono
il gruppo.
Quanto alle metodologie di valutazioni applicabili non entreremo più nel loro
merito in quanto nulla vi è di diverso rispetto a quanto già indicato con
l’illustrazione delle valutazione riferibili alle singole aziende; ci sia consentito tuttavia fare alcune considerazioni specifiche.
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LA VALUTAZIONE DEI GRUPPI AZIENDALI
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Le valutazioni economiche-reddituali, spesso limitate dalle incertezze gravanti
sulle previsioni, acquistano una migliore attendibilità se applicate nelle valutazioni
di gruppi dove i piani triennali, non sempre presenti per le singole aziende, trovano
invece un più facile riscontro. Nell’applicazione della metodologia la valutazione
del rischio spesso relativo al perdurare della redditività deve considerare non ogni
singola azienda bensì il rischio relativo al gruppo nel suo insieme. Il consolidamento costituisce pertanto un documento essenziale per applicare le diverse metodologie di valutazione.
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5.
I redditi attesi
I metodi più coerenti con la teoria tradizionale del valore sono quelli sintetici (reddituali e finanziari), metodi spesso trascurati a vantaggio dell’esigenza di fare uso
di parametri estremamente oggettivi.
Come abbiamo già indicato nella parte relativa ai diversi metodi di valutazione
il metodo reddituale puro è quello che meglio si presta sul piano concettuale per
valutare il capitale economico di un’azienda. È questo l’unico modo possibile per
avere una chiara conoscenza della capacità e potenzialità dell’azienda a produrre
redditi.
Nonostante tale grosso pregio della metodologia reddituale, la sua applicazione,
eccetto che nei paesi anglosassoni, non ha ancora avuto una diffusa applicazione a
causa delle incertezze presenti nella determinazione delle variabili. In passato è
spesso risultata particolarmente complessa e aleatoria la determinazione del reddito normalizzato.
Se è pur vero che è possibile avvalersi delle proiezioni dei risultati storici, deve
altresì tenersi presente come spesso tali risultati non siano, in relazione alle differenti situazioni, idonee rappresentazioni delle potenzialità future dell’azienda.
L’azienda è un istituto dinamico che opera nell’ambiente sociale che influenza
e dal quale, a sua volta, viene influenzata. I comportamenti che vengono posti in
essere al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati, devono tenere conto oltre che
delle caratteristiche dell’azienda della realtà in cui essa opera.
In questo contesto, considerando l’evoluzione dell’ambiente sociale, risulta evidente come la stessa debba necessariamente essere accompagnata da un adeguamento della situazione della società. Naturalmente la situazione storica può costituire una valida base per valutare la possibile reazione della società alla situazione ambientale, le sue performance e capacità di adattamento; tuttavia, non molto realistico sarebbe ipotizzare il futuro sulla base di una situazione storica statica.
Occorre proiettare gli accadimenti passati cercando di prevedere l’evolversi
delle variabili ambientali e aziendali. In tale ottica è chiaro come il punto di partenza sia immaginare l’evoluzione della realtà ambientale che circonda l’azienda,
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
capire quali dovrebbero essere i suoi comportamenti in risposta e in relazione alle
sue capacità e quali le conseguenze pratiche di tali azioni al fine di perseguire
obiettivi realistici.
In termini pratici solitamente gli obiettivi sono evidenziati attraverso opportuni
budget a loro volta frutto di piani di previsione di più lungo periodo. Perché i budget siano sempre più realistici nel tempo il sistema di previsione e di controllo
deve essere particolarmente raffinato. Proprio questo punto, soprattutto negli anni
passati, ha presentato notevoli problemi a causa delle incapacità tecniche degli operatori a formulare appropriati budget. Perché i budget siano attendibili occorre
che l’azienda venga organizzata in modo tale da garantire:
– uno studio sui prevedibili sviluppi della realtà in cui opera;
– l’individuazione di ottimistici obiettivi da raggiungere in relazione all’evolversi
dell’ambiente;
– la scelta di possibili strategie da porre in essere per realizzare lo scopo;
– il costante e periodico controllo degli obiettivi raggiunti rispetto alle previsioni
(controllo di gestione);
– l’indicazione di nuovi obiettivi sulla base dell’esperienza maturata.
Quanto sopra è realizzabile solo se sono presenti in azienda operatori in grado di
affrontare tali problematiche assistiti da un’organizzazione idonea allo scopo.
Negli anni passati tali condizioni erano pressoché inesistenti soprattutto nella aziende di piccole e medie dimensioni. Condizioni migliori si verificavano in aziende di dimensioni medio grandi spesso appartenenti a gruppi internazionali dove il controllo di gestione ha sempre rappresentato una funzione particolarmente
rilevante.
Naturalmente, dove tali condizioni non si verificavano o erano comunque più
carenti, particolarmente difficile diventava formulare previsioni sul possibile evolversi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’azienda e la conseguente individuazione delle strategie più opportune da porre in essere. È chiaro
che, in questi casi, arrivare a formulare previsioni sui redditi attesi diventava particolarmente difficile e aleatorio e, pertanto, nel valutare le aziende l’uso di una metodologia reddituale pura poteva avere unicamente una migliore logica teorica ma,
da un punto di vista pratico, risultare priva di qualsiasi attendibilità.
Proprio per questo motivo il metodo reddituale è stato spesso abbandonato a
favore del più attendibile metodo misto che considerava egualmente la componente patrimoniale dell’azienda. Ma se le motivazioni di tale prassi erano quelle esposte, deve tuttavia riconoscersi come oggi buona parte delle limitazioni sopra descritte non siano più del tutto valide.
I bilanci seguono oggi regole analitiche più precise e schematiche. Questo consente una migliore analisi dell’effettiva situazione aziendale la cui conoscenza deve permettere tutte quelle azioni volte a raggiungere gli obiettivi prefissati.
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I REDDITI ATTESI
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Quanto sopra dovrebbe essere confortato dalla sempre maggiore importanza
che viene data alla funzione del controllo di gestione volta a permettere una migliore analisi degli effetti dovuti agli accadimenti aziendali. Tale sviluppo sta creando, all’interno dell’azienda, tutte quelle condizioni che permetterebbero uno
studio migliore della sua situazione reale e delle previsioni sul suo evolversi.
Oggi la possibilità di determinare i redditi attesi, quantomeno nel breve periodo, con un certo grado di attendibilità sul loro evolversi in relazione ai cambiamenti che possono interessare le diverse variabili, rende certamente l’applicazione
del metodo reddituale più vicina alla realtà aziendale.
È chiaro comunque che, nel decidere se ricorrere o meno al metodo del reddito
puro, il valutatore non può prescindere dal considerare la presenza o meno di tutte
quelle condizioni evidenziate che rendono nel tempo più attendibili le previsioni
formulate soprattutto con riferimento alla determinazione dei redditi medi normalizzati.
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6.
Effetti fiscali
Nelle valutazioni d’azienda risulta ugualmente rilevante considerare le influenze
sul valore economico dovute alle rettifiche di natura fiscale attribuibili alle possibili plusvalenze o minusvalenze che potrebbero emergere. Si tratta di riflettere,
nella pratica, su come il valore economico di un’azienda possa variare in considerazione della sua situazione fiscale.
Per quanto attiene alle rettifiche contabili devono farsi alcune considerazioni
analitiche sui valori che costituiscono l’attivo e il passivo patrimoniale per accertarne la loro conformità alla normativa civilistica e ai principi contabili di riferimento. Si pensi alla necessità di operare una migliore integrazione del fondo svalutazione crediti al fine di rispettare il criterio del “possibile valore di realizzo”.
Tali considerazioni possono provocare rettifiche dei valori patrimoniali con conseguenti effetti fiscali. L’analisi potrebbe spingersi fino al punto di dover rilevare
potenziali passività di natura fiscale, tuttavia solitamente tale fattore è spesso di
difficile determinazione a causa della relativa aleatorietà.
Spesso delle passività potenziali si tiene conto in modo indiretto, facendo uso
di opportune clausole contrattuali volte a scaricare totalmente sul cedente gli oneri
e le conseguenze negative legate al verificarsi dell’evento considerato.
Gli effetti reali delle rettifiche fiscali possono essere diversi a secondo che si
attui una cessione di azienda in senso oppure rispetto a un trasferimento di titoli
rappresentativi del capitale sociale o, ancora, un conferimento.
Le rettifiche extracontabili considerano egualmente sia i valori patrimoniali che
quelli reddituali o il trasferimento di altri diritti e obblighi. Relativamente ai valori
patrimoniali le rettifiche sono generalmente volte ad adeguare il valore contabile
dei beni al loro valore corrente nella considerazione che il costo storico sul quale
si basa la redazione del bilancio non è, con l’andare del tempo, indicativo del valore reale.
Anche in questo caso gli effetti fiscali possono essere diversi a seconda che si
tratti di cessione diretta dell’azienda o indiretta, vale a dire attraverso i titoli rappresentativi del suo capitale.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Nel caso di cessione di azienda, l’acquirente può prendere in carico i beni espressi a valori correnti beneficiando spesso della possibilità futura di dedurre oneri superiori con i connessi risparmi di imposte; tale situazione non si verifica
quando la cessione si realizza attraverso la vendita di azioni o quote che rappresentano il capitale dell’azienda.
Nonostante la logica delle considerazioni esposte, deve rilevarsi come, nel determinare il valore teorico di un’azienda, si deve pervenire all’individuazione di un
valore per il quale a un potenziale acquirente dovrebbe rimanere del tutto indifferente acquistare i beni che costituiscono il complesso aziendale o acquistare i titoli
relativi al suo capitale.
Tuttavia, nella trattazione, non può non tenersi presente come il vantaggio o lo
svantaggio fiscale non sia un fattore di facile negoziazione e, di conseguenza,
condizionante il prezzo dell’azienda. D’altra parte, nella sostanza, si tratta anche di
un elemento di cui il valutatore non può non tener assolutamente conto senza considerare i fini relativi alla determinazione del valore dell’azienda.
Deve ritenersi che il “valore teorico” di trasferimento di un’azienda attraverso
la cessione dei titoli che rappresentano il suo capitale, valore al netto delle rettifiche fiscali, deve corrispondere al costo effettivo relativo all’acquisto di una azienda attraverso la cessione dei beni che ne compongono il complesso.
Supponiamo infatti di avere la seguente situazione contabile relativa a un’azienda oggetto di negoziazione (valore in milioni):
Attivo
Beni materiali 1.000.000
Passivo
Patrimonio netto
1.000.000
il valore corrente sia così rappresentabile:
Attivo
Beni materiali 2.000.000
Passivo
Patrimonio netto
di cessione
2.000.000
In questo caso con la cessione del complesso aziendale l’acquirente potrebbe
prendere in carico, contabilmente, i beni materiali per un valore di 2.000.000
assoggettando quindi ad ammortamento il maggior valore e ottenendo, in questo
modo, un risparmio d’imposta che, per una società di capitali potrebbe quantificarsi come segue (valori in milioni):
Valore di cessione
2.000.000
− valore contabile
1.000.000
maggior valore ammortizzabile
1.000.000
risparmio fiscale (41,25%)
412.500
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EFFETTI FISCALI
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Si deve pertanto rilevare che l’acquisizione diretta dell’azienda a un valore di
2.000.000 corrisponde al suo acquisto indiretto (attraverso i suoi titoli) a un prezzo
pari a 1.587.500 infatti si avrebbe (valori in milioni):
Valore di cessione
2.000.000
− rettifiche per mancato beneficio fiscale
− 412.500
1.587.500
Nel caso di cessione, quindi, l’acquirente beneficierebbe dei vantaggi fiscali dovuti al maggior valore corrente attribuito alle immobilizzazioni materiali, non dovrebbe pertanto operarsi alcuna rettifica, non vi sarebbero imposte latenti da prendere in considerazione. Al contrario nella cessione delle azioni l’acquirente non
potrebbe beneficiare dei vantaggi fiscali richiamati, dovrebbe quindi procedersi a
rettificare il valore lordo dell’azienda. Deve tenersi presente in ogni caso come la
considerazione delle rettifiche fiscali è relativa a effetti abbastanza distanti nel
tempo e, pertanto, il carico fiscale non dovrebbe essere determinato con il tasso
d’imposta vigente bensì con un tasso inferiore che tenga così conto di tale differimento.
Altri aspetti fiscali possono essere legati ai diversi regimi cui possono essere
soggette le riserve che costituiscono il patrimonio netto contabile delle aziende. Il
patrimonio di un’azienda costituito da riserve che non scontano tassazione in caso
di distribuzione o la scontano in minor misura ha un valore superiore rispetto a
quello di un’altra azienda che si trova in condizioni opposte.
Relativamente alla tassazione delle riserve deve comunque tenersi presente
come con il Decreto legislativo di attuazione della delega contenuta nell’art. 3
comma 162, collegato alla finanziaria per il 1997, sia stata prevista l’abolizione
della maggiorazione di conguaglio con la conseguente liberazione delle riserve
non ancora affrancate attraverso il versamento di un’imposta sostitutiva (D.Lgs.
467 del 18 dicembre 1997). L’imposta sostitutiva ha quindi liberato le riserve presenti nel patrimonio netto della società ma ancora “fiscalmente schiave”.
L’ammontare di tale imposta è stato diverso in relazione alle riserve, nella pratica:
Tipologia riserve imposta sostitutiva
riserve rigo 08 (Mod. 760) 5,6
riserve rigo 09 (Mod. 760) 2,2
La liquidazione dell’imposta doveva avvenire con la dichiarazione relativa ai redditi del 1997, mentre il pagamento in tre rate è per importi diversi, in particolare:
Percentuale dell’imposta
con la dichiarazione relativa ai redditi del 1997:
9%
con la dichiarazione relativa ai redditi del 1998:
50%
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
con la dichiarazione relativa ai redditi del 1999:
41%
Ne è conseguita anche una modificazione del vigente meccanismo del credito
d’imposta attraverso nuove disposizioni che richiedono, in via molto sintetica, che
il credito d’imposta sugli utili distribuiti dalla società non debba essere superiore
all’imposta effettivamente corrisposta.
Il nuovo sistema, che sostituisce quello della maggiorazione di conguaglio, dovrebbe non più operare in capo alla società, bensì fare direttamente carico al socio
percipiente i dividendi.
Nella pratica sono previsti due diversi crediti collegati all’imposta effettivamente liquidata dalla società:
– credito d’imposta pieno;
– credito d’imposta limitato.
La nuova normativa si applica ai dividendi che trovano distribuzione del 1998 (secondo periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 1996).
Il credito d’imposta pieno è relativo ai dividendi che hanno effettivamente scontato le imposte, mentre il credito d’imposta limitato deve riferirsi ai dividendi che, in
tutto o solo in parte, non hanno scontato l’imposta (imposte risparmiate
dall’impresa). L’utilizzo del credito d’imposta pieno deve essere uguale a quello precedente in quanto non deve subire alcun limite. Al contrario il credito d’imposta limitato non dà diritto ad alcun rimborso, né può essere riportato a nuovo. Il suo unico
scopo è infatti quello di evitare il pagamento di altre imposte da parte dei soci.
In pratica, per tutti gli utili legalmente agevolati ai fini fiscali, il beneficio previsto non dovrebbe essere vanificato in capo al socio, bensì persistere, senza però
cadere nell’assurdità di permettere rimborsi per imposte non effettivamente pagate.
Da quanto detto risulta comprensibile come l’applicazione della nuova normativa sul credito d’imposta richieda che la società evidenzi in modo distinto le imposte pagate che permettano al socio di godere di un credito d’imposta pieno, rispetto alle imposte che, al contrario, possono garantire unicamente un credito
d’imposta limitato.
La società, pertanto, mentre in precedenza doveva memorizzare il diverso regime fiscale che caratterizzava le riserve presenti in bilancio, ora deve invece tener
conto delle imposte pagate in relazione al fatto che diano diritto a un credito pieno
o limitato. Si passa dal sistema delle riserve a quello delle imposte.
Si formano così, come da più parti affermato, due canestri o basket relativi alle
imposte pagate in relazione al credito d’imposta che ne deriva. Trattasi di due veri
e propri contenitori, che, una volta costituiti, dovranno essere gestiti dalla società
scegliendo dal quale attingere al fine di concedere ai percipienti un credito
d’imposta pieno o ridotto.
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EFFETTI FISCALI
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La società deve sempre specificare il tipo di credito d’imposta associato al dividendo distribuito. In assenza di tale indicazione si presume la presenza di un
credito d’imposta pieno pari, in ogni caso, al 58,73% (37/63). Naturalmente il
credito d’imposta spetta in misura piena, ma nei limiti in cui trova effettiva
capienza nelle imposte (Irpeg) assolte dalla società che distribuisce il dividendo.
Quanto sopra è volto a fronteggiare le distorsioni presenti nel vecchio sistema.
Nei due contenitori, A e B, devono confluire rispettivamente:
Contenitore A
– Irpeg effettivamente assolta (dichiarazione o accertamenti);
– imposte sostitutive.
Contenitore B
– Irpeg teorica in quanto non effettivamente pagata dalla società.
In quest’ultimo caso, il legislatore ha considerato l’imposta come pagata in modo
fittizio, al fine di mantenere o poter trasferire al socio gli effetti dell’agevolazione
concessa alla società quale imposizione ridotta o nulla.
Nella realtà iniziale potranno unicamente essere considerate le seguenti agevolazioni relative a:
– dividendi Ue disciplinati dall’art. 96 Tuir;
– dividendi madre/figlia disciplinati dall’art. 96-bis Tuir;
– dividendi caratterizzati da agevolazioni fiscali territoriali (per esempio per il
mezzogiorno);
– crediti d’imposta figurativi (riconosciuti da alcune convenzioni);
– plusvalenze agevolate dovute a ristrutturazioni societarie;
– agevolazioni per la Dual income tax.
Deve in pratica trattarsi di proventi individuati in modo specifico dalla legge, che
non concorrono a formare il reddito complessivo imponibile della società distributrice del dividendo e che possono defluire ai soci senza originare diritto al rimborso o al riporto a nuovo.
Naturalmente, al socio, oltre a spettare un credito d’imposta pieno o limitato,
potrebbe anche non spettare alcun credito d’imposta. Tale situazione si potrebbe
verificare quando sia il contenitore A sia il B sono vuoti.
In questo caso la società potrà incrementare le sue disponibilità mediante integrativi versamenti che dovranno avvenire in momenti distinti a seconda che vengano distribuiti riserve (o fondi) o utili d’esercizio. Se vengono distribuite riserve
si deve procedere a corrispondere l’imposta entro il termine previsto per il versamento del saldo dell’Irpeg relativa al periodo in cui è stata adottata la deliberazione di distribuzione.
Per la distribuzione degli utili, invece, deve procedersi entro il termine per il
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
versamento dell’imposta che risulta dalla dichiarazione cui gli utili si riferiscono.
In ogni caso, prima di provvedere ad alimentare e utilizzare i contenitori menzionati, è chiaro che si deve determinarne la loro dotazione iniziale, una volta liquidata l’imposta sostitutiva volta a liberare le riserve ancora schiave. In merito è
logico ritenere che, in presenza di una franchigia (rigo 12) questa sia stata utilizzata per liberare eventuali riserve schiave prima di corrispondere l’imposta sostitutiva.
In pratica il contenitore A deve essere inizialmente costituito da:
–
–
–
–
9/16 delle riserve di cui al rigo 07;
imposta sostitutiva (5,6%) corrisposta sulle riserve di cui al rigo 08;
imposta sostitutiva (2,2%) corrisposta sulle riserve di cui al rigo 09;
25% delle riserve assoggettate a imposta sostitutiva ai sensi dell’art. 8, comma
1, della L. 29 dicembre 1990, 408;
– 25% delle riserve assoggettate a imposta sostitutiva ex art. 22, comma 4 del
D.L. 23 febbraio 1995, n. 41;
– 9/16 della franchigia eventualmente presente, computata per quote costanti in
dieci esercizi.
Il contenitore B, a sua volta, deve essere inizialmente costituito da:
– 55,24% delle riserve e altri fondi assoggettati a imposta sostitutiva del 2,2%;
– 49,84% delle riserve e altri fondi assoggettati a imposta sostitutiva del 5,6%;
– 9/16 delle riserve formate con utili agevolati ai sensi dell’art. 96-bis del Tuir
rigo (07-bis);
– imposte corrispondenti al reddito dichiarato dal 1997 e compensato con le perdite di tale esercizio e di quelli precedenti.
Da quanto detto risulta chiaro come, in futuro, in base al nuovo meccanismo, le riserve non ancora tassate potranno essere costituite solo da quelle in sospensione di
imposta (ex rigo 10).
In generale, considerare l’effetto fiscale connesso alle menzionate riserve che
costituiscono il patrimonio netto contabile potrebbe comunque avere senso solo
nel caso di acquisto dei titoli che compongono il capitale sociale dell’azienda o
nelle fusioni e scissioni.
Solo in questa fattispecie, infatti, si diventa proprietari di una società che mantiene le caratteristiche che il patrimonio netto aveva prima della cessione (indiretta). Nel caso di cessione diretta, acquisendo un complesso aziendale, non si mantiene il patrimonio netto del cedente con le stesse caratteristiche che questo aveva
e, pertanto, solo attraverso la cessione di azioni o quote l’acquirente potrebbe essere interessato alla natura delle riserve patrimoniali dell’azienda che indirettamente
sta comprando.
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EFFETTI FISCALI
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Si deve in ogni caso ricordare che, civilisticamente (art. 2433 c.c.) non si
possono distribuire dividendi se non con utili realmente conseguiti; pertanto gli utili realizzati possono essere distribuiti solo per la parte che ne residua dopo il loro
assoggettamento a tassazione. Chiaramente tale principio vale anche per le riserve
fiscalmente vincolate (riserve in sospensione) le quali non possono essere integralmente distribuite ai soci senza violare il disposto della menzionata norma. In
ogni caso, l’onere fiscale connesso alle riserve non liberamente distribuibili, essendo legato al verificarsi di determinati eventi (distribuzione), non è detto che si
manifesti nel breve periodo, anzi è molto probabile l’ipotesi contraria.
Ne deriva pertanto la necessità di procedere a una sua attualizzazione al fine di
individuarne un effetto meglio corrispondente alla realtà nella determinazione del
valore dell’azienda; in merito si dovrebbe comunque fare riferimento a un periodo
abbastanza elevato spesso individuato dalla dottrina intorno ai 15/20 anni.
È doveroso comunque rilevare che se quanto sopra indicato dovesse essere tenuto nella dovuta considerazione per la determinazione del prezzo relativo a una
cessione aziendale, nel caso della pura determinazione di un valore economico i
possibili oneri fiscali che gravano sulle riserve in caso di distribuzione, la dottrina
prevalente (vedi bibliografia), tenendo presente il legame a un evento di differimento incerto, indeterminato e soprattutto non legato direttamente alla gestione
dell’impresa, ne ha sconsigliato la considerazione.
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7.
La prassi internazionale
Come abbiamo visto, molto spesso la valutazione di un’azienda è dovuta alla necessità di determinare un valore teorico del suo capitale economico al fine di avere
un’attendibile base di negoziazione.
Con l’intensificarsi dei rapporti commerciali a livello internazionale le valutazioni d’azienda possono spesso riguardare anche realtà fuori dal proprio paese, si
pensi ai grossi gruppi multinazionali originatisi da progressive acquisizioni di aziende operanti nei diversi Paesi europei ed extraeuropei. Anche in questi casi sono spesso necessarie idonee valutazioni delle aziende che si vogliono acquisire.
Non può tuttavia sfuggire quanto diversi siano gli orientamenti sulle metodologie da adottarsi nelle valutazioni d’azienda. Mentre infatti i paesi anglosassoni
prediligono i metodi dei flussi, quelli latini hanno una maggiore propensione per le
metodologie miste reddituali patrimoniali.
In vista di tali considerazioni, al fine di meglio comprendere le tendenze dei diversi soggetti che operano a livello mondiale influenzando la determinazione dei
valori delle transazioni, si ritiene utile effettuare una breve panoramica sulle tendenze seguite dai principali paesi europei in merito alle valutazioni d’azienda.
In Gran Bretagna, notevole è l’interesse per la proiezione futura dei risultati aziendali con la conseguente tendenza a propendere per l’applicazione delle metodologie finanziarie nonché, grazie alla presenza di mercati mobiliari dinamici e
soprattutto efficienti, a dare maggiore importanza ai metodi che si basano sull’utilizzo di indicatori di borsa come, per esempio, il rapporto Price/Earning.
I metodi finanziari (discount cash flow method), come abbiamo visto, si basano
sul convincimento che il valore economico dell’impresa sia ottenibile dall’attualizzazione dei flussi di cassa che potranno essere generati in futuro. Tale
metodologia di principale applicazione deve tuttavia essere verificata attraverso
l’utilizzo di metodologie di confronto spesso derivanti dall’osservazione dei prezzi
individuabili sul mercato per transazioni analoghe che hanno già avuto luogo sui
mercati.
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58
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Nell’applicazione dei metodi finanziari i flussi di cassa che potranno essere generati in futuro e la loro distribuzione nel tempo sono solitamente costituiti dalla
somma algebrica di:
reddito operativo ante imposte e oneri finanziari
+
ammortamenti
−
imposte e tasse sul reddito
−
investimenti in capitale fisso
−
incrementi del capitale circolante
=
L’incremento annuale del capitale fisso si misura rapportando l’incremento delle
immobilizzazioni nette (negli ultimi 5/10 anni) con l’incremento del fatturato relativo allo stesso periodo. A sua volta l’incremento del capitale circolante si valuta
negli anni rapportandolo al fatturato dello stesso periodo.
È inutile nascondere come particolarmente difficile e di ardua determinazione
sia la stima del reddito operativo realizzabile in futuro. Tali incertezze vengono
spesso limitate attraverso l’individuazione di un arco temporale, determinato con
calcoli statistici, nel quale si realizzeranno i futuri flussi di cassa, attraverso
l’evidenziazione di diversi valori distinti in relazione alla loro differente probabilità di realizzazione.
L’attualizzazione dei flussi di cassa avviene quindi attraverso l’utilizzo di tassi
che rappresentano il costo del capitale.
A sua volta il costo del capitale si può scomporre in due variabili:
– il costo del capitale proprio: il rendimento degli investimenti con rischio nullo
aumentato in relazione al maggior rischio presente nell’investimento nell’impresa;
– il costo del capitale di debito: ottenibile dal costo dell’indebitamento sul mercato operato attraverso l’ausilio di istituti di credito.
La durata della previsione copre di solito un arco temporale di 5 o 10 anni. Solitamente il valore residuale dell’impresa viene determinato alla fine del periodo di
previsione dividendo il flusso di cassa conseguito nell’ultimo anno di osservazione
per il costo del capitale (formula della rendita perpetua).
Oltre ai metodi finanziari, come abbiamo detto, vengono egualmente usati come metodi di confronto alcuni indicatori che si osservano dal mercato mobiliare.
Si tratta dell’analisi sull’evoluzione dei corsi azionari o dell’utilizzo di indicatori di borsa.
Tra le diverse metodologie che si basano sull’osservazione del mercato si ha il
già considerato metodo dei “coefficienti moltiplicativi” che si basa sull’ipotesi per
cui il valore dell’impresa dipenda da come il mercato capitalizza i relativi utili.
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LA PRASSI INTERNAZIONALE
59
Altra metodologia alternativa di cui fanno uso i paesi anglosassoni per determinare il valore di un’azienda è l’individuazione del valore attuale attraverso lo
sconto dei dividendi futuri che si suppone possano essere distribuiti. Inevitabilmente tale prassi fa riflettere sull’importanza che conseguentemente riveste la capacità futura di reddito dell’impresa poiché solo grazie a quest’ultima potranno realizzarsi utili che, a loro volta, potranno costituire dividendi eventualmente distribuibili. Torna pertanto alla ribalta la rilevanza delle potenzialità economiche dell’impresa misurabili attraverso l’applicazione dei metodi reddituali che trovano,
nei paesi anglosassoni una diffusa applicazione.
Diversa risulta comunque la prassi seguita dagli operatori tedeschi che vedono
nei codici di comportamento i principi da seguire in merito alle valutazioni
d’azienda, garantendo una certa omogeneità nei comportamenti degli operatori.
Deve pertanto rilevarsi che in questi Paesi si è certamente sviluppata una normativa molto attenta ai problemi relativi alle valutazioni d’azienda proprio in vista
della loro importanza in particolari operazioni che possono caratterizzare e influenzare il mercato. Ebbene in Germania si è diffuso il concetto che il valore economico dell’impresa è determinabile sulla base del suo patrimonio e della sua attitudine a generare un sovrareddito .
Siamo pertanto di fronte a una preminente applicazione dei metodi misti patrimoniali reddituali con una certa preferenza per i metodi misti con stima autonoma
del goodwill.
In Francia la dottrina presenta gli stessi orientamenti che in Italia; esiste, pertanto una certa preferenza per i metodi patrimoniali e reddituali. Naturalmente
l’orientamento prevalente è comunque volto a escludere il solo utilizzo di metodi
patrimoniali al fine di evitare una penalizzazione dell’investitore certamente interessato alle capacità insite nell’impresa e alla sua propensione futura a generare
reddito.
La prevalente tendenza è pertanto quella di fare maggiormente uso dei metodi
misti patrimoniali-redituali applicati in diverse varianti alcune delle quali tipicamente adottate anche nel nostro Paese.
Un concetto particolarmente caratteristico è la presenza del valore sostanziale,
costituito dal valore dei beni patrimoniali dell’impresa e di quelli di cui ha la sola
disponibilità nella considerazione che anche dall’utilizzo di tali beni deriva la sua
redditività.
I metodi finanziari e quelli empirici hanno indubbiamente una minore valenza e
sono solitamente usati a scopo di raffronto. Trattasi comunque di metodologie sviluppatesi in tempi abbastanza recenti e in alcuni casi spronate dalla dottrina francese che li ritiene più conformi alle esigenze conoscitive degli investitori.
Tra le metodologie finanziarie particolarmente caratteristico è il metodo della
attualizzazione del margine lordo di autofinanziamento disponibile, determinato
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
come segue:
Reddito netto corrente
+
ammortamenti economico
+
accantonamenti con natura di riserve
+
previste cessioni di immobilizzazioni
+
investimenti di mantenimento
−
investimenti di crescita
−
investimenti di capitale circolante
−
rimborsi di debiti
−
distribuzione di dividendi
=
Trattasi quindi del flusso di liquidità prodotto in ogni esercizio per operazioni relative alla gestione caratteristica e extragestionale.
Diverse sono le soluzioni tecniche in merito alle perizie valutative adottate in
Olanda.
Deve tuttavia rilevarsi una priorità concettuale attribuita all’utilizzo dei metodi
reddituali e finanziari anche se non in misura così forte come in Gran Bretagna.
Generalmente accettato è comunque il concetto che il metodo patrimoniale non
è coerente con il concetto di azienda vista come un istituto in funzionamento volto
a produrre reddito.
Tale concetto è invece opportunamente considerato attraverso l’utilizzo di metodi reddituali e finanziarie sintetizzabili nel:
– metodo reddituale in senso stretto (risultati netti da conto economico);
– metodo degli utili distribuibili in futuro;
– metodo finanziario dei flussi di cassa netti attesi.
In ogni caso, considerando come il mercato olandese sia caratterizzato dalla presenza di imprese di medie e piccole dimensioni, deve rilevarsi che la prassi preferisce fare riferimento all’utilizzo dei metodi misti patrimoniali-reddituali. In questo modo si riesce a superare le difficoltà basate sull’utilizzo di grandezze prospettiche tipicamente presenti in tali realtà aziendali. Altro aspetto tipico è come sia
ugualmente diffuso l’utilizzo pratico di moltiplicatori quali il P/E nonostante le
remore della dottrina olandese.
Se quanto evidenziato è indice della generale tendenza dei paesi europei deve
rilevarsi come in America la prassi seguita sia diversa in relazione ai soggetti che
devono operare la valutazione.
In particolare siamo di fronte a:
– investment banks;
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LA PRASSI INTERNAZIONALE
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– professionisti in valutazioni d’azienda.
I primi effettuano valutazioni d’azienda nell’ottica prioritaria di una loro acquisizione o cessione o per procedere a collocare titoli azionari o obbligazionari sul
mercato. Tali operatori sono pertanto maggiormente interessati all’investment value (valore di un’azienda per uno specifico investitore) e al fair market value
(prezzo del possibile trasferimento della proprietà da un venditore medio a un
compratore medio con analoghe conoscenze e predisposizioni).
I professionisti in valutazioni d’azienda si occupano invece di stime in caso di
liti o controversie giudiziali e fiscali nonché in merito alla valutazione di particolari fondi previdenziali integrativi volti a promuovere la partecipazione azionaria dei
dipendenti (Esop − Employee Stock Ownership Plans).
Essendo diversi gli scopi dei menzionati operatori, diverse sono le metodologie
da loro applicate.
Gli investment banks preferiscono utilizzare i metodi finanziari e di mercato, i
secondi oltre ai metodi di mercato prediligono quelli reddituali con modalità analoghe a quelli da noi usati.
In ogni caso il forte utilizzo quali metodi di controllo e la rilevante attendibilità
data comunque ai metodi di mercato è principalmente dovuta alle caratteristiche
proprie dei mercati statunitensi. Trattasi di realtà evolute e estremamente mobili
che producono diverse informazioni utili.
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8.
L’organizzazione amministrativa
per l’ottenimento dei valori
In base alle considerazioni esposte le principali informazioni utili per poter procedere alla valutazione di un’azienda sono:
– valori contabili (storici e previsionali);
– indicatori commerciali gestionali fiscali sugli immobilizzi tecnici e altri.
In ogni caso, sia la possibilità di ottenere tali informazioni sia la loro attendibilità,
sono strettamente legate al grado di efficienza che può caratterizzare
l’organizzazione della funzione amministrativa e di controllo gestionale.
Naturalmente, i valori contabili di partenza, utili all’identificazione del patrimonio netto aziendale, dovrebbero essere forniti dall’amministrazione, ugualmente in grado di evidenziare tutti quegli elementi che potrebbero rendere il patrimonio netto non rappresentativo dell’effettivo valore economico dell’azienda (rettifiche di valore). In proposito l’amministrazione dovrebbe poter precisare, in modo
analitico, come si siano formati i valori contabili che attualmente rappresentano il
patrimonio aziendale.
La direzione generale, con l’ausilio della funzione di controllo gestionale, dovrebbe quindi procedere a formulare piani previsionali volti a consentire la determinazione del reddito normale atteso dall’investimento nell’azienda.
A questo punto è necessario l’intervento della funzione amministrativa per tradurre le previsioni direzionali sull’azienda in valori contabili.
Pertanto, mentre la funzione amministrativa fornirebbe indicazioni sui valori
contabili effettivi, quella direttiva e di controllo dovrebbe provvedere ai piani previsionali che, dopo la loro espressione in valori contabili, dovrebbero essere trasmessi al perito.
Non è difficile comprendere quindi come solo un’efficiente organizzazione
amministrativa e gestionale possa permettere di ottenere valori attendibili e quindi
veramente utili anche per la valutazione dell’azienda.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
64
8.1
Business plan
Per meglio comprendere la realtà che circonda l’azienda da valutare, può certamente essere d’aiuto, soprattutto per aziende che cominciano a operare in settori
nuovi o lanciano nuovi prodotti, disporre di un eventuale business plan predisposto
dal cliente. Soprattutto per le imprese di nuova costituzione che non hanno un passato sul quale basarsi e dove solo eventuali prospettive future possono destare particolari e importanti interessi, il business plan riveste un ruolo fondamentale.
Tuttavia, deve anche rilevarsi come nelle aziende di medie e piccole dimensioni, tale documento non venga a volte formalmente predisposto e come, molto spesso, sia di ardua interpretazione. Tale problematica è presente sia nel nostro Paese
sia all’estero. Basti infatti pensare come, negli Stati Uniti, siano stati ideati
appositi corsi volti ad aiutare gli operatori a predisporre e a “leggere” il business
plan. Di seguito esponiamo gli aspetti di questo documento che possono avere particolare importanza per il valutatore.
Un business plan è valido non tanto considerando il suo aspetto formale, vale a
dire il modo con cui si presenta, bensì il suo contenuto sostanziale. Un documento
molto elaborato che nulla aggiunge al suo contenuto effettivo non è né utile né soprattutto attendibile per le previsioni future. Pertanto grafici più o meno elaborati,
prospetti compilati con cura, proiezioni finanziarie ricoprenti periodi particolarmente
estesi, devono comunque essere integrati da informazioni basilari. La presenza di notevoli dati contabili deve certamente essere ben vista, pur tenendo presente come, per
il futuro, ogni attività imprenditoriale nuova è caratterizzata da diverse incognite che
rendono più incerte le previsioni dei ricavi, dei costi e quindi dei profitti; queste incertezze aumentano con l’allungarsi del periodo di riferimento.
A volte il business plan è costituito da documenti corposi (non deve dimenticarsi come si possa fare ricorso anche a professionisti per la sua predisposizione)
le cui previsioni spesso “gonfiate” non sono integrate dalle stime sui tempi e i capitali globali necessari per raggiungere gli obiettivi o lo sono in modo eccessivamente ottimista.
Pertanto, prima di utilizzare un business plan lo si deve analizzare verificando
la sua capacità a dimostrare se gli operatori aziendali hanno fatto riferimento a azioni che realmente potrebbero portare al successo imprenditoriale.
Le principali informazioni contenute in un business plan sono contabili (analisi
di break-even point e cash flow) e non contabili i cui fattori critici sono individuabili nel profilo dell’impresa; nelle persone; nel contesto; nei rischi e vantaggi.
Informazioni contabili
1. L’analisi di break-even point.
Particolarmente importante è conoscere il livello delle vendite dell’azienda che
comincerà a generare profitti.
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L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA PER L’OTTENIMENTO DEI VALORI
65
2. L’analisi del cash flow.
Anche il cash flow positivo costituisce un’informazione importante da tenere in
considerazione. Occorre in particolare tenere presenti alcuni aspetti che meglio
facciano comprendere le implicazioni del cash flow quali:
– il capitale immobilizzato necessario;
– quando l’impresa deve acquistare e pagare risorse;
– il tempo utile ad acquisire un cliente e la cadenza temporale dei suoi pagamenti.
Informazioni non contabili: fattori critici
Il profilo dell’impresa
Il business plan deve descrivere l’impresa, definirne il profilo le caratteristiche intrinseche ed estrinseche, il settore in cui opera, il prodotto e i potenziali clienti.
Non da meno le indicazioni sul suo sviluppo, i fattori di successo, i punti di forza e
di debolezza.
Importantissime sono le informazioni sul mercato in cui l’impresa opera o intende operare, sapere se si tratta di un mercato vasto, in rapida crescita o meno. È
infatti certamente più facile guadagnare mercato in mancanza di un’agguerrita
concorrenza che spesso caratterizza mercati maturi o stagnanti. Da non trascurare
la redditività del settore in quanto lo scopo dell’operatore è certamente il profitto.
Naturalmente ci si deve aspettare che, nei mercati appetibili, cercheranno di entrarvi molto operatori creando, a lungo andare, una certa concorrenza che potrebbe
comprometterne la redditività.
Importante è anche la durata dei cicli dei prodotti in rapporto ai costi connessi a
nuovi investimenti e alla loro frequenza. Cicli brevi con alti e frequenti investimenti, spesso dovuti a grandi e necessari cambiamenti tecnologici, riducono la
redditività.
Se da una parte è importante esaminare il mercato, non da meno è considerare,
come la società intende eventualmente produrre e lanciare nuovi prodotti o servizi.
Un prodotto può aver più successo quando è economicamente abbordabile da parte dei consumatori, anche se, in generale, non è sempre facile prevedere la loro risposta.
Da qui l’importanza delle tendenze ai consumi e delle conoscenze dei prezzi
che i consumatori sono disposti a pagare per un prodotto. Prodotti con bassi costi
di produzione ma per i quali i consumatori sono disposti a pagare prezzi vantaggiosi, caratterizzano settori con alti margini di profitto in mercati certamente allettanti. Sia i prezzi sia i costi devono quindi essere adeguatamente analizzati dal business plan. Oltre a considerare le opportunità presenti per il lancio di nuovi prodotti, occorre anche tenere presenti le possibilità di sviluppare quelli già esistenti.
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66
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Anche giocare su prezzi differenti è un modo per ottenere vantaggi, si tratta
della cosiddetta possibilità di arbitraggio.
Tale fattore non è permanente e riuscire a capirne la durata è cosa auspicabile
(termine temporale delle opportunità di arbitraggio).
Considerando la concorrenza si devono tenere presenti i seguenti fattori:
–
–
–
–
–
–
chi sono i concorrenti presenti e potenziali;
quali le risorse che controllano;
le loro forze e debolezze;
le loro possibili reazioni;
le risposte dell’impresa;
i fattori di neutralizzazione della concorrenza.
Tutti gli aspetti di un business plan devono essere considerati sia quelli positivi sia
quelli negativi.
Le persone
Occorre fare alcune considerazioni sulle capacità tecniche professionali delle persone che gestiscono l’impresa tenendo presente anche le risorse esterne. Le capacità dei managers sono elemento spesso determinante per la riuscita di un progetto;
la presenza di professionisti noti non lascia certamente indifferenti i terzi; tale fattore può provocare sia l’apprezzamento dei finanziatori che dei consumatori.
Alle competenze tecniche del personale si affianca spesso una migliore conoscenza dei processi di produzione aziendale e del mercato in cui l’azienda opera.
Le idee possono certamente essere buone e valide ma non si deve dimenticare
come vengano portate avanti da persone che ne determinano in tutto e per tutto il
successo. Pertanto nel business plan devono aversi opportune informazioni su uno
dei principali investimenti dell’impresa: “il fattore umano”.
Il contesto
Trattasi dei livelli di attività economica, dell’inflazione, del tasso dei cambi e
d’interesse, nonché di una serie di leggi e regolamentazioni che influiscono sulle
opportunità e sulla possibilità di sfruttarle.
Del contesto fanno parte anche la politica fiscale, le norme che regolano la raccolta di capitali, i fattori tecnologici che possono limitare le potenzialità
dell’impresa e dei suoi concorrenti. L’avvio di nuove iniziative imprenditoriali
può quindi essere favorito o meno dal contesto. Il contesto deve essere considerato
in un’ottica dinamica, trattasi di un fattore che può essere oggetto di diversi
cambiamenti. Di tali aspetti deve tenersi conto al fine di meglio riuscire a
prevedere le possibili influenze che avrebbero sull’impresa e programmare le
eventuali azioni da intraprendere.
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L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA PER L’OTTENIMENTO DEI VALORI
67
Il contesto, pertanto, costituisce sia una realtà in cui l’impresa opera e dalla
quale può in futuro essere influenzata, nonché un fattore di cui tener conto in modo realistico cercando di condizionarlo a proprio favore (comportamento strategico).
Rischi e vantaggi
Importante è avere anche un’indicazione dei diversi elementi di rischio che
l’azienda potrà affrontare, imprevisti che dovranno essere valutati considerando
anche le azioni che si ritengono di dover intraprendere per poterli superare.
Pertanto un valido business plan deve mostrare l’organico della società, le opportunità e il contesto senza tralasciare i possibili aspetti futuri.
Importanti sono inoltre le indicazioni sulle possibili reazioni dell’impresa che
completano gli aspetti dinamici del processo imprenditoriale. Nonostante le difficoltà presenti nel prevedere il futuro si deve cercare di avere un’idea sul tipo e
classe di rischi e vantaggi presenti nel nuovo business.
Il rischio è inevitabile, ma solo cercando di considerarne le possibili conseguenze si può tentare di ridurne la portata.
È molto meglio che il business plan evidenzi i possibili rischi indicando le reazioni dell’impresa che non parlarne affatto; ciò comprometterebbe certamente la
credibilità del documento aumentando i rischi potenziali. Il business plan deve
quindi promuovere l’azione, gestendo il rischio e permettendo così all’impresa di
acquisire vantaggi.
È estremamente importante avere un documento che, in modo rigoroso, analizzi tutti gli elementi del successo: persone, opportunità, contesto, rischi/vantaggi.
In particolare, nel rappresentare i rischi e i vantaggi, il business plan dovrebbe
indicare due fattori:
– ammontare di denaro necessario per il lancio di un nuovo business;
– tempo per ottenere cash flow positivi e ammontare dei ricavi previsti.
Il documento deve individuare il flusso di capitale negativo e la sua durata nonché
il rapporto tra l’investimento e il possibile profitto. Solo così si potranno valutare
le possibilità di avere a breve un cash flow positivo e continuo nel tempo (situazione
ideale).
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9.
Quando determinare il valore
del capitale economico
9.1
Premessa
Diversi sono i motivi che determinano la necessità di valutare il capitale economico di un’azienda, in particolare possono riassumersi in:
– necessità esterne;
– necessità interne;
relativamente al primo aspetto, la valutazione può essere dovuta alla presenza di
transazioni che hanno come oggetto l’azienda o un suo ramo, nonché richiesta da
specifiche norme di legge volte a tutelare i terzi in presenza di determinate operazioni straordinarie.
Quanto al primo aspetto, giova tenere presente che il valore economico
dell’impresa, determinato facendo uso delle metodologie esposte nelle pagine precedenti, è solo una base che può essere utilizzata quale punto di partenza utile per
la determinazione del corrispettivo in una contrattazione.
In pratica il prezzo può divergere dal valore economico in quanto rimane fortemente inficiato dal potere contrattuale delle parti che possono certamente prescindere dal potenziale valore economico dell'azienda. Se la contrattazione deve
essere guidata comunque da criteri di razionalità, è chiaro come non si possa non
tener conto, quantomeno per valutarne la convenienza, del valore potenziale del
capitale economico aziendale.
Deve tuttavia tenersi presente come vi sono operazioni aziendali per le quali la
determinazione del valore del capitale economico è prevista da norme di legge proprio al fine di tutelare i terzi.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
70
9.2
Il valore del capitale economico nelle operazioni
straordinarie
Per alcune particolari operazioni societarie il nostro ordinamento giuridico richiede espressamente la predisposizione di una relazione di stima predisposta da un
esperto.
In particolare si tratta di:
– fusioni di società con concambio di azioni o quote;
– scissioni di società in cui le azioni o quote vengono attribuite con un criterio
diverso da quello proporzionale;
– trasformazioni di società di persone in società di capitali;
– acquisti di beni o di crediti da promotori, fondatori, soci ed amministratori di
società di capitali di nuova costituzione;
– conferimenti nelle società di capitali di beni in natura o di crediti.
Operazioni di fusione
Nella fusione con concambio di azioni o quote gli amministratori delle società interessate hanno l’obbligo di redigere il progetto di fusione, documento evidenziante gli aspetti particolari dell’operazione.
Al fine di informare in modo adeguato i soci e i terzi il progetto di fusione deve
essere:
– depositato presso la sede sociale;
– iscritto nel Registro delle imprese;
– pubblicato per estratto sulla Gazzetta Ufficiale (se vi partecipano società di capitali).
Oltre al progetto di fusione, gli amministratori delle società che si fondono devono
altresì preparare una situazione patrimoniale relativa a una data non anteriore a
quattro mesi rispetto a quella del deposito, presso la sede sociale, del progetto di
fusione.
In merito deve tenersi inoltre presente come la situazione patrimoniale in oggetto, redatta in base alle norme contabili utili alla predisposizione del bilancio,
possa essere costituita anche dall’ultimo bilancio d'esercizio quando si riferisce ad
una data non anteriore a sei mesi rispetto al deposito.
Unitamente al progetto di fusione gli amministratori devono inoltre presentare
una relazione indicante particolari informazioni sull’operazione di fusione, sul
rapporto di concambio e sui suoi criteri di determinazione.
A questo punto, in base all'articolo 2501-quinquies del codice civile, diventa
necessaria la relazione di un esperto sulla congruità del rapporto di cambio.
L'esperto deve essere nominato dal Tribunale nella cui giurisdizione ha sede la
società istante.
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
71
A volte per evitare di avere delle valutazioni difformi si può anche richiedere la
nomina di uno o più esperti comuni per le diverse società che partecipano alla fusione.
Certamente la relazione del perito non dovrà limitarsi a esprimersi sulla congruità del rapporto di cambio bensì entrare nel merito dei criteri usati per determinare il valore delle aziende coinvolte.
Nel caso la fusione riguardi società quotate in Borsa, la relazione di stima sulla
congruità del rapporto di cambio deve essere predisposta da una società di revisione.
Operazioni di scissione
Nelle scissioni di società in cui le azioni o quote vengono attribuite con un criterio
diverso da quello proporzionale, gli amministratori, come nel caso di fusione trattato, dovranno redigere il progetto di scissione dal quale dovranno emergere gli elementi fondamentali dell'operazione.
Tale documento deve essere depositato e pubblicato come per le operazioni di
fusione cui fanno egualmente riferimento le disposizioni relative alla redazione
della situazione patrimoniale, e alla predisposizione della relazione degli esperti
sulla congruità del rapporto di cambio, di cui agli articoli 2504-novies del codice
civile.
Non è comunque necessaria la nomina dell’esperto, in quanto l’operazione non
può provocare alcun pregiudizio per i soci nell’assegnazione delle quote, quando
contemporaneamente i titoli vengono attribuiti in modo proporzionale e le società
beneficiarie sono costituite quale conseguenza della scissione.
Nelle società beneficiarie di nuova costituzione la valutazione degli esperti (necessaria solo nel caso di assegnazione non proporzionale delle quote) si limita a
considerare il patrimonio della società scissa; non viè pertanto alcun confronto tra
il patrimonio di quest’ultima e quello della società beneficiaria.
Quando invece le società beneficiarie sono già esistenti, si deve necessariamente procedere a determinare il rapporto di concambio considerando sia il patrimonio
netto della società scissa sia quello della beneficiaria
Operazioni di trasformazione
Nelle trasformazioni di società di persone in società di capitali a norma
dell’articolo 2498 del codice civile, la delibera deve essere accompagnata dalla relazione di stima del patrimonio sociale redatta in base alle disposizioni di cui
all’articolo 2343 del codice civile.
Si é così cercato di tutelare i creditori sociali relativamente all’effettiva consistenza del capitale.
In questo caso il perito, soggetto indipendente, viene nominato dal Tribunale
competente su istanza della società.
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72
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
È importante tenere presente come anche se l’oggetto della valutazione è
l’intero patrimonio della società, il perito deve analiticamente valutare i singoli
beni e crediti eventualmente esistenti.
Propri al fine di garantire la massima trasparenza delle informazioni, la delibera sulla trasformazione, accompagnata dalla relazione di stima che si limita ad esprimersi unicamente sull’intero patrimonio sociale, non è omologabile dal Tribunale.
Viste le finalità di tutela dei terzi, anche l’atteggiamento del perito deve essere
abbastanza particolare nelle valutazioni redatte per le operazioni in oggetto, in particolare il riferimento ai valori correnti deve sempre essere guidato da un atteggiamento prudente.
La perizia deve essere asseverata dichiarando inoltre che il capitale della società trasformata, aumentato dell’eventuale sovrapprezzo, non eccede il valore complessivo delle azioni che rappresentano il capitale sociale risultante dalla valutazione del perito.
Operazioni di acquisto di beni o di crediti da promotori, fondatori, soci
e amministratori di società di capitali di nuova costituzione
In base all’articolo 2343-bis del codice civile, le operazioni di acquisto di beni o di
crediti da promotori, fondatori, soci e amministratori di società di capitali di nuova
costituzione, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale,
effettuate nei due anni dalla iscrizione della società nel Registro delle imprese, deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria.
Da parte dell’alienante deve essere presentata la relazione giurata di un esperto
designato dal Presidente del Tribunale contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore analitico attribuito, i criteri seguiti per la valutazione e l’attestazione
che il valore non è inferiore al corrispettivo richiesto e indicato.
Durante i quindici giorni che precedono l’assemblea tale relazione deve essere
depositata nella sede della società affinché i soci possano prenderne visione.
In ogni caso, le disposizioni in oggetto non devono essere applicate quando si è
di fronte ad acquisti effettuati a normali condizioni di mercato per operazioni correnti della società, né per gli acquisti che avvengono in Borsa o sono sotto il controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa.
Nel caso in esame la relazione predisposta dal perito deve contenere tutti quegli
elementi che caratterizzano la relazione di stima da predisporsi per le operazioni di
conferimento di seguito commentate.
In particolare, nella perizia deve essere inserita l’attestazione in base alla quale
il valore attribuito dal perito ai beni e ai crediti non è inferiore al corrispettivo richiesto dall’alienante.
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
73
Il valutatore deve quindi necessariamente ricevere indicazione dell’ammontare
richiesto dall’alienante, informandolo tempestivamente quando il valore attribuito
in perizia sia inferiore al fine di permettergli di modificare, se necessario,
l’importo richiesto.
Operazioni di conferimento
Poiché nelle società di persone delle obbligazioni sociali rispondono i soci con tutto il loro patrimonio, non esistono particolari adempimenti nemmeno per quanto
attiene alle operazioni di conferimento.
Al contrario nelle società di capitali le responsabilità dei soci sono limitate al
patrimonio conferito nella società, ne consegue la necessità di meglio tutelare i terzi relativamente alle operazioni poste in essere dalla società.
Quanto sopra vale anche per i conferimenti nelle società di capitali di beni in
natura o di crediti.
In particolare occorre rispettare le disposizioni previste dall’articolo 2343 del
codice civile soprattutto per quanto attiene la procedura di valutazione.
Lo scopo della norma è chiaramente il tentativo di evitare sopravvalutazione
dei beni conferiti per non provocare pregiudizi nei confronti dei terzi.
In merito il perito nominato dal Tribunale deve seguire una complessa procedura di valutazione dei beni conferiti.
Alcuni aspetti particolari riguardano poi i casi di conferimento di aziende o di
rami aziendali.
Alla delibera dell’organo amministrativo sulle operazioni di conferimento segue l’istanza al Tribunale volta a richiedere la nomina di un perito, soggetto indipendente, che deve valutare il complesso dei beni da conferire.
La perizia deve essere redatta applicando le metodologie individuate dalla dottrina economico-aziendale (come in precedenza evidenziato) in relazione alla fattispecie da valutare; in ogni caso, considerando lo scopo particolare della perizia, il
perito deve sempre applicare il criterio della prudenza.
Nella relazione di stima si devono indicare i criteri seguiti dal perito per attestare che il valore attribuito ai beni oggetto del conferimento non è inferiore al valore
nominale delle azioni emesse a seguito di tale operazione, eventualmente
aumentate del sovrapprezzo.
Successivamente al conferimento la relazione di stima deve tuttavia essere controllata dagli amministratori e dai sindaci che esprimono poi il proprio parere sulla
congruità.
Quando i valori dei beni e dei crediti conferiti risultano inferiori di oltre un
quinto rispetto ai loro valori di perizia, deve procedersi alla proporzionale riduzione del capitale sociale (salvo reintegrazione da parte dei soci).
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
74
Proprio al fine di tutelare i terzi contro le sopravvalutazioni dei beni conferiti, i
titoli rappresentativi del capitale sociale emessi a fronte del conferimento non possono essere alienati e le azioni devono rimanere depositate presso la società fino a
quando gli amministratori e i sindaci non hanno operato il loro controllo.
L’assemblea della società conferitaria che delibera l’aumento del capitale può
svolgersi solo quando sono disponibili i risultati della perizia; questa, a sua volta,
deve quindi contenere un’attestazione su un aumento di capitale non ancora deliberato.
Al fine di limitare le incongruenze insite in tale prassi, il perito e gli amministratori della società conferitaria devono concordare i lavori in modo tale che la
proposta di aumento del capitale sia in linea con le valutazioni del perito.
9.3
Il valore del capitale economico e la quotazione
Negli ultimi anni si assiste a una maggiore disponibilità degli imprenditori italiani
verso il mercato mobiliare, sempre più spesso si affronta il problema del se quotare o meno la propria azienda.
Tutto questo è dovuto al più frequente fronteggiare progetti di sviluppo di medio e lungo periodo che spesso rappresentano una decisiva svolta rispetto alla passata gestione.
La decisione di accedere alla quotazione trova pertanto spazio nelle decisioni
strategiche degli operatori e pertanto, considerandone la portata, non può ignorarsi
come debba essere pianificata con un certo lasso temporale.
La quotazione, in pratica, come tutti i progetti strategici di medio-lungo termine deve essere operata nel momento giusto, considerando pertanto le dimensioni
aziendali, le prospettive di sviluppo al fine di proporsi al mercato nel momento
migliore.
La quotazione deve quindi essere ampiamente progettata.
La prima fase da affrontare è spesso costituita da una riorganizzazione societaria, operazione che può risultare necessaria in presenza di una struttura dovuta a
ricambi generazionali che hanno determinato un assetto che può non favorire una
certa chiarezza e trasparenza necessarie per presentarsi sul mercato finanziario.
Possono così aversi operazioni straordinarie di vario tipo soventemente volte a
portare alla quotazione una holding industriale che si é sostituita alla classica holding finanziaria di famiglia.
Una volta conclusosi il processo di ristrutturazione si deve tenere presente
l’importanza dell’attendibilità dei valori contabili che evidenziano la situazione finanziaria economica e patrimoniale del nuovo gruppo.
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
75
A questo punto potrebbe presentarsi la necessità di rivisitare il sistema amministrativo aziendale, al fine di garantire quell’affidabilità e trasparenza richieste per
una quotazione.
Si deve quindi conferire l’incarico a una società di revisione che certifichi, a
norma di legge, i bilanci della società (almeno il bilancio relativo all’ultimo esercizio prima della quotazione deve essere certificato).
Diverse sono poi le informazioni che vengono periodicamente richieste dal
mercato alle aziende quotate (si consideri in merito la normativa Consob); pertanto
occorrerà verificare che il proprio sistema informativo sia in grado di soddisfare
tali esigenze in modo completo e tempestivo.
Con la quotazione si utilizza comunque nella pratica uno strumento finanziario
complementare agli investimenti di lungo periodo.
Spesso nel processo di quotazione l’imprenditore può essere affiancato da un
investitore istituzionale (aziende di credito, fondi chiusi, società di intermediazione mobiliare, merchant banks) che lo aiuta nel compimento del processo e nelle
scelte strategiche, favorendo l’immagine esterna dell’azienda ed abituando la
compagine sociale alla presenza di terzi estranei.
9.3.1
L’iter da seguire per accedere alla quotazione
(di Giancarlo Pizzocaro, Ria & Partners)
Esponiamo di seguito una sintesi degli adempimenti cui le imprese devono sottostare per arrivare alla quotazione nella Borsa italiana.
La quotazione in Borsa di azioni o di altri strumenti finanziari è una opportunità, per alcuni una tentazione, che un imprenditore non può più ignorare nella ricerca di fonti di finanziamento alternative al normale ricorso al credito bancario.
La privatizzazione della società di gestione (Borsa Italiana Spa) e la conseguente emanazione del regolamento dei mercati ha comportato una semplificazione
dell’iter procedurale per l’ammissione alla quotazione dei titoli oltre ad aver ridotto requisiti e limiti dimensionali degli emittenti.
Insomma, almeno nelle intenzioni, il nuovo impianto normativo è finalizzato a
consentire l’accesso al mercato di un sempre maggior numero di imprese anche di
medio-piccole dimensione.
A ciò si aggiunga che la Borsa Italiana ha allo studio la creazione di un mercato
per le piccole e medie imprese con “alto potenziale di crescita”. Mercato
quest’ultimo che dovrebbe essere collegato al mercato telematico Euro NM che
già quota oltre cento titoli di alcuni Paesi europei (Germania, Francia, Olanda e
Belgio). In ogni caso, già con il vigente regolamento, i requisiti minimi necessari
per la presentazione della domanda di ammissione sono alla portata di moltissime
aziende. Nel caso delle azioni, infatti i requisiti necessari per presentare la domanda di quotazione sono:
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76
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
– aver pubblicato i bilanci degli ultimi tre esercizi;
– l’ultimo di tali bilanci deve esser stato oggetto di revisione contabile da parte di
una società di revisione;
– la capitalizzazione di borsa ragionevolmente prevedibile dovrà essere almeno
di 10 miliardi (non il patrimonio netto contabile come in passato, ma la capitalizzazione prevedibile!);
– il “flottante” dovrà essere almeno pari al 25% del capitale.
Si consideri, inoltre, che ad alcuni dei sopraindicati requisiti è anche possibile derogare, in base a valutazioni esclusive della società di gestione.
Una delle principali novità inserite nel regolamento è la figura dello “sponsor”.
I compiti dello sponsor (istituti di credito, merchant bank ecc.) sono numerosi e
delicati. Lo sponsor, infatti, affianca la società nel periodo antecedente alla quotazione e, nel caso delle azioni, anche successivamente per almeno un anno.
Le motivazioni di carattere economico alla base della decisione di presentare
domanda di quotazione di strumenti finanziari − previa collocazione degli stessi
tra il pubblico − sono molteplici: finanziamento degli investimenti programmati,
riduzione dell’indebitamento, possibilità di realizzo di una parte del valore delle
azioni ecc. Quale che siano le motivazioni, tuttavia, a noi pare necessario sottolineare un aspetto di fondamentale importanza: la quotazione comporta l’instaurarsi
di rapporti con soggetti ai quali è dovuta una tempestiva e trasparente informativa
societaria. Tali soggetti sono i risparmiatori grandi e piccoli, le società di gestione
del mercato, la Consob e la comunità finanziaria in genere (analisti, banche
d’affari, fondi di investimento ecc.)
Si tratta senz’altro di un passaggio delicato che implica anche un cambiamento
culturale, in considerazione del fatto che la quotazione costituisce una via dalla
quale appare difficile ritornare.
Con riferimento ai tempi di completamento dell’eventuale progetto si consideri
che, se da un lato gli stessi possono considerarsi ragionevolmente brevi per quanto
concerne il periodo intercorrente tra la data di presentazione della domanda e
l’esito della stessa (2 mesi), dall’altro l’attività propedeutica alla presentazione
della stessa richiede tempi certamente più lunghi. L’obbligo di “certificazione”
dell’ultimo bilancio, ad esempio, richiede, salvo eccezioni, quantomeno la revisione contabile del solo stato patrimoniale dell’esercizio precedente. Analogamente la
messa a punto del prospetto informativo, la predisposizione di eventuali situazioni
pro-forma, i piani industriali a supporto delle prospettive future dell’azienda non
possono certo essere considerate operazioni di immediata esecuzione.
In sintesi, il percorso di avvicinamento alla Borsa, seppur notevolmente ridotto
e semplificato rispetto al passato, richiede un approccio graduale e pianificato. Così operando infatti si potrà, da un lato, lavorare svincolati dall’andamento altalenante di un mercato caratterizzato da momenti di particolare euforia o al contrario
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
77
di depressione ma dall’altro si potranno precostituire le condizioni per cogliere il
momento maggiormente propizio.
La Borsa Italiana Spa
All’inizio del 1998, il regolamento dei mercati è stato profondamente modificato.
Nel corso del 1997 si è costituita la società, di natura privatistica, “Borsa Italiana
Spa”. A fine 1997, l’Assemblea di tale società ha provveduto a emanare il “Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana Spa”.
Il regolamento è stato ritenuto dalla Consob idoneo ad assicurare la trasparenza
1
del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori.
Alla società Borsa Italiana Spa è stato quindi affidato il compito di definire
l’organizzazione ed il funzionamento del mercato e di definire i requisiti e le modalità di ammissione alla quotazione.
Alla Consob restano invece affidati i compiti di vigilanza in materia di trasparenza, tutela degli investitori e ordinato svolgimento delle quotazioni. Infine, alla
Banca d’Italia sono attribuiti i compiti di sorveglianza sulla situazione economicopatrimoniale degli intermediari autorizzati ad operare nel mercato.
Il mercato si articola nei seguenti settori regolamentati:
– la Borsa: Mercato Azionario (Mta); Mercato delle Obbligazioni e dei Titoli di
Stato (Mot); Mercato dei Premi (Mpr);
– il Mercato Ristretto;
– il Mercato degli Strumenti Derivati;
– il Mercato delle Spezzature (Msp).
Per ciascuno dei sopraelencati mercati, vengono stabiliti i quantitativi minimi che
possono essere negoziati; tali limiti vengono determinati dalla Borsa Italiana Spa.
Inoltre, a partire dal 17 settembre 1998, Borsa Italiana attraverso la propria
controllata Mif S.p.A., è stata autorizzata all’esercizio del mercato regolamentato
2
dei contratti a termine sui titoli di Stato.
Gli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione
Sono ammessi alla negoziazione, nei mercati di rispettiva competenza, i seguenti strumenti finanziari:
3
1) Mercato telematico azionario (Mta) e Mercato Ristretto :
– azioni;
– obbligazioni convertibili;
– diritti d’opzione;
– warrant;
1
Delibera n. 11091 del 12 dicembre 1997
Delibera Consob n. 11618.
3
La negoziazione di azioni, obbligazioni convertibili e warrant di quantitativi inferiori al lotto minimo avvengono nell’apposito mercato delle spezzature (MSP).
2
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
78
– covered warrant4 (solo nel Mta);
– certificati rappresentativi di quote di fondi mobiliari e immobiliari chiusi
(sono nel Mta);
2) Mercato telematico delle obbligazionie dei titoli di Stato (Mot):
– obbligazioni diverse dalle convertibili;
– Titoli di Stato;
3) Mercato telematico dei contratti a premio (Mpr): Premi5 su azioni, obbligazioni
convertibili, warrant quotati e diritti di opzione.
4) Mercato degli strumenti derivati: “futures” e “contratti di opzione” su strumenti
6
finanziari, tassi di interesse, cambi ecc.
Il regolamento messo a punto dalla Borsa Italiana disciplina i numerosi aspetti del
funzionamento del mercato: dall’ammissione alla quotazione degli strumenti finanziari, alla partecipazione degli operatori, agli aspetti operativi di riscontro e garanzia dei contratti e alla trasparenza del mercato.
Si tratta di un documento organico e complesso all’interno del quale solo alcuni
aspetti sono di sicuro interesse per gli imprenditori disposti a valutare
l’opportunità di una quotazione della propria impresa.
4
Il Regolamento dei Mercati all’art. 2.2.13 comma 1 così definisce il covered warrant “Per covered warrant si intende quello strumento finanziario .... che conferisce al detentore la facoltà di acquistare (call covered warrant) o di vendere (put covered warrant), alla o entro la data di scadenza, un
certo quantitativo dell’attività sottostante ad un prezzo prestabilito (prezzo di esercizio) ovvero, nel
caso di contratti per i quali è prevista una liquidazione monetaria, di incassare una somma di denaro
determinata come differenza tra il prezzo di liquidazione dell’attività sottostante ed il prezzo di esercizio (per un call covered warrant), ovvero come differenza tra il prezzo di esercizio ed il prezzo di
liquidazione dell’attività sottostante (per un put covered warrant).”
5
L’art. 4.3.1 del regolamento così definisce i contratti a premio: “I contratti a premio danno al
compratore, dietro pagamento di un importo (detto premio), la facoltà di consegnare e/o ritirare, a
seconda dei casi, entro un determinato termine (detto scadenza o giorno di risposta premi) la quantità
di strumenti finanziari oggetto del contratto al prezzo unitario prefissato (detto prezzo di esercizio o
base).
6
Anche in questo caso, il regolamento propone una definizione puntuale di “futures” e “contratto
di opzione”: art. 4.6.1. “.... 2. Per contratto futures si intende uno strumento finanziario... con il quale
le parti si impegnano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo dell’attività sottostante a un
prezzo prestabilito. La liquidazione a scadenza del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio
di una somma di denaro determinata come differenza tra il prezzo di conclusione del contratto e il suo
prezzo di liquidazione. 3. Per contratto di opzione si intende uno strumento finanziario di cui
all’articolo 1, comma 1, lettera i), del Decreto 415, con il quale una delle parti, dietro pagamento di
un corrispettivo (premio), acquista la facoltà di acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put),
alla o entro la data di scadenza, un certo quantitativo dell’attività sottostante a un prezzo prestabilito
(prezzo di esercizio). La liquidazione del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una
somma di denaro determinata, per le opzioni call, come differenza tra il prezzo di esercizio e il prezzo
di liquidazione dell'attività sottostante, ovvero, per le opzioni put, come differenza tra il prezzo di liquidazione dell’attività sottostante e il prezzo di esercizio, il giorno in cui la facoltà è esercitata o alla
scadenza.”
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
9.3.2
79
La quotazione e la determinazione del valore
Come avviene per la vendita delle imprese anche per la loro quotazione un fattore
determinante per il successo dell’operazione è la determinazione di prezzi adeguati.
Tali valori non devono assolutamente prescindere dal valore economico
dell’impresa determinato facendo uso dei metodi tipici della dottrina economicoaziendalistica (si vedano i commenti nelle pagine precedenti).
È bene puntualizzare come debba trattarsi di metodologie affidabili volte a determinare valori credibili; in merito pertanto occorre tenere presente i pregi e i difetti che abbiamo già illustrato nei capitoli precedenti. In tale ottica sarebbe certamente opportuno riflettere bene prima di utilizzare metodi finanziari o empirici per
determinare il valore economico, base di partenza per definire il prezzo dei titoli di
un’azienda che intenda quotarsi.
Quando la quotazione interessa aziende pubbliche che hanno avviato il processo della privatizzazione l’attenzione alla determinazione del prezzo deve essere
ancora più grande.
In merito deve tenersi presente come i passaggi legali di tutti i processi di privatizzazione siano cruciali sia per la corretta implementazione del processo sia per
la corretta determinazione del potenziale economico attuale e prospettico delle aziende privatizzate.
L’azienda da privatizzarsi viene solitamente valutata nella fase iniziale del processo, fase in cui, prevalentemente, si procede alla sua analisi, alla predisposizione
di un business plan e all’indicazione delle strategie da seguire per massimizzare il
valore dell’azienda. Segue quindi un lungo percorso che porta alla determinazione
del progetto finale di privatizzazione che, alternativamente alla quotazione in Borsa, potrebbe portare anche alla cessione dell’azienda a terzi.
In questa seconda fase il processo di privatizzazione è spesso caratterizzato dalla trasformazione in società dell’azienda privatizzata (salvo che già non lo sia); è
quindi necessaria la redazione di una perizia di stima che tuttavia deve, come già
indicato in precedenza relativamente alle trasformazioni, essere redatta da un perito nominato dal Tribunale.
Si avvia poi la fase finale della privatizzazione volta a cedere l’azienda a terzi o
alla sua quotazione in Borsa. Nel primo caso il processo di privatizzazione è gestito da un advisor che segue un classico mandato di merger and acquisition, vale a
dire:
– predispone un apposito documento informativo per i terzi e una griglia base per
la valutazione delle eventuali offerte;
– contatta e seleziona i terzi interessati;
– coordina tutte le fasi di due diligence;
– predispone una graduatoria delle offerte;
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
80
– partecipa alla predisposizione del contratto di cessione e alle trattative con il
terzo prescelto.
In quest’ambito può egualmente essere necessario operare una revisione del business plan e della valutazione inizialmente definiti poiché dalla fase iniziale può intercorrere un lasso di tempo molto lungo e, pertanto, alcune condizioni che hanno
portato alla previsione di determinate strategie perseguibili e di un prefissato valore economico dell’azienda, potrebbero essere cambiate.
Quando l’azienda non viene ceduta a terzi bensì quotata in Borsa, oltre
all’advisor subentra un altro soggetto: il global coordinator. A quest’ultimo viene
lasciato il compito di curare il collocamento dei titoli sul mercato mobiliare.
In base alla legge Draghi tale soggetto assume anche il ruolo di sponsor responsabilizzandosi sui valori di emissione e sull’andamento dei titoli nei sei mesi successivi all’emissione nonché sulla verifica dei risultati prospettici.
In questo caso quindi l’advisor si comporta nel seguente modo:
– predispone una bozza di documento informativo per il global coordinator nonché definisce le caratteristiche generali dell’OPV/OPS;
– contatta e seleziona i terzi interessati a svolgere il ruolo di global coordinator;
– coordina tutte le fasi di due diligence;
– predispone una graduatoria delle offerte ricevute dal global coordinator;
– partecipa alla predisposizione del contratto di cessione e alle trattative con il
terzo prescelto.
Anche in questo caso può essere necessaria una revisione del business plan e della
valutazione inizialmente definiti a causa del tempo trascorso dalla fase iniziale.
L’attenzione al prezzo da definirsi per un’operazione di privatizzazione, come
già detto, deve essere ancora più grande di quanto può avvenire per un’azienda privata che viene quotata in Borsa. In questo caso infatti si è spesso combattuti tra
l’esigenza di invogliare i sottoscrittori e il rischio di trasferire sottoprezzo beni di
proprietà pubblica; non si devono fare dei “regali” ai sottoscrittori a danno della
collettività, ma neppure si può bloccare il processo di privatizzazione a causa di
prezzi eccessivamente alti. Occorre perciò partire dall’effettivo valore economico
determinato con metodologie appropriate che, in modo estremamente realistico,
riescano a dare delle indicazioni sulla reale capacità dell’impresa a produrre redditi futuri.
9.4
La determinazione del valore economico
e le esigenze interne: le strategie
Gli imprenditori sono solitamente interessati alla determinazione del valore del
capitale economico dell’impresa quando considerano la sua possibile cessione to-
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
81
tale o parziale nonché nelle ristrutturazioni della compagine sociale che spesso,
nelle imprese a base familiare, è legata ai cambi generazionali. Può accadere, in
quest’ultimo caso, che il presunto valore ritenuto attribuibile dall’imprenditore alla
propria azienda non sia di fatto un valore che tiene conto delle sue reali potenzialità economiche.
Spesso occorre spiegare all’imprenditore come il continuo reinvestimento
nell’azienda degli utili realizzati può di fatto non aumentare il valore. Esiste infatti
un limite superato il quale i mezzi aggiunti rendono l’azienda patrimonialmente
più solida, ma non ne migliorano le potenzialità reddituali. In determinati casi
“l’investimento azienda” può quindi non essersi rivelato come il più redditizio, i
mezzi propri avrebbero potuto trovare adeguato impiego in investimenti alternativi.
Per evitare i problemi esposti occorre essere sempre consapevoli delle conseguenze delle proprie scelte gestionali effettuate sulla base delle strategie adottate.
Tutto ciò si traduce pertanto nel valutare le conseguenze delle strategie, vale a dire
nello stimare il possibile nuovo valore che l’azienda potrebbe creare a seguito del
realizzarsi del risultato programmato con l’attuazione delle strategie. Si tratta
quindi di valutare la capacità dell’azienda a raggiungere obiettivi prefissati (performance) nel medio-lungo periodo. Analisi che, ovviamente, deve operarsi preventivamente, vale a dire nel momento in cui vengono individuate le strategie, al
fine di definire la convenienza del metterle in atto e di valutare l’effettivo risultato
conseguito.
È questo il meccanismo su cui si basa il controllo di gestione nel quale si fa però unicamente riferimento ai risultati che si vorrebbero ottenere e che si ottengono
attraverso un’analisi dei risultati contabili previsti ed effettivi. Ma il trarre delle
conclusioni di medio-lungo periodo sulla base delle indicazioni contabili non è
certamente la cosa più opportuna. L’obiettivo principale di ogni azienda è generalmente quello di produrre reddito in modo soddisfacente per coloro che vi investono le proprie disponibilità; tale obiettivo, sia pur attualmente contornato da altri
fini a carattere sociale, rimane pur sempre lo scopo principale.
Ogni scelta deve essere guidata e valutata in tale ottica, vale a dire nella sua potenzialità di aumentare le capacità dell’azienda a creare valore che non può certo
essere definita unicamente considerando i valori contabili, occorre pertanto valutare il capitale economico dell’azienda.
Siamo pertanto di fronte a un’altra frontiera che si apre nel campo delle valutazioni che non sono più effettuate unicamente a scopi esterni bensì anche per informare l’imprenditore, o comunque il management aziendale, sull’opportunità o
meno di attuare determinate politiche gestionali.
La valutazione del capitale economico dell’impresa assume pertanto in
quest’ottica una finalità esclusivamente interna.
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
82
9.4.1
I modelli di valutazione delle strategie d’impresa
Nell’ottica di valutare l’idoneità della strategia a migliorare la potenzialità economica di un’impresa si fa solitamente riferimento a due metodologie principali:
– la metodologia del bilancio;
– la metodologia del valore.
Entrambi i metodi devono trovare, come già anticipato in precedenza, sia un utilizzo preventivo, volto a determinare l’applicazione o meno della strategia, sia
consuntivo al fine di verificare la reale attuazione delle finalità insite nella strategia stessa.
Il primo metodo si avvale unicamente delle tecniche contabili e, di conseguenza, utilizza dati che si possono ottenere sia da un bilancio di previsione sia, in seguito, da un bilancio consuntivo. Si cerca così di valutare l’influenza delle strategie applicate dal management sul patrimonio e sulla situazione economica e finanziaria dell’impresa. In pratica vengono considerate le risorse disponibili (fonti) per
attuare le strategie (impieghi) tenendo principalmente presente la fattibilità degli
investimenti insiti nelle stesse strategie.
Con la metodologia in oggetto si fa uso di valori e indici contabili (tecniche
comuni per l’analisi di bilancio nel controllo di gestione) per pianificare e valutare
le condizioni di solvibilità nel medio e nel lungo periodo.
Il concetto basilare è che per avviare e continuare un’attività gestionale occorrono risorse la cui disponibilità e utilizzo generano costi e ricavi che, una volta attuato il processo di produzione aziendale attraverso l’impiego delle risorse, dovrebbero a loro volta produrre ulteriori risorse.
Meno limitativo del menzionato approccio è invece la metodologia del valore
con la quale si valutano invece le conseguenze delle strategie sul valore economico dell’impresa, trattasi pertanto di un metodo essenzialmente ispirato alla tecnica
finanziaria.
In quest’ottica si tende a valutare non tanto la fattibilità della strategia che dovrebbe essere posta in essere, bensì la sua convenienza economica; pertanto
l’impiego delle risorse aziendali, per essere conveniente, deve poter aumentare il
valore economico dell’impresa.
Diversi sono gli approcci che possono utilizzarsi per valutare la convenienza
puramente economica di una strategia, nella pratica possono sintetizzarsi in due
metodi fondamentali che rispettivamente analizzano:
– lo spread tra tassi di redditività e costo opportunità del capitale impiegato;
– lo spread tra flussi di cassa operativi attualizzati e costo opportunità del capitale impiegato.
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
83
Entrambi i metodi considerano il costo opportunità del capitale investito (Cmpc),
utile a definire una situazione di equilibrio della redditività.
È questa la base da cui partire per definire la convenienza economica delle strategie da considerare.
Lo spread tra tassi di redditività e costo opportunità del capitale impiegato
Usando tale metodologia si tende a considerare i tassi di redditività rispetto al costo opportunità delle risorse impiegate. In pratica, quando i tassi di redditività relativi all’impiego di determinate risorse sono superiori al loro costo opportunità la
strategia che ne richiede l’utilizzo può definirsi economicamente conveniente.
In pratica si tende a confrontare il tasso di rendimento dei mezzi propri dato dal
ROE (rapporto tra reddito netto e patrimonio netto) con il loro costo figurativo.
Il ROE è un indicatore reddituale per eccellenza al punto che si potrebbe ritenere come l’ottimizzazione di tale indice configuri la massimizzazione del valore
dell’impresa.
Tuttavia il ROE non si riferisce alla redditività operativa, capacità di reddito
della gestione caratteristica, e non dà neppure evidenza delle cause che determinano il reddito, ne consegue una sua impossibilità a essere d’aiuto nell’individuare le
azioni da intraprendere per migliorarne l’andamento.
Date tali lacune, gli operatori hanno fatto sempre più ricorso a un altro indice di
redditività: il ROI.
Anche la metodologia che considera lo spread tra i tassi di redditività e il costo
opportunità del capitale impiegato può ritenersi egualmente volta a misurare lo
spread tra il rendimento del capitale investito, ROI (rapporto tra il reddito operativo e il capitale investito operativo medio) e il relativo costo.
Il ROI è un indice che confronta un risultato reddituale intermedio con il capitale impiegato nella gestione caratteristica.
Il ROE e il ROI sono comunque due variabili rilevanti per la metodologia in
oggetto che utilizza ancora buona parte delle tecniche contabili di analisi dalle
quali, purtroppo, derivano i suoi principali difetti. Pertanto, se da una parte deve
attribuirsi a tale metodo il vantaggio di utilizzare parametri ben conosciuti al management, quali appunto il ROI, non si può trascurare come presenti i limiti di utilizzare valori spesso inficiati dalle stesse politiche contabili. Si pensi, a titolo
d’esempio, al criterio di valutazione al costo storico che, principalmente, guida la
redazione del bilancio e, di conseguenza, agli effetti ibridi ne possano derivare a
causa dell’inflazione.
Non si devono poi tralasciare alcuni effetti dovuti ad alcuni criteri di valutazione propri di specifiche poste contabili. Si pensi, a titolo di esempio, alla valutazione del magazzino facendo uso del metodo Lifo, metodo che tende a sottovalutare
le rimanenze in periodi di prezzi crescenti.
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84
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Lo spread tra flussi di cassa operativi attualizzati e costo opportunità del
capitale impiegato
Tale metodologia considera i flussi di cassa operativi che si originano rispetto al
valore iniziale dell’investimento.
Nella pratica una strategia è economicamente conveniente quando i flussi di
cassa operativi relativi all’attuazione della strategia, attualizzati a un tasso volto a
esprimere il costo opportunità del capitale impiegato superano il valore iniziale
dell’investimento attuato.
Se da una parte possiamo attribuire a questo metodo il pregio di superare i limiti contabili insiti in quello precedente, non dobbiamo comunque dimenticarci delle
difficoltà presenti nella sua applicazione pratica per quanto attiene le incertezze
dovute alla determinazione dei parametri.
Pregi e limiti delle metodologie sopra evidenziate hanno comunque fatto emergere chiaramente la necessità di riuscire a valutare la convenienza economica di una
strategia considerando la correlazione della performance dell’impresa con la sua capacità di creare nuovo valore.
Nasce così una nuova attenzione verso altri strumenti di misurazione come
l’EVA (Economic Value Added). Si tratta di un percorso complesso che considera
inizialmente strumenti contabili per la misurazione delle performance, fino ad arrivare a specifici indicatori periodici di creazione (distruzione) di valore. Volendo
sintetizzare il flusso di tale processo, deve rilevarsi come i risultati contabili vengano sottoposti a un processo di normalizzazione, volto a eliminare gli effetti distorsivi delle politiche di bilancio, redistribuirne i componenti reddituali straordinari ed eliminare gli effetti inflazionistici. Si ottiene così una valutazione delle
performance contabili normalizzate.
A questo punto i valori contabili normalizzati devono essere integrati dalle variazioni dello stock di beni immateriali e dalle plusvalenze/minusvalenze inespresse ottenendo in questo modo il REI (Risultato economico integrato).
Il risultato economico integrato, depurato del costo dei capitali, origina diversi
indicatori di creazione (distruzione) di valore, in particolare:
1) la depurazione del reddito contabile dagli interessi figurativi su di una parte
del capitale proprio (capitale versato dagli azionisti accreditato dagli interessi
annuali e addebitato dei dividendi percepiti) determina il reddito residuale;
2) il risultato contabile normalizzato e parzialmente integrato, da alcuni elementi
economici e finanziari, depurato del costo di tutti i capitali investiti permette
la determinazione dell’EVA;
3) il REI rettificato di un interesse figurativo sui capitali investiti definisce il
REIR (Risultato economico integrato residuale).
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
85
Se gli indicatori di valore sono strumenti utilizzabili per misurare le performance
dell’impresa, non si deve comunque dimenticare come loro valida alternativa sia
costituita dalla dinamica del valore esprimibile in diversi modi:
– differenziale del capitale economico (variazione del capitale economico avvenuta nel periodo di riferimento);
– differenziale del valore potenziale del capitale;
– differenziale del valore basato sulle quotazioni (differenziale dei prezzi di vendita del capitale di controllo nel periodo di riferimento);
– differenziale del valore basato sui prezzi probabili (differenziale dei probabili
prezzi di vendita del capitale di controllo nel periodo di riferimento).
9.4.2
Gli indicatori di performance: la nuova rilevanza dell’EVA
L’Economic Value Added rappresenta principalmente un indicatore della performance aziendale e della capacità a creare nuovo valore. È quindi un indicatore economico che può completare le indicazioni che si ottengono considerando anche
la dinamica del valore. Tale indicatore, concettualmente semplice è caratterizzato
da una base sperimentale.
Rappresenta certamente un punto a favore dell’EVA l’utilizzo di una metodologia standard, tuttavia non può non tenersi conto di come spesso trascuri la dinamica dei beni immateriali e delle plusvalenze. Alcune incertezze può poi presentare il
cercare di avvicinare il reddito storico al flusso di cassa.
Tale indicatore economico può esprimersi attraverso la seguente formula:
EVA = NOPAT - (WACC x C)
dove:
NOPAT (Normal Operating Profit After Tax) = margine operativo normalizzato dopo le tasse
WACC (Weighted Average Capital Cost) = costo medio ponderato del capitale investito
C (Capital) = Capitale investito, dato a sua volta dalla somma del capitale proprio, dei debiti
finanziari e degli accantonamenti.
Considerando la formula può vedersi come il valore economico generato cresce a
mano a mano che aumenta il risultato economico (margine operativo normalizzato
dopo le tasse) e diminuisce il capitale investito e il suo costo medio ponderato.
Dal punto di vista economico è certamente più comprensibile capire come si
generi valore quando il ritorno sugli investimenti (risorse impiegate) è superiore al
costo del capitale impiegato a scapito di analoghi concetti espressi dalla tecnica
del discounted cash flow. Proprio tale concetto ha favorito l’utilizzo dell’EVA che
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86
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
considera lo spread esistente tra il ROI e il costo opportunità del capitale investito
(CMPC), moltiplicando tale differenziale per il valore del capitale investito.
Nella pratica quindi il prodotto dell’eccedenza del ritorno dell’investimento rispetto al costo e del capitale investito determina il valore economico prodotto.
Non esistono particolari limitazioni settoriali nell’applicazione dell’EVA purché vengano adottati opportuni accorgimenti o correttivi. Nel caso di istituti di
credito, per esempio, basta procedere a una riclassificazione opportuna dei loro bilanci.
Perché l’EVA possa indicare in modo effettivo il valore economico generato,
occorre in ogni caso ricordare come i dati utilizzati vengano rettificati al fine di eliminare tutte quelle distorsioni dovute alle politiche e convenzioni contabili. Si
deve in pratica pervenire alla definizione di un reddito normalizzato.
Le principali rettifiche da apportare ai valori contabili possono riassumersi nelle seguenti:
– eliminazione degli effetti dovuti a particolari politiche finanziarie al fine di
meglio rendere omogenei i valori (si pensi agli effetti dovuti alla contabilizzazione delle operazioni di leasing finanziario in ossequio alla giurisprudenza italiana);
– eliminazione delle conseguenze dovute a talune convenzioni contabili (criterio
del costo, applicazione del metodo Lifo nella valutazione delle scorte, trattamento dei costi di ricerca e sviluppo ecc.).
– eliminazione degli effetti inflazionistici (le immobilizzazioni da tempo in uso
presso l’azienda sono spesso rappresentate da un valore contabile diverso da
quello reale; ne consegue la necessità di rettificare i valori contabili al fine di
considerare i loro valori correnti).
Considerando le limitazioni indicate, l’Economic Value Added è spesso affiancato
da un altro indicatore: il REI (Risultato economico integrato). Si tratta del reddito
di periodo normalizzato, volto pertanto a tenere egualmente conto sia delle plusvalenze (e/o minusvalenze) latenti sia della dinamica dei beni immateriali.
L’EVA rappresenta comunque un valido indicatore delle performance aziendali
(valore generato nel periodo per effetto di una strategia) che, cosa altrettanto importante, può essere utilizzato per valutare il capitale economico complessivo
dell’azienda. In tal caso si deve stimare il valore economico del capitale investito
pari alla somma del valore iniziale del capitale operativo (data di riferimento
dell’analisi) e del valore attuale degli EVA attesi (prospettici).
Si devono quindi prendere in considerazione i piani di medio-lungo periodo.
Il valore economico del capitale investito deve essere rettificato in diminuzione
dei debiti finanziari ed in aumento dei surplus asset eventuali al fine di riflettere il
valore del capitale economico aziendale. Quanto sopra è rappresentabile dalla seguente formula:
W = COI + pv EVA prospettici - DF + SA
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QUANDO DETERMINARE IL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO
87
dove
W = valore del capitale economico complessivo dell’azienda
COI = capitale operativo investito
pv EVA prospettici = valore attuale degli EVA futuri
DF = debiti finanziari
AS = Surplus Asset
Il valore economico del capitale investito è quindi pari alla somma del capitale operativo investito e degli EVA futuri attualizzati in un arco temporale che può estendersi fino a quando i ritorni sul capitale investito si discostano dal tasso che
esprime il costo opportunità delle risorse impiegate.
Se si assume invece l’ipotesi che l’impresa produca in futuro nuovo valore senza limiti di durata, gli EVA di periodo dovranno essere determinati fino ad arrivare
a un valore stabile che può essere considerato a regime. Capitalizzando questo valore a un tasso pari al costo medio ponderato del capitale si determina il valore residuo.
Il valore residuo attualizzato alla data di riferimento della stima deve poi sommarsi ai valori attuali degli EVA determinati relativamente ai periodi amministrativi precedenti rispetto a quello in cui si manifestano condizioni ritenute normali di
profittabilità.
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Parte seconda
CASI PRATICI
di Emanuela Fusa e Giorgio Guatri
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Valutazione del capitale economico
di un’azienda alimentare
Oggetto della valutazione
L’oggetto della valutazione è dato dal valore economico al 30 giugno 1989 di
un’azienda alimentare italiana costituita da un gruppo di società.
Di fronte a un’azienda industriale dotata di notevoli immobilizzazioni materiali
(immobili, macchinari e impianti), si è resa necessaria una perizia tecnica redatta
da un terzo professionista volta a individuare il valore corrente dei beni.
Il perito ha proceduto solo a un’analisi sulla ragionevolezza e attendibilità dei
budget utilizzati, non operando alcuna verifica dei dati contabili relativi ai bilanci
del gruppo in quanto oggetto di certificazione.
La presentazione del gruppo
Per poter individuare la metodologia da usarsi nella valutazione, occorre conoscere
l’oggetto da valutare, capire la realtà in cui opera e le sue influenze.
Il perito, al fine di motivare le sue scelte metodologiche, ha considerato così le
caratteristiche dell’azienda e del settore di appartenenza. In particolare si tratta di
un gruppo alimentare operante, principalmente, anche se non in via esclusiva, nel
settore del latte a lunga conservazione e dei prodotti derivati, presente anche
all’estero con stabilimenti produttivi e società commerciali.
Tabella 1 - PRINCIPALI GRANDEZZE ECONOMICHE DEL GRUPPO (L./mld)
Vendite lorde
Margine operativo
1989
1990 budget
1.384,0
1.597,4
148,4
176,6
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
92
Tabella 2 - COMPOSIZIONE DELLE VENDITE PER MERCATO DI DESTINAZIONE NEL 1989 (L./mld)
Preconsuntivo
Totale
Mercato nazionale
Mercato estero
1.297,5
86,5
Il 48% del fatturato, costituito dalle vendite di latte, è affiancato da una considerevole gamma di prodotti cui corrisponde un numero notevole di marchi industriali
(circa una ventina).
Diversi i mercati interessati, i consumatori e i canali di distribuzione.
Data l’elevata tecnologia di lavorazione, conservazione e di imballaggio dei
prodotti, il punto di forza principale è costituito dal know how, dall’esperienza e
dalla struttura distributiva, in grado di soddisfare le richieste dei consumatori relativamente a un prodotto sempre più innovativo e di elevata qualità.
I prodotti
Divisione latte
– Latte. Ricopre circa il 50% del fatturato con una buona redditività.
L’azienda detiene una posizione di leadership nella produzione e commercializzazione del latte a lunga conservazione non solo grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate, ma anche ai forti investimenti operati in termini di pubblicità e
sponsorizzazioni (oneri pluriennali). Scarsa è la concorrenza a causa dei notevoli costi che caratterizzano le innovazioni del processo produttivo (assenze di
minacce).
Ha preminenza locale, invece, la produzione e commercializzazione del latte
pastorizzato; le quote più rilevanti del mercato sono detenute dalle centrali del
latte locali.
– Sottoprodotti del latte. La posizione di leadership è mantenuta anche nella
commercializzazione dei sottoprodotti del latte (panna e besciamella) con alta
redditività dovuta alle sinergie di distribuzione.
Divisione vegetali
La divisione, che comprende prodotti vegetali e derivati, presenta una redditività
discreta.
Si tratta principalmente di succhi di frutta e passati, prodotti che, grazie soprattutto ai rilevanti investimenti pubblicitari, garantiscono una buona posizione
dell’azienda sul mercato.
Divisione latticini
Si tratta di prodotti con una redditività buona.
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CASO 1: UN’AZIENDA ALIMENTARE
93
L’azienda produce principalmente formaggi freschi e, in particolare, creme da
dessert ed è fortemente intenzionata a potenziare la produzione e la distribuzione
dei primi prodotti.
Divisione forno
Si tratta di prodotti con una redditività molto bassa.
In tale divisione, principalmente costituita dalle merendine e dai biscotti,
l’azienda detiene una buona parte del mercato con positive prospettive di sviluppo,
grazie alla ricerca volta alla creazione di nuovi prodotti e ai consistenti investimenti pubblicitari.
Distribuzione commerciale
La distribuzione commerciale è suddivisa in prodotti:
– a lunga conservazione;
– freschi;
– da forno.
Gestita da circa 200 depositi con altrettanti concessionari mono e pluri mandatari e
personale alle dirette dipendenze per circa 2.500 unità.
Si tratta in pratica di una rete capillare di distribuzione presente su tutto il territorio nazionale con concessionari altamente automatizzati, collegati attraverso un
sofisticato sistema informativo che consente la rilevazione contabile delle vendite
in tempo reale.
Punti di forza e di debolezza
In modo estremamente analitico i punti di forza e di debolezza dell’azienda si possono riassumere nei seguenti:
Punti di forza
– disponibilità di una tecnologia avanzata ed esclusiva che assicura una certa
competitività in termini di costi;
– notorietà dei prodotti e dell’immagine a livello nazionale e internazionale;
– presenza di una rete di distribuzione sofisticata.
Punti di debolezza
– scarsa capitalizzazione;
– squilibrio tra i mezzi propri e quelli dei terzi.
Strategie per risolvere i punti di debolezza
Al fine di eliminare i punti di debolezza sono stati programmati opportuni interventi sul capitale proprio.
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94
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Valutazione dell’azienda
Aspetti patrimoniali
In questo caso, per valutare l’azienda è stato fatto uso del metodo misto patrimoniale-reddituale con stima autonoma del goodwill, metodo largamente usato nelle
valutazioni delle aziende industriali, basandosi su un insieme di informazioni sia
patrimoniali che reddituali. In tal modo si riesce a tener conto dell’oggettività e
verificabilità connesse all’aspetto patrimoniale senza trascurare le attese reddituali,
componente essenziale del capitale economico.
Per l’applicazione del metodo al caso specifico, il primo passo è stato quello di
determinare il capitale netto rettificato, partendo dalla situazione contabile evidenziante un patrimonio netto del gruppo pari a 136,3 L./mld così composto:
Capitale netto contabile del gruppo (L./mld)
Capitale netto
Utile d’esercizio in corso
133,6
9,0
pertinenze dei terzi:
Capitale netto
- 6,0
Risultato
- 0,3
Capitale netto del gruppo
136,3
Conseguentemente il capitale netto rettificato, alla stessa data, risulta pari a (vedi
tabella 3).
Relativamente alle rettifiche operate valgono i commenti che seguono:
Immobilizzazioni tecnico-strumentali
Dovendo le immobilizzazioni tecnico-strumentali essere rilevate in base al loro valore di mercato, il valutatore ha proceduto a:
– richiedere una perizia tecnica sul valore dei beni dalla quale è risultato un valore corrente di lire 885,4 miliardi;
– confrontare il valore corrente con il valore contabile di lire 217,2 miliardi;
– rilevare una differenza positiva di circa lire 668,2 miliardi.
Il valore corrente è stato in ogni caso determinato come segue:
– terreni e fabbricati civili (prezzo corrente di mercato);
– fabbricati industriali, impianti, macchinari e attrezzature (costo di ricostruzione
a nuovo, rettificato in relazione al degrado fisico e all’obsolescenza tecnica ed
economica);
– automezzi, mobili, arredi, macchine per ufficio (prezzo di mercato).
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CASO 1: UN’AZIENDA ALIMENTARE
95
Tabella 3 - CAPITALE NETTO RETTIFICATO (L./mld)
Capitale netto contabile
136,3
Plusvalenze su:
Immobilizzazioni tecnico-strumentali
- valore corrente
885,4
- valore netto contabile
217,2
668,2
Beni immateriali:
- valore corrente
1.050,0
- valore netto contabile
10,3
1.039,7
Minusvalenze (svalutazioni) su:
- rimanenze di magazzino
-0,9
- crediti commerciali
-2,2
Cancellazione di poste di consolidamento:
- avviamento delle partecipazioni
-355,6
1.485,6
Oneri fiscali potenziali (20% su L./mld 1.485,6)
Capitale netto rettificato (K)
-297,1
1.188,5
Immobilizzazioni immateriali
Si tratta di quel complesso di condizioni di mercato, quali quote, notorietà, marchi,
sviluppate dall’azienda tramite piani d’investimento caratterizzati dall’impiego di
ingenti risorse in attività promozionali, (pubblicità e sponsorizzazioni). Siamo pertanto di fronte a un insieme di beni immateriali di marketing tra i quali il maggior
valore è naturalmente riferito al marchio principale (usato per il settore del latte). I
criteri applicati nella determinazione del valore di tali beni sono dati da:
– costo effettivamente sostenuto;
– costo di riproduzione.
Il costo effettivamente sostenuto consiste nell’individuare i costi dimostratisi necessari per la produzione dei beni immateriali, contabilizzati e non, tenendo egualmente conto del loro eventuale degrado.
In merito si sono considerati i costi sostenuti negli ultimi 19 anni quali (L/mld):
Spese promozionali nazionali =
999,6
Spese promozionali estero =
258,1
Totale =
1.257,7
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96
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
L’ammortamento su tali oneri è stato considerato per un periodo di 25 anni.
Il costo di riproduzione, invece, consiste nell’individuare il costo dovuto per riprodurre, nel momento in cui viene valutato, il bene immateriale.
Nel caso in oggetto l’investimento necessario per raggiungere una posizione
analoga è stato ragionevolmente considerato compreso tra i 700 e gli 800 miliardi.
In base alle risultanze di cui sopra ai beni immateriali è stato prudentemente attribuito un valore corrente pari a 1.050 miliardi.
Avendo tali beni un valore contabile di 10,3 miliardi, ne è conseguita una plusvalenza di 1.039,7 miliardi.
Rimanenze finali
Le rimanenze della società valorizzate al costo, determinato facendo riferimento al
metodo Fifo (first in first out), approssimano il loro valore corrente rettificato dal
perito unicamente per la presenza di prodotti non più vendibili pari a circa lire 0,9
miliardi.
Crediti commerciali
Nell’applicare il criterio generale del “presunto valore di realizzo” è emersa la necessità di procedere a un’ulteriore svalutazione a causa del contenzioso in essere di
circa 2,2 miliardi.
Cancellazione delle poste di consolidamento
Costituiscono avviamenti contabilizzati in bilancio frutto per lo più di differenze
tra il prezzo pagato per l’acquisto delle partecipazioni e la quota parte del patrimonio netto contabile delle società acquisite.
Tali poste sono state eliminate dal patrimonio netto in quanto oggetto di nuova
determinazione nella stima del valore totale del gruppo.
Oneri fiscali
Come indicato dalla dottrina, approssimandosi meglio alla situazione reale, il
computo degli oneri fiscali è stato operato dal perito in base a un’aliquota ridotta
rispetto a quella reale (20% in termini attualizzati). Si riesce così a tener conto delle norme caratterizzanti il D.p.r. 917/86 nel 1990 (possibilità di differire la tassazione di alcuni componenti positivi di reddito). Non è poi stata trascurata
l’attenzione che solitamente i gruppi societari prestano alle possibilità di risparmi
fiscali.
Aspetti reddituali
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97
CASO 1: UN’AZIENDA ALIMENTARE
Si sono tenute presenti le situazioni storiche e prospettiche del gruppo nel quinquennio 1988-1992, di seguito sintetizzate (valori in L/mld).
Tabella 4 – SITUAZIONI STORICHE E PROSPETTICHE DEL GRUPPO
Risultato ante imposte e ammortamenti
Ammortamenti su:
- cespiti rivalutati
- beni immateriali
Risultato ante imposte:
Oneri fiscali 46,3%
1988
1989
1990
1991
1992
58,0
77,8
112,3
150,1
198,9
45,0
45,0
45,0
45,0
45,0
33,6
33,6
33,6
33,6
33,6
- 20,6
- 0,8
33,7
71,5
120,3
-
-
15,6
33,1
55,7
- 20,6
- 0,8
18,1
38,4
64,6
Relativamente alle rettifiche dei risultati reddituali valgono i commenti che seguono.
Ammortamenti
Poiché il valore contabile dei cespiti è stato sostituito dal loro valore corrente, anche gli ammortamenti contabili hanno lasciato il posto a quelli ricalcolati considerando i valori correnti dei beni e le rispettive vite residue determinate da apposita
perizia tecnica (in pratica l’ammortamento annuo è stato determinato in base al seguente rapporto: Valore netto corrente del bene/anni di vita residua).
Relativamente ai beni immateriali la presunta durata è stata determinata in un
arco temporale di circa 25 anni (aliquota 4%).
In merito si è tenuto conto di come essi possano essere utili per 35/40 anni solo se
supportati da appositi investimenti conservativi. L’osservazione è stata mitigata
dall’imprevedibilità dei possibili eventi che potevano contrastare la notevole durata.
Oneri fiscali
Si trattava del carico fiscale presente negli anni considerati (46,3%).
Reddito normalizzato
Il reddito medio normalizzato è stato assunto pari a 15 miliardi circa in quanto non
si sono considerati i risultati degli esercizi 1988 e 1989 poiché, a causa delle ingenti operazioni straordinarie effettuate dal gruppo, il loro riverificarsi non si può
reputare realistico.
Egualmente, per scopi di prudenza non sono stati considerati i risultati relativi
agli esercizi 1991 e 1992; pertanto è stato fatto riferimento al risultato relativo
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98
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
all’esercizio 1990 arrotondandolo per difetto in lire 15 miliardi. Tale valore è stato
poi integrato dalla possibile redditività addizionale ottenibile da un previsto aumento del capitale proprio di circa 450 miliardi, dopo aver accertato la fondatezza
di tale progetto.
La redditività addizionale è stata considerata in una percentuale dell’11,8% determinata in base al rendimento ottenibile dal capitale proprio investito in termini
di risparmi di costi finanziari connessi all’indebitamento relativo al triennio successivo all’operazione.
In sintesi (valori in L/mld):
Rapporto
capitale
indebitamento
investito
minor
1990
1991
1992
42,7
94,2
107,5
450,0
450
450,0
=
=
=
10%
21%
24%
media = 22% circa
al netto degli oneri tributari del 46,3% = 11,8%
Conseguentemente il reddito atteso è stato così determinato (valori in L/mld):
Reddito normalizzato = 15,0
Effetto economico dei futuri aumenti di capitale (450 ⋅ 11,8%) = 53,1
Reddito atteso = 68,1
Determinazione del valore aziendale con il metodo misto reddituale
patrimoniale
Il valore del gruppo è stato determinato considerando:
– la presenza di un badwill dovuto alla scarsa redditività rispetto al capitale investito. La durata di tale sottoreddito, in base ai risultati storici e previsionali è
stata stimata in circa 2 anni.
Infatti, considerando una redditività sufficiente del capitale investito pari al
7,5%, rendimento normale stimabile per le aziende industriali caratterizzate da
tensioni finanziarie comunque risolvibili attraverso opportuni piani di ricapitalizzazione, si può notare come solo nel 1992 i piani mostrano un risultato economico di lire 120 miliardi.
In tali condizioni il sottoreddito deve avere una durata di almeno due anni, assunta, per motivi di prudenza in tre;
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CASO 1: UN’AZIENDA ALIMENTARE
99
– il tasso di attualizzazione (i’) pari al 12%. Tasso presente nel 1990 per gli investimenti privi di rischio.
Ne consegue (valori in lire miliardi):
B = a3 0,12 (68,1 - 0,075 ë 1.638,52) = -131,6
1
2
da cui:
W = 1.638,5 - 131,6 = 1.506,9
W senza l’aumento di 450 miliardi ipotizzato dalla società, può stimarsi in (lire
miliardi):
1.506,9 - 450 = 1.056,9
Tale valore trova riscontro dall’applicazione del metodo reddituale puro (formula
della rendita perpetua), dove il reddito è stato assunto per un periodo di tempo più
lungo e per un’importo di circa 97,5/105 miliardi (attualizzati 45/52,5 miliardi),
maggiorati dal rendimento sull’incremento del capitale per 450 miliardi (35,4 miliardi), e il tasso di capitalizzazione i pari all’8%.
1
2
Reddito normalizzato
15
Impatto economico generato
53,1
dall’aumento del capitale
68,1
Capitale netto rettificato
1.188,5
Possibile aumento
450
del capitale
1.638,5
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Valutazione del capitale economico
di un’impresa di assicurazione
Oggetto della valutazione
L’oggetto della valutazione è dato dal valore del capitale economico al 31.12.1995
di un’impresa di assicurazione operante esclusivamente nel ramo danni.
I dati contabili non sono stati verificati dal perito, in quanto, operando la società in un “settore speciale”, quale quello assicurativo, è sottoposta a certificazione
legale in base a quanto richiesto dallo stesso organo di controllo (Isvap).
Il progetto di bilancio al 31.12.1995 evidenzia i seguenti principali valori:
STATO PATRIMONIALE (L./mld)
Attivo
Beni immobili
Titoli a reddito fisso
Partecipazioni
Crediti vs compagnie di
riassicurazione
Passivo
Patrimonio netto
59,0
335
Fondi ammortamento
20,0
12
Fondi accantonamento
11,0
Riserve passive
402,
0
35
2
5,0
Riserve attive
35
Debiti vs compagnie di
riassicurazione
Liquidità
12
Debiti diversi
Crediti diversi
74
Altri debiti
9,9
Utile d’esercizio
0,1
Mobili, impianti ecc.
Altre attività
5
23,0
20
530
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
530
102
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
VALORI ECONOMICI (L./mld)
Costi
Ricavi
Riserve riassicuratori
35,0
Riserve iniziali
360
Premi ceduti
30,0
Premi
299
Risarcimenti
189,0
Riserve a carico riass.
57
35
Oneri di acquisizione
57,0
Provvigioni
Spese di liquidazione
20,0
Altre partite tecniche
8
401,0
Proventi patrimoniali
35
Altri proventi
14
Riserve finali
Imposte a carico assicurati
35,0
Spese generali e amministrative
27,0
Ammortamenti e accantonamenti
9,0
Oneri straordinari
4,9
Risultato d’esercizio
0,1
808
808,0
I documenti previsionali (budget) sono stati a loro volta analizzati unicamente al
fine di valutarne il grado di attendibilità.
Presentazione della società
La società opera nel settore assicurativo e appartiene a un gruppo finanziario in rapida espansione. Esercita esclusivamente il ramo danni con un portafoglio costituito per più del 50% da R.C. Auto.
Di seguito è riportata la composizione del portafoglio premi al 31.12.1995:
Premi emessi
(L./mld)
Incidenza
R.C. Auto
171,6
57,4%
Auto Rischi diversi
33,3
11,1%
Ramo auto
204,9
68,5%
Rami elementari (furti, incendi, salute)
93,9
31,5%
Totale
298,8
100,0%
Il 77% del portafoglio è realizzato attraverso una rete di distribuzione di circa 370
agenti; la società si avvale inoltre di promotori finanziari.
L’organico è costituito da circa 250 unità. Il portafoglio premi passa da circa 38
miliardi di lire del 1984 a circa 300 miliardi di lire nel 1995.
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CASO 2: UN’IMPRESA DI ASSICURAZIONE
103
Negli anni la società ha attuato una profonda ristrutturazione della rete distributiva al fine di migliorare la qualità e la redditività dei servizi offerti.
Valutazione della società
Aspetti patrimoniali
Come metodo principale il valutatore ha fatto uso del criterio misto patrimonialereddituale con stima autonoma del goodwill, mediante capitalizzazione limitata del
profitto medio atteso. In questo modo ha cercato di considerare, contemporaneamente, l’aspetto patrimoniale (elemento obiettivo) e quello reddituale (indicante le
attese reddituali, componente essenziale del valore del capitale economico).
Determinazione del capitale netto rettificato
Per determinare il capitale netto rettificato è stato considerato, come prima cosa, il
capitale netto contabile della società al 31.12.1995, vale a dire (L./mln):
Capitale sociale
Riserve e utili esercizi precedenti
52.500
6.295
Utile dell’esercizio
Capitale netto contabile
113
58.908
Il capitale netto contabile è stato poi rettificato dalle seguenti plus-minusvalenze
latenti:
– valore del portafoglio premi;
– titoli a reddito fisso.
Portafoglio premi
Il valore del portafoglio premi si riferisce alla capacità di raccolta della società.
In tal senso è stato utilizzato un metodo empirico che comporta l’applicazione
di diversi coefficienti (parametri dedotti dai comportamenti negoziali di operatori
sul mercato) ai premi in relazione ai rami esercitati (“auto” e “rami elementari”).
In estrema sintesi la formula può essere così rappresentata:
Pi ⋅ ci
dove:
Pi = categorie di premi;
ci = coefficienti moltiplicativi applicabili per categoria di premi (ramo).
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104
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Nei tre settori fondamentali − auto, altri rami danni, vita − si sono registrate nel
tempo oscillazioni dei coefficienti che hanno portato, alla data della perizia, a evidenziare valori indicativi dei seguenti parametri:
– da 0,25 a 0,50 nell’auto;
– da 0,40 a 1 negli altri rami danni.
Il valutatore ha tenuto conto della tendenza storica alla riduzione dimostrata dalla
specifica fattispecie ritenendo così opportuno assumere i seguenti valori prudenziali:
– 0,25 nell’auto;
– 0,40 negli altri rami danni.
Pertanto, il portafoglio premi al 31.12.1995 della società considerata è stato così
determinato:
Rami
R.C. auto e auto rischi diversi
Elementari
Totale
Premi 1995 (L./mld)
Coefficiente
Valore (L./mld)
204,9
0,25
51,2
93,8
0,4
37,5
298,8
88,7
Titoli a reddito fisso
Titoli in portafoglio
Il cospicuo portafoglio titoli a reddito fisso della società, reso necessario soprattutto dalla normativa di settore, evidenza alla data della perizia (31.12.1995) una minusvalenza pari a 15.129 milioni di lire così ottenuta (lire miliardi):
Valore contabile dei titoli
Quotazione di mercato dei titoli
335,0
− 319,9
15,1
Nella pratica i titoli devono distinguersi in quotati e non quotati. Per i primi si fa
normalmente ricorso ai prezzi di un recente periodo o al prezzo corrente al momento della stima. Per i secondi è frequente l’assunzione del valore nominale o del
costo quando i tassi di rendimento sono sostanzialmente in linea con i tassi correnti di mercato. In caso contrario vanno rilevate, a seconda dei casi, plus o
minusvalenze espresse dal valore attuale, rispettivamente, dei maggiori o minori
interessi futuri che verranno percepiti, rispetto al rendimento medio normale di
mercato.
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CASO 2: UN’IMPRESA DI ASSICURAZIONE
105
Nella perizia non sono state rilevate ulteriori plusvalenze o minusvalenze patrimoniali confrontando i valori contabili dei beni rispetto ai loro valori correnti;
ne è conseguita, pertanto, la seguente determinazione del capitale netto rettificato
(K) (in L./mln):
Capitale netto contabile
58.908
Valore del portafoglio premi
88.700
Titoli a reddito fisso
−15.129
Capitale netto rettificato (K)
132.479
Aspetti reddituali
Per determinare il reddito normalizzato (R), il valutatore ha esaminato i risultati
economici della società relativi al triennio 93-95 (più recente passato), e le proiezioni relative al triennio 1996/98 (budget 1996, piano 1997/98).
In pratica (L./mln):
Risultato dell’esercizio
1993
1994
1995
1996
1997
1998
3.165
2.900
115
2.200
3.300
3.450
Si è quindi utilizzato il risultato netto dell’esercizio in quanto fattore che non ha
risentito sostanzialmente dei componenti di costo e di ricavo estranei alla gestione
caratteristica.
Ne conseguiva un risultato medio-normale atteso di R = 3.000 L./mln.
Determinazione del valore aziendale
Determinato il capitale netto rettificato e il reddito normale atteso, il valutatore,
per stimare il valore aziendale in base al metodo misto patrimoniale reddituale, ha
definito i seguenti ulteriori parametri:
Tasso di remunerazione “normale”: i = 7%
Estensione temporale: n = 10 anni
Tasso di attualizzazione: i’ = 9%
In particolare il tasso di interesse normale (i) esprime il rendimento giudicato soddisfacente considerando il grado di rischio tipico del settore e dell’azienda.
In Italia i tassi di reddito giudicati normali al netto dell’inflazione, per il settore
dei servizi sono, in base a esperienza, ricompresi tra il 5 e il 10%. Il perito ha pertanto scelto un valore intermedio (7%).
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106
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
La misura di n potrebbe invece variare tra 5 e 10 anni; per la società valutata il
professionista ha scelto un periodo di 10 anni (n = 10) considerando che la carenza
di redditività dell’azienda perdura su un orizzonte temporale non breve, a causa
della tipologia dei rischi assicurati prevalentemente relativi al ramo R.C. auto con
margini di redditività contenuti.
Il tasso i’ di attualizzazione, puro compenso finanziario per il trascorrere del
tempo, indipendente da problemi di rischio specifico dell’impresa, si ricollega a
parametri finanziari “senza rischio” (per esempio, al tasso di rendimento odierno
dei titoli dello Stato). Il saggio utilizzato, considerando i valori presenti nel 1995 è
stato pari al 9,0%.
Sulla base delle grandezze patrimoniali e reddituali il valore della società, è stato stimato come segue (in L/mln):
W = 132.479 + a10 0,09 (3.000 - 0,07 ⋅ 132.479) = 92.218
assunto, per arrotondamento, pari a:
WM = L. 92.000 milioni
Il metodo reddituale
In parte i valori utilizzati per il calcolo del valore aziendale, facendo uso di tale
metodologia, sono già stati individuati e commentati con l’analisi dei tassi di capitalizzazione e con la determinazione del reddito medio-normale atteso da utilizzare
ai fini della valutazione mista reddituale-patrimoniale.
In particolare il tasso di capitalizzazione i è stato assunto pari al 6% avendo operato una rettifica decrementativa del tasso-opportunità di rendimento (k = 8%)
con un saggio di crescita attesa della performance reddituale (g = 2%).
Facendo uso di tale metodologia la formula normalmente adottata ipotizza una
durata illimitata della vita dell’azienda con:
R
W = 
i
dove:
R = reddito medio-normale atteso;
i = tasso di capitalizzazione.
La misura del tasso di capitalizzazione deve tener conto delle aspettative di crescita dell’azienda, in particolare del suo profilo reddituale.
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CASO 2: UN’IMPRESA DI ASSICURAZIONE
107
Quanto sopra è particolarmente importante per le aziende con un trend di sviluppo della propria attività non ancora pienamente riflesso nei risultati economici
passati e attesi per l’immediato futuro.
In base a tali considerazioni il tasso di capitalizzazione dovrebbe risultare da:
i=k-g
dove:
k = tasso equivalente al rendimento offerto da investimenti alternativi, a parità di rischio tasso
opportunità);
g = fattore di crescita del reddito, assunto costante nel tempo.
In Italia, tassi di reddito giudicati normali al netto dell’inflazione vengono spesso
identificati nel settore dei servizi tra il 5 e il 10%, secondo i tipi di attività considerati; sulla base delle indicazioni esposte in precedenza, nella valutazione
dell’azienda il perito ha scelto un tasso pari al 6%, dato da:
i = k - g = 0,08 - 0,02 = 0,06
Il risultato economico medio-normale è stato determinato, come per la precedente
metodologia mista, in 3.000 L./mln.
Nel caso di specie, è stata ritenuta idonea l’adozione di un criterio di determinazione del profilo reddituale che contemperasse le risultanze oggettive dei risultati storici più recenti con le attese previste nel piano.
Pertanto, il risultato economico della società, determinato facendo uso del metodo reddituale puro, risultava pari a (in L./mln):
R
Wr = 
i
3.000
= 
= 50.000 L./mln
0,06
Conclusioni
L’applicazione dei metodi di stima adottati evidenzia quindi i seguenti valori del
capitale economico (L./mld):
metodo misto: W = 92.000;
metodo reddituale: WR = 50.000.
Tali grandezze divergono significativamente a causa del differente tipo di informazione che caratterizza i relativi criteri di stima.
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108
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Il metodo misto patrimoniale-reddituale tende talvolta a sovrastimare il valore
di società in cui il correttivo rappresentato dal badwill non è in grado di tenere
conto in modo adeguato del divario esistente tra i contenuti patrimoniali e quelli
reddituali (tipicità della società valutata).
In particolare i valori patrimoniali sono particolarmente elevati a causa della
metodologia empirica utile per la stima del portafoglio premi.
Al contrario, il metodo reddituale sottostima il valore della società, in quanto
non può esprimere con sufficiente sicurezza le prospettive di reddito (soprattutto
nel caso di un’assicurazione di recente formazione).
In questa situazione il perito ha attribuito un “peso” prevalente reddituale, privilegiando la razionalità del metodo e l’universalità dei suoi riconoscimenti.
Pertanto il valore finale del capitale economico della società è stato stimato in
un intervallo tra 50 e 70 miliardi di lire; o sinteticamente, in:
W = 60 L./mld
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Parere sulla congruità dei rapporti
di concambio di due istituti di credito
Oggetto della valutazione
Ai sensi dell’art. 2501-quinquies del codice civile, il professionista, nominato con
provvedimento del Presidente del Tribunale di Milano, ha proceduto a verificare la
congruità del rapporto di cambio relativo a una proposta di fusione per incorporazione tra due istituti di credito che, per ragioni di riservatezza, indicheremo come
Banca “A” (incorporante) e Banca “B” (incorporata).
Con apposita relazione, è stato espresso un giudizio sulla congruità del rapporto
di cambio delle azioni, indicando i metodi seguiti e i valori risultanti dalla loro applicazione.
Il parere rilasciato ha espressamente tenuto conto dei seguenti fattori:
– negoziazioni tra le parti volte a definire il concambio;
– motivazioni indicate nelle relazioni dei Consigli di amministrazione delle società (art. 2501-quater del codice civile) sul concambio negoziato (1 azione ordinaria della Banca “A” del valore nominale di lire 5.000, a seguito
dell’aumento del valore nominale per imputazione di riserve deliberato
dall’assemblea straordinaria, a fronte di 1 azione ordinaria dell’incorporanda
Banca “B” del valore nominale di lire 2.000 cadauna).
Al fine di verificare la congruità del rapporto di concambio l’esperto ha considerato i bilanci annuali delle due società, certificati per imposizione di legge, e il bilancio infrannuale alla data di riferimento della stima.
Presentazione delle società
La Banca “A” incorporante, appartiene a uno dei più importanti gruppi bancari internazionali, svolge attività di credito ordinario, offre diversi servizi bancari e parabancari con un’organizzazione dinamica e attenta alle innovazioni nel marketing, nei prodotti finanziari e nei sistemi informatici. Nello svolgimento di tali at-
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
110
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
tività si avvale anche di società controllate (principalmente società finanziarie, di
intermediazione mobiliare, di leasing e di factoring).
Il servizio di raccolta presso la clientela privata durante il 1993 è stato potenziato attraverso l’inserimento di operatori specializzati presso la rete degli sportelli
e il lancio di nuovi prodotti;
L’attività relativa agli affidamenti alla clientela privata si è progressivamente
orientata verso una politica prudente e selettiva che consente di ridurre significativamente il livello del rischio.
I rapporti con il “sistema” delle imprese e degli enti commerciali negli anni più
vicini al periodo cui la stima si riferisce, è stato caratterizzato da una strategia
sempre più orientata all’offerta di un servizio di “consulenza globale” (ampliamento della gamma di prodotti e realizzazione di una più articolata organizzazione
della divisione in grado di offrire alla clientela un know how integrato sui problemi della finanza d’impresa). Di seguito vengono esposte (tabella 1) le principali
grandezze economico-patrimoniali nell’ultimo biennio della Banca “A” prima della perizia.
Tabella 1 - BANCA “A”: PRINCIPALI GRANDEZZE ECONOMICO PATRIMONIALI (valori in L./mld)
1993
Raccolta totale (clientela ed enti creditizi)
1992
%
17.379,0
12.030,0
44,5
Impieghi clientela
8.805,0
8.468,0
4,0
Titoli clientela (*)
17.070,0
15.174,0
12,5
Patrimonio netto
2.076,5
1.605,0
34,7
Utile delle attività ordinarie
272,1
187,2
45,3
Utile netto
114,6
101,7
12,7
Cash flow (utili + ammortamenti)
193,1
180,2
7,2
4.611,0
4.544,0
=
246,0
224,0
=
Dipendenti
Sportelli
(*) Compresi i fondi di investimento.
Può notarsi come sia stata positiva l’evoluzione dei principali aggregati
dell’attività creditizia (impieghi e raccolta) e favorevole l’espansione dei risultati
economici. L’utile della gestione caratteristica è risultato poi notevolmente aumentato in concomitanza di una politica di ampliamento della struttura organizzativa e della gamma di prodotti offerti.
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CASO 3: DUE ISTITUTI DI CREDITO
111
La raccolta diretta e indiretta è stata caratterizzata da un andamento favorevole
e da una certa espansione dovuta all’offerta di prodotti innovativi (raccolta complessiva al 31.12.1993 superiore a 26.400 L./mld).
Gli impieghi sono globalmente passati dagli 8.468 L./mld del 1992 a 8.805 miliardi di lire nel 1993 (risultato di rilievo con un incremento del 4%).
Importante la posizione assunta dall’istituto nelle attività commerciali principalmente nei settori chimico, dei prodotti energetici, meccanico, del commercio e
della grande distribuzione.
A sua volta la Banca “B” (incorporata), con un ruolo fondamentale nello sviluppo economico regionale, presenta nell’ultimo biennio pre-perizia, le seguenti
grandezze economico-patrimoniali (tabella 2).
Tabella 2 - BANCA “B”:PRINCIPALI GRANDEZZE ECONOMICO-PATRIMONIALI (L./mld)
1993
1992
%
Raccolta totale (clientela e interbancaria)
7.825,8
7.602,0
2,9
Impieghi clientela
3.743,1
3.898,0
-3,4
Raccolta indiretta (*)
4.052,7
3.929,1
3,1
Patrimonio netto
703,2
629,6
6,9
Risultato lordo di gestione
189,3
166,8
13,5
Utile netto
62,0
80,1
-22,6
Dipendenti
1.823,0
1.752,0
=
Dipendenze
137,0
125,0
=
(*) Al netto titoli oggetto PCT e nella diretta.
Nel 1993, grazie a una politica di selezione della clientela, tale istituto ha limitato
la contrazione degli impieghi al 3,4% nonostante le difficoltà congiunturali presenti nell’industria regionale in cui la banca opera. La raccolta si è rafforzata crescendo dell’2,9%. Per tale istituto particolarmente significative sono le linee di
credito in essere con l’industria metallurgica e meccanica, con il “sistema” della
moda e con il commercio e la grande distribuzione.
Importante, poi, il ruolo del credito destinato ai consumatori, ammontante nel
1992 a 353 miliardi di lire circa.
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112
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Valutazioni adottate dai Consigli di amministrazione delle società
Aspetti patrimoniali
Entrambi gli istituti di credito sono stati valutati utilizzando il metodo misto patrimoniale-reddituale, con stima autonoma del goodwill. Analoghi sono stati i parametri utilizzati. Le fasi seguite dagli amministratori possono così riassumersi:
1. Determinazione del capitale netto rettificato (K)
Per determinare il capitale netto rettificato, il patrimonio netto contabile è stato integrato dalle plusvalenze di alcune attività a elevato contenuto patrimoniale (immobili di proprietà, partecipazioni, titoli a reddito fisso).
2. Valorizzazione della raccolta diretta e indiretta
Si è quindi proceduto a stimare il valore della raccolta, “valore” immateriale che
qualifica il criterio di stima come metodo patrimoniale complesso (Wp).
3. Correzione del valore patrimoniale (Wp) con i correlati aspetti reddituali
L’esperienza italiana in merito alla valutazione delle banche ha dimostrato che il
correttivo reddituale genera solitamente un badwill (rettifica negativa del valore
empirico della raccolta). Ai fini della correzione reddituale, si è fatto riferimento a
risultati economici espressione della gestione caratteristica, con esclusione, quindi,
dei componenti di reddito straordinari. In base alle considerazioni si sono ottenuti i
risultati di seguito esposti (tabella 4).
Nelle fusioni, poiché l’obiettivo consiste nella raffrontabilità dei valori paragonati
ai fini della determinazione del concambio, i criteri di valutazione devono essere
omogenei (aziende operanti nello stesso settore, applicazione di identici criteri).
In presenza di azionisti di minoranza, il ricorso a un solo criterio può non essere sufficiente, pertanto ai criteri patrimoniali devono affiancarsi criteri reddituali.
Nel caso trattato il perito ha fatto ricorso a correzioni reddituali (metodi di stima
misti). La determinazione del concambio si è basata su valori dimostrabili e attendibili; la stima delle società interessate dalla fusione non ha tenuto conto delle
possibili sinergie ottenibili dall’operazione straordinaria a causa dell’impossibilità
di imputare, in modo oggettivo, i possibili vantaggi tra le due società.
Il metodo misto patrimoniale-reddituale
Come indicato, il procedimento di valutazione è stato caratterizzato
dall’applicazione del metodo misto patrimoniale-reddituale, nella formulazione
detta di “stima autonoma del goodwill, mediante capitalizzazione limitata del profitto medio atteso”.
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CASO 3: DUE ISTITUTI DI CREDITO
113
Tabella 4 - VALUTAZIONE DI “A” E DI “B” (valori in L./mld)
“A”
Capitale netto rettificato (K)
“B”
2.597,8
824,3
2.191,1
765,2
− plusvalenze
581,0
84,5
− oneri fiscali (30%)
-174,3
-25,4
Valore della raccolta (I)
1.092,9
532,2
− diretta (9%)
922,3
477,3
− indiretta (1%)
170,6
54,9
Valore patrimoniale (Wp = K + I)
3.690,7
1.356,5
Correzione reddituale (badwill)
-443,7
-103,0
Valore del capitale economico
3.247,0
1.253,5
così composto:
− capitale netto contabile
così composto:
Per gli istituti di credito tale metodologia è rappresentabile dalla seguente formula:
W = Wp + G = K + I + an i’ · (R - i Wp)
dove:
Wp = valore patrimoniale ( K + I);
K = capitale netto rettificato;
I = valore della raccolta (bene immateriale);
G = valore del sovra/sotto(B) reddito;
R = reddito medio normale atteso per il futuro;
i = tasso di rendimento “normale” rispetto al tipo d’investimento considerato;
n = numero definito e limitato di anni relativi alla durata del sovra/sotto reddito;
i’ = tasso di attualizzazione del profitto (R - i Wp).
La valorizzazione a valori correnti delle attività patrimoniali, volta a determinare il
valore del patrimonio netto rettificato, si è ispirata ai seguenti criteri:
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114
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
– immobili: valore di mercato, definito in base a perizia tecnica (“metodo comparativo”);
– partecipazioni: per le partecipazioni di maggior rilievo è stato adottato, come
per le società capogruppo, il metodo misto patrimoniale-reddituale. Per quelle
di minor rilievo ci si è invece limitati a evidenziare i maggiori valori contabili
rispetto a quelli di carico;
– titoli a reddito fisso: sono state prese in considerazione le quotazioni di mercato
per i titoli quotati e sono stati attualizzati i flussi futuri con adeguati tassi netti
di riferimento per i titoli non quotati.
Ai fini della valorizzazione della raccolta, per entrambi gli istituti di credito, si è
fatto uso di coefficienti moltiplicativi omogenei (9% per la raccolta diretta; 1% per
quella indiretta) trattandosi di società operanti nel medesimo settore e non essendo
presenti motivazioni utili a giustificare razionalmente l’assunzione di parametri
differenziati.
I Consigli di amministrazione, considerando l’esperienza in tema di valutazioni
bancarie del nostro Paese, avevano stimato il valore effettivo della raccolta quale
espressione dell’azione combinata del valore empirico (attribuito a mezzo di moltiplicatori) e il badwill.
Il sotto reddito è stato determinato sulla base dei seguenti parametri:
i = 7,5%
n = 5 anni
i’ = 9%
con un reddito normalizzato pari a:
Banca “A”: 162,6 L./mld
Banca “B”: 75 L./mld.
Il perito ha rilevato tali grandezze in linea con le attese del mercato e con le condizioni effettive di competitività (rischio del settore creditizio e delle specifiche aziende).
Non sembra quindi si sia sottovalutato il possibile aumento della concorrenza
per la crescente apertura internazionale del sistema creditizio, per l’introduzione di
strumenti finanziari innovativi e per la caduta delle barriere rappresentate dalle autorizzazioni all’apertura di nuovi sportelli.
Questi aspetti settoriali hanno condizionano le scelte del saggio di rendimento
medio normale richiesto dal mercato (i) e la durata delle condizioni reddituali (n).
Il perito ha infine rilevato la corrispondenza della configurazione del reddito
(R) adottata dai Consigli di amministrazione rispetto al reddito medio “normale”, a
prescindere dai riflessi economico-finanziari di operazioni straordinarie.
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CASO 3: DUE ISTITUTI DI CREDITO
115
In base alle considerazioni illustrate il valore unitario dell’azione di ogni Istitito
è stato così determinato dai Consigli di amministrazione:
a) per la Banca “A”:
3.247 L./mld
V =  =
167.816.196
19.349 lire per azione
b) per la Banca “B”:
1.254 L./mld
V =  =
66.457.463
18.869 lire per azione
Vale a dire un rapporto di cambio pari a 0,975 (18.869/19.349), arrotondato e assunto dai Consigli pari a 1:1.
Verifica del rapporto di cambio
Al fine di verificare il grado di convergenza nei rapporti di cambio determinati, il
perito ha utilizzato un approccio alternativo. Si è trattato dell’uso del metodo patrimoniale complesso in base al quale il valore di una azienda dipende dai contenuti patrimoniali dei suoi beni materiali ed immateriali.
Assumendo quale punto di partenza il capitale netto contabile, si è proceduto
alla sua riespressione in termini di valori correnti (nel caso in oggetto si trattava di
elementi attivi costituiti da: immobili, partecipazioni, titoli a reddito fisso).
È quindi seguita la stima della raccolta, tipico bene immateriale delle aziende
di credito.
Ne è conseguito un valore patrimoniale (Wp) rispettivamente pari a (L./mld):
– Banca “A”: 3.690
– Banca “B”: 1.357.
Considerando il numero di azioni rappresentative del capitale di ogni “istituto” si
sono ottenuti i seguenti valori unitari per azione:
– Banca “A”:
3.690 L./mld
V =  =
167.816.190
21.988 lire per azione
– Banca “B”:
1.357 L./mld
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116
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
V =  =
66.457.463
20.419 lire per azione
Il conseguente rapporto di cambio pari a 0,929; non è lontano da quello accertato
sulla base del metodo di stima fondamentale.
In conclusione, per portare a termine l’incarico conferitogli dal Tribunale in base all’art. 2501-quinquies c.c, il perito ha proceduto all’analisi critica del metodo
di stima adottato dagli amministratori, nonché all’accertamento del grado di stabilità del rapporto anche in presenza di un criterio alternativo, quello patrimoniale
complesso.
I rapporti di cambio ottenuti sono di seguito sintetizzabili:
metodo misto = 0,975
metodo patrimoniale complesso = 0,929
Convergendo i “valori” intorno al rapporto 1 : 1, rapporto coincidente con quello
stabilito dai Consigli di mministrazione delle due società, il perito ha quindi potuto
esprimersi positivamente sulla congruità del rapporto di cambio.
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Valutazione del capitale economico
di un gruppo multinazionale industriale
Oggetto della valutazione
La valutazione che segue, predisposta nel 1998, si riferisce al valore del capitale
economico al 31.12.1997 di un gruppo di società operanti a livello internazionale
nel settore degli elettrodomestici “bianchi”.
Il metodo adottato
Nella predisposizione della stima il professionista valutatore ha principalmente
fatto uso del metodo misto patrimoniale-reddituale, nella configurazione con stima
autonoma del goodwill, mediante capitalizzazione limitata nel tempo del profilo
reddituale medio atteso.
Le ragioni di tale scelta consistono nell’ampio credito di cui la metodologia in
oggetto gode a livello europeo, nonché la sua idoneità per le valutazioni relative ad
aziende operanti nel settore industriale.
Il metodo misto patrimoniale-reddituale, come già indicato nella parte teorica
della presente trattazione, contempera infatti i principi fondamentali dei metodi
reddituali e patrimoniali.
Le caratteristiche del gruppo: il settore di appartenenza
Relativamente al settore in cui opera il gruppo valutato indichiamo di seguito alcuni dei principali elementi di cui il perito ha dovuto necessariamente tenere conto.
Il gruppo esercita la sua attività principalmente nel settore degli “elettrodomestici bianchi” caratterizzato, negli ultimi 15 anni, da un rapido processo di concentrazione delle imprese, attualmente dominato da alcune multinazionali (americane,
giapponesi, tedesche e svedesi).
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118
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Gli ingenti investimenti necessari per coordinare le attività operative e commerciali e l’inconvertibilità degli impianti costituiscono vere e proprie difficoltà
per l’ingresso e l’uscita dal settore.
Le caratteristiche dei beni oggetto della produzione e la mancanza di innovazioni radicali hanno determinato una contrazione dei margini di profitto a causa
della conseguente riduzione dei prezzi.
In generale, si rileva come le imprese che operano nel settore abbiano cercato
di far fronte a tale situazione soprattutto attraverso un rafforzamento dei propri
marchi e della propria immagine; ingenti sono pertanto stati gli investimenti in
campo pubblicitario e/o di marketing.
In un simile contesto opportuni vantaggi sono conseguiti dalla capacità di sviluppare economie di scala e dal miglioramento dell’innovazione tecnologica, risorse tipiche delle multinazionali.
Il settore, a causa dell’andamento dei mercati del rame e dell’acciaio, è stato
caratterizzato da costi di acquisto delle materie prime poco stabili.
Per quanto attiene alle vendite, si sono rilevate elevate potenzialità di crescita
della domanda per il mercato asiatico, nonostante la crisi finanziaria che ha colpito
i Paesi del far east.
Considerando la situazione europea il mantenimento delle quote di mercato locali è stato strettamente strategico. Si tratta di mercati nazionali fortemente differenziati fra loro dal punto di vista produttivo, distributivo e commerciale. In questo
contesto sono proliferati diversi prodotti e marchi.
In generale, lo scenario che il valutatore ha dovuto considerare è stato quello di
un settore dove scompaiono le piccole imprese assorbite da aziende di medie e
grandi dimensioni caratterizzate da elevata complessità organizzativa con in atto
processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle attività.
Per il prossimo futuro il tasso di crescita della domanda globale di elettrodomestici bianchi è stimato pari al 4,7% annuo fino a 290 milioni di unità nel 2000.
Questo risultato dovrebbe essere raggiunto anche grazie alla crescita del reddito
pro-capite e all’estensione delle aree urbane dei Paesi in via di sviluppo.
Negli ultimi due anni (1996 e 1997) la domanda è stata sostanzialmente stabile
in Europa occidentale, con un trend in ripresa nella seconda parte dell’anno. Positivo anche l’andamento del mercato statunitense e dei mercati emergenti sudamericani, mentre la crisi dei consumi nei Paesi asiatici ha frenato l’ascesa di mercati
che apparivano promettenti come il Giappone condizionando negativamente le attese a breve termine sull’andamento del settore il cui sviluppo è stato limitato dalle
caratteristiche dei prodotti e dalla bassa frequenza degli acquisti, in parte legati
anche al reddito pro-capite.
Considerando il mercato italiano di “elettrodomestici bianchi” deve essere tenuto presente come sia caratterizzato da una domanda prevalentemente di sostitu-
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 4: UN GRUPPO MULTINAZIONALE INDUSTRIALE
119
zione; la sua evoluzione, di conseguenza, è strettamente correlata alla durata della
“vita media” dei prodotti.
In questo contesto, la strategia degli operatori è tesa a migliorare gli aspetti
funzionali ed estetici dei prodotti e a differenziare sempre più l’immagine delle
singole imprese.
Alla fase di razionalizzazione ed automatizzazione dei processi produttivi si
sono spesso affiancate politiche di miglioramento della loro efficienza, anche cercando dimensioni ottimali negli impianti. Non sono poi da trascurare le azioni volte a migliorare gli aspetti distributivi (ricorso ad ottimali canali di distribuzione) e
quelli commerciali (rafforzamento del marchio e dell’immagine).
La differenziazione dei prodotti costituisce un obiettivo primario del settore al
fine di sostenere le vendite.
Ne consegue una costante ricerca volta a migliorare le caratteristiche qualitative ed estetiche dei prodotti e a rafforzare, attraverso notevoli investimenti pubblicitari, l’immagine del marchio.
Spesso le imprese che operano nel settore utilizzano diversi marchi commerciali (talvolta congiunti con quelli dei distributori) per differenti fasce di mercato.
In questo modo è possibile attuare politiche pubblicitarie più mirate a ottenere
una flessibile gestione dei canali distributivi.
Relativamente a tale aspetto deve tenersi presente come la grande distribuzione
organizzata, a scapito dei grossisti, dispone di un potere contrattuale analogo e crescente a quello dei gruppi di acquisto.
Il maggior potere contrattuale di tali distributori consente di ottenere prezzi più
competitivi dai produttori e consegne più tempestive dai fornitori migliorando
l’indice di rotazione dei propri magazzini.
In Europa il mercato degli “elettrodomestici bianchi” sta attraversando una fase
di cambiamento in relazione sia all’evoluzione delle forme distributive sia al rafforzamento del canale built-in comprendente prodotti a incasso destinati prevalentemente alle aziende operanti nel settore dei mobili per cucina.
Il built-in non è presente con la stessa intensità in tutti i Paesi; in Italia, dove il
settore ha assunto una certa rilevanza negli ultimi anni, copre attualmente il 40%
delle vendite analogamente, anche se in minor misura, è successo negli altri Paesi
europei.
Nella seconda metà degli anni Novanta, relativamente alla concorrenza internazionale, si sono rafforzati i principali gruppi di imprese che operano nel settore
grazie all’attuazione di strategie di globalizzazione. Tutto questo ha stimolato le
acquisizioni da parte dei gruppi di medie dimensioni.
Alla data della perizia, il mercato per circa tre quarti era coperto dalla presenza
di cinque grandi gruppi multinazionali.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
120
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Vi operano inoltre una trentina di imprese, con circa 27.000 addetti specifici,
distribuiti in 55 stabilimenti.
Da quanto detto è emerso come lo sviluppo e la redditività del settore siano
condizionati da diverse variabili che il valutatore ha necessariamente dovuto tenere presente; tali fattori, divisibili in minacce ed opportunità possono essere sintetizzate in:
Minacce
– saturazione dei principali mercati occidentali (Europa, America del Nord);
– tendenza ad allungare la vita media dei prodotti;
– concorrenzialità delle produzioni dei Paesi dell’Europa dell’Est e dal Sud Est
Asiatico.
Opportunità
– tendenziale aumento del numero dei nuclei familiari in Italia e conseguente diminuzione della loro dimensione media;
– modernizzazione delle strutture distributive (gruppi d’acquisto e grande distribuzione specializzata).
– evoluzione normativa relativamente agli aspetti legati all’inquinamento, alle
emissioni nocive ed alle esigenze di sicurezza dei prodotti.
In questo contesto il gruppo oggetto della presente valutazione è guidato da una
sub-holding dell’area elettrodomestici facente capo a una holding multinazionale.
L’attuale struttura, facente capo a una sub-holding francese, è costituita da società entrate nel gruppo in fasi successive (trattasi principalmente di società francesi, tedesche, austriache e italiane).
Il gruppo che fa capo alla sub-holding è articolato in tre divisioni di prodotti,
cui sono associate due attività di produzione di componentistica.
Le società partecipate dalla sub-holding sono presenti, con diversi marchi (circa undici), in tutti i segmenti del settore degli elettrodomestici, sia della libera installazione sia dell’incasso.
Relativamente al 1997 il gruppo, che ha un capitale di 1.490 milioni di franchi
francesi, ha realizzato un fatturato di 12.990 milioni e un risultato positivo di 180
milioni di franchi francesi.
La valutazione del gruppo: la determinazione del capitale netto
rettificato
Il capitale netto contabile del gruppo al 31 dicembre 1997, al netto della quota di
terzi, è espresso dai seguenti dati desunti dal bilancio consolidato (cifre in milioni
di franchi francesi):
Capitale sociale
686
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 4: UN GRUPPO MULTINAZIONALE INDUSTRIALE
Riserve
624
Utile dell’esercizio
177
Capitale e riserve del gruppo (al netto quota di terzi)
121
1.487
Per passare al capitale netto rettificato (K) il perito ha considerato le plusvalenze
su alcuni beni materiali e immateriali determinate attraverso l’utilizzo dei seguenti
criteri di valutazione:
Terreni, fabbricati civili e industriali, immobilizzi tecnico-strumentali
È stato fatto riferimento ai valori determinati da apposite perizie tecniche predisposte da un ingegnere professionista che ha preso in esame le singole unità operative delle società di produzione italiane e gli stabilimenti delle numerose aziende
ubicate all’estero. Sinteticamente i criteri utilizzati sono:
a) terreni e fabbricati civili:
– prezzo corrente di mercato;
– fabbricati industriali e immobilizzazioni tecniche (impianti, macchinari e attrezzature):
– costo di ricostruzione a nuovo, opportunamente rettificato per tener conto
del degrado fisico e dell’obsolescenza tecnico-economica;
b) automezzi, mobili e arredi, macchine per ufficio: prezzo di mercato.
Complessivamente il valore corrente dei cespiti di cui sopra ammonta così a 4.010
milioni di franchi francesi rispetto a un valore netto contabile di 1.997 milioni di
franchi francesi; ne consegue una plusvalenza complessiva, al netto della quota di
terzi, di 2.013 milioni di franchi francesi.
Rimanenze
Il bilancio consolidato evidenzia le rimanenze del gruppo valorizzate secondo il
costo medio ponderato, ne consegue la mancata presenza di scostamenti significativi rispetto ai prezzi di mercato.
Beni immateriali
Grazie ai rilevanti investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti, al
miglioramento tecnico ed economico di quelli esistenti e all’affermazione di diversi marchi aziendali, il gruppo oggetto della presente valutazione occupa una
posizione di primo piano, a livello europeo, nel settore degli elettrodomestici
“bianchi”.
Il perito ha pertanto ritenuto opportuno stimarne i beni “immateriali” costituiti
da un complesso di conoscenze e capacità sia in campo tecnologico sia di mercato
sviluppate grazie ad adeguati investimenti programmati.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
122
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Nel valutare questi beni è stato applicato il criterio del market royalty rates,
metodologia solitamente usata nella stima dei marchi e brevetti.
In pratica si presume che il valore di tali beni immateriali possa corrispondere
alle royalties dovute per la loro cessione in uso a terzi.
Le royalties sono costituite da proventi che possono caratterizzare i beni immateriali suscettibili di autonoma concessione in uso ai terzi (marchi, diritti d’autore,
brevetti, conoscenze esclusive e riservate dell’impresa ecc.).
In pratica, si ritiene che chi può utilizzare il bene senza doverlo chiedere in
concessione a terzi, ottiene un risparmio in termini di corrispettivi (royalties). Nel
caso in cui, al contrario, si possieda il bene ma, al posto di utilizzarlo, lo si cede in
concessione d’uso, si ottiene un reddito aggiuntivo (royalties).
Se si vuole quindi procedere a valutare i menzionati vantaggi occorre necessariamente procedere alla capitalizzazione dei proventi: le royalties.
Ne consegue come il valore attuale dei corrispettivi che il proprietario del bene
immateriale dovrebbe pagare per il suo uso, per un periodo definito pari alla sua
presunta vita economica residua, ne determina il valore stimabile.
I proventi devono essere attualizzati in quanto distribuiti su un arco temporale
di medio-lungo termine.
La formula relativa all’applicazione della metodologia in oggetto solitamente si
esprime in:
n
BI = ∑ r · Si · v
s
l
dove:
r = tasso di royalty (dalla comparazione con casi analoghi);
Si = vendite attese per un periodo di tempo corrispondente alla vita residua del bene
immateriale;
s
v = coefficiente di attualizzazione anno per anno in base al tasso opportunità per investimenti
su beni immateriali, i”.
Quando si considerano anche i costi sostenuti dall’impresa per conservare il valore
e l’utilità del bene immateriale, la formula evidenziata assume la seguente
configurazione:
n
BI = ∑ (r · Si - Ci )v
s
l
dove:
Ci = costo di conservazione del valore del bene immateriale anno per anno.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 4: UN GRUPPO MULTINAZIONALE INDUSTRIALE
123
Come indicato, l’applicazione pratica della metodologia del royalties rates richiede la quantificazione dell’ammontare annuo dei proventi (royalties).
Occorre pertanto stimare il parametro su cui calcolare le royalties (solitamente
il ricavo totale previsto e attualizzato ottenibile con i prodotti che beneficiano del
bene immateriale concesso in uso) nonché il coefficiente di riferimento (variabile
desunta dal mercato quando esistono un numero di transazioni sufficientemente
rappresentative e trasparenti).
La determinazione del coefficiente delle royalties è frutto di un giudizio complesso che considera diversi fattori soprattutto volti a esprimere la capacità di generare profitto del bene immateriale.
Tali aspetti possono sintetizzarsi in:
–
–
–
–
–
–
–
grado di notorietà attribuibile al marchio;
fase in cui si trova il ciclo di vita del prodotto;
quota di mercato detenuta;
dinamica della domanda;
capacità del bene di formare barriere all’entrata;
predisposizione del bene ad essere utilizzato per prodotti e in settori alternativi;
livello di imitabilità.
Pertanto, ai fini della presente valutazione gli orientamenti seguiti dal perito sono
stati:
– fatturati, si sono presi come riferimento i ricavi realizzati nel 1997 dai singoli
marchi riferibili alle corrispondenti linee di prodotti;
– saggio di royalty, si è tenuto conto della funzione del posizionamento competitività di ciascun marchio. Data la discreta uniformità non è stato ritenuto utile,
in generale, utilizzare saggi di royalty differenziati.
Tutti i marchi risentono di una forte dinamica competitiva (il settore degli elettrodomestici “bianchi” attraversa infatti, a livello internazionale, una fase di
profonda ridefinizione degli assetti concorrenziali) conseguentemente il saggio
di royalty assunto dal perito è stato pari al 2%.
Solo per un marchio caratterizzato da una minor dinamica competitiva il valutatore ha ritenuto di assumere un tasso differenziato.
In questo caso, infatti, il saggio del 2% è stato maggiorato di un punto (3%) al
fine di riflettere la più consolidata e aggressiva performance del mercato.
Deve comunque rilevarsi come i tassi utilizzati rientrino nel range normalmente
riconosciuto, a livello internazionale, per la categoria dei beni di consumo durevole.
– periodo di riferimento, relativamente al periodo di riferimento è stato assunto
un arco temporale di 15 anni che dovrebbe riflettere in modo realistico la duratura e consolidata notorietà dei beni immateriali in esame.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
124
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
– tasso di capitalizzazione, nella determinazione del tasso di capitalizzazione il
perito ha tenuto conto di come, in generale, tutti gli investimenti relativi ai beni
immateriali presentino un livello di rischio strutturalmente più elevato rispetto
a quelli relativi alle attività materiali e agli impieghi in capitale circolante.
Oltre a tenere conto di tali concetti generali si sono presi in considerazione anche i
seguenti aspetti particolari:
– positivi, la posizione di rilievo nel settore ricoperta dal gruppo, la sua valenza
internazionale e la principale dipendenza della notorietà dei beni da un sistema
di competenze e capacità tecnologiche.
– negativi, la tendenza nel settore a un inasprimento delle tensioni competitive (il
settore degli elettrodomestici “bianchi” si presenta come un comparto nettamente maturo) e la limitata versatilità dei marchi del gruppo.
Tenendo pertanto presente quanto sopra, il perito ha fatto uso di un tasso di capitalizzazione del 12%, grandezza che si colloca nella fascia intermedia del range di
valori normalmente adottabili.
In base alle considerazioni esposte, applicando la formula del royalties rates,
nella versione della capitalizzazione della rendita annua (royalty) su un orizzonte
temporale definito (BI = r · S · an i), i beni immateriali in esame, ricondotti e qualificati come valore dei marchi, sono stati stimati per un valore complessivo pari a
1.500 milioni di franchi francesi.
Confrontando il valore stimato dei marchi con il loro valore contabile
consolidato pari a 86 milioni di franchi francesi, ne risulta una plusvalenza di
1.414 milioni di franchi francesi.
Nella valutazione dei beni immateriali è comunque stato sottolineato come non
debba esserne dimenticata l’estrema variabilità del valore di mercato nel tempo.
Da qui la necessità di rivedere, periodicamente, il valore attribuito.
Cancellazione della differenza di consolidamento, posta attiva del bilancio consolidato
La differenza attiva di consolidamento, normalmente dovuta alle differenze tra
prezzi pagati e capitali netti contabili delle controllate, rappresenta solitamente i
valori immateriali (avviamenti), imputabili alle partecipazioni consolidate con il
metodo integrale.
Tale posta, iscritta in bilancio per un valore di 437 milioni di franchi francesi,
deve pertanto essere azzerata in quanto già inclusa nelle plusvalenze determinate
analiticamente.
Gli oneri fiscali potenziali
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 4: UN GRUPPO MULTINAZIONALE INDUSTRIALE
125
A questo punto il perito ha proceduto a definire i potenziali carichi fiscali imputabili alle plusvalenze relative ai beni materiali e immateriali accertate in sede di riespressione in termini correnti dei valori non monetari.
A tal fine ha ravvisato la necessita di considerare, per le plusvalenze, il trattamento d’imposta vigente in Francia, Paese nel quale il gruppo opera prevalentemente.
In merito, l’aliquota effettivamente in vigore, pari al 20,9%, è stata attualizzata
al tasso free-risk del 3,5%, per tener conto della possibilità di dilazionare il pagamento delle plusvalenze in 3 anni (ammessa in base a specifica normativa).
Ne è risultata un’aliquota ridotta del 19,5%, arrotondata poi al 20%.
Anche l’importo relativo alla “Riserva da conversione dei bilanci espressi in
valuta estera”, ricompresa nel patrimonio netto contabile pari a 60 milioni di franchi francesi, è stato assoggettato a imposizione fiscale.
Considerando la natura di questa posta, si può infatti rilevare come rappresenti
una componente delle plusvalenze su beni materiali.
Il gruppo utilizza il metodo del “cambio corrente” per operare la conversione
dei bilanci in valuta delle società consolidate integralmente, pertanto, mentre le
poste economiche sono convertite utilizzando il cambio medio del periodo, quelle
attive e passive dello stato patrimoniale riflettono invece il cambio di fine periodo.
La contabilizzazione di una riserva di conversione consente l’adeguamento ai
valori correnti del patrimonio netto a cambi storici.
Considerando quindi la funzione della “Riserva da conversione dei bilanci espressi in valuta estera” risulta logico tenerne conto, quale integrazione del patrimonio netto consolidato, al fine di determinare la differenza tra i valori patrimoniali contabili e quelli correnti.
In base alle considerazioni esposte il perito ha proceduto a determinare il
patrimonio netto rettificato come segue (milioni di franchi francesi):
Capitale netto contabile
1.487
Plusvalenze su:
− beni materiali
2.013
− beni immateriali
1.414
Cancellazione differenza attiva di consolidamento
1
Oneri fiscali potenziali(3.487 mil. di franchi francesi 20%)
1
Plusvalenza su beni materiali
Plusvalenza su beni immateriali
Riserva di conversione
– 437
– 697
2.013
1.414
60
3.487
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
126
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Capitale netto rettificato (K)
3.780
Aspetti reddituali
Per definire la capacità reddituale del gruppo, il perito ha preso in considerazione
le risultanze economiche relative al biennio 1996 e 1997 (passato più recente) nonché i risultati previsti nel breve periodo dal budget 1998.
Questi valori sono stati rettificati al fine di esprimere l’effettiva capacità reddituale del gruppo.
Le variazioni possono così essere sintetizzate:
a) riespressione del risultato di bilancio ante imposte al lordo degli ammortamenti
contabili rettificati delle partite straordinarie. Si sono così ottenuti i “risultati
lordi della gestione caratteristica”;
b) rettifica dei “risultati lordi della gestione caratteristica” con gli ammortamenti
ricalcolati considerando i valori correnti e le vite economiche delle immobilizzazioni tecniche e dei fabbricati.
Non sono invece stati considerati i possibili ammortamenti relativi ai beni immateriali (marchi).
Il valutatore ha motivato tale scelta in base alle seguenti considerazioni:
– esistenza di consistenti investimenti in attività di ricerca e sviluppo e attività
commerciali (marketing) a sostegno dei contenuti tecnico-economici, delle
linee di prodotti e dei relativi marchi, investimenti di dimensioni tali da
compensare la necessità di procedere all’ammortamento dei beni immateriali;
– constatazione secondo cui il valore economico dei beni immateriali non è
andato diminuito nel tempo.
Attraverso l’approccio che si basa sul REI (risultato economico integrato), il
perito non ha infatti rilevato alcun fenomeno di deprezzamento dei beni immateriali considerati, ne consegue, in presenza di adeguati investimenti annui, la
correttezza della scelta di escludere lo stanziamento di ammortamenti economico-gestionali su tali beni.
Relativamente alla necessaria integrazione dei risultati contabili, oltre ai processi volti alla loro normalizzazione può giovare tenere presente le considerazioni che seguono.
Solitamente la dinamica dei valori di alcuni beni materiali ed immateriali, non
è adeguatamente rilevata dalla contabilità. Questo può privare di significato i
risultati contabili.
Alcune categorie di beni presentano plusvalenze che sono in parte realizzate nel
tempo ed altre che dovranno ancora realizzarsi (differenza quindi tra il totale
delle plusvalenze generate e quelle realizzate).
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 4: UN GRUPPO MULTINAZIONALE INDUSTRIALE
127
Le tecniche di “normalizzazione” dei risultati cercano di ottenere una razionale
distribuzione nel tempo delle plusvalenze realizzate (contabilizzate) mentre non
considerano quelle latenti la cui esistenza avrà comunque un’influenza sul patrimonio netto e sui redditi che si genereranno nel periodo di maturazione delle
suddette plusvalenze.
Tali considerazioni oltre che per i beni materiali hanno una particolare valenza
per quelli immateriali.
La determinazione del risultato economico integrato (REI) mira a rimediare a
tali inconvenienti poiché:
REI = RN + ∆P + ∆BI
dove:
RN = reddito normalizzato;
∆P = variazione (nel periodo) delle plusvalenze o minusvalenze contabilmente inespresse su
alcuni beni e poste contabili del passivo;
∆BI = variazione (nel periodo) dello stock di beni immateriali;
c) i risultati lordi normalizzati e rettificati sono stati depurati dell’onere fiscale
con aliquota pari al 40%, percentuale che rispecchia l’onere d’imposta vigente
in Francia, Paese in cui è soprattutto presente il gruppo. In Francia, infatti, il
prelievo sulle società è stato del 41,6% per il 1998 e sarà del 40% circa dal
1999 in poi. L’aliquota del 40% è stata adottata anche se del gruppo fanno parte
alcune società italiane. Per queste ultime si è infatti tenuto conto che se da una
parte l’aliquota fiscale minima è attualmente pari al 41,25%, dall’altra, essendo
la base imponibile dell’Irap “allargata” rispetto a quella Irpeg, l’onere effettivo
può risultare più elevato. Anche in questi casi, una misura del 40%
dell’aliquota fiscale è ritenibile ragionevole in quanto è necessario considerare
come le misure dell’imponibile normalizzato comprendano anche plusvalenze
assoggettate ad aliquote inferiori a quelle normali sopra definite, a causa di
specifiche normative fiscali che prevedono la possibilità di differire la tassazione.
Tenute presenti le considerazioni esposte ai punti a), b) e c), il perito ha rilevato
come il gruppo esprime una performance economica netta mediamente pari, nel
biennio 1997-1998, a circa 345 milioni di franchi francesi.
Tale grandezza è stata assunta ai fini della determinazione del valore del capitale economico del gruppo secondo il metodo misto patrimoniale-reddituale (tabella
3).
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
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LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Determinazione del valore del capitale economico
Come indicato in precedenza il valutatore ha determinato il capitale netto rettificato (K) e il risultato economico medio-normale (R) rispettivamente in 3.780 milioni
e 340 milioni di franchi francesi.
Tabella 3 - PROFILO REDDITUALE DEL GRUPPO (BILANCIO CONSOLIDATO: MILIONI DI FRANCHI
FRANCESI)
1996
(consuntivo)
Risultato prima delle imposte
1997
(consuntivo)
1998
(budget)
165
350
425
ammortamenti (+):
482
555
563
partite straordinarie (±)
+ 86
+ 86
+51
- 446
- 446
- 446
a decremento:
- ammortamenti ricalcolati:
• beni strumentali
• intangible
Risultato lordo normalizzato e rettificato
nessun ammortamento
287
545
593
Imposte (40%)
- 115
- 218
- 237
Risultato netto
172
327
356
R (media ‘97-’98) = 342 arrotondato a 340 milioni di franchi francesi
Ai fini della determinazione del capitale economico sono inoltre stati
individuati e utilizzati i “parametri” che seguono:
a) Tasso normale di rendimento (i’’)
È stato assunto nella misura del 7,5% in quanto, in base al prevalente
orientamento nel campo della valutazione d’azienda, tale tasso può variare, nel
macrosettore dell’industria manifatturiera, in un range compreso tra il 6 e l’8%
(in termini “reali”). L’individuazione in base alle singole situazioni dipende sia
dalle caratteristiche del rischio del particolare settore – o dei diversi settori – in
cui opera l’impresa oggetto di valutazione, sia dalle sue caratteristiche proprie,
dimensioni, capacità di contrastare le oscillazioni cicliche della performance
economica attraverso politiche di diversificazione e l’utilizzo di una struttura
organizzativa flessibile, il contenimento entro limiti “fisiologici” del rischio finanziario (grado di leverage).
Nel caso in esame, considerando le caratteristiche del gruppo, quali le sue notevoli dimensioni, il “potere di mercato” raggiunto nonché la rilevante diversificazione geografica e settoriale dovuta alla sua internazionalità, sarebbe stato
possibile scegliere un tasso i” prossimo al limite più basso del range. Tuttavia,
l’attuale intensa dinamica della concorrenza, destinata a perdurare se non ad
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 4: UN GRUPPO MULTINAZIONALE INDUSTRIALE
129
accentuarsi nei prossimi anni, nonché lo stadio fortemente maturo del settore
degli elettrodomestici, hanno portato il perito ad assumere un tasso più elevato.
b) Durata della componente reddituale (n)
È stata assunta pari a 7 anni. La valenza fortemente industriale del gruppo e,
dunque, l’ottica strumentale e di lungo periodo degli investimenti, richiedono
un posizionamento del parametro n non inferiore all’orizzonte temporale scelto.
Il tasso, inteso quale puro compenso finanziario per il trascorrere del tempo, è
stato assunto pari al 4%, misura allineata al rendimento atteso di attività finanziarie sostanzialmente risk-free, avendo a riferimento soprattutto il contesto francese.
In base ai parametri sopra definiti, il perito ha determinato il valore del capitale
economico del gruppo come segue (milioni di franchi francesi):
W = K + an i’ · (R – i”K) = 3.780 + a7 0,04 (340 – 0,075 · 3.780) = 3.780 + 339 = 4.119
Tale valore, espresso in milioni di franchi francesi, al cambio di 293,44 in corso al
31 dicembre 1997, corrisponde a un valore in lire 1.208 miliardi. Tale importo, arrotondato a lire 1.200 miliardi, ha definito, secondo il valutatore, il capitale economico del gruppo considerato.
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Valutazione del capitale economico
di un’azienda alberghiera
Oggetto della valutazione
Nella stima del valore del capitale economico, formalmente riferita al 30 giugno
1997, il perito ha tenuto conto, oltre che dei valori del bilancio al 31.12.1996, dei
dati del piano previsionale fino al 1999. La valutazione delle proprietà immobiliari
è stata operata avvalendosi di esperti immobiliari del Paese in cui è ubicato
l’immobile. Al fine di giungere alla corretta valutazione il perito ha utilizzato diversi criteri: il metodo reddituale; la valutazione con il metodo dei moltiplicatori;
il metodo empirico.
Il gruppo oggetto del parere
Particolare riguardo è stato posto dal perito nella presentazione delle caratteristiche essenziali del gruppo e delle strategie di sviluppo. Operando in un settore fortemente concorrenziale, e non essendo il gruppo orientato a un percorso di crescita
tradizionale e graduale, il perito, al fine di verificare l’attendibilità dei dati previsionali a medio/lungo termine, ha dovuto porre in evidenza i punti di forza e di debolezza delle società oggetto del parere.
Il gruppo ha operato negli ultimi anni per affermare un marchio che comprendesse, sotto un’insegna unica, strutture alberghiere di alto livello (principalmente
rivolta alla clientela “business”) e che identificasse idonee sedi dotate di due ulteriori caratteristiche di pregio: la personalizzazione del servizio e l’organizzazione
periodica in ciascun hotel di eventi culturali ed economici.
Gli hotel del gruppo si differenziano in due diverse linee di servizio:
– la prima, composta da alberghi di alto livello in posizione di pregio di città o
località turistiche e con servizio il più possibile personalizzato rispetto alle esigenze del cliente;
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132
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
– la seconda, da alberghi caratterizzati dal buon livello di servizio e dalla facile
accessibilità ai quartieri direzionali delle città (quindi rivolti a una clientela
d’affari).
In sintesi, le caratteristiche comuni a tutti gli hotel e punto di forza del gruppo sono le seguenti:
–
–
–
–
–
elevati standard qualitativi delle camere;
personalizzazione del servizio con cura dei particolari;
alta qualità della cucina;
posizione privilegiata;
frequente organizzazione di meeting.
Un altro punto di forza del gruppo, posto in evidenza dal perito, ha riguardato la
struttura organizzativa, volta a permettere una flessibilità gestionale adatta ad un
settore nel quale la differenziazione dell’offerta assume sempre più un ruolo critico per il successo duraturo.
Infine per quel che concerne le future linee di sviluppo del gruppo, il perito si è
soffermato sull’accordo (concluso poco tempo prima della stesura della perizia) di
franchising tra società e una delle più importanti catene alberghiere europee.
In questo modo sarebbe stato favorito non soltanto un rilevante sviluppo dimensionale, ma contemporaneamente si sarebbe avuto anche un miglioramento
della qualità complessiva del servizio offerto alla clientela.
Certamente, con tale accordo, la società ha ottenuto la facoltà di godere di uno
dei più sofisticati e rapidi sistemi al mondo per la gestione delle prenotazioni,
strumento di marketing di rilevante portata.
I punti descritti in precedenza sono chiaramente molto rilevanti anche
nell’ottica della valutazione. I vantaggi competitivi generano potenzialità di risultati, anche se di non agevole determinazione, che debbono essere tenuti presenti
nella determinazione del valore di capitale economico. Da ciò la necessità di utilizzare metodi capaci di esprimere i valori futuri dovuti a tali potenzialialità.
La valutazione reddituale
Nella determinazione dei flussi di reddito il perito ha fatto riferimento a documenti
programmatici elaborati dal gruppo, senza quindi tener conto dei risultati storici.
Tale scelta è dovuta alle seguenti motivazioni:
– il gruppo è di recente formazione ed è in fase di sviluppo (nel corso dell’ultimo
esercizio ha aumentato la propria capacità ricettiva di oltre il 25%);
– l’accordo di franchising e commerciale esplicherà i suoi effetti dal presente
esercizio.
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CASO 5: UN’AZIENDA ALBERGHIERA
133
Da ciò consegue che i risultati del passato non sono in alcun modo indicatori dei
flussi reddituali attesi. La tabella 1 evidenzia le principali voci di conto economico
previste per il triennio 1997/99.
Tabella 1 - CONSOLIDATED INCOME STATEMENT (L/mln)
1997 E
%
1998 E
%
1999 E
%
Rooms revenue
Food & beverage revenue
105.694 100,0
114.372 100,0 125.560 100,0
Total operating revenue
105.694 100,0
114.372 100,0 125.560 100,0
Operating expenses
- 77.116 - 73,0 - 80.946 - 70,8 - 86.538 - 68,9
Other revenue
Gross operating income (MOL)
28.578
27,0
33.426
29,2
39.022
31,1
Rental expense, insurance of properties
and property tax
Depreciation
- 11.426 -10,8 - 11.910 -10,4 - 12.000 - 9,6
Share of income in affiliated companies
0,0
0,0
0,0
Operating income before financial items
17.152
16,2
21.516
18,8
Financial items, net
- 9.606
-9,1
- 7.632
- 6,7 - 5.000 - 4,0
7.546
7,1
13.884
12,1
22.022
17,5
Extraordinay items, net
-
0,0
-
0,0
-
0,0
Provision for decline in value hotel
investment
-
Income after financial items
Income before taxes
Taxes
Net income
-
21,5
-
7.546
7,1
13.884
12,1
- 1.094
-1,0
- 1.800
- 1,6 - 2.600 - 2,1
6.452
6,1
12.084
10,6
Minority interests
Group net income
27.022
0,0
6.452
6,1
22.022
19.422
0,0
12.084
10,6
17,5
15,5
0,0
19.422
15,5
MOL medio del periodo (1997/99): 16.837
Il tasso di sviluppo è l’8,2% per il 1998 e il 9,8% per il 1999. Il basso livello
dell’incidenza fiscale è motivato dall’utilizzo delle perdite pregresse del gruppo
per la riduzione degli imponibili futuri.
Il tasso di capitalizzazione adottato è stato determinato con l’utilizzo del
“Build-Up Approach”. Ciò significa che il rendimento free-risk (in termini reali) è
stato incrementato: con il premio per il rischio azionario generale (differenza tra il
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134
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
rendimento del mercato azionario e quello dei titoli di Stato); con il premio dovuto
per il particolare stadio di vita in cui si trova il gruppo (fase di avviamento-uscita).
Tale tasso-base è stato, infine, diminuito con il fattore “g” (coefficiente espressivo
del tasso di crescita delle capacità reddituali attese dell’impresa, e specificatamente nel caso in esame g = 1,5%).
Ne è risultato un tasso di capitalizzazione pari all’8%.
Il valore del capitale economico con l’utilizzo del metodo reddituale è risultato
pari a 248,9 L./mld come evidenziato nella tabella 2.
Tabella 2 - STIMA DEL VALORE CAPITALE CON IL METODO REDDITUALE (*) (L./mln)
Anno
a)
Redditi e valori attesi
Valori attualizzati (al 6,5%)
Previsioni analitiche
1997
6.452
6.452
1998
12.084
11.346
1999
19.422
17.124
34.922
b)
Valore finale
R3 19.422
=
=
i
008
,
c)
242.774
Valore complessivo
214.044
248.966
(*) Scelte metodologiche di base:
Formula: previsioni reddituali limitate a 3 anni, più "valore finale" (vf ).
Tutti i valori attualizzati al tasso finanziario "free risk" nominale (6,5%).
Valore finale: applicazione al reddito del 3° anno di piano della formula della rendita perpetua
Tasso di capitalizzazione determinato "per fattori" (8%).
La valutazione con il metodo dei moltiplicatori
L’applicazione di tale metodo si è basata sia sull’approccio delle “società comparabili” sia “delle transazioni comparabili”.
Le società comparabili sono state suddivise a seconda che svolgano la loro attività principalmente in Europa o sul mercato nord americano.
Queste ultime sono state ripartite tra società operanti in regime di proprietà e in
regime di affitto (tabelle 3, 4 e 5).
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CASO 5: UN’AZIENDA ALBERGHIERA
Tabella 3 - MOLTIPLICATORI PER LE CATENE ALBERGHIERE: EUROPA
P/MOL
Data ultimo bilancio
Accor
9,10
31.12.1995
12,70
31.12.1996
8,39
30.09.1996
Club Mediterranée
10,40
31.10.1995
Stakis
13,70
29.09.1996
Whitbread
9,50
01.03.1997
Rank Organization
n.a.
Vaux Group
8,70
30.09.1996
Friendly Hotels
8,80
24.12.1995
Jurys Hotel Group
n.a.
Ladbroke Group
Bass
Media
10,60
Tabella 4 - MOLTIPLICATORI PER LE CATENE ALBERGHIERE: USA
P/MOL
Data ultimo bilancio
Società operanti in regime di affitto
Marriott Intl.
10,9
20.12.1996
Renaissance Hotel Group
17
30.06.1996
Doubletree Corp.
26,2
28.12.1996
HFS
19,4
28.12.1996
Media
18,4
Società operanti in regime di proprietà
Hilton Hotel
15,1
28.12.1996
Host Marriott
14,3
28.12.1996
La Quinta Inns
10,5
28.12.1996
Promus Notel Corp.
11,6
28.12.1996
Red Lion Hotels
3,4
30.09.1996
Prime Hospitality
11,5
28.12.1996
John Q. Hammons A.
7,4
28.12.1996
Servico Del. Florida
7,2
28.12.1996
Media
10,1
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135
136
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 5 - MOLTIPLICATORI P/MOL: APPROCCIO DELLE SOCIETÀ COMPARABILI
P/MOL
Catene alberghiere:
Campione Europa
10,6
Campione Usa, in franchising
18,4
Campione Usa, in proprietà
10,1
Per l’approccio delle transazioni comparabili il perito ha fatto riferimento ad operazioni effettuate negli ultimi 18 mesi ottenendo i seguenti valori P/Ebitda (Earnings before interests tax depreciation amortisation):
massimo
39,5
medio
16,7
mediano
10,8
minimo
4,3
Da ciò ne risultavano valori di transazioni non omogenei, dimostrati dalla rilevante
variabilità del moltiplicatore P/Ebitda.
Pur con tale riserva, il valore medio e quello mediano, almeno approssimativamente, portano ad una conferma dei risultati della tabella 5. La scelta del perito
si riferiva al moltiplicatore P/Mol = 11.
Tenendo conto dell’indebitamento finanziario della società il valore del capitale economico può essere così espresso:
Valore dell’attività (Mol ⋅ 11 = 33674,11)
370.414
a dedurre: indebitamento finanziario netto
113.346
Valore di capitale economico
257.068
Il metodo empirico e il metodo patrimoniale
Il perito ha fatto un breve cenno anche a tali metodi.
Quale parametro di valorizzazione per il metodo empirico è stato utilizzato,
trattandosi di una catena alberghiera, il prezzo per camera mediamente negoziato
in recenti transazioni aventi oggetto unità operative con qualità simili a quelle da
stimare.
La difficoltà a utilizzare il metodo in esame si è riferita alla grande dispersione
di valori, motivata dall’evidente diversità degli alberghi oggetto di transazione.
Il valore così determinato, con le incertezze poste in evidenza, al netto
dell’indebitamento finanziario, risulta pari a 315 L/mld.
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CASO 5: UN’AZIENDA ALBERGHIERA
137
Per completezza d’informazioni, il perito ha inoltre riportato la stima puramente patrimoniale del gruppo. Ha perciò evidenziato la plusvalenza sui valori immobiliari rettificati dall’importo degli oneri fiscali potenziali (in questo caso tenendo
conto del probabile lungo differimento temporale del realizzo, assunti nella misura
del 20%).
Il valore del capitale netto rettificato (K) è risultato di conseguenza pari al 212
L/mld.
La conclusione: la scelta del valore
In conclusione, il perito, ricordando i valori ottenuti con i metodi base utilizzati
(reddituale e dei moltiplicatori), ha determinato il valore del gruppo in 250 L/mld.
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La valutazione del capitale economico
di un’azienda operante nella grande
distribuzione
Oggetto della valutazione
L’obiettivo del perito è attribuire un valore alle quote di un gruppo di società detenute dalla holding A (il cui organigramma è evidenziato nela figura 1) operante
del settore della grande distribuzione.
Figura 1 – Organigramma della holding A
Come vedremo in seguito, il perito ha adottato quale criterio base di stima il metodo misto patrimoniale-reddituale. Il valore ottenuto è stato sottoposto a verifica
con un criterio fondato sui moltiplicatori empirici, ottenuti in base ai dati relativi a
recenti contrattazioni di mercato per società omogenee.
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140
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Il gruppo oggetto della stima, al contrario dei principali concorrenti, ha una forte struttura patrimoniale (i punti di vendita sono di proprietà). Ciò ha comportato
una serie di accorgimenti per giungere alla determinazione del corretto valore.
Il settore
Il gruppo opera nel settore della grande distribuzione; settore caratterizzato, negli
ultimi anni, da un elevato dinamismo con diverse aggregazioni di gruppi italiani e
con l’entrata di gruppi stranieri e l’apertura di nuovi punti di vendita. A tale proposito il perito ha rilevato come i supermercati nel periodo 1987/94 siano cresciuti
del 66%, mentre gli ipermercati nello stesso periodo, del 27%.
Fattore rilevante delle aziende che costituiscono il gruppo oggetto di stima è la
forte focalizzazione territoriale. I punti di vendita sono, infatti, quasi esclusivamente presenti nella provincia di Brescia, la quale, com’è noto, è molto sviluppata
nei sistemi di distribuzione organizzata. Il perito ha inoltre preso in considerazione
gli aspetti qualificanti dell’organizzazione commerciale delle società, ponendo in
evidenza: i punti di vendita, la superficie coperta, il fatturato dell’ultimo biennio, il
numero dei dipendenti, i negozi affiliati.
I punti di vendita sono stati suddivisi in: supermercati, centri commerciali, cash
& carry e aree da edificare.
L’analisi è proseguita calcolando di alcuni indici di efficienza per i punti di
vendita rispetto alla relativa superficie coperta.
Si è così rilevato come la maggiore efficienza fosse raggiunta nei punti di vendita con un’area di commercializzazione compresa tra i 1.000 e i 2.000 kmq (circa
il 50% dei punti di vendita della società è ricompresa in questo intervallo).
Dalle informazioni raccolte, il perito ha potuto identificare, nei seguenti, i punti
di forza e di debolezza del gruppo.
Punti di forza:
–
–
–
–
posizionamento consolidato su di un’area ricca;
buon livello di efficienza gestionale;
punti di vendita ben posizionati e di dimensioni adeguate;
forte struttura patrimoniale (punti di vendita di proprietà).
Punti di debolezza:
– rischio di aumento ulteriore della concorrenza sia italiana sia estera, anche a
seguito della progressiva deregulation e della semplificazione dei processi burocratici per l’apertura di nuove grandi superfici commerciali;
– capacità gestionali di livello inferiore a quello riconoscibile per i supermercati;
– pesante concorrenza degli hard discount a causa della notevole concentrazione
sui supermercati;
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CASO 6: UN’AZIENDA OPERANTE NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
141
– limitata capacità di sviluppo, anche rispetto ai concorrenti territorialmente
prossimi. Ciò per effetto delle politiche di rilevanti investimenti immobiliari,
che assorbono gran parte delle risorse, sia per la carenza di acquisizioni di società concorrenti (lo sviluppo è stato realizzato tipicamente per vie interne).
La valutazione con il metodo misto patrimoniale-reddituale
Come evidenziato nella figura 1, nonostante le società operino in una stretta collaborazione commerciale, ciascuna ha una propria autonomia e non esiste un bilancio consolidato.
Perciò, nella determinazione del valore attribuibile alla quota di proprietà della
holding A il perito ha dovuto stimare il capitale economico di ogni singola società.
Ha perciò provveduto nel seguente modo. Innanzitutto ha quantificato il
capitale netto rettificato di ogni società. In particolare, ha sottoposto a verifica i
valori delle proprietà immobiliari e delle autorizzazioni (licenze). Per altri scopi,
recentemente, era già stata predisposta da un perito esterno, una stima dei valori
dei terreni, dei fabbricati, di impianti e attrezzature. Per tale motivo, coadiuvato da
un esperto nelle valutazioni immobiliari, il perito ha unicamente confermato tali
valori.
Le autorizzazioni sono state valorizzate in base alla seguente formula:
L=qëV+a
dove:
q = è il moltiplicatore che riflette le condizioni medio-normali di redditività del settore
merceologico (esso è perciò inteso come un coefficiente settoriale);
V = esprime il fatturato annuo del punto di vendita;
a = è un parametro di correzione che tiene conto di elementi collegati allo specifico punto di
vendita.
I maggiori valori accertati sulle immobilizzazioni sono stati assoggettati a oneri fiscali potenziali del 25%. Alcun onere è stato invece applicato al valore delle licenze, in quanto il moltiplicatore q è già stato considerato al netto di oneri fiscali potenziali.
In seguito, il perito ha proceduto integrando i valori patrimoniali con quelli
reddituali (a eccezione della società I, valutata con il metodo patrimoniale semplice, trattandosi di società puramente immobiliare).
La normalizzazione dei risultati economici ha significato la sostituzione degli
ammortamenti contabili con ammortamenti calcolati sui valori correnti delle immobilizzazioni in relazione alla loro vita residua.
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142
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Infine, per la sola società C si è recepito il valore corrente attribuito alle partecipazioni, applicando sulle plusvalenze l’onere fiscale potenziale del 15%.
Le tabelle che seguono mostrano i calcoli eseguiti. Si ricorda che per non duplicare l’effetto fiscale, le partecipate dalla società C, sono state valutate anche in
assenza di carico fiscale potenziale (tabelle dalla 6 alla 10).
Tabella 1 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ B (L./mln)
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
5.468
Valore delle licenze (*)
2.002
Valore corrente terreni
8.454
Valore corrente fabbricati
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
19.726
11.480
Ammortamento del periodo
b)
- 946
Carico fiscale potenziale
-4.412
Capitale netto rettificato
20.704
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
+ Ammortamenti di bilancio
- Ammortamenti fabbricati (**)
- Ammortamenti altre imm. tecniche (***)
- Imposte di competenza (53%)
Utile netto rettificato
c)
-10.534
Valore del capitale economico
W = 20.704 + a 5 0,1[452 - (20.704 ⋅ 5%)] = 18.494
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 20.018 milioni) ⋅ 0,10.
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L. 194 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
168
1.428
-788
-38
-318
452
CASO 6: UN’AZIENDA OPERANTE NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
143
Tabella 2 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ D (L./mln)
a)
b)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
5.864
Valore delle licenze (*)
2.554
Valore corrente terreni
15.714
Valore corrente fabbricati
36.666
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
20.468
Ammortamento del periodo
-1.386
Carico fiscale potenziale
-4.162
Patrimonio netto rettificato
37.554
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
+ Ammortamenti di bilancio
- Ammortamenti fabbricati (**)
150
3.432
-1.466
- Ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
-622
- Imposte di competenza (53%)
-712
Utile netto rettificato
c)
-19.082
Valore del capitale economico
W = 37.554 + a 5 0,1 [782 - (37.554 ⋅ 5%)] = 30.028
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 25.530 milioni) ⋅ 0,10.
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L.3.108 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
782
144
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 3 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ E (L./mln)
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
b)
12.454
Valore delle licenze (*)
2.660
Valore corrente terreni
27.460
Valore corrente fabbricati
64.074
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
16.126
Ammortamento del periodo
-1.152
Carico fiscale potenziale
-19.140
Capitale netto rettificato
72.534
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
1.326
+ Ammortamenti di bilancio
2.128
- Ammortamenti fabbricati (**)
- Ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
- Imposte di competenza (53%)
Utile netto rettificato
c)
-14.974
Valore del capitale economico
W = 72.534 + a 5 0,1 (1.012 - 72.534 ⋅ 5%) = 62.622
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 33.256 milioni) ⋅ 0,08
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L. 1.162 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
-2.562
-232
352
1.012
CASO 6: UN’AZIENDA OPERANTE NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
145
Tabella 4 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ F (L./mln)
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
8.828
Valore delle licenze (*)
9.784
Valore corrente terreni
20.540
Valore corrente fabbricati
47.928
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
26.326
Ammortamento del periodo
-2.582
Carico fiscale potenziale
Patrimonio netto rettificato
b)
-11.180
52.156
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
1.604
+ Ammortamenti di bilancio
6.934
- Ammortamenti fabbricati (**)
-1.918
- Ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
-1.096
- Imposte di competenza (53%)
-2.078
Utile netto rettificato
c)
-23.744
Valore del capitale economico
W = 52.156 + a5 0,1 (3.446 - 52.156 ⋅ 5%) = 55.334
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 97.846 milioni) ⋅ 0,10
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L. 5.484 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
3.446
146
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 5 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ C (L./mln)
Capitale netto rettificato (senza partecipazioni)
a)
21.096
Capitale netto contabile 31.12.1994
-14.784
Partecipazioni
20.214
Valore delle licenze (*)
43.064
Valore corrente terreni
100.486
Valore corrente fabbricati
b)
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
45.226
Ammortamento del periodo
-2.578
Carico fiscale potenziale
-25.226
Capitale netto rettificato
102.202
Profilo reddituale
2.040
Utile netto di bilancio 31.12.1994
4.764
+ Ammortamenti di bilancio
-4.020
- Ammortamenti fabbricati (**)
- Ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
-526
- Imposte di competenza (53%)
-116
2.142
Utile netto rettificato
c)
-42.648
Determinazione del badwill
B = a 5 0,1(2.142 - 102.202 ⋅ 5%) = 11.252
d)
Plusvalore su partecipazioni
Valore corrente:
e)
B (22.070 ⋅ 2,5%)
552
H (14.896 ⋅ 20%)
2.980
I (25.156 ⋅ 39,73%)
9.994
D (36.774 ⋅ 25%)
9.194
G (4.750 ⋅ 50%)
2.376
25.096
Valore di bilancio
14.784
Plusvalore
10.312
Imposte (25%)
2.578
Plusvalore netto
Da ciò, valore delle partecipazioni: 7.734 + 14.784 = 22.518
7.734
Valore del capitale economico
W = K - B + partecipazioni = 102.202 - 11.252 + 22.518 = 113.468
(*) Così calcolato: Fatturato 1994 (L. 202.138 milioni) ⋅ 0,10
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L.2.630 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 6: UN’AZIENDA OPERANTE NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
147
Tabella 6 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ B
IN ASSENZA DI CARICO FISCALE (L./mln)
Partecipazione Società C del 2,5%
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
5.468
Valore delle licenze (*)
2.002
Valore corrente terreni
8.454
Valore corrente fabbricati
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
Ammortamento del periodo
19.726
11.480
-946
Capitale netto rettificato
b)
25.116
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
+ Ammortamenti di bilancio
- Ammortamenti fabbricati (**)
- Ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
- Imposte di competenza (53%)
Utile netto rettificato
c)
-10.534
Valore del capitale economico
W = 25.116 + a5 0,1[452 - (25.116 ⋅ 5%)] = 22.070
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 20.018 milioni) ⋅ 0,10
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L.194 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
168
1.428
-788
-38
-318
452
148
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 7 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ H
IN ASSENZA DI CARICO FISCALE (L./mln)
Partecipazione società C del 20%
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
3.872
Valore delle licenze (*)
3.410
Valore corrente terreni
6.428
Valore corrente fabbricati
15.000
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
17.634
Ammortamento del periodo
-1.354
Capitale netto rettificato
b)
12.430
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
+ Ammortamenti di bilancio
136
3.594
- Ammortamenti fabbricati (**)
-600
- Ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
-576
- Imposte di competenza (53%)
Utile netto rettificato
c)
-16.280
Valore del capitale economico
W =12.430 + a a 5 0,1[1.272 - (12.430 ⋅ 5%)] = 14.896
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 34.100 milioni) ⋅ 0,10
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L. 2.880 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
-1.282
1.272
CASO 6: UN’AZIENDA OPERANTE NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
149
Tabella 8 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ I
IN ASSENZA DI CARICO FISCALE (L./mln)
Partecipazione società C del 39,73%
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
6.808
Valore corrente terreni
9.090
Valore corrente fabbricati
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
Ammortamento del periodo
21.212
12.608
-654
Capitale netto rettificato
-11.954
25.156
Tabella 9 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ D
IN ASSENZA DI CARICO FISCALE POTENZIALE (L./mln)
Partecipazione società C del 25%
a)
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
5.864
Valore delle licenze (*)
2.554
Valore corrente terreni
15.714
Valore corrente fabbricati
36.666
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
20.468
Ammortamento del periodo
-1.386
Capitale netto rettificato
b)
41.716
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
+ Ammortamenti di bilancio
- Ammortamenti fabbricati (**)
150
3.432
-1.466
- Ammortamenti altre imm. tecniche (***)
-622
- Imposte di competenza (53%)
-712
Utile netto rettificato
c)
-19.082
Valore del capitale economico
W = 41.716 + a
5 0,1
[782 - (41.716 ⋅ 5%)] = 36.774
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 25.530 milioni) ⋅ 0,10.
(**) Determinati applicando l’aliquota del 3% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre imm. tecniche (L. 3.110 milioni) ⋅ 0,20.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
782
150
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 10 - DETERMINAZIONE DEL VALORE DEL CAPITALE ECONOMICO DELLA SOCIETÀ G
IN ASSENZA DI CARICO FISCALE POTENZIALE (L./mln)
a)
b)
c)
Partecipazione società C del 50%
Capitale netto rettificato
Capitale netto contabile 31.12.1994
Valore delle licenze (*)
Valore corrente fabbricati
Valore corrente terreni
Valore di bilancio terrreni e fabbricati
Ammortamento del periodo
Patrimonio netto rettificato
Profilo reddituale
Utile netto di bilancio 31.12.1994
+ ammortamenti di bilancio
- ammortamenti fabbricati (**)
- ammortamenti altre immobilizzazioni tecniche (***)
- Imposte di competenza (53%)
Utile netto rettificato
Valore del capitale economico
W = 4.954 + a5 0,1[194 - (4.954 ⋅ 5%)] = 4.750
1.108
1.100
3.026
1.296
1.696
120
-1.576
4.954
132
340
-122
-88
-68
194
(*) Così calcolato: fatturato 1994 (L. 10.992 milioni) ⋅ 0,15.
(**) Determinati applicando l’aliquota del 4% al valore corrente dei fabbricati.
(***) Valore di bilancio delle altre immobilizzazioni tecniche (L. 441 milioni) ⋅ 0,20.
La verifica con il metodo empirico
Il moltiplicatore utilizzato dal perito per determinare il valore del capitale economico delle società è stato il P/fatturato.
In base a recenti transazioni tale moltiplicatore esprime valori tra 0,25 e 0,30.
Dato che le transazioni hanno prevalentemente riguardato aziende con limitati investimenti immobiliari, per ragioni di omogeneità, il perito ha previamente separato e determinato una misura “normale” di investimento immobiliare (che si può
considerare compreso nel valore delle negoziazioni) dall’investimento immobiliare “eccedente”, da considerare in aggiunta.
Il calcolo si presenta, perciò, come segue:
W = Fatturato consolidato ⋅ 0,25 + valore “eccedente” degli immobili.
Il valore “normale” dell’investimento immobiliare “compreso”, sulla base
dell’analisi di diversi casi di aziende, del ramo oggetto di trasferimento in tempi
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 6: UN’AZIENDA OPERANTE NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
151
recenti può essere assunto attorno al 15% del fatturato. Tale percentuale corrisponde mediamente al valore contabile di carico (netto da ammortamenti) degli
immobili delle società oggetto di stima. Il perito ha perciò assunto come valore
“eccedente”, per semplicità, le plusvalenze sugli immobili, al netto degli oneri fiscali potenziali. Ciò significa il 75% di tale valore (confermando così l’aliquota di
onere fiscale potenziale al 25%). L’analisi è evidenziata nella tabella 11.
Tabella 11 - VALORI CON IL METODO DEL MOLTIPLICATORE
I) Valori delle singole società (L./mln)
Società
Fatturato
25% del fatturato
B
20.018
5.004
H
34.100
0
D
G
75% plusvalenza
fabbricati e terreni
W totale
13.234
18.238
8.526
3.862
12.388
0
20.568
20.568
25.530
6.382
24.974
31.356
10.992
2.748
2.060
4.808
I
E
33.256
8.314
57.420
65.734
F
97.846
24.462
33.544
58.006
C
202.138
50.534
75.676
126.210
II) Valore delle partecipazioni di C (L./mln)
W totale
I
quota Italfrutta
valore quota
20.568
39,73%
8.172
G
4.808
50%
2.404
D
31.356
25%
7.838
B
18.238
2,5%
456
H
20.568
20%
4.114
Totale
22.984
In sintesi, i valori delle cinque società direttamente detenute risultano (cifre in L./mln)
B
18.238
D
31.356
E
65.734
F
58.006
C
149.194 (*)
(*) Dato dal valore delle partecipazioni di C (L. 22.984) e il valore di C (L. 126.210).
Conclusioni
La tabella 12 mostra i risultati cui è giunto il perito utilizzando i due diversi criteri.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
152
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 12 - VALORE DELLE QUOTE HOLDING A AL NETTO DELLO SCONTO DI MINORANZA (L./mln)
A)
Con metodo-base
W quota
proporzionale
Sconto di
minoranza (*)
Valore
finale
B
6.312
25%
4.734
D
6.982
25%
5.236
E
10.961
12,5%
19.178
F
12.588
25%
9.442
C
39.714
12,5%
34.750
76.557
B)
73.340
Con metodo del moltiplicatore
B
6.224
25%
4.668
D
7.290
25%
5.468
E
23.006
12,5%
20.130
F
13.196
25%
9.898
C
52.218
12%
45.690
101.934
85.854
(*) Ridotto a metà per le società con partecipazioni concorrenti al controllo dell’assemblea
straordinaria.
Come si può notare è stato applicato uno sconto di minoranza variabile del 12,5%
al 25% del valore.
Ciò è stato giustificato facendo riferimento a una ricerca di fonte americana, riferita ad un periodo di 12 anni su ben 2.804 casi di negoziazioni di quote di minoranza, dalla quale emergevano grandezze del 21-30%.
Considerando, inoltre, che in alcune Società oggetto della stima le quote della
Società Holding A sono determinanti nelle delibere dell’assemblea straordinaria, il
perito ha ridotto del 50% lo sconto di minoranza applicabile a tali quote. In sintesi
il valore attribuito alle quote è stato di circa 80 L./mld.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
Determinazione del rapporto di concambio
per la fusione per incorporazione
della A. Mondadori Editore S.p.A nella
A. Mondadori Editore Finanziaria S.p.A
Presentazione del caso
Il perito doveva stabilire l’equo rapporto di concambio per l’operazione di fusione,
mediante incorporazione della società, Arnoldo Mondadori Editore S.p.a. (Ame)
nella società Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria S.p.a.(Amef).
Alla data della perizia di stima (giugno 1991) la società Ame aveva un capitale sociale di L. 80 miliardi suddiviso in n. 40.020.750 azioni ordinarie, n.
34.229.250 azioni privilegiate e n. 5.750.000 azioni di risparmio tutte del valore
nominale di lire 1.000; la società Amef deteneva un capitale di lire
62.038.500.000 suddiviso in n. 52.150.000 azioni ordinarie e n. 9.888.500 azioni
di risparmio entrambe del valore nominale di lire 1.000.
Ambedue le società erano quotate alla Borsa valori di Milano, ma la quotazione
delle azioni ordinarie e privilegiate Ame era stata sospesa dal dicembre 1989,
mentre quella delle azioni ordinarie Amef dall’aprile 1989.
La società Amef svolgeva puramente un’attività finanziaria, detenendo l’83%
del capitale sociale di Ame oltre a una quota minoritaria (20,4%) nel gruppo olandese Verkerke. Ame era invece presente nell’industria dell’editoria con le seguenti
principali divisioni.
a) Area libri.
La quota di mercato posseduta dalla società nel segmento dei libri per adulti era
pari al 18% in valore e pari al 21% in quantità (con un fatturato di lire 304,3 miliardi). Era presente, inoltre, in questo settore con alcune importanti partecipazioni
tra le quali il gruppo Grijalbo (con una quota di partecipazione del 60%) che opera
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
154
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
in Spagna e in America Latina; la Sperling & Kupfer Editori s.p.a. (50%); la Harlequin Mondadori s.p.a. (50%); la Elemond s.p.a. (49%).
b) Area periodici.
Erano ricomprese in questa area tutte le testate periodiche a frequenza settimanale
e mensile. Le principali testate erano: Panorama, con una diffusione, nel 1990, di
456.000 copie; Grazia, che deteneva una posizione leader nel proprio segmento di
mercato; Donna Moderna, con una tiratura media di 435.000 copie; Epoca, per la
quale erano stati avviati interventi volti a modificare i contenuti editoriali per il
rilancio della testata. I ricavi totali dell’area periodici erano pari nel 1990 a lire
495,2 miliardi, divisi equamente tra fatturato di vendite e raccolta pubblicitaria.
Nel corso dell’esercizio era stata costituita la società Gruner Jahr Mondadori
s.p.a., partecipata pariteticamente con l’editore tedesco Gruner Jahr (gruppo Bertelsmann).
c) Area pubblicità.
Tale settore faceva capo alla controllata Manzoni & C. s.p.a., che gestiva la vendita degli spazi pubblicitari di quasi tutte le testate Ame e di quelle dell’Espresso, La
Repubblica, Fin.e.gi.l. Nel 1990, nel mercato della raccolta pubblicitaria su periodici, la quota detenuta dai periodici editi da Ame era stimata in circa il 20,3%. I ricavi totali dell’area pubblicità erano pari a 800 miliardi.
d) Area grafica.
Nonostante nel settore vi fosse una forte tensione competitiva, Ame era riuscita,
razionalizzando e migliorando i livelli di produttività, a mantenere inalterata la
propria presenza sul mercato. Il fatturato verso terzi nel 1990 era pari a lire 351
miliardi, e il volume d’affari verso l’estero ammontava a lire 165 miliardi (rappresentante il 50% dell’intera esportazione del settore). I principali mercati di sbocco
all’estero erano Gran Bretagna, Francia, Paesi Scandinavi, Germania e Stati Uniti.
e) Area direct marketing.
In tale area erano ricomprese le attività editoriali in senso lato (libri, prodotti musicali e video) che facevano capo al Club degli Editori e i servizi di direct marketing offerti dalla società, Cemit Direct Media s.p.a. Il Club degli Editori deteneva
il 55% del mercato delle vendite di libri per corrispondenza. I ricavi totali dell’area direct marketing ammontavano a lire 237 miliardi.
f) Area cartolibraria.
Nel settore operavano la Verkerke Reprodukties n.v., la Adica Pongo e la Auguri
Mondadori, con un ricavo complessivo di lire 125 miliardi. Le difficoltà dell’intero settore avevano portato a interventi di razionalizzazione delle attività, delle due società italiane, che non presentavano risultati economici soddisfacenti.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
155
La valutazione del capitale economico
Il capitale netto contabile della società Ame al 31 dicembre 1990 era pari a lire
382,2 miliardi (tabella 1).
Tabella 1 - AME: LA DETERMINAZIONE DEL CAPITALE NETTO CONTABILE (L./mld)
Capitale sociale
80,0
Riserva legale
16,0
Riserva sovrapprezzo azioni
57,7
Altre riserve
220,9
Fondo contributi in conto capitale
7,6
Risultato d’esercizio
0,7
a dedurre:
dividendo proposto:
(0,7)
Risultato netto contabile
382,2
Allo scopo di determinare il patrimonio netto contabile erano state considerate le
seguenti plusvalenze sui valori iscritti in bilancio:
1) a seguito di un accordo siglato il 29 aprile 1991 la società si era impegnata a
cedere al gruppo C.I.R. una serie di partecipazioni per un corrispettivo complessivo di lire 1.407,4 miliardi. Tali partecipazioni erano iscritte in bilancio
per un valore di lire 720,2 miliardi. La determinazione della plusvalenza viene
evidenziata nella tabella 2;
Tabella 2 - AME SOCIETÀ OGGETTO DI CESSIONE A C.I.R.: DETERMINAZIONE DELLA PLUSVALENZA
(valori in L./mld)
Partecipazioni
Quota (%)
Prezzo di cessione
Valore di carico
Plusvalenza
L’Espresso
81,3
626,0
(*) 624,3
1,7
La Repubblica
50,0
450,0
16,8
433,2
Finegil
50,0
138,5
45,0
93,5
Cima Brenta
30,0
5,8
5,8
---
G.M.P. (**)
100,0
7,2
7,2
---
68,3
179,9
21,1
158,8
1.407,4
720,2
687,2
Cartiera di Ascoli
(*) Comprensivo del valore di carico dell’Espresso in Finame, pari a lire 400,2 mld.
(**) In carico a Manzoni & C. S.p.a.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
156
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
2) la società possedeva terreni e diversi fabbricati, sia civili che industriali. Il loro valore corrente era stato stimato in lire 97,1 miliardi, mentre il valore netto
di carico era pari a lire 78,9 miliardi, da ciò emergeva una plusvalenza di lire
18,2 miliardi;
3) le immobilizzazioni tecnico-strumentali erano state valutate con il metodo del
costo di rimpiazzo al netto di deperimenti ed obsolescenza. Nella tabella 3
sono evidenziati i calcoli per la determinazione delle plusvalenze;
Tabella 3 - AME IMMOBILIZZAZIONI TECNICHE: DETERMINAZIONE DELLA PLUSVALENZA (L./mld)
Descrizione
Immobiliz.
lorde
Fondi
ammortamento
Immobiliz.
lorde
32,3
64,3
43,9
20,4
11,9
111,6
218,9
183,6
35,3
76,3
Attrezzature varie
1,0
5,4
4,7
0,7
0,3
Automezzi
1,6
4,0
3,1
0,9
0,7
Macchine d’ufficio
0,5
5,6
5,1
0,5
--
Macchine elettriche/
computer
4,6
7,3
2,6
4,7
(0,1)
Sistemi elettr.-fotocomp.
1,6
2,5
1,0
1,5
0,1
25,1
28,8
5,6
23,2
1,9
Impianti di acclimazione
2,7
3,3
0,7
2,6
0,1
Autovetture
0,3
0,4
0,1
0,3
--
Attrezzature inf. 1 milioni
0,6
0,6
0,6
0,0
0,6
Attrezzature di Segrate
8,3
24,1
15,8
8,3
--
190,2
365,2
266,8
98,4
91,8
Impianti generici
industriali
Macchinari automatici
Rotative carta bobine
Totale
Valore
di
mercato
Plusvalenza
4) le partecipazioni erano state valutate tenendo conto dell’attività svolta e della
rilevanza che le società ricoprivano nell’ambito del gruppo Mondadori. Le partecipate dotate di maggiore rilevanza operativa erano state valorizzate con
l’utilizzo del metodo misto patrimoniale reddituale, con le seguenti precisazioni. Per il Club degli editori (tabella 4) nella determinazione del patrimonio netto rettificato si era proceduto alla valorizzazione del bene immateriale costituito dal cosiddetto “portafoglio soci”, adottando il criterio del costo di riproduzione. Tale criterio consiste nel calcolare quanto costerebbe ricreare
l’intangibile oggetto di apprezzamento. Nel caso del “portafoglio soci” il valore
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CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
157
era stato determinato dal prodotto tra il costo corrente per contattare un socio
(assunto pari a L. 50.000) e il numero dei soci (ammontanti a 1.210.000 circa).
Il gruppo Auguri Mondadori (tabella 5) era stato valutato secondo il metodo
patrimoniale semplice, essendo stato interessato, nel corso dell’esercizio, da interventi per la razionalizzazione della propria attività.
Tabella 3 - AME IMMOBILIZZAZIONI TECNICHE: DETERMINAZIONE DELLA PLUSVALENZA (L./mld)
Descrizione
Impianti generici
industriali
Valore
di
mercato
Immobiliz.
lorde
Fondi
amm.to
Immobiliz.
lorde
Plusvalenza
32,3
64,3
43,9
20,4
11,9
111,6
218,9
183,6
35,3
76,3
Attrezzature varie
1,0
5,4
4,7
0,7
0,3
Automezzi
1,6
4,0
3,1
0,9
0,7
Macchine d’ufficio
0,5
5,6
5,1
0,5
--
Macchine elettriche/
computer
4,6
7,3
2,6
4,7
(0,1)
Sistemi
elettr./fotocomp.
1,6
2,5
1,0
1,5
0,1
Rotative carta bobine
25,1
28,8
5,6
23,2
1,9
Impianti acclimazione
2,7
3,3
0,7
2,6
0,1
Autovetture
0,3
0,4
0,1
0,3
--
Attrezzature inf. 1 mil.
0,6
0,6
0,6
0,0
0,6
Attrezzature di Segrate
8,3
24,1
15,8
8,3
--
190,2
365,2
266,8
98,4
91,8
Macchinari automatici
Totale
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158
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 4 - PARTECIPAZIONE: CLUB DEGLI EDITORI (L./mld)
a) Determinazione del capitale netto rettificato (K)
Capitale sociale
2,0
Riserve
34,7
Fondo soci aumento capitale
50,0
Utile esercizio 1990
13,7
- Capitale netto contabile
100,4
- Valore del portafoglio soci (lire 50.000 ⋅ 1.200.000 soci)
60,5
- Capitale netto rettificato
160,9
b) Risultato netto rettificato (R)
1989
1990
18,1
13,7
- ammortamenti anticipati
0,5
0,8
- ammortamenti costi pluriennali
0,4
0,3
- Risultato economico rettificato
19,0
14,8
Risultato economico
a incremento:
Reddito medio-normale: 16,9
c) Determinazione del capitale economico (W)
W = 160,9 + a 8 0,11 (16,9 - 0,08 . 160,9) = 160,9 + 20,7 = 181,6
Arrotondato a 182,0 mld
d) Determinazione della plusvalenza in Ame
(partecipazione 100%)
Valore corrente
182,0
Valore di carico
57,5
Plusvalenza
124,5
La società Adica Pongo (tabella 6), era stata anch’essa valutata secondo il metodo
patrimoniale semplice. Il suo patrimonio netto contabile risultava negativo per lire127 milioni. Peraltro la controllante (Ame), nel suo bilancio aveva già annullato
il valore di tale partecipazione ed aveva effettuato un accantonamento di lire 127
milioni al fondo rischi su partecipazioni, neutralizzando, in tal modo, il suddetto
ammontare negativo del netto contabile della Società Adica Pongo. Quest’ultima,
però, possedeva terreni e fabbricati industriali, che valutati al loro valore corrente,
facevano emergere una plusvalenza di lire 1,9 miliardi.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
159
Tabella 5 - PARTECIPAZIONE GRUPPO AUGURI MONDADORI (SOCIETÀ: VERKERKE GROUP;
AUGURI MONDADORI (L./mld)
1. Verkerke Group
a) Determinazione del capitale economico
Capitale netto rettificato (assunto in maniera pari a quello contabile): 7,0
Risultato economico (R):
- risultato economico 1989:
1,3
- risultato economico 1990:
1,8
- risultato medio normale:
1,5
W = 7,0 + a 8 0,11 (1,5 - 0,08 ⋅ 7,0) = 7,0 + 4,6 = 11,6
b) Determinazione della plusvalenza in Auguri Mondadori
Valore corrente (1 ⋅ 11,6 mld ⋅ 79,6%)
9,2
Valore di carico
4,5
Plusvalenza
4,7
2. Auguri Mondadori
a) Determinazione del capitale economico
Capitale sociale
Riserve
13,0
6,6
Perdite d’esercizio
(7,2)
Capitale netto contabile
12,4
Plusvalenza su partecipazione Verkerke
Capitale netto rettificato
4,7
17,1
b) Determinazione della plusvalenza in Ame (partecipazione 100%)
Valore corrente
17,1
Valore di carico
12,2
Plusvalenza
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
4,9
160
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 6 - PARTECIPAZIONE: GRUPPO AUGURI MONDADORI (L./mln)
a) Determinazione del patrimonio netto rettificato (K)
Capitale sociale
1.000
Copertura perdita
2.487
3.487
Perdita d’esercizio
3.614
Capitale netto contabile (negativo)
(127)
Plusvalenza su terreni e fabbricati (*):
- valore corrente
3.860
- valore netto di calcolo
1.950
1.910
Capitale netto rettificato
1.783
b) Determinazione della plusvalenza in Ame (partecipazione 100%)
- Valore corrente
1.783
- Valore di carico
(127)
- Plusvalenza
1.910
arrotondato a lire 1,9 miliardi
(*) Cfr. Perizia tecnica ing. Casagrande (Documento 2)
La tabella 7 evidenza il valore della partecipazione nella Harlequin Mondadori.
Tabella 7 - PARTECIPAZIONE: HARLEQUIN MONDADORI (cifre in L./mld)
a) Determinazione del capitale economico
Capitale netto rettificato (pari al capitale netto contabile) (K):
- Capitale sociale:
0,5
- Riserve e utili esercizi precedente:
0,1
- Risultato dell’esercizio 90:
2,8
3,4
- Risultato economico medio-normale (R):
- Risultato netto
1989
1990
R
2,8
2,8
2,8
- Valore del capitale economico:
W = 3,4 + a 8 0,11 (2,8 - 0,08 ⋅ 3,4) = 3,4 + 13,0 = 16,4
b) Determinazione della plusvalenza in Ame (quota di partecipazione 50%)
- Valore corrente (1.16,4 mld ⋅ 50%)
8,2
- Valore di carico
0,8
- Plusvalenza
7,4
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
161
Il valore economico della Editrice Segesta (tabella 8) era stato rettificato in
diminuzione con uno sconto del 25%, visto che la partecipazione era minoritaria
(49%). Nella determinazione del patrimonio netto rettificato era stata valutata la
testata periodica Abitare, adottando gli stessi coefficenti moltiplicativi utilizzati
per la valorizzazione delle testate possedute direttamente da Ame (vedi punto 5).
Tabella 8 - PARTECIPAZIONE: EDITRICE ABITARE SEGESTA S.P.A. (L./mld)
a. Valutazione della testata :
Ricavi netti diffusione 1990 (F): 3,2
Ricavi netti pubblicità 1990 (P): 9,9
Risultato operativo (R): positivo
a=1
b = 1,5
c=3
V = aF + bP - cR = 3,2 + 9,9 ⋅ 1,5 = 3,2 + 14,8 = 18,0
b) Determinazione del capitale netto rettificato (K)
Capitale sociale e riserve
1,4
Risultato economico 1990
0,7
Capitale netto contabile
2,1
Plusvalenza su testata
18,0
Capitale netto rettificato
20,1
c) Risultato economico medio-normale (R): . 0,7
d) Determinazione del capitale economico
W = 20,1 + a 3 0,11 (0,7 - 0,08 . 20,19) = 20,1 + 2,2 = 17,9
e) Determinazione dello sconto di minoranza e della plusvalenza in Ame
(sconto: 25%; quota di partecipazione 49%)
Valore corrente partecipazione (17,9 ⋅ 49%)
Sconto di minoranza (8,8 ⋅ 25%)
8,8
(2,2)
6,6
Plusvalenza in Ame:
- valore corrente
6,6
- valore di carico
0,6
- plusvalenza
6,0
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162
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Il capitale netto contabile della A. Manzoni & C. (tabella 9) era stato rettificato
per tener conto del valore della “organizzazione di vendita”, valutata secondo il
criterio di ricostruzione. Assumendo che una società per ottenere
un’organizzazione di vendita di pari efficacia, dovrebbe, per un periodo di 1
anno, registrare una ridotta efficienza, misurabile convenzionalmente in uno
spreco del 25% dei costi di struttura, il valore dell’organizzazione era stato stimato pari a lire 28 miliardi (25% di 112 miliardi).
Tabella 9 - PARTECIPAZIONE: A. MANZONI & C. (L./mld)
a. Valutazione dell’organizzazione di vendita :
Costi operativi e di struttura 1990:
- Costi operativi e di struttura rilevanti ai fini della valutazione: (112 ⋅ 25%)
- a dedurre: avviamento
112,0
28,0
4,3
- Plusvalenza
23,7
b. Determinazione del capitale netto rettificato (K)
Capitale sociale
25,5
Riserve e risultati economici
(0,5)
Capitale netto contabile
25,0
“Valore dell’organizzazione”
23,7
Capitale netto rettificato arrotondato a 48
48,7
c. Determinazione della plusvalenza in Ame (partecipazione 50%)
Valore corrente
24,0
Valore di carico
19,7
Plusvalenza
4,3
Nella tabella 10 sono mostrate le partecipazioni di Ame in società finanziarie intermedie di partecipazione, società di servizi e società operanti in comparti editoriali diversificati e di non primario rilievo per Ame. Il valore economico
di tali partecipazioni era stato assunto pari al patrimonio netto di competenza.
Per le partecipazioni alle quali non erano attribuibili plusvalenze di dimensioni apprezzabili si erano prudenzialmente confermati i valori di carico;
5) Il valore delle testate possedute direttamente da Ame era stato calcolato adottando il criterio empirico. Il valore della testata è definito dalla formula:
V=a⋅F+b⋅P–c⋅R
dove:
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
163
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
F = fatturato medio anno per la vendita dei giornali (nel nostro caso il fatturato del 1990);
P = fatturato medio annuo per la pubblicità (riferito anch’esso al 1990);
R = livello medio delle eventuali perdite operative annuali (evidentemente se la testata non
produce perdite il valore di R è nullo).
Tabella 10 - ALTRE PARTECIPAZIONI (cifre in L./mld)
Società
Patrimonio
netto
contabile
% di
possesso
B.C. Editrice
0,0
60,0
0,0
0,0
Mond.
International
(*) 181,4
100,0
(1) 181,4
34,2
126,3
20,9
Mond. Video
1,1
100,0
1,1
0,2
0,8
0,1
Mond. Business
Int.
0,2
70,0
0,1
0,1
Orsa maggiore
8,9
85,0
7,6
0,2
7,2
0,2
Mondadori Pubbl.
2,3
100,0
2,3
0,4
1,8
0,1
Ricciardi
4,1
100,0
4,1
3,0
1,1
Scaligera
Trasporti
0,0
100,0
0,0
0,0
--
Serra e Riva
0,0
100,0
0,0
0,0
--
13,2
100,0
13,2
0,9
8,3
4,0
Cartolibraria
0,6
50,0
0,3
0,0
0,3
--
Edel
0,0
50,0
0,0
0,0
--
Gruner & Jahr
3,2
50,0
1,6
3,1
--
Mond. Deagostini
4,2
50,0
2,1
0,5
1,6
Mond. Factor
2,8
49,0
1,4
1,0
0,4
Mond. Leasing
5,1
49,0
2,5
2,5
--
Mach 2
4,2
25,0
1,1
0,3
0,8
Mach 3
1,0
17,5
0,2
0,2
--
Socpi
Patrimonio
netto di
competenza
Valore di
carico
Finanz.
in conto
futuro
aument.
capit.
Plusval. in
Ame
--
--
Totale plusvalenze
(*) al lordo dell’acconto dividendo, ma senza tenere conto di plusvalenze di titoli.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
29,1
164
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
I parametri scelti nella valutazione delle testate possedute in alcune importanti applicazioni sono stati i seguenti:
a = 1;
b = da 1 a 2;
c = da 3 a 5.
Nel caso in esame, i parametri scelti per la valorizzazione delle testate possedute da Ame erano:
a = 1;
b = 1,5;
c = 3.
In sintesi, il valore finale di ciascuna testata viene evidenziato nella tabella 11.
Alle testate Epoca e Cento Cose era stato assegnato un valore nullo, a causa delle
cospicue perdite di gestione che portavano a determinare un valore negativo;
Tabella 11 - AME DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLE TESTATE (L./mld)
Testate
Grazia
Fatturato
divisione (*)
Fatturato
pubblicità (**)
Risultato economico
(perdita) (***)
Risultato
del
calcolo
Valore finale
acconto
24,9
65,6
--
123,3
120
Marie Claire
5,6
16,1
--
29,7
30
Cento cose
3,0
2,1
(2,6)
0
0
Starbene
4,7
2,4
(0,4)
7,1
7
Casaviva
9,0
11,7
--
26,5
25
Confidenze
17,7
2,2
--
21,0
20
Nuova guida
cucina
6,4
0
--
6,4
6
Sale e pepe
6,8
0
--
6,8
6
Donna
moderna
23,8
12,9
--
43,1
40
Guida T.V.
11,8
0
--
11,8
11
Epoca
10,7
7,2
(10,8)
0
0
Panorama
36,4
74,3
--
147,8
145
Auto oggi
8,6
3,7
(1,9)
8,4
8
418
(*) Coefficiente di valorizzazione : a =1
(**) Coefficiente di valorizzazione : b =1,5
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
165
(***) Coefficiente di valorizzazione : c =3,0
6) la rete di negozi specializzati nella vendita della produzione libraria del gruppo
e di terzi è stata stimata adottando il metodo empirico che assegna un valore
all’autorizzazione (licenza).Il fatturato medio (tabella 12), pari a lire 20 miliardi, è stato moltiplicato per il coefficente q (che riflette le condizioni medionormali di redditività del settore), considerato pari a 1,2, determinando un valore complessivo di lire 24 miliardi. Il valore di avviamento della rete iscritto in
bilancio era pari a lire 3,4 miliardi da ciò emergeva una plusvalenza di lire 20,6
miliardi, arrotondata in lire 20 miliardi.
La tabella 13 evidenza il patrimonio netto rettificato della Ame alla data
della perizia che era stato considerato pari a lire 1.800 miliardi.
Tabella 12 - LIBRERIE MONDADORI: FATTURATI PER NEGOZIO (L./mln)
Negozi
1990
Budget 1991
Bologna - via D’Azeglio
404
480
Bologna - via Zamboni
803
401
Coin - Milano
119
1.119
Coin - Taranto
378
1.336
Como
1.289
1.287
Lucca
519
591
Milano - P.zza Cordusio
1.820
2.496
Milano - Porta Vittoria
1.096
1.235
Milano - Corso Vercelli
584
664
2.395
2.605
Padova
459
552
Pisa
767
842
1.696
2.165
Milano - V. Emanuele
Roma - Cola di Rienzo
Roma - Prati
Rimini
254
1.418
1.675
966
1.127
1.109
1.126
Torino
500
232
Trieste
501
618
Verona
541
654
Segrate
Spaccio Ogam
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166
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Totale negozi (ante nuove aperture 1991)
17.618
21.205
Tabella 13 - AME: CAPITALE NETTO RETTIFICATO (L./mld)
Capitale contabile
382,2
Plusvalenze su:
- partecipazioni oggetto di cessione
687,2
- terreni, fabbricati industriali
18,2
- immobilizzazioni tecnico strumentali
91,8
- partecipazioni in portafoglio
178,1
- testate
418,0
- librerie Mondadori
Capitale netto rettificato (K) per arrotondamento assunto pari a lire 1.800 mld
20,0
1.795,5
Contrariamente alle perizie di stima riportate nei precedenti capitoli, il perito, ai
fini della determinazione del congruo valore del capitale economico, non ha utilizzato il metodo misto patrimoniale-reddituale, ma si è limitato a una verifica reddituale. Tale verifica consiste nel quantificare il saggio di rendimento dell’investimento considerato, paragonandolo a un rendimento giudicato normale a
parità di rischio. Se il rendimento si discosta da quello normale significa che il valore patrimoniale non è adeguato a rappresentare il capitale economico della società; occorrerà quindi valutare un goodwill (o badwill) per misurarne il reale valore.
Al contrario, se il rendimento è in linea con quello del settore, il valore economico
della società è ben rappresentato dal valore patrimoniale. Nel settore dell’editoria,
rendimenti giudicati soddisfacenti si aggirano intorno al 7%.
Il reddito prodotto nel corso del 1991 da Ame aveva risentito delle vicende poste in essere per il controllo della società da parte del gruppo Fininvest e del gruppo C.I.R. In considerazione di ciò i risultati economici non apparivano significativi
e il perito ha preferito tener conto dei redditi producibili in condizioni gestionali
normali (cioè quelli prodotti fino alla conclusione dell’esercizio 1990).
Il reddito medio prima delle imposte e degli oneri finanziari era stato considerato pari a lire 70 miliardi. Partendo da questo dato erano state effettuate le seguenti modifiche:
1)
il reddito era stato aumentato per l’eliminazione di costi iscritti in bilancio
che apparivano estranei alla gestione caratteristica (per esempio
ammortamenti eccedenti);
2) la cessione delle partecipazioni al gruppo C.I.R., comportava un miglioramento della posizione finanziaria di Ame. Era stato supposto infatti, che i proventi
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
167
della cessione
(lire 1.400 miliardi) fossero investiti a un tasso medio del
12,5% annuo. Da ciò derivava un provento finanziario quantificabile in lire
175 miliardi;
3) erano stati considerati i redditi ante imposte prodotti dalle società, partecipate
e di competenza di Ame;
4) da ultime erano state calcolate le imposte, applicando un’aliquota del 40%.
Il reddito medio veniva perciò quantificato in lire 127,4 miliardi. I calcoli sono espressi nella tabella 14.
Tabella 14 - AME DETERMINAZIONE DEL PROFILO REDDITUALE (L./mld)
1992
Risultato della gestione operativa (ante oneri finanziari e imposte) di
Ame spa
70,0
Partite estranee alla gestione caratteristica
7,0
Gestione finanziaria:
- oneri
- proventi (pari a 1.400 al tasso del 12,5%)
(122,0)
175,0
Risultato economico ante imposte di Ame
53,0
130,0
Risultati economici pro-quota ante imposte di:
- società controllate
- società collegate
(122,0)
175,0
53,0
Risultato consolidato ante imposte
212,4
Imposte (40%)
(85,0)
Risultato netto consolidato
127,4
Il rendimento dell’investimento risultava, quindi, del 7,07% e perciò in linea
con quello del settore. Si confermava, quindi, il valore del capitale economico per
Ame di lire 1.800 miliardi.
Il capitale netto contabile di Amef al 31 dicembre 1990 era pari a lire 115,3 miliardi (tabella 15). Le uniche plusvalenze accertate riguardavano le partecipazioni
possedute dalla società (si ricorda che Amef era una società finanziaria pura).
Il capitale economico del gruppo Verkerke, già stimato per Ame, era pari a lire
11,6 miliardi. La quota di pertinenza Amef (20,4%) era di lire 2,4 miliardi contro
un valore iscritto in bilancio di lire 1,3 miliardi; emergeva, perciò, un maggior valore di lire 1,1 miliardo.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
168
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
169
Tabella 15 - AMEF: DETERMINAZIONE DEL CAPITALE NETTO CONTABILE (L./mld)
Capitale sociale
62,0
Riserva legale
1,7
Altre riserve
43,4
Utile dell’esercizio 1990
a dedurre :
9,2
dividendo proposto:
(1,0)
Capitale netto contabile
115,3
Per quanto riguarda la partecipazione in Ame, occorreva precedentemente
quantificare il numero di azioni ordinarie “equivalenti”, cioè quantificare il rapporto di valore tra i diversi tipi di azione. Il rapporto di valore tra azioni ordinarie
e azioni privilegiate veniva determinato pari a 0,7, tenuto conto delle quotazioni
delle azioni nel mercato borsistico nel corso del 1990 (mediamente 0,673) e dei
prezzi fissati nella negoziazione C.I.R.-Fininvest (0,73, dato che l’azione ordinaria
era stata valutata lire 26.000 e l’azione privilegiata lire 18.980). Il rapporto di valore tra azioni ordinarie e azioni di risparmio veniva quantificato pari a 0,4,
considerato anche le quotazioni di Borsa (0,407) e la negoziazione (0,391).
Da ciò risultava che le azioni ordinarie “equivalenti” erano n. 66.281.225 con
un valore unitario di lire 27.157. Il valore delle azioni privilegiate veniva determinato in lire 19.009 (27.157 ⋅ 0,7) e quello delle azioni di risparmio in: lire 10.862
(27.157 ⋅ 0,4).
Stabilito ciò, la partecipazione di Amef in Ame era considerata pari a lire
1.463,6 miliardi, a fronte di un valore di carico di lire 952,4 miliardi da cui un plusvalore di lire 511,2 miliardi. In sintesi il capitale netto rettificato risultava pari a
lire 627,6 miliardi (tabella 16).
Tabella 16 - AMEF: CAPITALE NETTO RETTIFICATO (L./mld)
Capitale netto contabile
115,3
a incremento:
Plusvalenze su partecipazioni:
- Ame (post acquisizione da CIR e da altri)
- Verkerke Group
511,2
1,1
512,3
627,6
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
170
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Come nel caso precedente si era provveduto a una verifica reddituale. Il reddito
medio di Amef derivava unicamente dalla quota di reddito di Ame di pertinenza
della società. Tale valore, configurandosi come dividendo, era stato integrato dal
credito d’imposta. L’utile lordo era stato depurato delle imposte di competenza
(36%, essendo i dividendi esclusi dal pagamento dell’Ilor).
La tabella 17 mostra, in dettaglio, il calcolo per determinare il reddito medio,
quantificato in lire 36,8 miliardi. Da ciò, un saggio di rendimento del capitale del
5,9%. Considerato che:
– sarebbe bastato un adeguamento della misura del capitale proprio (allora troppo
ridotto);
– il rendimento non era troppo lontano dalla media del settore
– la dottrina prevedeva, in caso di valutazione di una holding pura. l’adozione
della stima patrimoniale semplice senza alcuna verifica reddituale;
– il valore del capitale economico veniva confermato nella misura di lire 627,6
miliardi.
Tabella 17 - AMEF DETERMINAZIONE DEL PROFILO REDDITUALE (valori in L./mld)
Ricavi
Quota parte utili netti Ame (a regime)
Credito d’imposta
105,7
59,5
Totale ricavi
165,2
Costi
Costi di struttura
(*)
Oneri finanziari
Totale costi
107,8
Utile lordo
57,4
Accantonamento imposte (Irpeg) ( 57,4 ⋅ 36%)
Utile netto a regime
(20,6)
36,8
(*) Indebitamento medio 837 al 12,7%
Il rapporto di concambio
Per procedere alla determinazione del valore di ciascuna delle azioni Amef era necessario quantificare il numero di azioni ordinarie equivalenti, come già si era realizzato per Ame. Il rapporto di valore tra le azioni ordinarie e le azioni di risparmio
veniva assunto nella misura di 0,5 (0,473 le quotazioni di Borsa e 0,55 il rapporto
nella negoziazione C.I.R.-Fininvest). Da ciò, il valore unitario dell’azione ordina-
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CASO 7: INCORPORAZIONE DELLA A. MONDADORI NELLA A. MONDADORI FINANZIARIA
171
ria veniva stabilito in lire 10.992, mentre il valore dell’azione di risparmio veniva
determinato in lire 5.496.
Ricordando che all’azione ordinaria Ame era stato assegnato un valore di lire
27.157, il rapporto di concambio veniva definito: 1 azione Ame contro 2,47 azioni
Amef. Valore che era confermato sia dalla quotazione di Borsa (2,52) sia dalla negoziazione (2,60). In sintesi il rapporto di concambio veniva arrotondato in 1 azione ordinaria Ame contro 2,5 azioni ordinarie Amef.
In questo caso doveva essere stabilito il rapporto di concambio oltre che delle
azioni ordinarie anche degli altri tipi di azioni. I rapporti tra i valori di Borsa delle
azioni di risparmio nell’ultimo mese era pari a 2,66, mentre il rapporto della negoziazione era di 1,85. Tali differenti valori consigliavano l’adozione del medesimo
rapporto di concambio delle azioni ordinarie, cioè 2,5.
Il rapporto di concambio tra azioni privilegiate Ame e azioni ordinarie Amef
veniva stabilito in 1 azione privilegiata Ame contro 1,75 ,azioni ordinarie Amef
(2,5 moltiplicato il rapporto di valore tra le azioni Ame 0,7).
A differenza di quanto detto nella prima parte (nelle noti metodologiche) nel presente caso le plusvalenze accertate in sede patrimoniale non erano state diminuite
dai carichi fiscali potenziali. Il fondamento di tale scelta sta nel fatto che delle due
societa, oggetto di valutazione. una controllava quasi completamente l’altra. Anche se il calcolo degli oneri fiscali potenziali può essere limitato alla sola plusvalenza rilevabile nella controllante, in questo caso, tale modo di procedere avrebbe
influenzato in modo irrazionale il rapporto di concambio.
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Determinazione del rapporto di concambio
per la fusione per incorporazione
della In.Pro.Di. S.p.a. nel Cotonificio
Cantoni S.p.a.
Presentazione del caso
La determinazione del rapporto di concambio tra le azioni della In.Pro.Di. S.p.a.
(incorporata) e le azioni del Cotonificio Cantoni S.p.a. (incorporante), è stato oggetto di valutazione nel settembre 1988.
L’incorporante presentava un capitale sociale di lire 41.794.389.000 diviso in
n. 13.931.463 azioni, mentre l’incorporata presentava un capitale sociale di 3 miliardi diviso in 3 milioni di azioni.
Il Cotonificio Cantoni S.p.a. svolgeva attività di holding, gestendo un portafoglio di attività industriali e finanziarie, con interessi largamente prevalenti nel tessile cotoniero, fornendo alle società partecipate l’assistenza legale e amministrativo-finanziaria. La figura 1 mostra le differenti aree operative in cui era strutturata
l’attività del gruppo.
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174
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Figura 1
I settori in cui operavano le società partecipate erano:
a) Area filature e tessiture.
La Gestione Tessili Cantoni S.r.l. (Geteca) era titolare di tutte le attività di tessitura del gruppo, rappresentando quindi una delle unità industriali fondamentali. Le
linee di prodotto offerte erano la linea “greggi” (oltre il 53% del fatturato) la linea
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CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
175
“in filo” (13%) e la linea Rovereto (33%). La Manar S.p.a. operava nel comparto
dei filati acrilici o misti, con base sintetica o artificiale;
b) Area finissaggio e tintostamperia.
La Duca Visconti di Modroni Velvis S.p.a. svolgeva la propria attività nel comparto della produzione e commercializzazione di velluti per abbigliamento classico e
sportivo, caratterizzata dall’elevato standard qualitativo della produzione e dal
prestigio del marchio. La Cantoni Finiture Tessili S.p.a. effettuava attività di façon
di candeggio, tintoria e stamperia di tessuti per abbigliamento. Infine la Cantoni
Satilai S.p.a. svolgeva l’attività nel comparto del tessuto stampato e tinto,
affermato anche nel campo della moda femminile. Tutte e tre le società erano controllate dalla Kernel Italiana S.p.a.;
c) Area altre attività produttive e ausiliarie.
La Seleca S.p.a. operava esclusivamente nell’industria energetica. La sua funzione
consisteva nella produzione di energia idroelettrica destinata a coprire il fabbisogno del gruppo Cantoni. La Peplos Nuove Lavorazioni Tessili S.p.a. svolgeva la
propria attività nel settore dei non tessuti (prodotti per il settore interfodere per abbigliamento, per il settore calzature e borse, per il settore automobilistico e per il
settore casalingo e alberghiero);
d) Area attività finanziarie e di servizio
La Kernel Italiana S.p.a. aveva sviluppato principalmente l’attività finanziaria, oltre alla gestione e al coordinamento delle partecipazioni industriali.
Il gruppo Inprodi svolgeva la propria attività nella produzione e commercializzazione di abbigliamento leggero, soprattutto nell’ambito della camiceria di medio e
alto livello qualitativo, con una quota di mercato nazionale, nel 1988, di circa il
20%. L’assetto societario del gruppo è rappresentato nella figura 2.
La società capogruppo oltre all’attività più strettamente industriale affiancava
anche l’acquisizione, la gestione e il coordinamento di partecipazioni in aziende
operanti nel macrosettore del tessile-abbigliamento. Le principali società partecipate erano:
– la Multifibre S.p.a., che operava nella produzione e distribuzione di tessuti in
fibre naturali, artificiali e sintetiche;
– la Banfi Trattamenti Tessili S.p.a., che operava nel campo della tintostamperia
di tessuti cotonieri e serici;
– la Gir S.p.a., la cui funzione era la distribuzione di energia elettrica alle società
del gruppo.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
176
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Figura 2
La valutazione del capitale economico
Nella valutazione del capitale economico delle due società, il perito ha utilizzato
differenti criteri valutativi (i metodi patrimoniale, reddituale e misto patrimonialereddituale). Di seguito vengono esposti i risultati cui è giunto l’esperto, a seconda
del criterio adottato.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
177
Il capitale netto contabile, a livello di bilancio consolidato, del Cotonificio
Cantoni alla data della valutazione era pari a lire 81.643 milioni come viene evidenziato nella tabella 1.
Tabella 1 - IL CAPITALE NETTO CONTABILE DEL GRUPPO COTONIFICIO CANTONI AL 31.12.1987
(valori in L/mln):
Capitale sociale
41.625
Riserva legale
6.075
Riserva acquisto azioni proprie
3.348
Riserva per rivalutazione monetaria (L. 576)
9.115
Riserva per rivalutazione monetaria (L. 72)
22.400
Fondo oscillazione partecipazioni
833
Riserva plusvalenze da reinvestire (art. 54 Dpr 597)
5.456
Riserva plusvalenza da reinvestire
2.535
Riserva plusvalenza disponibile fiscalmente
Altre riserve
Avanzo utili (perdite) esercizio precedente
a dedurre:
Riserva acquisto azioni proprie (corrisponde al valore di carico)
Risultato negativo dell’esercizio
31
10.908
1.184
103.510
-3.348
-15.363
Dividendo 1987 del Cotonificio Cantoni e compensi consiliari
-3.156
Capitale netto contabile (C)
81.643
Allo scopo di procedere alla determinazione del capitale netto rettificato erano state considerate le variazioni delle seguenti voci di bilancio.
I fabbricati industriali, gli immobili civili, le centrali elettriche, gli impianti e
macchinari, il magazzino e il valore dei marchi erano stati riespressi a valori correnti. Le tabelle 2, 3, 4, 5 mostrano, per singola voce, le plusvalenze accertate.
Qualche chiarimento merita la valutazione del marchio (oggetto di rettifica anche
nella valutazione del capitale della Inprodi).
La valorizzazione dei marchi è avvenuta adottando il criterio della attualizzazione dei costi da sopportare per una loro ipotetica riproduzione. Tale criterio si
basa sugli investimenti in pubblicità, sulle spese promozionali e le sponsorizzazioni necessarie per l’affermazione del marchio di un prodotto.
A differenza dei marchi del gruppo Inprodi, che riguardando prodotti venduti al
consumatore finale, esercitavano una diretta azione di propulsione delle vendite
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
178
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
nello stadio più a valle del ciclo produzione e distribuzione, i marchi del gruppo
Cantoni potevano essere classificati nella categoria dei marchi tessili non finalizzati all’identificazione di prodotti dell’abbigliamento, rimanendo, così, apprezzati
solamente da un pubblico specializzato.
Chiaramente i costi di pubblicità per prodotti ceduti a operatori del settore sono
limitati rispetto ai costi da sostenere per prodotti venduti a consumatori finali. Ciò
aveva portato a una maggiore valorizzazione dei marchi del gruppo Inprodi rispetto a quelli del gruppo Cantoni.
Tornando alla valutazione del capitale netto rettificato del gruppo cantoni questo veniva quantificato in lire 101.585 milioni, come si evidenza nella tabella 6.
Tabella 2 - GRUPPO CANTONI: DETERMINAZIONE DELLE PLUSVALENZE SUGLI IMMOBILI
INDUSTRIALI (L./mln)
Società
Valore
corrente
(perizie)
Cotonificio
Cantoni Spa
6.618
Geteca Srl
Valore di
bilancio
Fondo
ammort.
Valore
netto
di carico
Plus
(minus)
valenza
Quota di
proprietà
Plus
(minus)
valenza
al netto
quota di
terzi
5.172
784
4.388
2.230
18.172
21.676
3.504
18.172
=
100%
=
Manar Spa
1.975
2.152
382
1.770
205
100%
205
Peplos Spa
1.060
1.046
355
691
369
100%
369
Velvis Spa
9.000
5.597
168
5.429
3.571
61,20%
2.185
Karesa Srl
58
65
7
58
=
60,90%
=
Cantoni Finiture
Tessili Spa
10.821
11.249
1.298
9.951
870
60,80%
529
Totale
47.704
46.957
6.498
40.459
7.245
2.230
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
5.518
CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
179
Tabella 3 - GRUPPO CANTONI: DETERMINAZIONE DELLE PLUSVALENZE SUGLI IMMOBILI
INDUSTRIALI (valori in L./mln)
Società
Valore
corrente
Valore di
bilancio
Fondo
amm.to
Valore
netto
di
carico
Plus
(minus)
valenza
Quota di
proprietà
Plus
(minus)
valenza
al netto
quota di
terzi
1.125
188
16
172
953
568
568
=
568
=
1.693
756
16
740
953
Geteca Srl (doc.
10)
140
140
=
140
=
100%
=
Seleca Spa (doc.
11)
117
117
=
117
=
60,80%
=
Cantoni Finiture
Tessili Spa
18
18
=
18
=
60,80%
=
1.968
1031
16
1015
953
Cotonificio Cantoni
Spa
- Milano (doc. 2)
- Altri (doc. 9)
Totale
953
953
Tabella 4 - GRUPPO CANTONI: DETERMINAZIONE DELLE PLUSVALENZE SU CENTRALI SOCIETÀ
SELECA S.P.A. (valori in L./mln)
Valore corrente
- Centrale di Vertova
1.340
- Centrale di Valcanale
1.901
- Centrale di Albareti
2.842
- Centrali di Roè, Pompegnino, Costone, Ponte Nossa
16.893
22.976
Valore di carico
- Concessioni idroelettriche
17.488
- Immobili industriali:
1.312
- Valore di carico lordo
-132
1.180
- (Fondo ammortamento)
18.668
4.308
Plusvalenza
Plusvalenza al netto quota di terzi (39,2%)
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
2.619
180
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 5 - GRUPPO CANTONI: DETERMINAZIONE DELLE PLUSVALENZE SUGLI IMPIANTI
E MACCHINARI (valori in L./mln)
Società Geteca Srl
Valore
corrente
(a)
Valore
di bilancio
Castellanza
3.637
8.275
5.727
2.548
1.089
Ponte Nossa
8.396
11.982
5.677
6.305
2.091
192
111
107
4
188
Rovereto
2.305
2.801
851
1.950
355
Olmina
5.452
7.020
2.937
4.083
1.369
Totale
19.982
30.189
15.299
14.890
5.092
4.810
12.024
7.214
4.810
=
Totale
24.792
42.213
22.513
19.700
5.092
Saronno
17.476
14.370
5.498
Totale Geteca e Finiture Tessili
42.268
56.583
28.011
stabilimento di
Trecate
Cespiti per i quali non si hanno
plus (minus) valori
Fondo
amm.to
Valore
di carico
netto (b)
Plus
(minus)
valenza
(a-b)
8.872 (*)8.604
28.572
13.696
(*) Plusvalenza al netto degli interessi di terzi (39,2%): 5.231
In sintesi:
Plusvalenza piena Geteca
5.092
Plusvalenza Cantoni Finiture Tessili (al 60,8%)
5.231
Totale
10.323
Tabella 6 - IL CAPITALE NETTO RETTIFICATO DEL COTONIFICIO CANTONI (valori in L/mln):
Capitale netto contabile
81.643
Plusvalenze:
- su fabbricati industriali
- su immobili civili
- su centrali elettriche
- su impianti e macchinari
- su magazzino
- su marchi
5.518
953
2.619
10.323
83
2.474
Oneri fiscali potenziali su plusvalenze (10%)
Capitale netto rettificato al 31.12.1987
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
21.970
- 2.197
101.416
CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
181
Per la stima del capitale economico con il metodo reddituale era necessario determinare il reddito medio normalizzato del gruppo Cantoni.
I redditi al lordo delle imposte degli ultimi tre esercizi (1986-1988, di cui
l’ultimo in base al budget) erano stati depurati da componenti straordinari (plusvalenze su realizzo titoli e plusvalenze e minusvalenze da valutazioni di bilancio) e
da costi o ricavi riferibili a investimenti estranei alla gestione e in fase di smobilizzo (non considerando i dividendi percepiti e calcolando proventi figurativi riferiti alla liquidità che si sarebbe resa disponibile se tali investimenti non fossero
stati effettuati).
Sui risultati così ottenuti erano state calcolate le imposte di competenza, utilizzando l’aliquota piena del 46,3%. Infine il reddito era stato rettificato per tener
conto degli ammortamenti integrativi (il cui calcolo è mostrato nelle tabelle 7 e 8)
per l’aggiornamento dei valori delle immobilizzazioni tecniche nonché dell’eliminazione degli interessi di terzi.
I calcoli per la determinazione del reddito medio dei tre anni sono evidenziati
nella tabella 9.
Applicando una media ponderata (con doppio peso per gli ultimi due anni) il
reddito medio normalizzato veniva a quantificarsi in lire 5.750 milioni. Perciò, ponendo i = 0,075 si perveniva a una valutazione del capitale economico pari a lire
76.667 milioni.
Per la valutazione del capitale economico con il metodo misto patrimonialereddituale erano stati stabiliti i seguenti parametri per la determinazione del sovrareddito. In considerazione dei redditi elevati prodotti dalla Società n era stato posto pari a 8; il tasso di rendimento del capitale giudicato soddisfacente, trattandosi
di una società industriale, era stato preso pari a i = 7%; il tasso di attualizzazione i’
ammontava al 10%. Da ciò, applicando la formula della capitalizzazione limitata
del profitto medio, si determinava il valore del capitale economico in lire 94.324
milioni.
Come per il gruppo Cantoni anche per il gruppo In.Pro.Di si era provveduto alla
determinazione del capitale economico secondo i tre metodi di stima.
Il capitale netto contabile al 31 dicembre 1987 era pari a lire 56.484 milioni (il
dettaglio è evidenziato nella tabella 10).
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
182
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 7 - GRUPPO CANTONI: DETERMINAZIONE DEGLI AMMORTAMENTI INTEGRATIVI SU CESPITI
RIVALUTATI (valori in L/mln)
A. Immobili industriali
Valore della plusvalenza ⋅ 3% = 7.245 ⋅ 3% =217
B. Centrali
22.976 ⋅ 5% = 1.149 (ammortamento totale)
1986
1987
1988
1.149
1.149
1.149
Ammortamenti contabili
238
269
303
Ammortamenti integrativi
911
880
846
Ammortamenti su cespiti rivalutati e documento n.14
4.099
4.099
4.099
Ammortamenti contabili (*)
3.558
3.965
4.534
541
134
=
Ammortamenti su cespiti rivalutati (Allegato 6 e doc. 16)
2.157
2.157
2.157
Ammortamenti contabili
1.564
1.909
2.260
593
248
=
Immobili industriali
217
217
217
Centrali
911
880
846
- Geteca Srl
541
134
=
- Cantoni Finiture Tessili
593
248
=
2.262
1.479
1.063
Ammortamenti su cespiti rivalutati
C. Società Geteca: impianti e macchinari
Ammortamenti integrativi
D. Società Cantoni Finiture Tessili: impianti e
macchinari
Ammortamenti integrativi
Sintesi degli ammortamenti integrativi
Impianti e macchinari:
Totale
(*) Poiché la società Geteca Spa ha conferito la propria attività alla società Geteca Srl in data
30.12.1987, gli ammortamenti su impianti e macchinari risultano contabilizzati nel bilancio 1987 della
prima società
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
183
Tabella 8 - GRUPPO CANTONI: SPESE DI PROMOZIONE E SVILUPPO E IPOTESI
DI AMMORTAMENTO DEI MARCHI (valori in L./mln)
1986
1987
1988
(budget)
Spese di promozione e sviluppo:
- pubblicità
- partecipazione a fiere e mostre
Ammortamenti dei marchi (*)
74
92
152
165
246
277
239
338
429
150
150
150
(*) Non sono stati calcolati ammortamenti integrativi, visto che sono più che compensati dalle spese
sostenute ogni anno
Tabella 9 - GRUPPO CANTONI: DETERMINAZIONE DEL RISULTATO NETTO RETTIFICATO (L./mln)
1986
Risultato prima delle imposte e degli interessi di terzi
1987
1988
19.951
- 11.199
7.003
- 29.108
- 8.163
=
- da Allegato 3
=
26.568
=
- da Allegato 4
6.178
9.538
9.456
Risultato normalizzato ante imposte
7.021
16.744
16.459
- 3.230
- 7.702
- 7.571
Risultato normalizzato (R)
3.791
9.042
8.888
Ammortamenti integrativi
2.262
1.479
1.063
Risultato netto rettificato
1.529
7.563
7.825
Quota di terzi
- 168
- 832
- 861
Risultato rettificato (R’) al netto quota di terzi
1.361
6.731
6.964
Rettifiche in diminuzione (Allegati 2 e 3)
Rettifiche in aumento:
Imposte (46%)
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184
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 10 - IL CAPITALE NETTO CONTABILE DEL GRUPPO IN.PRO.DI. (L/mln):
Capitale sociale
400
Riserva legale
299
Riserva straordinaria
37.822
Riserva per rivalutazione monetaria (Legge 72)
1.844
Altre riserve
7.545
47.910
In aggiunta:
Risultato positivo dell'esercizio (non vi è distribuzione di dividendo)
Capitale netto contabile (C)
8.574
56.484
Le rettifiche apportate ai valori di bilancio avevano riguardato il magazzino, le
immobilizzazioni tecniche, i marchi (i calcoli sono mostrati nelle tabelle 11, 12 e
13). Era stato, inoltre, considerato un plusvalore sulle azioni possedute dal gruppo
In.Pro.Di. nella Montedison S.p.a., valorizzate alla media dei prezzi di compenso
dell’ultimo trimestre 1987. Applicando un abbattimento in considerazione degli
oneri fiscali gravanti sui plusvalori accertati si perveniva a determinare un capitale
netto rettificato (valore patrimoniale) di lire 117.680 (tabella 13).
Il reddito medio era stato calcolato tenuto conto delle identiche condizioni poste per il gruppo Cantoni. Nelle tabelle 14, 15 e 16 sono evidenziati i calcoli per la
determinazione degli ammortamenti integrativi e del reddito medio normalizzato,
che veniva quantificato pari a lire 10.900 milioni. Da ciò, il valore secondo il
metodo reddituale di lire 145.333 milioni, e secondo il metodo misto patrimonialereddituale di lire 131.884 (con l’impiego di parametri uguali a quelli adottati nella
valutazione del gruppo Cantoni). Riepilogando si erano ottenuti i seguenti valori.
Per il cotonificio Cantoni (cifre in L./mld):
valore patrimoniale = 101,6
valore misto patrimoniale reddituale = 94,3
valore reddituale = 76,7
Per il gruppo In.Pro.Di.:
valore patrimoniale = 117,7
valore misto patrimoniale reddituale = 131,9
valore reddituale = 145,3
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185
CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
Tabella 11 - IN.PRO.DI SPA: DETERMINAZIONE DELLE PLUSVALENZE SU MAGAZZINO (L/mln)
Valore corrente
Valore contabile
Plusvalenza
3.977
1.293
2.684
- greggi
3.969
1.048
2.921
- finiti
4.551
1.219
3.332
Capi confezionati
5.827
4.425
1.402
7.985
10.339
3.477
1.054
154
1.807
3.631
2.861
1.495
110
889
788
101
2.494
2.283
211
Filati
Tessuti:
18.324
Totale
Autostir Spa: Determinazione delle plusvalenze su magazzino
4.531
Tessuti
Capi confezionati
1.961
6.492
Totale
Multifibre Spa: Determinazione delle plusvalenze su magazzino
1.605
Filati
Tessuti
Totale
Al netto della quota di terzi (5%): 200
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186
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
Tabella 12 - IN.PRO.DI SPA: DETERMINAZIONE DELLE PLUSVALENZE SU IMMOBILIZZAZIONI
TECNICHE (L/mln):
Valore corrente
(di perizia)
Valore
di bilancio
Fondo
amm.to
Valore netto
di carico
Plusvalenza
200
74
=
74
126
Immobili industriali
5.511
2.013
179
1.834
3.677
Totale
5.711
2.087
179
1.908
3.803
Immobili civili
Autostir Spa: Determinazione delle plusvalenze su immobilizzazioni tecniche
8.611
3.378
375
3.003
Immobili industriali
Totale
8.611
3.378
375
3.003
Multifibre Spa: Determinazione delle plusvalenze su immobilizzazioni tecniche
3.207
1.167
310
857
Immobili industriali
5.608
5.608
2.350
Macchinari e
impianti
3.454
6.427
4.141
2.286
1.168
Totale
6.661
7.594
4.451
3.143
3.518
Banfi Spa: Determinazione delle plusvalenze su immobilizzazioni tecniche
5.042
784
582
202
Immobili industriali
4.840
Macchinari e impianti
4.420
4.954
3.326
1.628
2.792
Totale
9.462
5.738
3.908
1.830
7.632
Tabella 13 – IL CAPITALE NETTO RETTIFICATO DEL GRUPPO IN.PRO.DI (L/mln):
Capitale netto contabile
56.484
Plusvalenze:
su Magazzino
13.400
su Immobilizzazioni tecniche
20.003
su Marchi
40.000
su Partecipazione Montedison
3.092
76.495
a dedurre:
Oneri fiscali potenziali sulle plusvalenze (20%)
- 15.299
Capitale netto rettificato (K)
117.680
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CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
187
Tabella 14 - IN.PRO.DI S.P.A.: DETERMINAZIONE DEGLI AMMORTAMENTI INTEGRATIVI (L/mln)
Società In.Pro.Di. S.p.a.
Fabbricato: Plusvalenza ⋅ 3% = 3.677 ⋅ 3% = 110
Società Autostir S.p.a.
Fabbricato: Plusvalenza ⋅ 3% = 5.608 ⋅ 3% = 168
Società Multifibre S.p.a.
Immobili industriali: Plusvalenza ⋅ 3% = 2.350 ⋅ 3% = 70
Macchinari e impianti:
1986
1987
1988
Ammortamenti rivalutati
615
615
615
Ammortamenti contabili
589
457
563
Ammortamenti integrativi
26
158
52
Ammortamenti rivalutati
633
633
633
Ammortamenti contabili
344
417
396
Ammortamenti integrativi
289
216
237
In.Pro.Di. S.p.a.
110
110
110
Autostir S.p.a.
168
168
168
96
228
122
Banfi S.p.a.
434
361
382
Totale
808
867
782
Società Banfi S.p.a.
Immobili industriali: Plusvalenza ⋅ 3% = 4.840 ⋅ 3% = 145
Macchinari e impianti:
Sintesi degli ammortamenti integrativi
Multifibre S.p.a.
Tabella 15 - GRUPPO IN.PRO.DI: SPESE DI PUBBLICITÀ E PROMOZIONE E IPOTESI DI
AMMORTAMENTO DEI MARCHI (L/mln)
1986
1987
1988
Campagna stampa
940
1.400
1.600
Campagna televisiva
230
150
200
Produzione film
193
250
200
Costi diretti di pubblicità
341
94
=
Partecipazione a fiere e mostre
198
241
300
Totale (*)
1.902
2.135
2.300
Ammortamenti dei marchi
2.000
2.000
2.000
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188
LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO DELL’IMPRESA
(*) Non sono stati considerati ammortamenti integrativi, come per il gruppo Cantoni, dato che le
spese annualmente sostenute sono superiori a questi valori.
Tabella 16 - IN.PRO.DI S.p.A.: DETERMINAZIONE DEL RISULTATO NETTO RETTIFICATO (L./mln)
1986
1987
1988
Risultato prima delle imposte e degli interessi di terzi
18.521
15.565
22.167
Rettifiche in diminuzione (Allegato 8)
(5.441)
(1.675)
(1.670)
3.522
6.182
5.923
Risultato normalizzato ante imposte
16.602
20.072
26.420
Imposte (46%)
(7.637)
(9.233) (12.153)
Rettifiche in aumento (Allegato 9)
Risultato netto normalizzato R
8.965
10.839
14.267
Ammortamenti integrativi
(808)
(867)
(782)
Risultato netto rettificato
8.157
9.972
13.485
(82)
(100)
(135)
8.075
9.872
13.350
Quota di terzi
Risultato netto rettificato (al netto quota di terzi) (R’)
La determinazione del rapporto di concambio
Nel lavoro peritale in esame la scelta del valore finale da attribuire ai due gruppi,
tenuto conto delle esigenze di omogeneità che caratterizzano la determinazione dei
concambi, era caduta sul valore misto patrimoniale-reddituale.
Visto il numero di azioni in circolazione, alla data della perizia (13.495.463 del
gruppo Cantoni e 3 milioni del gruppo Inprodi), si perveniva a determinare i valori
unitari delle azioni: lire 6.987 (arrotondato in lire 7.000) per Cantoni e lire 43.967
per In.Pro.Di. (arrotondato in lire 44.000). In considerazione di ciò, il rapporto di
concambio veniva stabilito in: 3 azioni In.Pro.Di. contro 19 azioni del Cotonificio
Cantoni.
In precedenza si è riferito che la valutazione dei marchi rappresentava un aspetto peculiare della stima e sono state descritte le differenze tra i marchi delle due
società.
Gli aspetti qualificanti adottati per la quantificazione del loro valore sono stati:
a) il costo da sostenere per il lancio e il consolidamento del marchio, intendendo
l’investimento cumulato (e attualizzato) che l’impresa deve sostenere su un arco temporale abbastanza lungo per garantire l’affermazione sul mercato del
prodotto di marca, escludendo, quindi, quelle spese di pubblicità, e propaganda
che non hanno natura di investimento e che limitano i loro effetti al mantenimento dell’immagine e della notorietà del prodotto;
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CASO 8: INCORPORAZIONE DELLA IN.PRO.DI. S.P.A. NEL COTONIFICIO CANTONI S.P.A.
189
b) grado di notorietà presso il pubblico definito come la propensione del pubblico
ad associare a un determinato annuncio una marca o un preciso prodotto, o un
aspetto qualificante dello stesso;
c) la quota di mercato detenuta stabilmente dall’impresa attraverso il marchio, escludendo quella raggiunta in situazioni di mercato straordinarie o occasionali
oppure quelle di recente formazione per le quali non è dato sapere il grado di
stabile resistenza alla concorrenza.
Come già precisato, requisito fondamentale nella determinazione del rapporto di
concambio è l’omogeneità dei criteri adottati per la stima dei capitali economici
delle società, essendo di primaria importanza la raffrontabilità dei dati ottenuti. Nel
caso in esame, trattandosi di società operanti nel medesimo settore di attività si sono
adottate uguali condizioni nella determinazione del valore del capitale economico.
Abbiamo visto che i parametri utilizzati nelle diverse stime sono risultati coincidenti per entrambe le società. L’abbattimento delle plusvalenze per i carichi fiscali potenziali nel calcolo del metodo patrimoniale è l’unica differenza riscontrabile. L’aliquota fiscale applicata, vista la possibilità di rateizzazione delle plusvalenze (all’epoca la normativa fiscale concedeva la possibilità, di rateizzare le plusvalenze su un arco temporale di 10 anni) era stata considerata pari al 20% per il
gruppo Inprodi, e pari al 10% per il gruppo Cantoni. Ciò era dovuto alle perdite
pregresse fiscalmente deducibili presenti nel gruppo Cantoni, il che consentiva una
riduzione delle imposte gravanti sulle plusvalenze accertate.
Da osservare, inoltre, che la azioni del Cotonificio Cantoni S.p.a. erano quotate
nella Borsa valori. Visto che solo questa era quotata, per ragioni di omogeneità, si
era preferito non attribuire peso significativo alla valutazione borsistica (sulla base
dei prezzi di compenso del giugno 1987 la capitalizzazione di Borsa era pari a lire
61,4 miliardi). Erano presenti nel mercato anche obbligazioni convertibili con un
valore nominale di lire 5.500. Alla data della perizia tale valore risultava superiore
al valore di Borsa delle azioni e quindi si era stabilita la non convenienza alla conversione delle obbligazioni convertibili.
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Sole 24 Ore, Milano 1998 (3a ed.).
Della Bella Chiara, “Saggi di capitalizzazione dei redditi aziendali e tassi reali a lungo
termine: evidenza di più Paesi a confronto”, La Valutazione delle Aziende, n. 6
settembre 1997.
Fusa Emanuela, La solvibilità delle imprese, Cosa & Come, Giuffrè editore, Milano 1996.
Analisi di bilancio e programmazione aziendale, Il Sole 24 Ore, Milano 1998 (2a ed.).
“Le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni”, Contabilità finanza e
controllo n. 2 febbraio 1997.
“La valutazioni d’azienda: aspetti principali per la determinazione del valore”,
Contabilità finanza e controllo n. 7 luglio 1997.
“I criteri di valutazione dell’azienda”, Contabilità finanza e controllo n. 8/9 agostosettembre 1998.
Guatri Luigi, Trattato sulla valutazione delle aziende, EGEA, Milano 1998.
Valore e Intangibles nella misura della performance aziendale, EGEA, Milano 1997.
“Una corretta previsione dei flussi quale condizione per il rilancio del metodo
reddituale”, La Valutazione delle Aziende n. 3 dicembre 1996.
“Il valore di mercato dei beni immateriali riguardanti il marketing: la valutazione dei
marchi non corre più all’impazzata?”, La Valutazione delle Aziende n. 5 giugno 1997.
“I moltiplicatori: nuovi protagonisti della valutazione?”, La Valutazione delle Aziende n.
9 giugno 1998.
Massari Mario, “Alcuni principi fondamentali delle valutazioni economiche”, La
Valutazione delle Aziende n. 3 dicembre 1996.
“Il metodo misto patrimoniale-reddituale; una nuova giovinezza oltreoceano?”, La
Valutazione delle Aziende n. 8 marzo 1998.
Moschetta Elio, “Le determinanti dei P/E calcolati sugli utili storici e il loro utilizzo nella
valutazione d’azienda”, La Valutazione delle Aziende n. 3 dicembre 1996.
Reggiani Francesco, “Multipli medi o multipli relative nelle comparazioni internazionali”,
La Valutazione delle Aziende n. 9 giugno 1998.
VALUTARE13.DOC - Ultimo Agg. : 13/01/99 17.26 - Stampato : 03/10/00 12.05
Finito di stampare nel mese di gennaio 1999
presso
Legoprint s.r.l.
via G. Galilei, 11 – 38015 Lavis (TN)
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