UNIVERSITA' POPOLARE MARIANA Anno 2016-2017 Corso “L’ABBANDONATO: IL PUNTO DI INCONTRO” Centro dell‟Opera - sala B Sabato 3 dicembre 2016 Lezione 1 Gianluca Falconi Le domande dell’uomo contemporaneo: al confine tra senso e non senso (parte 1) Testo preparato 1. Introduzione. Il titolo di questa prima lezione è quantomeno ambizioso: Le domande dell’uomo contemporaneo, e accettare di preparare una lezione con questo titolo, anche solo per dare qualche spunto di riflessione, è forse da incoscienti. Purtroppo però, come molto spesso accade nella ricerca, le difficoltà del percorso si fanno esplicite solo quando si è già in cammino e talvolta sono talmente grandi da dover rinunciare al percorso stesso, alla sua interezza, per mettere in evidenza proprio il frutto di questa sorta di inadeguatezza con la quale dobbiamo confrontarci, il fatto cioè che alla domanda che ci si è posti all‟inizio della ricerca non si può dare una risposta. La domanda in questione, o almeno la domanda che potremmo porci guardando al titolo, è: quali sono le domande dell‟uomo contemporaneo, perché poi possiamo dirne qualcosa in modo da chiarire insieme l‟orizzonte nel quale ci muoviamo? Normalmente, quando una domanda è troppo ampia, il sottotitolo aiuta a circoscrivere il campo di indagine, definendo meglio il senso di quanto si vorrebbe presentare. Ora, nel nostro caso, la seconda parte del titolo (non si tratta di un vero e proprio sottotitolo, ma di una specie di arricchimento di quanto la domanda principale vorrebbe affrontare) – Al confine tra senso e non senso – purtroppo non aiuta, perché non solo non definisce un ambito d‟indagine, una regione dell‟umano, ma soprattutto perché abbozza una specie di risposta che in realtà una risposta non è. Il termine confine vorrebbe individuare cioè nella frontiera tra il senso e il non senso qualcosa che caratterizzi l‟uomo contemporaneo: come se quest‟uomo contemporaneo si trovasse su un baratro, o meglio in bilico tra un orizzonte di senso da un lato, nel quale trovare un po‟ di stabilità o una direzione da seguire, e dall‟altro una specie di notte oscura, una nebbia piuttosto, nella quale non sappiamo se troveremo, nel caso volessimo avventurarci, una terra solida su cui poggiare i piedi, dei segnavia pronti ad indicarci il cammino, dei nuovi orizzonti luminosi verso cui dirigerci. Ora, la speranza di potersi incamminare su acque sicure è destinata costitutivamente a essere frustrata. Per quale motivo? Per poter circoscrivere un confine, una frontiera, noi dovremmo in qualche modo già porci, in un certo senso, al di là di essa e aver navigato un po‟ nella nebbia del non senso. Per questo motivo, l‟unica possibilità che abbiamo per orientarci in questa nebbia, non è quella di guardare a ciò che ci lasciamo alle spalle (la terra solida che conosciamo), ma quella di porci nella nebbia e lasciarci avvolgere. Ma così facendo, una volta percorsa, navigata, esplorata, la nebbia perderebbe il carattere di non senso, precisamente perché, da quel momento, per noi acquisterebbe un senso, precisamente quello che noi stessi gli diamo. Ed in questo modo il confine vivrebbe, per così dire, e si muoverebbe con noi, o meglio si riposizionerebbe sempre un po‟ più in là del luogo, della situazione, nella quale noi ci troviamo. Questa situazione di confine è la situazione del pensiero filosofico, il quale ha sempre nella sua struttura intima questa posizione di frontiera, che si lascia interrogare dall‟incognito, penetra la nebbia, cerca punti di riferimento e cerca, in qualche modo di orientare, di offrire un senso, con la consapevolezza però che la frontiera non sarà conquistata, ma semplicemente spostata. Come hanno scritto più volte diversi pensatori in diverse epoche – anche se con parole diverse –, la ricerca della verità s‟inserisce in un percorso dinamico, per così dire, circolare, tra la certezza della verità acquisita mediante ciò che della realtà si è manifestato e la promessa di nuove manifestazioni: ciò che la conoscenza ha fissato promette sempre ulteriori manifestazioni e una verità non chiude attorno alla realtà le maglie del finito: essa lascia «affiorare … infinite possibilità» – cito qui von Balthasar. La realtà «si fa presente» come «una porta d‟accesso»1, di modo che le domande originarie, le domande fondamentali, invece di ricevere una risposta che possa neutralizzarle, diventino sempre più originarie e sempre più fondamentali per essere così sempre nuove sorgenti di senso. Ora, con questo atteggiamento vorrei invitarvi a guardare al tema proposto: non si tratta di una presentazione, più o meno esaustiva, della situazione dell‟uomo contemporaneo; meno ancora vuole essere una riflessione, più o meno efficace o più o meno convincente e logica, sulla frontiera proposta con il fine di assicurarci un terreno solido e sicuro. Quella che vorrei proporre è piuttosto una porta di accesso, con il presupposto che non è l‟unica, che non è esaustiva e che, soprattutto, rappresenta un invito a iniziare, inaugurare o approfondire un atteggiamento riguardo alle questioni di senso, improntato più ad abitare la frontiera che a trovare risposte già pronte. Per fare questo vorrei prima chiarire, molto sinteticamente, (1) che cosa significa guardare all‟uomo come ad a quell‟essere che pone domande. Vorrei poi, in un secondo momento, (2) indicare alcune conseguenze delle possibili risposte che l‟uomo si è dato nella storia del pensiero. E, prima di concludere, (3) vorrei provare a elencare (in modo assolutamente preliminare) alcune domande che nel mondo di oggi mi sembrano venire maggiormente in evidenza, scegliendole tra quelle che forse insieme abbiamo percorso di meno. Prima di iniziare, mi sembra opportuno fare tre precisazioni. La prima: chi è chiamato a iniziare questo percorso non è solo una persona con una storia personale limitata – nemmeno troppo lunga –, ma è soprattutto una persona che è nata e cresciuta in una cultura specifica, che è quella europea. Quanto dirò nasce da un questo contesto necessariamente molto limitato e del quale bisognerà tener conto. A questa constatazione di base vorrei anche aggiungere, ne parlerò alla fine, che una visione universale dell‟uomo è strutturalmente impossibile. La seconda annotazione: la questione antropologica – la domanda sull‟uomo – non è una questione che vuole cogliere solo un aspetto dell‟essere umano. Avrebbe bisogno di essere trattata in modo realmente integrale, come propone, ad esempio Maritain2: questo vuol dire che non basta una visione semplicemente filosofica (anche se una prospettiva puramente filosofica è possibile), perché a corredo e sorgente di senso di questa visione, bisognerebbe considerare anche tutte le discipline che guardano all‟uomo dai loro rispettivi punti di vista. Questo significa, dunque, che una sola prospettiva non basta per parlare dell‟uomo 1 H.U. von Balthasar, Theologik Bd. I : Wharheit der Welt, Freiburg, Johannes Verlag Einsiedeln, 1985, p. 30 (tr. it. Teologica: 1, Milano, Jaca Book, 2010, p. 43). 2 Cf. J. Maritain, Humanisme Integral, Paris, Aubier, 1936 (tr. it. J. Maritain, Umanesimo integrale, Roma, Borla, 2002). 2 contemporaneo: ci vorrebbero rappresentanti di ciascuna cultura e studiosi di tutte le discipline3. La terza annotazione: l‟orizzonte nel quale mi muovo, anche se è scontato dirlo, è filosofico. Mi sembra importante sottolinearlo, non tanto perché altre prospettive siano meno valide (come per esempio quella teologica o spirituale), ma perché ogni prospettiva, nel rigore epistemologico che le è proprio, ha la possibilità di offrire delle luci proprie, che altrimenti resterebbero nascoste. 2. L’uomo è domanda. Partiamo dunque dal primo punto: che cosa intendiamo quando diciamo che l‟uomo pone delle domande? Chi è l‟uomo che si pone delle domande e in che modo queste domande riguardano l‟uomo? Che cosa vuol dire che l‟uomo ha questa facoltà di domandare? In un contesto filosofico, noi guardiamo all‟essere umano in quanto umano, mettendo l‟accento sul fatto che ciò che diremo dovrebbe in qualche modo indicare il proprium dell‟uomo, la sua essenza, la sua natura più intima – questo vuol dire muoversi in un contesto di antropologia filosofica4. Ora è persino banale rilevare che innumerevoli tipi di domande possono essere poste dall’uomo, dalle più semplici alle più complesse, dalle più teoriche alle più pratiche. E volendo guardare all’essenza dell‟uomo, si potrebbe pensare che il fatto di porre domande sia qualcosa che si aggiunge all‟essere umano in modo accidentale. Porre domande non sarebbe qualcosa di essenziale, sostanziale, all‟essere dell‟uomo. Ciò significa che prima l‟uomo esiste – come animale capace ad esempio di ragionare, di condurre la propria vita, nel suo lavorare, studiare, apprendere, crescere, relazionarsi con gli altri e persino nelle sue facoltà superiori, come la capacità di ragionare – e che poi, in un secondo momento, questo stesso essere umano ad un certo punto, per motivi più o meno specificati, cominci a porsi delle domande fondamentali di senso. E si potrebbe anche pensare che queste domande in realtà potrebbero passare inosservate, non considerate, nella vita dell‟uomo in quanto uomo. Anzi, per qualcuno – e si tratta di un fenomeno più diffuso di quanto non sembri – una vita senza domande sarebbe addirittura preferibile: una vita più felice e più efficace. Ora, io vorrei sostenere la tesi per cui l‟uomo, nel suo essere più profondo, trova se stesso proprio nel porre domande, perché l’essere domanda è la sua natura più intima. Chi è l‟uomo? Con le parole di K. Hemmerle, potremmo dire che l‟uomo “è quell‟unico essere a cui appartiene di porre domande riguardo a chi l‟uomo sia. L‟animale non chiede chi è, e Dio non ha bisogno di chiedersi chi egli sia”. L‟uomo solo domanda; l’uomo solo è domanda. E si tratta di una dimensione talmente fondamentale dell‟essere umano che rinunciarvi equivale a vivere – è ancora Hemmerle che parla – con una “umanità ridotta … L‟uomo coincide con l‟essere della domanda riguardo a se stesso” 5. Ora, anche se vite intere sono vissute nascondendo questa radice umana dell‟uomo – innumerevoli esseri umani non si fanno domande –, questo essere domanda dell‟uomo deve essere tenuto fermo per proseguire. Da questa prima considerazione nasce una caratteristica dell‟epoca contemporanea: mai come in questo tempo l‟uomo ha posto domande fondamentali e cruciali. Domande sulla natura, sul mondo e su se stesso, poste con una profondità che mai nella storia del pensiero era stata raggiunta. Lo 3 E questo dovrebbe metterci in guardia contro ogni possibile interpretazione riduttivistica dell‟uomo. Per un‟introduzione generale alla questione antropologica cf. A. Campodonico, L‟uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013. 5 K. Hemmerle, «Das Verständnis vom Menschen aus dem Anspruch des Evangeliums», , Unterwegs mit dem dreieinen Gott. Beiträge zur Religionphilosophie und Fundamentalthéologie, Freibur-Basel-Wien, Herder Verlag, 1994, p. VERIFICARE. 4 3 rilevava Heidegger già nel 1929: “mai l‟uomo ha assunto un aspetto così problematico come ai nostri giorni”6. Ora, le domande fondamentali non si lasciano guardare dall‟esterno, come se la risposta ci fosse indifferente. Rispondere in un modo o nell‟altro implica sempre una decisione. E tanto più quando la domanda concerne l‟uomo: essa implica che l‟uomo interpreti a partire dalla risposta che si dà, se stesso, il suo rapporto con il mondo che lo circonda, il suo rapporto con la divinità e il suo rapporto con gli altri suoi simili, i quali sono essi stessi domande aperte. La domanda sull‟uomo non può essere affrontata senza affrontare al tempo stesso la questione cosmologica, la questione teologica e della relazione con l‟altro. L‟uomo, così, mentre pone la domanda su se stesso, si configura come un crocevia di domande. 3. Al crocevia delle questioni fondamentali. Ogni epoca, a guardar bene, ha articolato queste domande in modo diverso e le diverse visioni dell‟uomo sono spesso il risultato di concezioni talvolta teologiche, altre volte cosmologiche o sociali. Non possiamo ora, in questo secondo momento, nemmeno lontanamente accennare alle implicazioni di questo incrocio di questioni fondamentali. Vorrei solo farvi alcuni esempi per mostrare in che modo l‟uomo ha definito se stesso a partire da concezioni diverse. Se guardiamo al mondo antico, al mondo greco, noi vediamo che lo sguardo filosofico era piuttosto attento alla questione cosmologica: le domande sull‟origine, sui fondamenti, erano soprattutto domande sul mondo. Di conseguenza tanto la concezione della divinità come la concezione dell‟uomo si inserivano in questo quadro cosmologico e la questione sull‟uomo era una questione spesso implicita e non tematizzata direttamente7. Le risposte sulla divinità e sull‟uomo l‟uomo erano cercate nel cosmo e tanto gli dèi come l‟uomo erano visti come parte di esso (anche se con caratteristiche differenti). Ciò che diceva dunque la natura dell‟uomo era ciò che l‟uomo poteva cogliere come la caratteristica più nobile del cosmo. E siccome i greci vedevano il cosmo il luogo di un ordine razionale, la razionalità era ciò che esprimeva anche la natura più nobile dell‟essere umano. In questo quadro Aristotele ha potuto senza difficoltà definire l‟uomo come “animale razionale” e questa definizione stabilisce anche l‟atto umano più nobile, lo stato di vita più proprio all‟uomo, che sarà quello del filosofo. Se dovessimo invece tracciare una linea comune del pensiero medievale – ovviamente stiamo parlando in termini molto sommari –, dovremmo dire che il punto di fuga della visione di tutta la realtà non è più il cosmo, ma Dio, di modo che il cosmo e l‟uomo saranno visti a partire dalla divinità. Tommaso, a dire il vero, per certi aspetti non si discosta molto dalla visione aristotelica dell‟uomo, definendo nell‟uomo quelle stesse facoltà che erano state già tracciate da Aristotele (come l‟unità del corpo e della psiche e come la concezione dell‟intelletto come facoltà di ragionare e conoscere), ma aggiungendo anche alcune dimensioni più propriamente cristiane, come la nozione di coscienza e di volontà, che arricchiscono il discorso antropologico rispetto al mondo greco e guardano all‟uomo fondamentalmente nella sua relazione con Dio, in quanto Dio è colui che sostiene e mantiene nell‟essere ogni possibile pensiero e azione dell‟uomo. E‟ chiaro dunque che, nel quadro medievale, ciò che vi è di più nobile nella realtà non è semplicemente l‟ordine razionale, ma il divino che sostiene ogni essere e ne è il fondamento. Sarà dunque il divino nell‟uomo ciò che definirà 6 7 M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Bari, Laterza, 1985, p.181. Cf. A. Campodonico, L‟uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, op.cit., p. 10. 4 l‟essenza dell‟uomo e lo stato di vita più nobile sarà quello che esprime meglio questa tensione verso il divino: sarà dunque l‟uomo religioso. La modernità si definisce come quell‟epoca della riflessione filosofica occidentale che pone al centro della riflessione metafisica l‟uomo: tutta la natura e la divinità sono viste a partire dall‟uomo e dalle sue relazioni. Quando Descartes (nella prima metà del XVII secolo) pone come principio delle proprie Meditazioni metafisiche il cogito (ego cogito, ergo sum, ponendo un modo della coincidenza tra pensiero ed essere inedita nella riflessione occidentale, perché la priorità è data al pensiero) istituisce una nuova antropologia e, con essa, una nuova visione del mondo e di Dio, trasformando profondamente in qualche modo quel crocevia di questioni che è l‟uomo. Non possiamo dilungarci su questi aspetti: quello che vorrei mettere in evidenza è il fatto che, a partire da questo momento, la centralità dell‟uomo diventerà sempre più marcata, fino a divenire un principio metafisico forte di tutto il reale (come nel caso di Hegel), capace di spiegare ogni singolo aspetto della realtà a partire dalle leggi del pensiero e facendo sì che le leggi dell‟essere (del mondo e di Dio) venissero a coincidere con la ragione umana. Le leggi dell‟essere, cioè, vengono ridotte a ciò che l‟uomo può comprendere di esse. Questo modello è entrato in crisi dopo i grandi tentativi dell‟inizio del XIX secolo, nei quali si è cercato di fondare tutto il reale a partire dallo spirito umano. Ora, questa crisi che spodesta l’uomo come essere pensante dal proprio centro è precisamente ciò che normalmente viene indicato con il termine post-modernità. Questo termine, post-modernità, non istituisce una nuova epoca. Esso è piuttosto un non-termine, il quale mette in evidenza solo ciò che sembra essere insufficiente (il soggetto umano come principio del reale), senza indicare ancora realmente delle nuove prospettive. Questa non-definizione dell‟epoca attuale caratterizza fortemente il nostro modo di pensare, come se essa si innestasse in una tensione di fondo, tra il soggetto e la propria negazione operata dal soggetto stesso. Da un lato la pretesa di assolutizzazione del soggetto, dall‟altro una crisi della soggettività come fondamento metafisico del reale: si tratta di una tensione che dobbiamo guardare con attenzione. E siccome abbiamo definito l‟uomo come un crocevia di questioni (che coinvolgono l‟uomo, le sue relazioni col mondo, con Dio e con gli altri) questa tensione esprime anche una tensione profonda e costitutiva della concezione del mondo e del nostro rapporto con Dio e con gli altri. 4. Abitare le tensioni. Non dobbiamo necessariamente interpretare questa situazione dell‟uomo contemporaneo come negativa. Quanto abbiamo appena detto ci dice qualcosa di fondamentale dell‟essere umano ed è ciò che il titolo di questa prima lezione, forse, potrebbe esprimere. Senso e non senso, proprio tenuti insieme, ci aiutano a rivelare qualcosa di costitutivo dell‟essere umano, inteso come domanda. E per dire qualcosa e spiegarmi un po‟ riguardo a questa essere dell‟uomo, vorrei declinare alcune questioni che mi sembrano più evidenti e che possono aiutarci a leggere oggi questo crocevia che riguarda l‟uomo, il mondo e Dio. Non potendo trattare di tutto l‟uomo – come dicevo all‟inizio – vorrei proporre di guardare insieme ad alcune regioni dell‟umano. Facendo questo però non vorrei proporre una lista di domande, ma descrivere il modo in cui alcune tensioni vengono in evidenza. Intendo allora il termine tensione in modo positivo, avendo presente ciò che propose, quasi un secolo fa, Romano Guardini – grande osservatore del suo tempo–, scrivendo L’opposizione polare, la sua 5 opera forse più conosciuta8. Il termine “tensione” 9 non intende delle criticità: esso è piuttosto uno strumento di lettura del reale, utile a mostrare come ci siano delle polarità che dovrebbero essere preservate per cogliere la vita, per evitare tanto posizioni razionalistiche, quanto posizioni senza alcun fondamento. Il fine è descrivere, come egli dice, “il concreto vivente”10, in modo da non disgregare l‟uomo in alcune sue componenti e perdendo una visione integrale di esso. Con le parole di Balthasar, «il concreto … è, fin dal principio, l‟unità degli opposti; realismo significa … vedere insieme entrambe le parti»11. A partire da queste tensioni, per guardare all‟uomo contemporaneo, si possono individuare grappoli di domande (anche per questo motivo, ancora una volta, si tratterà solo di cenni). Natura e cultura. Una prima fondamentale tensione è quella tra natura e cultura 12 . Questa tensione non riguarda specificamente l‟uomo, perché può essere declinata per tutti gli ambiti di osservazione del mondo. Ma se guardiamo all‟uomo, questa tensione ci dice che l‟essere umano vive al tempo stesso come appartenente al mondo naturale e come espressione di una differenza fondamentale rispetto a questo stesso mondo. Semplificando, la natura indicherebbe ciò che l‟uomo ha ricevuto dal punto di visto materiale, biologico o a livello di struttura organica e così via, mentre la cultura farebbe riferimento a ciò che l‟uomo produce e che gli è proprio, come frutto delle sue facoltà superiori (la capacità di ragionare, di creare, la presenza in esso di un senso morale, e così via). Questa dimensione culturale sarebbe allora ricevuta in parte dal proprio contesto sociale e in parte sarebbe stata creata da egli stesso a partire dalla propria libera iniziativa. La distinzione dei due ambiti sembra persino ovvia, ma, a ben guardare non lo è affatto. Quando noi guardiamo alle scienze che utilizziamo per descrivere la parte naturale dell‟uomo, vediamo immediatamente che esse sono precisamente il frutto delle nostre facoltà superiori e che quindi sono esse stesse prodotti culturali dell‟uomo. E‟ per noi, in effetti, impossibile descrivere ciò che è natura senza ricorrere alla dimensione culturale; è impossibile descrivere che cosa è naturale in sé, senza l‟intervento del nostro modo di descriverla13. Un discorso analogo potrebbe essere fatto guardando alla dimensione culturale, non solo perché riconosciamo anche nel mondo animale delle organizzazioni che potremmo dire sociali, ma anche perché non sappiamo veramente come distinguere in noi la componente culturale (il modo di pensare e di comportarci) da ciò che invece è solo il frutto, ad esempio, di uno stimolo istintivo che ci avrebbe indotto ad agire in un modo piuttosto che in un altro. Ci sono state, dunque, diverse strategie concettuali (quindi culturali) per cercare di sciogliere la tensione: (1) quella per cui tutto ciò che è culturale nell‟uomo deve essere ridotto al naturale (comprese le scienze quali la sociologia e la psicologia)14, (2) quella per cui invece si doveva rivendicare una distinzione qualitativa, o di ambiti, 8 R. Guardini, Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebendigkonkreten, Mainz, Matthias Grünewald Verlag, 1985 (tr. it. L‟opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Brescia, Morcelliana, 1997). 9 Cf. R. Guardini, L‟opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, op.cit., p. 23. 10 Ibid., p. 15. 11 H.U. von Balthasar, Romano Guardini. Reform aus dem Ursprung, München, Kösel-Verlag, 1970 (citiamo dall‟edizione italiana, Romano Guardini. Riforma dalle origini, Milano, Jaca Book, 2000, p.35). 12 Per una presentazione generale della tematica cf. A. Campodonico, L‟uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, op.cit., p.55s. (anche se il tema è già trattato a partire da p. 34). 13 Cf. C. Lévi-Strauss, Les Structures élémentaires de la parenté, 2nd edition, Berlin, Mouton de Gruyter, 2002. 14 E‟, in generale, l‟impostazione del positivismo di fine „800. 6 tra le scienze della natura e le scienze della cultura (che allora sono chiamate scienze dello spirito15) e (3) quella per cui anche le scienze della natura rispondevano in realtà a schemi mentali provenienti dalle scienze dello spirito e ne erano il frutto16. Queste tre soluzioni, ciascuna a loro modo, scelgono di sciogliere la tensione o in direzione di uno dei due poli o in direzione di una chiara divisione di essi. Ora se si guarda ad una tensione tra natura e cultura nell‟uomo, dovremmo chiederci in che modo può declinarsi la questione antropologica oggi. Oggi noi vediamo che natura e cultura sembrano sempre più sovrapposte, per lo sviluppo delle conoscenze tecniche e scientifiche. La natura è cultura, il proprio corpo è cultura: che cosa questo può significare in un contesto dove il potere di manipolare e distruggere la natura e se stessi ha raggiunto livelli mai raggiunti sino ad ora? E poiché, ad una concezione dell‟uomo si lega anche un suo agire specifico, quali sono gli atti per i quali l‟uomo esprime la propria umanità, in un‟epoca in cui, ad esempio, l‟intelligenza artificiale (che è un prodotto culturale) sembra sostituirsi sempre di più e in modo persino più efficace alla razionalità „naturale‟ dell‟uomo? Corpo e dimensione spirituale. Proviamo a guardare ad un‟altra tensione, anche questa molto attuale, quella tra corpo e anima (i termini spirito o mente sono ambigui, a seconda delle lingue, perché non necessariamente esprimono qualcosa di diverso del corpo, in quanto essi potrebbe essere intesi anche come il frutto di attività neuronali)17. La questione è la seguente: se intendiamo l‟uomo come caratterizzato da qualcosa di propriamente umano rispetto agli altri esseri nel mondo, e chiamiamo anima questo „qualcosa‟ (indipendentemente dal fatto religioso) o spirito, come si articola il rapporto tra queste due dimensioni dell‟umano? Anche qui il panorama delle possibili letture è estremamente variegato: vi sono visioni che hanno proposto una riduzione completa dello spirituale al materiale18 e visioni più attenuate che cercano di spiegare come si presenta la novità dello spirituale nella struttura del corpo umano; vi sono anche, tuttavia, visioni (o piuttosto atteggiamenti pratici) che hanno sospeso la dimensione corporea, in vista solo di un progresso dello spirito; vi sono infine, come nel caso dell‟antropologia cristiana (e più in generale biblica), prospettive che vogliono preservare la tensione19. Ora non basta dire che, a livello concettuale, la tensione corpo-anima deve essere presa come tale e rispettata, per poi agire conseguentemente, perché le strategie di oblio del corpo sono innumerevoli (quando ad esempio si tende a relativizzare la dimensione più propriamente fisica, per spiritualizzare o sublimare ogni aspetto della nostra vita). In effetti è proprio il corpo che oggi pone le domande più profonde. Quando guardiamo ad esempio ad alcuni fatti del nostro corpo, come la stanchezza, la 15 W. Dilthey et A. Marini, Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 1860-1896, Milano, Franco Angeli, 2003. 16 T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 2009. 17 Al riguardo cf. A. Campodonico, L‟uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, op.cit., p.111s. 18 In questo modo L. Ferry interpreta il transumanismo: « il transumanismo è assolutamente „naturalista‟, perché è filosoficamente materialista, il che vuol dire che, a differenza dei filosofi spiritualisti e delle dottrine della libertà, concepite come dottrine del libero arbitrio, che esso considera l‟essere umano in nessun modo come un essere „soprannaturale‟, al di fuori della natura, ma, al contrario determinato nella sua interezza da infrastrutture biologiche” (L. Ferry, La révolution transhumaniste, Paris, Plon, 2016, edizione digitale). 19 Le differenti visioni sono presentate in modo molto sintetico da Campodonico (cf. L‟uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, op.cit., p.112‑ 113): esse sono il dualismo cartesiano, il riduzionalismo materialistico, l‟eliminativismo, l‟epifenomenismo, l‟emergetismo, il pampsichismo e il dualismo unitario (a cui Campodonico riconduce la visione aristotelica e tomista). 7 forza fisica, il nostro essere sessuati, la dimensione affettiva, l‟attrazione, il desiderio, che cosa essi hanno da dire alla dimensione spirituale?20 In che modo l‟attenzione, come presenza a noi stessi e come capacità di concentrazione, è influenzata dall‟aver sempre di più messo da parte la dimensione più propriamente fisica del nostro essere nel mondo? In che modo noi ci immergiamo nel reale, con quali sensi, con quali gesti, con quale corpo? “Le competenze pratiche funzionano come punto di ancoraggio alla realtà”, scrive Matthew Crawford (un filosofo americano), in un‟opera pubblica solo l‟anno scorso21. Ma in un‟epoca nella quale proliferano sempre di più esperienze digitali, di „realtà aumentata‟, in cui il reale si arricchisce, per così dire, del virtuale, come cambia la percezione del mondo esteriore attraverso i tradizionali cinque sensi (in termini filosofici, si tratta del problema della trascendenza)? E quali sono le conseguenze a livello di relazioni interpersonali non virtuali, quando sono cioè corpi reali quelli che si incontrano? Bauman, con un‟immagine efficace, descrive il modo di costituirsi dei gruppi sociali come sciame che non esita a definire inquieto, per la sua costante necessità, in un modo liquido, di ridefinirsi22. In che modo dal virtuale conserviamo la capacità, la possibilità o la necessità di ricadere al reale? Quale reale cercheremo e quale profondità avremo dimenticato? Interiorità e esteriorità. Legata alla tensione tra corpo e dimensione spirituale potrebbe essere citata la tensione tra interiorità e esteriorità. In nessuna epoca come la presente – a partire dalla nascita della psicologica moderna, alla fine del XIX secolo – le tecniche d‟indagine dell‟interiorità umana sono state così efficaci. In nessuna epoca come la presente, alcuni meccanismi della psiche umana sono alla portata di molti. Pensiamo a concetti come inconscio, pulsioni, nevrosi, tipi diversi di intelligenze, complessi, super-io e cosi via. Si tratta di strumenti concettuali tutt‟altro che semplici da utilizzare e sono tuttavia sulla bocca di molti e utilizzati nei modi più svariati. Si tratta veramente di interiorità? Quello che osserviamo è che in nessuna epoca come l‟attuale uno sguardo personale sulla vita interiore è difficile e faticoso. Certo, l‟intimità è sempre più esposta, in una curiosa corsa all‟esteriorizzazione, e tuttavia superficiale: lo dimostrano ad esempio la cultura dei selfies (in situazioni più meno riservate) o i vari coming out di personalità più o meno celebri. Ci si mostra ed esistiamo sui social network con lunghe catene di post che descrivono e raccontano in modo incoerente il nostro variegato universo di relazioni, ma si resta profondamente soli ogni volta che gli schermi si spengono. Bauman descrive efficacemente questa situazione in Amore liquido23, mettendo in evidenza come un modo per creare relazioni, in un contesto di solitudine, è quello di “inglobare gli „estranei‟ in un „noi‟”, rivelando un‟interiorità superficiale, ma simile e condivisa. In questo modo “la comunione di io interiori” si basa su “auto-rivelazioni reciprocamente incoraggianti” 24 delle proprie intimità superficiali e problematiche. E si instaurano così comunità virtuali a partire da intimità condivise deboli. Ma la quantità delle relazioni, purtroppo, non può sostituire la qualità. E l‟esigenza di un‟interiorità ricca si manifesta in un modo insostenibile non appena ci si sofferma con se stessi. 20 Al riguardo cf. le interessati riflessioni di J. Bastaire (Eros sauvé, Paris, Desclée, 1995; tr. it. Eros redento. Amore e ascesi, Magnano (BI), Qiqajon, 1991) e di F. Hadjadj (La profondeur des sexes : Pour une mystique de la chair, Points, 2014; tr. it. Mistica della carne. La profondità dei sessi, traduit par R. Campi, Milano, Medusa Edizioni, 2009). 21 M.B. Crawford, World Beyond Your Head: On Becoming an Individual in an Age of Distraction, Farrar, Straus and Giroux, 2015 (cito dall‟edizione francese, Contact, Paris, La Découverte, 2016, edizione digitale). 22 Cf. Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Gardolo, Trento, Erickson, 2007, p. 35s. 23 Z. Bauman, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Bari, Laterza, 2003. 24 Ibid., p. 46. 8 Questa stessa fragilità e superficialità si rende evidente nella dimensione pedagogica. In essa sempre di più il quantitativo prende il posto del qualitativo e le procedure, le tecniche didattiche e le finalità strumentali dell‟azione pedagogica, prendono il posto delle domande di senso che una formazione globale dovrebbe sempre suscitare negli studenti. Non che le tecniche siano da rigettare: esse sono fondamentali, ma risultano deformanti e persino negative quando non sanno cogliere in profondità e favorire l‟ampiezza di una domanda di senso di cui l‟uomo oggi ha profondamente bisogno. E risultano, contrariamente a quanto sembri, una vera e propria barriera all‟innovazione, perché impediscono ai giovani di oggi di cercare loro stessi (ancora il problema dell‟interiorità) e la loro specifica vocazione nel mondo e per il mondo. Globalizzazione e inculturazione. Ho proposto alcune tensioni. Se ne potrebbero elencare tante altre: quelle ad esempio tra identità culturale-religiosa e dialogo; quelle tra il maschile e il femminile; tra storia e profezia, tra istituzione e carisma, tra pubblico e privato, tra giovani e adulti (una tensione che oggi si articola in modo molto diverso rispetto a come essa era stata descritta negli anni ‟70); tra processi e senso (perché facciamo certe cose in un certo modo?); tra misericordia e giustizia (quale confine porre tra l‟una e l‟altra); tra libertà individuale e sicurezza sociale; tra forza e debolezza (come Jean Vanier, il fondatore dell‟Arche, ci invita a fare per leggere la società contemporanea), e così via. Vorrei proporne una in particolare, che mi sembra di grande attualità, ovvero la tensione tra globale e locale. Non è nuova, almeno nei termini in cui normalmente la si presenta, perché della globalizzazione si parla da tempo e le esigenze de locale, rispetto ad una visione solamente mondiale delle relazioni umane, sono state già messe in evidenza. Come dice Bauman, la globalizzazione è sulla bocca di tutti25: essa riguarda, nella sua origine, soprattutto la gestione dello spazio divenuto globale, ma promette contemporaneamente una sorta di “universalizzazione” 26 del pensiero, dell‟economia, dell‟ordine, della cultura. Ora questa universalizzazione rischia inevitabilmente di divenire generalizzazione, ovvero appiattimento delle specificità del locale. Per questa generalizzazione essa risulta inevitabilmente anonima, come una sorta di terra di nessuno nella quale, a lungo andare, nessuno più si sente veramente a proprio agio e nella quale agire è impossibile. I fenomeni di localizzazione (che il dibattito politico trasforma in messaggi identitari) sono l‟indice di una debolezza del fenomeno della globalizzazione e della frustrazione che essa genera riguardo al problema dell‟identità. Il problema della gestione degli spazi e l‟identità di coloro che abitano questi spazi, in un contesto globalizzato, sono problemi connessi e intimamente legati. Per rispondere alle esigenze del locale, è stato proposto il concetto di glocalizzazione27, in modo da adeguare e armonizzare i due ambiti. Ma questa soluzione pensa ancora ad un modo di organizzazione dello spazio e non tocca il problema dell‟identità degli attori coinvolti. In questa impostazione, ad esempio, il problema delle migrazioni è affrontato solo come problema tecnico, in modo da rispondere, da un lato, all‟urgenza umanitaria e dall‟altro alla richiesta di sicurezza. Non basta articolare il locale nel globale, perché ciò che resta escluso da questa soluzione è il problema dell‟universalizzazione (o della generalizzazione e dell‟appiattimento) delle identità culturali, una universalizzazione alla quale in fondo ci opponiamo istintivamente e che genera normalmente conflitti. 25 Cf. Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Bari, Laterza, 2007, p. 3. Ibid., p. 67. 27 Cf. B. Zygmunt, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando Editore, 2012. 26 9 L‟invito: “pensa globalmente, agisci localmente” in realtà implica un salto ingiustificato dal pensiero all‟azione. Si tratta di una soluzione che deriva da un‟impostazione razionalistica che risale alla fine del „700 e che vedeva nell‟universalizzazione di un modo d‟agire la radice della moralità 28 . Si trattava di una impostazione che restava inevitabilmente formale e non guardava in fondo alla realtà concreta della situazione umana. La questione dovrebbe dunque essere declinata in un altro modo: non tanto come tensione tra globale e locale, ma come tensione tra un messaggio universale (come vorrebbe essere quello cristiano ad esempio) e il modo in cui l‟universalità si incarna nelle diverse culture, perché ogni cultura possa esprimere non solo una parte del messaggio, ma tutto il messaggio nella sua particolare ricchezza. E‟ il problema dell‟inculturazione, dunque, che verrebbe in evidenza e il problema della globalizzazione sarebbe visto nel contesto dell‟inculturazione. Individuare il modo in cui l‟universale può incarnarsi, per così dire, in ciò che caratterizza una determinata cultura, è una declinazione più attuale del problema della relazione tra globale e locale. E‟ il papa che, con sensibilità extraeuropea, declina questa tensione come tensione tra globalizzazione e inculturazione. In un discorso dell‟ottobre 2016, recentemente pubblicato dalla Civiltà Cattolica, parlando della ricchezza dei popoli indigeni, descrive in poche battute questa tensione. Egli scrive: “oggi abbiamo più consapevolezza di ciò che significa la ricchezza dei popoli indigeni, proprio nell‟epoca in cui, sia sotto l‟aspetto politico sia sotto quello culturale, li si vuole sempre più annullare tramite la globalizzazione, concepita come una «sfera», ovvero una globalizzazione in cui tutto viene uniformato. … La nostra figura della globalizzazione non dev‟essere la sfera, ma piuttosto il poliedro … perché è uno ma ha facce differenti. Ecco, l‟unità si fa conservando le identità dei popoli, delle persone, delle culture”29. In questo quadro forse le questioni valoriali, di senso, la dimensione del dialogo interculturale o tra le religioni, non riceverebbero solo soluzioni formali, o per così dire esteriori, ma potrebbero essere fondate in modo più chiaro precisamente nell‟identità di coloro che partecipano al dialogo. E se vogliamo cogliere fino in fondo il senso della tensione tra globalizzazione e inculturazione, dovremmo forse provare a prendere coscienza del fatto che il tutto non sta alle nostre spalle come ciò che deve essere adattato, ma può darsi solo grazie alla ricchezza che ciascuna cultura può legittimamente esprime nella propria esperienza di vita insostituibile30. 5. Conclusione. Guardare all‟uomo a partire da alcune tensioni che, nell‟epoca contemporanea, vengono in evidenza, aiuta non solo a farsi delle domande sull‟uomo contemporaneo, ma anche a farsi domande con l‟uomo contemporaneo. Questo vuol dire quindi farsi domande su noi stessi, perché noi siamo uomini e donne contemporanei. Guardare alle tensioni ci aiuta a non restare all‟esterno della tensione e a sperimentare in noi stessi il fondo problematico e vitale che esse rivelano. Aiuta a non giudicare e a tenere lo sguardo ben vigile sulla realtà che l‟uomo vive effettivamente. La grande sfida, mi sembra, è quella di fuggire la tentazione di voler sciogliere le tensioni per prendere posizione in direzione dell‟una o dell‟altra visione. Sarebbe, in fondo, la soluzione più semplice. 28 E‟ l‟impostazione di I. Kant, cf I. Kant, Critica della ragion pratica, 8e éd., Bari, Laterza, 2006. «AVERE CORAGGIO E AUDACIA PROFETICA. Dialogo di papa Francesco con i gesuiti riuniti nella 36a Congregazione Generale», Civiltà Cattolica, IV, no 3995, 24 octobre 2016, p. 419. 30 E‟ la prospettiva che propone K. Hemmerle in «Das unterscheidend Eine. Bemerkungen zum christlichen Verständnis von Einheit», , Unterwegs mit dem dreieinen Gott. Beiträge zur Religionphilosophie und Fundamentalthéologie 2, Freiburg - Basel - Wien, Herder Verlag, 1994, p.333‑ 353 (tr. it. «L‟uno distintivo. Note sull‟interpretazione cristiana dell‟unità», , Tesi di ontologia trinitaria, Roma, Città Nuova, 1994, p.81‑ 110). 29 10 All‟inizio dicevo che una visione universale dell‟uomo è strutturalmente impossibile. Lo dicevo, certo, per giustificare quanto avrei detto nella mia lezione, non potendo realisticamente essere colui che definisce un quadro esaustivo delle domande dell‟uomo contemporaneo. Ma lo dicevo – rivenendo sull‟ultimo punto trattato, ovvero sul rapporto tra globalizzazione e identità culturali – anche perché questa realtà profonda dell‟oggi che noi chiamiamo inculturazione ci interroga personalmente e in profondità. Ciò che potremmo augurarci è che ciascuno di noi, insieme ad altri, nel dialogo, possa dirigere lo sguardo sulla realtà dell‟uomo accanto a noi per cogliere delle tensioni più o meno evidenti nel quotidiano, nelle realtà sociali nelle quali siamo inseriti. Per comprendere la realtà e, alla luce di questa comprensione, agire. Quale sarà quell‟atto propriamente umano che l‟amore per l‟uomo oggi richiede? 6. Nota bibliografica. VON BALTHASAR Hans U., Teologica: 1, Milano, Jaca Book, 2010. VON BALTHASAR Hans U., Romano Guardini. Riforma dalle origini, Milano, Jaca Book, 2000. BALTHASAR Hans U., Theologik Bd. I : Wharheit der Welt, Freiburg, Johannes Verlag Einsiedeln, 1985. VON BALTHASAR Hans U., Romano Guardini. Reform aus dem Ursprung, München, Kösel-Verlag, 1970. BASTAIRE Jean, Eros sauvé, Paris, Desclée, 1995. BASTAIRE Jean, Eros redento. Amore e ascesi, Magnano (BI), Qiqajon, 1991. BAUMAN Zygmunt, Homo consumens. 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In che modo intendere l‟uomo come domanda ci interroga sulle relazioni che l‟uomo ha con se stesso, con il mondo, con Dio e con gli altri? 2) Che cosa vuol dire von Balthasar quando scrive: «il concreto … è, fin dal principio, l‟unità degli opposti; realismo significa … vedere insieme entrambe le parti». In che modo questo atteggiamento ci aiuta a comprendere l‟uomo di oggi? 3) In un lavoro di gruppo, cercare di elencare le tensioni personali e sociali degli uomini attorno a noi, per cogliere le domande che queste tensioni mettono in evidenza e comprendere insieme come dare delle risposte concrete. 12