Relazione del Presidente Paolo Bedoni

Coldiretti Veneto
Convegno
“Etica: l’attualità delle origini”
Venezia, 22 marzo 2004
Relazione del
Presidente Paolo Bedoni
Il titolo che abbiamo voluto dare a
questo nostro convegno “Etica:l’attualità
delle origini” non poteva essere più
esplicito.
Di implicito - di non detto e di
sottinteso - c’è solo il concetto di
“impresa” che è il riferimento obbligato di
tutto il discorso che oggi affrontiamo.
In questo titolo e nella scelta di dar
vita a questo convegno c’è una forte
assunzione di responsabilità da parte
della Coldiretti.
C’è il senso di una evoluzione
profonda che vi è stata nel modo stesso
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di concepire il ruolo dell’imprenditore
agricolo.
Questa evoluzione è avvenuta
all’interno di una società in cui il
consumatore
ha
finalmente
preso
coscienza dei suoi diritti ed ha imparato
a difendersi e a prevenire le insidie che
alla
sua
salute
vengono
da
un’accettazione acritica dei modelli
alimentari imposti dalla pubblicità, dai
grandi circuiti commerciali e in generale
dalle
multinazionali
dell’industria
alimentare.
Bisogna dire che mentre questo
fenomeno che definirei dei “cattivi
modelli” ha avuto origini e sviluppi di
carattere globale (è cioè uno dei frutti
avvelenati della globalizzazione), la presa
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di coscienza dei diritti dei consumatori
ha specialmente le sue radici nella
credibilità e nella forza dei modelli
culturali “locali”.
Questo spiega perché oggi l’Italia è
uno dei Paesi in Europa e nel mondo in
cui la sensibilità a questo problema è più
alta ed è stato possibile avviare processi e
cambiamenti strutturali che stanno
incidendo profondamente sull’economia
agricola, sul ruolo e sulle prospettive
dell’impresa, sulle regole del gioco del
mercato.
Questo spiega perché la Coldiretti
ha potuto assumere la guida di una
grande campagna di sensibilizzazione che
ha portato e sta portando a cambiamenti
profondi della Politica agricola e a scelte
innovative sul piano della cultura
dell’alimentazione.
La forza del modello “locale” (cioè
autenticamente italiano) si basa sulla
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concreta
possibilità
che
ha
oggi
l’agricoltura di proporsi come momento di
raccordo tra le esigenze di salubrità e di
sicurezza
alimentare
richieste
dal
consumatore ed una valorizzazione delle
risorse storico-culturali ed ambientali del
territorio rispondenti alle nuove esigenze
e
alle
sensibilità
del
cittadino.
Naturalmente
queste
non
sono
caratteristiche solo italiane. Ma certo
l’Italia è il Paese più dotato da questo
punto di vista.
E’ fondamentale allora capire che
noi imprenditori agricoli abbiamo il
privilegio, non so quanto meritato, di
trovarci nella condizione di poter portare
a compimento un processo evolutivo nel
costume e nel modello di vita
che
introduce forti elementi di trasparenza, di
pulizia, di moralità in un settore
economico che era stato colonizzato e
contaminato da una deteriore cultura
industriale e dagli istinti predatori della
società dei consumi.
Debbo dire che per molto tempo è
sembrato che l’agricoltura non avesse la
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forza di opporsi a questa tendenza
degenerativa e che, anzi, non so quanto
inconsapevolmente, la assecondasse.
Premetto che mai come in questo
caso vale il principio evangelico del “chi
non ha colpe scagli la prima pietra”.
Ma questo non ci deve esimere dal
fare un’analisi rigorosa e severa di come
si sia accettato negli anni uno scambio
tra “assistenzialismo” e disponibilità ad
assecondare questo modello degenerativo
che avrebbe portato – e stava portando –
l’agricoltura italiana ad una fine davvero
indecorosa.
In tanti si sono scandalizzati
quando di fronte allo scandalo della BSE,
la cosiddetta “mucca pazza”, la Coldiretti
si è lasciata alle spalle ogni indugio ed
ogni condiscendenza verso le furbizie e le
viltà dei protettori e degli sfruttatori della
vecchia,
consunta,
impresentabile
“cittadella agricola” ed ha lanciato la
parola d’ordine della “Rigenerazione”.
Qualcuno ci ha detto che parlare di
“Rigenerazione” era come ammettere le
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nostre colpe, un “tirarsi la zappa sui
piedi”, per usare una vecchia frase
contadina.
Quasi
non
c’era
bisogno
di
rispondere a queste obiezioni perché esse
erano proprio il frutto di una concezione
del ruolo dell’agricoltura che definire
“detestabile” è dir poco.
Una concezione con la quale noi non
vogliamo avere più niente a che fare.
La verità è che, in virtù di questa
concezione, si è rischiato di portare
l’agricoltura
sulla
strada
dell’asservimento a modelli culturali ed
economici che l’avrebbero annientata.
Che la stavano impoverendo di
risorse
e
di
valori,
di
energie
imprenditoriali e di credibilità nel
rapporto con il resto della società.
Si andava sempre più configurando
e rafforzando l’idea di un mondo agricolo
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tenuto in vita da politiche assistenziali
ottenute in virtù della sua capacità di
ricatto e condizionamento politico (così è
ancora in altre Paesi europei).
Della forza della lobby, come si
diceva una volta e come qualche volta
ancora si sente dire.
L’unica lobby che noi ci sentiamo di
fare è quella con i consumatori, o – per
essere più precisi – con i cittadiniconsumatori.
Con coloro cioè che accettano e
condividono politiche agricole, sia a
livello nazionale che europeo, che danno
forza
competitiva
a
imprese
che
producono secondi criteri e modelli
produttivi che rispondono ad esigenze di
sicurezza alimentare ed ambientale.
Che sanno dunque conciliare gli
interessi specifici di un settore e di un
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sistema di impresa con quelli generali
della collettività.
Chi si oppone alla cultura della
“Rigenerazione” e del “Patto con i
Consumatori” che ne è all’origine si
oppone sistematicamente a tutte le scelte
conseguenti e necessarie per portare in
piena e totale trasparenza non solo
l’agricoltura ma l’intero processo di
filiera.
Si sono opposti nel passato alla
rintracciabilità come oggi si oppongono
alla nostra proposta di Legge popolare,
che è in Parlamento, per l’indicazione
obbligatoria dell’origine dei prodotti
agricoli.
Perché tanta resistenza di fronte ad
una richiesta così semplice?
Perché in così tanti si sentono male
all’idea che in un’etichetta si debba
indicare il luogo di origine del prodotto
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agricolo che ha dato vita al prodotto
alimentare che compriamo al negozio, al
mercato o al supermercato?
La
Federalimentare,
che
rappresenta le industrie alimentari che
operano in Italia, ha fatto girare in queste
settimane un voluminoso dossier contro
la
nostra
proposta
di
indicare
obbligatoriamente nell’etichetta l’origine
del prodotto agricolo in cui ci descrive
come degli irresponsabili sovversivi.
E’ vero noi vogliamo sovvertire la
tendenza
a
tenere
all’oscuro
il
consumatore sulla natura e sull’origine
dei prodotti alimentari che si accinge a
comprare e a consumare.
E soprattutto vogliamo che il
consumatore sappia cos’è e da dove viene
il prodotto agricolo che ha dato vita a
quel prodotto alimentare.
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Francamente non facciamo questo
perché siamo diventati dei missionari.
Io dico sempre che abbiamo la
fortuna di poter fare azioni positive per la
società che corrispondono anche al
nostro interesse di trarre un giusto
profitto
dalla
nostra
attività
di
imprenditori.
A forza di indagare su questo
problema, proseguendo nel gioco delle
trasparenze, abbiamo capito che le due
cose coincidono.
Non sarà un merito esclusivo, ma
poiché da un nostro modo corretto di fare
gli imprenditori nasce un vantaggio per la
società nel suo insieme non si capisce
proprio perché noi non dovremmo andare
fino in fondo sulla strada che abbiamo
cominciato a percorrere.
Potrei portare molti esempi di questi
nuovi orizzonti dell’agricoltura in cui fare
impresa in modo corretto e responsabile
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è funzionale ad uno stile di vita e del
consumo pienamente compatibile con i
principi della sicurezza alimentare e di
quella ambientale.
Ma su un punto mi voglio
soffermare ed è quello che riguarda il
concetto di ruolo insostituibile che
l’impresa agricola ha nel garantire
l’equilibrio e l’integrità, oltre che lo
sviluppo economico, del territorio.
Una delle malattie più gravi
dell’agricoltura assistita era proprio
questa: l’abbandono del rapporto con
l’ambiente e con il territorio.
Complice in questo una politica
agricola che stava annientando l’impresa
agricola e che stava trasformando
l’agricoltura
in
una
attività
che
distruggeva ciò che produceva.
E che aveva un rapporto alterato,
alienato con il territorio.
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La nostra spinta verso una nuova
politica agricola, la strategia dell’impegno
alla rigenerazione all’interno del “patto
con il consumatore”, la battaglia per dare
trasparenza ai processi produttivi della
filiera, la valorizzazione del territorio sono
tutti elementi che portato a ribaltare una
concezione parassitaria e perdente del
ruolo dell’agricoltura e a porre l’impresa
di fronte a prospettive nuove nella società
post-industriale.
Io non credo che si debba “ritornare
alle origini”.
Io credo che si debba andare alle
origini, cioè alle radici, al senso etico e
sociale di ciò che è e deve essere
l’agricoltura in una società complessa.
Io credo che questa sia la forma più
alta di “responsabilità sociale” e che essa
si esprima principalmente nel recupero
del valore fondante del rapporto tra uomo
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e natura, nel nostro caso tra impresa e
territorio.
Il recupero di questo principio della
responsabilità sociale è fondamentale ai
fini dell’integrità dei nuclei sociali e
famigliari che operano in agricoltura e
della interrelazione tra essi e il resto della
società.
La “rigenerazione” dell’agricoltura
porta necessariamente al recupero della
centralità del territorio e di un rapporto
nuovo ed equilibrato tra l’uomo e
l’ambiente di cui abbiamo vitalmente
bisogno.
Alla luce di queste riflessioni
possiamo
dunque
tornare,
in
conclusione, al messaggio di fondo che
c’è nel titolo del nostro convegno.
Io lo sintetizzerei così: è nelle origini,
nelle nostre radici che noi ritroviamo il
senso etico del nostro operare, oggi, come
imprenditori in agricoltura.
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E le nostre radici sono nei nostri
principi, sono nell’ispirazione cristiana
delle
nostre
scelte
e
dei
nostri
comportamenti come organizzazione di
rappresentanza che sceglie di essere forza
sociale.
Con questi principi la Coldiretti si è
misurata nel momento più difficile.
Nel momento in cui ha trovato in sé
(appunto, nelle sue radici e nella sua
ispirazione etica) la forza di rinnovarsi
profondamente per ridare rilegittimazione
sociale alla Politica agricola.
Nel momento in cui ha sentito la
necessità, il bisogno ed il dovere morale
di
intraprendere
la
strada
della
“rigenerazione”.
Per troppo tempo, e per ragioni non
sempre giustificabili, si è lasciato che le
logiche
corporative
in
agricoltura
crescessero al punto di aprire una forbice
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grave ed inaccettabile tra interessi e
valori.
Gli interessi sostenuti da egoismi
corporativi tendono inevitabilmente ad
infrangere e comunque ad ignorare i
sistemi di valori.
Quando si determina questa forbice
il corporativismo diviene una forma di
ricatto sociale.
Un ricatto inaccettabile in sé, ma a
maggior ragione immorale se tende a
richiamarsi ad un sistema di valori, siano
essi di natura sociale, civile e soprattutto
religiosa.
Non solo questo corporativismo
stava relegando l’agricoltura in una
dimensione
sociale
di
crescente
marginalità.
Ma
le
stava
togliendo
ogni
legittimità
sociale
con
scelte
assistenzialistiche e parassitarie che la
allontanavano sempre di più da ogni
forma di resposabilità e di lealtà verso il
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consumatore, verso le comunità locali,
verso la società nel suo complesso.
Con la svolta che ha portato alla
“Rigenerazione” e al “Patto con il
consumatore” la Coldiretti ha perseguito
l’obiettivo di restituire “legittimità sociale”
alla rappresentanza e “responsabilità
sociale” all’impresa e all’imprenditore
agricolo.
Tutto ciò innesta un processo
virtuoso nella filiera agroalimentare
perché
restituisce
centralità
al
consumatore.
Noi siamo partiti dal presupposto
che la forza contrattuale di una
organizzazione di rappresentanza in
agricoltura è nel consenso e quindi nel
dialogo
e
nel
raccordo
con
il
consumatore.
Anzi, con il cittadino-consumatore.
Questa è la fonte di legittimazione
del nostro ruolo di forza sociale che vuole
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avere voce in capitolo nella concertazione
con le Istituzioni a tutti i livelli.
La
“Rigenerazione”,
cioè
una
politica
agricola
che
persegue
rigorosamente gli obiettivi sociali della
sicurezza alimentare ed ambientale, è
l’impegno che noi mettiamo sulla bilancia
del Patto con il Consumatore quando gli
chiediamo di sostenere le nostre proposte
di Politica agricola.
E’ una strada che noi percorriamo
nella tranquilla consapevolezza che in
agricoltura oggi più che mai è possibile e
doveroso essere imprenditori con piena
assunzione di responsabilità sociale.
Svolgendo con onestà e con trasparenza
il nostro lavoro determiniamo il successo
delle nostre imprese ed insieme facciamo
l’interesse generale della società in cui
viviamo.
Questo è il privilegio che ci è dato.
Questo è il dovere che la nostra
ispirazione cristiana ci richiede di
adempiere.
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