Il testo preparato in collaborazione con il Museo dell’Insurrezione di Varsavia
Wojciech Roszkowski
Come in una tragedia greca: l’insurrezione di Varsavia del 1944
Se si volessero ricercare, nella storia della seconda guerra mondiale, analogie con la tragedia
dell’era classica, le si troverebbero nell’insurrezione di Varsavia, che ebbe inizio il 1 agosto 1944
sotto l’occupazione tedesca.
Lo Stato polacco era stato sopraffatto dall’invasione tedesca del 1 settembre e sovietica del
17 settembre 1939. Aveva però conservato la propria continuità istituzionale come governo in esilio
in Francia e, dal 1940, a Londra. Nel paese occupato operavano sue numerose rappresentanze,
definite Stato Polacco Clandestino. Si componevano di una dirigenza politica, che si strutturava
nella Delegazione del Governo nel Paese, e militare, con l’organizzazione dell’Armata Nazionale (AK,
Armia Krajowa). Per l’intera durata della guerra, la Polonia fece parte della coalizione antitedesca.
Nel giugno 1941 il Terzo Reich aggredì l’Unione Sovietica: di conseguenza, uno degli occupanti della
Polonia era venuto a far parte di una nuova coalizione, nota come la Grande Trojka (USA, Gran
Bretagna, URSS). Nell’aprile 1943, quando i tedeschi informarono dell’eccidio di una decina di
migliaia di ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici nel 1940 a Katyń, e i polacchi chiesero alla Croce
Rossa di esaminare la questione, Mosca ruppe i rapporti con il governo polacco di Londra. Entrando
nuovamente in territorio polacco nella primavera del 1944, l’Armata Rossa vi giungeva in quanto
aderente alla coalizione alleata di cui faceva parte anche la Polonia, ma, allo stesso tempo, come
nemica dell’autonoma sovranità statale polacca.
Per manifestare la volontà di riacquisire l’indipendenza a dispetto dei piani di Stalin, le guide
della Resistenza Polacca diedero inizio all’Operazione “Burza” (Bufera) su tutto il territorio entro i
confini nazionali del 1939. I reparti dell’AK intrapresero una lotta aperta contro i tedeschi,
collaborando in senso militare con l’Armata Rossa; conseguiti gli obiettivi militari, però, le autorità
sovietiche disarmavano i soldati dell’AK e li riducevano in cattività. Quando il fronte, verso la fine
del luglio 1944, si avvicinò alla linea della Vistola, i capi polacchi dovettero decidere se ripetere
un’operazione analoga anche a Varsavia.
Fin dall’inizio, le organizzazioni clandestine indipendentiste nella Polonia occupata e il
governo in esilio a Londra avevano stabilito nei propri piani di imbracciare le armi, non appena si
fosse indebolita la potenza tedesca, e di rovesciare il dominio dell’occupante. Dopo cinque anni di
occupazione, tale momento sembrava essere ormai giunto: sarebbe stato difficile rinunciare a
combattere. In quanto membro della coalizione antitedesca, la Polonia poteva contare, in teoria,
sul sostegno degli alleati. La decisione di intraprendere la lotta fu drammatica. Verso la fine del
luglio 1944 era evidente il ripiego dei reparti tedeschi al di là della Vistola, ma le autorità tedesche
si erano accinte alla difesa della piazzaforte di Varsavia. La “collaborazione” con l’Armata Rossa
stava scivolando su una china disastrosa, mentre, d’altra parte, l’emittente comunista polacca della
radio moscovita incitava gli abitanti di Varsavia a iniziare a combattere contro i tedeschi. Questa
campagna poteva essere intesa come tentativo di sollevare l’insurrezione a Varsavia sotto la guida
dell’Armata Popolare (Armia Ludowa) filosovietica – i cui reparti, del resto, erano poco numerosi –
e, contemporaneamente disorganizzare i reparti dell’AK.
In base a procure loro conferite dal governo in esilio di Londra, i capi dell’AK di Varsavia
decisero e fissarono l’inizio dell’insurrezione per il 1 agosto 1944. Furono mobilitati a combattere
contro i tedeschi circa trentamila soldati dell’Armata Nazionale. Dopo 63 giorni di lotte sanguinose,
contraddistinti da determinazione ed eroismo straordinari, gli insorti dovettero capitolare. Stalin
aveva dato l’ordine di trattenere le operazioni sul fronte nei pressi di Varsavia, condannando
l’insurrezione all’annientamento. L’aiuto da parte degli alleati occidentali era quasi inesistente,
ostacolato, del resto, dal leader sovietico. Nei combattimenti morirono circa quindicimila insorti e
tra centocinquanta e duecentomila civili, tra cui cinquantamila abitanti dei quartieri occidentali di
Varsavia (Wola e Ochota), barbaramente fucilati dai reparti speciali delle SS e dei collaborazionisti
provenienti dai territori sovietizzati. Vennero fatti prigionieri circa quindicimila insorti e l’intera
popolazione civile venne fatta sfollare forzatamente. Varsavia fu in gran parte distrutta: a essere
precisi, la maggior parte dei danni fu inferta dai tedeschi ormai dopo la capitolazione degli insorti,
distruggendo e bruciando sistematicamente interi quartieri. I fini politici dell’insurrezione non
erano stati raggiunti.
La sconfitta dell’insurrezione poteva sembrare una totale catastrofe. Come giudicare,
tuttavia, la decisione di metterla in atto? I capi dell’AK di Varsavia furono posti di fronte a una
decisione simile ai dilemmi della tragedia greca. Era difficile giudicare cosa fosse peggio: iniziare o
rinunciare a combattere. Entrambe le soluzioni erano negative, ma non si sapeva quale fosse la
peggiore. Intraprendere la lotta dava qualche opportunità di vittoria, ma il rischio di una disfatta era
forte. Non intraprendere la lotta significava dare ragione a Stalin, che nelle conversazioni con gli
alleati aveva messo in dubbio la capacità militare dell’AK. La maggiore minaccia, però, era la perdita
di ogni influsso da parte dell’Armata Nazionale e del governo in esilio sullo svolgersi degli eventi
nella capitale. Esisteva la probabiltà, infatti, che i comunisti filosovietici prendessero l’iniziativa di
combattere e che l’Armata Rossa entrasse poi a Varsavia come “liberatrice”, per poi reprimere i
soldati dell’AK su scala ancora maggiore rispetto a quanto sarebbe poi di fatto accaduto dopo la
guerra.
È da considerare, infine, un ultimo aspetto, che certamente i capi dell’AK di Varsavia non
avrebbero nemmeno potuto immaginare nell’agosto 1944. Lo si può sintetizzare in poche
domande: a cosa sarebbe giunta l’Armata Rossa nel maggio 1945, se non ci fosse stata
l’Insurrezione di Varsavia? Quanta parte del territorio tedesco sarebbe rimasta sotto il controllo
dell’URSS dopo la guerra? E cosa avrebbe fatto l’Unione Sovietica della Polonia che si trovava tra il
fiume Bug e il confine occidentale del 1939 – non sarebbe stata propensa a incorporarla come una
delle repubbliche dell’URSS, cosa di cui già parlavano alcuni dei più zelanti attivisti del Partito
Operaio Polacco comunista?
Non raggiungeremo mai un giudizio univoco sulla decisione di intraprendere i
combattimenti. Su un piatto della bilancia pesano perdite indescrivibili e le sofferenze di centinaia
di migliaia di vittime, e, non da ultimo, il fiasco degli obiettivi politici; sull’altro il confuso profilo
dell’alternativa e delle sue conseguenze, forse, a lungo termine, persino peggiori della tragedia
dell’insurrezione. L’inattività, in quel momento cruciale, sarebbe potuta pesare sulle coscienze dei
polacchi più del sentimento di completa disfatta che regnava dopo il fiasco dell’insurrezione. Chi
rischia la vita o la perde in difesa della libertà merita una memoria migliore di chi perde e la libertà
e la dignità. Esistono, infatti, dei valori più grandi della vita. Li cercano le centinaia di migliaia di
giovani che visitano il Museo dell’Insurrezione di Varsavia e che riflettono sul suo messaggio.