CASI E COMPLEMENTI Il verbo si comporta come un elemento chimico

CASI E COMPLEMENTI
Il verbo si comporta come un elemento chimico che richiama intorno a sé un certo numero e tipo di altri
elementi (da qui il concetto-immagine di valenza). La forma morfosintattica con cui il verbo si lega ai suoi
argomenti e, in particolare, a quelli diversi dal soggetto, è la sua reggenza.
Ogni verbo infatti, in base al suo significato, richiede alcuni complementi necessari, che Lucien Tesnière
(Éléments de syntaxe structurale, Paris, Klincksieck, 1959) chiama attanti e che sono le sue valenze. La
denominazione di Tesnière, volutamente "teatrale", è dovuta al fatto che egli descrive il funzionamento del
verbo come un petit drame, cui partecipano degli attori che agiscono in certe circostanze. A detta di Tesnière:
- il verbo esprime il dramma;
- agli attori corrispondono gli attanti (che noi chiameremo valenze), che "fanno corpo con il verbo";
- alle circostanze corrispondono i circostanti (o circostanziali), che, a differenza degli attanti, non "fanno
corpo col verbo" perché sono "essenzialmente facoltativi".
Le valenze sono in numero limitato; e precisamente:
1. alcuni verbi non hanno bisogno neppure del soggetto, come “piove”, “nevica” ed in genere i verbi
indicanti fenomeni atmosferici: tali verbi sono detti avalenti (= privi di valenza);
2. altri verbi vogliono solo il soggetto, come “nuotare” o “esistere”: tali verbi sono detti monovalenti (= con
una sola valenza);
3. altri verbi, non necessariamente transitivi, esigono, oltre al soggetto, anche un secondo complemento,
come “mangiare” (che avrà un complemento oggetto) o “sembrare” (che avrà un complemento
predicativo del soggetto) o “andare” (che avrà un complemento locativo): tali verbi sono detti bivalenti
(= con due valenze);
4. altri verbi vogliono, oltre al soggetto, altri due complementi, come “dare” (che avrà un complemento
oggetto e un complemento di termine) o “eleggere” (che avrà un complemento oggetto e un
complemento predicativo dell'oggetto): tali verbi sono detti trivalenti (= con tre valenze);
5. esistono poi rari verbi tetravalenti: sono verbi transitivi come spostare, trasferire, tradurre ecc., i quali, oltre
al soggetto, richiedono un complemento oggetto e due complementi introdotti da una preposizione
(“Paolo sposta i libri dalla sua stanza allo studio”; “traduce una poesia dal greco all’italiano”).
Rendersi conto delle valenze di un verbo, cioè cercare subito gli attanti o complementi necessari, è
fondamentale per tradurre correttamente.
Da questi, come già accennato, vanno rigorosamente distinti i circostanti o circostanziali, cioè i complementi
non necessari, che vengono aggiunti per fornire maggiori indicazioni sulle circostanze o modalità in cui si
svolge l'azione (noi li chiameremo complementi liberi) ed i complementi legati ad altri complementi
anziché al verbo (attributi, apposizioni, complementi di specificazione...), che chiameremo complementi di
secondo (terzo, quarto etc.) livello. Per praticità parleremo sempre di complementi di secondo livello
alludendo anche a quelli di livello superiore.
In base a queste regole possono essere costruiti degli schemi che visualizzano in modo intuitivo i rapporti
gerarchici tra le parti di una frase (che Tesnière chiama stemmi).
Osserva questo esempio:
Ieri Giovanni, il fratello minore di Paolo, è andato a casa di Marco.
è andato
Giovanni

il fratello


minore di Paolo
- - - - - - - - - ieri
a casa

di Marco
È facile notare che i complementi legati al verbo “è andato”, cioè le sue valenze, sono soltanto due:
“Giovanni” (soggetto) e “a casa” (locativo).
“Ieri” è un complemento libero (di tempo determinato), e perciò è stato collegato al verbo con una linea
tratteggiata; “il fratello” e “di Marco” sono complementi di secondo livello, “minore” e “di Paolo” sono
complementi di terzo livello.
Ma, come si diceva all'inizio, il concetto di valenza non è sufficiente: occorre integrarlo con quello di
reggenza, cioè, come ripetiamo, la forma morfosintattica con cui il verbo si lega ai suoi argomenti e, in
particolare, a quelli diversi dal soggetto. Concretamente, per quanto riguarda il latino e il greco, occorre
sapere con quali casi si costruisce un verbo. Per scoprirlo occorre consultare con attenzione il vocabolario:
talvolta, infatti, le reggenze non sono per nulla intuitive.
Numereremo in questo modo le reggenze (N.B.: non i casi in genere, ma solo i complementi legati!):
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Soggetto in Nominativo
Reggenza in Genitivo
Reggenza in Dativo
Oggetto in Accusativo
Reggenza in Ablativo
Reggenza preposizionale
Reggenza locativa.
Nello schema “ad albero” il verbo viene “circolato” o riquadrato (osserva l’esempio) ed i complementi legati
si collegano al verbo mediante una linea continua.
I complementi liberi non sono contrassegnati da alcun numero.
Essi hanno varie denominazioni, che già conosci dall’analisi logica (complemento di mezzo, fine, causa,
tempo…) e che bisogna di volta in volta specificare.
Si collegano al verbo mediante una linea tratteggiata (per distinguerli a prima vista dai complementi legati).
I complementi di secondo livello si suddividono in tre categorie:
a. attributi
b. apposizioni
c. adnominali
Le prime due denominazioni sono già note dall'analisi logica, la terza no.
Molto semplicemente, nella categoria degli adnominali raggrupperemo tutti i complementi di secondo
livello che non sono né attributi né apposizioni (ad esempio i complementi di specificazione, di qualità, di
materia, di paragone etc.).
Anch’essi non sono numerati; si collegano al complemento dal quale dipendono mediante una linea
continua (non possono infatti confondersi con i complementi legati, che dipendono dal verbo). Anche di
questi occorre specificare la denominazione, che invece non è necessaria per quelli "legati", risultando
evidente dai numeri.
Lo schema o stemma completo della frase precedente sarà dunque il seguente:
- - - - - - - - - ieri (c. di tempo det.)
è andato
1
7
Giovanni
a casa


il fratello (appos.)
di Marco (c. di specif.)


minore di Paolo
(attr.) (c. di specif.)