1 - L'OSSERVAZIONE DEL CIELO Orientamento celeste. La concezione di una sfera celeste, al centro della quale si trova il nostro pianeta, sebbene sia erronea, è stata ed è tuttora di grande utilità in astronomia perchè permette di individuare gli astri e di determinare la loro posizione apparente, immaginandoli tutti proiettati sulla superficie sferica del cielo. L'orientamento celeste, che fa riferimento alla sfera celeste, si basa sui seguenti elementi: - la Terra ha dimensioni trascurabili rispetto alla sfera celeste; il punto di osservazione di un astronomo coincide perciò con il centro della sfera celeste; - da un punto qualsiasi della Terra è possibile osservare metà della sfera celeste; - la circonferenza che delimita la parte osservabile del cielo, determinata dall'intersezione con la sfera celeste dal piano orizzontale passante per il punto di osservazione è l'orizzonte celeste; - il diametro della sfera celeste perpendicolare all'orizzonte nel punto di osservazione individua su di essa due punti caratteristici: il primo, al di sopra del punto di osservazione, è lo zenit, il secondo, al di sotto del punto di osservazione, è il nadir; - i punti estremi dell'asse celeste, attorno al quale paiono ruotare le stelle, sono i poli celesti: il nord e il sud celesti (proiezioni del nord e del sud geografici sulla sfera celeste); - la circonferenza passante per lo zenit, per il nadir e per i poli celesti è il meridiano celeste del luogo e il suo piano è perperndicolare all'orizzonte; - la circonferenza determinata dall'intersezione tra la sfera celeste e il piano perpendicolare all'asse terreste nel centro della Terra è l'equatore celeste (proiezione dell’equatore terrestre sulla sfera celeste); - i paralleli e i meridiani celesti rappresentano la proiezione sulla sfera celeste dei meridiani e dei paralleli terrestri. Per determinare la posizione di un punto sulla superficie dellaTerra, si fa riferimento ad un angolo di latitudine a ad un angolo di longitudine: - per latitudine si intende la distanza angolare del parallelo passante per il punto e un parallelo scelto come riferimento, cioè l'equatore, misurata verso nord o verso sud; - per longitudine si intende la distanza angolare del meridiano passante per il punto e un parallelo scelto come riferimento, cioè quello passante per Greenwich, misurata verso est o verso ovest. Analogamente, per determinare la posizione apparente di un astro sulla sfera celeste si fa riferimento alla declinazione ed alla ascensione retta: - per declinazione si intende la distanza angolare del parallelo celeste passante per l'astro e l'equatore celeste, misurata verso nord o verso sud; - per ascensione retta si intende la distanza angolare tra il meridiano passante per l'astro ed un meridiano scelto come riferimento, cioè quello passante per il punto gamma, posto nella costellazione dell'Ariete, misurata verso est o verso ovest. Moto apparente delle stelle fisse. MOTO GIORNALIERO. L'insieme delle stelle fisse e quindi l'intera sfera celeste sembra compiere una rotazione completa attorno al proprio asse, da est verso ovest, in circa 23 ore, 56 minuti e 4 secondi. Le stelle appaiono ruotare secondo circonferenze parallele all'equatore celeste. Nel nostro emisfero, la Stella Polare, assai prossima al polo nord celeste, compie una rotazione impercettibile. Altre stelle vicine alla Stella Polare (stelle circumpolari) ruotano rimanendo costantemente sopra il piano dell'orizzonte e sarebbero sempre visibili se la loro luminosità non fosse troppo debole per essere avvertita durante le ore di luce solare. Invece, le stelle più lontane dal polo compiono una parte del loro cammino apparente nascoste dal globo terrestre e si vedono sorgere ad est e tramontare ad ovest (stelle occidue). Altre ancora, infine, poste al di sotto dell'equatore celeste, sono sempre invisibili per chi si trova alla nostra latitudine. Al polo, tutte le stelle visibili sono circumpolari; all'equatore, sono visibili tutte le stelle come occidue. MOTO ANNUALE. La sfera celeste nel suo complesso sembra ruotare lentamente da est verso ovest,dicirca un grado al giorno: osservando la posizione di una stella luminosa in giorni consecutivi, alla stessa ora, appare chiaro che esse, una sera dopo l'altra, occupa una posizione sempre più avanzata sulla propria traiettoria apparente; in altre parole, sorge sempre prima e tramonta sempre prima, fino a non essere più visibile perchè cala contemporaneamente al calar del Sole. Continuando le osservazioni, si può notare che dopo un certo periodo di tempo la stella in questione torna ad essere visibile, sorgendo prima del sorgere del sole e che, giorno dopo giorno, tende ad anticipare sempre più. Questo moto può essere interpretato come un moto relativo della sfera celeste e del Sole; può quindi essere attribuito al Sole, che sembra cambiare giorno dopo giorno, alla stessa ora, di circa un grado la propria posizione rispetto alle stelle fisse, procedendo da ovest verso est, compiendo un percorso individuato da dodici costellazioni particolarmente riconoscibili, dette dello Zodiaco. Moto apparente del Sole. Ogni giorno, il Sole sembra percorrere il cielo da est verso ovest. Durante l'anno esso raggiunge sull'orizzonte altezze diverse e sorge e tramonta in posizioni via via diverse dell'orizzonte. Fin dai tempi più antichi furono identificati, nel corso dell'anno, quattro giorni particolari: - l'equinozio di primavera (21 marzo) e l'equinozio d'autunno (23 settembre): il dì ha la medesima durata della notte; il Sole sorge esattamente ad est e tramonta esattamente ad ovest; Il sole raggiunge a mezzodì una altezza sull'orizzonte che è complementare alla latitudine del luogo (o gradi al polo, che ha latitudine 90; 45 gradi da noi, che siamo a latitudine 45° N, 90 gradi all'equatore, che è a 0 gradi di latitudine) - il solstizio d'estate (21 giugno): nel nostro emisfero, il dì raggiunge la sua massima durata ; il punto del sorgere e del tramontare del Sole risultano massimamente spostati verso nord (in relazione alla latitudine di ciascun luogo: maggiore è la latitudine e maggiore è lo spostamento); nel nostro emisfero, il Sole raggiunge a mezzodì la sua massima altezza sull'orizzonte (per latitudini uguali o superiori a quelle del tropico) - il solstizio d'inverno (22 dicembre): nel nostro emisfero, il dì raggiunge la sua minima durata; il punto del sorgere e del tramontare del Sole risultano massimamente spostati verso sud (in relazione, anche in questo caso, con la latitudine di ciascun luogo); nel nostro emisfero, il Sole raggiunge a mezzodì la sua minima altezza sull'orizzonte (per latitudini uguali o superiori a quelle del tropico). Questi quattro giorni fondamentali delimitano le quattro stagioni dell'anno. Moti apparenti della luna. Anche la Luna ogni giorno sorge ad est e tramonta ad ovest. Inoltre essa cambia, giorno dopo giorno, la propria posizione rispetto alle stelle fisse, raggiungendo con sempre maggior ritardo una posizione scelta come riferimento. In altre parole, essa sorge e tramonta sempre più tardi. Prendendo in condiderazione le posizioni della Luna assunte sulla volta celeste, giorno dopo giorno, alla stessa ora, la Luna pare compiere, rispetto alla volta celeste, un giro da ovest verso est ( in senso inverso rispetto a quello della rotazione diurna) in poco meno di un mese. Questo moto mensile è correlato altresì alle fasi lunari: dopo il novilunio, una prima sottile falce lunare appare visibile a ovest, bassa sull'orizzonte, subito dopo il tramonto del sole, e non tarda a tramontare, anch'essa ad ovest. Nelle sere successive, la Luna, osservata alla stessa ora, appare sempre più alta sull'orizzonte, e tramonta sempre più tardi. Due settimane dopo, giunta nella fase di plenilunio, essa sorge ad est mentre il sole sta tramontando ad ovest e tramonta ad ovest all'alba. Nel periodo successivo, il sorgere della luna appare sempre più ritardato rispetto al tramontare del sole, mentre all'alba la Luna è sempre più alta sull'orizzonte; la porzione illuminata del disco lunare decresce costantemente, passando attraverso la fase di quarto, fino ad annullarsi, circa due settimane dopo il plenilunio. Siamo di nuovo al novilunio, ed il ciclo lunare riprende. Moti apparenti dei pianeti. I cinque pianeti osservabili ad occhio nudo (seppure, alcuni, con difficoltà), partecipano alla normale rotazione diurna della sfera celeste ma cambiano gradualmente la loro posizione rispetto alle stelle fisse, come il Sole e la Luna. Le traiettorie apparenti che essi compiono tra le stelle fisse sono di sconcertante complessità. Dei pianeti, Mercurio è visibile soltanto immediatamente prima del sorgere del Sole o immediatamente dopo il suo tramonto; Venere è osservabile solo nelle prime ore della sera o nelle ore precedenti l'alba: il moto di questi due pianeti sembra quindi comportare una oscillazione, ora in avanti ora all'indietro, rispetto al Sole. A loro volta anche Marte, Giove e Saturno mostrano un moto apparente prevalentemente antiorario, che talora però si inverte, procedendo in senso opposto. Anche la luminosità apparente di questi pianeti varia nel tempo. 2 - LA CONCEZIONE DELL'UNIVERSO: EVOLUZIONE STORICA I miti costituiscono i primi tentativi di interpretare i fenomeni astronomici, e i fenomeni naturali in genere. E' a partire dal 600 a.c. che, nel mondo greco, si inizia a diffondere un nuovo modo di pensare circa l'Universo: esso sarebbe una macchina governata da leggi. Le osservazioni e le scoperte astronomiche che si compiono in questo periodo sono numerosissime; probabilmente solo alcune di esse sono da attribuire agli astronomi greci, mentre la maggior parte delle conoscenze vengono attinte da altre culture, come quella babilonese. Il metodo con il quale si lavora all'interpretazione dei fenomeni naturali può essere riassunto attraverso questo schema: - si raccolgono e si ordinano le osservazioni su un dato aspetto della natura; - si enuncia un principio che riassuma le osservazioni stesse. In astronomia, i principi generali che ispirarono l’interpretazione degli antichi, da intendere come verità autoevidenti (assiomi), furono considerati i seguenti: - la Terra è immobile e fissa al centro dell'Universo; - la Terra è corrotta e imperfetta, mentre i cieli sono eterni, immutabili, perfetti; poichè, secondo i Greci, la curva perfetta è il cerchio, ne consegue che tutti i corpi celesti si devono muovere circolarmente intorno alla Terra. Le conoscenze astronomiche degli antichi Greci. La Terra era ritenuta un corpo sferico, immobile al centro dell'Universo. Tutti i corpi celesti, ad eccezione di sette, rimanevano fissi nella stessa posizione gli uni rispetto agli altri. A questi venne dati il nome di stelle fisse. Queste si trovavano su di una sfera trasparente, cava (sfera celeste), e compivano tutte assieme una rotazione intorno alla Terra, con un periodo della durata di poco meno di un giorno (per spiegare l'anticipo con cui, giorno dopo giorno, una stella assume la stessa posizione nel cielo e spiegare così il mutare delle stelle nel cielo nel corso dell'anno). Ai sette corpi celesti che non partecipavano a questo moto generale venne dato il nome di pianeti. Essi erano il Sole, la Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno; ognuno doveva compiere un'orbita circolare intorno alla Terra. Anche se questa concezione era errata, i Greci furono in grado di elaborarla in modo tale da far sì che spiegasse tutti i movimenti apparenti dei corpi celesti, così come si osservano dalla Terra. Inoltre, già nel 500 a.c. si interpretava correttamente la causa delle fasi lunari: supponendo che la Luna appaia luminosa perchè riflette la luce solare, e che abbia forma sferica, in ogni momento solo la metà di essa può essere illuminata. Mentre la Luna compie la sua orbita intorno alla Terra, cambia la porzione della metà illuminata che si può vedere dalla Terra: si susseguono così le fasi. Si comprese anche che le eclissi di Luna si verificano quando questa attraversa l'ombra proiettata nello spazio dalla Terra. Nel 300 a.c., Aristotele arrivò a concludere che la Terra è un corpo sferico perchè,durante le eclissi, essa proietta sempre sulla Luna un'ombra circolare (la sua concezione di una Terra sferica andò perduta nel corso del Medioevo). Aristotele avversava i sostenitori di una concezione eliocentrica, che già esistevano nel mondo greco, sostenendo che il moto della Terra intorno al Sole avrebbe dovuto rilettersi in uno spostamento apparente della posizione reciproca delle stelle, e ciò non si osservava ( due stelle dovevano apparire distanti di un angolo minore se osservate da più lontano; oggi sappiamo che le stelle sono così lontane dalla Terra, che un tale spostamento non poteva essere certo percepito con gli strumenti di osservazione disponibili). Nel 200 a.c., Eratostene riuscì a calcolare con strabiliante precisione le dimensioni della Terra. Con il tempo, l'osservazione dimostrò che i corpi celesti non descrivono dei semplici cerchi perfetti; ciò obbligò a ricorrere a combinazioni sempre più complicate di cerchi per spiegarne i moti.Tali combinazioni vennero esposte, verso il 150 d.c., da Tolomeo. Nel suo lavoro, sviluppò un modello dell'Universo tanto rigoroso e preciso, per le conoscenze dell'epoca, che esso fu accettato per più di tredici secoli e che fu molto difficile, anche in seguito, adeguarsi ad una visione innovativa, quella eliocentrica. Il modello tolemaico. In linea con la tradizione greca, il modello tolemaico vedeva i pianeti muoversi intorno ad una Terra immobile, seguendo orbite circolari. Poichè il moto dei pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, visto dalla Terra contro lo sfondo delle stelle fisse, è il risultato, come oggi sappiamo, della combinazione del moto della Terra e del moto che essi stessi compiono intorno al Sole, quello che si osserva è in realtà un movimento piuttosto strano: visti dallaTerra, essi si muovono ogni giorno leggermente verso est rispetto alle stelle; periodicamente, però , appare come se ciascun pianeta si fermasse, invertisse la direzione di marcia per un certo periodo (moto retrogrado), per poi riprendere il suo moto verso oriente. Spiegare accuratamente il moto retrogrado con il modello geocentrico è molto complesso, ma Tolomeo riuscì a farlo, supponendo che ognuno di questi pianeti si muovesse su un cerchio di minor diametro, l'epiciclo, il cui centro ruotava su un cerchio più grande, la deferente, intorno alla Terra. La teoria di Tolomeo risultava in accordo con le osservazioni fatte fino a quel momento (la potremmo ritenere scientificamente corretta, secondo l'accezione moderna del termine, se messa in relazione con le conoscenze del tempo). Nel corso del 1500, Copernico arrivò a convincersi che la Terra è un pianeta, come i cinque prima elencati, e che essa, con gli altri, si muove di moto circolare uniforme intorno al Sole, immobile al centro dell'Universo (anch'esso fu costretto a ricorrere agli epicicli e alle deferenti). Questo assioma permetteva di dare una interpretazione un poco più semplice ai moti apparenti degli astri, ma il supporre che la Terra sia in moto risultava molto meno "autoevidente" dell'assioma aristotelico della Terra immobile. In un certo senso, il sistema copernicano non costituisce un cambiamento cruciale nel modo di affrontare il problema: esso si limita a sostituire un assioma con un altro. Tuttavia, stimolando il dibattito sui due possibili modelli di interpretazione, la proposta di Copernico può essere considerata il punto di partenza di un processo che ha portato ad un cambiamento profondo nel modo di indagare sui fenomeni naturali e che approderà alla definizione del metodo scientifico. Il metodo scientifico. Anzichè giungere alle conclusioni attraverso una serie di generalizzazioni assunte come vere (assiomi), il metodo scientifico induttivo parte dalle osservazioni e da esse ricava delle generalizzazioni. Naturalmente anche i Greci ricavavano gli assiomi dall'osservazione; ma, mentre il filosofo greco minimizzava il ruolo svolto dalla raccolta dei dati, lo scienziato moderno considera l’induzione come l'unico modo di giustificare le generalizzazioni. Anzi, lo scienziato ammette addirittura che nessuna generalizzazione può considerarsi valida se non viene verificata mediante prove sperimentali. Secondo la concezione moderna, le teorie scientifiche sono rappresentazioni imperfette del mondo reale. Neppure il più gran numero di verifiche induttive (sperimentali) può rendere una generalizzazione completamente e assolutamente valida. Anche se miliardi di osservazioni tendono a confermare una generalizzazione, basta una sola osservazione che la contraddica o che sia incompatibile con essa per obbligarci a modificarla. Indipendentemente dal numero di volte in cui una teoria supera con successo ogni verifica, non può esistere la certezza che essa non venga falsificata dall'osservazione successiva. Alla fine del 1500, Brahe misurò sistematicamente e con grande precisione le posizioni dei corpi celesti per un ventennio. Convinto della validità dell'ipotesi geocentrica, egli si proponeva di dimostrarne la superiorità attraverso i dati che andava raccogliendo. Nel suo lavoro, fu affiancato negli ultimi tempi da un giovane astronomo, Keplero. Questi, sulla base dei dati rilevati dal maestro, propose un modello di Universo eliocentrico in grado di rappresentare in modo molto più accurato il moto dei vari pianeti. Innanzitutto, si rese conto dell'impossibilità di far coincidere le osservazioni con le successive posizioni dei pianeti previste da un'orbita circolare. Arrivò così alla conclusione che le orbite dei pianeti dovessero essere ellittiche (prima legge). Allo stesso tempo si rese conto che la velocità orbitale dei pianeti varia in modo prevedibile: essi sono più veloci quando transitano più vicini al Sole (seconda legge). Dopo un intenso lavoro, durato più di dieci anni, Keplero riuscì infine a correlare i dati sui moti dei vari pianeti, scoprendo una relazione tra i periodi orbitali e la loro distanza media dal Sole (terza legge). Prima legge di Keplero. La traiettoria di un pianeta intorno al Sole è un'ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. Seconda legge di Keplero. Ogni pianeta ruota intorno al Sole con una velocità tale che una linea che lo unisca al Sole spazza aree uguali in tempi uguali. Terza legge di Keplero. Il quadrato del periodo orbitale di ciascun pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole. Nel '600, Galileo Galilei fornì la prova sperimentale decisiva a favore del modello eliocentrico. Intuendo le potenzialità di un nuovo strumento ottico messo a punto da un costruttore di lenti olandese, Galileo si informò a riguardo e riuscì, con notevole abilità pratica, a costruirsi un tale oggetto, in grado di produrre immagini ingrandite degli oggetti. Con il telescopio, Galileo riuscì a compiere nuove osservazioni astronomiche. Tra l'altro, potè osservare le fasi di Venere, poco evidenti se osservate ad occhio nudo, accorgendosi che il modo con cui esse avvengono è in accordo con le previsioni che è possibile effettuare attraverso l'ipotesi eliocentrica, mentre risulta in contraddizione con l'ipotesi geocentrica. L'osservazione delle fasi di Venere può essere considerata la prima prova sperimentale a favore della teoria eliocentrica e contro la teoria geocentrica. Galileo ha il merito di aver affermato l'importanza della sperimentazione nello studio dei fenomeni naturali. Egli ha messo in primo piano il processo induttivo rispetto al metodo deduttivo, come metodo logico della scienza. Le scoperte di Galileo. - Giove ha dei satelliti (la terra non è quindi, in nessun caso, l'unico centro di movimento); - i pianeti appaiono al telescopio come dischi, mentre le stelle risultano puntiformi (probabilmente, i primi hanno natura simile a quella della Terra); - la Luna ha una superficie irregolare, con montagne, pianure, crateri (è simile alla Terra); - la superficie del Sole presenta delle macchie; studiandone il movimento, si può concludere che il Sole è dotato di un moto di rotazione (anche il Sole ha irregolarità superficiali ed è dotato, come la Terra, di un moto di rotazione); - Venere può essere osservata in tutte le fasi; essa appare tanto più piccola quanto più è vicina alla fase piena (in tale posizione, essa deve trovarsi a maggior distanza della Terra, come si può prevedere nell'ipotesi eliocentrica). Con le leggi di Keplero si definì con precisione la geometria del sistema solare. Nulla si sapeva, però, delle forze che determinano il moto degli astri. Ci si chiedeva: cosa spinge i pianeti sulla loro orbita? Con Newton, il problema si pose diversamente. Infatti, enunciando la prima legge della dinamica, secondo cui un oggetto in moto continua a muoversi a velocità costante ed in linea retta se nessuna forza esterna agisce su di esso, egli trasformò così la domanda: quale forza impedisce ai pianeti di muoversi di moto rettilineo nello spazio? Studiando la caduta dei gravi, Newton arriva a formulare la legge di gravitazione universale, secondo la quale i corpi si attraggono. La forma ellittica delle orbite dei pianeti sarebbe il risultato della combinazione della forza di attrazione gravitazionale del Sole e della tendenza dei pianeti a mantenere il loro moto rettilineo, a velocità costante; l'orbita è la traiettoria che risulta dalla combinazione di un moto rettilineo e di un moto di caduta. L'attrazione gravitazionale si esercita anche tra pianeta e pianeta e provoca perturbazioni nel moto. Legge della gravitazione universale. Due corpi qualsiasi si attraggono con una forza proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Il modello del sistema solare che andava via via definendosi nel corso del '600 presentava ancora una grossa lacuna: non si aveva la minima idea di quale fossero le distanze assolute in gioco. Prima che questo secolo, di così grandi scoperte in campo astronomico, volgesse al termine, anche questo problema fu risolto. Cassini misurò in Francia la posizione di Marte rispetto alle stelle mentre contemporaneamente Richer compiva in Guyana francese la stessa osservazione. Combinando i due dati e applicando il metodo della parallasse, si riuscì a misurare la distanza Terra-Marte e a ricavare tutte le altre distanze tra i corpi del sistema solare (si ricordi che, attraverso la terza legge di Keplero, erano già state valutate le distanze relative dei vari pianeti dal Sole). Metodo della parallasse. Se si osserva un oggetto da due punti di vista differenti, esso sembrerà spostarsi rispetto allo sfondo. Ripetendo l'osservazione dagli stessi punti di vista e aumentando via via la distanza dell'oggetto, lo spostamento apparente dell'oggetto sullo sfondo sarà sempre più piccolo. L'entità dello spostamento può essere messa in relazione, quindi, con la distanza dell'oggetto. Ampliando la "linea di base", cioè la distanza tra i due punti di vista, si amplifica l'effetto di spostamento apparente. La linea di base deve essere quindi tanto più ampia quanto più l'oggetto è distante, perchè sia apprezzabile il suo spostamento apparente. La linea di base può essere ampliata fino al limite di 12800 km, la misura del diametro terrestre: l'angolo di parallasse che ne risulta, diviso per due, prende il nome di parallasse geocentrica o terrestre. Dopo che si è riusciti a calcolare le distanze all'interno del sistema solare, e precisamente la distanza media Terra-Sole, è stato possibile applicare il metodo della parallasse eliocentrica o annua, che viene definita come la metà dell'angolo di parallasse che risulta, data una linea di base pari al diametro dell'orbita terrestre (300 milioni di km); ovviamente, le osservazioni che permettono di valutare lo spostamento apparente di un oggetto devono essere fatte a distanza di sei mesi una dall'altra, quando la Terra si trova in due punti diametralmente opposti della sua orbita intorno al Sole. Fino al 1700, le stelle poterono essere considerate come piccoli oggetti luminosi incastonati nella volta solida del cielo, appena al di là dei limiti del sistema solare. Già molti astronomi avevano formulato l'ipotesi che si trattasse invece di Soli molto distanti, ma si trattava di opinioni non suffragate da nessuna prova. Nella prima metà del '700, Halley si rese conto che alcune tra le stelle più brillanti non occupavano più precisamente le stesse posizioni che sono state documentate dai Greci. Egli giunse alla conclusione che in realtà le stelle non fossero fisse, ma mostrassero un moto proprio, malgrado ciò avvenisse tanto lentamente da poter essere apprezzato solo in intervalli di tempo molto lunghi. Una volta accertato il moto proprio delle stelle, si cominciò a sospettare che questo fosse un indizio della distanza delle stelle: le stelle dotate di un maggior moto proprio sarebbero state, in questa ipotesi, le più vicine a noi, mentre quelle apparentemente non dotate di moto proprio, ci sarebbero sembrate ferme per la loro enorme lontananza. Gli sforzi per la determinazione delle distanze stellari si concentrarono quindi sulle stelle dotate di maggior moto proprio e finalmente, con il perfezionarsi dei telescopi, si riuscì a misurare la prima parallasse stellare, con il metodo della parallasse annua. Nel 1838, Bessel affermò che la stella 61 Cigny aveva una parallasse annua di 0,31 secondi di grado. Ciò corrispondeva ad una distanza di circa 100 000 miliardi di km, cioè 9 000 volte l'ampiezza del nostro sistema solare. Nel corso del 1800 si riuscirono con questo metodo a valutare le distanze di qualche decina di stelle: la stella più vicina è Proxima Centaury, ha una parallasse di circa 0,76 secondi di grado. Nel corso del 1900, il metodo della parallasse annua ha consentito di calcolare le distanze di qualche migliaio di stelle. Un milione di miliardi di km costituiscono, grosso modo, la distanza limite valutabile con questo metodo, con adeguata precisione. Ma innumerevoli stelle stanno ancora più lontane. Con la misurazione delle distanze stellari si acquista sempre maggior consapevolezza del fatto che la terra, l'intero sistema solare, l'insieme delle stelle più vicine non sono che una parte infinitesima dell'Universo. Unità di misura in astronomia. Unità astronomica: distanza media Terra-Sole U.A.= 149 600 000 km Parsec: distanza a cui si troverebbe una stella, se avesse una parallasse annua di un secondo di grado. Parsec= 30 900 miliardi di km Anno luce: distanza percorsa dalla luce in un anno. La velocità della luce è di 300 000 km/sec. a. l. = 9 460 miliardi di km Abbandoniamo ora il criterio di parlare in ordine cronologico delle scoperte astronomiche: siamo arrivati alle soglie del 1900, che è un secolo di scoperte rivoluzionarie in questo campo della scienza; i nuovi dati e le nuove interpretazioni si susseguono a ritmo incalzante; questo è un processo in atto tuttora, che probabilmente farà sì che le teorie che oggi studiamo, che sono ritenute attendibili per lo stato attuale delle conoscenze, verranno presto aggiornate, modificate. Prima di affrontare lo studio degli strumenti, tecnici e teorici, che oggi abbiamo a disposizione per indagare sull'Universo, prima di studiare sistematicamente i dati raccolti nel corso del nostro secolo e l'interpretazione che ne è stata data, vediamo in estrema sintesi quali sono i punti che caratterizzano la concezione attuale dell'Universo: - L'Universo sensibile è finito; il suo confine si pone a 15 miliardi di anni luce da noi; - l' Universo ha origine 15 miliardi di anni fa in una immane esplosione iniziale, il Big Bang; - da quel momento, l'Universo stà espandendosi, evolvendo verso una situazione di sempre minor densità; il processo potrebbe continuare indefinitamente o invertirsi. Per quel che riguarda le stelle, oggi sappiamo che: - sono sfere di gas ad alta temperatura, nelle quali si svolgono reazioni nucleari e che irradiano l'energia prodotta in ogni direzione dello spazio; - anche le stelle evolvono: nascono, raggiungono uno stadio di maturità, invecchiano e muoiono; - le stelle si raggruppano in ammassi di stelle; insiemi molto numerosi di stelle sono le galassie; - anche le galassie si raggruppano, a formare ammassi di galassie: la galassia a cui appartiene il nostro Sole è la Via Lattea, che fa parte dell'ammasso di galassie detto Gruppo Locale. 3 - ELEMENTI DI ASTROFISICA. Telescopi. I telescopi sono strumenti che consentono di ottenere una immagine ingrandita di un oggetto, attraverso un sistema di lenti o di specchi. Se un oggetto è talmente lotano che i raggi provenienti da esso possono essere considerati paralleli, le lenti (o gli specchi) faranno convergere tutti i raggi nel fuoco, e l'immagine dell'oggetto risulterà essere un punto. Le immagini delle stelle sono sempre puntiformi, perchèsi tratta di oggetti infinitamente lontani. Il potere di ingrandimento di un telescopio non è molto rilevante ai fini dell'osservazione delle stelle; in questo caso, per avere immagini più chiare, per esempio di oggetti lontani e poco luminosi, occorrerà raccoglierne la luce su una lente (o uno specchio) di grosse dimensioni perchè i raggi, concentrati nel fuoco, formino un punto luminoso percepibile. Per questo i telescopi più grandi possono vedere meglio e più lontano rispetto a quelli di piccole dimensioni, consentono di ottenere immagini più nitide e dettagliate: hanno maggior potere risolutivo. I più grandi telescopi montano lenti (o specchi) di diametro dell'ordine dei metri. La luminosità di una stella, osservata al telescopio, viene misurata con i fotometri. I telescopi inquadrano una ristretta porzione di cielo. Per osservare una stella occorre quindi "inseguirla" nel suo moto apparente intorno alla Terra. Per questo motivo i telescopi dispongono di un motore che li fa ruotare con velocità angolare pari a quella di rotazione apparente della sfera celeste. L'asse di detta rotazione deve essere perpendicolare a quello dell'equatore celeste. Per questo motivo è vantaggioso montare i telescopi su un piano parallelo al piano dell'equatore celeste (montatura equatoriale). Spettri, spettrografi, spettri stellari. La luce bianca è costituita da radiazioni di varia lunghezza d'onda, che sono separabili con l'ausilio di un prisma trasparente, sfruttando l'effetto della diffrazione. Determinati intervalli di valori di lunghezza d'onda vengono percepiti come diversi colori: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto, passando dalle onde più lunghe alle più corte. La luce bianca visibile non rappresenta, del resto, che una porzione piccolissima dell'intero spettro delle onde elettromagnetiche. A lunghezze d'onda minori si estende il campo dell'ultravioletto, a lunghezze d'onda maggiore si estende il campo dell'infrarosso. La luce ha una doppia natura, corpuscolare e ondulatoria, cioè è formata di corpuscoli, i fotoni, cui è associata una un'onda di lunghezza determinata, dipendente dall'energia della radiazione. E = h E = energia h = costante di Plank = frequenza L'energia associata alla radiazione è proporzionale alla frequenza, e perciò è inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda: la radiazione di colore blu è più energetica di quella rossa. Un corpo portato all'incandescenza e scaldato progressivamente, assume prima colore rosso, poi giallo, poi blu, in rapporto alla quantità di energia ricevuta. Gli atomi del corpo, assorbita l'energia, la riemettono sotto forma di fotoni, tanto più energetici quanto più alta è la temperatura. La luce emessa da un corpo incandescente può essere analizzata allo spettroscopio, per ottenerne lo spettro. Si distinguono spettri di emissione e spettri di assorbimento. Spettri di emissione: - continui: quelli ottenuti portando all'incandescenza corpi solidi, liquidi o gassosi ad alta pressione; - a righe luminose: quelli ottenuti da gas rarefatti molto caldi, allo stato atomico; ad ogni atomo corrispondono delle precise righe spettrali. Se detti gas si trovano allo stato molecolare, le righe si infittiscono e si sommano a formare bande luminose; ad ogni tipo di molecola corrisponde un ben preciso spettro a bande. Spettri di assorbimento: se una radiazione bianca passa attraverso un gas rarefatto, avente temperatura minore, il gas assorbe alcune lunghezze d'onda. Si tratta delle stesse lunghezze d'onda che il gas emetterebbe all'incandescenza. Il raggio luminoso, esaminato allo spettroscopio, produce uno spettro a righe (o a bande) nere, corrispondenti alle lunghezze d'onda assorbite. Gli spettri stellari si ottengono attraverso l'uso di spettrografi. Il raggio di luce proveniente dalla stella viene focalizzato dal telescopio sullo spettrografo, che disperde e separa attraverso un prisma i raggi corrispondenti alle varie lunghezze d'onda. Ciascun raggio monocromatico viene fatto convergere su una lastra fotografica. L'immagine che si raccoglie è lo spettro della stella. Gli spettri stellari sono spettri di assorbimento. Ogni stella presenta uno strato opaco alle radiazioni provenienti dagli strati sottostanti e responsabile dell'emissione di uno spettro continuo: si tratta della fotosfera. Al di sopra della fotosfera si estende l'atmosfera stellare, meno densa e più fredda, trasparente alla maggior parte della radiazione proveniente dalla stella, responsabile dell'assorbimento di alcune lunghezze d'onda. Le righe nere degli spettri stellari sono correlabili agli atomi e alle molecole presenti nelle atmosfere stellari, nonchè alle condizioni fisiche (soprattutto temperatura) compatibili con la loro presenza. Effetto doppler. Se un'onda si propaga da una sorgente in moto rispetto all'osservatore, la lunghezza d'onda apparirà deformata all'osservatore stesso: sembrerà più lunga se la sorgente è in allontanamento, più corta se la sorgente è in avvicinamento. Negli spettri stellari, l'effetto doppler si manifesta come spostamento generale delle righe di assorbimento, correlato alla componente radiale del moto della sorgente attraverso la relazione: = ov/c =variazione di lunghezza d'onda o =lunghezza d'onda della riga osservata v =componente radiale della velocità della fonte c =velocità della luce. Lo studio dell'effetto doppler si è rivelato uno strumento prezioso in astronomia. E' stato, per esempio, possibile : - ottenere una prova diretta del moto di rivoluzione terrestre e valutare la velocità della Terra sulla sua orbita, studiando gli spostamenti delle righe spettrali di una stella, posta sul piano dell'orbita (il moto della Terra intorno al Sole determina alternativamente, di sei mesi in sei mesi, un avvicinamento e un allontanamento dalla stella: le righe spettrali appaiono periodicamente spostarsi verso il blu e verso il rosso); - scoprire l'esistenza di sistemi doppi di stelle, con piani di rotazione parralleli rispetto alla direzione dell'osservatore, individuando periodici sdoppiamenti delle righe spettrali (poste in determinati punti della loro orbita, diametralmente opposti, le due stelle assumeranno, contemporaneamente, l'una la massima velocità di avvicinamento alla Terra, l'altra la massima velocità di allontanamento); - individuare la natura degli anelli di Saturno, valutando, attraverso l'effetto doppler, le velocità radiali delle zone prossimali e distali di un disco (le parti distali appaiono muoversi più lentamente rispetto a quelle prossimali, e il rapporto tra le due velocità risulta essere in accordo co la terza legge di Keplero: ciò significa che i corpi che formano gli anelli sono in orbita attorno al pianeta come i pianeti intorno al Sole, e non formano invece un insieme coerente e compatto); - scoprire la rotazione delle galassie, valutando le diverse velocità radiali lungo il piano di rotazione; - scoprire l'allontanamento delle galassie esterne al Gruppo Locale, valutarne la velocità e scoprire la relazione tra velocità e distanza enunciata dalla legge di Hubble: v=Hd v= velocità di allontanamento d = distanza da noi H = 65, se la velocità è misurata in km al secondo e la distanza in 106 pc. Il fenomeno della recessione delle galassie, rispetto alla nostra, non implica che la nostra galassia sia al centro dell'Universo conosciuto, ma piuttosto che in ciascun punto dell'Universo il fenomeno si manifesterebbe allo stesso modo. Se si fa l'ipotesi che tutto l'Universo osservabile sia il risultato di una grandiosa esplosione iniziale, il Big Bang, e che le galassie da allora si allontanino l'una dall'altra, ciascuna dotata di una propria velocità, allora, quelle scagliate via più violentemente dovrebbero trovarsi anche a distanze maggiori, in accordo con la lege di Hubble. Se la velocità di recessione si fosse mantenuta inalterata, il tempo intercorso tra la grande esplosione ed oggi sarebbe valutabile attraverso la legge di hubble e varrebbe 14 miliardi di anni.. Radiotelescopi. L'energia emessa dalle stelle è associata a radiazione elettromagnetiche visibili, ma anche invisibili. E' possibile indagare più a fondo su una stella studiando anche il suo spettro invisibile. Sulla superficie della Terra bisogna fare i conti con l'assorbimento da parte dell'atmosfera di buona parte delle radiazioni. Una accettabile trasparenza dell'atmosfera la si ha solo per la banda ottica e per la banda radio. Perciò, accanto ai telescopi ottici, nell'ultimo quarantennio sono stati largamente usati i radiotelescopi, sensibili alle radiazioni di lunghezza d'onda d'ordine di grandezza dei cm. Per indagare in altre zone dello spettro occorre portare gli strumenti di osservazione al di fuori dell'atmosfera terrestre: anche questo è stato attuato; sonde e satelliti ci inviano notizie dallo spazio, rilevando dati che non potrbbero essere raccolti da terra. Radiosorgenti. Sorgenti concentrate di onde radio sono state individuate sia all'interno della galassia che al suo esterno. L'interpretazione di queste emissioni ha consentito i più importanti progressi in campo astronomico negli ultimi decenni. All'esterno della galassia, si è notato che le altre galassie mostrano talvolta emissioni radio molto debole, talvolta emissioni radio paragonabili all'emissione ottica, mentre in alcuni casi è proprio l'emisssione radio a prevalere. Agli estremi limiti dell'universo, a miliardi di a.l. di distanza, si sono individuate le quasar corpi di dimensioni abbastanza piccole, emananti delle quantità inusitate di energia, soprattutto in banda radio: si tratta delle quasar. Siccome si è rilevato che una forte emissione radio è spesso associata a fenomeni di tipo esplosivo, l'emissione radio delle varie galassie sembrerebbe correlata alla loro "turbolenza". Si pensa che le galassie più "turbolente" rappresentino gli stadi giovanili della loro evoluzione; non a caso gli oggetti più "turbolenti" sono anche i più lontani da noi, e l'immagine che noi oggi ne raccogliamo dista da noi, nel tempo, miliardi di anni. Potrebbe darsi che oggi le quasar siano evolute in normali galassie. Forti emissioni radio sono state rilevate in galassie che sembrano collidere tra loro. All'interno della galassia, le radiosorgenti più interessanti sono le nubi di gas in espansione, che sembra abbiano avuto origine da immani esplosioni stellari. Infatti alcune di esse occupano le posizioni nelle quali, in tempi storici, sono state segnalate le supernove, quelle stelle che all'improvviso aumentano di milioni di volte la propria luminosità. La Crab Nebula, o Nebulosa del Granchio, occupa nel cielo la posizione nella quale è stata segnalata nel 1056 l'esplosione della più grande supernova del millennio. All'interno di queste nubi gassose, sono state individuate radiosorgenti piccolissime e intermittenti. Oggi si accetta generalmente l'ipotesi che si tratti di stelle a neutroni - stelle piccolissime, densissime, in rapida rotazione - che costituiscono i resti delle antiche stelle esplose. L'intermittenza delle radiazioni che emanano (da cui il nome di pulsar) sarebbe dovuta al fatto che, per il forte campo magnetico, la materia con cui il residuo stellare interagisce viene deviata solo verso i poli magnetici. L'emissione elettromagnetica che ne risulta verrebbe quindi emessa solo dai poli magnetici della stella. Se essi non coincidono con i poli geografici, il raggio di radiazioni emesso ruoterà nello spazio come la luce di un faro. Un osservatore che si trovi sulla traiettoria dl raggio ne sarà colpito periodicamente.