Approfondimento I
Leopardi e Copernico
1. Leopardi e l’astronomia
Autore di una Storia dell’Astronomia, curioso di questioni scientifiche che vanno
dalla fisiologia animale alla meccanica, Giacomo Leopardi è un copernicano.
Per noi oggi quest’espressione significa poco più che niente. Tutti siamo infatti
“copernicani”. Non si trova più nessuno a cui sia necessario spiegare che è sbagliato
quanto all’apparenza ci sembra, cioè che il Sole giri intorno alla Terra. E' una cosa che
sappiamo tutti fin da bambini.
Se in un'Italia che non è più contadina si nasce copernicani, fino a qualche
decennio fa copernicani si diventava, istruendosi. All'epoca di Leopardi, quando
l'analfabetismo era assai diffuso, il copernicanesimo – cioè l'essersi a fatica emancipati
da un punto di vista condiviso invece dalla generalità delle persone in quanto ovvio (per
cui il Sole girerebbe attorno alla Terra) – nient'altro indicava se non l'avere accettato e
fatto propri alcuni principi su cui s'era venuta fondando tutta una nuova cultura, una
nuova concezione del mondo. L'accesso a questa cultura segnava il confine tra classe
dirigente e classi subalterne.
Fino a tutto l’Ottocento e anche dopo i ragazzi, salvo rare eccezioni,
apprendevano come fosse fatto il Sistema solare a scuola. Sicché essere copernicani
significava essere allora nella condizione di aver compreso le ragioni che rendessero
valida una teoria scientifica e i motivi per cui tale teoria potesse pretendere d’essere più
giusta rispetto a un’altra. Se insomma la cosa non significava essere degli scienziati,
comportava però l'acquisizione di tutta una serie di cognizioni, senza le quali non
sarebbe stato possibile essere arbitri su una questione complessa e dare ragione a
Copernico contro Tolomeo, uno dei più grandi astronomi dell’antichità.
Per capire in che senso Leopardi fosse copernicano, vanno perciò ricordate
sommariamente alcune cose. La prima è che quando Leopardi si forma il Dialogo sopra
i massimi sistemi di Galilei è ancora all’Indice ed è un libro che è, almeno
ufficialmente, proibito leggere, anche se ormai perfino negli ambienti ecclesiastici non
mancano persone che si dichiarano apertamente a favore della teoria copernicana.
La seconda cosa è che quella di Tolomeo non è l’idea puerile di chi alzando gli
occhi al cielo e vedendo che ogni giorno il Sole sorge e tramonta, pensa “naturalmente”
che il Sole compia ogni giorno un giro intorno alla Terra. Se questa visione,
tradizionalmente accolta dalla cultura popolare, è quella da cui parte lo stesso Leopardi
nel Copernico, egli sa benissimo che è ben diversa la questione intorno ai due massimi
sistemi per come furono tra loro confrontati da Galilei nell’omonimo Dialogo che il
grande scienziato italiano aveva concepito due secoli prima.
2. Il punto di vista tolemaico e il punto di vista copernicano
Il sistema tolemaico spiegava col moto del Sole il passaggio da un anno a quello
successivo. Il movimento che, secondo Tolomeo compie il Sole, è quello che Copernico
attribuisce invece alla Terra.
Chi abbia letto la Commedia di Dante sa, del resto, che per Dante la successione
degli astri è la seguente: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, a cui
segue il “cielo delle stelle fisse”. A dare ragione a Tolomeo (e a Dante) c’è il fatto che
l’ordine delle distanze che separano ciascuno di questi astri alla Terra è esattamente
quello che corrisponde a questa successione, con l’eccezione di Mercurio e di Venere.
Proprio il movimento di questi due pianeti, le cui orbite sono, secondo la teoria
copernicana, “interne” all’orbita della Terra, ci aiuta a capire la maggiore plausibilità
della teoria copernicana rispetto a quella tolemaica. Vediamo perché.
Per chi dalla Terra osservi il cielo, si nota che il movimento della Luna è il più
“veloce”. La Luna impiega 28 giorni per tornare nella stessa posizione; Mercurio circa
166; Venere 224, il Sole quasi 366… E’ naturale da parte dell’osservatore concludere
che questi corpi disegnino rispetto alla Terra un’orbita sempre più larga fino ad arrivare
a Giove e a Saturno che per tornare nella stessa posizione impiegano rispettivamente
ben 11 anni e 315 giorni l’uno e 29 anni e 167 giorni l’altro.
C’erano peraltro delle difficoltà, note già nel mondo antico, che non si spiegavano
facilmente assumendo per vera la teoria tolemaica che, per il fatto di supporre che la
Terra sia al centro dell’universo è comunemente detta geocentrica, in contrapposizione
a quella eliocentrica sostenuta da Copernico. Mentre, a ricostruire le orbite di Marte,
Giove e Saturno, si vedeva che il tracciato in cielo era di un continuo progredire per
posizioni sempre più avanzate, risultava che Mercurio e Venere disegnassero in cielo,
in certe situazioni, dei moti “retrogradi” che furono detti epicicli, formando allo
sguardo dell’osservatore posto sulla Terra, come dei piccoli cerchi su quello maggiore
che ne descriveva la possibile traiettoria. Da Copernico in poi è facile capire che tutto
ciò è dovuto proprio alla posizione della Terra che, posta in realtà dove Tolomeo
poneva il Sole, “corre”, in certe situazioni che regolarmente si presentano, più
lentamente dei due pianeti “interni”. Questi “sorpassi” comportano un apparente moto
retrogrado.
Gli scienziati sanno peraltro che la questione degli epicicli non è sufficiente per
dare definitivamente ragione a Copernico contro Tolomeo, il quale riesce altrimenti a
spiegare comunque il fenomeno. A “dare ragione a Copernico” è stata più che non
l’osservazione degli astri, l’idea di Galileo prima e di Newton dopo di applicare alla
“meccanica celeste” le leggi della fisica di laboratorio. Secondo il modello newtoniano
c’è un preciso rapporto tra masse, distanze e movimenti di rivoluzione dei pianeti. La
grande massa solare, porta a concludere Newton, “attrae” i corpi più piccoli che le
ruotano attorno con una forza che è direttamente proporzionale alla somma delle masse
del Sole e del singolo pianeta ed è invece inversamente proporzionale al quadrato della
distanza tra il Sole e il pianeta che volta per volta prendo in considerazione. Occupando
il Sole uno dei due fuochi dell’ellisse che disegna il pianeta nel compiere un intero giro
attorno al Sole, i pianeti, come altri corpi del “sistema solare” (fra cui le comete) si
allontano e si avvicinano, man mano che vengono compiendo la loro “orbita”.
La teoria di Newton, nota come la teoria della gravitazione universale, nonché gli
studi condotti da altri fisici come Christian Huygens (1629 – 1695) e Jean Léon
Foucault (1819 – 1868) resero nel tempo, agli occhi della comunità degli studiosi,
sempre più convincente la teoria copernicana, della quale oggi possiamo dare una
“prova”. Qualsiasi astronave muovesse verso il Sole attraverserebbe prima l’orbita di
Venere, quindi quella di Mercurio. Qualsiasi astronave muovesse verso Plutone non
incontrerebbe l’orbita del Sole, perché è appunto il Sole ad essere”fermo” e la Terra a
girargli attorno, come fanno del resto gli altri pianeti.
Concludendo, va fatto presente come, rispetto all’età di Dante quando si
conoscevano, oltre alla Luna, i maggiori sei pianeti, le osservazioni astronomiche
hanno nel tempo chiarito che, a far parte del Sistema solare ci sono nove pianeti, a cui
bisogna aggiungere numerosi satelliti che ruotano attorno ad essi come la Luna ruota
intorno alla Terra e che, a voler considerare solo i più importanti tra questi satelliti, ci
troviamo di fronte ad altri 33 corpi celesti di considerevoli dimensioni. Ai 42 corpi
facilmente osservabili perfino con gli strumenti di cui possiamo disporre in casa (un
normale cannocchiale), vanno aggiunti i cosiddetti “pianetini”, cioè quei corpi celesti di
varia dimensione e, salvo eccezione, generalmente “piccoli” che sono stati individuati,
grazie ai telescopi, nello spazio che separa Marte da Giove e che si pensa siano nati
dall’esplosione di un pianeta. Se a tutto questo si aggiungono le comete, le meteore e le
polveri, il solo Sistema solare, cioè una porzione infinitesima ancor più che non minima
dell'universo, comprende già all’epoca di Leopardi centinaia e centinaia di corpi celesti,
la cui esistenza era comprovata da osservazioni regolari.
3. Il Sistema solare come era concepito all’epoca di Leopardi
Quanto al Sole, è una stella situata in una regione della Via Lattea, quell’ammasso
di stelle di forma oblunga che vediamo in cielo e che è composto da un gran numero di
stelle e di “sistemi” simili al nostro Sistema solare. All’epoca di Leopardi ci si basava
generalmente sulle stime fatte dall’astronomo Fredrich William Herschel (1738 –
1822), il quale nella seconda metà del Settecento aveva considerato che le stelle facenti
parte della Via Lattea fossero circa 100 milioni. Leopardi nella Ginestra si mostra
informato del fatto che non solo la “Via Lattea” comprenda un gran numero di stelle,
ma che esistano anche moltissime altre “nebulose” (o galassie) che, secondo stime
recenti, sarebbero oltre i due milioni.
All’epoca di Leopardi non era ancora nata la cosiddetta “radioastronomia”, che
consente fra l’altro di meglio calcolare le distanze tra i vari corpi celesti, oltre che la
loro individuazione. E’ certo comunque che l’infinito astronomico, per come Leopardi
lo intese, è molto vicino alla nostra concezione e molto lontano invece da quella di
Tolomeo.
4. Il copernicanesimo di Leopardi
Il copernicanesimo di Leopardi ha quindi due conseguenze. La prima è che è
sbagliato ritenere che la Terra sia il punto verso cui naturalmente convergono tutte le
materie pesanti, luogo di caduta, di male. Questa antica teoria, supportata dall’autorità
di Aristotele che distingueva due moti quello verso il basso e quello verso l’alto, aveva
per secoli declinato insieme una visione cosmologica e una visione morale. Di qui la
necessità che Leopardi avverte che consiste nel correggere oltre all'una anche l'altra. La
Terra non è altro che uno dei tanti pianeti del Sistema solare che ne ha di
numerosissimi, specie considerando – come abbiamo già prima ricordato – le “lune” dei
pianeti propriamente detti, cioè i satelliti che ruotano attorno ai corpi maggiori e che,
dall’epoca di Galilei in avanti, furono scoperti sempre più numerosi.
Si tratta di un punto di vista ormai largamente condiviso da quanti tengano a
qualificarsi come persone “colte”. Eppure un tale punto di vista presenta all'epoca di
Leopardi aspetti controversi per il suo contrastare con la concezione teologica che ai
tempi di Leopardi è ancora accolta ufficialmente dalla Chiesa.
Di questi aspetti ragioneremo in un Approfondimento dedicato alla questione. Qui
dobbiamo proseguire nell'illustrare le altre implicazioni che seguono al fatto di
condividere nell'Ottocento la teoria copernicana.
La seconda conseguenza è che, alla luce delle nuove scoperte, è pure giusto che ci
si interroghi su quanto si era creduto possibile prima che queste scoperte si facessero.
E’ insomma importante capire come, da queste premesse di carattere scientifico,
Leopardi deducesse la legittimità di un sospetto, che espliciterà nella Ginestra ma che è
già implicito nelle Operette morali: il numero praticamente infinito dei “mondi” non
mette necessariamente in crisi l’idea che l’universo sia stato creato, ma rende –
questo sì – un bel po’ ridicola (agli occhi di Leopardi e di altri) la presunzione che il
Creatore stesso si sia preso la premura di informare della Sua esistenza e dell’opera da
Lui compiuta uno solo fra i tanti esseri viventi che popolano quest’angolino sperduto
dell’universo. L'ipotesi di una Rivelazione, senz’altro proponibile al tempo in cui la
Terra appariva il giardino di cui l’uomo dovesse prendersi cura, non lo è più al
momento in cui il numero di questi possibili giardini si moltiplica esponenzialmente e
non lo è soprattutto nei confronti delle innumerevoli altre forme di vita presenti sulla
Terra, come lascia già intendere il Dialogo di un folletto e di uno gnomo, uno dei primi
che il lettore incontra. Quello che Leopardi non condivide assolutamente è che un
essere umano possa arrivare a ritenere che il Creatore di un universo così grande possa
tenere in qualche considerazione il desiderio sostanzialmente egoistico di un individuo
della specie umana che si rivolga a Lui per la grazia di un “miracolo”, che, consista
magari nel guarire da una malattia o – cosa ugualmente assurda ai suoi occhi – nel
salvaguardare la specie umana dal destino d'essere prima o poi cancellata dalla faccia
del mondo. Per Leopardi questa presunzione è così sciocca da meritare d'esser messa
alla berlina, facendo continuamente presente al lettore delle Operette morali come in
questo mondo vastissimo e popolatissimo il destino dell'umanità o di un essere umano
in particolare possa considerarsi importante ai fini di un equilibrio cosmico.
Questo tema che sarà ripreso nella Ginestra si chiarisce già nelle Operette morali
dove la Natura, nel dialogo che intrattiene prima con l'anima quindi con l’Islandese,
spiega molto bene che l’uomo non ha alcuna ragione di aspettarsi che la Natura lo aiuti.
Non c’è alcuna ragione per ritenere che l’uomo, il quale, al pari degli altri esseri viventi
nasce cresce e muore, debba considerarsi tanto speciale da pretendere di andare esente
dai fastidi dell’esistenza.
Oggi ci sono teologi, anche confessionali, che prendono più sul serio obiezioni del
tipo che Leopardi sollevò nell'Ottocento, tanto più che nel tempo esse hanno acquistato
un peso crescente. Nell’Ottocento c’erano però altre concezioni e la posizione ufficiale
della Chiesa era tale da essere incompatibile con quella assunta da Leopardi.
Alla difficoltà di accordare la filosofia leopardiana con la cultura teologica
dell’Ottocento dedicheremo l’Approfondimento II, alla cui consultazione può procedere
chi abbia interesse ad avere un quadro circa una tale incompatibilità.