Leopardi e il suo saggio sui costumi: una filosofia della storia da cui contemplare l’attualità Non è un caso che negli ultimi anni siano proliferate in Italia le edizioni commentate, più o meno rigorose, o semplicemente le riedizioni di questo saggio filosofico e politico di Giacomo Leopardi. Indipendentemente dalle fastose celebrazioni del 150º anniversario della nascita della nazione italiana, che hanno fatto rivivere ogni testo che affronta l’argomento sull’Italia e gli italiani, si tratta di un’opera che continua a suscitare interrogativi e discussioni, non solo sulla concreta realtà italiana ma su tutte le nazioni europee e sul significato storico dell’Europa, come struttura dalla quale è sorta la modernità. Un’ Europa nella quale, al tempo di Leopardi ma anche oggi, la Francia e i Paesi del Nord, come l’Inghilterra e la Germania, costituiscono la voce principale di un più vasto coro: nazioni altamente civilizzate che hanno conquistato primato e protagonismo – Leopardi pensa anche all’irruzione dell’America del Nord nella storia – a differenza dei paesi meridionali come l’Italia, culla dell’antica civiltà, o di altri Paesi del Sud o dell’Europa orientale, come la Spagna, il Portogallo, la Polonia o la Russia, il cui passato splendore sembra che, per contrasto, serva soltanto ad accentuare il declino presente. Leopardi adotta una concezione simile a quella di altri pensatori dell’epoca e asserisce che la civiltà percorre una parabola che va da Oriente ad Occidente e da Sud a Nord, come il corso di una giornata che illumina la mappa del mondo; percepisce con chiarezza una divisione essenziale nella storia: una civiltà antica (orientale e meridionale) e un’altra moderna (occidentale e settentrionale), che vengono a costituire quasi due civiltà diverse. Il meridiano di quella giornata coinciderebbe con l’irruzione del Cristianesimo che segna in modo definitivo la modernità; in questo senso, Leopardi, al pari di Walter Benjamin, concepisce il Rinascimento come una continuazione dell’epoca classica antica, mentre il Medioevo, il Barocco e l’Illuminismo apparterrebbero idealmente alla Modernità. Dentro questo quadro generale, d’altra parte, è rimarchevole la differenza tra l’Italia, da un lato, e la Spagna con gli altri paesi citati. In Italia i progressi della ragione hanno distrutto, tanto nell’individuo come nella nazione, le basi e i principi metafisici che, fossero falsi o no, sostenevano i costumi (perché non bastano le leggi per disciplinare i comportamenti), senza che per ciò possano godere l’uno e l’altra dei vantaggi dei Paesi più civilizzati. L’italiano medio e l’Italia si sono trasformati, a giudizio di Leopardi, nella realtà storica più cinica e sprezzante dei valori morali, tanto nella teoria quanto – e questo è più importante – nella pratica, entro il complesso panorama europeo. Manca all’Italia l’ultimo genere di legame sociale, quello che non sparisce neppure dopo l’indebolimento dei più solidi valori (la religione, la gloria, l’idea della patria), legame del quale si avvalgono Paesi come la Francia, l’Inghilterra e la Germania; manca in Italia la società intesa in senso stretto, che Leopardi chiama società stretta e che abbiamo tradotto come sociedad estrecha; cioè, la società non presa in modo generale come «il convitto degli uomini per provvedere scambievolmente ai propri bisogni, e difendersi dai comuni danni e pericoli», ma come quel «genere più particolare di società che suole essere chiamato con questo medesimo nome ridotto a significazione più stretta, e consiste in un commercio più intimo degl’individui fra loro, e massime di quelli, che dispensati dalla loro condizione dal provvedere coll’opera meccanica delle proprie mani alla loro e all’altrui sussistenza e forniti del necessario alla vita col mezzo delle fatiche altrui, mancando de’ bisogni primi, vengono naturalmente nel secondo bisogno, cioè di trovare qualche altra occupazione che riempia la loro vita, e alleggerisca loro il peso dell’esistenza, sempre grave e intollerabile quando è disoccupata». Le idee contrapposte di società nel significato più ampio (che coglie le più primitive forme di convivenza umana) e di società stretta (sensu stricto) provengono dai Discorsi di Rousseau e dalla sua distinzione fra amore di sé (istinto di sopravvivenza) e amor proprio (senso e stima del proprio valore nei confronti degli altri), dal quale derivano le passioni sociali. L’idea dell’assenza in Italia di società nel secondo senso – come ci illustra il saggio di Rigoni, che ci guiderà nella lettura del Discorso – deriva della lettura da parte di Leopardi della Corinne di Madame de Staël. Il trionfo dell’egoismo biologico, ormai senza freno, ci disegna una realtà sociale italiana – ma qui l’Italia è il caso più emblematico di qualcosa che coincide col destino dell’Occidente – che ci deve fare riflettere. La paradossale proposta di Leopardi è questa: concepita la civiltà come un processo che si avvicina sempre di più al nichilismo, non per questo possiamo guardare nostalgicamente indietro, bensì dobbiamo capire che, percorso il primo tempo della giornata della storia universale, versato il veleno della conoscenza della nullità delle cose, ci resta soltanto da bere di quel veleno come se si trattasse di un farmaco prezioso, in modo che esso possa distruggere, secondo la sua naturale funzione, quanto di superstizioso e mistificatorio abbonda nel mondo, rafforzando così, nella mancanza dei grandi valori, la struttura della società stretta, l’idea del reciproco apprezzamento e della reciproca stima che alcuni uomini nutrono verso gli altri e, innanzitutto, sperano di ottenere dagli altri. Se non alla gloria, almeno poter aspirare all’onore come uno stimolo ai buoni costumi. Quanto alla Spagna, considerata erede dei vestigi medievali che ancora sopravvivono nel mondo, essa è una di quelle nazioni che «conservano ancora una gran parte de’ pregiudizi de’ passati secoli, e dalla ignoranza hanno ancor qualche garanzia della morale». Le luci nel mondo moderno provengono dal Nord, ed è il Nord che sembra indicare la marcia degli eventi; l’esultante bellezza della natura, i favolosi resti dell’arte classica in Italia mettono soltanto in maggiore evidenza il contrasto con l’attuale degenerazione e miseria. Ma, partendo da questa prospettiva, con profonda e lungimirante perspicacia, difficile a inseguire nel suo straordinario acume (e come traduttori abbiamo tentato di raggiungere un equilibrio quasi impossibile fra la comprensibilità del testo e la fedeltà alle sfumature dell’originale), Leopardi ci introduce nella sua particolare filosofia della storia, non esitando a dire ogni verità, bollando il cinismo degli italiani che, essendo stato il popolo più vivace e colto, è passato ad essere il più autognomo (parola coniata da Leopardi per coloro che si danno le proprie leggi d’accordo con i propri interessi), senza lasciarsi per ciò trascinare dall’ideologia imperante, cioè senza smettere di denunciare le «chimere razionali» di inglesi e tedeschi, e la conversazione indifferente e fredda del bon ton francese. Il grado di evoluzione dell’ Inghilterra e della Germania, unito al carattere nazionale e al clima, entrambi freddi, è quanto permette in questi paesi la straordinaria unione di razionalità e immaginazione, intelletto e fantasia: tratti che per Leopardi fanno della loro letteratura e filosofia, e perfino della loro filologia, le più vive e originali del mondo contemporaneo. Erudizione e genio filosofico si uniscono nel più grande poeta italiano dopo Dante, per percepire il grande valore creativo del Romanticismo di fronte alla sclerotizzazione dell’arte e della letteratura in Francia e per proporre la propria e autonoma via. La struttura retorica del testo, che riprende dal tono dei Discorsi di Rousseau lo spirito iconoclasta e polemico, non deve – come d’altra parte nel filosofo ginevrino – trarre a inganno: la riflessione raggiunge livelli di alta speculazione che situano Leopardi vicino ai grandi della filosofia della storia. Con Vico condivide la nozione essenziale del valore del Rinascimento, erede dell’Antichità, in quanto origine della civiltà e freno alla barbarie; anche per Leopardi il Medioevo è una «barbarie ritornata» che si stende fino al Barocco ed evita che l’Illuminismo arrivi a configurarsi come la continuazione dell’aurea epoca greco-romana. Grazie a questo, Leopardi, in una delle sue note, può additare Kant – che non conosce in profondità e del quale si fa un’ immagine senza dubbio filtrata dal ritratto di Madame de Staël in L’Allemagne – come uno degli ultimi «moderni» capaci di costruire un sistema filosofico, una «chimera» che integri o cerchi di integrare le ultime scoperte incontrovertibili della ragione illuminista: Se v’ha letteratura nella quale a’ tempi nostri (e ne’ prossimi passati) sieno ancora in uso i sistemi e i romanzi di opinione, questa è l’inglese, e molto più la tedesca, perché propriamente fra’ tedesci si può dire che non v’ha letterato di sorta alcuna che o non faccia o non segua un deciso sistema, e questo è per lo più, come è il solito e l’antico uso dei sistemi, un romanzo. I più pazienti ed assidui osservatori, che sono senza fallo i tedeschi, i più studiosi ed applicati a imparare e informarsi, sono per una curiosa contraddizione i più romanzeschi. In Germania e in parte anche in Inghilterra v’ha continuamente sistemi e romanzi in ogni letteratura, in filosofia qualunque, in politica, in istoria, in critica, in ogni parte di filologia, fino nelle grammatiche, massime di lingue antiche. Da gran tempo non esiste in Europa alcuna setta né scuola particolare di una tal filosofia, molto meno metafisica, fuorché in Germania negli ultimissimi tempi, e credo anche oggi, la setta e scuola, appunto metafisica, di Kant, suddivisa ancora in diverse sette, e prima di Kant quella di Wolf. Il sistema del romanticismo, che ha reso sistematica anche la poesia, non appartiene che a’ settentrionali, e massime a’ tedeschi. Le visioni, anche in fisica, se sono proprie di alcuna nazione oggidì, lo sono dei tedeschi, [...]. In somma i tedeschi, non ostante le diversità de’ tempi, e la decisa inclinazione presente dello spirito umano alla pura osservazione e all’esperienza, sono ancora in letteratura e in filosofia ed in iscienze quel che erano gli antichi appunto, sistematici, romanzieri, settari, immaginatori, visionari. Ed accoppiano queste qualità ad una somma e infaticabile diligenza ed inclinazione e abitudine di osservazione e di esperienza e di apprendere (nota 16 del Discorso). CRISTINA CORIASSO MARTÍN-POSADILLO