Il Rapporto sistematizza e sviluppa, con contenuti inediti e prospettive di indirizzo, i principali lavori di ricerca realizzati dall’Osservatorio Permanente sulle Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo (Srm-Med), inaugurato nel maggio del 2011 con un portale web dedicato (www.srm-med.com) disponibile nella duplice versione italiana e inglese. 2 Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo Rapporto Annuale 2012 L’accezione di Mediterraneo cui si fa riferimento all’interno del Rapporto va dal Nord Adriatico al Marocco, toccando tutti i paesi della che si affacciano sul bacino e che non fanno parte dell’Unione Europea. Nella prima parte, L’economia, il commercio e le imprese viene delineato un scenario macroeconomico dell’area MENA e un quadro dell’interscambio commerciale con l’Italia e viene presentata un’analisi sulla presenza imprenditoriale italiana in Turchia. La seconda parte, La finanza e gli investimenti dei Fondi Sovrani indaga la struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA, con un focus particolare sul sistema bancario turco. La terza parte, I trasporti marittimi e le energie rinnovabili, prende infine in considerazione l’analisi dei flussi di traffico marittimo, e le prospettive del settore delle energie rinnovabili nel Mediterraneo. Le tre parti riflettono, con un corpus unico, tre aspetti fondamentali dei rapporti dell’Italia con il Mediterraneo su cui si concentra il lavoro di ricerca dell’Osservatorio di SRM: gli scambi commerciali (Med Trade & Business all’interno del portale Med di SRM), la finanza (Med Finance) e le infrastrutture energetiche e di trasporto (Med Energy & Logistics). SRM - Studi e Ricerche per il Mezzogiorno è un Centro Studi, con sede a Napoli, specializzato nell'analisi delle dinamiche economiche regionali con particolare attenzione al Mezzogiorno e al Mediterraneo. SRM ha l’obiettivo di offrire ai soci e all’insieme della comunità degli operatori economici, analisi e approfondimenti che migliorino la conoscenza del territorio sotto il profilo infrastrutturale, produttivo e sociale, e contribuiscano allo sviluppo del Mezzogiorno in una visione europea e mediterranea. (www.sr-m.it) 9 788874 316434 Rapporto Annuale 2012 GIANNINI EDITORE 7 8ISBN 8 8 788-7431-643-0 4 316434 Grafica di Ciro D’Oriano € 30,00 9 Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo GIANNINI EDITORE LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO RAPPORTO ANNUALE 2012 GIANNINI EDITORE La riproduzione del testo, anche parziale, non può essere effettuata senza l’autorizzazione di Studi e Ricerche per il Mezzogiorno. I dati forniti sono aggiornati a settembre 2012. Editing e composizioni grafiche a cura di Raffaela QUAGLIETTA. Grafica di copertina Ciro D’ORIANO. ISBN - 978-88-7431-6434 2012 © Giannini Editore Napoli - via Cisterna dell’Olio, 6/b www.gianninieditore.it 2 Pubblicazione curata da Studi e Ricerche per il Mezzogiorno GLI AUTORI Direttore della ricerca: Massimo DEANDREIS. Elaborazione della ricerca: Luca FORTE (Coordinatore), Anna Arianna BUONFANTI, Consuelo CARRERAS, Filippo CHIESA, Giancarlo FRIGOLI, Fiorenza LIPPARINI, Antonio MELES, Stefano MONFERRÀ, Alessandro PANARO, Dario RUGGIERO, Giuseppe RUSSO, Maria Grazia STARITA Il Capitolo II della Parte I del Rapporto “ I Paesi del Sud del Mediterraneo dopo i rivolgimenti politici: sviluppi recenti e questioni aperte dell’economia” è stato curato dal Servizio Studi e Ricerche di INTESA SANPAOLO, Ufficio International Economics; Responsabile e coordinatore della nota, Gianluca SALSECCI. RINGRAZIAMENTI Il Rapporto 2012 “Le Relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” rientra in un ampio progetto web realizzato da SRM denominato “Osservatorio Permanente sull’Economia del Mediterraneo” che ha generato un portale specializzato, www.srmmed.com. Esso ha l’obiettivo di monitorare e studiare le dinamiche e l’impatto economico generati dalle relazioni che il nostro Paese ha con le Nazioni appartenenti al bacino del Mediterraneo. Tale progetto è stato realizzato con il sostegno della COMPAGNIA DI SAN PAOLO cui va un particolare ringraziamento da parte di SRM e di tutti gli autori della ricerca. Un ringraziamento al Servizio Studi e Ricerche di INTESA SANPAOLO, in particolare al Direttore Dr. Gregorio DE FELICE e al Responsabile dell’Ufficio International Economics Dr. Gianluca SALSECCI ed al loro staff di ricercatori, per aver collaborato all’elaborazione del Rapporto. Si ringrazia per la collaborazione l’International Regulatory and Antitrust Affairs Intesa Sanpaolo Eurodesk, nella persona del Responsabile dell’ufficio Alessandra PERRAZZELLI. Un ringraziamento va al Dr. Mehmet BUÇUKOĜLU, dell’Ufficio di Rappresentanza di Intesa Sanpaolo a Istanbul e al suo staff per la squisita ospitalità e il decisivo supporto per la realizzazione del Capitolo III “Il business italiano in Turchia”. Hanno altresì contribuito alla realizzazione del Capitolo III: Antonio CONTE, Fatih AYÇIN, Segretario Generale della Camera di Commercio italiana in Turchia, Recep ÖZCALE, deputy General Manager Turk Pirelli e Gianmatteo GIORGINI, General Manager SAIF Enerji. Un ringraziamento, inoltre, a tutti gli enti partner su SRM sul progetto MED e in particolare GMF, IAI, OCSE e ASSOPORTI con cui SRM ha siglato uno specifico protocollo d’intesa rivolto a elaborare studi congiunti sui traffici marittimo-portuali nel Mediterraneo. 4 Questo volume è dedicato alla memoria dell’ex Presidente del Banco di Napoli, Enzo Giustino per il costante impegno che, per anni e con convinzione, ha posto a favore di una collocazione Euro Mediterranea dell'Italia e del Mezzogiorno, con un ringraziamento particolare per i preziosi stimoli che egli ci ha trasmesso e che hanno consentito di proseguire questo progetto di ricerca INDICE PREFAZIONE 11 INTRODUZIONE 13 PARTE PRIMA L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE CAPITOLO I - L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO: L’ITALIA E I SUOI PRINCIPALI COMPETITOR EUROPEI 1. Il trend 2001-2011 21 2. Uno sguardo d’insieme sui flussi commerciali tra l’Italia e le tre aree Med 26 3. Il posizionamento economico del Mezzogiorno nel Mediterraneo in rapporto alle altre macroregioni italiane 30 CAPITOLO II - I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI: SVILUPPI RECENTI E QUESTIONI APERTE DELL’ECONOMIA (a cura del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo) Premessa 43 1. Gli sviluppi recenti delle economie dei Paesi del Sud Mediterraneo 45 2. Le prospettive delle economie nel 2012 e nel 2013 63 3. L’evoluzione dei rapporti della UE con l’area mediterranea 70 CAPITOLO III - IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Sommario 1. Inquadramento della Turchia 75 2. Le relazioni economiche tra Italia e Turchia 95 76 3. Case Study 1: Turk Pirelli 108 4. Case Study 2: Saif Enerji Kaynaklari A.S 113 7 LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO PARTE SECONDA LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI CAPITOLO IV - L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA 1. La finanza islamica nel Mediterraneo: alcuni spunti introduttivi 123 2 Analisi della struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA 125 3. Analisi della struttura finanziaria della Turchia 134 4. Considerazioni conclusive 153 CAPITOLO V - LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI E IN PARTICOLARE CON L’ITALIA. SITUAZIONE E PROSPETTIVE 1. I Fondi Sovrani: un veicolo di investimento pubblico in piena crescita 155 2. I FoS dell’area arabo mediterranea: un grande potenziale di crescita 157 3 I FoS MENA: accordi bilaterali e investimenti in Europa 160 4. Come accrescere la presenza dei fondi MENA in Italia 164 5. Paesi arabi e nord mediterranei: gli investimenti Privati e delle Banche nazionali 169 6. FEMIP E BERS: le istituzioni sovra-nazionali che operano per lo sviluppo dell’area arabo-mediterranea 170 7. I FoS ed altri fondi favoriscono più strette relazioni fra l’Italia e i Paesi del Mediterraneo 172 PARTE TERZA I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI CAPITOLO VI - IL SETTORE MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITORS 1. Premessa 177 2. La rinnovata centralità del Mediterraneo nei traffici marittimi 177 8 INDICE 3. Il nuovo volto della competizione portuale nel Mediterraneo 181 4. Lo Short Sea Shipping nell’Area Med 189 5. La navigazione a corto raggio in Italia. Caratteristiche della domanda e dell’offerta 6. Conclusioni 197 204 CAPITOLO VII - LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO: STATO DI ATTUAZIONE E PROSPETTIVE 1. Premessa 207 2. Il contesto energetico di riferimento 208 3. Le fonti rinnovabili: stato attuale e prospettive 211 4. Criticità e barriere allo sviluppo delle rinnovabili nell’Area Med 214 5. Considerazioni finali: le opportunità future per un Mediterraneo rinnovabile 216 BIBLIOGRAFIA 219 NOTE SUGLI AUTORI 225 9 PREFAZIONE Nel corso del 2012 SRM, ha continuato la sua attività di analisi sulle interrelazioni e gli scambi tra le economie dei paesi del Mediterraneo e l’Italia con particolare attenzione al Mezzogiorno e le singole regioni meridionali. Attività questa che rappresenta sempre di più un obiettivo strategico e che viene svolta con un nucleo di ricerca interno che sistematicamente (e non occasionalmente) ne analizza le dinamiche e le trasformazioni. Il bacino del Mediterraneo è, infatti, al centro degli interessi economici del nostro Paese e del Mezzogiorno in particolare, e in questo contesto SRM ha costituito l’Osservatorio Permanente sulle Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo, inaugurato nel maggio dello scorso anno con un portale web bilingue, in italiano e inglese. Questo progetto è stato avviato e continua ad essere sostenuto - anche quest’anno dalla Compagnia di Sanpaolo che è stata, nel 2003, socio fondatore di SRM, e che desidero ringraziare, unitamente al Banco di Napoli che costantemente ci incoraggia nel proseguire tale attività di ricerca. Il nostro obiettivo infatti non è stato quello di realizzare un lavoro occasionale, una pubblicazione saltuaria. Al contrario, il nostro lavoro su questo tema è costante, e all’interno del portale web (www.srm-med.com) i lavori di ricerca vengono pubblicati con regolarità e lo rendono un utile strumento per i nostri soci e per tutti coloro che, nel business economico o finanziario, nelle proprie attività di impresa oppure nel mondo della ricerca economica, in Italia o in questi paesi, siano interessati a monitorare le relazioni economiche da e verso il nostro Paese. La scelta fatta quindi è stata precisa e chiara: abbiamo voluto un Osservatorio che focalizzasse la sua attenzione sulle relazioni economiche tra il nostro Paese e i vari Paesi extra Unione Europea del bacino del Mediterraneo, partendo dall’Adriatico fino alla sponda Nord africana. Noi siamo convinti che in questo modo SRM possa svolgere al meglio la sua funzione di Centro di Ricerca collegato ad un grande gruppo bancario nazionale (Intesa Sanpaolo) e nello stesso tempo sia in grado di offrire ad una comunità più ampia, fatta di tanti imprenditori e operatori economici, un valido strumento di analisi e documentazione costantemente aggiornato nel corso dell’anno. Il rapporto declina le relazioni economiche dell’Italia nel più specifico ruolo del Sud Italia. Siamo infatti convinti che questa sia la dimensione geo-economica in cui il Mezzogiorno può ritrovare un percorso di crescita e sviluppo. Il Nord a cui guardare è l’Europa. Il Sud verso cui volgersi è la sponda meridionale del Mediterraneo. Queste due dimensioni rappresentano un unicum, che è poi anche la dimensione storicamente naturale dell’economia italiana (in generale) e delle regioni del Mezzogiorno (in particolare). La “geografia” del nostro Paese ha, da sempre, alimentato la vocazione di essere un “ponte” tra le due sponde del Mediterraneo. Vocazione che potrà ulteriormente essere 11 PREFAZIONE valorizzata investendo sulle infrastrutture di connessione, quali ad esempio porti e retroporti, che rappresentano il punto di approdo e di partenza di gran parte dell’export italiano, e di cui il trasporto marittimo rappresenta di gran lunga il “mezzo” più utilizzato. Certo esistono ancora incertezze gravi. Il futuro dell’Europa e dell’area euro, ed il ruolo attivo del nostro Paese dal lato europeo; lo sviluppo dei processi di democratizzazione e le attuali tensioni politiche e sociali dall’altro lato. Siamo però convinti che i fattori economici legati allo sviluppo siano un fondamentale driver per poter sviluppare e rinforzare le relazioni internazionali: l’import/export, i flussi di capitale, i collegamenti infrastrutturali, le nuove fonti energetiche, la sempre più diffusa imprenditorialità che non si spaventa delle difficoltà e delle barriere culturali, ma che ha sempre più voglia di investire sul proprio futuro e sul legame tra i diversi paesi dell’area mediterranea. E guardando anche a questi fenomeni che SRM ha dato vita a questa seconda edizione del Rapporto con l’obiettivo di fornire utili approfondimenti. E di contribuire, attraverso l’informazione economica e le analisi, a costruire i presupposti per accrescere l’attenzione degli operatori economici del nostro Paese e del nostro Mezzogiorno, verso il Mediterraneo e le sue prospettive. PAOLO SCUDIERI 12 INTRODUZIONE Con l’edizione 2012, il “Rapporto sulle relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” giunge al suo secondo anno di vita; questa pubblicazione rappresenta il frutto del lavoro di un anno dell’Osservatorio Permanente sulle Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo1, inaugurato da SRM nel maggio del 2011 e condotto da un nucleo interno di ricercatori che si avvale di autorevoli collaborazioni esterne. Attraverso l’Osservatorio, SRM ha proseguito nell’attività di monitoraggio sistematico delle relazioni economiche dell’Italia con i paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, in continuità con l’obiettivo tracciato lo scorso anno di analizzare i rapporti dell’Italia con questi paesi in una logica bi-direzionale e di concentrare l’attenzione sui paesi che hanno tratti di costa che si affacciano sul bacino, escludendo quelli membri dell’Unione Europea. In particolare, le analisi svolte riguardano tre gruppi di paesi: i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo (area identificata come Southern Med), quelli della sponda sud-orientale (Eastern Med nel Rapporto) e i paesi della costa adriatica (Adriatic Med); le tre aree individuate formano, insieme, l’Area Med2 In questo secondo anno di attività l’Osservatorio di SRM ha messo in campo nuove risorse nell’analisi dei rapporti economici dell’Italia con i Paesi dell’area, ha sviluppato ulteriori relazioni, anche internazionali, con enti e organismi che si occupano di Mediterraneo e, non ultimo, ha avviato un progetto di ricerca pluriennale – “Progetto Business” – incentrato sulla stima del valore della presenza imprenditoriale italiana nei 13 Paesi dell’Area Med oggetto di attenzione da parte dell’Osservatorio. Caratteristica peculiare del “Progetto Business” e punto di partenza dei lavori di studio realizzati o in progetto, è l’analisi microeconomica che – a partire dai dati di bilancio di imprese a capitali italiani che operano nei paesi oggetto di analisi e da informazioni ricavate “sul campo” da operatori e istituzioni italiane e “locali” in tali paesi – si propone di giungere ad una stima complessiva del valore del business italiano in ciascun Paese. Il lavoro realizzato sul campo costituisce l’aspetto originale che dà valore aggiunto allo studio, in quanto l’analisi desk, in progetti sperimentali come questo, può risultare fuorviante e i risultati non corrispondere alla effettiva consistenza del business italiano nei Paesi oggetto di analisi. Oltretutto, la scelta di stimare – utilizzando la stessa metodologia – oltre al business italiano anche quello di altri paesi occidentali che vantano una presenza imprenditoriale 1 Per una visione completa dell’Osservatorio e dei contenuti dei prodotti di ricerca si veda www.srm-med.com 2 L’area Southern Med è costituita da Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto, l’area Eastern Med da Israele, Libano, Siria e Turchia e l’area Adriatic Med da Albania, Bosnia, Croazia e Montenegro (si veda la nota metodologica in calce al Capitolo I della Parte Prima). 13 LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO consistente nei paesi analizzati, e di utilizzare tale stima quale benchmark rispetto all’Italia, consente di ottenere risultati più accurati e soprattutto confrontabili. L’obiettivo finale di questo progetto è quello di analizzare la presenza imprenditoriale dell’Italia in tutti i paesi Med monitorati e di esaminare l’evoluzione nel tempo di tale presenza in ciascuno di essi. Si tratta di un progetto ambizioso che richiede impegno e risorse da investire, ma anche originale, in quanto supera la logica dell’analisi esclusivamente documentale per integrarla con un lavoro condotto in loco dai ricercatori. Il primo dei lavori realizzati è incluso nel presente Rapporto e riguarda uno dei paesi più interessanti tra quelli emergenti e quello che vanta le più intense relazioni commerciali con l’Italia nell’ambito dell’Area Med: la Turchia. Le stime da noi effettuate sul valore della presenza imprenditoriale italiana in Turchia sono state messe a confronto con quelle riguardanti la Germania, primo partner commerciale del Paese. Nell’ambito dei 13 paesi del bacino del Mediterraneo di interesse per l’Osservatorio, la Turchia rappresenta il primo partner commerciale dell’Italia, con un commercio bilaterale pari a 15,6 miliardi di euro. Pur figurando solo al 5° posto tra i paesi “fornitori” della Turchia e al 4° posto tra i paesi “clienti”, il valore da noi stimato del business delle circa 900 imprese italiane che operano nel Paese è davvero considerevole; si tratta di oltre 16,6 miliardi di euro all’anno, per un impatto occupazionale di circa 125mila addetti, numeri, in alcuni casi, superiori a quelli della Germania, primo partner commerciale della Turchia e Paese-benchmark utilizzato nella nostra analisi. Le imprese turche partecipate da capitali italiani fanno registrare una crescita del fatturato di oltre il 33%, superiore al benchmark delle imprese a capitali tedeschi, un’elevata profittabilità (RoE superiore al 20%) e indicatori di liquidità positivi (quick ratio pari a 1,2); particolarmente positive le performance delle imprese appartenenti ai settori della chimica e della meccanica. La presenza stabile di imprese edili italiane in Turchia è marginale, ma sono numerosi i progetti di investimento in corso nel Paese che vedono impegnate imprese italiane del settore delle costruzioni; in effetti, tra progetti di investimento – soprattutto nelle infrastrutture energetiche e di trasporto – e processi di privatizzazione in corso o imminenti, la Turchia costituisce un Paese altamente appetibile per le imprese italiane, come dimostrano i due casi studio sui processi di internazionalizzazione di due imprese italiane che operano nel Paese, presentati all’interno del Capitolo III. Ad assecondare l’interesse delle imprese straniere per la Turchia ha contribuito la favorevole politica governativa di attrazione degli investimenti che, con gli interventi legislativi del 2009 e il pacchetto di incentivi approvato nel giugno di quest’anno, offre un ampio ventaglio di opportunità per le imprese straniere che decidono di investire nel Paese. Naturalmente, lo sviluppo produttivo e, più in generale, la crescita economica della Turchia dipendono, in una certa misura, dalle caratteristiche del sistema finanziario del Paese e dalle sue modalità operative; da questo punto di vista, la Turchia presenta un quadro della dotazione di “infrastrutture finanziarie” contrassegnato da molte luci e qualche ombra; tra gli aspetti positivi, il Rapporto SRM segnala lo “spessore” del mercato borsistico e la solidità del sistema bancario. 14 INTRODUZIONE A questo studio sulla presenza italiana in Turchia seguirà un lavoro simile, già in fase avanzata di elaborazione, sul Marocco e il nostro sforzo per il 2013 è di allargare l’ analisi ad altri paesi. Oltre allo studio sul business italiano in Turchia, l’articolazione del Rapporto 2012 ripercorre quella del Rapporto dello scorso anno, con una divisione in tre parti che corrispondono ai tre macro-temi su cui si concentra il lavoro di ricerca dell’Osservatorio: le relazioni commerciali; la finanza; i trasporti e le infrastrutture energetiche. Più in dettaglio, la prima parte – “L’economia, il commercio e le imprese” – propone un quadro dell’economia dei paesi del Mediterraneo e dei rapporti commerciali dell’Italia con tali paesi e presenta una stima del business realizzato dalle imprese italiane che operano in Turchia. La seconda parte – “La finanza e gli investimenti dei Fondi Sovrani mediterranei” – offre un’analisi dello stato attuale e delle prospettive d’investimento dei fondi sovrani mediterranei in Europa e in Italia ed esamina le caratteristiche dei sistemi finanziari dei paesi dell’Area MENA, con un focus particolare sulla Turchia. Infine, la terza parte del volume – “I trasporti marittimi e le energie rinnovabili” – è dedicata al traffico marittimo e allo sviluppo delle energie rinnovabili, due aspetti importanti delle relazioni economiche dell’Italia con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sia attualmente che, ancora di più, in prospettiva. Il Rapporto 2012 presenta, in apertura, i numeri attuali e le previsioni dell’interscambio commerciale dei principali paesi europei con l’Area Med: l’Italia si conferma il primo partner commerciale dell’area – con un valore degli scambi pari a 57,7 miliardi di euro nel 2011 – nonostante il rallentamento registrato rispetto al 2010 (-10%), causato dalle vicende socio-politiche che hanno riguardato tre dei cinque paesi della sponda sud del Mediterraneo e dalla crisi economica in Europa. L’Italia supera la Germania (56,6 miliardi di euro) e la Francia (46,8 miliardi) quanto a valore degli scambi nel 2011 e conferma la propria leadership anche nelle proiezioni al 2014, che vedono crescere gli scambi commerciali italiani fino a 74 miliardi di euro (+28% sul 2011); si tratta di cifre importanti che indicano chiaramente il “valore” attuale e soprattutto le potenzialità dell’area in termini di opportunità di affari per il nostro sistema di imprese; infatti, la crescita dell’interscambio italiano nei primi sei mesi del 2012 (+8,1% tendenziale), e le previsioni di crescita del Pil dei paesi dell’area (+8,6% medio nel 2012) indicano chiaramente il definitivo superamento della fase di impasse delle economie di questi paesi, dovuta agli accadimenti della c.d. Primavera Araba. Oltre al commercio e all’integrazione produttiva che favorisce gli scambi “reali” tra i paesi del Mediterraneo, un ulteriore fattore di sviluppo delle relazioni tra l’Europa e il Mediterraneo è rappresentato dai flussi finanziari, anche in questo caso bi-direzionali, che transitano attraverso le due sponde del Mediterraneo, quella settentrionale e quella meridionale; da un lato, infatti, i Fondi Sovrani mediterranei trovano nell’Europa una delle aree privilegiate per l’investimento delle loro ingenti risorse; dall’altro, l’interesse di organismi quali la BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e il FEMIP (Fondo Euro-Mediterraneo di Investimento e Partenariato) verso l’area arabo- 15 LE RELAZIONI ECONOMICHE TRA L’ITALIA E IL MEDITERRANEO mediterranea cresce in misura proporzionale alle richieste di maggiore giustizia sociale che vengono dalle popolazioni dei paesi dell’area; nel Rapporto SRM si stima che le risorse finanziare che dall’Europa saranno veicolate verso i paesi dell’area arabomediterranea potranno toccare i 4 miliardi di euro annui, tra interventi a favore dell’occupazione e investimenti per garantire uno sviluppo sostenibile; quanto ai flussi in direzione opposta – gli investimenti dei Fondi Sovrani dell’area MENA diretti verso l’Europa – questi potrebbero raggiungere, entro cinque anni, i 20 miliardi di euro annui, con una quota destinata all’Italia compresa tra 1 e 1,5 miliardi di euro. Anche in questo caso si tratta di flussi consistenti che potrebbero raggiungere l’Italia, a patto di creare condizioni interne favorevoli allo sviluppo degli investimenti; il nostro Paese si trova nelle migliori condizioni possibili per intercettare tali risorse, potendo offrire opportunità che altri paesi europei non possono garantire, come la disponibilità di una naturale piattaforma logistica al traffico di merci che attraversano il Mediterraneo; oltre il 70% dei flussi commerciali che interessano i paesi che si affacciano sul Mediterraneo (circa 40 miliardi di euro) avviene, infatti, via mare e l’Italia ne rappresenta il baricentro. Oltretutto, i flussi intraregionali in direzione nordsud risultano in crescita come riflesso dello sviluppo economico dei Paesi della Sponda Sud Est e della politica europea di impulso allo Short Sea Shipping (navigazione marittima a corto raggio). Insieme ai traffici marittimi e alla portualità, l’Osservatorio Mediterraneo di SRM segue con attenzione la tematica relativa allo sviluppo delle energie rinnovabili, materia affrontata nel Capitolo VII del Rapporto. SRM vuole lanciare un messaggio strategico sull’argomento: il Mediterraneo si prepara a giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo del settore energetico dei prossimi anni. Il sistema è, infatti, caratterizzato da una domanda crescente di energia e autorevoli stime affermano che al 2030 la capacità addizionale richiesta dai Paesi del Southern Med potrebbe comportare investimenti pari a 320 miliardi di euro, di cui circa la metà in fonti rinnovabili; inoltre, la realizzazione di nuove infrastrutture e soprattutto di nuove interconnessioni sarà necessaria non solo per i collegamenti sub-regionali tra paesi della sponda Sud del Bacino ma anche per esportare il futuro surplus di elettricità rinnovabile verso i mercati europei: una duplice, straordinaria, opportunità di sviluppo, per le imprese del settore e per l’economia europea nel suo complesso. Presentando l’edizione 2011 del Rapporto ci ponevamo una serie di interrogativi circa i possibili esiti della c.d. Primavera araba e l’impatto che avrebbe avuto sulle relazioni economiche con l’Europa; a distanza di un anno molti degli interrogativi sono ancora senza risposta: i cambi di regime in Tunisia, Libia ed Egitto hanno condotto ad elezioni democratiche molto partecipate, ma le aspre contrapposizioni tra laici e fondamentalisti che ancora dividono le popolazioni in quei paesi ci dicono che il processo di normalizzazione è ancora in corso, nonostante la ripresa dei rapporti commerciali con l’Europa. In un tale contesto di incertezza e di aspre contrapposizioni sia nei paesi che hanno sperimentato cambi di regime, sia laddove le rivolte non hanno ottenuto di cambiare lo status quo, è quanto mai necessario un rinnovato impegno politico dell’Europa verso questi territori e risorse finanziarie adeguate che, nel 16 INTRODUZIONE “nuovo” Mediterraneo che verrà fuori dalla fase attuale, dovranno incidere direttamente sulle condizioni di vita delle popolazioni. Purtroppo, però, questo è un tasto dolente per l’Europa, alle prese con la crisi economica più grave dal dopoguerra che, naturalmente, riduce le risorse pubbliche disponibili per la cooperazione e lo sviluppo nei paesi del Mediterraneo. C’è quindi bisogno di mobilitare risorse private che vanno opportunamente indirizzate, offrendo loro possibilità di valorizzazione: investire nei paesi emergenti del Mediterraneo, laddove sono maggiori le opportunità di affari, è un occasione di crescita per le imprese italiane e del Mezzogiorno in particolare ma anche per i territori che le ospitano; visti i forti legami con il Mediterraneo, le regioni meridionali potranno beneficiare per prime e in modo maggiore di una ripresa dell’economia dell’area. L’Osservatorio di SRM vuole contribuire con il proprio lavoro di analisi a individuare le aree geografiche e i comparti produttivi con le maggiore possibilità di valorizzazione degli investimenti, in una logica di co-sviluppo che possa contribuire al superamento dell’attuale fase di crisi che attraversa il nostro Paese. Massimo DEANDREIS 17 PARTE PRIMA L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE CAPITOLO I L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO: L’ITALIA E I SUOI PRINCIPALI COMPETITOR EUROPEI 1. Il trend 2001-2011 I Paesi localizzati nel bacino del Mediterraneo rappresentano un’area sempre più importante nei rapporti commerciali dell’Europa; l’interscambio totale (import + export) di merci con l’Area Med1 evidenzia fra il 2001 e il 2010 una dinamica di crescita per tutti i principali Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Regno Unito, Germania), con la sola comune flessione nel 2009. In particolare, l’interscambio dell’Italia con i Paesi dell’Area Med è passato da 37,2 miliardi di euro nel 2001 a 64,3 miliardi nel 2010 (+72,7%). Il dato dell’interscambio italiano con l’Area Med a fine 2011 ha registrato, però, una contrazione per una cifra intorno ai 6,6 miliardi di euro, da 64,3 miliardi nel 2010 a 57,7 nel 2011 (cfr. Graf. 1); tale arretramento dell’interscambio è da addebitarsi esclusivamente al crollo delle importazioni italiane di petrolio dalla Libia (-67,6% nel 2011 rispetto al 2010), mentre gli scambi commerciali dell’Italia con gli altri 2 Paesi della sponda sud del Mediterraneo interessati dalla c.d. “Primavera araba” non hanno subito grossi contraccolpi: -2,3% l’interscambio commerciale con Tunisia; +5,7% con l’Egitto. Per gli altri 4 Paesi europei considerati dall’analisi (meno legati alle importazioni di petrolio dalla Libia) nel 2011 si è registrato solo un rallentamento della crescita dell’interscambio rispetto al 2010. L’Italia resta comunque il primo partner commerciale dell’Area Med, seguita da Germania e Francia. Le proiezioni al 2014, in uno scenario intermedio, registrano una crescita dell’interscambio totale italiano con l’Area Med fino a 74 miliardi; riprende a crescere, specie nel 2012, il differenziale con gli altri competitor europei (cfr. Graf. 1). Ad ulteriore conferma della crescente importanza dell’Area Med sul commercio estero dell’Italia, l’incidenza di tale area sul totale dell’interscambio italiano con l’estero è cresciuta dal 6,9% del 2001 al 9,1% del 2010, in maniera sensibilmente maggiore rispetto agli altri Paesi europei (cfr. Graf. 2). I dati del 2011 indicano una riduzione dell’incidenza dell’Area Med sul commercio estero dei principali Paesi europei, più marcata per l’Italia, dove passa dal 9,1% del 2010 al 7,4% del 2011. 1 Per la definizione dei paesi inclusi nell’Area Med e nelle sue 3 sub-aree si veda la nota metodologica alla fine del capitolo. 21 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Interscambio totale con l’Area Med – I principali Paesi europei – 2001-2014* (Miliardi di euro) € bn Expected values 80 74,0 70 65,7 57,7 60 40 37,2 46,8 31,5 30,1 30,4 20 14,8 21,9 30 51,9 56,6 50 40,8 28,5 10 13,5 0 2001 2002 ITALY 2003 2004 2005 2006 FRANCE 2007 2008 SPAIN 2009 2010 2011 2012 UNITED KINGDOM 2013 2014 GERMANY * Stime per il 2012, 2013 e 2014. Graf. 1 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat Interscambio totale: peso (%) del commercio estero con l’Area Med sul totale del commercio estero (2001-2011) – I principali Paesi europei 10 9,1 9 8,4 8 7 6,9 6,9 4 3 2 6,4 5,8 6 5 7,4 5,3 4,9 5,0 4,5 4,1 2,9 2,4 2,7 2,0 2,7 2,9 2,7 2,9 1 0 2001 2006 ITALY FRANCE SPAIN UNITED KINGDOM 2010 GERMANY 2011 ITALY Graf. 2 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat Scendendo nel dettaglio, l’area Southern Med rappresenta quella che registra la maggiore intensità degli scambi con l’Italia: l’area incide per il 49,8% 22 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO sull’interscambio totale italiano con l’Area Med nel 2011 (cfr. Tab. 1); seguono l’area Eastern Med con il 38,5% e l’area Adriatic Med con l’11,8%. E’ interessante notare come Francia e Spagna, per ragioni geografiche oltre che storiche, abbiano relazioni particolarmente intense con la sponda Sud (Southern Med) che esprime quasi i 2/3 dell’interscambio commerciale di questi due Paesi con l’Area Med complessivamente; per Germania e Regno Unito, viceversa, è l’area Eastern Med che esprime la quota maggiore di interscambio (circa i 2/3 dell’interscambio complessivo con l’Area Med), mentre l’incidenza dell’Adriatic Med è molto maggiore per l’Italia (11,8%) rispetto ai propri competitor europei. Interscambio totale: peso (%) di ciascuna sub-area Med sul totale dell’interscambio con l’Area Med - dati al 2011 Southern Med (%) Eastern Med (%) Adriatic Med (%) Italy 49,8 38,5 11,8 57,7 France 64,4 33,7 1,8 46,8 Med Area (€ bn) Spain 64,6 33,6 1,9 30,2 Germany 25,9 66,2 7,9 56,6 United Kingdaom 29,2 69,1 1,7 21,3 Tab. 1 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat Nell’ambito degli scambi commerciali con i Paesi dell’Area Med, la componente energetica ha un peso molto rilevante per i 5 Paesi europei considerati, in particolare per Italia e Spagna. Seppur in contrazione, infatti, l’incidenza degli scambi di prodotti energetici è del 35,6% per l’Italia (dal 43,6% del 2010) e del 30,4% per la Spagna (in calo dal 33,9% del 2010); negli altri 3 Paesi considerati il peso dei prodotti energetici è inferiore al 20%. Peso (%) dell’interscambio di prodotti energetici sull’interscambio totale con l’Area Med (2010 e 2011) – I principali Paesi europei 50 43,6 40 35,6 33,9 30,4 30 19,9 20 19,3 15,7 12,8 11,1 10,9 10 0 Italy France Spain 2010 Graf. 3 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat United Kingdom Germany 2011 Anche escludendo i prodotti energetici, l’interscambio commerciale con l’Area Med è aumentato fra il 2001 ed il 2010 per tutti i Paesi europei analizzati. In particolare, per l’Italia esso è risultato pari a 36,3 miliardi di euro nel 2010 (+55,9% 23 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE rispetto al 2001), in linea con l’interscambio della Francia (36 mld; +42,0% sul 2001), mentre più intensa è stata la dinamica dell’interscambio tedesco (44,8 mld; +66,0% nel decennio). Nel 2011 si è registrato un aumento dell’interscambio italiano non energetico con l’Area Med del 1,7% sul 2010, per un valore che si attesta a 36,9 miliardi di euro; la riduzione del tasso di crescita degli scambi (da +15,1% nel 2010 a +1,7% nel 2011) è in gran parte dovuto al calo degli scambi con i Paesi interessati dalla “Primavera araba”, in particolare Libia (-77,8% nel 2011 rispetto al 2010) ed Egitto (7,4%); cresce, viceversa, il commercio non energetico italiano con i Paesi dell’Eastern Med (in particolare, +14,5% con la Turchia e +13,7% con Israele). Il rallentamento del ritmo di crescita dell’interscambio non energetico con l’Area Med è comune anche agli altri Paesi europei monitorati; la crescita maggiore nel 2011 è attribuibile alla Germania (+12,7%, in calo dal 20,7% del 2010), mentre la Francia fa registrare un ritmo di crescita più basso (+4,9%, dal +16,7% del 2010). Le proiezioni al 2014, in uno scenario di base, vedono l’interscambio italiano, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med portarsi a 39,3 miliardi; gli altri Paesi seguono una dinamica simile (cfr. Graf. 4). Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med – I principali Paesi europei – 2001-2014* (Miliardi di euro) € bn Expected values 70 57,8 60 50,4 50 41,4 37,8 40 30 36,9 27,0 39,3 25,7 25,4 20 23,3 21,2 22,3 19,2 12,4 10 Italy 8,7 0 2001 2002 ITALY 2003 2004 2005 FRANCE 2006 2007 SPAIN 2008 2009 2010 2011 UNITED KINGDOM 2012 2013 2014 GERMANY * Stime per il 2012, 2013 e 2014. Graf. 4 – Fonte: elaborazioni SRM su dati Eurostat Nonostante il rallentamento della crescita degli scambi commerciali nel corso del 2011, l’incidenza dell’Area Med sul totale dell’interscambio non energetico dell’Italia si mantiene elevata (5,5% nel 2011, in contrazione dal 5,8% del 2010) e superiore a quella dei principali Paesi europei (cfr. Graf. 5). 24 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici: peso (%) del commercio estero con l’Area Med sul totale del commercio estero (2001-2011) I principali Paesi europei 7 5,8 6 5,5 5,3 5,2 5 4,7 5,2 4,7 4,5 4,1 4 3,7 3,8 3,1 3 2 2,7 2,6 2,6 2,2 2,4 1,9 2,7 2,7 1 0 2001 2006 ITALY FRANCE SPAIN UNITED KINGDOM 2010 GERMANY 2011 ITALY Graf. 5 – Fonte: elaborazione SRM su Eurostat data 1.2 I flussi commerciali al I semestre 2012 Guardando agli ultimi dati disponibili (aggiornati al I semestre 2012), l’interscambio totale con l’Area Med dei principali Paesi europei analizzati è risultato in crescita nella prima metà del 2012 rispetto all’analogo periodo del 2011, tranne che per la Francia (-3,6% nel periodo). Con oltre 33,7 miliardi di euro di flussi di importexport nei primi 6 mesi del 2012 e una crescita dell’8,1% rispetto allo stesso periodo del 2011, l’Italia si conferma al primo posto per valore degli scambi commerciali con l’Area Med; segue la Germania (30 miliardi di euro, +1% la crescita nel periodo) e, a distanza, la Francia (23,7 miliardi). Per quanto riguarda l’Italia, a incidere sulla crescita del valore dei flussi commerciali con l’Area Med è stato l’incremento del commercio bilaterale con i Paesi dell’area Southern Med (+26,9%), grazie, in particolare, alla ripresa dell’interscambio energetico che, nella prima parte del 2011, aveva sofferto a causa dei rivolgimenti socio-politici legati alla primavera araba; viceversa, i flussi commerciali con le aree Eastern Med e Adriatic Med sono risultati in calo. 25 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Interscambio totale dei principali paesi europei con l’Area Med e le tre sub-aree al I semestre 2012 SOUTHERN MED I sem 2012 I sem 2012 on I sem 2011 20,3 26,9% Italy EASTERN MED I sem 2012 I sem 2012 on I sem 2011 10,2 -13,7% ADRIATIC MED I sem 2012 I sem 2012 on I sem 2011 3,2 -4,9% MED AREA I sem I sem 2012 2012 on I sem 2011 33,7 8,1% Germany 9,2 12,8% 18,5 -4,3% 2,3 3,9% 30,0 1,0% France 15,3 -3,0% 8,0 -4,7% 0,4 -3,9% 23,7 -3,6% Spain 13,0 26,0% 5,0 -7,1% 0,3 -10,3% 18,2 14,2% United Kingdom 4,5 46,6% 7,8 8,8% 0,2 0,0% 12,4 19,8% Tab. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat – valori in miliardi di euro e variazioni percentuali Escludendo i prodotti di natura energetica, l’interscambio italiano con l'Area Med si è ridotto del 7,7% nel periodo gennaio-giugno 2012 rispetto ai primi sei mesi del 2011; la Germania risulta al primo posto per valore dell’interscambio con l’Area Med (25,7 miliardi di euro, -1,2% rispetto al primo semestre 2011), seguita dalla Francia (19 miliardi di euro, -3,2% sul primo semestre 2011) e dall’Italia (18,0 miliardi di euro). Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, dei principali paesi europei con l’Area Med e le tre sub-aree al I semestre 2012 Germany SOUTHERN MED I sem 2012 I sem 2012 on I sem 2011 5,0 1,6% EASTERN MED I sem 2012 I sem 2012 on I sem 2011 18,4 -2,5% ADRIATIC MED I sem 2012 I sem 2012 on I sem 2011 2,3 3,9% MED AREA I sem I sem 2012 2012 on I sem 2011 25,7 -1,2% France 11,0 -3,5% 7,7 -3,3% 0,4 6,2% 19,0 -3,2% Italy 6,8 -2,2% 8,7 -11,0% 2,6 -9,8% 18,1 -7,7% Spain 6,3 8,3% 4,8 -4,9% 0,2 -13,3% 11,3 1,9% United Kingdom 1,9 4,3% 7,7 8,3% 0,2 -8,4% 9,7 7,2% Tab. 3 - Fonte: elaborazione SRM su dati Eurostat – valori in miliardi di euro e variazioni percentuali 2. Uno sguardo d’insieme sui flussi commerciali tra l’Italia e le tre aree Med Le infografiche che seguono, riferite agli anni 2010 e 2011, offrono un quadro d’insieme della dinamica dell’interscambio commerciale totale dell’Italia, del Mezzogiorno e delle principali regioni meridionali con le 3 aree Med individuate. Per ciascuna delle due infografiche vengono presentate le seguenti informazioni: 1) Valore dell’interscambio tra il Mezzogiorno e ciascuna Sub-Area, espresso dalla diversa intensità di giallo di ciascuna delle Sub-Aree Med; ad un valore maggiore dell’interscambio corrisponde un giallo più intenso. 2) Valore dell’interscambio tra il Mezzogiorno e ciascun Paese delle 3 Sub-Aree Med, espresso dalla dimensione della bolla rappresentativa di ciascun Paese. 26 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 3) Valore dell’interscambio dell’Italia (frecce rosse) e delle tre principali regioni del Mezzogiorno (frecce verdi) con ciascuna Sub-Area Med, misurato dallo spessore della freccia tra l’Italia (la singola regione) e ciascuna Sub-Area Med. 4) Incidenza dell’Area Med sul commercio estero di ciascuna delle 8 regioni del Mezzogiorno, descritto dall’intensità di azzurro con cui è rappresentata ogni regione. Alcune evidenze: 1) L’interscambio commerciale tra il Mezzogiorno e l’Area Med complessivamente (somma delle aree Southern Med, Eastern Med e Adriatic Med), è sceso da 15,5 miliardi di euro del 2010 a 12,7 miliardi del 2011. L’area Southern Med, pur con un valore in forte calo, si conferma l’area con il valore più alto di scambi commerciali con il Mezzogiorno (6,5 miliardi di euro nel 2011); seguono l’Eastern Med (4,5 miliardi) e l’Adriatic Med (1,6 miliardi) con valori in crescita rispetto al 2010. 2) Per quanto riguarda il valore degli scambi commerciali tra il Mezzogiorno e ciascuno dei 13 Paesi appartenenti alle tre Sub-Aree Med, dal confronto tra le infografiche del 2010 e del 2011 emergono le seguenti evidenze: • Nell’ambito dei Paesi del Southern Med, crolla l’interscambio commerciale del Mezzogiorno con la Libia (-63%, da 6,1 a 2,3 miliardi di euro) che nel 2010 era di gran lunga il primo Paese per valore del commercio con il Mezzogiorno tra i 13 esaminati. Si riduce anche l’interscambio con la Tunisia (-18%, da 1,6 a 1,3 miliardi di euro), mentre cresce sensibilmente il commercio bilaterale con l’Algeria (1,2 miliardi di euro nel 2011, pari a +74%); sostanzialmente stabile l’interscambio del Mezzogiorno con Egitto e Marocco. I disordini che nel corso del 2011 hanno interessato tre dei cinque Paesi dell’area Southern Med (Tunisia, Egitto e Libia) hanno avuto un differente impatto sull’interscambio del Mezzogiorno con questi Paesi; particolarmente forte l’effetto depressivo sul commercio bilaterale con la Libia, in cui la componente energetica ha un peso preponderante (il 95% nel 2010), minore l’impatto sull’interscambio con la Tunisia e nullo quello sugli scambi con l’Egitto. • Nell’area Eastern Med, la netta contrazione degli scambi con la Siria (-0,6 miliardi di euro tra il 2010 e il 2011) è più che compensata dall’aumento dell’interscambio con la Turchia (+0,8 miliardi, pari al +37%), diventata, nel 2011, il primo partner commerciale del Mezzogiorno tra i 13 Paesi dell’Area Med (3,1 miliardi di euro); in crescita anche il commercio con Libano (+51%) e Israele (+21%). 27 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Interscambio totale con i paesi dell’area Med nel 2011 Infografica 1- Fonte: elaborazione SRM 28 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale con i paesi dell’area Med nel 2010 Infografica 2 - Fonte: elaborazione SRM • Nell’area Adriatic Med l’interscambio commerciale del Mezzogiorno cresce con tutti e quattro i Paesi dell’Area: particolarmente quello con Albania (+26%) e Croazia (+29%), meno quello con Bosnia (+10%) e Montenegro (+5%). 29 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 3) L’evoluzione del commercio estero dell’Italia con le tre Sub-Aree Med tra il 2010 e il 2011 segue quella del Mezzogiorno, con una forte contrazione dell’interscambio commerciale con l’area Southern Med (da 38,5 miliardi di euro a 28,7 miliardi, -25%), e una crescita degli scambi commerciali con le aree Eastern Med (+2,7 miliardi) e Adriatic Med (+0,5 miliardi). Anche gli scambi commerciali di Campania e Sicilia seguono l’andamento dell’interscambio del Mezzogiorno nel suo complesso (in calo gli scambi con il Southern Med, in crescita quelli con l’Eastern Med e l’Adriatic Med), mentre la Puglia fa registrare un contrazione del proprio commercio estero con tutte e tre le SubAree Med. Particolarmente forte il calo dell’interscambio commerciale tra la Sicilia e l’area Southern Med (da 4,5 a 3 miliardi di euro) a causa della forte specializzazione della regione nell’interscambio di prodotti energetici. 4) Per le sei regioni del Mezzogiorno continentale, il peso dell’Area Med sul totale del proprio commercio estero non ha subito sensibili variazioni tra il 2010 e il 2011 (tranne che per la Puglia dove è passata dall’11,3% al 7,8%). Viceversa, Sicilia e Sardegna – a causa della loro specializzazione nell’interscambio di prodotti energetici, di cui la Libia era il principale fornitore e fra i primi clienti nel 2010 – hanno registrato una forte riduzione dell’incidenza degli scambi commerciali con l’Area Med sul totale del proprio commercio estero, evidenziata dalla minore intensità dell’azzurro delle due regioni nell’infografica del 2011. Per la Sicilia si passa da un’incidenza dell’Area Med pari al 24,9% nel 2010 al 19,2% nel 2011, mentre per la Sardegna dal 35,1% al 17,6%. 3. Il posizionamento economico del Mezzogiorno nel Mediterraneo in rapporto alle altre macroregioni italiane 3.1 Il trend 2001-2011 L’interscambio totale tra il Mezzogiorno e l’Area Med tra il 2001 ed il 2010 è cresciuto di circa il 30% (da 11,9 a 15,5 miliardi di euro). Nel corso del 2011 si è registrata una contrazione dell’interscambio di circa il 18% rispetto al 2010, a 12,7 miliardi. Anche per le altre macroregioni c’è stata una crescita sostenuta dell’interscambio con l’Area Med tra il 2001 ed il 2010, con un successivo calo, anche se meno intenso, nel corso del 2011; la maggiore riduzione dell’interscambio del Mezzogiorno rispetto alle altre macroregioni nel 2011 dipende dal peso più elevato della componente energetica che, come evidenziato in apertura del report, ha fatto registrare un vero e proprio crollo degli scambi con la Libia. Il Nord-Ovest resta la macroregione con il valore più alto dell’interscambio con l’Area Med (18,1 miliardi di euro) seguito dal Mezzogiorno (12,7 miliardi) (cfr. Graf. 6). L’incidenza dell’Area Med sul totale degli scambi commerciali del Mezzogiorno ha registrato un picco nel 2005 (21,5%) cui ha fatto seguito una contrazione fino al 17% nel 2010 e al 12,4% nel 2011. Tuttavia, il Mezzogiorno resta la macroregione italiana che registra la maggiore 30 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO incidenza dell’Area Med sul totale del proprio commercio estero, un peso che risulta più che doppio rispetto alle altre macroregioni italiane (cfr. Graf. 7). Interscambio totale con l’Area Med – Le macroregioni italiane – 2001-2011 (Miliardi di euro) € bn 25 20 18,1 15 12,7 11,8 10 7,6 7,4 5 0 2001 2002 2003 North Western Italy 2004 2005 North Eastern Italy 2006 2007 Central Italy 2008 2009 Southern Italy 2010 2011 No specified regions Graf. 6 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat Interscambio totale: peso (%) del commercio estero con l’Area Med sul totale del commercio estero (2001-2011) – Le macroregioni italiane 25 21,5 20 18,8 18,2 17,0 18,7 17,4 17,3 17,0 16,7 15,5 15 12,4 10 5 6,7 6,7 6,9 6,3 5,8 5,4 4,7 6,0 5,8 5,9 5,8 6,0 0 2001 2002 2003 North Western Italy 2004 2005 North Eastern Italy 2006 2007 Central Italy 2008 2009 Southern Italy 2010 2011 Southern Italy Graf. 7 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat 31 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Nell’ambito degli scambi commerciali con i Paesi dell’Area Med, la componente energetica ha un peso molto rilevante soprattutto per il Mezzogiorno e per l’Italia Centrale. Seppur in contrazione, infatti, l’incidenza degli scambi di prodotti energetici sul totale è del 63,8% nel Mezzogiorno (dal 70,8% del 2010) e del 35,6% nell’Italia Centrale (in aumento dal 30,3% del 2010); nel Nord Ovest il peso dei prodotti energetici è del 10,5% (dimezzato rispetto al 2010) mentre nel Nord Est è del 4,4% (cfr. Graf. 8). Peso (%) dell’interscambio di prodotti energetici sull’interscambio totale con l’Area Med (2010 e 2011) – Le macroregioni italiane 80 70,8 70 63,8 60 50 40 35,6 30,3 30 21,2 20 10,5 10 9,8 4,4 0 Southern Italy North Western Italy 2010 North Eastern Italy Central Italy 2011 Graf. 8 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat Escludendo i prodotti energetici, l’interscambio dell’Italia meridionale con l’Area Med nel 2011 (pari a 4,6 miliardi di euro), è inferiore a quello delle altre macroregioni italiane, pur avendo registrato un aumento di circa il 57% rispetto al 2001. Il NordOvest con 16,2 miliardi di euro (in crescita del 68,6% rispetto al 2001) è la macroregione che realizza il maggior interscambio commerciale non energetico con l’Area Med; seguono il Nord-Est (11,3 miliardi; +58,9% rispetto al 2001) ed il Centro (4,9 miliardi; +38,3%). Tutte le macroregioni, ad eccezione dell’Italia Centrale, hanno registrato un incremento degli scambi commerciali non energetici con l’Area Med tra il 2010 ed il 2011, ad indicare che il rallentamento ha riguardato prevalentemente lo scambio di prodotti di natura energetica (cfr. Graf. 9). L’incidenza dell’interscambio non energetico con l’Area Med sul totale dell’interscambio non energetico del Mezzogiorno è progressivamente aumentata tra il 2001 ed il 2008 quando ha toccato il suo picco (8,3%); successivamente si è avuta una progressiva riduzione di tale peso, fino al 7,4% nel 2011. L’incidenza dell’Area Med sul commercio estero di prodotti non energetici del Mezzogiorno resta, comunque, superiore a quanto si registra nelle altre macroregioni italiane, dove è compresa tra il 4 e il 6% (cfr. Graf. 10). 32 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med – Le macroregioni italiane – 2001-2011 (Miliardi di euro) € bn 18 16,2 16 14 12 11,3 10 8 6 4,9 4,6 4 2 0 2001 2002 2003 North Western Italy 2004 2005 North Eastern Italy 2006 2007 Central Italy 2008 2009 Southern Italy 2010 0,1 2011 No specified regions Graf. 9 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici: peso (%) del commercio estero con l’Area Med sul totale del commercio estero (2001-2011). Le macroregioni italiane 10 8,3 7,8 8 6,4 6,7 6,8 2002 2003 7,4 7,8 7,8 2006 2007 8,2 7,9 7,4 6 4 2 0 2001 North Western Italy 2004 2005 North Eastern Italy Central Italy 2008 2009 Southern Italy 2010 2011 Southern Italy Graf. 10 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Istat 33 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 3.2 I flussi commerciali al I semestre 2012 Nel corso della prima metà del 2012, l’Italia meridionale ha fatto registrare una forte crescita del totale dei flussi commerciali con i Paesi dell’Area Med (+18,5% a 8,3 miliardi di euro), grazie alla ripresa degli scambi con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo (area Southern Med), nei cui confronti il commercio bilaterale del Mezzogiorno (5,3 miliardi di euro) è cresciuto di 1/3 rispetto ai primi sei mesi del 2011; in particolare, tra i cinque Paesi dell’area Southern Med è da segnalare la forte ripresa degli scambi tra il Mezzogiorno e la Libia (+75,8%), composti per il 98,4% da prodotti di natura energetica (essenzialmente petrolio greggio). L’interscambio commerciale del Mezzogiorno con le aree Eastern Med (-2%) e Adriatic Med (+1,7%) ha fatto registrare variazioni contenute. Interscambio totale con l’Area Med e le tre sub-aree al I semestre 2012 – Il Mezzogiorno e le principali regioni meridionali Italy SOUTHERN MED I sem 2012 I sem on I sem 2012 2011 20.334,6 26,9% EASTERN MED I sem 2012 on I sem 2011 10.218,0 -13,7% I sem 2012 ADRIATIC MED I sem 2012 on I sem 2011 3.189,7 -4,9% MED AREA I sem 2012 on I sem 2011 33.742,4 8,1% I sem 2012 I sem 2012 North Central Italy 9.487,4 18,6% 7.955,5 -16,7% 2.373,4 -6,3% 19.816,3 -1,3% Southern Italy 5.287,9 33,3% 2.227,4 -2,0% 746,3 1,7% 8.261,6 18,5% No-specified regions * 5.559,4 37,1% 35,2 44,6% 70,0 -20,8% 5.664,5 35,9% 494,1 2,3% 287,4 -31,4% 61,9 -13,4% 843,4 -13,3% Puglia 286,9 -14,4% 313,1 1,8% 203,5 -11,4% 803,5 -7,9% Sicilia 2.307,5 16,9% 1.094,8 6,3% 296,7 -1,3% 3.699,0 11,9% Campania Tab. 4 – Fonte: elaborazione SRM su dati Istat – valori in milioni di euro e variazioni percentuali Con riferimento alle principali regioni del Mezzogiorno (quasi il 60% dei flussi commerciali del Mezzogiorno con l’Area Med riguarda Campania, Puglia e Sicilia), le due regioni del Mezzogiorno continentale fanno segnare una contrazione del commercio bilaterale con l’Area Med (rispettivamente, -13,3% per la Campania e 7,9% per la Puglia), mentre la Sicilia, grazie alla forte specializzazione nell’interscambio di prodotti energetici, ha fatto registrare una crescita dell’11,9%; da segnalare la forte crescita (oltre il 100%) dell’interscambio della Sardegna con i paesi dell’area Southern Med, anche in questo caso grazie alla specializzazione della regione negli scambi di prodotti energetici. Nei primi sei mesi del 2012 gli scambi commerciali del Mezzogiorno con l’Area Med, al netto dei prodotti di natura energetica, hanno registrato una contrazione del 20,3% rispetto all’analogo periodo del 2011, a circa 2 miliardi di euro, un risultato peggiore rispetto a quello dell’Italia complessivamente (-7,7%). La riduzione dell’interscambio commerciale del Mezzogiorno ha riguardato tutte le 3 sub aree Med. L’andamento dei flussi commerciali delle tre regioni meridionali esaminate presenta una sensibile contrazione, più marcata per la Sicilia (-42,1%) rispetto a Campania (18,4%) e Puglia (-15,4%) 34 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO Interscambio totale, al netto dei prodotti energetici, con l’Area Med e le tre sub-aree al I semestre 2012 – Il Mezzogiorno e le principali regioni meridionali SOUTHERN MED EASTERN MED I sem 2012 8.743,6 I sem 2012 on I sem 2011 -11,0% MED AREA I sem 2012 I sem on I sem 2012 2011 18.166,5 -7,7% Italy I sem 2012 6.815,8 North Central Italy 6.033,7 98,1% 7.798,7 61,7% 2.261,0 229,0% 16.093,3 88,1% 743,8 -16,2% 909,8 -22,0% 331,3 -23,9% 1.984,9 -20,3% No-specified regions * 38,3 13,5% 35,2 45,3% 14,8 153,4% 88,3 38,4% Campania 341,0 7,9% 249,5 -40,2% 56,8 -5,4% 647,4 -18,4% Puglia 109,2 -46,6% 313,0 1,8% 203,5 -10,5% 625,8 -15,4% Sicilia 120,1 -36,5% 129,9 -23,6% 10,7 -88,3% 260,7 -42,1% Southern Italy I sem 2012 on I sem 2011 -2,3% ADRIATIC MED I sem 2012 I sem on I sem 2012 2011 2.607,1 -9,8% Tab. 5 - Fonte: elaborazione SRM su dati Istat – valori in milioni di euro e variazioni percentuali 35 36 2.336,7 707,2 2.658,9 754,3 712,0 141,1 4.722,4 35.495,5 659,1 126,5 4.154,5 37.217,9 832,7 3.036,6 722,3 2.646,6 11.808,4 18.964,7 20.914,1 12.149,3 2.329,0 2.578,7 1.745,8 6.224,2 6.759,7 7.018,7 3.561,2 3.787,8 6.953,9 5.498,0 6.381,8 1.782,2 2002 1.352,2 2001 1.406,1 Tab. 1 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT AREA MED ADRIATIC MED Montenegro Bosnia and Herzegovina Croatia Albania EASTERN MED Turkey Syrian Arab Republic Lebanon Israel SOUTHERN MED Egypt Libyan Arab Jamahiriya Tunisia Algeria Morocco PARTNER/YEAR 36.509,4 4.929,6 141,4 704,6 3.232,3 851,3 12.011,0 8.056,1 1.238,3 697,2 2.019,3 19.568,8 2.196,2 6.593,3 3.577,1 5.850,1 1.352,1 2003 41.344,4 5.344,3 162,4 700,4 3.558,8 922,7 13.982,5 9.657,6 1.297,7 784,9 2.242,3 22.017,5 2.631,7 7.858,2 4.052,4 6.062,6 1.412,6 2004 48.070,3 5.611,7 197,8 804,5 3.645,7 963,7 15.345,2 10.531,1 1.596,5 809,2 2.408,4 27.113,4 2.666,7 11.165,2 4.290,4 7.483,4 1.507,8 2005 57.203,1 6.493,2 319,1 802,7 4.285,7 1.085,6 16.981,9 12.169,4 1.380,9 800,6 2.631,0 33.728,0 3.709,7 14.058,1 4.691,1 9.579,8 1.689,2 2006 59.560,9 6.712,5 309,9 923,5 4.206,4 1.272,7 17.906,3 12.531,9 1.859,1 761,2 2.754,0 34.942,1 3.967,8 15.602,4 5.360,0 7.947,1 2.064,8 2007 70.474,1 7.334,7 329,7 1.082,3 4.511,2 1.411,5 18.746,8 13.085,2 1.849,0 810,7 3.001,9 44.392,5 5.152,6 20.053,7 5.283,0 11.609,7 2.293,5 2008 52.265,7 5.948,6 165,5 876,4 3.624,6 1.282,2 14.592,9 10.075,2 1.135,7 782,1 2.599,8 31.724,2 4.045,3 12.681,3 4.579,7 8.627,6 1.790,4 2009 64.273,8 6.266,3 135,2 1.008,4 3.579,1 1.543,5 19.540,1 13.186,4 2.304,1 1.065,8 2.983,8 38.467,5 4.842,0 14.979,4 5.759,7 10.930,7 1.955,7 2010 Italia: i flussi commerciali con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro) 57.704,6 6.783,3 150,2 1.079,9 3.749,9 1.803,3 22.209,5 15.605,9 1.865,4 1.365,8 3.372,3 28.711,8 5.118,0 4.585,0 5.624,4 11.292,9 2.091,5 2011 33.742,4 3.189,7 86,2 513,5 1.671,6 918,5 10.218,0 7.897,7 211,0 592,4 1.516,9 20.334,6 2.619,9 6.985,9 2.781,9 6.971,8 975,1 I sem 2012 APPENDICE STATISTICA L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 20.155,8 91,6 2.417,5 565,6 49,4 3.124,1 31.880,4 91,8 2.208,7 543,7 38,4 2.882,6 31.514,4 3.739,4 4.541,3 19.239,0 8.600,5 9.392,8 14.079,1 1.655,0 1.753,4 12.254,5 2.128,3 2.690,4 527,6 1.843,4 2.061,3 1.809,8 1.807,4 1.738,2 566,5 1.166,3 1.149,6 1.876,7 2.002 2.001 33.503,0 3.366,4 51,1 624,5 2.592,1 98,7 21.567,7 15.637,7 1.776,2 750,0 3.403,8 8.568,9 1.712,1 2.343,9 1.683,4 1.562,0 1.267,5 2.003 38.482,2 3.734,5 58,3 798,3 2.770,4 107,5 24.478,2 18.926,9 1.399,8 599,9 3.551,6 10.269,5 1.924,3 3.488,5 1.723,6 1.794,1 1.338,9 2.004 41.834,1 3.881,7 96,1 814,0 2.841,6 130,0 25.247,0 19.841,7 1.491,2 468,9 3.445,2 12.705,4 2.347,2 4.631,8 1.754,4 2.686,1 1.286,0 2.005 46.768,3 4.448,8 72,3 924,0 3.312,4 140,0 28.501,9 22.255,7 1.945,2 496,0 3.805,0 13.817,7 2.596,9 5.517,2 2.007,7 2.201,5 1.494,3 2.006 48.519,2 4.728,3 106,6 984,9 3.472,3 164,5 29.982,6 23.785,9 1.839,0 486,3 3.871,4 13.808,3 2.847,6 4.882,3 2.243,2 2.156,8 1.678,3 2.007 53.226,0 5.131,5 156,2 1.083,8 3.674,0 217,6 30.093,3 23.770,8 1.916,7 555,5 3.850,3 18.001,2 3.782,0 6.552,1 2.576,9 3.216,8 1.873,3 2.008 42.004,1 4.070,9 73,9 899,3 2.879,7 218,0 24.334,7 18.892,2 1.463,5 626,1 3.352,9 13.598,5 3.408,9 3.945,3 2.353,0 2.216,1 1.675,2 2.009 50.369,8 3.962,8 65,1 1.010,3 2.702,0 185,4 31.744,1 24.989,4 1.816,6 814,7 4.123,4 14.662,9 3.860,5 4.047,1 2.834,7 2.102,5 1.818,1 2.010 Germania: i flussi commerciali con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro) Tab. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT AREA MED Montenegro ADRIATIC MED Croatia Bosnia and Herzegovina Albania Turkey EASTERN MED Lebanon Syrian Arab Republic Israel Egypt SOUTHERN MED Tunisia Libyan Arab Jamahiriya Algeria Morocco PARTNER/YE AR 56.624,0 4.479,0 77,9 1.195,1 2.998,3 207,7 37.486,8 30.590,4 1.397,8 741,6 4.757,0 14.658,2 3.906,7 2.310,8 2.887,3 3.491,4 2.062,0 2.011 30.009,0 2.289,9 44,4 598,2 1.536,4 110,9 18.537,7 15.352,8 201,7 481,4 2.501,8 9.181,3 2.121,4 2.943,1 1.401,4 1.637,9 1.077,5 I sem 2012 L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 37 38 17,8 613,8 74,5 11,2 717,4 29.565,6 17,8 81,3 9,0 633,0 30.140,3 9.318,2 9.113,8 524,9 810,7 674,7 744,5 5.923,3 1.909,4 2.241,7 5.073,4 19.530,0 20.393,5 1.054,3 713,8 5.276,7 5.264,9 1.498,2 6.815,2 7.281,4 1.455,6 5.226,0 5.364,8 1.026,8 2.002 2.001 Tab. 3 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT AREA MED ADRIATIC MED Montenegro Bosnia and Herzegovina Croatia Albania EASTERN MED Turkey Syrian Arab Republic Lebanon Israel SOUTHERN MED Egypt Libyan Arab Jamahiriya Tunisia Algeria Morocco PARTNER/YEAR 30.120,9 760,1 13,2 96,8 624,6 25,5 9.243,0 5.993,3 724,3 851,4 1.673,9 20.117,8 1.507,3 1.097,9 5.113,4 7.141,2 5.258,0 2.003 32.722,4 676,4 14,9 84,6 554,2 22,7 10.805,9 7.678,6 658,9 774,6 1.693,9 21.240,2 1.551,1 1.292,0 5.321,4 7.789,1 5.286,6 2.004 40.740,4 721,4 21,3 128,3 550,5 21,3 11.582,0 8.132,0 907,9 683,7 1.858,3 28.437,1 2.198,4 1.900,5 5.425,5 8.650,6 10.262,1 2.005 37.477,6 750,5 12,7 133,9 582,8 21,1 12.362,2 8.944,1 921,4 647,7 1.849,0 24.364,9 2.297,3 2.353,7 5.992,8 8.148,1 5.572,9 2.006 38.481,7 697,9 9,6 117,8 543,9 26,7 13.076,8 9.398,2 880,8 757,6 2.040,2 24.707,0 1.951,2 2.687,9 6.862,8 7.240,7 5.964,4 2.007 45.236,8 746,7 30,4 111,3 573,0 32,0 14.477,0 10.304,7 983,8 1.038,0 2.150,5 30.013,2 2.097,3 3.919,3 6.962,8 10.302,2 6.731,6 2.008 38.090,0 568,6 11,4 98,4 398,7 60,1 12.818,4 9.254,6 652,4 1.232,7 1.678,6 24.703,1 2.250,2 2.981,6 6.084,5 7.788,3 5.598,4 2.009 44.986,9 577,2 16,4 96,3 409,2 55,3 14.665,7 11.064,6 738,1 958,2 1.904,9 29.744,0 2.916,8 5.832,1 6.855,9 7.618,3 6.520,9 2.010 Francia: i flussi commerciali con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro) 46.809,5 853,0 23,1 118,0 651,8 60,1 15.794,1 11.846,1 666,7 1.163,3 2.118,1 30.162,4 3.090,5 2.300,5 7.521,6 10.160,6 7.089,2 2.011 23.732,2 380,4 24,1 54,6 282,5 19,2 8.045,3 6.125,4 104,1 710,4 1.105,4 15.306,5 1.395,5 2.046,1 3.786,4 4.420,4 3.658,1 I sem 2012 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 8.656,8 2.235,9 622,3 8.798,3 2.502,2 667,3 803,8 2.784,6 701,0 175,9 4.465,2 23.413,1 706,5 2.439,4 646,9 166,5 3.959,3 23.266,9 10.291,1 1.671,8 1.921,2 10.509,3 1.260,0 1.214,0 724,7 3.109,6 3.222,8 6.708,2 1.323,6 1.148,4 658,9 1.291,8 1.291,9 6.680,9 2002 2001 Tab. 4 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT Area Med Adriatic Med Montenegro Bosnia and Herzegovina Croatia Albania Eastern Med Turkey Syrian Arab Republic Lebanon Israel Southern Med Egypt Libyan Arab Jamahiriya Tunisia Algeria Morocco Paese 24.104,5 4.679,7 174,4 672,2 2.993,9 839,2 10.805,2 7.708,3 624,0 551,7 1.921,1 8.619,7 1.681,0 1.331,5 3.107,8 1.230,9 1.268,4 2003 26.890,7 5.047,9 191,8 679,8 3.278,9 897,4 12.382,0 9.155,0 679,3 500,8 2.047,0 9.460,8 1.937,7 1.461,1 3.467,4 1.274,6 1.320,1 2004 27.566,6 5.223,9 200,4 773,7 3.313,8 936,1 13.089,3 9.798,7 665,7 464,3 2.160,6 9.253,4 1.969,5 1.123,3 3.410,4 1.367,3 1.382,8 2005 31.147,3 5.767,9 293,7 787,4 3.656,1 1.030,7 14.686,5 11.347,2 702,2 444,1 2.193,1 10.692,8 2.327,6 1.255,1 3.936,9 1.601,0 1.572,3 2006 34.241,9 6.125,9 288,6 912,6 3.724,0 1.200,7 15.533,0 12.007,1 661,9 484,4 2.379,7 12.583,0 2.983,0 1.219,9 4.565,3 1.810,9 2.003,8 2007 37.439,4 6.497,3 307,3 1.016,2 3.823,2 1.350,7 15.583,8 11.732,9 736,9 595,3 2.518,7 15.358,3 3.605,8 1.672,9 4.857,5 3.006,1 2.216,0 2008 31.505,8 5.435,5 155,0 840,1 3.219,6 1.220,7 13.024,3 9.440,7 655,4 599,8 2.328,4 13.046,0 3.027,5 1.755,3 4.131,6 2.487,7 1.643,9 2009 36.272,2 5.475,1 134,8 933,8 3.067,4 1.339,2 16.192,2 12.174,9 722,0 692,7 2.602,7 14.604,8 3.505,8 1.827,2 4.665,6 2.818,3 1.788,0 2010 36.877,6 5.451,1 142,9 972,6 2.952,1 1.383,6 18.392,3 13.938,5 781,1 714,0 2.958,7 13.034,2 3.245,0 406,5 4.628,4 2.790,9 1.963,4 2011 18.016,4 2.520,2 83,0 465,3 1.298,6 673,3 8.705,8 6.716,1 208,2 360,6 1.420,9 6.790,3 1.520,4 469,4 2.430,8 1.430,6 939,1 I sem. 2012 Italia: i flussi commerciali, al netto dei prodotti energetici, con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro) L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 39 40 91,2 2.409,5 563,7 49,3 3.113,7 27.976,5 91,6 541,2 38,3 2.872,8 26.973,8 18.895,2 17.855,7 2.201,7 577,9 523,5 562,5 14.064,8 3.729,0 4.529,0 520,6 5.967,6 6.245,3 12.243,6 525,3 1.594,6 572,3 1.695,3 909,8 1.777,4 802,4 1.160,5 1.137,8 2.037,5 2002 2001 Tab. 5 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT AREA MED ADRIATIC MED Montenegro Bosnia and Herzegovina Croatia Albania EASTERN MED Turkey Syrian Arab Republic Lebanon Israel SOUTHERN MED Egypt Libyan Arab Jamahiriya Tunisia Algeria Morocco PARTNER/YEAR 29.335,3 3.354,6 51,0 622,4 2.583,0 98,2 20.314,8 15.610,3 563,5 747,6 3.393,4 5.665,9 1.563,7 546,1 1.597,7 695,9 1.262,5 2003 33.744,1 3.723,4 58,2 796,1 2.762,5 106,6 23.643,3 18.906,2 598,8 597,1 3.541,3 6.377,4 1.704,2 680,5 1.668,5 989,4 1.334,8 2004 34.871,2 3.870,3 95,7 811,1 2.834,4 129,0 24.307,3 19.822,4 591,9 466,7 3.426,4 6.693,6 1.967,0 668,6 1.679,0 1.095,7 1.283,4 2005 38.867,4 4.434,3 71,9 921,0 3.302,6 138,7 27.206,0 22.231,2 710,3 493,1 3.771,4 7.227,1 2.140,8 610,2 1.913,8 1.091,2 1.471,1 2006 41.706,7 4.707,3 106,2 979,7 3.458,4 162,9 28.894,2 23.754,3 802,8 483,1 3.854,1 8.105,3 2.472,1 709,6 2.088,2 1.178,2 1.657,1 2007 43.760,3 5.109,1 155,7 1.075,3 3.662,4 215,7 28.859,2 23.728,6 750,7 551,7 3.828,1 9.791,9 3.128,8 1.050,6 2.225,1 1.520,8 1.866,7 2008 37.078,3 4.051,9 73,5 891,1 2.871,1 216,2 23.533,1 18.857,0 722,4 621,1 3.332,6 9.493,3 3.048,1 1.134,2 2.069,2 1.585,8 1.656,0 2009 44.767,6 3.917,4 64,6 989,0 2.680,1 183,7 30.578,1 24.929,8 750,7 809,1 4.088,5 10.272,0 3.429,8 981,9 2.631,9 1.434,9 1.793,6 2010 50.442,3 4.408,9 77,3 1.162,6 2.976,1 192,9 36.621,5 30.513,5 647,4 735,8 4.724,8 9.412,0 2.879,3 333,1 2.606,9 1.536,8 2.055,8 2011 25.672,2 2.251,1 44,2 588,9 1.527,2 90,9 18.430,8 15.264,2 201,5 477,3 2.487,8 4.990,4 1.529,2 290,8 1.208,7 887,3 1.074,4 I sem 2012 Germania: i flussi commerciali, al netto dei prodotti energetici, con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro) L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 17,4 598,6 73,7 11,1 700,8 25.532,0 17,8 80,6 8,9 629,9 25.363,1 8.732,3 8.384,8 522,7 325,4 631,5 669,1 5.876,9 1.898,5 2.229,4 446,0 16.099,0 16.348,3 5.040,3 309,1 5.099,5 5.072,7 1.384,1 4.179,4 4.343,4 295,4 5.126,9 5.274,5 1.362,3 2002 2001 25.508,2 750,7 13,0 96,3 616,4 25,0 8.801,4 5.964,1 427,2 751,7 1.658,4 15.956,1 1.393,2 362,7 4.938,3 4.147,8 5.114,2 2003 Tab. 6 - Fonte: elaborazione SRM su dati EUROSTAT AREA MED ADRIATIC MED Montenegro Bosnia and Herzegovina Croatia Albania EASTERN MED Turkey Syrian Arab Republic Lebanon Israel SOUTHERN MED Egypt Libyan Arab Jamahiriya Tunisia Algeria Morocco PARTNER/YEAR 27.848,3 667,1 14,7 84,1 546,2 22,1 10.207,4 7.559,3 337,0 619,0 1.692,1 16.973,8 1.428,1 268,1 5.212,9 4.982,9 5.081,9 2004 33.622,4 704,9 21,2 127,6 535,7 20,4 10.624,2 7.944,4 369,0 479,4 1.831,4 22.293,3 1.855,4 319,7 5.173,4 5.090,6 9.854,2 2005 28.817,9 744,1 12,6 133,1 577,8 20,7 11.342,9 8.753,3 324,1 452,0 1.813,6 16.730,9 1.511,6 492,4 5.585,5 4.117,8 5.023,6 2006 30.912,3 691,7 9,4 117,0 538,7 26,5 12.086,7 9.310,7 265,2 492,0 2.018,8 18.133,9 1.506,5 485,0 6.131,2 4.182,0 5.829,3 2007 33.650,5 741,7 30,3 111,1 568,5 31,8 12.826,0 9.835,8 266,4 609,2 2.114,5 20.082,9 1.605,1 417,2 6.324,5 5.546,7 6.189,4 2008 30.875,4 563,7 11,4 98,1 394,5 59,7 11.913,4 9.055,8 298,9 929,7 1.629,0 18.398,3 1.606,9 655,8 5.721,5 4.991,5 5.422,6 2009 36.024,4 573,0 16,3 96,2 405,3 55,0 13.920,3 11.003,3 358,9 681,1 1.877,0 21.531,2 2.249,7 944,8 6.730,4 5.254,1 6.352,1 2010 37.798,4 803,7 23,0 111,7 617,8 51,2 14.673,4 11.661,7 322,2 719,5 1.970,1 22.321,3 2.166,8 296,7 7.114,6 5.785,8 6.957,5 2011 19.033,7 378,7 24,1 54,6 281,0 19,0 7.655,4 6.082,2 104,1 401,6 1.067,5 10.999,6 926,6 196,4 3.615,9 2.636,4 3.624,3 I sem 2012 Francia: i flussi commerciali, al netto dei prodotti energetici, con i paesi dell’Area Med (2001-1H2012 – milioni di euro) L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NEL MEDITERRANEO 41 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Nota metodologica Questo capitolo esamina l’andamento dei flussi commerciali dell’Italia – in rapporto ai suoi principali competitor europei – e del Mezzogiorno, con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo che non sono membri dell’Unione Europea. Di seguito si presenta: • Il criterio di aggregazione territoriale che definisce le tre aree in cui sono raggruppati i paesi del mediterraneo oggetto di analisi; • le diverse tipologie di dati cui si fa riferimento; • le fonti utilizzate per l’analisi. I Paesi analizzati sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo non facenti parte dell’Unione Europea. Nello specifico: - i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo (nel capitolo Southern Med): Marocco, Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto; - i Paesi che si affacciano sulla sponda sud-orientale del Mediterraneo (nel capitolo Eastern Med): Israele, Libano, Siria e Turchia; - i Paesi della sponda adriatica (nel capitolo Adriatic Med): Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia e Montenegro. Le tipologie di dati Con riferimento al paragrafo 1, l’interscambio commerciale è stato analizzato con riferimento al totale degli scambi e al totale degli scambi al netto dei prodotti energetici. Per quanto riguarda i settori energetici, sono stati considerati tali quelli contrassegnati con il codice 3 (Mineral fuels, lubrificant and related materials) della Standard International Trade Classification (SITC). Nel paragrafo 2, l’interscambio commerciale è stato analizzato con riferimento al totale degli scambi. Nel paragrafo 3, l’interscambio commerciale è stato analizzato con riferimento al totale degli scambi e al totale degli scambi al netto dei prodotti energetici. Per quanto riguarda i prodotti energetici sono stati considerati i seguenti settori: BB05-Carbone (esclusa torba); BB06-Petrolio greggio e gas naturale; CD-Coke e prodotti petroliferi raffinati; D-Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata. I grafici e le tabelle sono riportati nella sola versione inglese. Le fonti utilizzate Per la realizzazione del capitolo sono state utilizzate le seguenti fonti: - Paragrafo 1 – fonte: Eurostat (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home). - Paragrafo 2 e 3 – fonte: Istat (banca dati Coeweb) (http://www.coeweb.istat.it) 42 CAPITOLO II I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI: SVILUPPI 1 RECENTI E QUESTIONI APERTE DELL’ECONOMIA Premessa A quasi due anni dallo scoppio della protesta politica che ha attraversato i Paesi Arabi della sponda Sud del Mediterraneo, si può tentare un primo bilancio degli effetti economici e discuterne le possibili implicazioni di prospettiva. I Paesi del Sud del mediterraneo sono caratterizzato da forti diversità. Dal punto di vista economico si possono distinguere quattro gruppi: 1) Paesi esportatori netti di petrolio (Algeria e Libia, con forte concentrazione settoriale delle esportazioni (oltre il 90% energetici e derivati); 2) Paesi con struttura produttiva più diversificata del Nord Africa (Marocco, Tunisia, Egitto), caratterizzati da discreto sviluppo del manifatturiero e sostenute relazioni commerciali e di investimento con la UE (oltre il 50% dell’interscambio e degli IDE in entrata); 3) Paesi con economia diversificata del Medio Oriente (Siria, Giordania, Libano), con un più alto contributo all’economia dai settori dei servizi e relazioni economiche significative anche con Paesi extra UE (in particolare Paesi del Golfo); 4) due Paesi (Israele e Turchia), con caratteristiche specifiche, un’economia, nel primo caso, avanzata e con aree di specializzazione nell’alta tecnologia; un Paese, nel secondo caso, candidato all’ingresso nella UE e ponte tra Europa e area MENA. L’intera area dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo è stata caratterizzata nel decennio 1999-2008 da una crescita sostenuta, con incremento del PIL del 4,2% medio annuo (in accelerazione al 5,5% nel 2004-08 dal 2,9% nel 1999-03), superiore di circa due punti al tasso di crescita del complesso delle economie mature (in particolare area UE) ma di due punti inferiore rispetto alla media degli emergenti. Il profilo è risultato in media più contenuto per i Paesi esportatori netti di petrolio e più accentuato per i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente con una maggiore diversificazione produttiva. Secondo un’ampia letteratura sull’argomento, la dinamica della crescita è stata più accentuata nei Paesi che hanno potuto contare su un grado più elevato di stabilità macroeconomica, una maggiore apertura al commercio e agli investimenti diretti esteri, una qualità più elevata di investimenti in infrastrutture e istruzione. Hanno rappresentato in varia misura fattori di freno lo sviluppo ancora contenuto della intermediazione finanziaria (con più difficile accesso delle PMI a credito e mercati), lo 1 Il Capitolo è stato realizzato dal Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, Ufficio International Economics. Autori: Gianluca SALSECCI (Responsabile e Coordinatore del Capitolo), Giancarlo FRIGOLI, e Fiorenza LIPPARINI, dell’Ufficio International Regulatory and Antitrust Affairs Intesa Sanpaolo Eurodesk. 43 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE svantaggio in termini di qualità, affidabilità e orientamento al mercato delle istituzioni, il carattere non inclusivo del modello di crescita, il grado di rischio politico2. Da un punto di vista politico, non tutti i Paesi della sponda Sud sono stati interessati allo stesso modo dalla protesta. Si possono in questo caso distinguere tre gruppi, con i primi due, indicati comunemente come Paesi della primavera o del risveglio arabo, colpiti a vario modo dalla protesta, il terzo no. Nel primo gruppo sono compresi Tunisia, Egitto e Libia, direttamente investiti dai rivolgimenti politici, con cambio di regime e transizione verso un nuovo assetto istituzionale, e la Siria, dove una guerra civile è ancora in corso. Nel secondo gruppo si ritrovano Marocco, Giordania, Algeria e, seppure con alcuni distinguo, il Libano, nei quali le forme di protesta sono state più contenute, con implicazioni importanti sul piano politico ma non tali da portare a rivolgimenti istituzionali. Del terzo gruppo fanno parte i due Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, Israele e Turchia, non arabi e con le specificità sopra indicate. L’impatto della protesta è stato differenziato nei tre gruppi. I Paesi direttamente investiti dai rivolgimenti politici hanno attraversato tutti una fase recessiva nel 2011. La caduta del PIL è stata particolarmente acuta in Libia (-27,9%) e in Siria (-6% sulla base di stime del tutto preliminari), ma di rilievo anche in Tunisia (-1,8%) ed Egitto (0,8%). In questo gruppo di Paesi si è avuta dal lato dell’offerta una caduta sensibile dell’attività di estrazione (Libia), manifatturiera (Tunisia, Egitto) ma anche dei servizi, in particolare turismo con entrate in calo del 70% in Siria e oltre il 30% in Tunisia ed Egitto. Dal lato della domanda hanno contribuito negativamente alla formazione del PIL gli investimenti e le esportazioni nette (sulle quali ha pesato in aggiunta una congiuntura internazionale non favorevole) mentre i consumi privati, sostenuti da politiche fiscali a supporto del reddito delle famiglie e dei sussidi, hanno dato, pur in presenza di tassi di disoccupazione in aumento, un contributo positivo. I Paesi solo indirettamente investiti dai rivolgimenti politici hanno visto invece solo un rallentamento (è il caso dell’Algeria e, in misura più marcata, il Libano, con un aumento del PIL rispettivamente del 2,4% e dell’1,5%) o addirittura un’accelerazione della crescita (è il caso della Giordania e del Marocco, grazie, per la Giordania, all’attività di estrazione e, per il Marocco al recupero della produzione agricola e a una dinamica sostenuta dei servizi del commercio con l’espansione del porto di Tangeri). I Paesi non investiti dai rivolgimenti politici, pur sensibili al raffreddamento della congiuntura estera, hanno di fatto mantenuto tassi di crescita elevati (+4,6% Israele e +8,5% la Turchia). Da un punto finanziario le ripercussioni si sono avute in due direzioni principali. In primo luogo, il deterioramento della posizione di conto corrente insieme con un calo degli IDE in entrata ha comportato, in contesti di cambi fissi o a fluttuazione controllata (solo Israele ha un regime di cambio flessibile), una contrazione generalizzata delle riserve, particolarmente acuta nei Paesi direttamente investiti dai rivolgimenti politici. Nel 2011, in Egitto le riserve sono calate di 18 miliardi di dollari (pari a circa 2/3 delle consistenze di fine 2010), in Siria di 8,6 2 Cfr. Banca Mondiale, Economic Developments and Prospects, 2008, e Coutinho L., Determinants of Growth and Inflation in Southern Mediterranean Countries, MEDPRO Technical Report, n. 10, Marzo 2012. 44 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI miliardi e in Tunisia di 1,6 miliardi. Con il peggioramento degli indicatori di vulnerabilità finanziaria si è avuto un allargamento dei CDS spread sui titoli sovrani e un abbassamento del giudizio delle agenzie di rating. S&Ps ha ridotto il rating sulla Tunisia da BBB a BB (il Paese ha perso l’investment grade), sull’Egitto da BB+ a B e ha ritirato il rating sulla Libia, precedentemente fissato ad A-. In secondo luogo, il sostegno dei redditi delle famiglie e il finanziamento dei sussidi (su beni quali alimentari ed energia con prezzi in aumento) ha comportato un aumento dei deficit pubblici, saliti in rapporto al PIL in media al 10% nei Paesi direttamente investiti dalla protesta. Il deterioramento dei saldi di conto corrente e pubblici può essere visto come effetto della risposta (di politica fiscale) offerta dalle Autorità nell’immediato per soddisfare le aspettative della protesta verso una crescita più inclusiva e una maggiore equità nella distribuzione dei benefici3. La discussione qui condotta sui fattori di stimolo e freno alla crescita nel medio periodo e sull’impatto immediato della protesta politica, consente di chiudere sottolineando tre punti: 1) con il completamento del processo di trasformazione politico istituzionale è necessario vengano definiti, nei Paesi interessati, indirizzi aperti di politica economica di medio termine per favorire la ripresa su basi solide di commerci, investimenti reali e finanziari (interni ed esteri), piani infrastrutturali; i rivolgimenti politici possono ben rappresentare una occasione per rimuovere i fattori di freno e rafforzare quelli di stimolo ad una crescita che si richiede inclusiva (per rispondere in modo sostenibile alle aspettative della protesta) e sostenuta (per riassorbire la disoccupazione); 2) con il superamento della emergenza politica vi è l’esigenza di un percorso di riequilibrio della posizione finanziaria esterna ed interna in vari Paesi; questo passaggio ha due implicazioni rilevanti: evitare che il deterioramento degli indicatori di vulnerabilità possa ripercuotendosi negativamente sulle prospettive dell’economia; favorire l’accesso dei Paesi ai programmi ufficiali di supporto e ai mercati dei capitali; 3) i rapporti con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo da parte della UE devono essere rivisitati e rafforzati; i risvolti sono importanti non solo per le prospettive di politica interna ed estera di Paesi in una fase ancora delicata della transizione ma anche per lo sviluppo delle relazioni commerciali e finanziarie tra le due aree. In questa nota dopo uno sguardo di insieme sulla struttura e le dinamiche economiche recenti (Par. 1) sono discusse le prospettive nell’ultimo scorcio del 2012 e nel 2013 delle economie dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo (Par. 2) e offerto un aggiornamento dello stato delle relazioni della UE con gli stessi (Par. 3). 1. Gli sviluppi recenti delle economie dei Paesi del Sud Mediterraneo 1.1 Uno sguardo di insieme sulla struttura dell’economia dell’area Dal punto di vista geografico, il gruppo delle economie che si affacciano sulla sponda Sud del Mediterraneo include paesi del Nord Africa (Algeria, Egitto, Libia, 3 Cfr. in questo senso anche FMI, World Economic Outlook, Set. 2012. 45 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Marocco, e Tunisia) e altri del Medio Oriente (Israele, Libano, Siria e anche Giordania che pur non avendo sbocchi sul Mare Mediterraneo gravita sullo stesso). La Turchia si trova in una posizione di ponte tra Europa e Medio Oriente. I dieci paesi del Sud Mediterraneo, con un PIL complessivo pari a poco più di 1750 miliardi di dollari nel 2011, hanno un peso economico totale contenuto, pari al 3,4% del PIL mondiale (1,8% se si escludono Israele e la Turchia) e contribuiscono al 2,7% del commercio globale (1,4% al netto di Israele e Turchia) e attraggono il 3% degli IDE mondiali (1,6% senza Israele e Turchia). La popolazione, che raggiunge i 283,7 milioni, è pari al 4,5% di quella mondiale (3,2% senza Israele e Turchia). Il reddito medio pro capite alla parità dei poteri di acquisto, pari a 11619 dollari nel 2011, che scende 8885 dollari escludendo Israele e Turchia, è basso se confrontato con quello dei paesi industrializzati e quello del gruppo GCC (pari a 33.270 USD), ma è superiore a quello medio dei BRICs (10.225 USD). PIL, popolazione, IDE e commercio (2011) % mondo PIL Nominale USD mld. Paesi petroliferi Algeria 0,39 206 Libia 0,16 82 Paesi ad economia diversificata Nord Africa Egitto 0,66 231 Marocco 0,2 99 Tunisia 0,12 46 Medio Oriente Giordania 0,04 30 Libano 0,07 40 Siria 0,16 57 Altri Israele 0,29 244 Turchia 1,28 773 Sud Med 8(***) 1,8 790 Sud Med 10 3,37 1807 USA 19,4 15076 Area Euro 14,4 13131 GCC (****) 1,81 1348 Brasile 2,9 2473 Cina 13,5 7212 India 5,5 1859 Russia 3 1858 Popolazione IDE(*) % mondo Exp+Imp Classe di reddito (**) Pro capite PPP USD mln % mondo 8440 18850 36,3 6,4 0,6 0,1 0,1 0,2 0,32 0,24 Upper middle income Upper middle income 6290 4990 8600 82,5 32,7 10,5 1,3 0,5 0,2 0,5 0,1 0,1 0,26 0,18 0,13 Lower middle income Lower middle income Upper middle income 5570 13710 4630 4,3 6,3 23 0,1 0,1 0,4 0,2 0,2 0,1 0,07 0,07 0,09 Lower middle income Upper middle income Lower middle income 30590 14520 8885 11619 48350 35570 33270 12190 9460 3970 16682 7,7 74 202 283,7 311,8 330,1 45 192,8 1321 1202 143 0,1 1,2 3,2 4,5 4,9 5,2 0,7 3 20,7 18,9 2,2 0,5 0,9 1,6 3 13,3 30,1 2,8 2 9,6 1,8 2,8 0,37 1 1,4 2,73 10,8 22,9 3,8 1,4 10,2 2,2 2,3 High income Upper middle income % mondo High income High income High income Upper middle income Lower middle income Lower middle income Upper middle income Tab. 1 - Fonte: EIU Note. (*) Il dato degli IDE si riferisce alla media 2006-2010. (**) Classificazione di reddito della Banca Mondiale. (***) Non include Israele e Turchia. (****) Include Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar e Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Il dato del PIL della Libia è riferito al 2010 La distribuzione del reddito è tuttavia molto dispersa, sia tra i paesi che all’interno dei paesi. Nel 2011, Israele aveva un reddito pro capite (30.590 dollari alla PPP) superiore a quello di molte economie avanzate ed era inserito nella classifica dei paesi per gruppo di reddito della Banca Mondiale tra quelli a reddito alto. Altri paesi quali Egitto, Giordania, Marocco, Siria, o molto popolati o con una concentrazione della 46 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI popolazione in una superficie limitata del territorio in quanto il resto è deserto inospitale hanno un reddito pro capite pari a meno della metà di quello medio per l’economia mondiale, sono considerati dalla Banca Mondiale paesi a basso reddito medio e presentano ampie sacche di povertà. Pure la Libia, desertica ma scarsamente popolata e ricca di petrolio, e l’Algeria, ricca di petrolio e più popolata, pur essendo classificati dalla Banca Mondiale in una classe di reddito più alta, presentano forti disuguaglianze di reddito interne. Da un punto di vista economico, nel Sud Mediterraneo si possono distinguere quattro principali gruppi di paesi. Nel primo (Paesi petroliferi), sono collocati Algeria e Libia, che hanno economie fondate sull’attività di estrazione di gas e petrolio. Il secondo (Paesi del Nord Africa ad economia diversificata) include i paesi che presentano una struttura economica più articolata. Alcuni di questi, aiutati anche da consistenti investimenti diretti dall’estero, hanno raggiunto un buon grado di sviluppo del settore manifatturiero (Egitto, Marocco e Tunisia). Si tratta in generale di industrie di trasformazione legate al settore primario e di produzioni ad alta intensità di lavoro ed a medio- basso contenuto tecnologico. Il terzo (Paesi del Medio Oriente ad economia diversificata) include economie principalmente basate sui servizi (Giordania e Libano) ma in alcuni casi ancora con un settore manifatturiero relativamente meno sviluppato e forte contributo dell’attività delle attività di estrazione e dell’agricoltura (Siria). Il Libano, conosciuto prima di essere dilaniato dalla guerra civile come la Svizzera del Medio Oriente, presenta un settore bancario avanzato che attira i capitali dei libanesi residenti all’estero e da molti paesi petroliferi del Golfo. Nel quarto gruppo sono collocati paesi con caratteristiche specifiche come Israele, una economia avanzata che ospita numerose industrie ad alta tecnologia, soprattutto nei campi della farmaceutica, delle biotecnologie, dell’informatica e delle telecomunicazioni e la Turchia, con un buon grado di sviluppo economico e status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea. In numerosi paesi del Sud Mediterraneo, nello specifico Egitto, Marocco, Tunisia, Siria e Turchia il settore agricolo mantiene ancora un peso significativo (compreso tra il 10% e il 20% del PIL) e occupa una quota rilevante della forza lavoro. Contributi settoriali al Valore Aggiunto 2011 Agricoltura Minerario Paesi petroliferi Algeria 8,4 40 Libia 3,6 45,1 Paesi ad economia diversificata Nord Africa Egitto 13,3 13,5 Marocco 14,3 5,1 Tunisia 10,8 6,4 Medio Oriente Giordania 4,2 2,1 Libano 4,6 Siria 16,9 Altri Israele 2,4 Turchia 9,2 0,7 Manifatturiero Costruzioni Utilities Servizi 5 5,2 11 7,3 11 2,6 35,6 36,2 15,6 14,5 21,9 5,3 6 5,7 1,9 2,4 1,7 50,4 57,7 53,5 19,7 19,7(*) 27,4(*) 5,5 2,7 65,8 75,7 55,7 20,2 24,4 7,2 5,8 2,9 2,1 67,3 57,8 Tab. 2 - Fonte, IIF, Banche Centrali, Uffici di Statistica Nazionali. (*) Per il Libano e la Siria, la Banca Centrale fornisce un dato aggregato per minerario, manifatturiero e utility. 47 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Il passo di sviluppo conseguito da queste economie non è in molti casi sufficiente ad assorbire la forza lavoro alimentata da tassi di natalità elevati. Questa situazione determina, da un lato, disoccupazione, particolarmente alta tra la popolazione giovanile istruita, dall’altro, consistenti flussi migratori dai paesi del Nord Africa (Egitto, Marocco e Tunisia) principalmente verso l’Europa, e dai paesi del Medio Oriente (Giordania, Libano e Siria) verso le ricche e scarsamente popolate economie petrolifere del Golfo. Le rimesse di questi lavoratori offrono un importante sostegno alla domanda interna. La maggior parte dei paesi del Sud Mediterraneo ha un contenuto tasso di risparmio, ampi deficit della bilancia corrente (cfr segue) e un sistema finanziario domestico poco sviluppato. Essi registrano elevati fabbisogni finanziari esterni e devono contare su consistenti investimenti diretti dall’estero per finanziare lo sviluppo. I fondi vengono principalmente dall’Europa e dai paesi petroliferi del Golfo. I capitali esteri, oltre a finanziare i progetti di sviluppo nei settori primario, manifatturiero e servizi (principalmente i settori finanziario e immobiliare) hanno offerto supporto ai programmi di privatizzazione di quote di società (principalmente servizi come banche, telecomunicazioni e pubblica utilità) perseguite negli anni scorsi da numerosi paesi, in primis Egitto, Giordania, Israele, Tunisia e Turchia. La progressiva apertura dei paesi verso l’esterno oltre a favorire lo sviluppo degli scambi commerciali e l’intervento di investitori esteri ha consentito la crescita del turismo. L’Europa alimenta oltre il 70% dei flussi turistici verso i paesi del Nord Africa (in particolare Egitto, Marocco e Tunisia) mentre alcuni paesi del Medio Oriente (Giordania e Libano) registrano consistenti presenze dai paesi del Golfo. La domanda espressa dal turismo offre un rilevate contributo diretto (spese dei turisti per usufruire dei vari servizi) e indiretto (attività promozionali, investimenti in immobili e veicoli ad uso turistico, ecc.) al PIL. Il World Travel and Tourism Council ha stimato che nel 2011 il turismo ha contribuito ad oltre un terzo del PIL del Libano a una quota compresa tra il 15% e il 20% del PIL di Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia. Gli IDE in rapporto al PIL sono particolarmente rilevanti in Giordania (9,9% dato medio dei flussi del quinquennio 2006-10) e Libano (12,0%), grazie soprattutto agli investimenti nel settore immobiliare e nei servizi (principalmente finanziari) dai paesi petroliferi del Golfo. Nei paesi del Nord Africa la maggioranza degli IDE provengono dall’Europa. Dal punto di vista dei rapporti commerciali, i paesi del Sud Mediterraneo sono economie abbastanza aperte. Nel 2011, il grado di apertura medio, definito come rapporto tra la somma delle esportazioni e importazioni e PIL, pari al 58,5%, era superiore al valore medio per l’economia mondiale (51,4%). L’Europa è il partner privilegiato dei paesi a economia diversificata del Nord Africa, di Israele e Turchia mentre i paesi del Medio Oriente assorbono una quota significativa delle esportazioni di Giordania, Libano e Siria. A parte i paesi petroliferi, gli altri registrano consistenti disavanzi commerciali dovuti a una sostenuta domanda interna e a carenze nella produzione domestica di macchinari ed impianti e di alcuni beni durevoli, soprattutto veicoli a motore e forniture per le abitazioni. Quasi tutti i paesi hanno perseguito negli ultimi anni politiche di liberalizzazione del commercio nel contesto di Accordi Associativi sia con l’Unione Europea sia infra-regionali. 48 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Rapporti di conto corrente e finanziari con l’estero Exp+Imp/PIL 2011% IDE/PIL % Media 2006-10 Paesi petroliferi Algeria 57,8 Libia 43,3 Paesi ad economia diversificata Nord Africa Egitto 35,9 Marocco 65,5 Tunisia 91,2 Medio Oriente Giordania 89,6 Libano 61 Siria (*) 37,1 Altri Israele 53,7 Turchia 48,6 Rimesse/PIL 2011% Turismo 2011 Entrate/PIL Contributo al PIL 2,4 3,2 n.d. n.s. n.d. n.d. 7,7 3,2 4,2 2,5 3,8 6,2 7,5 4,1 5,8 7,4 11,6 14,8 18,9 14,2 9,9 12 3,1 10,5 6,7 2,2 12,8 21,5 10,3 18,8 35,5 n.d. 4 2,1 n.s. 0,1 2,1 2,8 8,1 10,9 Tab. 3 - Fonte: EIU, Banche centrali, wttc.org. Per la Siria, il dato delle rimesse si riferisce al 2009, quello del turismo al 2010 Saldo corrente e commercio estero 2011 Saldo corrente % PIL Saldo commerciale Quota % export Principali esportazioni(*) % PIL Europa MENA 12,7 8,7 49,5 76,5 3,5 4,5 98 (gas e petrolio) 97 (gas e petrolio) 49(gas e petrolio),10 (chimici) 20 (chimici),17(tessili),15(alimentare) 61(meccanica, elettronica), 26(tessile) Paesi petroliferi Algeria 10,2 Libia 6,9 Paesi ad economia diversificata Nord Africa Egitto -2,7 -11,8 48,5 18,1 Marocco -8,4 -23,2 62,4 7,6 Tunisia -6,7 -13,3 76,2 19 -9,7 -27,4 -10,3 -35,7 -39,7 -8,5 6,8 35,3 12,6 47,9 35,3 35,6 Medio Oriente Giordania Libano Siria Altri Israele Turchia 0,8 -6 43,5 -9,9 -13,7 46,8 35,3 25(fosfati e potassio),23 (chimica) 44(gioielli), 14(agricoli) 35(petrolio), 22(alimentar) 41(manifatturiero),37(high tech) 18(tessile), 10 (veicoli), 10 (alimentare) Tab. 4 - Fonte: EIU, Banche centrali e Uffici di statistica. (*) Il numero rappresenta la quota percentuale 1.2 La crescita nel 1999-2008 e le ripercussioni della crisi finanziaria I paesi del Sud Mediterraneo hanno registrato una significativa accelerazione della crescita dell’economia tra il 2004 e il 2008, grazie alla buona dinamica dell’economia mondiale e alle riforme adottate da alcuni Paesi, finalizzate a stimolare l’iniziativa privata, ad aprire il sistema economico verso l’esterno e ad attirare capitali stranieri. Gli stessi hanno inoltre beneficiato, direttamente in quanto esportatori o indirettamente grazie agli stretti legami con i paesi del Golfo, del ciclo favorevole dei prodotti energetici. Il tasso di crescita medio del PIL reale dei paesi del Sud Mediterraneo è passato dal 2,9% nel quinquennio 1999-03 al 5,5% nel quinquennio 2004-08. 49 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE La crisi finanziaria mondiale del 2008-09 ha avuto un impatto differenziato. In Turchia nel 2009 il PIL è crollato del 4,9% in termini reali. A causa dell’ampio deficit corrente, della bassa copertura da parte delle riserve e dell’inflazione elevata, il paese è risultato particolarmente vulnerabile agli shock esterni. Sempre nel 2009, la crescita del PIL si è quasi fermata in Israele, con le industrie high-tech molto sensibili al ciclo delle economie avanzate e ha frenato sensibilmente in Tunisia, con una economia molto dipendente dal ciclo dell’Unione Europea. La temporanea fase negativa del ciclo delle materie prime ha determinato minori proventi, tagli della produzione e contrazione del potere di acquisto nei paesi esportatori del Nord Africa. Per gli altri paesi ad economia diversificata del Sud Mediterraneo l’impatto della frenata dell’economia mondiale è stato contenuto, in parte per effetto della minore apertura economica e finanziaria verso le economie mature, in parte grazie al sostegno dello Stato alla domanda attraverso sussidi e generosi aumenti salariali e agli aiuti finanziari dei paesi petroliferi del Golfo. La successiva stabilizzazione del quadro finanziario internazionale, la ripresa nelle economie mature, l’accelerazione delle economie petrolifere del Golfo e le politiche economiche orientate alla crescita seguite in diversi Paesi, come Turchia e Israele ma anche in Egitto e Tunisia, hanno portato a un ampio rimbalzo del PIL del Sud Mediterraneo nel 2010 (+6,2%). Crescita reale del PIL 1999-2003 Paesi Petroliferi Algeria 3,9 Libia 3 Paesi ad economia diversificata Nord Africa Egitto (*) 4 Marocco 3,8 Tunisia 4,5 Medio oriente Giordania 4,9 Libano 2,3 Siria 1,9 Altri Israele 2,7 Turchia 1,8 Sud Med 8 3,7 Sud Med 10 2,5 Totale emergenti 5,2 2004-2008 2009 2010 3,5 5,9 2,4 -1,4 3,3 3,7 5,9 4,8 5,3 4,7 4,9 3,1 5,1 3,7 3,1 6,7 5,1 5,7 5,5 8,5 5,9 2,3 7 3,4 5,1 6 5,2 5,5 7,5 0,8 -4,8 3,8 0,3 2,8 5,7 9,2 4,2 6,2 7,4 Tab. 5 - Fonte: FMI WEO Set 2012. (*) Per l’Egitto i dati si riferiscono all’anno fiscale che termina giugno Nel corso del quinquennio 2004-2008, un periodo caratterizzato da ciclo mondiale sostenuto, i paesi petroliferi dipendenti dall’attività di estrazione hanno registrato tassi di crescita significativamente inferiori agli altri, nonostante il consistente guadagno di ragione di scambio ottenuto. Questa relativa debolezza riflette, oltre all’esposizione a un mercato regolato da quote come quello petrolifero, una limitata capacità di spendere la ricchezza petrolifera in investimenti finalizzati, oltre che all’esplorazione delle riserve di gas e petrolio, alla diversificazione dell’economia. Tra i paesi ad economia 50 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI diversificata hanno invece riportato tassi di crescita particolarmente sostenuti quelli maggiormente interessati da riforme, da misure di liberalizzazione del sistema economico e da più intensi legami economici con l’estero. Tra questi in particolare, la Turchia, l’Egitto e la Giordania. Dal punto di vista dell’offerta, il settore servizi, soprattutto turismo, immobiliare e finanziari, ha registrato tassi di crescita particolarmente sostenuti nel quinquennio 2004-08. Nel 2009, il settore ha risentito dei negativi sviluppi della crisi internazionale, soprattutto in Marocco, Tunisia e Turchia, paesi con vocazione turistica e stretti legami economici e finanziari con l’Europa, recuperando tuttavia nel 2010. La produzione manifatturiera è caduta durante la fase negativa del ciclo nel 2009 ma ha registrato un ampio rimbalzo nel 2010, soprattutto in Turchia (+13,6%) e in Tunisia (+7,8%), guidando il recupero del PIL. L’agricoltura, molto soggetta a fattori climatici in quanto poco automatizzata e con una bassa percentuale di terreni irrigui, ha aggiunto volatilità all’andamento del PIL. Il favorevole andamento climatico in paesi a vocazione agricola come il Marocco e la Siria ha portato a una forte crescita dei raccolti nel 2009, che ha permesso al complesso delle economie del Sud Mediterraneo di mantenere una crescita positiva del PIL, nonostante il contributo negativo del settore industriale. PIL Sud Mediterraneo: variazione in termini reali dell’offerta Agricoltura Industria (*) -manifatturiero Servizi PIL 1999-2003 2,2 2,1 2,4 3,8 2,5 2004-2008 2,2 5,4 5,8 6,9 5,5 2009 7 -1,3 -2,9 0,9 0,3 2010 0,8 7,1 8,3 5,7 6,2 Tab. 6 - Fonte EIU (*) Il dato riguarda minerario, manifatturiero, costruzioni e servizi di pubblica utilità Dal lato della domanda la spinta alla crescita del Sud Mediterraneo è venuta in gran parte dai consumi, che dal 1999 al 2010 hanno mediamente contribuito a più di metà della crescita. Questa componente ha beneficiato di generosi aumenti salariali, che hanno interessato soprattutto il pubblico impiego, dell’aumento dell’occupazione, delle rimesse dei lavoratori emigrati e dei sussidi alle classi meno abbienti. Il contributo degli investimenti, che era stato nullo nel quinquennio 1999-03, è diventato particolarmente rilevante in quello successivo (2004-08). Nei paesi petroliferi, una spinta importante agli investimenti è stata data dalla spesa pubblica in infrastrutture, rete dei servizi ed abitazioni civili, finanziata dai proventi del petrolio. In questi paesi, il contributo alla crescita degli investimenti è risultato mediamente più rilevante. Nei paesi con economia diversificata, un sostegno importante agli investimenti è venuto, oltre che dalla spesa pubblica in infrastrutture e abitazioni civili, da consistenti investimenti diretti dall’estero, che si sono indirizzati principalmente verso l’immobiliare e il manifatturiero. La sostenuta domanda interna, in eccesso rispetto alla produzione per il complesso dei paesi, ha favorito la crescita dell’economia ma con una dinamica delle importazioni più forte di quella delle esportazioni e il commercio estero ha dato un contributo negativo alla formazione del PIL. 51 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Sud Mediterraneo PIL: contributi alla crescita della domanda Consumi privati Consumi pubblici Investimenti Commercio estero Variazione scorte PIL 1999-2003 1,8 0,4 0 0,2 0,1 2,5 2004-2008 3,4 0,6 2,1 -0,6 0 5,5 2009 1,4 0,6 -1,8 0,3 -0,2 0,3 2010 3,4 0,5 3,5 -1,9 0,7 6,2 Tab. 7 - Fonte: EIU 1.3 L’impatto economico dei rivolgimenti politici nel 2011 Le interruzioni e le disfunzioni delle diverse attività economiche conseguenti ai rivolgimenti politici che hanno interessato numerosi paesi del Sud Mediterraneo, le difficoltà con cui ha proceduto nel corso del 2011 il processo di stabilizzazione del quadro politico, le incertezze riguardo le azioni delle nuove amministrazioni, insieme alla debolezza ciclica di molte economie avanzate, soprattutto l’area dell’euro, hanno determinato una significativa frenata della crescita del PIL del Sud Mediterraneo, passato dal 6,2% del 2010 all’1,8% nel 2011. Nel 2011, i paesi direttamente coinvolti dai rivolgimenti politici, nello specifico Egitto, Tunisia Libia e Siria hanno registrato una contrazione del PIL (anche per l’Egitto, con riferimento all’anno di calendario 2011, il PIL è diminuito dello 0,8%, contro un aumento del 5,6% nel 2010). Per l’Egitto la rilevazione della dinamica del PIL sulla base dell’anno fiscale oscura in parte l’impatto. Il PIL è infatti ancora cresciuto dell’1,8% nell’anno fiscale che è terminato a giugno 2011 e del 2,3% (dato preliminare) nell’anno fiscale che è terminato a giugno 2012. Nell’anno fiscale 2010 il PIL era cresciuto del 5,1%. I paesi che nel corso del 2011 hanno visto (contenute) manifestazioni di protesta o sono stati colpiti indirettamente dai rivolgimenti politici nella regione hanno registrato un contenuto rallentamento delle proprie economie, in parte peraltro legato al deterioramento della congiuntura internazionale. Le economie di Giordania e Libano, tra le più aperte del Medio Oriente e confinanti con uno dei paesi focolaio di crisi (la Siria), sono state interessate in ogni caso da una frenata più accentuata della crescita. Per entrambi i paesi, il rallentamento è stato principalmente determinato dal calo nel settore costruzioni, su cui ha pesato il taglio dei piani di sviluppo del residenziale e delle strutture turistiche finanziati principalmente da fondi provenienti dai paesi petroliferi del Golfo, dalla diminuzione delle rimesse dei connazionali all’estero, e dalla frenata di alcuni servizi su cui ha pesato il calo della domanda estera (turismo e finanziari). La crescita del PIL ha invece accelerato in Marocco (+4,9% nel 2011) grazie alla ripresa della produzione agricola e al buon andamento di alcuni settori non agricoli, soprattutto quelli dipendenti dalla domanda di servizi turistici e dalla logistica (principalmente il movimento merci via mare grazie all’espansione del porto di Tangeri). In Algeria, l’economia è stata sostenuta dalla parte non-oil (+5% in termini reali nel 2011) spinta, dal lato della domanda, dagli aumenti di salariali e sussidi concessi dal Governo, dalle assunzioni nel settore pubblico per prevenire il diffondersi del malcontento e dalla crescita dei consumi pubblici, mentre, 52 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI per quanto riguarda l’offerta, le costruzioni hanno beneficiato dei piani finanziati dallo Stato per il potenziamento delle infrastrutture e lo sviluppo abitativo. L’estrazione di gas e petrolio ha confermato il calo strutturale iniziato nel 2005 dovuto soprattutto alla parte gas. Israele e Turchia, le cui economie non sono state toccate dagli eventi politici in corso, hanno presentato nel 2011 tassi di espansione reale del PIL ancora sostenuti (+4,6% e +8,5% rispettivamente), spinti dalla componente investimenti fissi lordi in macchinari e impianti e costruzioni in Turchia e dai settori IT, delle biotecnologie, e nell’attività di esplorazione per lo sfruttamento delle riserve di gas trovate al largo delle coste in Israele. PIL 2011:Offerta (var % a/a) PIL Agri Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 1,8(*) 2,7 Libia -27,9 -8 Siria n.d. n.d. Tunisia -1,8 11 Paesi indirettamente investiti Algeria 2,4 2,2 Giordania 2,6 4,2 Libano 1,5 -1,5 Marocco 4,9 5,3 Paesi non investiti Israele 4,6 2 Turchia 8,5 5,3 Sud Med 1,8 3,8 Industria(*) Manifat Servizi 0,5 -35,8 n.d. -4,4 -1 -23,8 n.d. -3,1 2,8 -17 n.d. 7 4,7 4,1 1,5 3,9 4,5 2,4 1,4 3 -0,1 1,7 2 4,6 4,4 9,6 1,2 4,8 9,4 4,8 4,8 8,1 4,6 Tab. 8 - Fonte:EIU. (*) Il dato si riferisce all’anno fiscale che termina a giugno 2011. Nell’anno di calendario il PIL è diminuito dello 0,8% PIL 2011: Domanda (contributi alla crescita) PIL Cons fa Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 1,8 3,6 Libia -27,9 -6,8 Siria n.d n.d. Tunisia -1,8 -1,1 Paesi indirettamente investiti Algeria 2,4 1,7 Giordania 2,6 2,3 Libano 1,5 4,7 Marocco 4,9 4,2 Paesi non investiti Israele 4,6 2,2 Turchia 8,5 5,3 Sud Med 1,8 2,1 Cons pu Invest Estero 0,4 -0,9 n.d. 0,2 -1,1 -18,1 n.d. -0,1 -1,4 -2,1 n.d. -1 2,2 0,7 1,3 0,7 1,8 0,4 1,5 0,8 -0,6 -0,9 -6 -1,2 0,7 0,6 0,7 3 4,5 0,9 -2,1 -1,5 -1,6 Tab. 9 - Fonte: EIU. Il dato si riferisce all’anno fiscale che termina a giugno 2011. Nell’anno di calendario il PIL è diminuito dello 0,8% All’andamento delle economie del Sud Mediterraneo nel 2011 hanno contribuito tuttavia non solo fattori (politici) interni ma anche fattori (economici) esterni. Tra i fattori interni, le agitazioni hanno portato nei primi mesi del 2011 ad ampi tagli della produzione industriale in diversi paesi. In Egitto e Tunisia la produzione è mediamente scesa del 6,4% e del 3,7% rispettivamente. 53 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Questi stessi paesi hanno recuperato i precedenti livelli produttivi alla fine del 1° semestre 2012. In Libia l’estrazione di petrolio si è quasi interamente bloccata durante i mesi di guerra civile fino all’inizio di ottobre 2011. Al termine delle ostilità, è ripresa gradualmente sino a raggiungere i 900 mila barili al giorno a fine dicembre 2011, circa il 60% della produzione del 2010. Dati di fonte ENI indicano che a fine 2011 le importazioni di gas dalla Libia attraverso Greenstream hanno raggiunto circa il 60% dei volumi prima del conflitto. Lo stato di tensione nella regione ha determinato nel 2011 un calo dei proventi da turismo rispetto all’anno prima di oltre il 70% in Siria, superiore al 30% in Egitto e Tunisia, vicino al 20% in Giordania e Libano. Turchia soprattutto ma anche Marocco e Israele hanno registrato invece un aumento degli incassi. Ha inoltre avuto un forte impatto sulla dinamica dei movimenti di capitale. L’Egitto è passato da un afflusso netto di fondi per IDE nel 2010 superiore ai 5 miliardi di dollari a un deflusso netto pari a 1,2 miliardi nel 2011. Gli IDE sono crollati di circa il 70% in Siria e Tunisia. Pure Giordania e Libano hanno visto un calo degli IDE (attorno al 20%), seppur frenato dall’apporto dei capitali provenienti dai paesi del Golfo. Tra i fattori economici esterni, le rimesse dei lavoratori emigrati hanno mostrato una tenuta, grazie principalmente ai lavoratori presenti nelle ricche economie del Golfo che hanno beneficiato delle generose politiche a sostegno della domanda condotte in quei Paesi per prevenire l’estendersi della protesta. L’impatto sul commercio, a parte i paesi interessati da conflitti come la Libia e la Siria che hanno visto una ampia caduta delle esportazioni per caduta della produzione interna, è meno visibile. La crisi ha costretto diversi paesi (tra gli altri Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Siria e Tunisia) a rinviare alcune importanti riforme in agenda del sistema dei sussidi e dell’imposizione fiscale finalizzate ad ottenere un miglior controllo dei conti pubblici. Di fatto tutti i paesi hanno aumentato la spesa corrente soprattutto quella salariale e in aiuti alla popolazione meno abbiente con conseguente deterioramento dei saldi di bilancio. Flussi esterni (USD miliardi) USD mld Export ‘11 Turismo ‘10 Rimesse IDE ‘11 ‘10 ‘11 ‘10 ‘11 ‘10 5,2 Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 27,9 25 8,6 12,5 14,3 12,2 -1,2 Libia 15,2 48,9 n.d. n.d. n.s. n.s. -0,4 -1 Siria 8,1 12,3 1,9 6,2 n.d. n.d. 0,6 1,5 17,8 16,4 1,5 2,5 1,9 2,1 0,4 1,4 Tunisia Paesi investiti indirettamente Giordania 8 7,1 3 3,5 3,1 3,2 1 1,2 Libano 4,3 4,2 6,6 8 2,7 2,8 2,9 3,8 Marocco 21 17,8 6,9 6,7 7,5 7,1 2,1 1 72,7 57,1 n.d. n.d. n.s. n.s. 1,9 3,5 Algeria Paesi non investiti Israele 58,1 50,8 4,9 4,5 n.s. n.s. 8,3 -3,6 Turchia 134 113 23 20,8 1 0,9 17 7,6 Tab. 10 - Fonte: Thomson Reuters - Datastream, Banche centrali, IIF, EIU 54 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Produzione industriale 120 Egitto Tunisia Giordania 110 100 90 80 70 gen-10 lug-10 gen-11 lug-11 gen-12 lug-12 Graf. 1 - Fonte: Thomson Reuters – Datastream 1.4 La politica economica di fronte ai rivolgimenti politici 1.4.1 Inflazione e politica monetaria La debolezza della domanda interna e i generosi sussidi su prodotti petroliferi e alimentari concessi da numerosi governi dei paesi del Sud Mediterraneo hanno permesso di tenere l’inflazione sotto controllo nel 2011 nei paesi investiti da rivolgimenti politici, quali l’Egitto e la Tunisia, nonostante le disfunzioni nella rete distributiva accentuate dalle periodiche proteste e gli aumenti dei prezzi di molti beni importati, soprattutto prodotti energetici e alimentari, conseguenti sia alle tendenze sul mercato internazionale sia, in alcuni paesi, al deprezzamento del cambio (cfr. segue). Solo in Libia l’inflazione ha accelerato sensibilmente lo scorso anno (il FMI ha stimato un tasso medio d’inflazione pari al 15,9% nel 2011 rispetto al 3,2% del 2010) a causa delle difficoltà di approvvigionamento di alcuni beni dovute al conflitto. Nei paesi investiti indirettamente dai rivolgimenti politici, in Algeria gli aumenti dei prezzi dei beni importati, soprattutto prodotti alimentari che hanno un peso elevato nell’indice (40%), hanno portato ad una significativa accelerazione dell’inflazione, con il tendenziale salito all’8,1% ad agosto 2012. In Giordania e Libano, i controlli e i sussidi finalizzati a contenere il malcontento hanno bilanciato le pressioni inflazionistiche esterne. Per quanto riguarda gli altri paesi, in Turchia l’impatto cumulato del deprezzamento del cambio, dell’aumento dei prezzi dei beni importati, delle maggiori tasse su alcuni beni a prezzi amministrati (tabacco ed energetici) e delle 55 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE avverse condizioni climatiche sui prodotti agricoli ha determinato una significativa accelerazione dell’inflazione nei mesi finali del 2011 e nei primi mesi del 2012. Il tasso medio di inflazione nei paesi del Sud Mediterraneo si è portato dal 6,9% del 2010 al 7,3% nel 2011 ed è previsto al 7,4% nel 2012. Per l’aggregato paesi emergenti, secondo dati del FMI, l’inflazione media è passata dal 6,1% del 2010 al 7,2% del 2011 ed è prevista frenare al 6,1% nel 2012. Nei paesi investiti da rivolgimenti politici, le Autorità hanno risposto con una gestione flessibile della politica monetaria dando, a seconda delle circostanze, priorità al sostegno dell’economia o alla difesa del cambio. L’Egitto ha così alzato i tassi lo scorso novembre, quando il cambio era particolarmente sotto pressione. La Tunisia, che nel corso del 2011 aveva ripetutamente tagliato i tassi per sostenere l’economia, lasciando deprezzare il cambio, la scorsa estate, con l’economia che ha cominciato a dare segni di ripresa, è tornata ad alzarli per contrastare le spinte inflazionistiche. Riguardo i paesi indirettamente investiti dalla protesta, in Giordania la difesa del cambio è stata alla base dei rialzi operati nel giugno 2011 e a febbraio 2012. Il Marocco ha nel corso del 2011 lasciato i tassi invariati nonostante la frenata dell’inflazione per aiutare la stabilità del cambio e solo lo scorso febbraio ha tagliato i tassi a seguito della frenata dell’economia dovuta principalmente al settore agricolo. Nei paesi non interessati da rivolgimenti politici la Banca centrale turca ha fatto muovere i tassi interbancari entro un corridoio delimitato dal tasso repo a 7 giorni, fermo al 5,75% dall’agosto 2011, e dal tasso di finanziamento overnight, di recente tagliato al 10%, finanziando alternativamente il sistema al tasso massimo nelle fasi di pressione sulla valuta o al tasso minimo per sostenere l’economia. Il rientro dell’inflazione entro la fascia obiettivo ha permesso a partire dal settembre 2011 alla Banca centrale di Israele di rispondere al peggioramento dello scenario economico esterno con ripetuti tagli dei tassi d’interesse, dopo una fase restrittiva iniziata nell’agosto 2009, che aveva visto il tasso di riferimento salire dallo 0,50% al 3,25% a maggio 2011. Tassi d’interesse e inflazione Inflazione tendenziale 2012(*) dic-11 Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 6,20% 9,50% Libia 10% 15,90% Siria n.d. n.d. Tunisia 5,70% 4,00% Paesi investiti indirettamente Giordania 4,80% 3,30% Libano 3,00% 2,70% Marocco 1,20% 0,90% Algeria 8,10% 5,10% Paesi non investiti Israele 2,10% 2,20% Turchia 9,20% 10,40% Tasso di riferimento dic-10 2012(**) dic-11 dic-10 10,60% 3,20% 6,30% 4,00% 9,50% n.d. n.d. 3,75% 9,50% n.d. n.d. 3,25% 8,50% 3,0%. n.d. 4,50% 6,10% 4,60% 2,20% 2,70% 4,75% 5,75% 3,00% 4,00% 4,25% 6,00% 3,25% 4,00% 4,00% 6,00% 3,25% 4,00% 2,70% 6,40% 2,25% 10,00% 2,75% 11,50% 2,00% 9,00% Tab. 11 - Fonte: Banca Centrale, Thomson Reuters - Datastream. (*) Il dato del 2012 si riferisce a settembre; per Algeria e Libano ad agosto; per la Libia inflazione media dell’anno prevista dal FMI (**). Situazione a metà ottobre 56 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI 1.4.2 La politica fiscale Nella seconda metà degli anni 2000, diversi paesi del Sud Mediterraneo erano stati interessati da un processo di riduzione del disavanzo e del debito pubblico in rapporto al PIL. In quel periodo, i paesi esportatori di petrolio erano riusciti non solo a far scendere il rapporto debito/PIL a una sola cifra decimale ma anche a costituire Fondi ricchezza. Nello specifico, in Algeria le maggiori entrate dovute a un prezzo del petrolio superiore a quello ipotizzato, sono state depositate nel “Fonds de régulation des recettes (FRR)”, che, a fine 2011, aveva una capitalizzazione stimata attorno ai 70 miliardi di dollari, mentre prima dello scoppio della guerra civile la Libyan Investment Authority (LIA) aveva attività in valuta per 65 miliardi di dollari (tutte queste stime sono del SWF Institute). Durante la fase di consolidamento dei conti, le finanze pubbliche avevano beneficiato della sostenuta crescita dell’economia, del rialzo dei prezzi delle materie prime esportate e, nei paesi a economia diversificata del Nord Africa e del Medio Oriente, da riforme per il rafforzamento dell’amministrazione fiscale, l’allargamento della base imponibile e il riordino della tassazione, e di politiche di gestione delle spese focalizzate sulla revisione dei criteri della spesa per sussidi. Questi interventi, seppur timidi, erano stati accolti non senza manifestazioni di protesta dalla fascia più povera della popolazione (in Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Siria e Tunisia) anche prima dello scoppio della Primavera Araba. Nella quasi totalità dei paesi investiti direttamente o indirettamente da rivolgimenti politici, l’espansione della spesa corrente sia in salari (generosi aumenti nel pubblico impiego), sia in sussidi, la contrazione delle entrate per la frenata dell’economia, il rinvio delle annunciate riforme fiscali e, non da ultimo, un quadro congiunturale esterno meno favorevole, hanno determinato nel 2011 un sostanziale allargamento del disavanzo pubblico in rapporto al PIL. Il rapporto tra deficit pubblico e PIL è invece sceso in Algeria, grazie ai maggiori proventi petroliferi che contribuiscono a oltre il 70% delle entrate, in Libano, dove l’attività del Governo e quindi la spesa è frenata da contrasti politici, e in Israele e Turchia dove le economie hanno continuato a crescere a ritmi sostenuti dando una spinta alle entrate. Tutti i paesi del Sud Mediterraneo hanno indicato nel Budget 2012 un deficit di bilancio in rapporto al PIL inferiore a quello del 2011. Il conseguimento di questo obiettivo appare tuttavia problematico, soprattutto per i paesi non petroliferi del Nord Africa e del Medio Oriente, considerando la maggiore spesa per sussidi, rispetto a quanto programmato, a seguito degli aumenti dei prezzi di alimentari ed energia, la crescita della spesa corrente in salari, pensioni, trasferimenti alle famiglie più povere, i programmi a favore dei disoccupati e, infine, la contenuta crescita economica. Negli ultimi mesi Egitto, Marocco e Tunisia hanno rivisto al rialzo l’obiettivo deficit in considerazione dell’aumento delle uscite per sussidi su beni alimentari ed energetici. 57 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Deficit e debito pubblico Saldo Stato/PIL % 2004-08 2009 2010 Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto -8,3 -6,6 -8,1 Libia 25,1 7,1 6,7 Siria -3,8 -2,9 -1,4 Tunisia -2 -2,9 -5,8 Paesi indirettamente investiti Giordania -8,9 -10,9 -7,4 Libano -10,3 -8,5 -7,8 Marocco -2,1 -2,7 -3,7 Algeria 7,2 -7 -4,4 Paesi non investiti Israele -1,7 -5,2 -3,7 Turchia -2,1 -5,5 -3,7 Debito pubblico/PIL % 2009 2010 2011 2011 2012E 2004-08 2012E -11 -7,7 -10,9 -9 -10,4 13,9 -11,2 -8,3 113,5 5 169,9 48,9 83,5 3,9 23,8 42,9 81,4 3,2 22,6 40,5 83,6 4,3 35,2 45,1 85 1,9 42,6 52,3 -12,4 -5,8 -6 -2,4 -11,4 -7 -7,5 -2,4 71,5 169,9 64,7 13,9 57,4 147,6 56,9 8,1 57,3 141,7 61 9,3 57,5 134 64,7 8,1 59,1 126 71,7 8,5 -3,3 -1,3 -3,9 -1,8 84,6 46,6 77,9 46,4 74,5 43,1 72,6 40,1 74,7 39,2 Tab. 12 - Fonte: EIU. (*) Il segno (+) indica un surplus di bilancio 1.4.3 La politica valutaria La quasi totalità dei paesi del Sud Mediterraneo esercita un controllo più o meno stretto delle valute. Tra i paesi della regione, solo Israele lascia fluttuare liberamente il cambio. Tutti i paesi con esportazioni diversificate del Medio Oriente e la Libia seguono un regime di parità fissa nei confronti del dollaro o di un paniere che replica la composizione degli SDR (Diritti Speciali di Prelievo) del Fondo Monetario Internazionale. L’adozione di questo regime è finalizzata a dare un certo grado di stabilità ai mercati domestici (sia finanziari che reali), che le Autorità, per motivi politici (conflitti, sanzioni internazionali, debolezza dell’esecutivo) o per carenze strutturali dell’economia, avrebbero difficoltà a garantire. I paesi del Nord Africa, hanno invece regimi di fluttuazione controllata (Algeria, Egitto e Turchia) o di cambio fisso (il Marocco). Tunisia e Marocco, dati gli stretti rapporti commerciali con l’Unione Europea, fanno riferimento a un paniere dove l’euro pesa per i due terzi, mentre in Algeria ed Egitto la fluttuazione controllata, senza preannunciati livelli di riferimento, è rispetto al dollaro USA. La Turchia monitora un paniere equamente diviso tra dollaro ed euro. Le tensioni politiche hanno avuto un impatto contenuto sul mercato valutario. Nel 2011 e nei primi dieci mesi del 2012, la lira egiziana e il dinaro tunisino, valute di due dei paesi direttamente interessati da rivolgimenti politici, hanno registrato un contenuto deprezzamento rispetto alla valuta o paniere di riferimento, seppur al prezzo di un consistente drenaggio di riserve (cfr segue). Anche le valute degli altri Paesi, come il dinaro algerino, la lira turca e lo shekel israeliano si sono deprezzate nei confronti del dollaro nel 2011. Nel 2012, la lira turca ha registrato un contenuto apprezzamento, sostenuta dagli elevati tassi d’interesse e, nella seconda metà dell’anno, dalla distensione sul mercato internazionale dei capitali. Nei paesi che dispongono di una base manifatturiera relativamente ampia o che desiderano promuovere una maggiore diversificazione produttiva, la difesa della posizione competitiva appare una priorità e il deprezzamento 58 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI del cambio nominale è funzionale all’obiettivo di mantenere nel tempo una relativa stabilità del cambio reale. Tasso di cambio Regime valutario Var % vs valuta/paniere 2012(*) REER vs Equilibrio^ 2011 2011 Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto managed floating (vs USD) 1,2 3,9 Sopravalutato Libia peg SDR Peg 10(**) n.d. Siria peg SDR 26,5(***) 15,6(***) n.d. Tunisia managed floating (basket 2/3 Euro; 1/3 USD) 4,8 2,1 Sopravalutato Paesi investiti indirettamente Giordania peg USD peg Sottovalutato Libano peg USD peg Sopravalutato Algeria managed floating (vs USD) 3,9 2,2 Sottovalutato Paesi non investiti Israele free floating -0,1 7,7 Sopravalutato Turchia Managed floating (50% USD; 50% Euro) -4,4 20 Sopravalutato Tab. 13 - Fonte: Elaborazioni Studi Intesa Sanpaolo su dati Reuters e FMI. (*) Gennaio- 22 ottobre.(**) Scostamento tra cambio sul mercato nero e cambio ufficiale. (***) Variazione rispetto al dollaro. ^ Sulla base di elaborazioni Studi ISP su stime FMI e interne. Nota: il segno (-) indica apprezzamento La tabella sopra riportata evidenzia l’eventuale sopravalutazione/sottovalutazione del cambio a fine 2011 sulla base dello scostamento del cambio reale effettivo dal suo valore di equilibrio stimato dal FMI nei “Country Report Art IV”. 1.4.4 La posizione finanziaria verso l’estero Nel 2011, la posizione esterna della quasi totalità dei paesi del Sud Mediterraneo a economia diversificata, (Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Giordania e Siria, Turchia) è peggiorata a causa sia dell’allargamento del deficit corrente sia della significativa contrazione degli afflussi di capitale. Questa situazione ha determinato un significativo calo delle riserve in valuta, che ormai garantiscono una bassa copertura del fabbisogno finanziario esterno e delle importazioni, alimentando spinte al deprezzamento sul cambio. Gli idrocarburi costituiscono una quota significativa (sino al 40% del totale) delle importazioni di molti paesi e l’aumento dei prezzi (il prezzo del petrolio ha registrato nel 2011 un aumento medio del 40%) ha determinato più elevati deficit commerciali. Sempre per quanto riguarda la bilancia commerciale, le esportazioni hanno risentito della debolezza dell’economia mondiale, soprattutto quelle dei paesi, come la Tunisia e il Marocco, con una più elevata esposizione verso l’Europa. Le turbolenze politiche hanno portato in aggiunta a un visibile calo dei proventi dal turismo, che costituiscono una importante voce della partite invisibili, non solo nei paesi direttamente interessati da rivolgimenti politici, quali l’Egitto, la Siria e la 59 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Tunisia, ma anche in quelli investiti indirettamente, come la Giordania, il Libano e il Marocco. L’incertezza riguardo l’evoluzione del quadro politico ha scoraggiato gli investimenti esteri, sia diretti che di portafoglio nella regione, in particolare nei Paesi direttamente investiti da rivolgimenti politici. Lo scorso anno Egitto e Libia hanno avuto un deflusso netto di IDE. Allo stesso tempo, Libano, Siria e Tunisia hanno registrato un significativo calo. Bilancia dei pagamenti e variazione riserve USD miliardi Saldo corrente Saldo commerc IDE netti Portafoglio netti Riserve(**) Algeria Libia Egitto Marocco Tunisia Giordania Libano Siria Israele 1tr'12 * n.d. 8,7 -2,3 -2,3 -2,2 -2 -10,3 -4,3 -1,3 Turchia -16,3 1tr 11* n.d. n.d. -2,1 -2 -1,6 -0,7 n.d. n.d. 1,6 -21,6 2011 21,1 1,7 -6,6 -7,5 -3,1 -3,4 -10 -4,2 1,9 -77,1 2010 12,2 16,8 -4,4 -4,1 -2,1 -1,8 -7,5 -0,5 8,2 -46,6 1tr'12 * n.d. 16,2 -7,9 -4,7 -2,9 -2,8 -4,7 -2,6 -2,3 -40,9 1tr 11* n.d. n.d. -6,2 -4,3 -1,6 -2 -3,6 n.d. 0,6 -54,4 2011 28,5 8 -27,1 -18,3 -4,5 -8,8 -15,9 -3,6 -1,2 -89,1 2010 18,2 24,3. -13,4 -15 -4,6 -6,8 -12,6 -3,8 4,9 -56,4 1tr'12* n.d. n.d. 0,6 0,7 1,7 0,2 2,4 0,1 1,5 2,3 1'tr11* n.d. n.d. -0,4 0,6 -0,6 0,4 n.d. n.d. 1,1 3,3 2011 1,9 -0,4 -1,2 2,1 0,4 1,7 2,9 0,6 8,3 13,3 7,6 2010 3,5 -1 5,2 1 1,4 1,4 3,8 1,5 -3,6 1tr'12* n.d. n.d. -1,2 0,1 0,6 0,2 0 -0,2 -2,6 5,2 1'tr11* n.d. n.d. -5,5 0 -0,1 0,1 n.d. n.d. 0,4 9,3 2011 n.d. n.d. -10,5 -0,2 0 0,3 -1,4 -0,1 -8,6 22 2010 n.d. -4,4 10,3 0,1 0 0,7 -1,7 -0,1 -0,4 16,1 1tr'12* n.d. n.d. -3,2 -1,6 -0,5 1,1 1 -9,7 1 0,7 1tr'11* n.d. n.d. -6,1 -0,9 -2,2 1 n.d. n.d. 2,1 -3,9 2011 19,9 3 -18,1 -2,5 -1,6 -1,7 2,2 -8,6 4,5 1 2010 15,6 4,2 1,3 1,2 -0,2 1,4 3 2,7 11,9 14,9 Tab. 14 - Fonte: EIU, Banche centrali, FMI (*) Per Libia, Siria e Libano (con l’esclusione del saldo commerciale che per il Libano si riferisce al 1° trimestre) i dati del 2012 sono stime del FMI e EIU per l’intero anno. (**) Il segno (-) indica un calo. Il deterioramento dei saldi di conto corrente e dei movimenti di capitale unitamente agli interventi per sostenere cambi fissi (Giordania, Libano e Marocco), o per contenere il deprezzamento verso il dollaro (Egitto) o verso l’euro (Tunisia), hanno determinato un significativo calo delle riserve in valuta nei paesi direttamente (ma anche in quelli indirettamente) interessati da rivolgimenti politici. Le riserve offrono adesso una bassa copertura del fabbisogno di finanziamento estero del 2013 e delle importazioni delle economie diversificate del Nord Africa (ma anche della Turchia) ed espongono questi paesi a shock finanziari esterni. 60 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Stock riserve in valuta 2012 USD miliardi Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 10,9(set) Libia (*) 130,1 Siria (*) 15,1(ago) Tunisia 6,6(set) Paesi investiti indirettamente Giordania 8,5(mag) Libano 36,1(lug) Marocco 14,6(lug) Algeria 184,7(giu) Paesi non investiti Israele 73,8 (ago) Turchia 91,4(ago) 2011 dic. 2010 dic 13,6 101,8 16,2(giu) 7,1 32,4 96,8 19 9,2 11,2 33,3 18,8 176 12,8 31,2 21,8 160,5 73,1 76,7 69,3 79 Tab. 15 - Fonte:FMI, EIU. (*) Per la Libia, il dato è una stima di EIU per il 2012. Per la Siria il dato di agosto 2012 è stato di recente fornito dalla Banca centrale Indicatori di vulnerabilità esterna Reserve cover ratio(*) 2012E 2013E Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 0,8 0,7 Libia (**) (**) Siria 3,2 4,6 Tunisia 0,7 0,6 Paesi investiti indirettamente Giordania 1,5 1,7 Libano 1,8 1,8 Marocco 1,1 1,2 Algeria (**) (**) Paesi non investiti Israele 2,9 3,4 Turchia 0,5 0,5 2010 Import cover (mesi) 2011 2012E 7 39 12,1 4,7 3,4 117,9 11,9 3,3 2,7 89,1 6,2 3,2 9 17,2 7,1 38,5 7 17,2 5 39,3 6 17 4,6 41,1 11,2 5,2 9,8 4,2 9,4 4,5 Tab. 16 - Fonte EIU. (*) Rapporto tra riserve in valuta e fabbisogno finanziario estero. (**) Per Algeria e Libia il surplus corrente stimato (rispettivamente 23 e 33 miliardi nel 2012 e 26 e 34 miliardi nel 2013) supera il debito in scadenza Il peggioramento della posizione esterna ha portato Giordania e Marocco a richiedere il sostegno finanziario del FMI. Lo scorso agosto la Giordania ha ottenuto una linea di credito stand-by per 2 miliardi di dollari della durata di quattro anni. Sempre lo scorso agosto il FMI ha concesso al Marocco una linea di credito precauzionale (PLL) per 6,2 miliardi di dollari della durata di due anni. L’Egitto ha da tempo in corso trattative con il FMI per ottenere un prestito di circa 5 miliardi di dollari. I dati a disposizione relativi ai primi mesi indicano per i paesi a economia diversificata del Nord Africa e del Medio Oriente, un ulteriore allargamento del deficit corrente nel 2012, nonostante il miglioramento dei saldi delle partite invisibili, a causa principalmente del più ampio deficit commerciale determinato dall’aumento di prezzi e volumi delle importazione e dalla debolezza delle esportazioni verso l’Europa. 61 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Saldo corrente/PIL Turchia 2012E 2011 2010 Israele Siria Libano Giordania Tunisia Marocco Egitto Libia Algeria -30 -20 -10 0 10 20 30 Debito estero/PIL Turchia 2012 2011 2010 Israele Siria Libano Giordania Tunisia Marocco Egitto Libia Algeria 0 Graf. 2 - Fonte: EIU 62 10 20 30 40 50 60 70 80 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI 2. Le prospettive delle economie nel 2012 e nel 2013 2.1 Le previsioni di crescita Già nel 2012 e poi nel 2013 è atteso per l’insieme dei paesi del Sud Mediterraneo un graduale recupero del tasso di crescita reale del PIL. Nei paesi direttamente investiti da rivolgimenti politici, la graduale stabilizzazione della situazione interna dovrebbe favorire un progressivo recupero dell’attività produttiva ma la crescita del PIL nel biennio 2012-2013 resterà ancora al di sotto della media del decennio 1999-2008 (con l’esclusione della Libia che nel 2012-2013 beneficerà di un effetto confronto favorevole). I dati relativi ai primi mesi del 2012 rilevano primi segnali di recupero dei flussi dall’estero per IDE oltre che per turismo ma, stante l’incertezza riguardo gli sviluppi futuri, occorrerà del tempo prima che possano tornare ai livelli precedenti ai rivolgimenti politici. La debolezza dell’economia dell’Unione Europea, con cui molti paesi del Sud Mediterraneo hanno solide relazioni non solo via commercio ma anche per turismo e per rimesse dei lavoratori emigrati, avrà un impatto frenante. Fattori di rischio per le prospettive di crescita vengono da un processo di stabilizzazione del quadro politico più lento di quanto previsto e, soprattutto, da possibili nuove tensioni sociali causate dalla difficoltà dei nuovi Governi a far fronte alle aspettative della popolazione. La quasi totalità dei paesi ad economia diversificata infatti ha posizioni finanziarie esterne e di bilancio pubblico molto deboli, deteriorate ulteriormente durante la crisi politica, e con pochi spazi di manovra per politiche a sostegno della domanda. Crescita e Inflazione nel Sud Mediterraneo Crescita reale del PIL 1999-2008 2011 Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto (*) 5 1,8 Libia 4,4 -59,7 Siria 3,8 n.d. Tunisia 4,9 -1,8 Paesi investiti indirettamente Giordania 5,8 2,6 Libano 3,7 1,5 Marocco 4,3 4,9 Algeria 3,7 2,5 Paesi non investiti Israele 3,9 4,6 Turchia 3,9 8,5 Sud Med 8 3,7 -4 Sud Med 10 4,2 1,8 Emergenti 6,6 6,2 Inflazione media 1999-2008 2011 2012E 2012E 2013E 2013E 2,3 121 n.d. 2,7 3 16,7 n.d. 3,3 6,7 0,1 4,2 3,1 11,1 15,9 n.d. 3,5 8,6 10 n.d. 5 10,7 0,9 n.d. 4 3 2 2,9 2,6 3,5 2,5 5,5 3,4 4 3 1,9 2,9 4,4 5 0,9 4,5 4,5 6,5 2,2 8,4 4,9 5,7 2,5 5 2,9 3 13,9 8,6 5,3 3,2 4,1 4,7 4,4 6 2,2 29 4,1 13,4 6,8 3,4 6,5 7,8 6,9 7,2 1,7 8,7 7,5 7,4 6,1 2,1 6,5 6,5 6,1 5,8 Tab. 17 - Fonte: FMI WEO settembre 2012. (*) Per l’Egitto il dato del PIL riguarda l’anno fiscale che termina a giugno. Per l’anno di calendario, dopo il calo dello 0,8% registrato nel 2011, Sudi Intesa Sanpaolo prevede un tasso di crescita del 2,8% nel 2012 e del 4% nel 2013. Nota: Il dato medio del PIL per il periodo 2011-2013 è fortemente influenzato dalla performance della Libia, dove l’attività di estrazione di gas e petrolio, dopo essersi quasi bloccata durante il conflitto, è prevista tornare progressivamente ai livelli di prima del conflitto. 63 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Egitto Nel 1° semestre 2012 il recupero dell’attività economica, in parte grazie anche al favorevole confronto con gli stessi mesi del 2011, sui quali maggiormente avevano pesato gli effetti economici del rivolgimento politico, è stato superiore alle aspettative. Dopo la crescita anemica del semestre luglio-dicembre 2011 (+0,3% a/a), secondo dati preliminari, nel secondo semestre (gennaio-giugno 2012) dell’anno fiscale 2012, il PIL ha evidenziato una sostanziale accelerazione (+4,3%) rispetto agli stessi mesi del 2011, allorquando il PIL era caduto del 4,3%, per una crescita in termini reali nell’intero anno fiscale 2012 (terminato lo scorso mese di giugno) attorno al 2,3%, rispetto all’1,8% dell’anno fiscale 2011. Nel 1° semestre 2012 sono arrivati in Egitto 5,1 milioni di turisti, rispetto a 3,5 milioni negli stessi mesi del 2011. Da gennaio a giugno 2012 la produzione industriale è inoltre aumentata dell’11,3% a/a. Nel breve-medio periodo, l’andamento dell’economia e dei diversi settori produttivi è legato agli esiti dell’attuale fase di trasformazione del quadro politico interno. Turismo, proventi del canale di Suez e rimesse dei lavoratori emigrati, risentiranno in aggiunta delle difficoltà dell’area euro, attesa in recessione nel 2012, con cui l’Egitto ha diversi e profondi legami economici. L’impatto potrà in parte essere bilanciato dal buon andamento delle economie dei paesi del Golfo e dalla ripresa attesa nei paesi del Nord Africa (Libia e Tunisia) in fase di stabilizzazione politica dopo le turbolenze del 2011. Nell’anno di calendario 2012 il PIL dovrebbe tornare a crescere in termini reali (+2,8%), dopo il calo registrato nel 2011. La progressiva stabilizzazione della situazione politica, unitamente a un quadro congiunturale esterno più favorevole, ci si attende porteranno a un aumento del PIL del 3% nell’anno fiscale 2013 (del 4% nell’anno di calendario 2013). Libia Nel 2011, le condizioni di conflitto hanno determinato un crollo del PIL stimato tra il 28% (EIU) e il 60% (FMI). Da gennaio ad agosto 2012, l’estrazione di petrolio risultata in recupero e solo del 6,8% inferiore a quella degli stessi mesi del 2010. Il ritorno ai livelli di pre crisi è previsto dalle Autorità libiche entro fine 2012. Il raggiungimento di questo obiettivo appare tuttavia problematico nell’attuale contesto di incertezza riguardo gli sviluppi politici e di rischi per chi opera nel paese non essendo ancora state ripristinate le normali condizioni di sicurezza. ENI, che attualmente estrae 240 mila barili al giorno contro 280 prima del conflitto, prevede di tornare ai precedenti livelli di produzione nel 2013. Il progressivo ritorno alla normalità del settore estrazione e gli interventi per la ricostruzione ci si attende porterà a un forte rimbalzo del PIL nel 2012 (stimato da EIU attorno al 35% e dal FMI superiore al 100%) e ad una crescita superiore al 16% nel 2013. Siria Il conflitto interno che dura ormai da oltre un anno e mezzo e le sanzioni internazionali stanno avendo pesanti riflessi sull’attività produttiva agricola, manifatturiera e di estrazione e sta portando a un’ampia contrazione delle entrate per IDE, turismo e rimesse dei lavoratori emigrati. Secondo stime dell’Institute of International Finance (IIF) il PIL è diminuito in termini reali del 6% nel 2011. Il permanere di uno stato di guerra civile determinerà un’ulteriore sensibile contrazione del PIL nel 2012 (stimato in -10,2% da IIF). 64 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Tunisia Secondo dati preliminari il PIL della Tunisia è aumentato del 3,3% a/a nel primo semestre 2012, rispetto ad una contrazione del 2,5% nello stesso periodo del 2011. Nei primi sei mesi del 2012, gli arrivi di turisti sono cresciuti del 48,5% a/a, raggiungendo un livello pari all’85% di quello pre crisi. La fine del conflitto in Libia ha dato una spinta alle rimesse dei lavoratori emigrati (75.000 tunisini lavoravano in quel paese). L’attività di estrazione, dopo le numerose interruzioni viste nel 2011, è ormai tornata alla normalità. D’altra parte, la Tunisia è il paese del Sud Mediterraneo più penalizzato dalla fase negativa del ciclo nell’Unione Europea. Il coefficiente di correlazione del PIL non-agricolo della Tunisia e dell’Unione Europea è pari al 63%, principalmente per il canale delle esportazioni seguite a distanza da turismo e rimesse (cfr. IMF, WP 10/238). A livello settoriale, il manifatturiero e la generazione di energia, sono i settori più sensibili alla congiuntura Europea, mentre agricoltura, minerario e servizi sono meno dipendenti. Dopo la caduta del 2011 (-1,8%), la crescita del PIL è ora prevista al 2,7% nel 2012 ed al 3,3% nel 2013. Libano Le tensioni in Siria, che si aggiungono alla ormai cronica instabilità politica interna, hanno un impatto negativo su diversi comparti dell’economia del Libano. Nel primo semestre 2012 i permessi per costruire sono diminuiti dell’11,8% a/a, rispetto a +1,7% e +34,3% rispettivamente nei periodi del 2011 e 2010. Gli arrivi di turisti sono scesi del 12% a/a da gennaio a giugno 2012, dopo essere crollati del 34% negli stessi mesi del 2011. L’attività produttiva risente poi delle insufficienti forniture di energia elettrica conseguenti alla situazione di paralisi politica. Da diversi anni il Governo non riesce a far approvare un Bilancio e la compagnia elettrica nazionale non riceve fondi di dotazione per gli investimenti. Il FMI prevede per il PIL un aumento in termini reali del 2% nel 2012 e del 2,5% nel 2013. Giordania Nel 2012 e nel 2013, l’economia della Giordania risentirà delle misure di restrizione fiscale (aumento delle tasse sui beni durevoli e non durevoli non di prima necessità, tagli dei sussidi) concordate in agosto con il FMI per ottenere un sostegno finanziario. L’impatto negativo di queste misure sarà bilanciato da un previsto recupero del turismo e delle rimesse. Nel secondo trimestre 2012 i ricavi da turismo sono aumentati del 10% a/a. I paesi del Golfo hanno promesso alla Giordania un pacchetto di aiuti nel quinquennio 2012-2016 pari 5 miliardi di dollari complessivi finalizzato a progetti speciali. La crescita del PIL, pari a circa il 3% nel 1° semestre 2012, dovrebbe confermarsi nel 2° semestre, per un totale di circa il 3% nell’intero anno. Nel 2013 è vista portarsi vicino al 3,5%. Marocco Nel primo semestre 2012 il PIL è aumentato del 2,6% a/a, un tasso di espansione pari a circa la metà di quello nello stesso periodo del 2011. L’economia del Marocco è attesa frenare sensibilmente nel 2012 (PIL +2,9%) in conseguenza della caduta della 65 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE produzione agricola (-9%) determinata dalla scarsa piovosità e dell’impatto della recessione in Europa. Il coefficiente di correlazione tra PIL non-agricolo del Marocco e dell’Unione Europea è pari al 46% (cfr. IMF WP 10/238). I flussi legati al turismo (nel 2011 5,1 milioni di turisti su un totale di 5,4 milioni venuti dall’Europa) e rimesse dei lavoratori emigrati (il 20% della forza lavoro è occupata in Europa) sono il principale canale di trasmissione dell’impatto dell’andamento dell’economia dell’Unione Europea sul Marocco. Nei mesi finali del 2012 e nel 2013 la produzione manifatturiera riceverà una significativa spinta da un nuovo impianto di auto costruito dalla Renault nel Nord del paese. Lo sviluppo del manifatturiero, il contenuto miglioramento della congiuntura europea e, soprattutto, una stagione agricola più favorevole porteranno, secondo il FMI, a una espansione reale del PIL superiore al 5% nel 2013. Algeria L’andamento del settore “oil & gas” resta cruciale per l’economia dell’Algeria. Secondo dati ufficiali, l’estrazione di petrolio, dal picco di 2 milioni di barili al giorno nel 2007 è scesa a 1,26 milioni nel 2011 (-2,5% rispetto al 2010). Quella di gas nel 2011 è stata pari a 78 miliardi di metri cubi (-3% a/a), rispetto al picco di 88,2 miliardi nel 2005. Nonostante l’ulteriore calo del settore oil, la dinamica del PIL nel 2012 è attesa in linea con quella del 2011 (+2,5%), grazie alla crescita sostenuta della parte non-oil che continua a beneficiare dei provvedimenti a sostegno della domanda. Nel 2013, è previsto che l’entrata in funzione di nuovi pozzi determinerà il primo aumento della produzione di gas e petrolio dopo più di cinque anni, e una conseguente accelerazione del PIL (+3,4% secondo il FMI). Israele Nel primo semestre 2012 l’economia di Israele è cresciuta più del previsto (+3,3% a/a), grazie all’andamento particolarmente sostenuto delle esportazioni. La domanda interna, anche a seguito di aumenti di imposte, è però debole e questo accresce la vulnerabilità alla frenata della congiuntura mondiale. La Banca centrale ha di recente alzato la stima di crescita del PIL nel 2012 dal 3,1% al 3,2% ma ha abbassato quella del 2013 dal 3,3% al 3%. Il FMI nel WEO di ottobre 2012 prevede un tasso di espansione reale del PIL pari al 2,9% nel 2012 ed al 3,2% nel 2013. Turchia In Turchia, il cui PIL è pari a quasi il 40% di quello dell’intera regione Sud Med 10, la dinamica dell’economia è prevista frenare sensibilmente nel 2012 e nel 2013, dopo le misure prese dall’Autorità monetaria a partire dall’ottobre 2011 per rallentare la crescita del credito e sostenere il cambio. Da gennaio a giugno 2012, il PIL è aumentato del 3,1% in termini reali, dal 10,6% negli stessi mesi del 2011. Il FMI nel suo WEO di settembre prevede per la Turchia una crescita del PIL nel 2012 attorno al 3%. La previsione del Governo (4%) appare difficilmente raggiungibile a meno di un’improbabile accelerazione (tendenziale oltre il 6%) nel 4° trimestre. Nel 2013, la crescita del PIL è attesa accelerare al 4,1%, grazie alle più favorevoli condizioni esterne. 66 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Crescita reale del PIL (var % a/a) 1 sem 2011 Egitto 1 sem 2012 Tunisia Giordania Marocco Turchia Israele -3 0 3 6 9 12 Graf. 3 - Fonte: Datastream IDE e turismo USD mld. IDE 1tr2012 Paesi investiti direttamente da tensioni politiche Egitto 0,6 Libia n.d. Siria (*) 0,1 Tunisia (*) 1,7 Paesi investiti indirettamente Giordania 0,2 Libano (*) 2,4 Marocco 0,7 Algeria n.d. Paesi non investiti Israele 1,5 Turchia(*) 8,9 1tr2011 Turismo 1tr2012 1tr2011 -0,4 n.d. 0,6 -0,6 2 n.d. 0,2 0,6 1,7 n.d. 1,9 0,4 0,3 2,9 0,6 n.d. 0,8 5,9 1,1 n.d. 0,7 6,6 1,2 n.d. 1,1 9,4 n.d. n.d. n.d. n.d. Tab. 18 - Fonte: Banche centrali, IIF. (*) Per la Tunisia i dati si riferiscono al semestre, per la Turchia al periodo gennaio – luglio; per Libano e Siria sono stime IIF per l’intero anno 2.2 Il rating delle agenzie e la valutazione dei mercati Il deterioramento della posizione finanziaria nei confronti dell’estero, le crescenti pressioni sui conti pubblici e il prolungarsi della fase di incertezza politica hanno portato nel corso del 2011 e nel 2012 a ripetuti tagli di rating del debito sovrano in valuta dell’Egitto e della Tunisia. Quest’ultimo paese nel 2012 ha perso l’investment grade. Il Marocco ed Israele sono gli unici due paesi del Sud Mediterraneo il cui debito sovrano in valuta è considerato un investimento non speculativo. Di recente S&P, pur confermando l’investment grade, ha tuttavia introdotto un outlook negativo sul debito sovrano in valuta del Marocco, sottolineando il deterioramento dei conti pubblici e della posizione esterna. Alcuni segnali di stabilizzazione del quadro politico dopo l’insediamento del nuovo Presidente hanno portato S&P a rimuovere sull’Egitto il 67 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE credit watch negativo. I CDS spread nella maggioranza dei paesi del Sud Mediterraneo sono saliti significativamente a causa dell’incertezza riguardo l’evoluzione della situazione politica e le prospettive dell’economia. In Egitto lo spread a 5 anni si è portato da 258pb a fine 2010 a 640pb a dicembre 2011. Quest’anno crescenti segnali di maggiore stabilizzazione politica in alcuni Paesi e, nelle ultime settimane, un quadro più disteso sui mercati internazionali dei capitali, hanno determinato un restringimento degli spread, in particolare in Egitto (e Turchia). In Tunisia, la perdita dell’investment grade ha portato lo spread a nuovi massimi (350pb a metà ottobre). Rating e CDS spread 5a 2012 Rating 2011 Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto B B+ Libia ritirato Siria n.d. Tunisia BB BBBPaesi investiti indirettamente Giordania BB/N BB/N Libano B/N B Marocco BBBBBBAlgeria n.d. Paesi non investiti Israele A+ A+ Turchia BB/S BB/P CDS spread 5a 2011 2010 2010 2012 BB+ A- 432 n.d. n.d. 350 622 258 245 105 BB B BBB- n.d. 454 231 n.d. n.d. 460 251 n.d. 289 135 A BB/P 146 162 203 339 116 152 BBB Tab. 19 - Fonte: Thomson Reuters,Datastream. Gli spread si riferiscono a fine anno per il 2010 e il 2011 ed al 10/10 per il 2012 I mercati azionario del Sud Mediterraneo, che nel 2011 avevano registrato consistenti perdite, in particolare l’Egitto (-48,9% a fronte di un rialzo del 4,4% dell’indice MSCI emergenti), nel corso del 2012 hanno messo a segno un significativo rialzo, sovraperformando l’MSCI emergenti (-2,5% da gennaio a metà ottobre) e altre piazze del Medio Oriente. Gli investitori si sono posizionati per un recupero delle economie, incoraggiati da segnali di relativa stabilizzazione del quadro politico, in particolare in Egitto. Performance mercati azionari Variazione % 2012(*) Paesi investiti direttamente da rivolgimenti politici Egitto 58,9 Libia n.d. Siria n.d. Tunisia 2,5 Paesi investiti indirettamente Giordania -0,5 Libano 8 Marocco 22,4 Algeria n.d. Paesi non investiti Israele 3,3 Turchia 33,5 2011 2010 -48,9 14,1 -7,6 19,1 -30,7 -14,9 -19,7 -13,5 11,7 -3,4 -21,3 -22,3 12,8 24,9 Tab. 20 - Fonte: Thomson Reuters - Datastream. (*) Per il 2012, Gennaio-10 Ottobre 68 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI 2.3 Appendice: gli sviluppi politici nei paesi della Primavera Araba La Primavera Araba ha portato a profondi rivolgimenti politici nei paesi del Nord Africa, determinando la caduta di regimi al potere da decenni in Egitto, Tunisia e Libia. Questi paesi stanno ora attraversando una fase di transizione non priva di tensioni verso nuovi assetti istituzionali. In Algeria e Marocco la protesta ha prodotto limitate riforme volte a garantire una maggiore rappresentatività politica della società civile, senza però cambiare gli assetti politico-istituzionali. In Medio Oriente invece, in Siria è in corso una sanguinosa guerra civile dagli esiti ancora incerti. Le tensioni in Siria hanno riflessi negativi sul Libano, dove il quadro politico è caratterizzato da una instabilità strutturale determinata dalle profonde divisioni religiose tra la popolazione e accentuata dalle ingerenze dei paesi vicini. In Giordania la dinastia hashemita gode di popolarità tra la maggioranza autoctona della popolazione e può contare sul sostegno e la lealtà delle Forze Armate, la cui ossatura è costituita da componenti delle tribù. Gli assetti politici (*) Paese Forma di Recenti sviluppi politici governo Paesi esportatori di petrolio Nord Africa Algeria Repubblica Il Presidente Bouteflika è stato eletto per un terzo termine di 5 anni nel 2009. Le elezioni politiche Presidenziale tenutesi lo scorso maggio sono state vinte dal FNL, il partito che guida il paese dall’indipendenza. Il nuovo governo, che si è insediato lo scorso settembre, è all’insegna della continuità Qualche timida protesta per le condizioni abitative. Libia In attesa di Il paese sta attraversando una fase politica travagliata. Le prime elezioni dopo la caduta di Gheddafi definizione sono state vinte da una coalizione di forze moderate (NFA) guidata da Jibril, il leader del Fronte anti Gheddafi, che ha conquistato 39 degli 80 seggi riservati ai partiti (su un totale di 200, 120 sono andati a candidati indipendenti) nell’Assemblea Nazionale (GNC), mentre 17 sono andati alla Fratellanza Musulmana. Un governo di coalizione sostenuto dal NFA e presieduto da Ali Zeidan, un diplomatico oppositore di Gheddafi per 30 anni in esilio, si è insediato di recente. Egitto Repubblica Il nuovo presidente Morsi, esponente della Fratellanza Musulmana che esprime il primo partito del Presidenziale paese, si è insediato lo scorso giugno. Nelle prime settimane del mandato ha progressivamente tolto potere al Consiglio dei militari che guidava il paese dalla caduta di Mubarak. E’ stata predisposta la bozza della nuova Costituzione. Marocco Monarchia Lo scorso anno, dopo contenute proteste contro il governo, è stata approvata una riforma che trasferisce costituzionale alcuni poteri dal sovrano al Governo ma mantenendo il ruolo di guida suprema del re. Le elezioni tenutesi lo scorso novembre sono state vinte (107 seggi su 395) dal PDJ, un partito di ispirazione islamica, che ha formato un governo di coalizione. Tunisia Repubblica Ennahda, partito di ispirazioni islamica moderato, ha ottenuto la maggioranza relativa nelle elezioni Presidenziale dell’Assemblea Costituente tenutesi nell’ottobre 2011 (90 seggi su 217). Si è insediato un governo di coalizione, guidato da Hamadi Jbeli, che resterà in carica sino alla nuova Costituzione. L’approvazione della nuova Carta, inizialmente prevista entro ottobre 2012, è stata spostata ad aprile 2013. Paesi a economia diversificata Medio Oriente Giordania Monarchia Il re Abdullah, la cui posizione appare solida, ha risposto a contenute proteste con cambiamenti di costituzionale governo. L’ultimo si è insediato a inizio ottobre e dovrà gestire le prossime elezioni, previste a fine gennaio 2013. Il Fronte di Azione Islamico (IAF), la principale forza di opposizione, ha annunciato che boicotterà l’appuntamento. Libano Repubblica Un nuovo governo, sostenuto dalle componenti pro siriane e iraniane, si è insediato dopo una lunga Parlamentare crisi nel luglio 2011. La guerra civile in Siria accentua la cronica instabilità politica del paese, alimentata dai paesi vicini e dalle profonde divisioni su base religiosa della popolazione. Siria Repubblica La protesta contro il regime della famiglia Assad al potere dal 1970, sostenuto dall’esercito i cui quadri Presidenziale di comando sono Alawiti (minoranza religiosa di ispirazione sciita tra la popolazione a maggioranza sunnita come gli Assad), si è trasformata in una vera e propria guerra civile ancora in corso. Tab. 21 - Fonte: Viewswire, Thomson Reuters. (*) Israele e Turchia, non investiti dalla Primavera Araba, non sono stati considerati in questa analisi 69 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 3. L’evoluzione dei rapporti della UE con l’area mediterranea 3.1 La Politica di Vicinato Europea “Democracy will take root only if there is economic opportunity. The EU is keenly aware of this factor and is committed to helping these countries stabilize and grow their economies.” *Speech by High Representative Catherine Ashton at Brookings Institutions on the role of the European Union in supporting the Arab Spring (New York, 12 July 2011). L’Unione Europea (UE), interlocutore di primo piano dei paesi del MENA dal lancio del partenariato Euro-Mediterraneo del 1995, ha reagito agli eventi rivoluzionari della scorsa primavera pubblicando a distanza ravvicinata due comunicazioni - Un Partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale (marzo 2011) e Una nuova risposta ad un Vicinato in mutamento (maggio 2011) – che ridefinivano la politica di vicinato (PEV)4 per adattarla al mutato contesto. In particolare, il nuovo approccio, secondo la logica del more for more, premia con esborsi superiori i paesi più impegnati sulla via delle riforme politiche ed economiche, promuovendo non solo il processo di democratizzazione, ma anche un modello di crescita che, secondo i principi della strategia Europa 2020, deve essere allo stesso tempo intelligente, sostenibile e inclusivo. Le due comunicazioni sono state seguite, nell’ottobre del 2011, da altri tre testi rilevanti, di portata più ampia: Potenziare l’impatto della politica di sviluppo dell’UE: un programma di cambiamento; Il futuro approccio al sostegno dell’UE al bilancio dei Paesi Terzi e il Quadro strategico dell’UE in materia di diritti umani e democrazia. I primi due ribadiscono l’importanza dell’approccio more for more e l’intenzione di concentrare gli sforzi sui paesi5 e sui settori6 in cui l’intervento UE può avere il massimo impatto. Il terzo, e il relativo piano di attuazione7 sottolineano poi ulteriormente la priorità accordata dall’UE al rispetto dei diritti umani e al processo di democratizzazione. Il 15 maggio 2012, la Commissione Europea (CE) ha presentato un primo bilancio della rinnovata PEV, insieme alle schede dettagliate relative ai progressi compiuti da ogni paese coinvolto e a un piano d’azione per i prossimi mesi. 4 Nata nel 2004 come risposta all’allargamento dell’UE a dieci nuovi paesi dell’Europa orientale e meridionale, con lo scopo di evitare l’insorgere di nuove linee divisorie nel continente. 5 Oltre ai Paesi del Vicinato, l’Africa sub-sahariana e i paesi più fragili e trascurati dalla comunità internazionale. Sarà inoltre continuato il dialogo con i paesi in via di sviluppo dove sussistono ancora grandi disparità come l’Asia e l’America Latina. 6 Al massimo tre per ogni paese, con enfasi particolare per l’agricoltura e l’energia sostenibili e il vincolo del 20% delle risorse a favore dell’inclusione sociale e dello sviluppo umanitario (salute, educazione, protezione sociale). 7 Il 25 luglio Stavros Lambrinidis è stato nominato Rappresentante speciale europeo per i diritti umani. 70 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Sotto la guida del Rappresentante speciale dell’UE per il Mediterraneo meridionale Bernardino León Gross, sono state lanciate tre task force in Tunisia, Giordania ed Egitto, con il compito di coinvolgere un ampio numero di istituzioni locali, europee e internazionali, pubbliche e private, per accelerare il processo di democratizzazione e crescita economica, sviluppando azioni calibrate sulle priorità e i sui bisogni concreti di ogni paese. Inoltre sono state iniziate le discussioni su un nuovo piano d’azione con il Marocco e, nell’ottobre del 2012, con l’Autorità Palestinese, mentre l’interesse dimostrato dall’Algeria per la PEV ha portato all’apertura del negoziato per la definizione di un primo piano d’azione. Anche nel caso della Libia l’UE ha offerto prima al governo di transizione e, dopo le elezioni di luglio, alla nuova assemblea costituente, pieno appoggio nel cammino di riforma istituzionale ed economica. Si prevede che entrambi i paesi diventino beneficiari a pieno titolo della PEV entro il 2013. Ogni forma di cooperazione con la Siria, salvo gli aiuti alla società civile, è stata invece sospesa: l’UE ha espresso la propria ferma condanna per le violenze perpetrate dal regime di Assad e il proprio appoggio per l’operato delle Nazioni Unite e della Lega Araba, emettendo ben 17 round di sanzioni. A livello di relazioni diplomatiche, si segnala il ruolo svolto dall’UE in seno al 5+5 Group8 e l’intensificarsi dei rapporti con la Lega Araba e altre organizzazioni regionali (Gulf Cooperation Council, Organization of Islamic Conference) sia in occasione delle crisi libica e siriana, sia con l’obiettivo di instaurare una collaborazione regolare per il futuro. Per quanto riguarda l’Unione del Mediterraneo (UfM), l’UE ha intensificato il suo coinvolgimento e supporto nel febbraio del 2012 la presidenza per la sponda nord del Mediterraneo e garantendo un solido appoggio finanziario al segretariato per consentirgli di gestire efficacemente i progetti regionali avviati. Durante il Senior Official Meeting tenutosi a Barcellona9 lo scorso 28 giugno la Giordania accettato la presidenza della sponda sud. Progressi notevoli sono stati compiuti nell’ambito dell’integrazione economica: i negoziati per lo stabilimento di deep and comprehensive free trade areas (DCFTA) sono stati avviati in Egitto, Marocco, Giordania e Tunisia. Il Consiglio europeo ha inoltre approvato il 26 marzo 2012 la Convenzione sulle regole di origine pan-euromediterranee, già ratificata da Giordania e Marocco. Il working-party per la cooperazione industriale euro-mediterranea ha elaborato un ambizioso piano di azioni volte a sostenere gli investimenti e la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo delle PMI nel Mediterraneo meridionale, preparando cosi il terreno per il passaggio 8 Si tratta di una struttura informale che riunisce attorno a un unico tavolo di lavoro i capi di stato di 5 paesi della sponda nord (Malta, Italia, Francia, Spagna e Portogallo) e 5 paesi della sponda sud (Algeria, Marocco, Tunisia, Libia e Mauritania) del Mediterraneo. Il gruppo si è riunito il 5 e 6 ottobre a Malta per discutere di sicurezza, stabilità economica, integrazione regionale, immigrazione e ambiente. 9 I 43 paesi partner dell’Unione per il Mediterraneo si incontrano regolarmente a livello di alti funzionari dei Ministeri degli Esteri, delle Istituzioni Europee e della Lega Araba, nel corso dei senior official meeting vengono approvati il budget e i programmi di lavoro dell’UfM, nonché i nuovi progetti da promuovere. 71 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE dall’attuale Statuto Euro-Mediterraneo per l’impresa a un Atto euro-mediterraneo per la piccola impresa 10. Sempre sul fronte della politica industriale, grande visibilità è stata offerta dalle cosiddette mission for growth che hanno visto il Vicepresidente della CE Antonio Tajani insieme ai rappresentanti delle principali associazioni industriali europee e agli amministratori delegati di grandi e piccole imprese interessate a investire e a esportare in paesi terzi, impegnati in una serie di visite e di incontri di approfondimento in Tunisia, Marocco ed Egitto. Sul fronte delle misure per la mobilità delle persone, stanno per essere siglati accordi di partenariato con Marocco e Tunisia, la CE ha inoltre avviato il dialogo con Egitto, Giordania, Algeria e Libia. Infine, per quanto riguarda la cooperazione settoriale, particolare enfasi è stata e continuerà a essere accordata alla cooperazione in tema di trasporti, energia e ambiente, nonché allo sviluppo di uno Spazio Comune di Conoscenza e Innovazione, anche grazie ai programmi di mobilità per gli studenti e i ricercatori. 3.2 L’impegno finanziario della UE Nel 2011, l’impegno finanziario dell’UE a favore dei paesi della primavera araba è stato pari a 1,4 miliardi di euro a valere su fondi ENPI (Strumento di vicinato e partenariato). Come previsto, i fondi allocati sono stati proporzionali alla volontà dimostrata dai paesi del vicinato di intraprendere profonde riforme in direzione di una maggior democrazia e di una crescita economica inclusiva e attenta ai diritti umani. In questo senso, i progressi più radicali sono stati riconosciuti alla Tunisia, che ha raddoppiato il budget a propria disposizione passando dagli 80 milioni del 2010 ai 160 milioni del 2011, e che ha a disposizione, secondo il programma delineato dalla Task force EU-Tunisia, altri 240 milioni di euro a fondo perduto per il biennio 2012-2013. Il Programma “SPRING” (Support for Partnership, Reform and Inclusive Growth), con un budget di 540 milioni di euro a valere sull’ENPI per il periodo 2011-2013, ha supportato iniziative a favore della transizione democratica, della promozione dei diritti umani, della formazione istituzionale e della forza lavoro, nonché del miglioramento del contesto per lo sviluppo delle PMI. Rivolto inizialmente a Tunisia, Egitto, Giordania e Marocco, è stato esteso nel 2012 ad altri 4 paesi del vicinato meridionale: Algeria, Libano, Libia e Siria (dove è stato pero sospeso)11. 10 Adottato nel 2004 a livello ministeriale, lo Statuto Euro-Mediterraneo per l’impresa, modellato sulla base dello Statuto europeo per le piccole imprese, stabilisce linee guida in 10 diversi campi allo scopo di migliorare il contesto euro-mediterraneo per lo sviluppo di attività imprenditoriali. Nel 2013 lo Statuto verrà rivisto in base a una valutazione complessiva delle attività svolte, con lo scopo di allinearlo maggiormente allo Small Business Act for Europe adottato dalla CE nel giugno del 2008. 11 Al momento, per il biennio 2011-2012, 100 milioni di euro sono stati allocati alla Tunisia, 70 milioni alla Giordania, 80 al Marocco, 30 al Libano, la CE ha inoltre avviato i negoziati con Egitto e Libia. La civil society facility viene implementata attraverso inviti a presentare proposte e azioni di sviluppo delle capacità sia a livello regionale che a livello nazionale, nel 2011 sono stati allocati 22 milioni di euro, distribuiti tra tutti i paesi del vicinato. 72 I PAESI DEL SUD DEL MEDITERRANEO DOPO I RIVOLGIMENTI POLITICI Il ruolo fondamentale della società civile è stato riconosciuto con l’istituzione, nel settembre del 2011, della nuova Civil Society Facility, con un budget di 26 milioni di euro per il 2011 riconfermato per il 2012 e il 2013. Nel gennaio 2012 4,8 milioni sono stati allocati al Concilio d’Europa per attività di riforma giudiziaria, costituzionale, elettorale e contro la corruzione nel Mediterraneo; il 25 giugno 2012 è inoltre stato pubblicato lo statuto del Fondo Europeo per la democrazia, la cui istituzione era stata approvata dal Consiglio Europeo del dicembre 2011 e che diverrà operativo a partire dal 2013. Per quanto riguarda il sostegno alla mobilità di studenti e ricercatori, 15 milioni di euro sono stati aggiunti al budget per il programma Erasmus Mundus, consentendo di erogare 750 nuove borse di studio - oltre alle 1.200 già pianificate – rivolte agli studenti della regione che vogliano approfondire le proprie competenze o portare avanti attività di ricerca in Europa. Nel 2012, 34 milioni di euro andranno a finanziare gli spostamenti a breve termine di studenti e ricercatori del mediterraneo meridionale, inoltre, grazie a un’allocazione di 10 milioni di euro, gli studenti tunisini ed egiziani potranno partecipare a programmi di master e dottorato congiunti. Al di fuori dell’ENPI, 18,7 milioni di euro sono stati impegnati a favore di Egitto, Libia e Tunisia a valere sullo Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani e sul Programma tematico per gli attori non statali. Nel 2011 Egitto, Libia e Tunisia hanno potuto inoltre fruire di 9,7 milioni provenienti dallo Strumento per la stabilità. Ancora, 80,5 milioni di aiuti umanitari sono stati distribuiti in tutti i paesi del vicinato meridionale. Il 2012 ha segnato il decennale dall’istituzione del fondo Euro-Mediterraneo di investimento e di partenariato (FEMIP) della BEI, che si è confermata come il principale partner finanziario della regione con oltre 13 miliardi investiti dal 2002 alla fine del 2011. Con l’entrata in vigore, nel novembre 2011, del nuovo mandato per le operazioni al di fuori dell’Unione, il massimale generale dei finanziamenti per il biennio 2012-2013 è passato da 1,6 a più di 29 miliardi di euro: un aumento che andrà a beneficiare soprattutto i paesi della sponda sud del Mediterraneo coinvolti nel processo di riforma politica sulla scia della primavera araba, i quali nel solo 2011 hanno firmato prestiti per quasi 1 miliardo di euro. La BEI collabora inoltre con altre istituzioni finanziarie nazionali e internazionali per promuovere lo sviluppo della regione, esercitando un ruolo di primo piano nella partnership di Deauville - varata nel 2011 dal G8 per appoggiare la transizione economica e democratica dei paesi della Primavera Araba - e che ha lanciato nel maggio del 2012 un ambizioso piano d’azione per incentivare e facilitare gli investimenti in Marocco, Tunisia, Egitto e Giordania. Una novità importante è costituita dall’inizio delle attività della BERS nell’area mediterranea in seguito all’estensione del mandato approvata all’unanimità dagli azionisti nel 2011. Dopo una fase preliminare di ricerca e predisposizione dei progetti di investimento, azioni di capacity building e l’individuazione di partner strategici (potenziali clienti, istituzioni internazionali e nazionali già attive nella zona), il consiglio di amministrazione ha allocato nel maggio 2012 1 miliardo di euro per una serie di azioni pilota. 73 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Lo scorso 18 settembre sono così stati lanciati tre progetti in Giordania, Tunisia e Marocco, per un investimento totale pari a 75 milioni di euro. I restanti 25 milioni dovrebbero essere prossimamente allocati in Egitto. La BERS dovrebbe essere in grado, a partire dal 2015, di investire annualmente fino a 2,5 miliardi nei paesi del sud e dell’ovest del Mediterraneo. Certificazione degli analisti Gli analisti finanziari che hanno predisposto la presente ricerca, i cui nomi e ruoli sono riportati nella prima pagina del documento dichiarano che: (1) Le opinioni espresse sulle società citate nel documento riflettono accuratamente l’opinione personale, indipendente, equa ed equilibrata degli analisti; (2) Non è stato e non verrà ricevuto alcun compenso diretto o indiretto in cambio delle opinioni espresse. Comunicazioni importanti La presente pubblicazione è stata redatta da Intesa Sanpaolo S.p.A. Le informazioni qui contenute sono state ricavate da fonti ritenute da Intesa Sanpaolo S.p.A. affidabili, ma non sono necessariamente complete, e l'accuratezza delle stesse non può essere in alcun modo garantita. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione ed illustrazione, ed a titolo meramente indicativo, non costituendo pertanto la stessa in alcun modo una proposta di conclusione di contratto o una sollecitazione all'acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Il documento può essere riprodotto in tutto o in parte solo citando il nome Intesa Sanpaolo S.p.A. La presente pubblicazione non si propone di sostituire il giudizio personale dei soggetti ai quali si rivolge. Intesa Sanpaolo S.p.A. e le rispettive controllate e/o qualsiasi altro soggetto ad esse collegato hanno la facoltà di agire in base a/ovvero di servirsi di qualsiasi materiale sopra esposto e/o di qualsiasi informazione a cui tale materiale si ispira prima che lo stesso venga pubblicato e messo a disposizione della clientela. Intesa Sanpaolo S.p.A. e le rispettive controllate e/o qualsiasi altro soggetto ad esse collegato possono occasionalmente assumere posizioni lunghe o corte nei summenzionati prodotti finanziari. 74 CAPITOLO III IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Sommario L’obiettivo del presente capitolo è quello di giungere ad una stima del “valore” della presenza imprenditoriale italiana in Turchia, a partire dal fatturato aggregato di un campione di imprese a capitale italiano attive nel Paese. Nel primo paragrafo si presenta il quadro macroeconomico della Turchia, analizzata nel contesto dei Paesi dell’Unione Europea: quella turca è un’economia in forte sviluppo (la crescita media del Pil è stata del 6% tra il 2004 e il 2008 e di quasi il 9% nel biennio 2010-2011), ma il livello del Prodotto Interno Lordo (638 miliardi di euro stimati per il 2012) è ancora basso considerando i numeri della popolazione (circa 75 milioni di abitanti, seconda, in Europa, solo alla Germania); confrontato con altri Paesi europei, il Pil della Turchia risulta pari a quello dei Paesi Bassi, che ha una popolazione di circa 16 milioni di abitanti, ed è pari a circa ¼ del Pil tedesco e inferiore alla metà di quello italiano; confrontato con quello di alcune regioni italiane, il Pil turco non raggiunge il valore del Pil di Piemonte, Lombardia e Veneto messe insieme. Anche la struttura produttiva del Paese evidenzia un’economia ancora giovane dove il peso del settore agricolo è notevole (esprime quasi il 10% del valore aggiunto totale) e, per contro, quello dei servizi non raggiunge i livelli dei Paesi ad economia matura (meno del 65% del valore aggiunto totale). Insieme al Prodotto Interno Lordo è cresciuto il ruolo del Paese nell’ambito del commercio internazionale: l’interscambio commerciale è più che triplicato tra il 2001 e il 2011 (in confronto, il commercio estero dell’Italia è cresciuto del 44,7% nello stesso periodo) ma con una dinamica più intensa delle importazioni rispetto alle esportazioni, circostanza che ha determinato una forte crescita del deficit commerciale (da -11,2 miliardi di euro nel 2001 e -76 miliardi nel 2011) che rappresenta uno dei maggiori squilibri che presenta attualmente il Paese. Il riequilibrio della bilancia commerciale costituisce il principale motivo ispiratore della nuova legislazione in materia di attrazione degli investimenti, cui è dedicato un approfondimento alla fine del primo paragrafo. Lo sviluppo delle relazioni commerciali con l’estero della Turchia ha riguardato tutte le aree geografiche: l’intensità dei rapporti commerciali con i Paesi dell’Unione Europea è ormai paragonabile a quella dei Paesi membri, mentre gli scambi commerciali con le aree più dinamiche rappresentano un punto di forza dell’economia turca: oltre il 18% del commercio estero della Turchia riguarda i paesi BRICS, una quota ben più alta rispetto agli altri Paesi europei, con Russia e Cina nelle prime posizioni tra i fornitori del Paese. Gli elevati ritmi di crescita dell’economia, la giovane età media della popolazione e le dimensioni del mercato interno, oltre che l’invidiabile posizione geografica di cerniera tra Europa e Asia, costituiscono i principali fattori di attrazione della Turchia, come evidenziato dai crescenti flussi di investimenti diretti verso il Paese. Tra il 2001 e il 2011 il valore degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) in 75 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Turchia è quadruplicato e l’incidenza dello stock di IDE nel Paese sul totale mondiale è passato dallo 0,3% allo 0,7%. Anche in questo caso, come visto a proposito del Pil, il giudizio sul valore degli IDE nel Paese cambia se lo si valuta in confronto ai principali Paesi europei: lo stock di IDE in Turchia è pari a circa 1/5 del valore degli IDE in Italia; solo la Grecia, nell’ambito dell’Unione Monetaria, fa registrare un valore degli IDE inferiore a quello della Turchia. Nel secondo paragrafo vengono presentati i “numeri” della presenza italiana in Turchia e una stima del valore del “business” italiano nel Paese, prendendo come benchmark la Germania che vanta legami e relazioni commerciali molto forti con la Turchia, essendo il primo partner commerciale del Paese. La descrizione della presenza italiana in Turchia è completata da un’analisi comparata delle performance di una campione di imprese italiane e tedesche che operano nel Paese e da due Case Studies che riguardano il processo di internazionalizzazione di due imprese italiane presenti in Turchia; in chiusura di paragrafo vengono descritti i più importanti progetti d’investimento in corso o di prossima realizzazione che coinvolgono imprese italiane di grandi dimensioni, impegnate, come si vedrà, soprattutto in progetti infrastrutturali (trasporti ed energia, in particolare). L’Italia è ai primi posti nella classifica dei partner commerciali della Turchia, con un valore del commercio bilaterale pari a quasi 16 miliardi di euro e un saldo commerciale in attivo, mentre l’interscambio tedesco con la Turchia supera i 27 miliardi. Per quanto riguarda gli IDE, la quota dell’Italia sul totale degli investimenti in Turchia è dell’1,8% mentre l’incidenza degli investimenti tedeschi è pari al 5,7% del totale; anche per presenza imprenditoriale i numeri della Germania sono superiori a quelli italiani: con quasi 4.800 imprese stimate dal ministero dell’Economia turco, la Germania è al primo posto per numero di imprese in Turchia, mentre le imprese italiane sono oltre 900. Tuttavia, quanto a “valore” del business nel Paese, la stima da noi effettuata indica un valore, seppur di poco, superiore per l’Italia (circa 16,6 miliardi di euro per le imprese a capitali italiani e oltre 15 miliardi per le imprese a capitali tedeschi), grazie ad una quota maggiore, rispetto al caso tedesco, di imprese di grandi dimensioni (un esempio su tutti è rappresentato dalla storica joint-venture tra la Fiat e il gruppo imprenditoriale turco Koc che danno vita alla casa automobilistica TOFAS Otomobil Fabrikasi A.S.). Viceversa, per quanto concerne l’impatto occupazionale della presenza “business” italiana in Turchia, la nostra stima (circa 125mila addetti) risulta inferiore a quanto stimato per la Germania (circa 166mila addetti), in ragione di una presenza imprenditoriale numericamente più consistente. 1. Inquadramento della Turchia 1.1 Il quadro macroeconomico In questo paragrafo sono esaminati i principali dati macro economici e di inquadramento internazionale della Turchia. L’analisi riguarda la stato e la dinamica macroeconomica, con l’esame dei dati più rilevanti dell’economia reale analizzati nel contesto dei Paesi europei. 76 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA I principali dati economici In base alle stime di Intesa Sanpaolo (Servizio Studi e Ricerche) e del Fondo Monetario Internazionale, la Turchia, con circa 75 milioni di abitanti al 2012, ha una popolazione seconda sola alla Germania, se confrontata con i principali Paesi dell’Area Euro. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) previsto per il 2012 è di quasi 638 miliardi di euro, circa ¼ di quello tedesco, meno della metà di quello italiano e in linea con quello dell’Olanda. Il discorso cambia leggermente confrontando il PIL pro capite (misurato in dollari internazionali a Parità di Potere di Acquisto – Power Purchasing Parity – PPP); in questo caso il dato della Turchia (15.230 dollari) si colloca ben al di sotto della media dell’Area Euro (circa 34 mila dollari). L’inflazione (9,3%) è elevata e si prevede si mantenga tale anche nei prossimi anni, ma il debito pubblico (in % del PIL) è nettamente inferiore alla media dei Paesi dell’Area Euro. Da un confronto tra il PIL registrato in Turchia nel 2011 (556 miliardi di euro) e quello delle regioni e macroregioni italiane nel medesimo anno (ultimo dato disponibile), il dato turco si colloca a metà strada tra quello del Nord Italia e quello dell’Italia meridionale e centrale. L'Economia reale in Turchia Valori attesi per il 2012, confronto con l’Italia e altri benchmark europei Main Euro Area benchmarks Population (millions) GDP (current €bn) Real GDP growth rate (%) GDP per capita ($ PPP) Inflation (Average %) General Government Debt (% of GDP) Turkey Euro Area Germany France Italy Spain Netherlands Belgium Austria Greece 74,7 330,9 81,6 63,4 60,9 46,4 16,8 11,0 8,5 11,2 637,9 9.823,8 2.715,3 2.116,8 1.613,3 1.091,0 626,0 387,7 319,7 211,6 3,5 -0,3 0,9 0,1 -2,3 -1,8 -0,5 0,0 0,9 -4,7 15.230 34.023 39.059 35.520 30.1116 30.315 42.320 37.995 42.590 30.315 9,3 2,0 2,2 1,9 3,0 1,9 1,8 2,4 2,2 -0,5 39,0 90,0 83,0 90,0 126,3 79,0 70,1 99,1 73,9 161,2 * Per la conversione in euro del GDP è stato applicato la media del tasso di cambio mensile dei primi 8 mesi del 2012, Banca Centrale Europea Tab. 1 - Fonte: Elaborazione SRM su dati di Intesa Sanpaolo - Servizio Studi e Ricerche - e Fondo Monetario Internazionale In termini dinamici, la popolazione Turca è cresciuta di circa 4 milioni, confrontando i dati medi tra il 2004 ed il 2008 con quelli del 2011 ed è prevista in ulteriore crescita. Anche il Prodotto Interno Lordo pro capite è cresciuto, passando da una media di circa 11.500 dollari nel periodo 2004-2008 a 14.450 nel 2011, con una previsione di un ulteriore aumento a oltre 16.000 dollari entro il 2013 (valori espressi a Parità di Potere di Acquisto). 77 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Il Prodotto Interno Lordo in Turchia: un confronto con alcune regioni e macro-regioni italiane. Dati al 2011, valori correnti in miliardi di euro 1000 900 857,8 800 700 600 556,3 500 369,0 400 347,5 323,9 300 177,6 200 95,9 100 0 Northern Italy Turkey Southern Italy Central Italy Lombardia Lazio Campania Graf 1 - Fonte: Elaborazione SRM su dati del Fondo Monetario Internazionale e Svimez La Bilancia dei Pagamenti della Turchia registra un ampio deficit corrente strutturale (pari al 10,4% del PIL nel 2011) determinato principalmente dal consistente disavanzo commerciale, che nel 2011 è stato pari a circa 76 miliardi di euro. Le riserve, sostanzialmente stabili a febbraio 2012 rispetto allo scorso dicembre, offrono una bassa copertura delle importazioni (import cover ratio pari a 4,2 mesi) ed espongono il Paese al rischio di shock finanziari esterni. La dinamica dell'economia reale in Turchia Population (millions) GDP per capita ($ PPP) GDP real growth rate (%) Inflation (Average %) General Government Debt (% of GDP) Credit, debit balance (% of GDP) Monetary market rate (%) Exchange rate (Turkish lira / dollar, average) Real exchange rate 2004-08 70,4 11.498 6 9,1 46,6 -2,2 16,7 1,36 145,3 2010 73,3 13.240 9,2 8,6 42,9 -3,6 5,8 1,5 164,5 2011 74 14.450 8,5 6,5 41,9 -1,4 3 1,67 146,3 2012E 74,7 15.230 3,5 9,3 39 -1,9 5,6 1,81 151,8 2013E 75,4 16.040 4 7,6 36,7 -1,8 6 1,78 162,8 Tab. 2 - Fonte: Intesa Sanpaolo - Servizio Studi e Ricerche, ottobre 2012 La vulnerabilità esterna della Turchia Current Balance (US $bn) Current Balance (% of GDP) External Debt (% of GDP) Debt servicing/Export (%) Short-term foreign debt/total foreign debt (%) Short-term foreign debt/Reserves Reserves (in import months) 2004-08 -29,9 -5,2 38,5 33,1 19,4 0,7 4,8 2010 -47,1 -6,4 40,0 36,5 26,6 1,0 5,2 Tab. 3 - Fonte: Intesa Sanpaolo - Servizio Studi e Ricerche, ottobre 2012 78 2011 -77,2 -10,4 44,1 28,6 29,3 1,2 4,2 2012E -68,2 -8,8 42,3 30,0 28,5 1,2 4,2 2013E -67,3 -7,8 37,3 28,6 28,3 1,2 4,0 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Il commercio estero L’interscambio totale estero della Turchia nel 2011 è stato pari a poco più di 270 miliardi di euro, valore più che triplicato rispetto al dato del 2001; Esso è in gran parte costituito da importazioni (173 miliardi di euro nel 2011, in crescita del 274,3% rispetto al 2001), mentre poco più di 1/3 è rappresentato da esportazioni (97 miliardi, + 177,4% sul 2001). Il totale del commercio estero italiano nel 2011 è stato di quasi 3 volte superiore a quello turco, ma il tasso di crescita rispetto al 2001 è stato nettamente inferiore (+44,7%); in confronto alla Turchia, l’Italia presenta un minore disavanzo commerciale. Un elemento di vantaggio competitivo per l’economia turca è rappresentato dalla distribuzione geografica del commercio internazionale. Infatti, gli scambi commerciali con i Paesi contrassegnati dalla sigla BRICS – sebbene composti prevalentemente da importazioni – costituiscono il 18,5% del commercio estero della Turchia nel 2011; per la Germania, che è il Paese dell’Area Euro caratterizzato dalle maggiori relazioni commerciali con i BRICS, questo gruppo di Paesi pesa per il 13,5% del totale. L’UE rappresenta l’area con cui la Turchia intrattiene le maggiori relazioni commerciali, con una incidenza sul totale del commercio estero della Turchia di oltre il 40%, con un ruolo importante di Russia e Cina con cui, nel complesso, la Turchia commercia più di 40 miliardi di euro di merci. Infine, se pur l’interscambio commerciale tra la Turchia e gli altri Paesi dell’Area Med è in percentuale maggiore (5,2% sul totale dell’interscambio turco) rispetto a quello registrato da altri Paesi europei, esso è leggermente inferiore a quello registrato da Italia e Grecia. Andamento del commercio estero in Turchia e in Italia* Valori in miliardi di euro e variazione % 2011 su 2001 Total Trade Import Export Export - Import 2001 81,2 46,2 35,0 -11,2 2006 179,3 111,2 68,1 -43,0 Turkey 2011 2011% change on 2001 270,1 232,5 173,0 274,3 97,0 177,4 -76,0 - 2001 536,4 263,7 272,7 9,1 2006 684,7 352,5 332,2 -20,2 2011 776,4 400,5 375,8 -24,7 Italy 2011 % change on 2001 44,7 51,9 37,8 - * I dati dell’UNCTAD sono espressi in dollari; per la conversione in euro è stato utilizzato, per ciascun anno, la media annuale dei tassi di cambio giornalieri Euro-Dollaro di fonte BCE Tab. 4 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat Il primo Paese per interscambio con la Turchia è la Germania con 27,5 miliardi di euro; l’Italia è in quarta posizione (con quasi 16 miliardi di euro, cfr. Tab. 6). Il commercio estero in Turchia e nei principali Paesi dell'Area Euro Anno 2011, totale in miliardi di euro e composizione % per aree geografiche World (€bn) Euro Area European Union (excluded Euro Area) USA BRICS Med Area (Excluded Turkey) Other countries World Turkey 270,1 Germany 1970,2 France 921,3 31,2 11,1 5,7 18,5 5,2 28,3 100,0 37,8 18,8 6,3 13,5 1,4 22,2 100,0 48,3 11,5 5,6 10,2 3,9 20,5 100,0 Netherlands Italy Belgium 903,7 776,4 677,5 % share 49,7 42,7 58,3 14,2 11,5 11,9 4,6 4,6 5,4 12,3 11,3 8,5 1,3 5,4 1,7 18,0 24,4 14,3 100,0 100,0 100,0 Spain 473,9 Austria 251,3 Greece 66,5 51,8 11,3 3,3 8,6 4,7 20,3 100,0 60,5 15,0 2,8 6,2 1,7 13,9 100,0 39,3 12,0 3,1 12,5 5,9 27,3 100,0 Tab. 5 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat 79 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE I principali partner commerciali della Turchia nel 2011. Esportazioni, Importazioni ed Interscambio commerciale Export, €bn Import, €bn Total Trade, €bn Germany 10,3 Russian Federation 17,9 Germany 27,5 Iraq 6,2 Germany 17,2 Russian Federation 22,4 United Kingdom 6,0 China 16,2 China 18,1 Italy 5,8 United States 12,0 Italy 15,9 France 5,0 Italy 10,1 United States 15,4 Russian Federation 4,4 Iran (Islamic Republic of) 9,3 Iran (Islamic Republic of) 12,0 United States 3,4 France 6,9 France 11,9 Spain 2,9 India 4,9 United Kingdom 10,4 United Arab Emirates 2,7 Korea, Republic of 4,7 Spain 7,5 Iran (Islamic Republic of) 2,7 Spain 4,6 Iraq 6,2 Tab. 6 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat La composizione settoriale del commercio estero turco varia a seconda dei Paesi partner. Ad esempio, nelle relazioni commerciali della Turchia con la Germania e la Cina c’è un netto predominio del settore dei mezzi di trasporto e della meccanica (che pesano per più del 40% sul totale degli scambi commerciali tra la Turchia e ciascuno di questi paesi). Anche nell’interscambio tra la Turchia e l’Italia prevale questo settore (esprime circa il 37% del valore totale delle merci scambiate tra i due paesi), mentre il settore manifatturiero rappresenta il secondo settore per interscambio commerciale della Turchia con la maggior parte dei Paesi esaminati. Composizione settoriale dell'interscambio commerciale tra la Turchia ed i suoi cinque principali partner commerciali al 2011. Totale in miliardi di euro e composizione % dei settori Total all products (€bn) Germany Russian Federation China Italy United States World 27,5 22,4 18,1 15,9 15,4 270,1 % share Food and live animals 4,7 6,2 0,6 4,0 5,8 5,1 Beverages and tobacco 0,4 0,1 0,1 0,1 1,0 0,5 Crude materials, inedible, except fuels 2,3 4,3 8,9 1,8 24,1 6,5 Mineral fuels, lubricants and related materials 0,6 52,8 0,9 8,3 9,8 13,3 Animal and vegetable oils, fats and waxes 0,0 0,7 0,1 0,1 1,5 0,7 Chemicals and related products, n.e.s. 14,5 5,0 7,0 11,0 11,0 10,8 Manufactured goods 18,9 23,9 23,3 25,9 14,0 24,5 Machinery and transport equipment 43,4 4,9 42,1 37,2 25,2 26,7 Miscellaneous manufactured articles 15,1 2,1 17,0 11,5 7,2 9,5 Commodities and transactions, n.e.s. 0,1 0,0 0,0 0,1 0,4 2,3 Tab. 7 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNCTADStat Gli Investimenti Diretti Esteri in Turchia Nel 2011 lo stock di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in Turchia è risultato essere pari a circa 100,8 miliardi di euro. Un confronto rispetto ai principali Paesi dell’Area 80 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Euro colloca la Turchia ancora in una posizione marginale, visto che il valore totale degli Investimenti Diretti Esteri in Turchia è superiore solo a quello della Grecia. In termini pro capite, data la vasta popolazione della Turchia, il gap con i Paesi Europei presi in esame è ancora maggiore. In Turchia, gli IDE ammontano a circa 1.600 euro in media per ogni persona residente; il dato è di gran lunga inferiore a quello del Belgio e dell’Olanda, ed è comparabile solo con quello greco. Gli IDE in Turchia rappresentano lo 0,7% dello stock mondiale al 2011 e, rapportati al PIL, sono pari al 18%. Il giudizio sul valore dello stock di Investimenti Diretti Esteri è sicuramente positivo se esaminati in termini dinamici. Tra il 2001 ed il 2011 gli IDE in Turchia sono più che quadruplicati, passando da circa 22 a 100,8 miliardi di euro. La crescita degli IDE in Italia è stata del 86,4% nello stesso periodo. Gli IDE in Turchia e nei principali Paesi dell'Area Euro nel 2011. Stock in valore assoluto, pro capite, in % del valore mondiale ed in % del PIL nazionale Turkey France Germany Belgium Netherlands Spain Italy Austria Greece Inward 100,8 Outward 17,3 692,4 512,7 688,1 423,2 455,8 239,0 106,9 19,7 986,1 1.035,6 678,2 677,5 460,0 368,0 143,1 30,8 1.369 234 10.632 6.240 63.985 25.393 9.813 3.931 12.705 1.730 15.142 12.605 63.065 40.655 9.902 6.053 17.014 2.708 Inward Outward 0,7 4,7 3,5 4,7 2,9 3,1 1,6 0,7 0,1 0,1 6,5 6,8 4,5 4,5 3,0 2,4 0,9 0,2 Inward 18,0 34,7 20,0 186,7 70,2 42,1 15,2 35,6 9,2 Outward 3,1 49,4 40,4 184,0 112,4 42,5 23,4 47,6 14,4 FDI Stock (€bn) FDI Stock per capita (€) Inward Outward FDI as % of total world FDI as % of GDP * I dati dell’UNCTAD sono espressi in dollari; per la conversione in euro è stato utilizzato il tasso di cambio medio del 2011 presente nella banca dati della Banca Centrale Europea Tab. 8 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNTADStat Dinamica degli IDE in Turchia ed in Italia. Stock in valore assoluto, pro capite, in % del valore mondiale e del Pil nazionale; variazione % Turkey FDI stock (€bn) Inward Outward FDI Stock per capita (€) Inward Outward % of World Inward Outward % of GDP Inward Outward Italy 2001 2006 2011 % ch. 2011 on 2001 2001 2006 2011 % ch. 2011 on 2001 22,0 5,1 75,8 7,1 100,8 17,3 358,8 237,6 128,2 186,7 248,9 249,4 239,0 368,0 86,4 97,1 340,4 79,2 1.097,0 102,2 1.368,7 234,5 302,1 195,9 2.241,0 3.263,7 4.212,0 4.222,1 3.931,4 6.053,1 75,4 85,5 0,3 0,1 0,7 0,1 0,7 0,1 - 1,5 2,2 2,2 2,0 1,6 2,4 - 10,0 2,3 17,9 1,7 18,0 3,1 - 10,3 15,0 16,8 16,8 15,2 23,4 - Tab. 9 - Fonte: Elaborazione SRM su dati UNTADStat 81 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 1.2 La struttura produttiva La distribuzione settoriale del Valore Aggiunto Nel 2011 il Valore Aggiunto (V.A.) in Turchia è stato di circa 500 miliardi di euro, poco più di 1/3 rispetto al dato dell’Italia. Il 9% del V.A. in Turchia è prodotto dal settore agricolo e della silvicoltura, percentuale decisamente più elevata rispetto a quella dell’Italia (2%); il 22,3% riguarda l’industria in senso stretto (anche in questo vaso il dato è più alto rispetto a quello italiano: 18,6%). Simile il peso del settore delle costruzioni, che conta per il 5% del totale del V.A. in Turchia e per il 6% in Italia. Al contrario, è evidente il maggior livello di terziarizzazione dell’economia italiana, che deve il 73,4% del proprio V.A. ai servizi, mentre per la Turchia tale comparto conta per il 63,7%. Nel primo trimestre 2012 il valore aggiunto è aumentato in tutti i settori considerati (+3,5% la crescita media), una dinamica positiva che rappresenta il proseguimento fase di crescita del valore aggiunto in Turchia nel 2010 e 2011. Distribuzione settoriale del Valore Aggiunto. Euro correnti e quote sul V.A. totale Value (€bn)* Agriculture, hunting, forestry and fishing Industry, excluding construction Mining and quarrying Manufacturing Electricity, gas and water supply Construction Services wholesale and retail trade, repair of motor vehicles and motorcycles; transportation and storage; accommodation and food service activities; communication financial and insurance, real estates and professional activities Other services Gross Value Added 45,0 111,1 8,2 90,5 12,3 24,8 317,6 Turkey 2011 % share on Gross Value added 9,0 22,3 1,7 18,2 2,5 5,0 63,7 151,6 30,4 2010 % share on Gross Value added 9,3 21,3 1,6 17,2 2,5 4,6 64,8 27,6 263,6 5,0 224,7 33,9 84,7 1038,5 29,1 353,8 Value (€bn)* Italy 2011 % share on Gross Value added 2,0 18,6 0,4 15,9 2,4 6,0 73,4 25,0 2010 % share on Gross Value added 1,9 19,0 0,3 16,1 2,5 6,1 73,0 24,9 106,7 21,4 23,6 358,0 25,3 24,8 59,4 498,4 11,9 100,0 12,2 100,0 291,9 1414,4 20,6 100,0 20,9 100,0 * Per il cambio Lira Turca / Euro è stato utilizzato l'Exchange rate database dell'ECB Tab. 10 – Fonte: SRM su dati TurkStat ed Istat Evoluzione del Valore Aggiunto settoriale in Turchia. Var. % su corrispondente trimestre dell'anno precedente del Valore Aggiunto a prezzi costanti Agriculture, hunting, forestry and fishing I quarter II quarter I quarter II quarter 2011 I quarter 2012 7,1 5,0 4,2 6,7 5,2 4,5 - Industry, excluding construction Total Manufacturing 14,6 14,9 8,7 9,1 8,7 9,2 5,7 5,2 9,2 9,4 3,0 2,7 - Tab. 11 - Fonte: SRM su dati TurkStat ed Istat 82 Construction Services Gross Value Added 15,3 13,0 10,2 7,0 11,2 2,8 - 10,8 9,9 10,6 6,6 9,4 3,7 - 11,9 9,4 9,2 6,4 9,1 3,5 - IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA La struttura produttiva In Turchia (gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 2009) sono presenti circa 2,5 milioni di imprese, più della metà rispetto al dato italiano; la densità imprenditoriale è di 35 imprese ogni 1.000 abitanti, circa la metà di quella riscontrata in Italia. Tali imprese esprimono un fatturato complessivo di 758 miliardi di euro, contro i 2.649 miliardi di euro delle imprese italiane; ogni impresa turca genera in media poco più di 305 mila euro di fatturato all’anno, circa la metà di quanto fattura mediamente un’impresa italiana. Gli addetti nei settori dell’industria e dei servizi in Turchia sono all’incirca 9,5 milioni, 17 milioni in Italia. Nettamente inferiore a quello italiano è il costo orario del lavoro in Turchia (3,7 euro per ora di lavoro; contro i circa 25 euro per ora in Italia). L’andamento dinamico dei dati citati conferma la forte crescita economica che si è avuta in Turchia nel corso degli ultimi anni. Le imprese, tra il 2003 ed il 2009, sono cresciute del 42,7% in Turchia (del 5,3% in Italia) ed anche il numero medio di imprese per ogni 1.000 abitante è fortemente aumentato, da 26 a 35 (+31,8%) a differenza dell’Italia dove esso è rimasto piuttosto stabile nel corso del periodo considerato. Il fatturato in Turchia è aumentato di circa il 70% nel 2009 rispetto al 2003 (in Italia del 14,4%); il fatturato medio delle imprese turche è passato da circa 254.000 euro nel 2003 a 305.000 euro nel 2009 (+20,4%; in Italia il fatturato medio è cresciuto dell’8,7% in tale periodo). Mentre gli investimenti lordi in beni tangibili sono raddoppiati in Turchia nel periodo considerato, in Italia sono aumentati solo del 6,1%. Anche il numero degli addetti ha registrato, tra il 2003 ed il 2009, una sensibile crescita in Turchia (+42,7%), di gran lunga superiore alla crescita degli addetti in Italia (+7,5%); ne è derivato un aumento del costo totale del personale (96,1%), alimentato, tuttavia, anche da un aumento del costo medio dei dipendenti (+31,1%) e del costo orario di lavoro (da 2,7 euro per ora nel 2003 a 3,7 nel 2009); va comunque evidenziato che, nonostante tutto, la crescita nel costo orario di lavoro in Turchia (+35,5%) è stata inferiore a quella registrata in Italia (+44,3%). Principali indicatori di struttura e competitività. Industria e Servizi, dati al 2009 2009 Number of enterprises Number of enterprises per 1.000 people Turnover (€m) Turnover / number of enterprises (€) Production value (€m)* Value-added at factor cost (€m) Value-added at factor cost / number of persons employed (m) Gross Investments in tangible goods (€m) Number of persons employed Number of employees Personnel cost (€m) Personnel cost / number of employees (€) Personnel cost per hour of work (€) 2.483.300 35 758.278 305.351 443.646 119.452 12.539 48.064 9.526.769 6.921.035 55.210 7.977 3,7 Turkey 2009 % change on 2003 42,7 31,8 71,7 20,4 72,2 41,3 -1,0 103,1 42,7 49,6 96,1 31,1 35,5 2009 4.383.544 72 2.648.532 604.199 2.484.127 630.153 37.154 115.414 16.960.542 11.401.357 376.463 33.019 24,8 Italy 2009 % change on 2003 5,3 0,5 14,4 8,7 9,4 1,8 6,1 7,5 9,9 28,1 16,5 44,3 * Italy 2008 ** Per il cambio Lira Turca / Euro è stato utilizzato l'Exchange rate database dell'ECB *** Per la popolazione è stato utilizzato il database UNCTADstat Tab. 12 - Fonte: elaborazione SRM su dati TurkStat ed Istat 83 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Dei quasi 2,5 milioni di imprese attive nei settori dell’industria e dei servizi, poco più di 2 milioni (l’82,6%) sono imprese del terziario. In Italia la struttura imprenditoriale è leggermente diversa (cfr. Tab. 13). Le imprese manifatturiere in Turchia sono circa 321 mila; la quota maggiore (23,9%) è rappresentata da imprese tessili, la cui numerosità (76.752 imprese) è superiore a quella italiana (68 mila imprese). Il secondo settore per presenza imprenditoriale è il metallurgico (16,3%); il peso delle imprese metallurgiche in Italia è del 18,5%. In termini di fatturato, il primato è dell’industria agroalimentare (17,3% del fatturato totale); in Italia la quota dell’industria agroalimentare è del 14,4%. Per quanto concerne gli addetti, il settore del tessile e dell’abbigliamento incide per il 27,3% sul totale degli addetti dell’industria (in Italia rappresenta il 13,1% degli addetti nel manifatturiero). Imprese, fatturato e addetti in Turchia e in Italia Composizione settoriale, dati al 2009 – Industria e Servizi Turkey Total Industry and services Manufacturing Other Industrial sectors (including energy and water supply) Construction Services Wholesale and retail trade; repair of motor vehicles, motorcycles and personal and household goods Hotels, restaurants, transport, storage and communication Real estate, renting and business activities Other sectors Italy Number of enterprises Turnover Number of persons employed Number of enterprises Turnover Number of persons employed 2.483.300 758.278 €m 9.526.769 4.383.544 2.648.532 €m 16.960.542 12,9 sectorial % share 27,4 27,1 10,0 sectorial % share 29,6 24,6 0,2 5,9 2,4 0,3 8,1 1,8 4,3 82,6 6,0 60,7 7,2 63,3 14,2 75,4 6,8 55,4 11,3 62,4 42,4 46,2 29,4 27,0 33,2 20,8 25,6 9,6 17,6 12,1 11,3 17,5 6,1 2,2 4,2 24,4 8,1 15,8 8,5 2,8 12,1 11,9 2,9 8,3 Tab. 13 - Fonte: elaborazione SRM su dati TurkStat Tra il 2003 ed il 2009 il comparto manifatturiero in Turchia ha visto crescere del 35,8% le proprie imprese, del 52,7% il fatturato e del 18,5% il numero di occupati, tendenza nettamente migliore rispetto a quella registrata in Italia, dove il numero di imprese manifatturiere nel medesimo periodo è calato di quasi il 18%, il fatturato del 2,8% e il numero di occupati del 12,6%. 84 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Imprese, fatturato e addetti in Turchia e in Italia nei settori manifatturieri Composizione settoriale, dati al 2009 - Manifatturiero Turkey Number of enterprises Total manufacturing Food, beverages and tobacco products Textiles, apparel, leather and related products Wood and paper products, and printing Coke and refined petroleum products Chemicals and chemical products Basic pharmaceutical products and pharmaceutical preparations Rubber and plastic products and other non-metallic mineral products Basic metals and fabricated metal products, except machinery and equipment Computer, electronic and optical products Electrical equipment and of non-electric domestic appliances Machinery and equipment n.e.c. Transport equipment Products of other manufacturing, and repair and installation of machinery and equipment 320.815 Turnover Italy Number of persons employed 2.584.773 Number of enterprises 439.113 Turnover Number of persons employed 4.168.961 12,5 207.783 €m Sectorial % share 17,3 14,2 13,2 783.438 €m Sectorial % share 14,4 23,9 15,2 27,3 15,5 9,4 13,1 13,4 0,0 1,1 4,5 4,3 5,3 6,2 0,2 2,2 12,7 0,1 1,0 5,9 4,0 5,2 7,8 0,4 2,8 0,1 2,0 1,1 0,1 3,3 1,6 9,7 10,7 11,6 8,0 9,2 10,1 16,3 15,2 12,5 18,5 14,8 17,6 0,2 1,5 0,9 1,5 2,6 2,8 2,2 6,0 4,0 2,1 4,2 4,2 4,0 1,8 3,7 9,8 5,1 6,3 5,5 1,2 11,5 8,9 11,4 6,6 14,8 4,7 8,2 20,6 6,6 11,3 10,3 Tab. 14 - Fonte: elaborazione SRM su dati TurkStat Evoluzione del numero di imprese, del fatturato e degli addetti in Turchia e in Italia. Var. % 2009 sul 2003 Turkey Products Food, beverages and tobacco products Textiles, apparel, leather and related products Wood and paper products, and printing Coke and refined petroleum products Chemicals and chemical products Basic pharmaceutical products and pharmaceutical preparations Rubber and plastic products and other nonmetallic mineral products Basic metals and fabricated metal products, except machinery and equipment Computer, electronic and optical products Electrical equipment and of non-electric domestic appliances Machinery and equipment n.e.c. Transport equipment Products of other manufacturing, and repair and installation of machinery and equipment Total manufacturing Italy Number of enterprises (2009 % change on 2003) Turnover (2009 % change on 2003) 45,1 65,2 Number of persons employed (2009 % change on 2003) 23,0 -17,5 2,3 Number of persons employed (2009 % change on 2003) -6,1 23,4 -1,2 -10,5 -23,7 -17,6 -27,7 33,9 98,6 35,8 70,6 40,5 28,8 26,9 -3,8 6,7 -28,0 -23,1 -14,5 -24,8 2,6 -11,7 -23,9 -11,1 -11,7 17,2 6,9 14,4 -25,0 9,7 -8,9 60,8 86,1 42,3 -11,3 -2,3 -8,7 -13,1 Number of enterprises (2009 % change on 2003) Turnover (2009 % change on 2003) 56,8 100,6 57,4 -19,8 0,9 -55,2 329,5 93,5 -73,4 12,7 -15,7 114,8 101,6 45,3 -65,2 -23,7 -41,8 -14,1 51,0 -3,8 70,3 -6,7 53,5 -41,9 -18,2 -6,7 12,9 -19,0 6,7 33,7 153,9 57,8 76,0 39,8 48,0 35,8 52,7 18,5 -17,8 -2,8 -12,6 Tab. 15 - Fonte: elaborazione SRM su dati Istat e TurkStat 85 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 1.3 Le politiche di attrazione degli investimenti Creare un clima economico ed imprenditoriale attrattivo per gli investimenti esteri è stato uno degli obiettivi più importanti delle riforme economiche implementate dal Governo turco nell’ultimo decennio. Rapporti dettagliati sulla composizione e la provenienza degli investimenti stranieri cominciano ad essere redatti a partire dal 2006 dal Sottosegretariato del Tesoro e dal 2011 direttamente dal Ministero dell’Economia. Il programma di riforme, che ha l’obiettivo di migliorare la capacità della Turchia di attrarre investimenti dall’estero, di migliorare il clima imprenditoriale e la realtà socio-economica del Paese è monitorato e seguito, dal 2005, dal Coordination Council for the Improvement of the Investment Environment (YOIKK), con la collaborazione di ISPAT (Investment Support and Promotion Agency of Turkey) e dello IAC (Investment Advisory Council of Turkey). Obiettivo comune di queste tre istituzioni è quello di suggerire al Consiglio dei Ministri nuove politiche di incentivo agli investimenti, dopo un attento confronto con il settore privato nazionale ed internazionale. Il governo turco ha attuato una politica di costante aggiornamento del pacchetto di incentivi agli investimenti a disposizione degli investitori nazionali ed esteri, con lo scopo di attrarre investimenti in grado di potenziare la struttura produttiva del Paese e risolvere uno dei principali problemi strutturali dell’economia turca, vale a dire l’ampio disavanzo delle partite correnti, stimolando l’afflusso di capitali esteri soprattutto nel settore della produzione dei c.d. “beni intermedi e finiti” e nel settore delle infrastrutture. In questo paragrafo cercheremo di analizzare come la politica di incentivo agli investimenti del governo turco sia cambiata nel corso degli anni e quali siano stati i principali interventi normativi di incentivo all’afflusso di capitali stranieri. Le Istituzioni che si occupano delle politiche di incentivo agli IDE a) YOIKK (Coordination Council for the Improvement of the Investment Environment) Lo YOIKK, istituito nel 2003, ha il compito di studiare nuove politiche di incentivo agli investimenti, giovandosi del contatto diretto con i potenziali investitori esteri e locali attraverso meeting periodici in cui gli stessi avanzano proposte concrete, e proponendole al Consiglio dei Ministri; compito dello YOIKK è anche quello di garantire assistenza agli investitori nazionali ed internazionali in tutte le fasi dell’investimento, inclusa quella operativa. Con la sua azione, lo YOIKK si pone l’obiettivo di migliorare la competitività turca nell’attrazione di investimenti esteri e domestici anche razionalizzando norme e procedure che regolano il funzionamento dell’economia del Paese. L’attività dello YOIKK è condotta da 10 Commissioni Tecniche che si occupano di tematiche diverse e agiscono sotto la diretta responsabilità di organizzazioni e istituzioni statali diverse. Le commissioni tecniche, dal 2005, sono coordinate da uno Steering Committee che ha il compito di coordinare il lavoro delle commissioni e razionalizzare l’agenda dello YOIKK; questa commissione è costituita da membri del settore pubblico e di quello privato. La Steering Committee si incontra con cadenza trimestrale e il suo segretario è nominato dal Ministero dell’Economia. 86 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA b) IAC (Investment Advisory Council of Turkey) Lo IAC è stato fondato nel 2004. E’ un organismo formato da dirigenti di importanti aziende multinazionali che ha lo scopo di suggerire riforme al governo turco per rimuovere gli ostacoli agli investimenti e migliorare l’immagine della Turchia quale Paese competitivo ed attraente per gli investimenti. Le raccomandazioni dello IAC vengono formalizzate durante periodici meeting che si svolgono alla presenza del Primo Ministro. Queste raccomandazioni vengono poi inserite all’interno dell’agenda dello YOIKK. La Segreteria dello IAC è detenuta dalla Direzione Generale per l’implementazione degli incentivi e degli investimenti esteri del Ministero dell’Economia. c) ISPAT (Investment Support and Promotion Agency of Turkey) L’ISPAT (agenzia per il supporto e per la promozione degli investimenti in Turchia) è l’organizzazione ufficiale che promuove le opportunità di investimento in Turchia presso la comunità internazionale; è stata istituita nel 2006. L'ISPAT funge da punto di riferimento per gli investitori internazionali e da punto di contatto per tutte le istituzioni impegnate nella promozione e nell'attrazione di investimenti a livello nazionale, regionale e locale; a livello internazionale opera con rappresentanti locali in molto Paesi europei, asiatici e americani. L’ISPAT fornisce una serie di servizi gratuiti che comprendono: ‐ Informazioni ed analisi di mercato ‐ Panoramica industriale e rapporti di settore ‐ Valutazione delle condizioni per gli investimenti ‐ Ricerca di eventuali partner ‐ Scelta della sede ‐ Collegamento con le istituzioni pubbliche di pertinenza ‐ Agevolazione di alcune procedure giuridiche come le richieste di incentivi, l’ottenimento delle licenze, la richiesta di permessi di soggiorno e di lavoro. Gli accordi internazionali di promozione del commercio estero Gli accordi internazionali stipulati dalla Turchia mirano a superare le barriere al commercio e al movimento dei capitali. Il governo turco ha stipulato due tipologie di accordi: a) Accordi per l’annullamento della “doppia tassazione” (Double Taxation Treaties) Questi accordi internazionali permettono di evitare la doppia tassazione dei profitti ottenuti dall’imprenditore nel Paese in cui è residente e in quello in cui i profitti sono stati realizzati. Con questi accordi la Turchia ha voluto, allo stesso tempo, proteggere gli investimenti degli imprenditori domestici e dare un’immagine più rassicurante e in linea con gli standard internazionali del suo clima imprenditoriale. Nel corso degli anni la Turchia ha cercato insistentemente e con successo di stipulare questo tipo di accordi con il maggior numero possibile di Paesi; attualmente accordi di questo tipo sono in vigore con più di 70 Paesi in tutto il mondo. 87 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE b) Accordi bilaterali per la promozione degli investimenti (Bilateral Investment Treaties - BIT) L’obiettivo di questi accordi è quello di aumentare il flusso degli investimenti internazionali bilaterali sia in termini di capitali che di conoscenze tecnologiche, garantendo protezione per gli investimenti internazionali grazie a regole chiare e condivise, accettate dai due Paesi contraenti. Questa tipologia di trattati viene firmata dalla Turchia solamente con quei Paesi con i quali esistono solide relazioni commerciali ed economiche. Tra le garanzie più importanti, sancite da questa tipologia di accordo, c’è la completa trasferibilità dei profitti dal Paese ospitante a quello di residenza. La Turchia ha stipulato questi accordi con più di 80 Paesi in tutto il mondo. Le politiche di incentivo agli Investimenti Diretti Esteri Oltre che per risolvere il grave deficit delle partite correnti, aumentato particolarmente nel corso degli ultimi anni a causa della forte crescita dell’economia che ha determinato un aumento della domanda interna e un’inevitabile crescita delle importazioni, l’attenzione alle politiche di incentivo agli investimenti esteri è derivata anche dalla necessità di attirare investimenti fissi che permettessero al Paese di ammodernarsi dal punto di vista infrastrutturale. Fino al 2003, l’unica legge approvata in Turchia sugli IDE risaliva al 1954 (fonte: Camera di Commercio italiana in Turchia). A partire dal 2003, con la legge n. 4875 del 2003 sugli investimenti esteri, la Turchia comincia un percorso di riforme mirato a rendere il proprio clima d’affari attrattivo per i capitali stranieri. Di seguito viene presentata una cronologia dei principali interventi legislativi in materia di promozione degli investimenti nel Paese realizzati tra il 2003 e il 2011. Il pacchetto di incentivi del 20121 Il 19 giugno 2012, dopo una lunga gestazione, è stato finalmente approvato il nuovo programma di incentivi agli investimenti. Così come le misure adottate negli anni precedenti, l’obiettivo principale del decreto è di risolvere uno dei maggiori problemi strutturali del Paese: l’ampio deficit delle partite correnti. Inoltre, nelle intenzioni del Governo, le misure adottate dovrebbero favorire un riequilibrio territoriale all’interno del Paese, che ha conosciuto, negli ultimi anni, uno sviluppo fortemente disomogeneo che ha privilegiato soprattutto le aree del nord-ovest e del sud-ovest della Turchia a scapito del resto del Paese (principalmente, le regioni del sud-est dell’Anatolia). Oltre ad una serie di incentivi di carattere generale, l’insieme delle misure varate dal Governo turco punta su una combinazione di sgravi fiscali e sussidi da erogare in base alla localizzazione geografica dell’investimento, al settore d’attività interessato (per gli investimenti nei settori strategici saranno disponibili incentivi a prescindere dalla localizzazione geografica) e alle dimensioni dell’investimento. La normativa prevede incentivi e facilitazioni per le diverse province del Paese inversamente proporzionali al grado di sviluppo di ciascuna provincia: a tale scopo, le 81 province del Paese sono state inserite in 6 diverse regioni (ad esempio, le province che rientrano nella regione 6 88 1 Fonte: ISPAT; Ambasciata Italiana ad Ankara, Cronache economiche 2012. IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA – sud est dell’Anatolia – godranno delle misure di incentivo maggiori e più durature). L’inserimento di nuovi settori “strategici” tra quelli agevolati dalla normativa, vale a dire i settori ferroviario, marittimo, della difesa, l’aereospaziale e l’automotive, è stato fatto con lo scopo di ridurre, grazie ad investimenti diretti in questi settori, le forti importazioni del Paese di beni intermedi. Lo schema di incentivi ricalca quello introdotto nel 2009, ma risulta più articolato del precedente. Una sezione specifica è stata riservata agli incentivi agli investimenti nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento che il Governo vorrebbe promuovere per sostenere la produzione nazionale in quei settori e garantire l’autosufficienza alimentare al Paese. I sussidi hanno una applicazione retroattiva dal 1° gennaio 2012, e gli investimenti attuati nei primi due anni godranno di incentivi ancora più favorevoli. Gli strumenti previsti dal nuovo pacchetto di misure di incentivo agli investimenti sono 7: • Esenzione IVA per i macchinari importati e per quelli prodotti in Turchia e per le attrezzature importate, purché provviste del certificato di incoraggiamento degli investimenti • Esenzione dai dazi doganali per l’importazione dei macchinari e delle attrezzature, purché i beni importati siano dotati del Certificato di incoraggiamento agli investimenti • Riduzione dell’imposizione fiscale. Le imposte sul reddito sono calcolate con aliquote ridotte finché l’importo dell’imposta ridotta non raggiungerà il tasso del contributo agli investimenti. • Per i datori di lavoro, supporto al pagamento dei contributi previdenziali degli impiegati La misura viene applicata ai nuovi posti di lavoro che vengono creati dall’investimento. Lo stato paga i contributi a carico del datore di lavoro, calcolati sul salario minimo. Per gli investimenti iniziati prima del 31/12/2013 i contributi verranno pagati da un minimo di 2 anni (nelle regioni 1) ad un massimo di 10 anni (per le regioni 6); per gli investimenti iniziati dopo il 01/01/2014 i contributi verranno pagati da un minimo di 3 anni (per le regioni 3) ad un massimo di 7 anni (per le regioni 6) • Supporto sugli interessi Il supporto viene applicato solamente sui prestiti di almeno 1 anno di durata e sarà particolarmente vantaggioso per i prestiti ottenuti in lire turche. Questo tipo di supporto potrà essere applicato solamente agli investimenti implementati nelle regioni 3, 4, 5 e 6. • Concessione dei terreni statali • Rimborso dell’IVA sulle spese di costruzione sostenute per investimenti strategici con un ammontare di investimento di almeno 500 milioni di TL Il nuovo pacchetto di misure di incentivo agli investimenti, varato dal Governo turco, prevede quattro schemi diversi di incentivo. Oltre ad uno schema generale (1), ci sono anche incentivi legati alla localizzazione geografica degli investimenti (2), incentivi legati ad investimenti nei settori strategici (3) ed incentivi dedicati ad investimenti su larga scala (4). 89 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 1) Schema Generale di Incentivi agli Investimenti Questo schema di incentivi viene applicato a prescindere dalla regione nella quale verrà sviluppato l’investimento. Gli incentivi vengono applicati a tutti quegli investimenti che superano una soglia minima di investimento: per le regioni 1 e 2 tale soglia è di 1 milione di TL, mentre per le regioni 3, 4, 5 e 6 la soglia minima è di 500 mila TL. 2) Schema per gli incentivi in base alla localizzazione geografica dell’investimento L’intensità degli incentivi è inversamente proporzionale al grado di sviluppo socioeconomico della regione in cui viene implementato l’investimento. Per ogni settore, ed ogni regione, è stata stabilita una soglia minima, a partire dalla quale gli investitori potranno beneficiare degli incentivi: per quanto riguarda le regioni 1 e 2 l’ammontare minimo è di 1 milione di TL, per le restanti regioni la soglia minima è di 500 mila TL. In particolare, la regione 6 beneficerà di tutti gli strumenti di incentivo previsti per le altre regioni con l’aggiunta di alcune condizioni di maggior vantaggio, come il pagamento, da parte dello Stato, per conto dei datori di lavoro, dei contributi previdenziali calcolati sul salario minimo, per un periodo che va dai 10 ai 12 anni e uno specifico supporto al pagamento delle ritenute alla fonte sul reddito, che ha durata di 10 anni, attraverso una detrazione dal debito tributario dell’impresa dell’equivalente delle ritenute. Gli investimenti che vengono destinati a settori strategici (turismo, settore minerario, marittimo, ferroviario, farmaceutico e della difesa, con una soglia minima di investimento, per quest’ultimo settore, di 20 milioni di TL), il settore dell’automotive (solo per la costruzione di attrezzature per lo svolgimento di test, come tunnel dell’aria), il settore aerospaziale (sempre per quanto concerne la costruzioni di strutture per lo svolgimento di test), il settore scolastico (scuola primaria e media), nelle regioni 1, 2, 3 e 4, godono degli stessi incentivi di quelli implementati nella regione 5. 3) Schema per gli incentivi agli investimenti su larga scala Agli investimenti di maggiori dimensioni spettano incentivi maggiori. Tra le misure di incentivo per questi investimenti troviamo la detassazione degli utili, sia per gli investimenti attuati all’interno delle zone industriali che per quelli attuati all’interno delle zone industriali organizzate; questi ultimi hanno incentivi più convenienti rispetto ai primi. Ci sono poi due tipi di investimenti su larga scala, oltre a quelli implementati nelle zone industriali organizzate, che godranno di incentivi maggiori: • Gli investimenti effettuati in Joint Ventures con almeno 5 compagnie che operano nello stesso settore e che si organizzino con una struttura orizzontale o verticale nell’implementazione dell’investimento. • Gli investimenti in R&D realizzati in collaborazione con il TUBITAK, il Consiglio per la Ricerca Tecnologica e Scientifica della Turchia. 4) Schema per gli incentivi agli investimenti in settori strategici Uno degli obiettivi primari di questo schema di incentivi è quello di favorire investimenti diretti che possano supportare e dare impulso alla produzione dei beni intermedi e prodotti finiti, permettendo all’economia turca di ridurre l’ampio disavanzo di partite correnti generato dalla grande importazione di queste tipologie di beni dall’estero. Un secondo importante obiettivo è quello di incoraggiare i grandi investimenti nel settore dell’alta tecnologia che dovrebbero rafforzare la competitività internazionale della Turchia. 90 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA I settori strategici che il governo turco intende agevolare sono (valori in Lire turche): ‐ Produzione di sostanze chimiche (importo minimo dell’investimento di 200 milioni) ‐ Produzione di prodotti petroliferi raffinati (importo minimo di 1000 milioni) ‐ Servizi di trasporto via oleodotto (importo minimo 50 milioni) ‐ Produzione di autoveicoli realizzati nel Paese (importo minimo 200 milioni) ‐ Prodotti per autoveicoli realizzati nel paese (importo minimo di 50 milioni) ‐ Ferrovie e trasporto su rotaia (importo minimo di 50 milioni) ‐ Servizi portuali (importo minimo di 200 milioni) ‐ Elettronica (importo minimo di 50 milioni) ‐ Apparecchiature mediche, ottiche e di precisione (importo minimo di 50 milioni) ‐ Produzione di medicinali (importo minimo di 50 milioni) ‐ Produzione di veicoli aerospaziali e dei relativi componenti (importo minimo di 50 milioni) ‐ Produzione di macchinari e macchine elettriche (importo minimo di 50 milioni) ‐ Produzione di metalli (importo minimo di 50 milioni) Gli incentivi sono diretti ad investimenti con ammontare minimo pari a 50 milioni di TL. Sono agevolati gli investimenti destinati ad aumentare la produzione nazionale di beni importati dall’estero per più del 50%. Per questa tipologia di investimenti, indipendentemente dalla regione, sono previsti i seguenti incentivi: • Esenzione IVA • Esenzione dai dazi doganali • Riduzione dell’imposizione fiscale, con una quota di partecipazione all’investimento superiore al 50% • Sgravi sui contributi a carico dei datori di lavoro per un periodo di 7 anni (estesi a 10 per la regione 6) • Sussidi relativi alla concessione dei terreni di proprietà statale • Contributo in conto interessi, fino ad un massimo del 5% dell’importo dell’investimento • Rimborso dell’IVA per le spese di costruzione, per gli investimenti di ammontare superiore ai 500 milioni di TL Solamente per quanto riguarda la regione 6, c’è un ulteriore incentivo: • Sgravi sulle ritenute alla fonte sul reddito per un periodo di 10 anni Il nuovo pacchetto di incentivi è più articolato e selettivo di quello approvato del 2009 e prevede altre tre importanti riforme che completano il set di misure: 1) Legge sull’esenzione dell’IVA per i progetti BOT (Build-Operate-Transfer), che ricalcano le modalità operative della finanza di progetto. Lo schema di investimento in modalità BOT prevede che il soggetto pubblico interessato alla realizzazione di un opera pubblica, rilasci ad una società di progetto, privata o mista, una concessione di costruzione e gestione che permetta a tale società di realizzare l’opera e gestirla durante il periodo di concessione. 91 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Alla fine del periodo di concessione l’opera viene trasferita al soggetto concedente. Con questa legge viene prevista l’esenzione dell’IVA per tutti i progetti infrastrutturali da realizzare in modalità BOT e per i diritti di concessione per i progetti nel settore sanitario che saranno oggetto di gara prima del 31 dicembre 2023. Obbiettivi dichiarati della legge sembrano essere un nuovo impulso agli investimenti nel settore sanitario, in concessione, e l’accelerazione del ritorno agli investimenti in modalità BOT. La legge è stata, inoltre, la chiave di volta per sbloccare alcune gare di appalto che erano rimaste in sospeso proprio in attesa di una legge del genere: tra le gare più importanti ricordiamo quella per il progetto relativo alla costruzione del terzo ponte sul Bosforo, che alla fine si è aggiudicata l’italiana Astaldi, in consorzio con la turca Ictas. 2) Il piano di incentivi per l’allevamento e l’agricoltura. Tali incentivi vanno a integrare ed innovare il vecchio schema del 2009. Per quanto riguarda l’allevamento si può beneficiare di sussidi per ogni capo di bestiame posseduto, che andranno dalle 225 TL alle 350 TL. Inoltre, gli allevatori possono avere sussidi per la vaccinazione del bestiame, purché possiedano almeno 5 capi di bestiame o siano iscritti ad una associazione riconosciuta per la promozione dell’allevamento. Gli agricoltori possono beneficiare di sussidi relativi ai fertilizzanti e all’acquisto di carburante per i mezzi di lavoro agricoli. Con l’intento di stimolare una crescita del settore agricolo vengono resi disponibili ed acquistabili nuovi terreni statali nelle zone dove l’agricoltura rappresenta il settore principale. Sono stati messi a disposizione anche sussidi per la produzione di sementi. Infine, le imprese agricole possono beneficiare di un sussidio “una tantum” di 600 TL. 3) Riforma del codice commerciale turco2. Il nuovo codice commerciale è stato approvato dal Parlamento turco il 27 giugno 2012, nonostante le riserve espresse da una parte del mondo imprenditoriale, e rappresenta una innovazione del vecchio codice commerciale. Il nuovo codice è composto da 1534 articoli ed è parte integrante del Codice Civile. L’obiettivo della riforma è quello di avvicinare il codice commerciale del Paese agli standard europei ed internazionali, aumentare la trasparenza delle imprese e ammodernare i sistemi di gestione delle imprese stesse. In via generale, le modifiche al codice commerciale hanno portato ad un aumento delle responsabilità dei manager in materia di trasparenza della gestione; sono stati introdotti e rafforzati concetti come responsabilità ed equità e si è cercato di incentivare una gestione corretta e professionale dell’impresa. Risultano ampliati i poteri di controllo finanziario delle agenzie di revisione, che da ora copriranno anche la gestione del rischio e la cui consulenza sarà obbligatoria; in caso contrario, il bilancio delle aziende non potrà essere approvato. Inoltre non sarà possibile detrarre le spese per le consulenze delle aziende di revisione dalle tasse. 92 2 Fonte: ISPAT; Ambasciata italiana ad Ankara, Cronache Economiche 2012. IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Importanti in questo senso sembrano essere anche i rinnovati poteri di controllo dei soci di minoranza. Qualora uno dei soci di minoranza dovesse vedersi respingere dall’assemblea la richiesta di eseguire sulla società dei controlli speciali, questi potrà chiedere al tribunale di nominare un revisore indipendente per eseguire le dovute verifiche e tutelare la sua posizione di socio di minoranza. Il sito web diventa obbligatorio. Le dichiarazioni pubbliche ed i rendiconti finanziari, le relazioni delle agenzie di revisione, le decisioni dell’assemblea generale e le decisioni del board devono essere pubblicate sul sito e deve essere conservato un registro ufficiale, certificato da un notaio, di pubblicazioni di tutti questi documenti. Altre informazioni da pubblicare obbligatoriamente sul sito internet sono le remunerazioni dei direttori ed altre informazioni riguardanti i proprietari dell’azienda. Importanti sono anche i cambiamenti che riguardano il consiglio di amministrazione. Nell’ottica di snellire le procedure decisionali è stato deciso che il Consiglio potrà essere formato anche da una sola persona (nel precedente codice erano necessarie almeno tre persone). Non è richiesta inoltre la presenza fisica del CdA in quanto le riunioni potranno essere svolte anche in ambiente web e le decisioni potranno essere adottate anche con firma elettronica. Per snellire le operazioni burocratiche inerenti la sostituzione di membri del Consiglio, è stato decretato che possano diventare membri del CdA anche persone giuridiche che potranno essere rappresentate di volta in volta da loro rappresentanti. Cade l’obbligo per cui i membri del consiglio dovevano essere azionisti della società; è stato invece deciso che almeno ¼ dei membri del Consiglio debbano essere laureati. Per quanto riguarda le procedure per la creazione di nuove società e di registrazione delle stesse presso gli organi statali, le modifiche sono state realizzate con l’obiettivo di rendere più semplice la creazione di nuove attività, anche da parte di soggetti stranieri, e di snellire le lungaggini burocratiche. Il nuovo codice prevede le seguenti forme societarie: Società per azioni; Società a responsabilità limitata; Società in accomandita semplice; Società in nome collettivo; Joint Venture; Consorzio. Per queste forme societarie sono stati cambiati i limiti di capitale richiesti per la fondazione: 10.000 TL per le Società a responsabilità limitata; 50.000 TL per le Società per azioni. Per le Società in accomandita e le Società in nome collettivo non è invece previsto alcun capitale minimo. Per la prima volta viene contemplata dal Codice commerciale la fattispecie per cui diventa possibile la creazione di una azienda in un solo giorno (purché in possesso di tutta la documentazione necessaria) grazie ad una domanda al registro delle imprese. Viene resa possibile anche la fusione di una società in liquidazione o in fallimento o, comunque, fortemente indebitata, a patto che la società incorporante disponga di capitali sufficienti a coprire i debiti della società incorporata. Vengono infine introdotte nuove regole in materia di sottoscrizione del capitale sociale al momento della costituzione della società. Prima di registrarsi, le società devono aver versato il 25% del capitale sociale; il residuo 75% può essere versato nei 24 mesi successivi. Trattamento diverso, invece, per le Società a Responsabilità Limitata, che devono aver sottoscritto e versato tutto il capitale sociale all’atto di registrazione della società. Le aziende hanno inoltre diritto di acquistare le proprie quote o azioni. In particolare, ad ogni società è permesso di acquistare fino al 10% del capitale sociale. 93 94 Ammodernamento apparato legislativo - nuovo impulso alle attività di R&D - riforma del mk del lavoro - riforma radicale del pacchetto incentivi 2003 - incentivo agli investimenti nelle aree meno sviluppate del Paese pacchetto Interventi 2006 pacchetto Interventi 2007, legge 5615/2007 pacchetto Interventi 2008; legge 5746/2008; legge 5808/2008 2009: radicale riforma delle misure introdotte nel 2003 pacchetto Interventi 2011 2006 2007 2008 2009 2011 Tab. 16 - Fonte: elaborazione SRM - snellimento burocrazia; - razionalizzazione normativa FDI; - miglioramento clima d'affari; - adozione standard europei sulle imprese - diffusione cultura imprenditoriale - supporto alle PMI protezione degli investimenti legge 4875/2003 2003 Creazione del Consiglio di Coordinamento dei Diritti per la Proprietà Intellettuale e Industriale. Legge 5808/2008: obbligo di indicare l'origine dei prodotti commerciali e alimentari; avvio indagine conoscitiva per individuare le carenze formative del sistema dell'istruzione; avvio dell'Experience Sharing Program per incontri e collaborazioni tra imprenditori stranieri e turchi; lancio del portale web dello YOIKK Incentivi a carattere generale: confermata l'esenzione IVA e tasse doganali per acquisto macchinari importati o realizzati in Turchia. Incentivi per investimenti su larga scala (fissata una soglia minima di investimento per ciascun settore al di sotto della quale non si può usufruire di incentivi): sgravi fiscali e contributivi differenziati per zona di localizzazione dell'investimento. Incentivi su base territoriale: destinati a settori specifici in ciascuna zona geografica; istituzione delle Specialized Organized Industrial Zone che beneficiavano di ulteriori incentivi; incentivi al settore del trasporto merci e persone. Incentivi per attività di R&D: Legge Speciale per la R&D; deduzione al 100% delle spese in R&D per attività con oltre 55 ricercatori (in vigore fino al 2024); esenzione tassazione su reddito degli impiegati (in vigore fino al 2023); esenzione pagamento del 50% dei contributi dei lavoratori per 5 anni; incentivo a fondo perduto di 100mila TL per gli scienziati che vogliono aprire un'attività di R&D; istituzione delle Zone per lo Sviluppo Tecnologico con uffici pronti all'uso, esenzione dalle imposte sui profitti derivanti da attività di R&D (fino al 2023), esenzione dall'IVA sui software. Incentivi per le PMI: istituzione del Credit Guarantee Fund con dotazione da 1miliardo di TL e capacità di credito pari a 10miliardi di TL. Programma Industrial Thesis: per favorire la collaborazione tra Università turche e straniere (supporto finanziario dello Stato); prestiti a lungo termine senza interessi per lo sviluppo di progetti di produzione di energia rinnovabile Riforma e allargamento delle aree di intervento dello YOIKK; proroga fino al 2013 delle misure di sostegno al credito delle PMI attraverso il Credit Guarantee Fund; proseguimento dell'Experience Sharing Program Snellimento procedure per avviare nuove attività e per l'ottenimento del permesso di lavoro; facilitazioni per ottenere concessioni per attività minerarie; Legge 5615/2007: riduzione pressione fiscale sugli investimenti (in particolare con sgravi sui contributi per i dipendenti); implementazione minimum living allowance system per l'assistenza alle fasce povere; programma di automatizzazione delle dogane Riorganizzazione apparati governativi: riforma della Land Registry Law per facilitare l'acquisto di immobili da parte di stranieri; costituzione dell'Agenzia per lo Sviluppo e dell'Ufficio di Supporto per gli Investimenti. Normativa FDI: creazione del portale web "Invest in Turkey"; creazione dell'ISPAT; promozione, presso le imprese, di best practice utilizzate a livello internazionale; Principali novità introdotte Il meccanismo di "notificazione" sostituisce l'"autorizzazione" del Ministero per l'avvio dell'attività di un'impresa; possibilità per gli investitori stranieri di controllare anche il 100% di una società turca (salvo che in settori ritenuti strategici); libertà di trasferire i profitti realizzati in Turchia nel Paese di origine dell'investitore; Incentivi Generali: esenzione imposte doganali per macchinari importati; esenzione IVA su importazione o acquisto in loco di macchinari; parziale copertura interessi su debiti contratti per investimenti; Incentivi su base territoriale (destinati a 50 province, per investimenti entro 1milione di TL): sgravi fiscali, sgravi contributivi, concessione gratuita terreni pubblici, sostegno per il costo dell'energia; Incentivi per R&D: supporto di TUBITAK e TTGV per studi di fattibilità, prototipi, costruzione impianti pilota, brevetti. Cronologia degli interventi legislativi di promozione degli investimenti Obiettivo Provvedimento Anno L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA 2. Le relazioni economiche tra Italia e Turchia 2.1 I numeri e il “valore” della presenza italiana Gli scambi commerciali Con oltre 15,6 miliardi di euro3 l’Italia si colloca al 4° posto tra i partner commerciali della Turchia, con un’incidenza del 5,8% sul totale del commercio estero del Paese. Le esportazioni italiane verso la Turchia sono risultate pari a 9,6 miliardi di euro nel 2011, in crescita del 19,9% rispetto al 2010 (+145,4% rispetto al 2001); nel corso del periodo analizzato si è registrata una crescita costante delle esportazioni italiane, con la sola eccezione del 2009 quando, come conseguenza della crisi finanziaria mondiale, si è registrata una forte contrazione degli acquisti di prodotti italiani in Turchia (-24,7% sul 2008), cui ha fatto seguito una forte ripresa nel 2010 (+42% sul 2009). L’Italia si colloca, così, al 5° posto tra i Paesi fornitori della Turchia (anno 2011). Le importazioni dell’Italia dalla Turchia hanno raggiunto la cifra di 6 miliardi di euro nel 2011, in crescita del 15,9% rispetto al 2010 (+97,3% sul 2001); l’Italia si posiziona al 4° posto tra i Paesi clienti della Turchia. Il saldo commerciale italiano con la Turchia è in forte attivo ed è pari a +3,6 miliardi di euro nel 2011 (+23,4% il saldo commerciale normalizzato); il saldo commerciale ha registrato un avanzo in ciascun anno del periodo analizzato ma si è mantenuto sempre inferiore ai 2 miliardi di euro; nel corso dell’ultimo biennio (20102011) l’avanzo si è ampliato considerevolmente, triplicando il valore tra il 2009 e il 2011. Gli scambi commerciali Italia-Turchia Italia: Interscambio e Saldo commerciale con la Turchia – dati in miliardi di euro Export to Turkey Import from Turkey Trade balance * 2001 3,9 3,0 0,9 2006 6,8 5,4 1,4 2007 7,2 5,3 1,9 2008 7,5 5,6 1,9 2009 5,7 4,4 1,2 2010 8,0 5,2 2,9 2011 9,6 6,0 3,6 Tab. 17 – Fonte: elaborazioni SRM si dati Coeweb-Istat – * il segno “+” indica un avanzo commerciale dell’Italia Maggiori sono gli scambi commerciali della Germania con la Turchia (27,5 miliardi di euro nel 2011), di cui è il primo partner commerciale (l’interscambio con la Germania incide per il 10,2% sul totale delle relazioni commerciali con l’estero della Turchia). Le esportazioni tedesche verso la Turchia sono risultate pari a 17,2 miliardi di euro nel 2011, con una crescita del 29,9% rispetto al 2010 (+188,6% sul 2001) e un andamento che registra una contrazione nel 2009 e una robusta crescita nei 2 anni successivi. 3 Il dato, di fonte Istat, differisce leggermente da quello indicato nel paragrafo 1.1 (fonte UNCTADStat). 95 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Le importazioni tedesche dalla Turchia sono state pari a 10,3 miliardi di euro nel 2011 (+19,3% rispetto al 2010; +72,4% sul 2001). Il saldo commerciale della Germania con la Turchia è ampiamente in attivo (+6,9 miliardi di euro nel 2011; +24,9% il saldo commerciale normalizzato) e presenta un’evoluzione simile a quanto visto per l’Italia: saldo in pareggio nel 2001 (quello italiano presentava un modesto avanzo, inferiore al miliardo di euro) e positivo, ma non superiore ai 4 miliardi di euro, fino al 2009; nel 2010 e 2011 l’avanzo commerciale aumenta fortemente (cresce di più del doppio tra il 2009 e il 2011). Gli scambi commerciali Germania-Turchia Germania: Interscambio e Saldo commerciale con la Turchia – dati in miliardi di euro Export to Turkey Import from Turkey Trade balance * 2001 6,0 6,0 0,0 2006 11,8 7,7 4,0 2007 12,8 8,8 4,0 2008 12,7 8,8 3,9 2009 10,1 7,0 3,1 2010 13,2 8,7 4,6 2011 17,2 10,3 6,9 Tab. 18 – Fonte: elaborazioni SRM si dati UNCTAD Gli Investimenti Diretti Esteri I flussi totali di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in Turchia nel 2011 sono stati pari a 11,4 miliardi di euro, in crescita rispetto ai due anni precedenti; gli investimenti italiani sono risultati modesti nel corso dell’ultimo anno (70 milioni di euro), pur se in crescita rispetto al 2010, mentre l’ammontare degli investimenti tedeschi in Turchia è stato di circa 434 milioni di euro nel 2011. I flussi di IDE in Turchia Flussi totali, italiani e tedeschi – dati milioni di euro* Total FDI Inflows in Turkey Italian FDI in Turkey German FDI in Turkey Italian share of total FDI Inflows in Turkey German share of total FDI Inflows in Turkey 2001 - 2006 16.076 151 284 0,9% 1,8% 2007 16.087 54 696 0,3% 4,3% 2008 13.261 169 841 1,3% 6,3% 2009 6.030 225 357 3,7% 5,9% 2010 6.818 19 450 0,3% 6,6% 2011 11.425 70 434 0,6% 3,8% * Il database riporta i dati in Dollari; per la conversione in euro è stata utilizzata la media annuale dei tassi di cambio giornalieri Euro-Dollaro di fonte Banca Centrale Europea Tab. 19 - Fonte: elaborazioni SRM su dati Banca Centrale Turca (CBRT) - Invest in Turkey, Italian desk L’elevata variabilità negli anni dei flussi di IDE, è all’origine delle differenze, anche molto pronunciate da un anno all’altro, nell’incidenza degli investimenti italiani e tedeschi sul totale dei flussi diretti in Turchia: a partire dal 2006 l’incidenza dei flussi di IDE italiani si è mantenuta intorno all’1%, con l’eccezione del 2009 quando, in corrispondenza del livello minimo toccato dai flussi totali di IDE in Turchia nel periodo analizzato (poco più di 6 miliardi di euro), quelli italiani hanno registrato il punto di massimo del periodo a 225 milioni di euro, con un’incidenza che ha raggiunto il 3,7% del totale. Nello stesso anno gli investimenti tedeschi sono diminuiti rispetto al 2008 a 357 milioni (pari al 5,9% del totale dei flussi diretti in Turchia). 96 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA In totale, fino al 20104, lo stock di IDE in Turchia ammonta a 137,2 miliardi di euro con un’incidenza degli IDE provenienti dall’Italia dell’1,8% (2,4 miliardi di euro) e del 5,7% per gli IDE provenienti dalla Germania (7,8 miliardi di euro)5 Le imprese straniere Sono quasi 30mila le imprese a capitale straniero che operano in Turchia6 (dato di fine 2011), un numero più che doppio rispetto al 2006; le imprese a capitale italiano risultano 911, quelle a capitale tedesco 4.790. Le imprese straniere in Turchia. Totale imprese a capitale straniero, imprese a capitale italiano e imprese a capitale tedesco Total Foreign Companies Foreign Companies with Italian Capital Foreign Companies with German Capital 2006 2007 2008 2009 2010 2011 12.975 16.206 19.275 22.116 25.420 29.399 457 533 630 720 814 911 2.258 2.757 3.296 3.774 4.241 4.790 Tab. 20 - Fonte: elaborazioni SRM su dati del Ministero dell’Economia turco L’incidenza delle imprese a capitale italiano sul totale delle imprese straniere che operano in Turchia è diminuita tra il 2006 (3,5%) e il 2011 (3,1%), così come la quota di imprese tedesche e, più in generale, di imprese dell’Unione Europea (dal 56,1% al 52,1%), a vantaggio delle imprese a capitali mediorientali (l’incidenza sul totale è passata dal 17,9% del 2006 al 20,9% del 2011). Quanto alla localizzazione delle imprese straniere all’interno del territorio turco, più della metà si concentra nella provincia di Istanbul; tra le altre provincie si segnalano Antalya, Ankara e Ismir. Anche per le imprese a capitali italiani e per quelle a capitali tedeschi, Istanbul è la provincia con la maggiore presenza; seguono le provincie di Ismir e Bursa. 4 Il 2010 è l’ultimo anno in cui è disponibile le suddivisione per Paese di provenienza dello stock di IDE in entrata. 5 Il valore dello stock totale di IDE in Turchia è di fonte Ministero dell’Economia turco; i dati degli stock di IDE di Italia e Germania in Turchia sono di fonte Fondo Monetario Internazionale. 6 Il dato è quello ufficiale riportato dal Ministero dell’Economia della Turchia; esso comprende anche uffici di rappresentanza e desk di società straniere. 97 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Localizzazione delle imprese straniere in Turchia, per provincia Figura 1 - Fonte: elaborazione SRM Localizzazione delle imprese italiane in Turchia, per provincia Figura 2 - Fonte: elaborazione SRM 98 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Localizzazione delle imprese tedesche in Turchia, per provincia Figura 3 - Fonte: elaborazione SRM La stima del “valore” della presenza business italiana in Turchia Analizzando i dati del Ministero dell’Economia turco emerge che le imprese localizzate in Turchia in cui ci sono investimenti diretti italiani sono 911, mentre le imprese turche partecipate da imprese tedesche sono 4.790. Ma a quanto ammonta il valore del business rappresentato da questi due gruppi di imprese? Qual è il valore del fatturato riferibile alle imprese a capitale italiano che operano in Turchia? E il numero di addetti occupati da tali imprese? Per rispondere a questi quesiti è stata effettuata una stima a partire dai dati di bilancio di un campione di imprese a capitale italiano e tedesco che operano in Turchia (il campione di imprese tedesche è stato utilizzato quale benchmark); i dati sono forniti dalla banca-dati ORBIS di Bureau van Dijk. La stima ha riguardato il fatturato totale riferibile a imprese italiane e tedesche che operano in Turchia e gli addetti occupati da imprese a capitali italiani e tedeschi; sono state considerate “pienamente italiane” (e “pienamente tedesche”) le imprese del campione in cui la quota (italiana e tedesca) di partecipazione al capitale dell’impresa è uguale o superiore al 15%; le imprese con quote di partecipazioni italiane e tedesche inferiori al 15% sono state considerate “parzialmente italiane” e “parzialmente tedesche”; per queste imprese, solo la frazione di fatturato pari alla quota di partecipazione italiana (e tedesca) è stata considerata nella stima, mentre per la stima degli addetti tali imprese sono state escluse dal calcolo; anche le imprese e società finanziarie sono state escluse dal processo di stima. I risultati della stima sono i seguenti: le imprese turche partecipate da aziende o soggetti italiane/i generano 16,6 miliardi di euro di fatturato (pari all’1,67% del 99 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE fatturato totale delle imprese di industria e servizi localizzate in Turchia) e danno lavoro a oltre 125.000 persone (1,36% del totale degli addetti in Turchia); le imprese turche partecipate da quelle tedesche, invece, realizzano poco più di 15 miliardi di fatturato (l’1,51% del fatturato totale in Turchia), per un numero di addetti che supera le 166.000 unità (1,81% degli addetti in Turchia). Dalla lettura dei dati emerge che le imprese turche in cui vi sono partecipazioni italiane sono in numero inferiore, ma hanno una dimensione mediamente più grande rispetto alle imprese in cui vi sono partecipazioni tedesche. Il seguente grafico confronta le partecipazioni italiane e quelle tedesche rispetto alle tre dimensioni considerate: numero di imprese (asse delle ascisse), numero di addetti (asse delle ordinate) e fatturato (ampiezza della bolla). Il valore della presenza italiana e tedesca in Turchia Numero di imprese turche partecipate, numero di addetti delle imprese partecipate, Fatturato delle imprese partecipate 200.000 Italy: Number of persons employed 180.000 - Companies: 911 (source: R. of Turkey Min. of Economy) - Employees: 125.297 (SRM estimate) - Turnover: €16,6 bn (SRM estimate) 160.000 140.000 Presence of a lower number of companies but larger sized 120.000 Germany: 100.000 - Companies: 4.790 (source: R.of Turkey Min.of Economy) - Emloyees: 166.445 (SRM estimate) - Turnover: €15,0 bn (SRM estimate) 80.000 60.000 Presence of a higher number of companies but smaller 40.000 20.000 0 0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000 Number of enterprises Graf. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati Ministero dell’Economia turco, BV-DEP (Orbis) Da un punto di vista settoriale, in termini di numero di imprese, i due campioni di imprese turche (quelle a capitali italiani e quelle a capitali tedeschi) presentano una distribuzione simile; in entrambi i casi circa il 60% delle imprese opera nel manifatturiero, il 5% delle imprese “italiane” e il 3% di quelle “tedesche” nel settore edile, e il 35% delle imprese italiane e il 38% delle tedesche appartiene al settore dei servizi. Il discorso cambia se si prende in esame la distribuzione delle imprese per fatturato, con una maggiore presenza, nel campione “tedesco”, di imprese di servizi. In questo caso, infatti, ben l’88% del fatturato delle imprese turche partecipate da capitali italiani riguarda il settore manifatturiero (66% per le imprese con capitali tedeschi), il 4% del fatturato riguarda imprese del settore edile (7% nel caso della Germania) e l’8% fa riferimento al settore dei servizi (26% per la Germania). 100 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA I dati principali della presenza italiana e tedesca in Turchia Number of Turkish firms partecipated by Italian or German firms Number of persons employed in Turkish firms partecipated by Italian or German firms Number of employees in Turkish firms partecipated by Italian or German firms Total Turnover of Turkish firms partecipated by Italian or German firms Total Per each firm Total Per each firm Total - €m Per each firm - €m Per each person employed - €'000 Italy 911 125.297 138 91.587 101 16.629 18,3 132,7 Germany 4.790 166.445 35 121.664 25 15.017 3,1 90,2 Tab. 21 - Fonte: elaborazione SRM su dati Ministero dell’Economia turco, BV-DEP (Orbis) La distribuzione settoriale, in base al fatturato, del campione di imprese turche partecipate da imprese italiane o tedesche Manufacturing 88,3 66,3 Italy Germany 7,5 26,3 Service Graf. 3 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) Construction La modesta incidenza delle imprese edili all’interno dei due campioni, sia in termini di numero di imprese che di fatturato, rispecchia la presenza stabile sul territorio di imprese a capitali italiani e tedeschi appartenenti a questo settore; tuttavia, molte grandi imprese di costruzioni sono coinvolte in progetti di investimento, anche di grande portata, pur non avendo una presenza stabile in Turchia: è il caso, tra le grandi imprese edili italiane, della Astaldi e della Salini impegnate in importanti progetti infrastrutturali, di cui si dà conto all’interno del Focus inserito in chiusura di capitolo. Scendendo più nel dettaglio dei diversi settori manifatturieri, in termini di numero di imprese, la percentuale maggiore di imprese “italiane” opera nel metallurgico (14,3%; 6,8% per le imprese partecipate da tedesche), l’11,1% nella meccanica (12,3% per la Germania), 7,9% nell’automotive (5,5% per la Germania), 6,3% nel settore energetico (2,7% per la Germania), 4,8% nel tessile (1,4% per la Germania). La Germania presenta quote maggiori di imprese nell’agroalimentare, nel settore della carta e della stampa, nel chimico e nei prodotti in plastica. Più interessante è la distribuzione percentuale del fatturato: ben il 49,6% del fatturato delle imprese turche in cui ci sono partecipazioni italiane riguarda il settore dell’automotive, mentre tale settore per la Germania conta solo per il 5,4%; viceversa, il fatturato delle imprese che operano nella meccanica rappresenta il 29,7% del fatturato totale 101 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE delle imprese turche partecipate da imprese tedesche ed il 18,6% del fatturato di quelle partecipate da aziende italiane. Questi due settori, nel caso degli investimenti italiani, coprono più del 68% del fatturato totale. Distribuzione % settoriale del numero delle imprese turche partecipate da imprese italiane o tedesche 25 22,2 24,0 20 15 10 14,4 12,7 14,3 12,3 11,1 7,9 6,3 5,5 6,8 5 2,7 8,9 7,5 4,8 1,4 6,8 5,5 3,2 3,2 3,2 3,2 3,2 1,4 4,8 2,7 0 Italy Germany Graf. 4 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) Distribuzione settoriale del fatturato delle imprese turche partecipate da imprese italiane o tedesche – dati % 50 49,6 45 40 35 29,7 30 25 21,8 18,6 20 15 10 5 0 11,6 5,4 8,3 4,1 6,9 4,7 2,3 1,6 6,8 1,4 0,4 0,8 1,8 Italy 0,3 0,1 0,1 0,0 Germany Graf. 5 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) 102 4,3 7,4 6,5 4,5 1,0 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA 2.2 Analisi comparata delle performance di un campione di imprese italiane e tedesche che operano in Turchia La presenza “business” italiana in Turchia: crescita, redditività e situazione finanziaria Al fine di monitorare lo stato di salute economica e finanziaria degli investimenti italiani in Turchia, è stata effettuata un’analisi sui bilanci 2009 e 2010 di un campione chiuso di imprese turche partecipate da imprese italiane (con partecipazione minima del 15%); i risultati sono stati confrontati con quelli relativi al benchmark delle imprese turche partecipate da imprese tedesche. A tal fine si è fatto ricorso ai dati di bilancio forniti dalla banca-dati ORBIS di Bureau van Dijk. L’analisi si concentra su tre aspetti – crescita, redditività e situazione finanziaria – al fine di offrire un quadro della profittabilità, delle tendenze di sviluppo, e della saluta finanziaria degli investimenti italiani e tedeschi in Turchia; oltre all’analisi generale, si scenderà nel dettaglio dei diversi settori per individuare quelli, nei due gruppi di imprese analizzati, che registrano performance che si discostano dalla media. Crescita e redditività Lo stato di salute “economica” delle imprese turche partecipate da capitali italiani risulta buono: la profittabilità delle imprese turche con capitali italiani, espressa in termini di RoE (Return on Equity), ha superato il 20% nel 2010 (in lieve crescita sul 2009), ed il fatturato totale è cresciuto del 33,5% tra il 2009 ed il 2010; tali performance sono migliori rispetto a quelle relative al campione ORBIS del totale delle imprese turche, per le quali la crescita del fatturato è stata del 15,7% tra il 2009 ed il 2010, con un RoE del 16,6% nel 2010. Il confronto tra gli investimenti italiani e quelli tedeschi rispetto alle cinque variabili individuate (due relative al fattore crescita: tasso di crescita del fatturato totale e tasso di crescita del fatturato generato da esportazioni; tre relative al fattore profittabilità – RoE, RoA, RoS), evidenzia due aspetti sostanziali: le imprese turche partecipate da capitali italiani presentano tassi di crescita del fatturato superiori rispetto al benchmark delle imprese partecipate da capitali tedeschi, ma la profittabilità, pur elevata, risulta inferiore. Infatti, il fatturato delle imprese turche in cui ci sono investimenti italiani è cresciuto del 33,5% nel 2010, mentre quello delle imprese con partecipazioni tedesche è aumentato del 21,7%. Il fatturato estero è aumentato di circa il 28% per le imprese a capitali italiani e dell’11,1% nel caso delle imprese con capitali tedeschi. Il discorso cambia guardando gli indicatori di redditività delle imprese turche partecipate da capitali italiani che, seppur in miglioramento nel 2010 rispetto al 2009, risultano meno buoni rispetto a quelli del campione “tedesco”: il RoE è pari a 20,8% nel caso del gruppo di imprese “italiane” ed al 25% per le imprese con capitali tedeschi; il RoA (Return on Assets) è dell’8,9% per le “italiane” e del 13,5% per le “tedesche”; il RoS (Return on Sales), infine, è pari al 6,3% nel caso delle imprese con capitali italiani e al 7,9% per le imprese partecipate da capitali tedeschi. 103 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Crescita e redditività della presenza “business” italiana e tedesca in Turchia Dati riferiti al 2010 Operating revenue growth (%) 40 EFFICIENCY 30 20 RoS (%) Export revenue growth (%) 10 Italy 0 RoA (%) RoE (%) PROFITABILITY Graf. 6 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) Principali indicatori di crescita, sviluppo e redditività della presenza “italiana” e “tedesca” in Turchia. Dati riferiti al 2009 ed al 2010 Growth ratios Operating revenue Export revenue Operating Profit (EBIT) Profit/Loss after tax 2010 % change on 2009 Italy Germany 33,5 21,7 28,1 11,1 43,1 3,3 30,8 17,1 Italy 2009 2010 Profitability ratios RoE (%) RoA (%) 20,3 7,9 20,8 8,9 Operating Revenue / Total Assets 1,3 1,4 ROS (%) 5,9 6,3 Development ratios Total assets Tangible fixed assets Debtors Shareholders funds Profitability ratios RoE (%) RoA (%) Operating Revenue / Total Assets ROS (%) 2010 % change on 2009 Italy Germany 27,5 15,3 11,3 23,0 29,2 22,4 27,3 20,8 Germany 2009 2010 25,8 15,1 25,0 13,5 1,6 1,7 9,3 7,9 Tab. 22 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) L’equilibrio finanziario Le imprese turche partecipate da capitali italiani presentano un buon equilibrio finanziario, anche se perdono nel confronto con il benchmark costituito dalle imprese a capitali tedeschi. Il leverage è pari a 2,7 per gli investimenti italiani (ciò significa che su 2,7 euro investiti da tali imprese, 1 euro è fatto di capitale proprio ed 1,7 da capitale di debito), per cui il rapporto tra capitale di rischio e capitale di debito è nei limiti della normalità (in genere inizia a diventare problematico quando il leverage supera il valore 104 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA di 3); per la Germania il valore è ancora più basso (2,1), segno di una maggiore solidità delle imprese turche partecipate da capitali tedeschi. L’indice di copertura delle immobilizzazioni materiali (Fixed tangible assets coverage) è pari ad 1 per l’Italia ed a 1,8 per la Germania. A riguardo si specifica che un indicatore uguale ad 1 sottintende la piena possibilità di finanziarie gli investimenti materiali senza ricorrere all’indebitamento, mentre un indicatore superiore ad 1 sottintende la possibilità di espandere ulteriormente il proprio capitale tangibile grazie al capitale di rischio. Gli indicatori di liquidità sono positivi per entrambi i campioni analizzati, con il Quick ratio (il rapporto tra le attività correnti, escluse le rimanenze - in sostanza cassa e crediti - ed i debiti correnti) pari a 1,2 per le imprese “italiane” e a 1,1 per quelle “tedesche”. Solvibilità e liquidità delle imprese a capitali italiani e tedeschi in Turchia Dati riferiti al 2010 FINANCIAL EXPENSES COVERAGE Leverage 3,0 2,5 2,0 1,5 Ebit / Financial expenses Fixed tangible assets coverage 1,0 0,5 0,0 Italy Germany Quick ratio Current ratio LIQUIDITY Graf. 7 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) Infine, andando ad esaminare la copertura economica delle uscite finanziarie (in gran parte uscite per interessi su debito finanziario), il rapporto tra il reddito operativo e le spese finanziarie (Ebit / financial expenses) è di 1,2 per le imprese turche partecipate da capitali italiani e di ben 1,7 per il benchmark delle imprese partecipate da capitali tedeschi. Ciò significa che, in entrambi i casi, le aziende riescono a coprire pienamente le proprie spese finanziarie ricorrendo al margine operativo, per cui non c’è rischio che si crei una spirale negativa tra incapacità di far fronte agli interessi sul debito ed ampliamento del debito. 105 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Principali indicatori di solvibilità, liquidità e di copertura delle spese finanziarie della presenza italiana e tedesca in Turchia. Dati riferiti al 2009 ed al 2010 Italy Solvency Leverage Fixed assets coverage Fixed tangible assets coverage Liquidity Current ratio Quik ratio Financial expenses coverage Ebit / Financial expenses Ebitda / Financial expenses Germany 2009 2010 2009 2010 2,7 1,4 0,9 2,7 1,5 1,0 2,2 2,1 1,8 2,1 2,1 1,8 1,4 1,0 1,5 1,2 1,6 1,1 1,7 1,1 1,0 2,1 1,2 2,5 1,5 4,4 1,7 5,4 Tab. 23 - Fonte: elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) Uno sguardo sui settori: crescita e redditività Ovviamente, nel campione analizzato ci sono settori più o meno performanti da un punto di vista dei risultati economici. Nei 2 grafici che seguono le imprese turche partecipate da capitali italiani e tedeschi sono state analizzate rispetto a tre dimensioni: la redditività, espressa in termini di redditività del capitale investito (RoA – Asse delle ascisse); la crescita, di nuovo espressa in termini di tasso di crescita del fatturato (asse delle ordinate); la dimensione, espressa in termini di valore del fatturato totale (ampiezza della bolla). Il grafico è stato suddiviso in 4 quadranti, denominati (seguendo la denominazione utilizzata nella tradizionale matrice BCG – Boston Consultin Group): Star (settori ad alta profittabilità ed alta crescita); Question Mark (settori ad alta crescita, ma con redditività ancora bassa o negativa); Dog (settori con tassi di crescita e redditività bassi o negativi); Cash Cow (settori ad alta profittabilità, ma con tassi di crescita bassi o negativi). L’analisi settoriale conferma quanto emerso in precedenza per il totale del campione “italiano”: la maggior parte dei settori mostra elevati tassi di crescita del fatturato e livelli medi di profittabilità. Nel dettaglio, il settore della meccanica (che esclude l’automotive, analizzato a parte) è quello caratterizzato dai più alti livelli di redditività e di crescita. Buona anche la redditività delle imprese del comparto chimico, anche se rappresentano una porzione di fatturato marginale (ampiezza della bolla). Il settore maggiormente rappresentato, in termini di fatturato, è l’automotive, che presenta un buon livello di redditività (RoA pari a 7,6%) e una crescita del fatturato del 35%. T ra gli altri settori rilevanti, quello dei prodotti in plastica e il comparto metallifero sono caratterizzati da una redditività e da un tasso di crescita del fatturato inferiori alla media. Meno positivi i risultati delle imprese che operano nel commercio (che hanno realizzato redditi operativi mediamente negativi nel 2010) e, soprattutto, di quelle dell’elettronica, che registrano tassi di crescita del fatturato e RoA negativi. 106 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Le performance settoriali della presenza “business” italiana in Turchia. Dati riferiti al 2010 STAR 70 QUESTION MARK High Gorwth Rate; Low or Negative Profitability High Growth Rate; High Profitability 60 50 Opereting Revenue (2010 % change on 2009) Motor vehicles Machinery and equipment 40 30 Wholesale and retail trade Chemicals 20 Textiles and related products Rubber and plastic products Metal products 10 0 -15,0 -10,0 -5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0 -10 Electrical equipment DOG CASH COW -20 Low or Negative Growth Rate; High Profitability Low or Negative Growth Rate; Low or Negative Profitability -30 RoA 2010 (%) Graf. 8 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) Con riferimento alle imprese turche partecipate da capitali tedeschi che, come visto, presentano un tasso medio di crescita del fatturato inferiore alle imprese del campione “italiano” ma una redditività media più elevata – i settori che presentano performance che si distinguono dei valori medi sono, da un lato, il metallifero e l’automotive, che fanno registrare una crescita del fatturato superiore alla media del campione ma una redditività inferiore (ampiamente negativa nel caso dell’automotive) e, dall’altro, l’agroalimentare e il tessile che si posizionano nel quadrante “Cash Cow”, presentando una redditività positiva (seppur inferiore alla media) e un crescita del fatturato negativa. Dal confronto tra i due gruppi di imprese (quello con partecipazioni italiane e quello con partecipazioni tedesche) emerge che mentre la maggior parte dei settori con imprese “italiane” si posizionano nei quadranti ad elevato tasso di crescita (quadrante Question Mark e quadrante Star), gran parte dei settori con imprese “tedesche” si posizionano nei quadranti a maggior redditività (Star e Cash Cow), a conferma del risultato dell’analisi effettuata sul totale dei due gruppi di imprese. 107 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Le performance settoriali della presenza “business” tedesca in Turchia. Dati riferiti al 2010 80 QUESTION MARK STAR High Gorwth Rate; Low or Negative Profitability High Growth Rate; High Profitability 60 Opereting Revenue (2010 % change on 2009) Motor vehicles Metal products Wholesale and retail trade 40 Machinery and equipment Chemicals 20 0 -30,0 -25,0 -20,0 -15,0 -10,0 -5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 Textiles and related products -20 Food, beverages and tobacco DOG Low or Negative Growth Rate; Low or Negative Profitability CASH COW -40 RoA 2010 (%) Low or Negative Growth Rate; High Profitability Graf. 9 - Fonte: Elaborazione SRM su dati BV-DEP (banca dati Orbis) 3. Case Study 1: Turk Pirelli La Pirelli s.p.a. è stata fondata nel 1872 ed oggi è, per valore del fatturato, la quinta più grande società di produzione di pneumatici al mondo. E’ presente in più di 160 paesi con 22 industrie di produzione di pneumatici dislocate in 5 continenti e quasi 34.000 impiegati in tutto il mondo. Il quartier generale di Pirelli s.p.a. è a Milano. L’attività di Pirelli Tyre è focalizzata attualmente su due segmenti: Consumer, che rappresenta ca. il 70% dei ricavi complessivi e si occupa della produzione di pneumatici destinati ad auto, SUV, veicoli commerciali leggeri e moto, e Industrial, che rappresenta ca. il 30% dei ricavi e si occupa di realizzare pneumatici per grandi automezzi (come autobus e autocarri) o mezzi agricoli. In entrambi i segmenti Pirelli è riuscita a raggiungere una posizione di leadership, grazie ad una costante attenzione alle attività di R&D e alla prestigiosa collaborazione con le più importanti case automobilistiche del mondo. La storia della casa madre La Pirelli s.p.a. viene fondata a Milano (Italia) nel 1872. Il business era orientato alla produzione di conduttori isolati per la telegrafia ma, in pochi anni, l’azienda si converte alla produzione di cavi telegrafici sottomarini e, nel 1890, comincia a produrre pneumatici per bicicletta. Dall’inizio degli anni ’90 dell’ottocento il core 108 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA business della società è la produzione di pneumatici, soprattutto per il settore delle corse automobilistiche. Insieme ai successi sportivi arrivano i primi stabilimenti di produzione all’estero: il primo in Spagna nel 1902, poi in Gran Bretagna (1914) e Argentina (1917). Grazie ad un impegno costante nelle attività di R&D, Pirelli riesce a proporre al mercato pneumatici sempre più affidabili e tecnologici; all’inizio degli anni cinquanta del novecento nasce il “radiale Cinturato” che sarà il volano per una espansione geografica che corrisponderà all’acquisizione di una posizione sempre più centrale nel mercato della produzione di pneumatici e all’apertura di nuovi segmenti produttivi: negli anni sessanta viene acquistata la Veith (azienda tedesca di produzione di pneumatici), mentre in Perù e in Australia vengono aperti stabilimenti per la produzione di cavi negli anni 1968 e 1975. Verso la metà degli anni settanta l’azienda si rende protagonista di due innovazioni importanti: lo pneumatico ribassato e la fibra ottica. Negli anni ottanta Pirelli acquisisce la Metzeler (azienda tedesca di produzione pneumatici) e, per il comparto cavi, la Standard Telephone Cable (azienda di produzione di cavi terresti per le comunicazioni). Inoltre, Pirelli cavi acquisisce, nel 1998, le attività di Siemens, e di Metal Manufactures Ltd e Draka Holding nel 1999. La Pirelli s.p.a. continua a prestare grandissima attenzione alle attività di R&D e nel 2000 realizza il processo produttivo MIRS™ che permetterà la fabbricazione automatizzata di pneumatici. Nel 2004 l’azienda si ingrandisce ed entrano a far parte del core business del gruppo anche le attività nel settore dell’accesso alla banda larga e della fotonica (con Pirelli Broadband Solutions), così come le attività legate all’ambiente e alle fonti di energia rinnovabili (Pirelli Ambiente Holding). Nel 2005 arriva l’inaugurazione del primo impianto di produzione di pneumatici in Cina e di un nuovo impianto in Romania. L’espansione dell’azienda continua con l’apertura di nuovi stabilimenti in Cina ed in Russia, attraverso una joint-venture con l’azienda russa Russian Technology. Il 2010 è un anno molto importante in quanto segna il ritorno di Pirelli in Formula 1, con l’aggiudicazione del contratto esclusivo per la fornitura di pneumatici per i campionati del mondo del triennio 2011-2013. Nel 2011 Pirelli si aggiudica l’esclusiva per le forniture per il mondiale di superbike e concentra il suo business sul segmento “tyre”, cedendo le attività nella banda larga di Pirelli Broadband Solutions e separando dal gruppo le attività immobiliari di Pirelli RE, oggi Prelios. Continua anche la ricerca nel campo delle innovazioni tecnologiche e, alla fine del 2011, viene presentato un nuovo pneumatico (P zero Silver), derivato direttamente dall’esperienza in Formula 1. Attualmente le attività di Pirelli s.p.a. si dividono in tre grandi settori: • Consumer: produzione di pneumatici per auto, Sport Utility Vehicles (SUV), veicoli commerciali leggeri e moto. • Industrial: produzione di pneumatici per autobus, autocarri, macchine agricole e cordicella metallica (steelcord). • Motorsport: produzione di pneumatici per il campionato del mondo Superbike e per il campionato del mondo di Formula 1. Il processo di internazionalizzazione La spinta all’internazionalizzazione ha sempre fatto parte delle caratteristiche della società e del suo modo di fare business e di affrontare il mercato internazionale. Già nel 109 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE 1902 infatti Pirelli cominciava la sua prima esperienza di internazionalizzazione con il primo stabilimento di produzione gomme in Spagna, dopo soli trent’anni dalla fondazione. Questa prima esperienza viene presto seguita dalle aperture di nuovi stabilimenti in Gran Bretagna nel 1914, e in Argentina nel 1917. Il processo di internazionalizzazione non riguarda solamente il settore “tyre” ma anche quello della produzione cavi, con l’apertura, negli anni ’70, degli stabilimenti produttivi in Perù (1968) ed Australia (1975). Negli anni 2000, grazie alla realizzazione del processo produttivo MIRS™ e alle nuove minifabbriche di produzione, Pirelli si rilancia in campo internazionale consolidando la sua presenza in Germania e Gran Bretagna ed approdando negli USA. Nel 2005 verrà inaugurato il primo impianto di produzione pneumatici in Cina ed un anno dopo Pirelli si stabilirà per la prima volta in Romania, con l’impianto di Slatina. Negli ultimi anni la società si è concentrata sul consolidamento della presenza in Cina, Romania e Russia, attraverso l’ampliamento degli impianti di produzione esistenti o mediante joint-ventures con grandi aziende locali. La decisione di stabilirsi in Turchia risale agli anni ’60, quando Pirelli decide di realizzare un grande impianto di produzione pneumatici che oggi si occupa della produzione di pneumatici per il mondiale di Formula 1. “La Turchia era un mercato con grandissime potenzialità, in parte inespresse. Stabilire un’attività produttiva in quel mercato ci avrebbe permesso di creare un importante presidio in una economia in grande crescita” L’arrivo in Turchia è relativamente antico ed è una delle prime destinazioni che Pirelli sceglie per la delocalizzazione delle sue attività produttive. Il mercato turco in quegli anni presenta delle ottime potenzialità di crescita, anche se non completamente espresse a causa di problemi strutturali e di una dotazione infrastrutturale ancora insufficiente. Il principale obiettivo di Pirelli con l’apertura in Turchia è la creazione di un forte presidio nel mercato turco che avrebbe permesso di monitorare con attenzione la crescita del Paese e di beneficiare degli alti tassi di crescita previsti. Inizialmente Pirelli trasferisce in Turchia le attività produttive del settore “tyre”; la produzione doveva servire prevalentemente al consolidamento della posizione della società nel mercato locale; infatti, la maggior parte della produzione viene venduta sul mercato domestico. In secondo luogo, Pirelli si pone l’obiettivo di migliorare il proprio assetto competitivo grazie ai vantaggi derivanti da una minore tassazione del lavoro che consente di ridurre sensibilmente i costi di produzione. Produrre direttamente in Turchia era, infatti, la scelta più vantaggiosa in quanto ciò consentiva di beneficiare della detassazione delle importazioni di materie prime che il governo turco metteva a disposizione delle società che producevano beni direttamente in Turchia. Le attese di Pirelli sull’evoluzione del Paese nei decenni successivi non vengono deluse. L’economia cresce con effetti positivi anche sul reddito procapite che comincia ad alzarsi velocemente, trainando la domanda interna. Il minor costo della manodopera, insieme a sgravi fiscali sulle importazioni di materie prime, consentono a Pirelli di produrre pneumatici a costi contenuti e di mantenere competitività nei confronti delle 110 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA altre grandi aziende di produzione del settore. La scelta della Turchia, fatta con grande anticipo rispetto agli anni del boom dell’economia del Paese, permette all’azienda di beneficiare di una posizione di leadership nel settore “tyre” e di essere l’unica grande realtà di produzione di pneumatici in Turchia. “Oggi la situazione in Turchia sta evolvendo rapidamente. Il costo del lavoro sta raggiungendo i livelli europei e le incertezze legate alle fluttuazioni della valuta nazionale sul mercato dei cambi creano seri problemi di competitività alle aziende presenti nel Paese” Fin qui gli elementi positivi; tuttavia, l’azienda ha incontrato, nel corso degli anni di presenza nel Paese, anche fattori di svantaggio competitivo. Agli inizia degli anni ’60 la Turchia era un Paese molto diverso da quello attuale e scontava grossi ritardi nei confronti dei Paesi più sviluppati europei. Le infrastrutture, soprattutto quelle legate ai trasporti, risultavano molto carenti e la qualità della manodopera insufficiente. Tali problemi sono stati superati negli anni più recenti: oggi la Turchia è dotata di grandi infrastrutture di collegamento e, attraverso programmi di riforma scolastici e universitari, sta colmando il gap con i Paesi più sviluppati in termini di qualità della manodopera. Tuttavia, si manifestano nuovi fattori di svantaggio: se negli anni ’60 del secolo scorso il costo del lavoro rappresentava un elemento di indiscutibile vantaggio competitivo, oggi la tassazione del lavoro e l’aumento dei salari sta avvicinando il costo del lavoro in Turchia alla media europea. Il costo medio annuo di un lavoratore risulta di ca. 36.000 €, vicinissimo ai valori italiani. Un altro fattore potenzialmente in grado di impattare negativamente sull’operatività di Turk Pirelli è rappresentato dalle fluttuazioni della lira turca sul mercato dei cambi. In particolare, la rivalutazione della lira turca, che negli ultimi dieci anni non ha conosciuto sosta, rende meno competitive le esportazioni dal Paese verso il resto del mondo. Dal 2001, la lira si è rivalutata del 60% ca. sul mercato dei cambi rispetto ad euro e dollaro. Attualmente Pirelli esporta il 70% ca. della sua produzione dalla Turchia e destina il restante 30% ca. al mercato nazionale. “Pirelli è attualmente una delle più importanti industrie della Turchia. Nel Paese sono state trasferite produzioni strategiche per l’azienda e possiamo contare su impianti di produzione pneumatici tra i più innovativi” Il processo di internazionalizzazione di Pirelli in Turchia è stato accompagnato da SACE che ha garantito un supporto finanziario, mentre nessun ruolo è stato svolto da altri organismi istituzionali italiani come ICE, Consolato ed Ambasciata italiani. Attualmente gli istituti bancari di riferimento della azienda sono la turca Yapi Credit e Bnp Paribas. Turk Pirelli è la più grande azienda di produzione di pneumatici nel Paese, con un fatturato di circa 500 milioni di euro, e gestisce la produzione di pneumatici per il segmento sport e per il mondiale di Formula 1, che vengono affidate al grande impianto produttivo di Izmit (90 KM da Istanbul), che conta circa 2000 addetti. 111 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Dall’arrivo in Turchia Pirelli ha investito ca. 500 milioni di euro per investimenti. Di cui circa 140 milioni nello stabilimento di Izmit. “La fabbrica di Izmit è, oggi, il più grande stabilimento di produzione per pneumatici nel mondo. Ci permette di avere una posizione di leadership nel mercato turco e di gestire la produzione di importanti prodotti destinati al segmento sportivo” La presenza di Pirelli in Turchia è cambiata nel corso degli anni. Grazie ad un costante interesse verso le attività di R&D, Turk Pirelli ha aumentato la propria capacità produttiva, trasformando la fabbrica di Izmit nella più grande industria di produzione di pneumatici del mondo. Tale traguardo è stato raggiunto grazie ad un’importante innovazione di processo: per la prima volta sono state attivate produzioni congiunte di pneumatici per veicoli leggeri e per grandi automezzi, che generalmente erano separate. Turk Pirelli gestisce le sue esportazioni grazie ad una consolidata filiera che si basa sulla centralità della logistic planning company, che ha il compito di organizzare la distribuzione dei prodotti in tutto il mondo. Attualmente in Turchia vengono prodotti pneumatici per i segmenti car and truck e per il segmento motorsport con la produzione di pneumatici per le auto da rally e per la Formula 1. L’integrazione con il contesto produttivo del Paese è, ormai, pressoché totale: per il reperimento delle materie prime indispensabili alla produzione vengono utilizzati anche fornitori locali (30% delle forniture di materie prime), così come per i servizi ad alto valore aggiunto (marketing, telecomunicazioni, assistenza fiscale ecc.). Coerentemente con la strategia Green Performance Pirelli, finalizzata allo sviluppo di prodotti e soluzioni capaci di coniugare il massimo delle prestazioni e della sicurezza con il rispetto dell’ambiente, anche la fornitura per la Formula Uno è ispirata a criteri di sostenibilità ambientale. I processi della fabbrica di Izmit sono gestiti con criteri di efficienza energetica e idrica volti al contenimento delle emissioni di sostanze dannose come l’anidride carbonica. Particolare attenzione è posta al riutilizzo degli scarti di produzione e degli pneumatici usati. Per quanto riguarda la promozione del brand in Turchia, Pirelli ha avuto la stessa attenzione che contraddistingue la società in materia di comunicazione e pubblicità. Dopo essersi aggiudicata la fornitura di pneumatici per il campionato mondiale di Formula 1, Pirelli effettuerà nuovi investimenti in comunicazione, finalizzati alla valorizzazione dell’impegno industriale e tecnologico richiesto dalla partecipazione alla Formula 1: tali investimenti in comunicazione saranno finalizzati alla promozione dell’azienda nei Paesi emergenti (Sud America e Asia) e nei paesi del Medio-Oriente, tra i quali giocherà un ruolo importante proprio la Turchia, dove risiede la fabbrica di produzione di questa tipologia di pneumatici. La Formula 1 diventerà, quindi, un importante strumento di valorizzazione del brand nel mondo. “Crescere nel mercato turco, affrontare con decisione le nuove sfide legate al costo del lavoro e alla rivalutazione della valuta nazionale e consolidare le esportazioni verso i Paesi dell’area sono le sfide imminenti che Pirelli deve vincere” 112 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Il futuro di Pirelli in Turchia sembra poggiare su basi solide. Una gestione societaria oculata e una grande attenzione all’innovazione sembrano assicurare una posizione preminente nel mercato nazionale. E’ evidente che le sfide da affrontare sono decisive e potranno influenzare l’andamento dell’azienda e le scelte di sviluppo future: il costo del lavoro è previsto in ulteriore crescita, mentre l’aumento dei costi di esportazione, legato alla rivalutazione della Lira, è un fattore importante su cui è difficile fare previsioni. La capacità di affrontare e gestire queste problematiche e approfittare dei vantaggi che una economia in crescita come quella turca può offrire sotto il profilo della crescita della domanda interna, del miglioramento delle infrastrutture e della competenza della forza lavoro, farà la differenza tra rimanere competitivi o meno. Turk Pirelli, in quanto impresa di grandi dimensioni, non è interessata al nuovo pacchetto di incentivi varato dal governo nel giugno del 2012, indirizzato, come evidenziato nel paragrafo dedicato alle misure di attrazione degli investimenti, soprattutto alle piccole e medie imprese delle aree a maggior ritardo di sviluppo. Sia l’ufficio di rappresentanza ad Istanbul, che la fabbrica ad Izmit, sono inseriti nelle zone 1 e non potranno godere di incentivi sostanziosi. (Da incontri con il Dr. Recep Ozcale, deputy General Manager Turk Pirelli) 4. Case Study 2: Saif Enerji Kaynaklari A.S La SAIF s.p.a. viene fondata nel 1982 da Franco Zucchi a Genova. Oggi è uno dei maggiori attori nel settore dei combustibili fossili solidi grazie al suo impegno nella ricerca di nuovi mercati da esplorare attraverso la realizzazione di nuovi combustibili e sviluppando know-how ed esperienza tecnologica e logistica per affiancare i clienti in tutte le fasi del loro approvvigionamento energetico. La storia della casa madre7 SAIF s.p.a. nasce a Genova nel 1982. Il suo core business è la commercializzazione e la distribuzione di combustibili fossili solidi (principalmente carbone petkok). Le attività di SAIF s.p.a. si dividono in tre grandi settori: • • 7 Trading: SAIF s.p.a. si occupa di commercializzare combustibili solidi come petcoke, carbone e antracite; di fornire combustibili all’industria cementifera e della distribuzione di combustibili alternativi come biomasse legnose, cippati di legno ecc. Shipping: SAIF s.p.a. noleggia per proprio conto ogni nave necessaria al trasporto dei suoi prodotti. Per il trasporto dei combustibili vengono utilizzate le più importanti compagnie del settore come Edfman, Ultrabulk, Stx panocean, Topic e Cargill. Fonte: http://www.saif.it/ 113 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE • Logistics: SAIF s.p.a. gestisce sbarco, stoccaggio e trasporto a destinazione dei combustibili, per proprio conto e per conto terzi. Saif s.p.a. è azionista del nuovo terminal delle funivie di Savona ed ha diverse aree di stoccaggio, principalmente di petcoke, situate in Italia (6 aree), Iskenderun (Turchia), Sines (Portogallo), Fos sur Mer (Francia). Attualmente il gruppo è tra i principali fornitori dell’industria cementiera italiana e turca. Nel 2011 ha movimentato un volume totale di ca. 1.650 tonnellate di varie commodities. Il Petcoke, la Steam Coal, l’Antracite e gli altri combustibili fossili usati da Saif s.p.a. provengono dai principali Paesi d’origine e da produttori leader nel settore. Tutti i livelli della filiera logistica vengono gestiti dall’azienda, fino all’arrivo negli impianti di utilizzazione. Attraverso partecipazioni e partnership SAIF riesce ad assicurare prestazioni di alto livello in ogni aspetto tecnologico e logistico del servizio, fornendo al cliente tutte le soluzioni più economiche ed avanzate e la sicurezza di una gestione totalmente in outsourcing. Queste qualità di efficienza e professionalità, unite ad una grandissima attenzione verso le attività di R&D, mirate ad offrire ai clienti nuove soluzioni sempre più eco-compatibili ed efficienti, fanno di SAIF s.p.a. una azienda leader nel settore della commercializzazione dei combustibili fossili solidi. Il processo di internazionalizzazione Nel 2008 l’azienda ha deciso di costituire la SAIF Enerji Kaynaklari A.S. nel cuore della Turchia, a Istanbul, per consolidare i rapporti con un mercato con cui il gruppo aveva già rapporti commerciali solidissimi. Anche in Turchia, SAIF s.p.a, attraverso SAIF Enerji Kaynaklari A.S., ha portato importanti innovazioni ed oggi è l’unica azienda del settore a disporre di un impianto di produzione di combustibile alternativo di origine agricola. Il progetto precorre l’attuazione delle misure del protocollo di Kyoto in Turchia sulla produzione di energia nel rispetto dell’ambiente e denota una grande attenzione del gruppo agli sviluppi del mercato turco ed alle nuove esigenze mondiali nel campo dell’approvvigionamento energetico. “Il gruppo Saif s.p.a. è stato da sempre orientato ad avere una grande attenzione ai mercati internazionali ed alle collaborazioni con clienti stranieri. La Turchia è stata la nostra prima esperienza” SAIF s.p.a., sin dalla sua fondazione nel 1982, ha sempre avuto una grandissima attenzione ai mercati internazionali. L’internazionalizzazione è stata una strada quasi naturale nel percorso di crescita della società, che già pochi anni dopo la fondazione lavorava con molti cementifici europei. Le relazioni commerciali con la Turchia erano molto intense già prima che l’azienda aprisse uno stabilimento nel Paese e riguardavano partner commerciali turchi che si occupavano, per conto di SAIF s.p.a., della distribuzione dei combustibili nel Paese. Tali consolidate relazioni commerciali hanno indotto il gruppo a scegliere la Turchia come luogo adatto per la prima esperienza di internazionalizzazione, nel 2008. 114 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA “La cosa che più ci attraeva del mercato turco, nel 2008, erano le grandi potenzialità di crescita che si intravedevano, la possibilità di anticipare le dinamiche di quel mercato” Quando SAIF s.p.a. arriva in Turchia nel 2008, attraverso la creazione di SAIF Enerji Kaynaklari, il Paese è in forte crescita e le prospettive di sviluppo sembrano moto promettenti. Il principale obiettivo era la creazione di un forte presidio di mercato, in modo da poter servire meglio la clientela turca e osservare da vicino le dinamiche interne del Paese. Inizialmente SAIF Enerji Kaynaklari costituiva un semplice ufficio di rappresentanza ad Istanbul; successivamente (nel 2010) ha realizzato la sua base operativa in Turchia, utile per snellire le procedure necessarie a seguire i vari clienti, aumentare l’efficienza del servizio offerto ai clienti turchi e semplificare il lavoro di gestione delle commesse dalla Turchia. Grazie alla presenza operativa in Turchia, oggi SAIF s.p.a. distribuisce i combustibili fossili anche nei paesi limitrofi, come Libano e Siria; la Turchia è diventato un vero e proprio ponte logistico per la distribuzione anche in altri paesi dell’area. L’ingresso abbastanza recente di SAIF s.p.a. in Turchia, non ha invece consentito all’azienda genovese di beneficiare dei considerevoli vantaggi di costo dalla commercializzazione in loco, in quanto già nel 2008 il livello medio dei salari e la tassazione del lavoro erano vicini ai parametri europei. È importante sottolineare che le politiche di incentivo agli investimenti messe in campo dal Governo turco (si ricorda l’importante pacchetto di incentivi introdotto nel 2009; cfr. paragrafo 1.3 del presente capitolo), non abbiano influito sulla scelta di SAIF s.p.a. di insediarsi con una propria società in Turchia, sebbene SAIF s.p.a. abbia provato sin dal 2008, ma senza successo, ad accedere a finanziamenti messi a disposizione dal Governo; neanche l’attività di produzione di combustibile pellet, localizzata Tarso, gode di particolari benefici, pur avendo caratteristiche di ecosostenibilità, in quanto non esiste ancora una normativa ad hoc che regoli il settore. Occasionali sono stati anche i rapporti con le istituzioni italiane, che non hanno avuto, nell’esperienza di SAIF s.p.a., un ruolo di supporto nel processo di internazionalizzazione. Tale processo è stato portato avanti e completato grazie ai rapporti che l’azienda ha intessuto nel corso degli anni con i propri clienti turchi. “L’ampiezza del mercato di sbocco è stato uno dei vantaggi più importanti che abbiamo sperimentato in Turchia.” I vantaggi sperimentati da SAIF s.p.a. in Turchia sono legati, in particolare, al grande bacino di clientela potenziale a disposizione nel Paese che esprime una domanda in forte crescita in tutti i settori. La crescita del reddito medio procapite ha dato forte impulso alla domanda di combustibili per uso domestico e grazie a SAIF s.p.a. i cittadini turchi hanno imparato a conoscere i vantaggi del riscaldamento a pellet, prima sconosciuto in Turchia; oggi i cittadini turchi sembrano essere sempre più sensibili ad una tipologia di riscaldamento che consente di tagliare i costi e diminuire l’impatto ambientale. 115 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Il vantaggio competitivo che SAIF s.p.a. sperimenta in Turchia nella produzione del pellet da scarti agricoli, è legato al fatto che, non esistendo una produzione di questo tipo in tutto il Paese, l’azienda ha creato valore aggiunto da qualcosa che prima non aveva alcun valore: gli scarti agricoli, che hanno un costo molto basso in quanto non vengono percepiti dagli agricoltori come delle vere e proprie materie prime. Per quanto riguarda l’attività di distribuzione di petkoke, i vantaggi della delocalizzazione in Turchia sono stati soprattutto di tipo logistico: la Turchia è in una posizione geografica che la rende un crocevia naturale, vicino ai principali Paesi produttori di combustibili fossili solidi. Sebbene il livello medio dei salari sia in aumento, la regolamentazione del mercato del lavoro è piuttosto lacunosa e il ruolo dei sindacati molto limitato: ciò permette una elevata flessibilità operativa alle aziende che operano nel Paese. Un importante vantaggio operativo, sottolineato dal General Manager di SAIF Enerji Kaynaklari A.S., è rappresentato dall’eccellente sistema infrastrutturale, con sistemi portuali all’avanguardia e capillari reti stradali e ferroviarie. “Rapportarsi con la cultura turca non è sempre semplice e riuscire a comprendere da subito le tradizioni e le abitudini del posto può fare la differenza per il buon andamento dell’impresa” Tra le problematiche incontrate da SAIF Enerji Kaynaklari A.S., nel corso del suo processo di internazionalizzazione, vengono segnalate le differenze culturali. Sebbene nelle grandi metropoli come Istanbul e Ankara non si riscontrino grandi differenze con l’occidente in termini di stili di vita, la situazione è diversa nelle zone rurali del Paese che conservano usi e costumi peculiari della sua antica cultura; tali differenze culturali vanno tenute nella giusta considerazione per chi voglia stabilirsi in quei territori e utilizzare manodopera locale. E’ questa l’esperienza raccontata da Saif Energy che ha dovuto affrontare problematiche di questo tipo nel processo che ha visto la creazione dell’industria di produzione di pellet a Tarso (Turchia sud-orientale), in una delle zone più rurali del Paese. La burocrazia risulta essere un elemento di forte rallentamento dell’attività delle imprese straniere e domestiche. La SAIF s.p.a. inoltre, operando in un settore che in Turchia era praticamente sconosciuto (produzione di pellet), ha dovuto affrontare problematiche di chiarezza del quadro normativo e regolamentare. “La crescita di SAIF Enerji Kaynaklari per ora è molto promettente. E’ solo da un anno che siamo operativi nella produzione di pellet ma sappiamo dai primi dati di essere in forte crescita. Anche l’attività di distribuzione dei combustibili fossili prosegue a pieno regime” Come visto in precedenza, al momento della sua creazione SAIF Enerji Kaynaklari non aveva nessun compito operativo, ma, con un ufficio di rappresentanza, costituiva un punto di riferimento in Turchia per la casa madre. Dopo la fase di start up, nel 2010 SAIF Enerji Kaynaklari inizia la propria attività core: la distribuzione di combustibili solidi fossili ai vari cementifici in Turchia, mentre nel 2011 è iniziata la produzione di 116 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA pellet. Il processo produttivo è molto semplice e prevede la raccolta di rifiuti e scarti agricoli biologici e la loro successiva trasformazione, senza aggiunta di prodotti chimici, in combustibile pellet. La fabbrica di produzione è stata realizzata a Tarso, grazie all’acquisto di una struttura preesistente, in una posizione strategica all’interno di un contesto rurale e caratterizzato dalla prevalenza di coltivazioni agricole. Attualmente SAIF Enerji Kaynaklari conta 25 addetti distribuiti tra la fabbrica di produzione a Tarso e l’ufficio di rappresentanza ad Istanbul. Le prospettive di crescita risultano molto interessanti e i primi dati di vendita incoraggianti. Per quanto riguarda l’attività principale di SAIF, legata alla commercializzazione di combustibile fossile solido, il fatturato 2012 si aggirerà sui 13-14 milioni di dollari. I solidi dati di fatturato e le potenzialità del mercato del pellet hanno indotto SAIF s.p.a. ad aprire un nuovo impianto di produzione, adiacente a quello già esistente, sempre nella regione di Tarso. L’obbiettivo è quello di soddisfare una domanda crescente e di consolidare il ruolo di leader in Turchia. “In un mercato come quello turco, aspettare vuol dire perdere competitività e godere di vantaggi sempre minori, ma per investire qui, come in altre parti del mondo, non bastano i capitali, bisogna avere le qualità giuste per comprendere la realtà locale” La Turchia è uno dei mercati più dinamici del Mediterraneo e SAIF s.p.a. ritiene di aver fatto la scelta giusta puntando sullo sviluppo della Turchia. Con la crescita dell’economia si intensifica, come visto nel paragrafo dedicato alla politica turca di attrazione degli investimenti, anche l’attività di regolamentazione dei vari aspetti legati agli investimenti esteri e al mercato del lavoro. Investire in Turchia è ancora molto conveniente e probabilmente lo sarà ancora in futuro, ma investire significa anche rapportarsi ad una cultura diversa che va capita e rispettata; come sempre succede quando si fa un investimento in un Paese straniero, non sono importanti solamente i capitali che si hanno a disposizione ma anche la flessibilità e le conoscenze delle persone che lavorano e da cui dipende il buon esito degli investimenti. (Da incontri con il Dr. Gianmatteo Giorgini, General Manager di SAIF Enerji Kaynaklari A.S.) Focus: I progetti attuali di investimento in Turchia che vedono impegnate imprese italiane Nell’elenco proposto di seguito sono indicati alcuni dei più importanti progetti in corso o realizzati recentemente che vedono protagoniste imprese italiane, spesso in consorzio con imprese turche. Occorre distinguere tra due tipologie di investimenti: investimenti in Private Equity e investimenti in Export Credits, realizzati con il supporto finanziario di Agenzie di Credito all’Esportazione (ACE). 117 L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE Investimenti in “Private Equity” • Astaldi Trasporti stradali: costruzione della autostrada Gezbe-Ismir. Consorzio italoturco. Investimento di ca. 7 Mln di USD Trasporti stradali: costruzione del 3° ponte sul Bosforo. Consorzio italo-turco con Ictas. Investimento di ca. 3 Mld di USD Infrastrutture sanitarie: costruzione dell’ospedale “Etlik” ad Ankara. Consorzio italo-turco. Investimento di ca. 400 Mld di USD Trasporti su ferro: costruzione della nuova linea metropolitana di Istanbul M4. Consorzio italo-turco con Makyol e Gulermak. Trasporti su ferro: costruzione terzo ponte sul Corno d’Oro per il trasporto metropolitano. Consorzio italo-turco con Gulermark. Investimento di 146 Mln di euro. • INSO (Sistemi ed Infrastrutture Sociali s.p.a.) Infrastrutture sanitarie: costruzione del campus ospedaliero di Kayseri. Consorzio italo-turco con YDA. Investimento di ca. 350 Mln di euro • Ferrero Costruzione di nuovi impianti di produzione dei prodotti Kinder nella città di Manisa. Investimento di ca. 95 Mln di USD • Indesit Costruzione di nuovi impianti di produzione di elettrodomestici sul territorio turco. Gli impianti produrranno frigoriferi per soddisfare la domanda del mercato turco. Investimento di ca. 65 Mln di USD • Ansaldo Energia Infrastrutture energetiche: realizzazione del ciclo combinato delle turbine a gas della centrale elettrica di Gebze; Joint venture con la turca UNIT. Primo grande progetto finanziato interamente da banche turche. Investimento di 750 Mln di euro • Enel Infrastrutture energetiche: conduzione di esplorazioni nel sottosuolo nella zona occidentale del Paese per individuare risorse geotermiche e costruire, in joint venture, centrali geotermiche. Investimento di ca. 350 Mln di euro • Techint Infrastrutture sanitarie: costruzione dell’ospedale “Bilkent” di Ankara. Investimento di ca. 450 Mln di USD Investimenti in “Export Credit” • Foster Wheeler Italiana, Saipem e Techint Costruzione della nuova raffineria STAR, presso l’impianto petrol-chimico di Petkim, che appartiene alla joint ventures azero-turca Socar/Turcas. Investimento di ca. 4.5 Mld di USD • Salini 118 IL BUSINESS ITALIANO IN TURCHIA Infrastrutture su ferro: riabilitazione e ricostruzione del tratto di 56 km di doppio binario Kosekoy-Gebze della linea ferroviaria tra Istanbul e Ankara. Investimento di ca. 147 Mln di euro • Drillmec (Trevi Group) Infrastrutture energetiche: realizzazione e fornitura di 11 impianti di perforazione petrolifera. Investimento di ca. 220 Mln di USD Investimenti “Equity” futuri • INSO È “preferred buyer” nella costruzione degli ospedali di Mersin, Adana e Konya • Atlantia Infrastrutture stradali: offerta per la privatizzazione dei ponti sul Bosforo e delle autostrade della città di Istanbul; la scadenza della gara continua ad essere rimandata. • Tofas Automotive: progetto per la costruzione di nuove industrie di produzione in Turchia. 119 PARTE SECONDA LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI CAPITOLO IV L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA 1. La finanza islamica nel Mediterraneo: alcuni spunti introduttivi Obiettivo di questo capitolo è definire le principali caratteristiche dei sistemi finanziari relativi ai Paesi del sud del Mediterraneo. I sistemi finanziari di tali Paesi possono, infatti, rivestire un ruolo fondamentale nello sviluppo delle economie cui appartengono e dell’economia del Mediterraneo nel suo complesso. In particolare, l’intento del capitolo è analizzare le modalità operative dei sistemi bancari dell’area sud del Mediterraneo perché esse possono incidere in maniera determinante sul trasferimento delle risorse finanziarie tra le unità economiche di tale area geografica e quindi sullo sviluppo potenziale dell’area stessa. Una caratteristica importante ai fini della descrizione dei sistemi bancari di questi Paesi è rappresentata dalla presenza di operatori di religione islamica, vale a dire di operatori che antepongono allo svolgimento della loro attività il rispetto del credo islamico. Il capitolo, pertanto, è suddiviso in due parti: la prima parte ha per oggetto lo studio dei sistemi finanziari e, in particolare, dei sistemi bancari dei paesi che formano la cosiddetta area MENA (Middle East and North Africa); la seconda parte – dedicata all’analisi del sistema finanziario, del sistema bancario e delle banche islamiche in Turchia – va a completare, insieme all’analisi della presenza “business” italiana nel Paese inserita nel Capitolo 3 del Rapporto, il quadro generale della Turchia sotto l’aspetto delle opportunità che il Paese offre e delle “infrastrutture finanziarie” di cui è dotato. L’area MENA è formata dai paesi del nord Africa e dell’Asia minore che si affacciano sul Mediterraneo, e dai Paesi del Golfo, che sono lontani dal Mediterraneo ma che intrattengono relazioni economiche importanti con i paesi a sud e a nord del Mediterraneo stesso1. All’interno di tale area, la Turchia riveste un ruolo fondamentale e rappresenta il Paese più dinamico e quello che esprime il valore più alto dell’interscambio commerciale con l’Italia nell’ambito dei 13 Paesi extra UE che si affacciano sul bacino del Mediterraneo2. Per fornire un quadro dei sistemi finanziari dei paesi MENA è stato costruito uno specifico dataset incrociando i dati macroeconomici pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale con le informazioni acquisite dal database ORBIS (di Bureau Van Djik) su intermediari e mercati finanziari dei medesimi paesi e dell’Unione Europea (d’ora in poi UE), quest’ultima adottata come benchmark di riferimento. A tale proposito è bene 1 Cfr. SRM, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo, Rapporto Annuale 2011. Cfr. SRM, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo – Capitolo 1, Rapporto Annuale 2012. 2 123 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI specificare che il database ORBIS non censisce la totalità degli intermediari attivi in ciascuno dei paesi considerati, ma fornisce un campione che ne rappresenta un’ottima approssimazione, soprattutto in termini di volumi intermediati. Anche per analizzare il sistema bancario turco è stato costruito uno specifico dataset con le informazioni acquisite dal database ORBIS (di Bureau Van Djik) su intermediari e mercati finanziari della Turchia e della Germania; quest’ultimo è stato preso a riferimento per via delle solide relazioni economiche che intercorrono tra i due paesi3. Per analizzare, invece, il ruolo che le banche islamiche (chiamate “banche di partecipazione”) rivestono nel sistema bancario turco sono stati presi in considerazione i dati aggregati forniti dall'associazione delle banche di partecipazione a dicembre 2010 (TKBB, 2011) e i dati puntuali raccolti direttamente dai bilanci delle singole banche di partecipazione a dicembre 2011. Al fine di poter correttamente interpretare il ruolo delle banche islamiche nei sistemi bancari e finanziari del Mediterraneo è necessario illustrare le modalità operative delle stesse. Secondo la religione del Profeta Maometto non esiste profitto senza rischio. L’applicazione di questo assioma sfocia nei seguenti principi: - principio della compartecipazione al rischio, vale a dire il principio della condivisione dei profitti e delle perdite (profit and loss sharing, d’ora in avanti PLS); - principio della condivisione dei soli profitti (profit sharing e loss bearing, d’ora in poi PSLB) dell’attività economica; - principio del mark-up o cost-plus, in base al quale colui che utilizza un determinato bene, di cui non ha la proprietà, deve riconoscere al proprietario un mark-up strettamente legato al rischio connesso all’utilizzo del bene. Gli intermediari finanziari di religione islamica hanno adottato tali principi e creato un proprio modus operandi che solo in parte può essere accostato alle normali practice degli operatori occidentali con i quali, peraltro, competono nei sistemi economici di riferimento. Le banche islamiche, in particolare, adottano i principi di PLS, PSLB e di mark-up per lo svolgimento dell’attività di impiego, mentre utilizzano unicamente il principio del PLSB per gran parte dell’attività di raccolta. Dal punto di vista degli impieghi, le banche islamiche (in base al principio del PLS) sono partner delle imprese che necessitano di risorse finanziarie (contratto di musharaka) o addirittura, sono gli unici capital provider dei soggetti finanziati in base al principio del PSLB (contratto di mudaraba). In base al principio del mark-up, invece, la banca islamica è fornitrice o locatrice di beni di consumo (contratto di murabaha e di ijara rispettivamente) o, addirittura, fornitrice e locatrice di beni di investimento (contratto di ijara) o di futura costruzione (contratto di istisna) o acquirente di beni di consumo (contratto di salam) da rivendere sul mercato sottostante. L’attività di raccolta delle banche islamiche si fonda prevalentemente sui depositi di investimento4. In base a tali contratti la banca islamica riceve mandato dai 3 4 124 Cfr. il capitolo del presente Rapporto. I depositi di investimento in Turchia assumono il nome di “depositi di partecipazione”. L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA depositanti, come un vero e proprio fund manager, di investire i propri risparmi in base al principio della compartecipazione ai soli profitti (PSLB). In caso di risultati negativi, infatti, le perdite sono a carico dei depositi di partecipazione. La banca, da parte sua, sopporta il costo del tempo profuso nello svolgimento dell’attività di asset management. Dall’analisi del ruolo delle banche islamiche nel sistema bancario turco e dall’esame delle caratteristiche dei sistemi finanziari dell’area sud del Mediterraneo, che saranno illustrati nei successivi paragrafi, emergono alcuni risultati interessanti: i) i sistemi finanziari dei paesi dell’area MENA mostrano dei livelli di finanziarizzazione e di bancarizzazione ancora contenuti; ii) i sistemi bancari dei paesi dell’area MENA sono caratterizzati da un elevato grado di concentrazione ma, allo stesso tempo, mostrano tranquillizzanti dati di solidità e di rischio; iii) il sistema bancario turco, che è in rapida crescita, tende ad amplificare virtù e criticità dei sistemi bancari dell’area MENA; iv) le banche di partecipazione rappresentano una realtà piccola ma decisamente dinamica in Turchia. 2. Analisi della struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA 2.1 I sistemi finanziari dei paesi dell’area MENA Come sottolineato in precedenza tra gli obiettivi del presente lavoro c’è quello di comprendere la configurazione assunta dai sistemi finanziari dei paesi nell’area sud del Mediterraneo e, in particolare, di quei Paesi che formano l’area MENA (Middle East and North Africa). I moderni studi sulla relazione tra economia reale e struttura finanziaria con riferimento ai paesi occidentali hanno evidenziato la possibilità da parte del sistema finanziario di favorire la crescita economica. A tal fine, l’analisi prende in considerazione tre fondamentali caratteristiche dei sistemi finanziari: 1) numerosità e tipologia degli intermediari; 2) peso dei mercati finanziari; 3) livello di finanziarizzazione e bancarizzazione raggiunto dalle economie. I primi dati oggetto di valutazione (si veda la Tabella 1) si riferiscono alla numerosità degli intermediari finanziari operanti nell’area MENA, numerosità espressa sia in termini assoluti, che in relazione al numero di abitanti e alla superficie. Due sono le considerazioni che emergono dalla lettura delle statistiche: in primo luogo, gli intermediari finanziari operanti in tale regione sono numericamente inferiori rispetto a quelli dell’UE (14.199 unità contro 4.214.683 unità nell’UE) evidenziando una presenza meno capillare se si considera sia la superficie del territorio (11,21 intermediari per 10.000 km2 contro i più di 10.000 intermediari nell’area UE), sia l’ammontare della popolazione (31,30 intermediari per milione di abitanti contro gli 8.344,47 intermediari dell’area UE). In secondo luogo, si può notare il peso rilevante assunto dagli intermediari tradizionali (in particolare banche, imprese assicurative e fondi pensione) rispetto a operatori specializzati in attività di private equity e venture capital. Gli hedge funds, infine, sono presenti in misura trascurabile. 125 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Numero, dimensione e tipologie di intermediari. Anno 2010 Number per 10.000 Km2 15.166 3.851.861 47.643 2.523 1.328 32 Number per 1 million of inhabitants European Union 30,4 7708,4 95,3 5,1 2,7 0,1 296.130 592,6 740,3 Type of intermediary Number Banks Financial companies Insurance companies Private equity firms Venture Capital firms Hedge fund Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee Total number of intermediaries Banks Financial companies Insurance companies Private equity firms Venture Capital firms Hedge funds Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee Total number of intermediaries 1.235 8.652 1.125 47 96 2 4.214.683 8.434,47 Middle East and North Africa 2,7 19,1 2,5 0,1 0,2 0,0 37,9 9629,7 119,1 6,3 3,3 0,1 10.536,70 1,0 6,8 0,9 0,0 0,1 0,0 3.044 6,7 2,4 14.199 31,3 11,2 Tab. 1 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS Da questi primi dati sembrerebbe emergere, per i sistemi finanziari dell’area MENA, la presenza di una “catena finanziaria”, certamente non embrionale ma non ancora pienamente sviluppata. È pur vero che il peso assunto dalla finanza islamica nei sistemi considerati e le specificità che ne caratterizzano le logiche operative possono aver influenzato la numerosità di alcune tipologie di intermediari. Emblematico è il caso degli hedge funds caratterizzati da un approccio altamente speculativo (tipica operazione effettuata dagli hedge funds è la vendita allo scoperto a scopo ribassista) e, come tale, in contrasto con i dettami del Corano, che unitamente all’usura, nega esplicitamente il guadagno basato sulla speculazione (maysir) e sull’incertezza (gharar)5. Per quanto riguarda i comparti di private equity e venture capital, generalmente considerati un importante driver di crescita economica, i motivi del loro scarso sviluppo possono essere ricondotti al fatto che, per la finanza islamica, tali operazioni rientrano direttamente nel perimetro di attività delle banche islamiche secondo la logica del PLS. Informazioni utili per giudicare il grado di efficienza raggiunto da un sistema finanziario si ottengono dalla valutazione della sua capacità di fornire ai datori di fondi adeguate opportunità di smobilizzo del capitale investito (prima della naturale scadenza). La predisposizione di strumenti finanziari in grado di assicurare adeguati livelli di liquidità agli investimenti finanziari e la presenza di mercati organizzati ove realizzare gli scambi6 rappresentano un importante fattore di valutazione del livello di sofisticazione raggiunto da un sistema finanziario. A tale riguardo è possibile affermare che la qualità dei mercati finanziari dei paesi MENA è in costante miglioramento (cfr. Graf. 1). 5 Si veda Starita (2009). Cfr. L. Nadotti, C. Porzio, D. Previati, “Economia degli intermediari finanziari”, Mc Graw-Hill, Milano, 2010, pag.4. 6 126 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA Numero società quotate e rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL. Anno 2010 70,0% 9.256 public companies 60,0% 50,0% 2.222 public companies 40,0% 30,0% 20,0% 10,0% 0,0% Middle East and North Africa European Union Graf. 1 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale Il numero di società quotate è nel 2010 di 2.222 unità, pari a circa un quarto delle società quotate sulle piazze finanziarie UE (9.256 unità). Il divario, sebbene ancora rilevante, è andato riducendosi nel corso degli ultimi anni soprattutto se si ragiona in termini di rapporto tra capitalizzazione di mercato delle società quotate e PIL e si considera il livello dal quale i mercati muovono in tali economie (Figura 2). Rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL. Anni 2006-2010 80,0% 70,7% 70,0% 66,5% 60,0% 54,3% 55,7% 50,0% 57,5% 45,7% Middle East and North Africa 44,7% 35,5% European Union 40,0% 35,7% 30,0% 30,5% 20,0% 10,0% 0,0% 2006 2007 2008 2009 2010 Graf. 2 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale 127 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Nel 2010, ad esempio, tale indicatore ha assunto un valore pari a circa il 45%, non eccessivamente lontano dal 57,5% delle Borse UE. Il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL presenta l’indubbio vantaggio di considerare le dimensioni delle società quotate, ma nel breve periodo la sua valenza informativa può essere condizionata dai diversi effetti che la crisi finanziaria ha prodotto sui mercati delle due regioni. Ulteriori indicazioni sulla crescita dei mercati borsistici dell’area MENA, però, possono essere acquisite guardando l’andamento del rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL nell’ultimo quinquennio: se nel 2006, primo anno della rilevazione, il differenziale tra le due regioni superava i 20 punti percentuali (35,7 % contro il 66,5% dei mercati UE) nel corso del tempo il divario si è ridotto, assestandosi su circa 10 punti percentuali negli ultimi due anni della rilevazione. In definitiva, così come evidenziato con riferimento alla numerosità degli intermediari, anche le dimensioni dei mercati finanziari nell’area MENA appaiono ancora modeste, se paragonate al livello di sviluppo raggiunto da mercati europei, tuttavia, si può evincere un percorso di crescita e progressivo recupero che potrà trarre vigore anche dal processo di privatizzazione in atto in molti paesi del Mediterraneo, soprattutto nel settore delle public utilities. Ulteriori elementi di valutazione utili all’analisi si riferiscono, da un lato, al grado di finanziarizzazione dell’economia (financial deepening), e dall’altro, al grado di bancarizzazione della stessa. La finanziarizzazione è un indicatore definito come rapporto tra il totale dell’attivo di tutti gli intermediari finanziari operanti in un dato sistema economico e il PIL di tale sistema alla stessa data. Esso indica la capacità del sistema finanziario di incorporare il reddito non consumato e la ricchezza accumulata in contratti che rappresentino forme di investimento per il datore di fondi e veicoli di finanziamento per il prenditore di fondi. La bancarizzazione è un indicatore definito dal rapporto tra il totale dell’attivo di tutte le banche e il PIL del paese in cui esse operano. Esso fornisce informazioni sull’attività svolta dalle sole banche nel processo di trasferimento delle risorse finanziarie e sulla loro capacità di orientare le scelte di investimento dei soggetti risparmiatori. Sotto il profilo della finanziarizzazione, come pure sotto il profilo della bancarizzazione, i paesi dell’area MENA mostrano dei livelli discreti, ma ancora lontani da quelli tipici dei paesi europei (FIGURA 3). Livello di finanziarizzazione e bancarizzazione dell’economia MENA. Anni 2005-2010 Financialisation Bancarisation 1800% 2500% Middle East and North Africa European Union Middle East and North Africa European Union 1600% 2000% 1400% 1200% 1500% 1000% 800% 1000% 600% 400% 500% 200% 0% 0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2005 2006 2007 Graf. 3 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale 128 2008 2009 2010 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA Nel 2010 sotto il profilo della finanziarizzazione i paesi dell’area MENA raggiungono un valore attorno al 200%, mentre il livello nell’area UE è decisamente più alto (1.500%). Anche sotto il profilo del grado di bancarizzazione, i paesi dell’area MENA presentano un valore di circa 8 volte (135% del PIL) inferiore rispetto a quello evidenziato dai paesi dell’UE (1.000%). Il differenziale, però, è destinato a ridursi nei prossimi anni, sotto entrambi i profili, per via delle politiche di liberalizzazione perseguite da alcuni paesi dell’area (Turchia in primis). È prevedibile, infatti, che tali politiche produrranno una richiesta massiccia di servizi finanziari a supporto della crescita economica. In sintesi, l’analisi delle caratteristiche assunte dalla struttura dei sistemi finanziari dei paesi dell’area MENA ha evidenziato: una presenza ancora limitata di intermediari finanziari rispetto a quella normalmente presente in un paese finanziariamente evoluto, un peso contenuto, ma in progressiva crescita, dei mercati di borsa, un livello di finanziarizzazione e bancarizzazione ancora contenuto se paragonato a quello europeo ma in crescita. 2.2 I sistemi bancari dei paesi dell’area MENA Il secondo obiettivo del presente lavoro è individuare le caratteristiche dei sistemi bancari dei paesi dell’area MENA. Il confronto tra grado di finanziarizzazione e grado di bancarizzazione effettuato al paragrafo precedente suggerisce, infatti, l’opportunità di procedere a un approfondimento delle loro caratteristiche7. Se la dimensione dei sistemi bancari, espressa attraverso il grado di bancarizzazione, risulta inevitabilmente contenuta rispetto all’area Euro, è comunque utile approfondirne l’assetto in termini di: 1) concentrazione; 2) solidità; e 3) rischio. L’obiettivo è quello di verificare il ruolo assunto nell’esercizio dell’attività di intermediazione e l’efficacia dello stesso. Il primo aspetto oggetto di approfondimento è rappresentato dal grado di concentrazione esistente nel settore bancario dei paesi dell’area MENA. Tale dato, infatti, fornisce una proxy del livello di concorrenza esistente tra gli operatori all’interno del mercato del credito in quanto viene calcolato sulla base dei prestiti erogati ad una certa data (cfr. Graf. 4). È facile notare come i 10 maggiori istituti di credito coprono, da soli, quasi il 30% del totale dei prestiti erogati dalle banche operanti nei paesi dell’area MENA. Oltre l’80% dell’intero mercato del credito dei paesi dell’area MENA è nelle mani dei primi 100 istituti mentre le prime 100 banche europee detengono circa il 70% del mercato dei prestiti. I sistemi bancari dei paesi dell’area MENA mostrano livelli di concentrazione leggermente superiori a quelli europei. Questo potrebbe far ritenere l’esistenza di minori livelli di competizione con effetti negativi su qualità e costo di prodotti e servizi 7 Il rapporto tra il totale degli attivi delle banche e il totale degli attivi di tutti gli intermediari, banche comprese, che è pari a circa il 70% per il 2010, evidenzia la presenza nell’area MENA di sistemi finanziari a forte vocazione creditizia, vale a dire sistemi orientati maggiormente verso un modello bancocentrico, piuttosto che verso un modello fondato sul ruolo prevalente dei mercati di borsa. Per una rassegna su ciascuno dei paesi dell’area MENA si vedano Demirguc-Kunt e Levine (2001). 129 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI bancari. Tuttavia, mercati del credito caratterizzati da livelli di competitività non elevati risultano più stabili e tendenzialmente in grado di mantenere costante il flusso di credito messo a disposizione dei settori produttivi in una fase di crescita economica. Peraltro non esiste nel settore finanziario la certezza che livelli di competizione crescenti generino crescenti livelli di efficienza. Grado di concentrazione del sistema bancario nell’area MENA. Anno 2010 90,0% 80,0% 70,0% 60,0% 50,0% 40,0% 30,0% 20,0% 10,0% 0,0% The 10 largest banks The 20 largest banks Middle East and North Africa The 50 largest banks The 100 largest banks European Union Graf. 4 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS Ulteriori indicazioni sul grado di concorrenza possono essere tratte dalla dinamica degli indici di concentrazione nel periodo 2005-2010 (cfr. Graf. 5), da cui emerge, in maniera evidente, l’esistenza all’interno dei sistemi bancari dei paesi MENA di una crescita contenuta ma costante della pressione competitiva. A titolo esemplificativo è possibile evidenziare come se nel 2005 i 100 maggiori istituti di credito coprivano da soli quasi il 90% (88%) del totale dei prestiti erogati da tutte le banche operanti nell’area MENA; nel 2010 tale valore ha subito una contrazione di circa quattro punti percentuali. Per comprendere se l’assetto scarsamente contendibile dei sistemi bancari dei paesi dell’area MENA possa rappresentare una minaccia (alti costi dei servizi e dei prodotti) o una opportunità (flusso di credito costante per il finanziamento delle economie in fase di sviluppo accelerato) è necessario guardare alla solidità delle banche. Secondo gli studiosi di economia delle aziende di credito per descrivere la solidità delle banche è necessario valutare i seguenti aspetti: efficienza operativa; redditività operativa e netta; patrimonializzazione (si veda la Tab. 2). Le informazioni su tali aspetti saranno 130 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA precedute dal commento sul dato relativo alla dimensione espressa in termini di totale attivo. Evoluzione del grado di concentrazione del sistema bancario nell’area MENA. Anni 2005-2010 The 10 larger banks The 20 larger banks Middle East and North Africa European Union 30,2% 27,8% 23,6% Middle East and North Africa European Union 45,3% 41,6% 40,0% 38,0% 22,7% 36,4% 20,0% 20,0% 0,0% 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2005 2010 The 50 larger banks 70,0% 60,0% 2007 2008 2009 2010 The 100 larger banks Middle East and North Africa European Union 66,0% 71,1% 2006 Middle East and North Africa European Union 83,9% 88,0% 80,0% 75,2% 72,2% 59,5% 56,2% 50,0% 60,0% 40,0% 40,0% 30,0% 20,0% 20,0% 10,0% 0,0% 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Graf. 5 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS Il sistema bancario dell’area MENA: principali indicatori. Anno 2010 Tipologia intermediario Total Asset (migliaia di dollari) Cost-Income ratio Net interest margin Roe Total capital ratio Total Asset (migliaia di dollari) Cost-Income ratio Net interest margin Roe Total capital ratio Media European Union 19.161.259 68,0% 2,5% 8,3% 17,8% Middle East and North Africa 9.790.181 52,3% 3,5% 9,4% 24,1% Mediana Dev. Standard 679.545 66,7% 2,4% 6,8% 15,3% 124.097.023 40,9% 10,7% 30,0% 15,7% 1.960.350 49,1% 3,2% 11,6% 18,0% 26.514.863 71,7% 3,2% 34,0% 18,4% Tab. 2 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS Sotto il profilo dimensionale (media del totale attivo) le banche dell’area MENA presentano un valore medio inferiore (poco meno di 10 miliardi di dollari) rispetto a quello delle banche operanti nell’ UE. Le banche europee, infatti, presentano un valore medio del totale attivo che si aggira intorno ai 20 miliardi di dollari. Tuttavia, il loro 131 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI valore mediano è di soli 679 milioni di dollari, mentre quello delle banche dell’area MENA risulta decisamente più elevato e pari a circa 2 miliardi di $. Tale evidenza suffraga quanto emerso con riferimento all’analisi della concentrazione dei sistemi bancari e suggerisce la scarsa presenza nell’area MENA di banche di piccole dimensioni che, al contrario, sono largamente presenti in ambito europeo per via di una lunga tradizione di banche di credito cooperativo e di risparmio. È probabile che la attuale carenza di una significativa “biodiversità dimensionale” nei paesi dell’area MENA possa avere effetti negativi sulla capillarità del supporto finanziario all’attività di impresa. Dal un punto di vista dell’efficienza operativa, il rapporto tra costi e margine di intermediazione (cost income ratio) si colloca su livelli sensibilmente più bassi di quelli presenti a livello europeo. In media l’incidenza dei costi operativi si attesta per i paesi MENA su livelli di poco superiori al 50% (52,32%) contro il 67,35% evidenziato dalle banche europee denotando una maggiore capacità delle banche MENA di tenere sotto controllo i costi del personale e gli altri costi operativi. Si rammenta, tuttavia, che tale dato va acquisito con una certa cautela considerando che l’efficienza operativa delle banche non dipende solo dalle abilità manageriali, ma anche dal profilo dimensionale e da fattori esogeni, quale ad esempio il costo del lavoro8. Sotto il profilo della redditività, l’analisi muove dalla valutazione della redditività operativa, vale a dire dal rapporto tra margine d’interesse e totale attivo. Si tratta di un indicatore che, nella tradizione bancaria, risente positivamente dello spread tra tassi attivi, relativi ai prestiti, e tassi passivi, relativi ai depositi. Nel 2010, il margine di interesse rispetto al totale attivo è stato in media pari a 2,53% per le banche dell’area MENA e al 3,50% per quelle dell’UE. Il dato è, in parte, influenzato dalla presenza nell’area MENA di banche islamiche e, in parte, frutto della volontà delle banche dei paesi MENA di “garantire” ex-post dei livelli di remunerazione degli impieghi e di costo della raccolta in linea con i tassi offerti dalle banche dei paesi europei. Un altro importante elemento per descrivere la redditività delle banche è fornito dall’analisi della redditività netta in rapporto al capitale netto, vale a dire il Roe. Anche tale espressione della redditività bancaria presenta (2010) per le banche dei paesi dell’area MENA un valore molto vicino a quello delle banche europee. La solidità di una banca, oltre che dal punto di vista dell’efficienza e della redditività, può essere valutata analizzando il grado di patrimonializzazione espresso in termini di total capital ratio. Le banche dei paesi MENA presentano, anche sotto questo profilo, un livello di solidità elevato rispetto a quanto evidenziato dalle banche dei paesi europei9. Complessivamente possiamo pertanto concludere affermando che soprattutto per quanto riguarda l’ultimo anno a nostra disposizione (il 2010), le banche dei paesi MENA presentano livelli di efficienza operativa, redditività e patrimonializzazione in linea con quelli delle banche europee (anche considerando l’effetto di una minore dimensione media delle banche dei paesi MENA). Per completare l’analisi sui sistemi bancari dei paesi dell’area MENA è necessario affiancare alle informazioni emerse 8 Per approfondimenti si veda OECD (2012). Per un approfondimento sul calcolo del total capital ratio delle banche islamiche si vedano Porzio e Starita (2012). 9 132 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA sulla solidità delle banche anche i dati concernenti il rischio assunto dalle stesse nello svolgimento dell’attività di intermediazione. In mancanza di informazioni puntuali sul rischio del portafoglio prestiti delle banche, il rischio assunto dalle stesse può essere desunto da: 1) il peso del portafoglio prestiti rispetto al totale dell’attivo (loans to total asset); 2) l’incidenza dei prestiti problematici sul totale dei prestiti erogati a una certa data (non performing loans on gross loans); 3) il livello del tier 1 ratio, vale a dire il rapporto tra le risorse che possono essere usate prontamente per onorare gli impegni nei confronti dei depositanti e la frazione dei prestiti che potenzialmente potrà essere interessata da problemi di recupero (Graf. 6)10. Il rapporto tra prestiti e totale attivo esprime, indirettamente, l’esposizione delle banche ai rischi dell’attività creditizia. Per l’orizzonte temporale 2005-2010 tale rapporto si attesta intorno al 40% per le banche dei paesi dell’area MENA e intorno al 50% per le banche dell’UE. Il dato, considerando il ruolo della finanza islamica in questi paesi, è in linea quello europeo e coerente con una attività finanziaria di tipo tradizionale. L’andamento dei prestiti problematici rispetto al totale dei prestiti concessi risente fortemente dell’andamento del ciclo economico. Sotto questo profilo, le banche dei paesi dell’UE mostrano nell’arco temporale 2005-2010 un trend di crescita dei crediti problematici; al contrario le banche dei paesi dell’area MENA mostrano un andamento altalenante, ma comunque attestato su livelli più alti di quelli delle banche europee. Il tier 1 ratio per le banche dei paesi dell’area MENA supera la soglia del 20% per tutti gli anni oggetto della nostra rilevazione, mentre il tier 1 ratio delle banche europee mostra dei valori intorno al 15%. È ovvio che tale ratio dipenda dal peso dell’attività di intermediazione, e dal peso dei prestiti problematici, ma è evidente che sia per le banche dell’area MENA, che per quelle UE il ratio supera ampiamente la soglia minima fissata dal Nuovo Accordo sul Capitale. È possibile affermare, quindi, che le 1.235 banche dei paesi MENA (come da Tabella 1) e le 15.166 banche dell’UE (come da Tabella 1) risultano essere, in media, patrimonializzate oltre la soglia fissata dalla best practices internazionali nell’orizzonte temporale considerato e, quindi, in grado di fronteggiare il rischio insito nell’attività creditizia. L’esame del rischio assunto dalle banche dei paesi dell’area MENA ha messo in luce come il minor peso dei prestiti e il maggior peso dei crediti problematici rispetto alle banche dell’UE siano compensati da un valore significativo del tier 1 ratio. In sintesi, l’analisi delle caratteristiche distintive dei sistemi bancari dei paesi dell’area MENA ha evidenziato l’esistenza di mercati del credito ancora piuttosto concentrati. Tuttavia, tale limite appare tollerabile se si guarda allo stato di salute dei sistemi bancari di questi paesi. Dall’analisi svolta emerge, infatti, che lo stato di salute delle banche MENA sia sostanzialmente buono sia dal punto di vista dell’efficienza che da quello della redditività e della patrimonializzazione. Tali evidenze, poi, risultano essere irrobustite dalle informazioni sul rischio mediamente assunto dalle banche dei paesi dell’area MENA. 10 Come è noto, il Nuovo Accordo sul Capitale fissa nell’8% la soglia minima del rapporto tra il patrimonio di vigilanza e l’attivo ponderato per il rischio. Si veda BIS (2006). 133 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Andamento dei principali indicatori di bilancio delle banche dell’area MENA. Anni 2005-2010. Loans on totale asset 60,0% 50,0% Middle East and North Africa 40,0% 30,0% 20,0% European Union 10,0% 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Nonperforming loans on gross loans 12,0% 10,0% Middle East and North Africa 8,0% 6,0% 4,0% European Union 2,0% 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Tier 1 ratio 30,0% 25,0% Middle East and North Africa 20,0% 15,0% 10,0% European Union 5,0% 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Graf. 6 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS 3. Analisi della struttura finanziaria della Turchia 3.1 Il sistema finanziario della Turchia L’analisi della struttura finanziaria della Turchia verte sull’esame del sistema finanziario nella sua interezza e sull’approfondimento del ruolo che le banche rivestono al suo interno. Il framework dell’analisi, in altri termini, segue volutamente lo schema 134 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA adottato con riferimento ai paesi dell’area MENA, cui si aggiunge una approfondita appendice relativa al ruolo delle sole banche islamiche (banche di partecipazione, ndr). In particolare, le statistiche sui dati aggregati del sistema finanziario e bancario saranno affiancate dai dati medi relativi all’area MENA e dai dati relativi alla Germania, il paese europeo con il quale la Turchia intrattiene importanti relazioni economiche (cfr. Tab. 6, 7 del Capitolo III all’interno del presente Rapporto). L’analisi del sistema finanziario turco, conseguentemente, poggia sui tre elementi esplicativi della struttura finanziaria dell’economia: 1) numerosità e tipologia degli intermediari in essa operanti; 2) peso della borse attive all’interno del sistema economico; 3) livello di finanziarizzazione e di bancarizzazione. Le prime statistiche sul sistema finanziario turco (cfr. Tab. 3) si riferiscono alla numerosità degli intermediari finanziari operanti in Turchia espressa sia in termini assoluti, che in relazione alla popolazione e alla superficie. Numero, dimensione e tipologie di intermediari finanziari in Turchia. Anno 2010 Type of intermediary Number Number per 1 million of inhabitants Number per 10.000 Km2 Turchia Banks Financial companies Insurance companies Private equity firms Venture Capital firms Hedge fund Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee Total number of financial intermediaries 149 277 102 3 2 0, 160 693 Germania Banks 3.539 Financial companies 204.000 Insurance companies 1668 Private equity firms 423 Venture Capital firms 387 Hedge fund 0 Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee 20.035 Total number of financial intermediaries 230.052 Middle East and North Africa Banks 1.235 Financial companies 8.652 Insurance companies 1.125 Private equity firms 47 Venture Capital firms 96 Hedge funds 2 Mutual funds, pension funds, nominees, trusts and trustee 3.044 Total number of financial intermediaries 14.199 1,99 3,71 1,37 0,04 0,03 0,00 2,147 9,27 1,90 3,54 1,30 0,04 0,03 0,00 2,04 8,84 42,90 2.473,03 20,22 5,13 4,69 0,00 242,88 2.788,85 99,13 5.713,92 46,72 11,85 10,84 0,00 561,17 6.443,62 2,72 19,07 2,48 0,10 0,21 0,00 6,71 31,30 0,98 6,83 0,89 0,04 0,08 0,00 2,4 11,21 Tab. 3 - Fonte: elaborazione su dati ORBIS I dati di Tabella 3, che forniscono indicazioni sulla numerosità dei soggetti operanti all’interno dei circuiti finanziari diretti e indiretti e informazioni preliminari sul grado di finanziarizzazione dell’economia, evidenziano, in Turchia, una presenza di intermediari finanziari (9,27 intermediari per milione di abitanti e 8,84 per 10.000 km2) meno capillare rispetto alla Germania (2.473,03 intermediari per milione di abitanti e 135 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI 5.713,92 per 10.000 km2), ma tendenzialmente in linea con il resto dell’area MENA (31,30 intermediari per milione di abitanti e 11,21 intermediari per 10.000 km2). Focalizzando l’attenzione sulle diverse tipologie di intermediari, le differenze tra il sistema finanziario turco e quello tedesco risultano più accentuate ed emergono aspetti solo in parte comuni agli altri sistemi finanziari dell’area MENA. In particolare dall’analisi dei dati emerge come: i) in Turchia il ruolo assunto da banche, assicurazioni e fondi pensione (tali intermediari rappresentano il 59% del numero complessivo di intermediari finanziari) assume un peso specifico maggiore rispetto al resto dell’area MENA (il 38% del totale degli intermediari finanziari) e soprattutto rispetto alla Germania (l’11% del totale degli intermediari), dove sono operanti un numero molto elevato di società finanziarie (204.000 su 230.052 intermediari); ii) le banche presenti in Turchia sono 1,99 per milione di abitanti, un valore vicino alla media dell’area MENA (2,72), ma decisamente più basso rispetto alla Germania (42,90 per milione di abitanti); (iii) gli intermediari finanziari non tradizionali hanno una presenza marginale sul territorio turco, come nel caso degli operatori di private equity (0,04 operatori di private equity per milione di abitanti in Turchia contro i 5,13 operatori di private equity in Germania) o sono del tutto assenti, come nel caso degli hedge funds. Da questi primi dati emerge l’esistenza di un circuito finanziario non particolarmente sviluppato, in cui le banche pur rivestendo un ruolo importante non sembrano ancora in grado di garantire una presenza diffusa sul territorio come avviene in Germania. Lo scarso sviluppo del canale del private equity, poi, può costituire un ostacolo alla disponibilità di risorse specializzate e di know-how con effetti negativi sulla competitività del tessuto imprenditoriale e sul nanismo aziendale. La seconda tipologia di analisi si riferisce allo spessore del mercato borsistico turco cui le imprese possono fare ricorso per raccogliere risorse finanziarie sotto forma di capitale di rischio (Graf. 7). Il numero di società quotate sull’Istanbul Stock Exchange nel 2010 è di 333, pari a circa un terzo delle società quotate sul Frankfurt Stock Exchange (333/995) e al 15% (333/2.222) delle società quotate in tutta l’area MENA. Il divario tra il mercato turco e il mercato tedesco è molto meno accentuato se si guarda al rapporto tra la capitalizzazione di mercato delle società quotate ed il PIL. Nel 2010 tale indice ha assunto un valore di circa il 38%, non molto distante dal 39,6% fatto registrare dalla Germania. Per quanto il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL presenti una valenza informativa che può essere alterata da fattori contingenti (la crisi finanziaria in primis), è possibile affermare che le dimensioni del mercato borsistico turco sono in linea con lo stadio di sviluppo dell’economia turca e tendenzialmente migliori rispetto a quelle evidenziate dal resto del sistema finanziario. A ciò si aggiunge la constatazione dell’esistenza di un potenziale di crescita inespresso derivante dal fatto che il processo di privatizzazione delle grandi società operanti nel settore delle public utilities è stato avviato solo da pochi anni. A suffragio di tali rilievi si procede all’analisi dell’andamento del rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL per gli anni dal 2006 al 2010 (Graf. 8). 136 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA Numero società quotate e rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL. Anno 2010 46,0% 2.222 public companies 44,0% 42,0% 995 public companies 40,0% 333 public companies 38,0% 36,0% 34,0% Turkey Germany Middle East and North Africa Graf.7 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale Rapporto tra capitalizzazione di Borsa e PIL in Turchia. Anni 2006-2010 60,0% 55,7% 54,0% 50,0% 45,7% 45,6% 40,0% 44,7% 39,4% 35,7% 36,5% 26,7% 30,5% 30,0% 40,0% 37,6% 34,9% 25,1% 23,5% 20,0% 10,0% 0,0% Turkey 2006 2007 Germany Middle East and North Africa 2008 2009 2010 Graf. 8 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale Il peso della capitalizzazione dell’Istanbul Stock Exchange sul PIL turco è pari al 23,5% nel 2006, raggiunge il 40% nel 2007, cade al 25% nel 2008 per riportarsi al 35% nel 2009 e al 40% nel 2010. Al di là dell’evidente sincronismo tra gli andamenti di 137 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI tutte le borse prese in considerazione, la borsa turca mostra, nell’orizzonte temporale considerato, un sentiero di sostanziale sviluppo. Per completare la descrizione del sistema finanziario turco si considerano i livelli di finanziarizzazione e di bancarizzazione (così come definiti nel paragrafo 4.2.1) (Grafico 9). Livello di finanziarizzazione e bancarizzazione dell’economia Turca. Anni 2005-2010 Financialisation Bancarisation Turkey Germany Middle East and North Africa 800% Turkey Germany Middle East and North Africa 600% 700% 500% 600% 400% 500% 400% 300% 300% 200% 200% 100% 100% 0% 0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Graf. 8 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS e Fondo Monetario Internazionale Il sistema finanziario turco mostra nel 2010 un grado di finanziarizzazione (137%) in linea con la media dell’area MENA (164%), ma, comprensibilmente, lontano da quello raggiunto dal sistema finanziario tedesco (700%). Guardando all’intero arco temporale 2005-2010, il grado di finanziarizzazione della Turchia risulta comunque in crescita. Sul fronte della bancarizzazione emerge una situazione analoga: nel 2010 le banche turche gestiscono attivi che pesano per il 123% del PIL. Si tratta di un valore in linea con il 143% degli attivi di tutte le banche dei paesi dell’area MENA, ma ancora lontano dal 527% del PIL delle housebank tedesche. Anche in questo caso, tuttavia, si può notare come, guardando al trend relativo al periodo 2005-2010, il livello di bancarizzazione è in crescita nonostante la flessione del 2008. In sintesi, il sistema finanziario della Turchia presenta molte analogie con quelli dei paesi dell’area MENA in termini di numerosità degli intermediari, peso dei mercati finanziari e livelli di finanziarizzazione e bancarizzazione. Il confronto con la Germania, suo principale partner commerciale, ha permesso, invece, di evidenziare come, pur con l’eccezione del mercato di Borsa, la Turchia presenti una certo ritardo nell’evoluzione del suo sistema finanziario rispetto ai sistemi finanziari europei, sebbene la distanza esistente si sia progressivamente ridotta nel corso degli ultimi anni. 3.2 Il sistema bancario della Turchia Per studiare le caratteristiche del sistema bancario della Turchia si procederà all’analisi dell’attività di intermediazione in termini di: 1) grado di concentrazione; 2) livello di solidità espresso sulla base dell’efficienza operativa, della redditività operativa e netta, della patrimonializzazione; 3) rischio desunto indirettamente dai 138 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA prestiti erogati, dai crediti problematici e dal grado di patrimonializzazione disponibile per far fronte al rischio stesso. Il Grafico 10 mostra il livello di concentrazione relativo al 2010 con riferimento ai primi 10, 20, 50 e 100 istituti bancari della Turchia, della Germania e dei paesi dell’area MENA, mentre il GRAFICO 11 mostra le stesse informazioni ma relative all’intero arco temporale 2005-2010. Grado di concentrazione del sistema bancario in Turchia. Anno 2010 120,0% 100,0% 80,0% 60,0% 40,0% 20,0% 0,0% The 10 largest banks Turkey The 20 largest banks Germany The 50 largest banks The 100 largest banks Middle East and North Africa Graf. 10 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS Nel 2010, le prime 10 banche per totale attivo della Turchia coprivano da sole più dell’80% dell’attivo dell’intero sistema bancario. Si tratta di un dato in evidente contrasto con la media dei paesi dell’area MENA (meno del 30%) e con la Germania (circa 50%)11. Le prime 20 banche turche rappresentano addirittura il 95% circa degli attivi intermediati sul mercato turco. Osservando il trend degli attivi dei primi 10 istituti si comprende come l’elevato grado di concentrazione in Turchia sia frutto anche del lento processo di diffusione della concorrenza all’interno del sistema bancario. Nel 2005, infatti, i primi 10 istituti coprivano il 93% del mercato, mentre nel 2009 il loro peso era sceso all’80% per poi risalire leggermente nel 2010 portandosi all’82%. Tale andamento segue quello medio evidenziato dai paesi dell’area MENA e si contrappone al trend dei principali istituti di credito tedeschi che, dopo aver raggiunto un picco di concentrazione nel 2007 (54%), hanno progressivamente ridotto il livello della loro influenza. 11 È bene sottolineare come il dato sui primi 10 istituti per totale attivo in Germania sia di per se lontano dalla media europea (circa 30%) mostrata nel Grafico 5. 139 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Evoluzione del grado di concentrazione del sistema bancario in Turchia. Anni 2005-2010 The 10 larger banks Turkey 93,2% Germany The 20 larger banks Middle East and North Africa Turkey 100,0% Germany Middle East and North Africa 98,2% 94,2% 82,1% 80,0% 80,0% 66,0% 65,8% 60,0% 50,7% 48,2% 60,0% 45,3% 40,0% 27,8% 20,0% 20,0% 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 0,0% 2005 The 50 larger banks Turkey 100,0% 41,6% 40,0% 30,2% Germany 2006 2007 2008 2009 2010 The 100 larger banks Middle East and North Africa 99,8% 99,8% Turkey 100,0% Germany Middle East and North Africa 100,0% 99,9% 90,0% 80,0% 81,3% 80,2% 70,0% 90,0% 71,1% 88,0% 85,5% 86,9% 83,9% 66,0% 60,0% 80,0% 50,0% 70,0% 40,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Graf. 11 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS Le informazioni sulla solidità del sistema bancario turco sono precedute dai dati sulla dimensione media delle banche (cfr. Tab. 4). Il sistema bancario turco: principali indicatori. Anno 2010 Type of intermediary Total Asset (migliaia di dollari) Cost-Income ratio Net interest margin Roe Total capital ratio Total Asset (migliaia di dollari) Cost-Income ratio Net interest margin Roe Total capital ratio Total Asset (migliaia di dollari) Cost-Income ratio Net interest margin Roe Total capital ratio Mean Median Turkey 13.291.567 1.335.917 59,0% 52,4% 5,6% 4,6% 14,5% 13,9% 28,0% 17,6% Germany 10.038.116 738.636 68,0% 66,7% 2,9% 2,6% 8,8% 7,3% 16,8% 15,5% Middle East and North Africa 9.790.181 1.960.350 52,3% 49,1% 3,5% 3,2% 9,4% 11,6% 24,1% 18,0% Tab. 4 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS 140 Dev. Standard 27.576.372 29,0% 5,0% 11,7% 26,6% 85.035.383 21,9% 13,1% 14,3% 6,1% 26.514.863 71,7% 3,2% 34,0% 18,4% L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA La dimensione media delle banche turche (misurata dal totale dell’attivo), a prescindere dalla loro natura (di cui si dirà più avanti), è di circa 13 miliardi di dollari nel 2010. Tale valore supera sia la media dell’area MENA (circa 10 miliardi di dollari) sia la media tedesca (anch’essa pari a circa 10 miliardi di dollari). Sotto il profilo dell’efficienza, le banche turche mostrano nel 2010 un rapporto tra costi e margine di intermediazione (cost income ratio) che è in media (59,04%) sensibilmente più basso rispetto al valore registrato dalle banche tedesche (67,95%), ma più alto di quello dei paesi dell’area MENA (52,32%). I dati evidenziano il ruolo decisivo giocato nel settore bancario dal costo del lavoro anche per i paesi dell'area MENA. Sotto il profilo della redditività, le banche turche sembrano ottenere risultati migliori (il Net interest margin è in media del 5,60% e il Roe del 14,45%) sia delle banche tedesche (il Net interest margin è in media del 2,90% e il Roe del 8,76%) sia di quelle dell’intera area MENA (il Net interest margin è in media del 3,50% e il Roe del 9,42%). Per quanto riguarda il livello di patrimonializzazione, la media del total capital ratio delle banche turche sfiora il 28% superando anche in questo caso il livello medio dei paesi dell’area MENA (24,10%). Il confronto risulta ancora più favorevole con riferimento sia all’UE (si veda nuovamente la Tab. 2 presente all’interno di tale capitolo) che alla Germania in particolare (16,79%). Per completare il quadro dell’analisi affianchiamo alle considerazioni sulla solidità quelle derivanti dalla valutazione dei dati relativi ai livelli di rischi assunti dalle banche dei diversi paesi considerati (Grafico 12). Il peso del rischio insito nell’attività di intermediazione svolta dalle banche turche è crescente. In particolare, se nel 2005 il peso dei prestiti erogati sull’intera attività di intermediazione superava appena il 30%, negli anni successivi esso si è andato progressivamente attestando su livelli prossimi al 50%. Ciò nonostante, il peso dei crediti problematici risulta contenuto soprattutto se confrontato con quello assunto nei bilanci delle banche dei paesi dell’area MENA. A parità di dimensione media e di prestiti erogati rispetto al totale attivo, il peso dei crediti problematici è per le banche turche circa la metà di quello delle banche dell’area MENA (fatta eccezione per il 2009). Guardando al Tier 1 ratio, vale a dire alle risorse patrimoniali a disposizione delle banche per fronteggiare il rischio dell’attività creditizia, le banche turche, come in media quelle dei paesi dell’area MENA, risultano sufficientemente patrimonializzate. Di contro, la Germania, analogamente al resto dell’UE, mostra valori di Tier 1 ratio più contenuti. In sintesi, il sistema bancario turco appare concentrato nelle mani di pochi grandi intermediari creditizi e sebbene questo possa nuocere al grado di concorrenza presente sul mercato, le banche risultano sostanzialmente solide per il grado di efficienza, di redditività e il livello di patrimonializzazione raggiunto. Anche con riferimento alla rischiosità degli asset il giudizio sul sistema bancario turco risulta positivo in quanto caratterizzato da una bassa incidenza dei crediti problematici. Andamento dei principali indicatori di bilancio delle banche turche. Anni 2005-2010 141 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Loans on total asset 60,0% 50,0% Turkey 40,0% 30,0% Germany 20,0% 10,0% Middle East and North Africa 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2.010,00 Nonperforming loans on gross loans 12,0% 10,0% Turkey 8,0% 6,0% Germany 4,0% 2,0% Middle East and North Africa 0,0% 2005 2006 2007 2008 2009 2.010,00 Tier 1 ratio 45,0% 40,0% 35,0% Turkey 30,0% 25,0% 20,0% Germany 15,0% 10,0% 5,0% Middle East and North Africa 0,0% 2005 2006 2007 2008 Graf. 12 - Fonte: Elaborazione su dati ORBIS 142 2009 2.010,00 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA 3.3 Il ruolo delle banche islamiche (banche di partecipazione) all’interno del sistema bancario della Turchia La genesi delle banche islamiche in Turchia e l’attuale assetto regolamentare e istituzionale La prima banca islamica operante in Turchia fu la DESIYAB (State Bank for Industry and Migrant Investment) costituita nel 1976 con l’intento di raccogliere i risparmi dei turchi emigrati all’estero ed impiegarli in attività coerenti con i precetti della religione islamica. Si trattava, tuttavia, di un’esperienza isolata, maturata in un contesto privo della necessaria struttura giuridica e normativa e in un periodo in cui le banche di deposito, equiparabili per tipologia di attività svolta alle banche commerciali occidentali, rivestivano un ruolo dominante all’interno del sistema bancario turco. Non deve sorprendere, dunque, se a soli due anni dalla sua costituzione, nel 1978, la DESIYAB fu trasformata in banca di deposito. Qualche anno più tardi, con il Decreto 83/7503 del 16 dicembre 1983, il Legislatore cercò di colmare il vuoto normativo introducendo nel sistema finanziario turco la figura della Special Finance House (d’ora in avanti SFH) con il compito di esercitare l’attività bancaria seguendo i canoni della fede islamica. Difatti, la SFH si configurava come l’intermediario autorizzato a esercitare congiuntamente la raccolta dei depositi di tipo non convenzionale (vale a dire non remunerati con il tasso d’interesse e non tutelati dal dal Fondo di garanzia) e la concessione di prestiti attraverso la condivisione dei rischi con i prenditori di fondi e la fornitura di beni e servizi destinati ai prenditori stessi. Le motivazioni sottostanti l’introduzione, all’interno dell’ordinamento giuridico, della SFH possono essere sintetizzate in tre punti: 1) la volontà di attirare una parte rilevante degli ingenti capitali dell’area del Golfo Persico, a forte vocazione islamica, necessari a realizzare il piano delle infrastrutture varato per il definitivo decollo economico e sociale del paese; 2) la necessità di consentire l’accesso al sistema finanziario dei cittadini turchi di fede islamica la cui religione impediva di affidare i propri risparmi e di chiedere finanziamenti alle banche di deposito; 3) l'esigenza di evitare l’istituzione di una tipologia di intermediario che avesse la denominazione di banca islamica per non urtare la suscettibilità del mondo occidentale, in primis l’UE (stando alle relazioni economiche e politiche che di lì a poco si sarebbero intensificate e alla circostanza per la quale la religione islamica, sebbene diffusa nel paese, non fosse religione di Stato). Nel 1985, dopo soli due anni dal varo della legge che istituì e disciplinò le SFHs, furono costituite Al-Baraka-Turk e Faisal Finans, entrambe con capitali provenienti dall’area del Golfo Persico, e successivamente, l’Anadolu Finans nel 1991, la Ihlas Finans nel 1995 e la Asya Finans nel 1996, tutte con capitale turco (almeno all’origine: si veda la Tabella 5 per la genesi e l'attuale assetto delle banche islamiche turche). 143 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Le banche di partecipazione Year of foundation 1985 1985 1989 1991 1995 1996 Original name Al-Baraka-Turk Faisal Finans Kuveyt-Turk Anadolu Finans Ihlas Finans Asya Finans Original ownership Saudi Arabia Saudi Arabia Kuwait Finance House Turkey Turkey Turkey Current name Al-Baraka-Turk Turkiye Finance PB Kuveyt-Turk Turkiye Finance PB Asya Finans Current ownership Saudi Arabia Saudi Arabia Kuwait Finance House National Bank of Saudi Arabia Turkey Tab. 5 - Fonte: Elaborazione a cura degli autori Il contesto in cui vennero istituite le SFHs era, tuttavia, poco favorevole perché caratterizzato dalla presenza dominante delle banche di deposito, che ne ostacolavano lo sviluppo, dall’assenza di una adeguata regolamentazione e di una necessaria vigilanza del sistema finanziario e bancario e, infine, dalla presenza di una classe politica e imprenditoriale inaffidabile come confermato dai comportamenti tenuti nel periodo degli attacchi speculativi alla lira turca12. Tale contesto fortemente instabile favorì la diffusione di fenomeni di “moral hazard” tra i manager delle banche, protesi a perseguire i propri interessi e quelli degli azionisti di controllo. Il risultato fu il fallimento di un elevato numero di istituti di credito turchi. Nell’insieme delle banche fallite o prossime al fallimento rientravano anche due delle SFHs fondate pochi anni prima: l’Ihlas Finans che fallì nel 1999 e la Faisal Finans che cambiò denominazione in "Family Finans" nel 2001 dopo aver sfiorato il fallimento. Le crisi finanziarie che coinvolsero le SFHs svelarono due forti limiti della regolamentazione allora vigente, entrambi derivanti dall'equiparare, nei fatti, le SFHs alle banche di deposito, vale a dire: 1. la mancata tutela dei depositanti delle SFHs che non potevano usufruire della protezione del Fondo di garanzia. 2. l’impossibilità, da parte delle SFHs, di ricorrere ai mercati interbancari per fare provvista di liquidità e di liquidare anticipatamente gli asset sottostanti i contratti di murabaha e di mudaraba. I problemi finanziari che colpirono in quegli anni l’intero sistema bancario turco fecero emergere, da un lato, l’esigenza di far rientrare le SFHs nell’ambito di applicazione della regolamentazione delle banche di deposito, dall’altro, la necessità di rafforzare la vigilanza sul sistema bancario. Si sono susseguite, così, a partire dalla fine degli anni 90’ una serie di riforme legislative culminate nell’emanazione della Legge 5411 del 2005 (anche nota come Banking Act), che ha innovato e sistematizzato la regolamentazione del sistema bancario turco e riconosciuto, definitivamente, lo status di banche alle SFHs. I principali contenuti della Legge 5411, attualmente in vigore, riguardano più in generale: a) la definizione di attività bancaria e l’accesso al suo esercizio; 12 "Banking licenses were granted to the businessman in the political network and later they used banks as a funding mechanism for their group companies and even for their shell companies". Ozkan Gunay e Hortacsu, 2011, p. 15. 144 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA b) le regole prudenziali in termini di partecipazioni detenibili, contenimento e diversificazione del rischio, organizzazione amministrativa e contabile e controlli interni; c) la vigilanza. Per esigenze di sinteticità si riportano in questa sede alcune considerazioni riferite ai punti a) e c). In primo luogo, la Legge 5411 fornisce un elenco tassativo delle operazioni che rientrano nel perimetro dell’attività bancaria: raccolta dei depositi, gestione dei mezzi di pagamento, transazioni in moneta, titoli e strumenti finanziari a termine, servizi d’investimento, factoring, leasing, gestione dei fondi pensione. Vengono, inoltre, elencate le condizioni da rispettare al fine di ottenere l’autorizzazione a operare come banche, in termini di forma giuridica, capitale minimo, programma iniziale d’attività, procedure di controllo interno, onorabilità, indipendenza e professionalità di coloro i quali ricoprono incarichi dirigenziali. Al fine di risultare validamente costituiti, gli istituti bancari in Turchia devono, in particolare, optare per uno dei tre status previsti dalla Legge 541113: 1. Banche di deposito (depository banks) che si occupano dell’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito e che possono svolgere tutte le operazioni bancarie a eccezione di quelle inerenti il leasing. La loro attività, in altri termini, è assimilabile all’attività svolta dalle banche di credito commerciale. 2. Le banche di investimento e di sviluppo (investment and development banks) che si occupano della raccolta presso soggetti istituzionali, anche di emanazione pubblica, non potendo raccogliere depositi tradizionali e di partecipazione, e che investono prevalentemente nelle cosiddette “grandi opere”. 3. Le banche di partecipazione (participation banks) (che saranno analizzate approfonditamente nel successivo sotto paragrafo), che raccolgono il risparmio sotto forma di depositi di partecipazione ed impiegano le risorse proprie e quelle raccolte seguendo gli insegnamenti del profeta Maometto. Seguendo questa classificazione, l’assetto del sistema bancario turco a dicembre 2010 si compone di 49 banche di cui 32 banche di deposito, 13 banche di investimento e sviluppo e 4 banche islamiche14 (come da Tab.6). Le 32 banche di deposito possono essere così suddivise: 17 sono banche estere; 3 sono banche pubbliche; 12 sono banche private. 13 Il Legislatore aggiunge un quarto status, quello delle società di leasing e factoring. Tali intermediari, però, non potendo essere considerati banche, sono regolamentanti dalla legislazione precedente cui si aggiunge il controllo esercitato dalla BDDK (si veda più avanti). 14 Il numero totale di banche in Tabella 6 differisce dal numero totale di banche in Tabella 3 in quanto quest’ultima fa riferimento non solo alle banche di deposito, banche di investimento e sviluppo e banche di partecipazione, ma anche alle banche di investimento. 145 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Il sistema bancario in Turchia. Anno 2010 Banks Depository banks Investment and development banks Participation banks Total Number % 65,3% Total asset (mlsUS $) 445.906,3 32 13 4 49 26,5% 8,2% 100,0% 15.259,3 19.583,1 480.748,7 % 92,8% Loans* (mls US $) 219.367,7 3,2% 4,1% 100,0% 7.434,9 13.856,6 240.659,3 % 91,2% Deposits (mls US $) 283.649,2 % 95,0% Loans to deposits 77,3% 3,1% 5,8% 100,0% 15.032,3 298.681,5 0,0% 5,0% 100,0% 92,2% 80,6% *Leasing receivables, non-performing loans, profit share and income accruals and rediscounts are excluded Tab. 6 - Fonte: elaborazione su dati TKBB (2012) Le banche di deposito rappresentano più della metà delle banche presenti all’interno del sistema bancario turco (65%), ma raccolgono ben il 95% delle risorse destinate al risparmio e impiegano il 91% di tali risorse nell’attività di prestito. Le banche di partecipazione, invece, rappresentano una piccola realtà: il totale attivo di queste banche pesa, infatti, appena per il 4% del totale degli attivi gestiti da tutto il sistema bancario. Vero è che tali banche hanno il più alto rapporto tra prestiti e depositi, pari quasi all’unità (0,92). Per quanto concerne la vigilanza sul sistema bancario, due sono le Autorità amministrative indipendenti responsabili del buon funzionamento del settore: l’Autorità’ di regolazione e controllo (BDDK - Bankacilik Düzenleme ve Denetleme Kurumu – BRSA - Banking Regulation and Supervision Agency) e la TMSF (Tasarruf Mevduati Sigorta Fonu – SDIF – Savings Deposit Insurance Fund). La BDDK, istituita nel 2000, ha il potere di regolare, controllare e sanzionare le banche. L'Autorità, infatti, approva capitale minimo, business plan, governance, qualifiche dei dirigenti e del personale15. La BDDK fornisce, inoltre, parere di conformità in caso di modifiche dello statuto delle banche, del capitale sociale, dell’azionariato (che riguardino almeno il 10% del totale detenuto), di atti di fusione e scioglimento volontario. Nella funzione di controllo e supervisione degli istituti bancari è previsto anche l’invio di un osservatore presso l’Assemblea generale degli azionisti di una banca, mentre nell'ambito del suo potere sanzionatorio rientra anche ritiro dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività bancaria e il trasferimento per la procedura di liquidazione o l'amministrazione straordinaria alla TMSF. La TMSF, invece, funge da organo di assicurazione dei depositi ed é dotata di risorse proprie. In particolare, la Legge 5411 all’art. 63 stabilisce il principio della copertura dei depositi bancari delle persone fisiche ad eccezione degli azionisti e dei quadri dirigenti. Tale copertura ha un limite di 50.000 lire turche per ciascun deposito. Al fine di svolgere la sua funzione il TMSF dispone di una serie di risorse elencate all’art.130 della stessa Legge: gli istituti bancari, ad esempio, sono obbligati a versare il 10% del loro capitale minimo al TMSF. 15 La BDDK fornisce l’autorizzazione a esercitare l'attività bancaria dopo sei mesi dalla richiesta e durante tale periodo va raccolto il capitale, vanno pagati i diritti di entrata al TMSF, ecc.. 146 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA Il ruolo delle banche islamiche nel sistema bancario turco Al fine di meglio comprendere l'assetto del sistema bancario turco e il ruolo che in esso rivestono le banche di partecipazione si procederà, ora, all'esame delle caratteristiche del sistema bancario islamic-oriented attraverso l’analisi degli impieghi, della raccolta, e delle principali informazioni sull'economicità delle sole banche di partecipazione. Si è scelto di far riferimento ai bilanci non consolidati al fine di non tenere in considerazione le azioni sulle voci di bilancio tese a rispettare il perimetro di consolidamento e le norme sul bilancio consolidato. Gli impieghi delle banche di partecipazione La Tabella 7 illustra il valore assoluto degli impieghi dal 2002 al 2010 e il tasso di crescita degli stessi, distinguendo le banche di deposito (DBs) dalle banche di partecipazione (PBs) in modo da evidenziare il grado di vitalità assoluto e relativo delle PBs rispetto al resto del mondo bancario turco. Gli impieghi delle banche di deposito e delle banche di partecipazione. Anni 2002-2011. Milioni di dollari Year 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 DBs 114.619,0 134.848,1 166.005,8 215.298,9 263.802,6 307.199,5 387.111,1 441.252,9 532.630,7 642.148,1 Rate of growth (%) 17,6 23,1 29,7 22,5 16,5 26,0 14,0 20,7 20,6 PBs 2.096,3 2.705,3 3.861,9 5.261,9 7.264,6 10.283,1 13.634,4 17.792,6 22.930,7 28.359,8 Rate of growth (%) 29,1 42,8 36,3 38,1 41,6 32,6 30,5 28,9 23,7 % PBs 1,8 2,0 2,3 2,4 2,8 3,3 3,5 4,0 4,3 4,4 Tab. 7 - Fonte: TKBB (2011) and Asutay M. (2012) In ogni anno del confronto il tasso di crescita degli impieghi delle PBs supera il tasso di crescita delle DBs, anche nel 2009, anno in cui anche il sistema finanziario turco ha risentito maggiormente degli effetti congiunturali della crisi finanziaria mondiale. Tuttavia, considerando l'incidenza degli impieghi delle PBs sugli impieghi delle DBs, ci si accorge di come le PBs rappresentano solo una nicchia del mercato del credito in Turchia. Di fatto tale categoria di banche riveste, al momento, un ruolo marginale soprattutto in relazione al dinamismo e al fabbisogno di credito della giovane economia turca (le proiezioni al 2013 di Intesa Sanpaolo parlano di un tasso di crescita reale del PIL del 4% – cfr. Tabella 2 del Capitolo III). Se si considerano gli impieghi (cash loans) distinti in base al settore di appartenenza delle imprese affidate (Tabella 8), ci si accorge di come manifatturiero e servizi rappresentino i settori di maggiore concentrazione del credito per le PBs nel 2011 (Aydin et al., 2006). 147 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Distribuzione degli impieghi per settore. Anno 2011 Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Agriculture 1,2% 2,0% 2,1% 1,7% Manifacturing 42,8% 36,9% 25,8% 25,0% Construction 27,4% 20,8% 14,3% 11,2% Services 20,1% 15,3% 31,7% 38,3% Other 8,5% 25,0% 26,1% 23,8% Tab. 8 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Marginale, nei piani di crescita delle PBs, appare, invece, il ruolo del settore agricolo. Se si considerano, invece, gli impieghi verso soggetti privati (Tabella 9) distinti per finalità di utilizzo del credito, ci si accorge di come il mutuo immobiliare rappresenti la principale richiesta di finanziamento. Distribuzione degli impieghi verso il settore privato. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Real estate loans 445.211,1 794.029,6 772.073,0 598.323,8 Auto loans 16.838,1 56.285,2 58.479,4 85.269,8 General purpose consumer loans 2.338,6 4.455,0 5.447,1 8.595,2 Other 28.931,7 654,0 361,4 0,0 Tab. 9 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Si tratta di un’area di business importante per le PSs, destinata ad aumentare nel corso dei prossimi anni, basti solo guardare alle stime sulla crescita della popolazione turca (cfr. Tabella 2 del Capitolo 3 del presente Rapporto) e all'incremento della popolazione urbana. Altra forma di impiego importante verso i privati è il prestito per l'acquisto dell'auto. Si tratta, infatti, di una delle prime forme di credito (car financing) che possono essere considerate sic et simpliciter coerenti con il credo islamico per via dello stretto legame tra l'oggetto del finanziamento e il finanziamento stesso (Miglietta e Starita, 2009). Differentemente da una “finanziaria”, che in occidente eroga il finanziamento, la PB è il diretto fornitore delle autovetture. Nel 2011 il 68% del portafoglio prestiti delle quattro PBs è risultato concentrato su forme di prestito a media e lunga scadenza (Tabella 10). Scadenza degli impieghi. Anno 2011 Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Total Short-term 36,2% 29,8% 31,9% 29,5% 31,9% Medium and long-term 63,8% 70,2% 68,1% 70,5% 68,1% Tab. 10 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Interessanti risultano i dati sugli investimenti effettuati in base al principio del PLS (Tabella 11) e il dato dell'incidenza dei crediti problematici (loans on close monitoring) sul totale degli impieghi (Tabella 12). In particolare, l'incidenza dei prestiti secondo il principio del PLS risulta del tutto marginale o assente. 148 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA Gli investimenti secondo il principio del PLS. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Total loans 3.674.014,3 6.309.437,0 5.207.872,0 5.325.629,1 PLS investments 47.437,0 4.033,3 0,0 0,0 % PLS investments 1,3% 0,1% - Tab. 11 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) I prestiti problematici. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Average Loans 3.674.014,3 6.309.437,0 5.207.872,0 5.325.629,1 5.129.238,1 Non-performing loans (NPL) 162.893,7 486.133,9 203.792,1 108.710,6 240.382,5 % of NPL 4,4% 7,7% 3,9% 2,0% 4,7% Tab. 12 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) La percentuale di crediti problematici risulta, in media, di poco inferiore al 5% nell'anno 2011 denotando, a prima vista, un basso livello di rischiosità degli impieghi. Sebbene non si disponga della stessa tipologia di informazione con riferimento alle DBs, si può sicuramente affermare che si tratta di un valore particolarmente contenuto se paragonato a quello delle banche commerciali di analoghe dimensioni che operano nel sistema finanziario europeo. La scarsa incidenza di crediti problematici può essere imputata alle "caratteristiche" religiose delle PBs e delle loro imprese clienti e, quindi, al tipo di condotta ispirata al rispetto degli insegnamenti di Maometto che li caratterizza (Porzio, 2009; Porzio e Starita, 2012). Sotto il profilo degli impieghi, quindi, le PBs appaiono come banche molto dinamiche, con una buona qualità dell'attivo, ma con una dimensione ancora di nicchia. Per poter trarre un giudizio complessivo sull'attività delle PBs è necessario prendere in considerazione anche le caratteristiche della raccolta. La raccolta delle banche di partecipazione La Tabella 13 mostra il valore assoluto della raccolta negli anni che vanno dal 2002 al 2010 e, contemporaneamente, i tassi di crescita della stessa distinguendo tra banche di deposito (BDs) e banche di partecipazione (PBs). Si evidenzia, così, indirettamente anche la capacità di attrazione del risparmio di questa particolare categoria di banche rispetto al resto del mondo bancario turco. Dal confronto dei dati emerge come il tasso di crescita della raccolta delle PBs sia superiore a quello delle DBs (spesso con più di dieci punti di scarto). Se, però, si procede a relativizzare i dati sulla raccolta ci si accorge di come la capacità di attrazione del risparmio da parte delle PBs sia ancora limitata. Nel 2011 l'incidenza della raccolta di tutte le PBs sulla raccolta delle DBs è inferiore al 6%. Ne consegue che la capacità di canalizzare il risparmio religioso interno verso forme islamiccompliant, che rappresentava l’intento del Legislatore con l’istituzione delle SFHs, risulta ancora modesta. 149 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Si consideri ora la sola raccolta in valuta locale, escludendo quella in valuta estera, per verificare la capacità delle PBs di raccogliere e convogliare il risparmio in impieghi verso le imprese turche. Si noti anche che l’attività di raccolta oggetto di analisi è solo quella svolta nei confronti di persone fisiche escludendo i soggetti giuridici per non tener conto di investitori "speculativi" ma solo di investitori "pazienti" (Starita, 2009). I depositi correnti raccolti da persone fisiche in lira turca, depositi non remunerati che implicano un obbligo di restituzione a vista, rappresentano meno del 10% della raccolta complessiva di tutte le PBs (Tabella 14), mentre i depositi di partecipazione dello stesso tipo, vale a dire da persone fisiche in lira turca, coprono una quota di circa il 40%. I depositi delle banche di deposito e delle banche di partecipazione. Anni 20022011. Dati in milioni di dollari Year 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 DBs 77.033,9 87.260,8 107.611,6 138.596,8 171.465,1 196.786,8 250.103,2 276.410,1 333.925,4 361.739,7 Rate of growth (%) 13,3 23,3 28,8 23,7 14,8 27,1 10,5 20,8 8,3 PBs 1.696,3 2.175,1 3.170,4 4.428,0 5.945,5 7.906,3 10.164,0 14.201,6 17.898,4 19.539,2 Rate of growth (%) 28,2 45,8 39,7 34,3 33,0 28,6 39,7 26,0 9,2 % PBs 2,2 2,5 2,9 3,2 3,5 4,0 4,1 5,1 5,4 5,4 Tab. 13 - Fonte: TKBB (2011) and Asutay M. (2012) La raccolta. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Total Funds collected Demand deposits Participation deposits 4.256.479,9 6.559.282,0 5.247.792,1 5.031.304,2 21.094.858,2 135.910,1 296.641,3 277.344,4 284.464,0 994.359,8 1.590.469,8 2.619.895,8 1.781.416,9 2.231.358,7 8.223.141,3 % Demand deposits 3,2 4,5 5,3 5,7 4,7 % Participation Deposits 37,4 39,9 33,9 44,3 39,0 Tab. 14 - Fonte: elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Il resto della raccolta è rappresentato, prevalentemente, da valuta estera e fondi speciali. Ai fini di una corretta interpretazione della capacità di trasformazione delle risorse finanziarie da parte delle PBs si ricorda che i depositi di partecipazione non prevedono alcun obbligo di remunerazione né di restituzione, ma semplicemente un concorso nella distribuzione dei profitti e il sostenimento delle commissioni a vantaggio della PB anche in caso di perdita (Gimigliano e Rotondo, 2008; Miglietta e Starita, 2009). A tale proposito, però, è necessario evidenziare la portata dell'attività di accantonamento: perché se è vero che le PBs non hanno obblighi di rendimento predeterminato nei confronti dei titolari di depositi di partecipazione, è vero pure che esse pongono in essere un'azione di smoothing dei rendimenti attraverso la costituzione della cosiddetta Profit Equalization Reserve - PER (Porzio, 2009; Porzio e Starita, 2012). Tale azione, infatti, è volta ad accantonare risorse finanziarie negli anni in cui il 150 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA rendimento supera quello delle DBs e a utilizzare tali accantonamenti negli anni in cui il rendimento risulta essere non in linea con quello delle DBs. Lo scopo di tale azione è semplice: scongiurare il rischio di allontanamento dei depositanti (displaced commercial risk) semplicemente per via del confronto tra i rendimenti effettivi riconosciuti dalle PBs e quelli assicurati dalle DBs. E' bene ricordare che l'azione di smoothing in parte sacrifica gli interessi degli azionisti della banca perché l'accantonamento viene prelevato dal rendimento della gestione dei depositi di partecipazione prima del riconoscimento della commissione di gestione alla PB. Gli azionisti delle PBs, d'altra parte, accantonano una frazione delle commissioni di gestione dei depositi di partecipazione per far fronte ad eventuali perdite sugli investimenti (si tratta della cosiddetta Investment Risk Reserve - IRR) (Porzio, 2009; Asutay, 2012; Porzio e Starita, 2012). L'attività di accantonamento volta a smussare i rendimenti, almeno per il 2011, è sostanzialmente equivalente per le quattro PBs (Tabella 15), soprattutto se si considera il valore della raccolta sotto forma di depositi di partecipazione (da persone fisiche in valuta locale). L'accantonamento a riserva PER e IRR. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye PER amoritization 18.365,6 25.348,1 16.772,0 19.407,4 IRR amortization 11.888,9 26.918,0 31.847,1 22.286,2 Participation deposits 1.590.469,8 2.619.895,8 1.781.416,9 2.231.358,7 PER amortization on participation deposits 1,2% 1,0% 0,9% 0,9% Tab. 15 - Fonte: Elaborazione su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Diverso, invece, è il valore dell'attività di accantonamento che incide direttamente sul rendimento riconosciuto agli azionisti: Kuveyt accantona molto di più rispetto alle altre tre PBs in previsione di future perdite sul portafoglio impieghi. Sotto il profilo della patrimonializzazione le quattro PBs presentano buoni risultati (Tabella 16): mediamente, infatti, il patrimonio netto rappresenta circa l'11% del totale delle passività. Equity e capitale versato. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Equity 531.349,7 1.130.913,2 760.834,9 853.787,8 Paid-in capital 285.185,2 476.190,5 502.645,5 423.280,4 Total liabilities 5.534.859,8 9.095.290,5 7.882.323,8 7.157.858,7 average Equity/total liabilities 9,6% 12,4% 9,7% 11,9% 10,9% Paid-in capital/total liabilities 5,2% 5,2% 6,4% 5,9% IRR amortization 11.888,9 26.918,0 31.847,1 22.286,2 average IRR amortization on paid-in capital 4,2% 5,7% 6,3% 5,3% 5,4% Tab. 16 - Fonte: Elaborazioni su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Sotto il profilo della raccolta e degli impieghi, quindi, le PBs appaiono come banche in crescita con una buona patrimonializzazione, ma ancora bisognose di risorse per crescere e finanziare le imprese turche. 151 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Al fine di analizzare l'impatto delle PBs sul sistema economico della Turchia si utilizza il rapporto tra prestiti e depositi. La Tabella 17 mostra come in ogni anno del periodo di osservazione (2002-2010) l'indicatore delle PBs supera sistematicamente quello calcolato per le DBs. Rapporto tra prestiti e depositi. Anni 2002-2010. Year 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 All banks 38% 44% 53% 61% 70% 79% 81% 80% 89% PBs 66% 73% 82% 89% 93% 103% 103% 93% 95% Tab. 17 - Fonte: Fonte: TKBB (2011) and Asutay M. (2012) In particolare negli anni 2007 e 2008 il rapporto tra prestiti e depositi supera il 100% a testimonianza della capacità delle PBs di veicolare il risparmio verso l'economia reale. La redditività delle banche di partecipazione Per completare l'analisi sul mondo delle banche islamiche è necessario soffermarsi per valutare anche i risultati ottenuti in termini di redditività. La Tabella 18 mostra il "margine di interesse" delle PBs. Il “margine di interesse”. Anno 2011. Dati in migliaia di dollari Participation bank Al-Baraka Asya Kuveyt Turkiye Profit share income 358.261,9 566.662,4 473.137,6 489.169,3 Profit share expense 148.808,5 256.809,5 157.758,2 194.914,8 Specific provision for loans 30.707,9 90.093,7 55.740,7 34.088,4 Net profit share (NPS) income 209.453,4 309.852,9 315.379,4 294.254,5 average % specific provision for loans on NPS income 14,7% 29,1% 17,7% 11,6% 18,2% Tab. 18 - Fonte:: Elaborazioni su bilanci annuali delle banche di partecipazione (2011) Gli "interessi" attivi derivano prevalentemente dalla quota di profitto (profit share) della banca sui prestiti, mentre gran parte degli "interessi" passivi nascono dai costi relativi ai depositi di partecipazione (Porzio, 2009; Porzio e Starita, 2012). Interessante è anche il dato sull'assorbimento del "margine di interesse" imputabile al "fondo rischi su crediti". Ricordando la scarsa incidenza degli impieghi problematici (meno del 5% in media), l'accantonamento al "fondo rischi su crediti" ha carattere fortemente prudenziale (18% circa del "margine di interesse" in media), soprattutto se si considera il valore degli accantonamenti per lo smoothing dei rendimenti dei depositi di partecipazione (PER) e per le eventuali perdite sugli investimenti (IRR). Anche sotto il profilo reddituale, quindi, le PBs appaiono come banche solide caratterizzate da una importante attività di accantonamento. 152 L'ANALISI DEI SISTEMI FINANZIARI DELL'AREA MENA E IL RUOLO DELLE BANCHE ISLAMICHE IN TURCHIA 4. Considerazioni conclusive La letteratura economica e finanziaria ha discusso ampiamente sul nesso esistente tra crescita economica e struttura finanziaria16 pervenendo spesso alla conclusione che la presenza di istituzioni finanziarie dinamiche ed evolute fosse in grado di assecondare l’evoluzione del sistema economico. Adeguando prontamente l’offerta di credito alle esigenze dell’economia e svolgendo una importante opera di selezione delle imprese e dei progetti da finanziare, gli intermediari possono incrementare in maniera significativa lo sviluppo e l’efficienza di un sistema industriale. Al contrario, la presenza di carenze o imperfezioni nell’apparato di intermediazione può ostacolare una crescita equilibrata del sistema reale 17. L’analisi della struttura finanziaria dei paesi dell’area MENA ha permesso di evidenziare come con il loro recente sviluppo tali strutture hanno contribuito positivamente alla crescita dei rispettivi sistemi economici. Permangono, tuttavia, spazi importanti di miglioramento ed elementi di inefficienza che se non rimossi, potrebbero condizionare negativamente la progressiva attenuazione del gap economico attualmente esistente con i paesi occidentali. Tra i fattori positivi a supporto dello sviluppo, quindi, è necessario ricordare: 1) il trend di crescita dei mercati di borsa; 2) la solidità delle banche dei paesi MENA e della Turchia in particolare; 3) e la presenza di banche islamiche in Turchia. La crescita dei mercati di borsa in termini di capitalizzazione e numerosità di società quotate offre, infatti, maggiori alternative alle imprese in termini di opportunità di raccolta di capitale di rischio e di visibilità nei confronti di investitori caratterizzati da ottiche di investimento di medio-lungo termine. Inoltre, i mercati dei paesi dell’area MENA e della Turchia potrebbero risentire positivamente del processo di privatizzazione che interesserà i settori strategici dell’economia, tra cui il settore delle public utilities. La capacità delle banche dei paesi dell’area MENA e della Turchia di supportare positivamente la crescita economica deriva anche dal fatto che esse: i) agiscono sulla leva dei costi per aumentare il livello di efficienza operativa; ii) sono redditizie a livello sia di gestione operativa sia di gestione complessiva; iii) accantonano risorse patrimoniali oltre la soglia ritenuta sufficiente per far fronte ad andamenti imprevisti nella gestione del portafoglio prestiti. A loro volta, le banche islamiche, e, nella fattispecie, le banche di partecipazione operanti in Turchia, possono assecondare lo sviluppo dei sistemi economici grazie 16 Il tema del rapporto tra sviluppo economico e struttura finanziaria è stato a lungo oggetto di dibattito tra studiosi di diversa estrazione e impostazione teorico-metodologica. Non si è ancora riusciti a dare una risposta soddisfacente, sotto il profilo teorico e storico-empirico, alla questione di fondo se lo sviluppo finanziario segua o preceda la crescita delle componenti reali, ovvero quale sia il legame di causa ed effetto tra struttura finanziaria ed economia reale (per una rassegna della letteratura si veda Sampagnaro G., “Variabili reali e Variabili finanziarie”, in “Banche, Territorio, Sviluppo economico: il caso del Mezzogiorno” (a cura di Porzio C.), Quaderni di ricerca CNR, IRAT, n. 38, 2006). 17 Tuttavia, se elevati livelli di finanziarizzazione da un lato denotano il conseguimento di un’elevata efficienza allocativa, dall’altro possono essere interpretati come l’effetto di un eccessivo utilizzo della leva finanziaria da parte, di imprese, famiglie, Governi e Enti pubblici. 153 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI all’offerta di servizi simili ai servizi di “assistenza” svolti dagli operatori di private equity e, più in generale, grazie alla disponibilità di risorse finanziarie a titolo di capitale di rischio. Dall’analisi svolta, però, sono emersi anche fattori in grado di ostacolare lo sviluppo dei sistemi economici di questi paesi. In particolare, il riferimento è ai livelli di finanziarizzazione e di bancarizzazione di questi paesi e al grado di concentrazione dei relativi sistemi bancari. L’esame dei livelli di finanziarizzazione e di bancarizzazione dei paesi dell’area MENA e della Turchia, con i quali valutare la capacità di intermediare risorse finanziarie tra le unità in surplus e quelle in deficit di un Paese, ha evidenziato un notevole ritardo rispetto ai paesi occidentali considerati (UE e Germania). Il grado di concentrazione dei sistemi bancari rappresenta, poi, uno dei fattori più problematici presenti all’interno dell’area MENA e soprattutto in Turchia. La presenza di poche (le prime dieci) grandi banche che hanno in mano più del 30% del mercato del credito, o, come nel caso della Turchia, percentuali addirittura superiori 80% del mercato, ostacola il dispiegarsi della pressione competitiva e rende più difficoltoso l’ingresso degli operatori stranieri nonostante le politiche di liberalizzazione intraprese da molti paesi dell’area (Turchia in primis). Pur non esistendo nel settore finanziario la certezza che livelli di competizione crescenti generino crescenti livelli di efficienza, è molto probabile che la scarsa contendibilità dei sistemi bancari di tali economie produca effetti negativi su qualità e costo di prodotti e servizi bancari. 154 CAPITOLO V LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI E IN PARTICOLARE CON L’ITALIA. SITUAZIONE E PROSPETTIVE 1. I Fondi Sovrani: un veicolo di investimento pubblico in piena crescita I fondi sovrani o FoS sono fondi definibili come veicoli di investimento pubblico posseduti e controllati dai governi dei relativi Paesi. Questo tipo di fondi è nato storicamente in quei Paesi che possono vantare importanti giacimenti di materie prime da esportare (tipicamente commodity, come petrolio o gas) o eccedenze della bilancia commerciale derivanti dal settore manifatturiero (come nei casi di Cina e Singapore) o ancora proventi ricavati dalle dismissioni di asset pubblici. Possono assumere la forma di fondi, di riserve o di vere e proprie società di investimento e si possono prefiggere una o più mission che solitamente comprendono: un’azione di stabilizzazione delle entrate pubbliche o del prezzo di beni strategici; accantonamenti per investimenti futuri o a vantaggio dei sistemi pensionistici. Recentemente si sono sviluppati con sempre maggiore frequenza fondi che agiscono come strumenti di programmazione economica, tesi ad aumentarne la competitività o diversificare il tessuto economico-produttivo di uno Stato. Un altro genere di recente sviluppo è il fondo di investimento teso a generare utili da destinare alle varie poste del bilancio pubblico. Il successo dell’istituto dei Fondi Sovrani è certificato dal numero crescente di stati che se ne stanno dotando. Una prima accelerazione si è avuta negli anni Novanta, quando agli storici quattordici fondi se ne sono aggiunti un’altra decina, per poi crescere ulteriormente nello scorso decennio ed arrivare agli attuali 62 fondi censiti dal SWF Institute. L’instabilità economica provocata dalla crisi internazionale ha spinto molti governi a dotarsi di questo strumento che completa il ventaglio delle leve a disposizione dei governi nel campo delle politiche economiche-monetarie. Il 2011 ha visto la nascita di 4 fondi nazionali (più uno nel Nord Dakota): uno Nigeriano alimentato dai proventi del petrolio, due asiatici in Papua Nuova Guinea e in Mongolia e quello Italiano per l’investimento in imprese di “rilevante interesse nazionale”1. 1 http://www.fondostrategico.it/ 155 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Scomposizione dei fondi sovrani per anno di costituzione. Confronto fra i primi sessanta FoS al mondo e l’area MENA, 2011 2006 - 2011 38% Pre - 1990 23% Pre - 1990 22% 2006 - 2011 44% 1990 - 1999 16% 2000 - 2005 23% 1990 - 1999 6% 2000 - 2005 28% Graf. 1 Fonte: SWF Institute Nel giugno del 2012 il capitale gestito dai primi sessantadue FoS superava i cinque mila miliardi di dollari2. Questo valore è in significativa crescita dal autunno del 2007 (+53,7%), con un unico periodo di flessione dalla fine del 2008 al primo trimestre del 2009, allorquando il valore del capitale complessivo è sceso da 4.140 a 3.750 miliardi di dollari, con una flessione di poco inferiore ai dieci punti percentuali (-9,4%). Dopo questo rallentamento il totale delle risorse gestite dai FoS è cresciuto ininterrottamente per ben 12 trimestri, con la sola eccezione dell’ultimo trimestre del 2011 in cui la perdita del valore complessivo è stata dello 0,4%. Per renderci conto dell’importanza di questo risultato, basti pensare che mentre nel 2011 il valore degli asset in capo ai FoS cresceva di quasi 10 punti percentuali quello riconducibile alle banche si contraeva del 4%3. Concentrandoci ora sull’oggetto della nostra analisi, i FoS presenti nell’area MENA4. Quest’area è stata la maggior protagonista della nascita e dello sviluppo di questi veicoli di investimento, con ben quattro di essi attivi da prima degli anni Novanta e presenta la più alta concentrazione di FoS al Mondo. Più della metà dei Paesi MENA (undici su venti5) ne possiede almeno uno. I Paesi dell’area che si sono già dotati di questo strumento sono: l’Algeria, l’Arabia Saudita, il Bahrain, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iran, il Kuwait, la Libia, la Mauritania, l’Oman, il Qatar e la Siria. A questi si può aggiungere la Palestina. Sono fondi con alcune caratteristiche comini. Ad esempio, quasi la totalità di essi ha accumulato eccedenze monetarie grazie ai giacimenti di idrocarburi presenti nei relativi 2 Il dato riportato nel Graf. 2 ha come fonte l’SWF Institute ed è la somma dei 58 valori disponibili. Cinque fra i 62 fondi censiti non rendono pubblico il dato. 3 Fonte: UNCTAD e BIS. 4 Acronimo di Middle East and North Africa, che comprende i quei Paesi che si affacciano sulla parte sud del Mediterraneo e del Medio Oriente: dalla Mauritania alla Siria, tutta la Penisola arabica, Iraq e l’Iran. La lista dei Paesi MENA come da elenco ufficiale del Fondo Monetario Internazionale comprende: Algeria, Bahrain, Djibouti, Egitto, Repubblica Islamica dell’Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Morocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Tunisia, Emirati Arabi Uniti e lo Yemen. 5 Considerando i Paesi che fanno parte dell’UAE (gli Emirati Arabi Uniti) come un’unica entità. 156 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI territori. Sono quindi cosiddetti fondi commodity, i cui proventi derivano dall’esportazione (o dai diritti di estrazione) del petrolio e in due casi (Oman e Mauritania) anche del gas. Gli unici fondi non-commodity sono quelli del Bahrain e quello Palestinese6. Totale del valore del capitale gestito dai maggiori Fondi Sovrani mondiali. Evoluzione storica e tasso di crescita tendenziale, 2008 – 2012 (migliaia di miliardi di dollari) 5,10 8,0% 4,90 6,0% 4,0% 4,70 2,0% 4,50 0,0% 4,30 -2,0% 4,10 -4,0% 3,90 -6,0% 3,70 -8,0% 3,50 3,30 Sep - 08 Total 4,05 Growth rate 3,5% -10,0% Dec - Mar - Jun 08 09 09 4,14 3,75 3,79 2,1% -9,4% 1,1% Sep 09 3,91 3,3% Dec 09 4,02 2,8% Mar 10 4,05 0,7% Jun 10 4,11 1,4% Sep 10 4,15 1,1% Dec - Mar 10 11 4,41 4,55 6,1% 3,3% Jun 11 4,73 4,0% Sep - Dec - Mar 11 11 12 4,85 4,83 5,00 2,5% -0,4% 3,4% Jun 12 5,02 0,5% -12,0% Graf. 2 - Fonte: SWF Institute I sedici FoS dell’area MENA di cui conosciamo il valore del capitale gestito al luglio del 2012 cumulavano più di 1.900 miliardi di dollari, 300 milioni di dollari in più rispetto all’anno prima. Una crescita che in termini percentuali equivale a un +19%, superiore al dato aggregato mondiale, pari ad un +11%7. Dopo alcuni rallentamenti (quando non perdite) subite fra il 2010 ed il 2011, a causa del deprezzamento di asset legati al mondo della finanza acquistati durante la crisi o per l’impegno nel salvataggio di banche ed altre aziende nazionali, l’area MENA è ritornata a crescere. I FoS dell’area MENA gestiscono il 37,7% del totale del valore dei beni attribuiti ai FoS mondiali. Lo stesso dato lo scorso anno si fermava al 37,0%. Un aumento avvenuto ai danni sia dell’Europa, che del resto dell’Asia. Dinamiche virtuose si registrano anche a 6 Il SWF classifica il fondo palestinese come non-commodity, ma bisogna tenere conto che uno dei suoi principali progetti prevede l’estrazione di gas naturale dai fondali marini antistanti la striscia di Gaza. 7 Il periodo considerato va dal giugno 2011 al giugno 2012. 157 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI livello di dati disaggregati per Paese: fra i primi venti FoS al mondo, ben 9 sono MENA (rispetto ai sette dello scorso anno). Elenco dei principali Fondi Sovrani nell’area MENA, al luglio 2012 Paese 1 UAE – Abu Dhabi 2 Arabia Saudita 3 Kuwait 4 Qatar 5 UAE – Dubai 6 UAE – Abu Dhabi 7 Libia 8 Algeria 9 UAE – Abu Dhabi 10 Iran 11 Bahrain 12 Oman 13 15 Arabia Saudita UAE – Ras Al Khaimah Palestina 16 Mauritania 17 UAE – Federal 14 18 UAE – Abu Dhabi 19 Oman Dotazione del fondo al luglio 2012 (in miliardi di dollari) Data di fondazione Posizione nel Rank mondiale (2012) 627 627 1976 1 415,0 532,8 n/a 4 202,8 296 1953 6 65,0 100 2005 12 19,6 70 2006 14 14 65,3 1984 15 133 65 2006 16 54,8 56,7 2000 18 24,4 48,2 2002 19 Dotazione del fondo al giugno 2011 (in miliardi di dollari) Denominazione Fondo Abu Dhabi Investment Authority SAMA Foreign Holdings Kuwait Investment Authority Qatar Investment Authority Investment Corporation of Dubai International Petroleum Investment Company Libyan Investment Authority Revenue Regulation Fund Mubadala Development Company Oil Stabilisation Fund Mumtalakat Holding Company State General Reserve Fund 23 23 1999 28 9,1 9,1 2006 35 8,2 8,2 1980 36 Public Investment Fund 5,3 5,3 2008 40 RAK Investment Authority 1,2 1,2 2005 47 Palestine Investment Fund National Fund for Hydrocarbon Reserves Emirates Investment Authority Abu Dhabi Investment Council Oman Investment Fund nd 0,8 2003 49 0,3 0,3 2006 55 nd nd 2007 nd nd nd 2007 nd nd nd 2006 nd Tab. 1 - Fonte: elaborazioni Step Ricerche su SWF Institute e altre fonti Scomposizione percentuale della capitalizzazione dei Fondi Sovrani per area geografica di appartenenza, confronto 2011 – 2012 Americhe 2,4% Oceania 1,9% Americhe 2,9% 2011 Resto Africa 0,2% Resto Africa 0,1% Europa 15,8% Europa 16,3% MENA 37,7% MENA 36,9% Resto Asia 42,4% Resto Asia 41,5% Graf.3 - Fonte: elaborazioni Step Ricerche su dati SWF Institute e altre fonti 158 2012 Oceania 1,9% LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI Per avere un’idea dell’importanza dei FoS nel panorama economico-finanziario mondiale è bene confrontare il loro potenziale con quello di altre istituzioni come banche, assicurazioni, fondi pensione ecc. Per dimensione totale i FoS fanno sicuramente parte dei maggiori aggregati monetari mondiali. Valgono circa il triplo degli hedge funds, pesano fra il 17 ed il 23% degli asset gestiti dai fondi pensione o dalle compagnie di assicurazione internazionali. Una delle loro caratteristiche peculiari è poi quella di concentrare il loro patrimonio nelle mani di un ristretto numero di soggetti: i primi dieci FoS amministrano capitali per quasi 4mila miliardi di dollari (paro al 78% del totale). Anche rispetto al totale dei veicoli di investimento sovrani del 2011 (stimati dal rapporto di CityUK in poco più di 20mila miliardi di dollari), i Fondi Sovrani pesano circa un quarto. Confronto fra i fondi sovrani ed altri veicoli di investimento sovrani e privati, 2011 Fondi sovrani 6% Fondi sovrani 24% Fondi comuni di investimento 26% Fondi assicurativi 28% Riserve ufficiali di valuta estera 40% Private Equity 3% Hedge Funds 2% Altri veicoli di investimento sovrani 36% Fondi pensione 35% Graf. 4 - Fonte: stime CityUK, UNCTAD, OECD, FMI 2. I FoS dell’area arabo mediterranea: un grande potenziale di crescita I Fos sono dunque veicoli di investimento che rivestono un ruolo sempre più rilevante nel panorama finanziario mondiale. Un ruolo destinato a crescere nei prossimi anni, anche in virtù del aumento dei prezzi delle materie prime, principale fonte di reddito dei FoS MENA. Il trend del prezzo del petrolio è storicamente correlato con la nascita e la crescita di importanza dei Fondi Sovrani, specie nell’area mediterranea e in quella mediorientale, sia che il prezzo del greggio salga (e fornisca capitali da investire), sia che scenda (stimolando gli investimenti per la diversificazione dell’economia locale e dei proventi delle finanze pubbliche). Negli ultimi anni il prezzo del barile, che negli anni Ottanta era ancora attorno ai 20 dollari, ha prima raggiunto la quotazione di 60 dollari (agosto del 2005), per poi toccare i 150 dollari nel luglio del 2008. La crisi economica mondiale ne ha parzialmente raffreddato la corsa, ma il suo prezzo si è mantenuto attorno, o sopra, i 100 dollari al barile. Se si pensa che i Paesi dell’area MENA sono in grado di produrre più di 20 milioni di barili di petrolio al giorno ed hanno riserve accertate nell’ordine di svariate centinaia di miliardi di barili, si capisce quale siano le loro potenzialità di investimento anche in anni congiunturalmente difficili come questi 159 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI ultimi. Con una domanda del greggio storicamente anelastica, non è un caso se, parallelamente all’aumento del prezzo degli idrocarburi, i Fos dell’area MENA hanno accresciuto significativamente sia il numero delle operazioni che il capitale investito. Andamento del prezzo del petrolio, gas naturale e loro prodotti dal 2010 al 2013* (Media settimanale del prezzo FOB complessivo di tutti gli Stati. Media ponderata per i barili commercializzati stimati) Prezzo del greggio (WTI8, dollari al barile) Prezzo del greggio (Brent, dollari al barile) Benzina9 (dollars per gallon) Gas Naturale (dollari ogni migliaia di cubic-feet)10 Elettricità (cents per Kilowatt ora)10 2010 79,40 2011 94,86 2012 95,66 2013 92,63 79,51 111,26 111,81 103,38 2,78 3,35 3,64 3,43 11,37 11,01 10,90 11,09 11,54 11,79 11,91 12,02 Tab. 2 - Fonte: EIA 3. I FoS MENA: accordi bilaterali e investimenti in Europa Abbiamo visto come i FoS MENA siano importanti investitori con un patrimonio in espansine, destinato a crescere ancora negli anni a venire. Le caratteristiche che rendono i FoS MENA degli interessanti target per gli operatori (pubblici e privati) operanti nell’attrazione di investimenti sono però molteplici: sono in grado di compiere operazioni dell’ordine di qualche miliardo di euro ed a differenza della maggior parte degli investitori privati hanno un orizzonte di medio-lungo periodo e un leverage basso. Attraverso di loro passano non solo le politiche di investimento degli Stati osservati, ma spesso anche le politiche di sviluppo industriali e infrastrutturali, che non di rado privilegiano gli investimenti esteri. Se si scompongono gli affari fatti dai FoS nel decennio scorso fra quelli destinati al mercato interno e a quelli esteri, emerge come in nove anni su undici, i FoS abbiano preferito allocare almeno il 60% dei propri investimenti all’estero. Percentuale che cresce nella seconda metà del decennio mantenendosi stabilmente sopra ai due terzi del totale. Gli investitori più votati all’estero sono proprio i FoS dell’area MENA. Questi ultimi, secondo una ricerca promossa dall’Harvard Business School11, investono nel proprio Paese una percentuale media ponderata del 9%, che diventa un 8 West Texas Intermediate. Prezzo medio alla pompa, Stati Uniti. 10 Media prezzi del mercato domestico. 9 160 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI 16% se si allarga il campo di osservazione a tutta l’area mediorientale. Una tendenza che negli ultimi anni era leggermente mutata, per almeno due ordini di ragioni. Da una parte i FoS hanno accusato delle perdite a causa delle perdite su alcuni investimenti all’estero in seguito alla crisi economica e finanziaria, dall’altra i governi hanno avuto la necessità di supportare le economie locali in un momento congiunturale difficile, entrando nella capitalizzazione delle banche e dei mercati finanziari in genere, comprando immobili, fornendo liquidi alle politiche budgetarie e stimoli fiscali. Gli investimenti che ricadevano all’interno del perimetro degli Stati MENA sono arrivati a pesare più del 30% del totale (2009), ma già nel 2010 gli impieghi destinati a quest’area si erano ridotti ad una quota del 6%, per tornare poi attorno al 22% nel 2011. Le “Primavere Arabe” stanno spingendo i FoS dell’area arabo-mediterranea ad un mutamento di politiche di investimento, più attento alle economie dell’area, a supporto del potere d’acquisto delle popolazioni, quando non di vere e proprie politiche di contrasto alla disoccupazione. Anche il tradizionale orizzonte di lungo periodo nel ritorno degli investimenti potrebbe, almeno in parte cambiare, a vantaggio di investimenti che assicurano maggiori ritorni di breve periodo. Scomposizione percentuale sul totale degli investimenti dei FoS-MENA, per Paese di destinazione: interno all’area MENA o esterno. Dal 2000 al 2011 74% 68% 74% 94% Interni 26% Esterni 32% 22% 6% 2000 - 2008 2009 2010 2011 Graf. 5 - Fonte: Monitor - FEEM SWF Transaction Database Tradizionalmente, i Fondi Sovrani non sono istituzioni che forniscono credito agli investitori, ma investono direttamente (o indirettamente) i propri capitali. Per via della 11 Bernstein, S., Josh Lerner, and Antoinette Schoar (2009) “The Investment Strategies of Sovereign Wealth Funds”, Harvard Business School Finance Working Paper No. 09-112. 161 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI loro natura pubblica, fino ad anni recenti, erano orientati ad investimenti con orizzonte temporale di lungo termine e profilo di rischio medio basso. Parallelamente al mutamento e sviluppo delle mission dei FoS, si sono diversificati anche gli oggetti sui quali essi investono. La natura pubblica dei fondi ha dapprima spinto gli stessi a privilegiare investimenti con ritorni certi di medio lungo periodo: un oggetto tipico era rappresentato dai titoli di stato emessi da Paesi considerati solvibili. Nonostante questi asset siano ancora fortemente presenti in molti dei loro portafogli (circa quattro su cinque), sempre più spesso sono preferiti beni alternativi, che garantiscano ritorni maggiori o un’attiva politica industriale (diretta o indiretta). Ormai lo stock di capitali allocati in azioni ha superato quello in titoli di Stato o altri titoli a reddito fisso. Presenza dei Fos per tipologia di investimento 79% Quote in aziende pubbliche 85% 79% 76% Debito pubblico 55% Azioni in aziende private 59% 51% Immobili 56% 47% Infrastrutture 61% 37% Hedge funds 36% 2010 2011 Graf. 6 - Fonte: Prequin Il settore finanziario dal 2005 al 2011 è stato il principale centro di interesse degli amministratori dei FoS mondiali, con un picco di investimenti diretti verso di esso, che il rapporto di CityUK quantifica in 82 miliardi di dollari nel 2008, circa a un terzo del totale degli investimenti operati dai FoS. Dopo il 2008 però vi è stata un’inversione di tendenza, complice il perdurare del rallentamento dell’economia mondiale e la perdita di alcuni degli investimenti fatti. Come vedremo nei paragrafi successivi, la tendenza alla diversificazione dei portafogli e ad un maggiore coinvolgimento nel capitale delle società è comune alla maggior parte dei fondi MENA. 162 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI Scomposizione del totale degli investimenti dei FoS-MENA, per area di destinazione. Dal 2000 al 201112 MENA Europa Russia e Asia Centrale Asia Pacifico Nord America Sud America Africa (SubSahariana) 2000 2008 2009 2010 26% 35% 1% 7% 29% 0% 3% 32% 6% 0% 4% 2% 49% 8% 4% 1% 10% 0% 1% 2011 22% 56% 27% 53% (Estimates for Italy 2012/2020: 5-8%) 2% 15% 8% 0% 0% Tab. 3 - Fonte: Monitor - FEEM SWF Transaction Database Le maggiori operazioni compiute dai FoS nel 2011 Rank Oggetto della transazione Paese target 1 Allied Irish Banks Irlanda Allied Irish Banks Irlanda 2 3 4 5 Compañía Española de Petróleos GDF Suez Exploration & Production China Export and Credit Insurance Corporation Spagna Francia Cina 6 Credit Suisse Svizzera 7 China Construction Bank Cina 8 Iberdrola Spagna 9 Festival Walk Mall, Hong Kong Cina 10 China Construction Bank Cina 11 RHC Capital Malesia 12 China Construction Bank Cina Mercedes-Benz Grand Prix Regno Unito 13 Settore target Servizi finanziari Servizi finanziari Idrocarburi Idrocarburi Servizi finanziari Servizi finanziari Servizi finanziari Energie alternative Real estate Servizi finanziari Servizi finanziari Servizi finanziari Automotive Denominazione FoS National Pension Reserve Fund National Pension Reserve Fund International Petroleum Investment Company China Investment Corporation China Investment Corporation Quatar Investment Authority Nazionalità del FoS Ammontare della transazione (in mld di dollari) Irlanda 7,26 Irlanda 5,21 Abu Dhabi 4,96 Cina 3,26 Cina 3,15 Quatar 3,10 Temasek Holdings Singapore 2,80 Quatar Investment Authority Quatar 2,70 Temasek Holdings Singapore 2,40 Temasek Holdings Singapore 2,20 Abu Dhabi 1,90 Cina 1,75 Abu Dhabi 1,70 International Petroleum Investment Company China Investment Corporation International Petroleum Investment Company Tab. 4 - Fonte: Sovereign Investment Lab – annual report 2011 Rispetto alla destinazione di questi investimenti notiamo come i Fondi MENA si comportino differentemente da quelli del resto del Mondo e in generale dalle scelte di investimento medie degli operatori economici, che ormai da almeno un decennio tendono a spostare il flusso degli investimenti esteri dalle regioni a più antica industrializzazione verso le economie emergenti. Analizzando le scelte allocative dei FoS-MENA nell’ultimo decennio, infatti, ci rendiamo conto di come la loro prima 12 Il valore dell’Italia riportato nel box è stimato da Step Ricerche e si riferisce al potenziale di attrazione in percentuale sul totale degli investimenti dei FoS MENA. 163 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI destinazione estera sia l’Europa. Negli ultimi anni il Nord America ha perso di importanza a vantaggio dei Paesi Asiatici che si affacciano sul Pacifico. Gli investimenti verso l’Europa sono stati paradossalmente favoriti dalla crisi, che ha reso i prezzi di asset finanziari e industriali strategici e prestigiosi più accessibili. Osservando la tabella con le maggiori operazioni di acquisizione da parte dei Fos di tutto il Mondo, abbiamo la conferma delle tendenze appena descritte. I FoS MENA sono fra i più attivi (protagonisti di cinque operazioni su tredici totali), quelli più votati verso il resto del Mondo (nessuno di questi investimenti ricade nella zona arabomediterranea), in particolare l’Europa (4 operazioni su cinque riguardano questo continente a dispetto di una sola per il resto dei FoS13) e caratterizzati da un’attenzione alla diversificazione sia finanziaria che produttiva. I cinque investimenti comprendono il settore degli idrocarburi (Compañía Española de Petróleos), delle fonti di energia alternative (Iberdrola), l’automotive (Mercedes-Benz Grand Prix), e quello bancario (RHB Capital e Credit Suisse). 4. Come accrescere la presenza dei fondi MENA in Italia L’Europa è la destinazione più ambita dai Fondi Sovrani e in particolare da quelli MENA, che qui hanno relazioni e trovano aperture di credito negate altrove (in particolar modo in Nord America). Ad oggi la City di Londra costituisce il luogo di atterraggio privilegiato dei fondi sovrani, in primis di quelli dell’area MENA. L’analisi dello stock degli ultimi diciassette anni di investimenti dei FoS in Europa, ci fa capire come più della metà di essi siano stati destinati al Regno Unito. Anche nel 2011 questo Paese è stato capace di attrarre il 13% degli investimenti effettuati dai fondi sul continente. A Londra molti dei più importanti FoS mondiali, come il Kuwait Investment Authority, la Brunei Investment Agency, l’Abu Dhabi Investment Authority, il Temasek Holdings e il General Investment Corporation di Singapore, hanno un ufficio di rappresentanza ed altri stanno per aprirne uno. I motivi di successo della capitale inglese sono diversi: la presenza di un importante polo finanziario, di un’ampia offerta di servizi finanziari di qualità, di un mercato aperto all’internazionale e un sistema giuridico-normativo efficiente. Da sottolineare è poi la politica specifica per attrarre investitori internazionali (Fondi sovrani e non) portata avanti dal governo britannico tesa a favorire l’afflusso degli investimenti diretti esteri nel paese. Il “Memorandum of Understanding on Enhancing Cooperation in Onfrastrucrure” firmato con il Governo cinese nel settembre del 2011 ne è un esempio, così come il dialogo continuo fra il governo della Gran Bretagna e quelli dei paesi MENA. 13 164 Se si escludono le operazioni del Fondo irlandese verso l’economia del proprio Paese. LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI Scomposizione degli investimenti dei FoS in Europa per Paese di destinazione, 2011 e stock dal 1995 al 2009 Spagna 2% Altri 8% 2011 1995-2010 Altri Europa 2% Danimarca 4% Altri paesi UE 21% Italia 4% Spagna 38% Olanda 6% Gran Bretagna 49% Francia 12% Regno Unito 13% Germania 3% Altri paesi Euro 6% Germania 15% Francia 17% Graf. 7 - Fonte: elaborazioni Step Ricerche su dati Sovereign Investment Lab, Universitá Bocconi e Deusche Bank. La restante parte dello stock di investimenti è destinata principalmente alla Germania (il 15% del totale), alla Francia (12%) e all’Olanda (6%). L’Italia segue con un incidenza del 4% sugli investimenti totali, anche se lo scorso anno non ha registrato un monte operazioni significativo. Per comprendere meglio chi e su quali oggetti si investe in Italia è bene analizzare rapidamente i principali FoS attivi sul territorio nazionale. I FoS sono presenti da anni nel capitale delle imprese italiane. Un recente studio della Consob14 afferma come oltre un terzo delle società italiane abbia un fondo sovrano fra i suoi azionisti, per un totale di 102 società. Negli altri paesi europei la penetrazione dei FoS sul totale delle aziende quotate è compresa fra il 15 ed il 25%. Il dato cambia se si prende in considerazione il peso dei FoS rispetto alla capitalizzazione borsistica nazionale totale: riducendosi fra il 2 ed il 3%, in Italia come negli altri poli finanziari europei. La penetrazione dei FoS in Italia sembrerebbe dunque maggiore che altrove, ma questa avviene su un numero di imprese quotate e con un ammontare di capitali mediamente minore che nel resto d’Europa. Il Sovereign Investment Lab della Bocconi è meno ottimista e arriva a censire un totale di 30 operazioni di investimento dei FoS in Italia. Presenza e peso dei Fondi Sovrani nelle borse dei principali Paesi Europei Italia Francia Germania Regno Unito N. società quotate, partecipate da FoS 102 172 174 400 % di società partecipate da FoS sul totale 35,6% 19,0% 16,5% 24,6% valore % della partecipazione dei FoS sul totale della capitalizzazione 2,2% 2,0% 2,6% 3,0% Tab. 5 - Fonte: CONSOB 14 Discussion papers, “I Fondi Sovrani e la regolazione degli investimenti nei settori strategici”. S. Alvaro, P. Ciccaglioni – CONSOB – (2012). 165 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Storicamente il Fondo Sovrano più attivo In Italia è il Libyan Investment Authority (LIA). La LIA e un’organizzazione governativa creata nel 2006, dall’accorpamento di diversi portafogli e società di investimento statali, al fine di gestire i ricavi derivanti dalle riserve petrolifere e diversificare le entrate statali. Opera sia all’interno del continente africano, tramite la controlla Libyan Africa Investment Portfolio (LAP), sia all’estero tramite la Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico) e l’Oilinvest. La LIA è poi legata all’ESDF (Economic and Social Development Fund), incaricata dello sviluppo dell’economia libica. Altre istituzioni libiche che investono all’estero sono la Libyan Foreign Bank e la Libyan National Oil Company. In un solo anno il capitale gestito dalla LIA è sceso dai 133 miliardi di dollari del 2011 ai 65 del 201215, come conseguenza del congelamento dei fondi in seguito alla guerra civile ed al cambio di gestione dopo la caduta del regime della famiglia Gheddafi. Mutamenti che hanno comportato un diversa politica di investimento (e qualche perdita). Il fondo possiede un portafoglio più liquido della media dei FoS, persegue ritorni sugli investimenti di medio-lungo termine e, a differenza di molti altri fondi che preferiscono non rendere pubbliche le loro partecipazioni, è presente nei consigli di amministrazione grazie a investimenti che solitamente superano il 2% del capitale totale delle aziende. La LIA è nata contestualmente alla fine dell’isolamento internazionale del governo libico, costituendo uno dei principali veicoli di investimento che hanno accompagnato l’incremento dei rapporti politici e commerciali con l’Italia, culminati con la firma del trattato fra l’Italia e la Libia nell’agosto del 2008. Oltre alle partecipazioni del fondo libico o della banca centrale in diversi settori della nostra economia come lo sport (le squadre di calcio Juventus e Triestina), o il manifatturiero (Fiat e Olcese), la Libia si è ultimamente rivolta ai settori della finanza (Banco di Roma e, dopo la fusione, Unicredit) e dell’energia (ENI). Il trattato di cooperazione fra l’Italia e la Libia ha segnato un nuovo corso, che punta a siglare delle intese di ampio respiro con le maggiori realtà industriali e finanziarie italiane per sviluppare congiuntamente, spesso sotto forma di joint venture, investimenti tanto in Italia che nel area MENA. Gli esempi sono numerosi: dalla joint venture Gran Jamahiria con Impregilo a Banca UBAE (con Unicredit), fino al memorandum firmato, nell’agosto del 2009, fra la LIA e Finmeccanica, che si inserisce nel solco del trattato fra i due paesi e si concentra sui settori dell’aerospazio, dell’elettronica, dei trasporti e dell’energia. Uno dei maggiori frutti di quest’accordo si è avuto il 25 gennaio del 2011, allorquando la LIA ha investito 100 milioni di euro per entrare nel capitale di Finmeccanica (fermandosi al 2%, al di sotto della soglia del 3%, che richiede l’autorizzazione del Governo italiano). Sempre nel 2009 la LIA ha concluso un altro accordo con Mediobanca per la creazione di un fondo comune volto a investimenti in società italiane dei settori delle costruzioni, delle telecomunicazioni, del farmaceutico e del real estate. Il nuovo corso successivo alle “Primavere arabe” pone qualche interrogativo, in seguito alla sentenza del tribunale internazionale dell’Aia che congela i fondi libici, 15 166 Stime SWF Institute. LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI anche a scopo di usarli come risarcimento per le vittime di crimini commessi dalla famiglia Gheddafi. Le autorità libiche sono ora impegnate a dimostrare l’appartenenza dei fondi allo stato libico e conseguentemente la legittimità dell’uso a favore delle politiche governative. Prima del congelamento i nuovi amministratori hanno privilegiato gli investimenti produttivi, liberando liquidità grazie alla vendita di altre partecipazioni: a inizio del 2012 la LIA non ha sottoscritto né l’aumento di capitale di Unicredit (scendendo al 1,25%), né quello della Juventus (scendendo da una quota del 7,5% ad una del 1,5%). Principali presenze dei FoS MENA nel tessuto produttivo italiano FoS acquirente Libyan Investment Authority Libyan Telecommunication and Information Technology Company Central Bank of Libya e Libyan Foreign Bank Qatar Investment Authority Mubadala Company ADIA IPIC Development Stato Asset acquistato Settore % di quota detenuta sul totale Libia Fiat Spa e Fiat Industrial Juventus FC Eni UniCredit SpA Finmeccanica Automotive Sport Energetico Finanza Aerospazio 0,33% 1,50% 1,00% 1,26% 2,00% Libia Retelit Telecomunicazioni 14,80% Libia UniCredit SpA Finanza 4,60% Qatar Hotel Gallia di Milano Valentino Fashion Group Real Estate 100,00% Lusso 100,00% Piaggio Aero Industries Aerospazio 35,00% Bulgari Mediaset Banca Popolare del Commercio e dell'Industria UniCredit SpA Lusso Telecomunicazioni 2,00% 2,00% Finanza 4% Finanza 6,50% EAU - Abu Dhabi EAU - Abu Dhabi Tab. 6 - Fonte: Consob, Monitor, SWF Institute Non è poi raro osservare delle operazioni congiunte (anche in Italia) fra il FoS libico e l’Abu Dhabi Investment Authority (ADIA), il più grande FoS al Mondo, forte del suo portafoglio da 627 miliardi di dollari. Lo scorso anno l’ADIA ha concluso 13 operazioni in tutto il Mondo per un totale di 1,9 miliardi di dollari. È attivo in Italia sin dal 1996 quando per 124 miliardi di lire acquistò l’1,7% del gruppo Mediaset, prima del collocamento in borsa. Da allora questa quota è dapprima salita e poi scesa poco al di sotto del 2%. Il fondo ha operato altri due investimenti nel settore finanziario: uno nella Banca di Roma, a sua volta confluita in Unicredit Group, l’altro nell’attuale UBI (Banca Popolare del Commercio e dell’Industria). L’interesse per l’economia italiana è stato rinnovato all’inizio del 2012, quanto il fondo di Abu Dhabi ha partecipato alla ricapitalizzazione di Unicredit con 500 milioni di euro, incrementando la sua quota nel capitale sociale dal 4,9% al 6,5% e rafforzando la sua posizione di primo azionista. L’ADIA ha poi una partecipazione nel settore del lusso, detenendo il 2% di Bulgari. Nel 2011 è anche entrata nel novero dei contendenti per l’acquisizione dell’AS Roma, ma senza portare a termine l’operazione. 167 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI L’ADIA è un fondo interessante per l’Italia poiché analizzandone il portafoglio si nota come esso prediliga società estere, sia pubbliche che private, appartenenti alle economie di più antica industrializzazione. Non trascurabile è anche le quota dedicata agli small cap equities, che pesano fra l’1 ed il 5% del portafoglio del FoS. Negli ultimi anni i gestori del fondo stanno cambiando strategia, preferendo sempre più una gestione diretta dello stesso con un minor ricorso a fondi di investimento terzi. L’ADIA è destinata a conservare il suo ruolo fra i maggiori fondi al Mondo grazie al fatto di ricevere (grazie a una legge del 2006) il 70% dei ricavi provenienti dell’industria petrolifera nazionale, con l’intento di conservare la ricchezza attuale a vantaggio delle prossime generazioni. Vision e mission simili a quelle dell’ADIA sono portate avanti da un altro fondo di Abu Dhabi, il Mubadala che, pur avendo dimensioni più contenute (la somma dei beni posseduti nel 2012 arrivava a 48,2 miliardi di dollari, contro i 627 dell’ADIA), ha fatto segnare un attivismo superiore alla media negli ultimi anni, raddoppiando il proprio capitale complessivo dal 2010 al 2012 e investendo 3,56 miliardi di dollari in 13 operazioni diverse nel solo 2011. La sua mission principale non si limita al ritorno sugli investimenti, punta alla diversificazione dell’economia dell’emirato. Coerentemente con questo scopo il fondo ha una strategia commerciale incentrata sugli investimenti a lungo termine e ad alta intensità di capitale. Non è un caso se il 30% del suo portafoglio sia impegnato in quote di società multinazionali. Predilige le partnership con realtà di rilievo internazionale in settori come quello aerospaziale (detiene il 35% di Piaggio Aero Industries), del life science, dell’ICT, delle infrastrutture e del real estate. Un esempio ci è fornito dal investimento fatto in Ferrari nel 2005 (quota poi riacquistata dal gruppo Fiat), che ha permesso all’emirato di ottenere visibilità internazionale e di inserirsi nei circuiti della Formula 1, nonché nel settore dell’automotive (detiene una partecipazione in Tata). In questo solco si colloca la scelta di costruire, all’interno dei suoi confini un parco di divertimenti dedicato al tema della velocità e legato al marchio Ferrari. Mubadala si muove sempre di più prediligendo le partnership industriali come quella siglata nel 2007 con il Gruppo Poltrona Frau che aveva lo scopo di aprire dei negozi di arredamento nell’emirato, ma soprattutto di intercettare le commesse legate agli importanti progetti immobiliari della zona del Golfo Persico, diffondendo la cultura del design di alta qualità. Un altro accordo è poi stato trovato l’anno successivo con Alenia, controllata da Finmeccanica. L’oggetto dello stesso riguarda la realizzazione di componenti aeronautici e nuove tecnologie (ad esempio per aerei unmanned) per il settore civile presso un impianto produttivo sito ad Abu Dhabi. Tra gli altri FoS MENA operanti in Italia vi è il KIA (Kuwait Investment Authority) attento alla gestione diretta del business legato al petrolio. Non a caso in Italia tramite una sua controllata (la KPC) gestisce la Q8 (che a sua volta ha acquistato il 100% delle Mobil Oil Italia) e con ENI (joint venture al 50%) possiede la raffineria di Milazzo. Nel 2010 in seguito alla visita in Italia dell’emiro Sheikh Sabah Al Ahmad sono stati firmati tre accordi bilaterali per i settori dell’ambiente, della salute e del turismo. I margini di collaborazione fra l’Italia ed il Kuwait ed in particolare con il fondo KIA, che nel 2011 ha investito globalmente 2,83 milioni di dollari in 15 operazioni, sono 168 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI ancora ampi. Sempre legato agli idrocarburi è l’investimento (pari al 45% del totale) operato da Quatar Petroleum per dar vita al rigassificatore di Rovigo, inaugurato nel ottobre del 2009. Un fondo, quest’ultimo, che si caratterizza da sempre per il grande dinamismo: nel solo 2011 ha dato vita a 26 operazioni per 11,98 miliardi di dollari di investimenti totali. In Europa per ora ha concentrato la sua attenzione nei settori del real esatate (Sainsburys, Harrods), delle infrastrutture (InfraRed Infrastructure Fund II) e della finanza (London Stock Exchange, Barklays e Credit Suisse). Nel luglio di quest’anno lo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani, presidente della Quatar Investment Authority ha acquistato per 700 milioni di euro il Valentino Fashion Group e sta esaminando il possibile acquisto della Snam (rete gas) e di Fincantieri, per entrare nel settore delle navi da crociera. Interessato al real estate ed alla cantieristica navale italiana è anche lo State General Reserve Fund dell’Oman, che ha commissionato nel solo 2006: cinque catamarani per 90 milioni di dollari ai Cantieri Navali Rodriguez, tre turbine per centrali elettriche ad Ansaldo Energia per 100 milioni di dollari. Interessante è la commessa vinta dalla società di ingegneria Sering che si è aggiudicata la progettazione del nuovo porto di Shinas. Altre operazioni dei FoS MENA in Italia hanno coinvolto: la Dubai World che ha mostrato interesse per un investimento fra i 500 ed i 700 milioni di euro nell’area ex-Falck di Sesto San Giovanni e per la ristrutturazione del centro di Palermo. 5. Paesi arabi e nord mediterranei: gli investimenti Privati e delle Banche nazionali Nel paragrafo precedente abbiamo compreso come fra i maggiori attori MENA che operano investimenti in Italia non ci siano solo i FoS, ma anche le banche centrali e le società legate direttamente ai patrimoni dei singoli individui o famiglie. Alla fine del 2011 CityUK stimava in 6.000 miliardi di dollari il totale dei beni di investimento estero gestiti dai Paesi esportatori di idrocarburi. Di questi, la maggioranza relativa (il 45%) è in capo ai Fondi Sovrani, ma subito dopo (con il 41% e poco meno di 2.500 miliardi di dollari) troviamo i patrimoni delle famiglie regnanti o gli imperi industriali dei singoli individui. Al terzo posto (con 860 miliardi di dollari) vi sono infine le riserve in capo alle Banche Centrali. Non è sempre facile distinguere nettamente le tre fonti e soprattutto i gestori delle stesse. Ad esempio la famiglia reale del Qatar differenzia i suoi investimenti e i suoi veicoli attraverso cui li compie: si va dagli investimenti personali a quelli operati tramite il Qatar Investment Authority, oppure tramite società costituite ad hoc come la Qatar Sport, che possiede la squadra di calcio del Paris Saint-Germain, o la Qatar Luxury Group, che si occupa delle operazioni nel mondo del lusso. 169 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI Scomposizione percentuale dei beni di investimento estero dei paesi esportatori di idrocarburi, fine 2011 Riserve della Banca Centrale 14% Patrimoni di individui singoli 41% Fondi Sovrani 45% Graf. 8 - Fonte: elaborazioni CityUK Senza dimenticare la Quatar National Bank che ha recentemente investito 450 milioni di sterline nella costruzione di un grattacielo di 310 metri, progettato da Renzo Piano e ubicato a fianco alla City di Londra. È dunque opportuno poter quantificare le tre fonti e tenere a mene il potenziale complessivo delle stesse. 6. FEMIP E BERS: le istituzioni sovra-nazionali che operano per lo sviluppo dell’area arabo-mediterranea Fra i veicoli di investimento che prendono la direzione del Nord Africa e del Medio Oriente dall’Italia o dall’Europa, segnaliamo infine il ruolo svolto dal FEMIP16, Il Fondo Euro-Mediterraneo di Investimento e Partenariato, sotto il quale convergono le politiche europee tese a favorire lo sviluppo dei paesi partner17. Il Fondo incentiva la crescita e la creazione di impiego nell’area con due priorità. Da una parte vi è il supporto al settore privato, per mezzo di iniziative in loco o di investimenti diretti esteri per progetti infrastrutturali, investimenti in capitale umano o rivolti all’ambiente; dall’altra la promozione di un ambiente favorevole all’attrazione di 16 Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership. Sono i seguenti: Algeria, Egitto, Gaza/West Bank, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria e Tunisia. Ai quali presto si aggiungerà la Libia. 17 170 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI investimenti ed al dialogo fra le due sponde del Mediterraneo. Dal 2002 il Fondo ha investito 13 miliardi di dollari in diverse operazioni, assistendo 2.300 PMI, e mobilitando altri capitali per circa 35 miliardi, anche grazie al sostengo di altre istituzioni finanziarie ed al settore privato. Il FEMIP mette a disposizione tre tipi diversi di prodotti finanziari: prestiti, private equity e assistenza tecnica. Inoltre, valuta la concessione di garanzie18. Crescita percentuale per le maggiori macro-aree mondiali, dal 2010 al 2017 (Stime dal 2012 del FMI) 7,0% Mondo 6,0% Economie Avanzate 5,0% 4,0% Area Euro 3,0% ASEAN-5 2,0% America Latina 1,0% 0,0% 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 Medio Oriente e Africa del Nord -1,0% Graf. 9 - Fonte: FMI A testimonianza della crescita dell’interesse delle istituzioni europee per l’area arabo-mediterranea, lo scorso anno (nell’ottobre del 2011) gli azionisti della BERS (la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) hanno esteso il suo mandato all’Africa settentrionale e al Medio Oriente. La Banca è interessata a sostenere i processi di trasformazione democratica. Per la BERS, come per il FEMIP, uno degli assi fondamentali è lo sviluppo del settore privato ed in particolare delle PMI in grado di dare occupazione rispondendo ad una delle principali criticità della regione: l’alto tasso di disoccupazione giovanile. Il secondo asse d’azine è il miglioramento della qualità di vita delle popolazioni ad esempio tramite lo sviluppo sostenibile delle 18 Per un’esposizione più dettagliata dell’operato del FEMIP e del su Trust Fund, si veda il Rapporto Annuale 2011 “Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo. 171 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI infrastrutturale energetiche, per garantire la fornitura della corrente elettrica, diminuendo i mal funzionamenti e gli sprechi attuali. I paesi inizialmente interessati dall’estensione del mandato sono Egitto, Marocco, Tunisia e Giordania, ma altri seguiranno nel prossimo futuro. Dal settembre del 2012 la BERS ha dato il via ai primi investimenti. I primi tre progetti si sostanziano in linee di credito comprese fra i 20 ed i 30 milioni di euro concesse a intermediari finanziari (banche e fondi di private equity) operanti in Giordania, Marocco e Tunisia per la promozione di strumenti finanziari rivolti alle PMI. Il quarto progetto finanzia invece l’espansione produttiva di una società egiziana che produce condizionatori. La BERS conta di far crescere rapidamente questa linea di crediti per arrivare nel 2015 a finanziare 2,5 miliardi di euro di investimenti all’anno. Questi sono fra i maggiori canali che possono aiutare gli investitori italiani ad essere protagonisti in un’area che dopo le difficoltà del 2011 è tornata a cresce più del resto del Mondo e che secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale crescerà nei prossimi cinque anni con tassi attorno al 4%. 7. I FoS ed altri fondi favoriscono più strette relazioni fra l’Italia e i Paesi del Mediterraneo Nell’ultimo anno il valore dei beni gestiti dai FoS MENA è cresciuto del 19%, raggiungendo i 1.900 miliardi di dollari. Solamente fra il giungo del 2011 ed il luglio del 2012, la crescita è stata pari a 300 milioni di dollari. Una crescita che, nonostante il quinquennio caratterizzato da un congiuntura internazionale difficile, è stata dell’ordine del 50%. Una dinamica virtuosa destinata a proseguire per almeno i prossimi anni, sia perché è presumibile che la domanda e il prezzo del greggio rimarranno almeno sui valori attuali, sia perché i Fondi Sovrani rappresenteranno il più importante canale di investimento dei ricavi derivanti dalla vendita degli idrocarburi. Conoscendo le stime dei maggiori istituti di ricerca specializzati, che parlano di una crescita media dei FoS mondiali pari al 10% all’anno per i prossimi cinque anni, possiamo attribuire lo stesso tasso anche ai FoS MENA, che nel 2017 si troverebbero ad amministrare un patrimonio pari a tre mila miliardi di dollari, circa il doppio del PIL italiano. Questo ammontare di capitale è destinato a alimentarsi e produrre flussi di investimenti. Nel caso dei FoS arabo-mediterranei in particolare vi è poi una predilezione per destinare gli investimenti al continente europeo: fra il 2009 ed il 2011 questi sono valsi in media 17,6 miliardi di dollari. Supponendo che questo flusso cresca del 5% all’anno (un tasso pari alla metà della crescita dello stock amministrato) fino al 2017, avremmo in media ogni anno 20 miliardi di dollari a disposizione dei fondi arabo-mediterranei, per investimenti da destinare alle piazze europee. Ora non ci resta che calcolare la parte della torta spettante all’Italia. Sappiamo, da uno studio della Deusche Bank, che in 15 anni l’Italia ha attratto circa il 4% degli investimenti dei Fos 172 LE RELAZIONI ECONOMICHE DEI FONDI SOVRANI MEDITERRANEI CON I PAESI EUROPEI in Europa. Conoscendo gli acquisti di partecipazioni o altri beni operati dei FoS in Italia e la predominanza dei FoS arabo-mediterranei, è sensato immaginare che nei prossimi 5 anni almeno un 5% degli investimenti dei FoS MENA possa essere intercettato dal nostro Paese, per un valore pari a circa un miliardo di dollari l’anno. La stima è prudenziale, basti pensare che il valore è inferiore a quanto essi hanno investito nei primi nove mesi del 2012: 500 milioni di euro del fondo IPIC di Abu Dhabi in Unicredit e 700 milioni di euro del fondo del Quatar, QUI, per l’acquisto del gruppo Valentino. Come dimostrano le scelte operate dai FoS arabo-mediterranei negli ultimi dieci anni, il tessuto produttivo italiano è attrezzato per rispondere alle prerogative ricercate da queste economie arabo-mediterranee: esperienza, managerialità, conoscenze artigianali e industriali, innovatività e in alcuni casi prestigio e notorietà internazionale. D’altro canto le imprese italiane hanno necessità sia di trovare capitali per finanziare ristrutturazioni e sviluppo, sia di ampliare il raggio dei loro sbocchi commerciali, nonché quello dei loro interlocutori industriali. In questo senso sono già in essere alcune importanti relazioni fra le due sponde del Mediterraneo, ma sia il volume degli investimenti FoS, sia gli oggetti che l’Italia già intercetta presentano significativi margini di crescita. Pensiamo al fatto che l’economia italiana valga il 12% del prodotto interno lordo dell’Unione Europa. È dunque ragionevole che il sistema nazionale si dia come obiettivo quello di intercettare una quota pari all’8% degli investimenti dei FoS arabomediterranei diretti in Europa. Un target che si tradurrebbe in un flusso pari a 1,6 miliardi di dollari di investimenti all’anno, per un totale di 8 miliardi nei prossimo quinquennio. Ai capitali dei FoS, si possono poi aggiungere i patrimoni privati (delle famiglie reali e non) e delle banche centrali. Nei paesi esportatori di idrocarburi queste altre due categorie hanno capitali a disposizione almeno pari a quelli dei FoS, tanto che allargando il novero degli investitori da intercettare, si potrebbe arrivare a raddoppiare la cifra fissata come target. Vi è poi un problema di attrattività del nostro Paese, per aumentare la quale è utile inquadrare le relazioni italo-mediterranee nell’ambito di accordi e protocolli bilaterali fra i principali attori dei relativi stati , creando azioni sistemiche (in Italia come all’estero) che coinvolgano le istituzioni pubbliche ai loro massimi livelli, le aziende partecipate dallo stato, lo stesso Fondo Strategico Italiano, le filiere produttive e le dorsali di assistenza economico e finanziaria all’estero come le reti bancarie. I maggiori istituti di credito italiani sono ormai presenti in quasi tutti i Paesi del sud del Mediterraneo e della Penisola araba, con filiali proprie, uffici di rappresentanza specializzati nel supporto alle imprese italiane o protagoniste di accordi di collaborazione con le banche locali. Le leve da attivare nel corso di questa attività si devono poi rinnovare tenendo contro del quadro economico-politico mutato dopo i movimenti della “Primavera araba”. I governi nord africani o mediorientali hanno ora ancora maggiore esigenza di far ricadere parte del business, quando non del know how, sui loro stessi territori per supportare il potere d’acquisto delle popolazioni locali e contrastare la disoccupazione giovanile. 173 LA FINANZA E GLI INVESTIMENTI DEI FONDI SOVRANI È necessario essere in grado non solo di intercettare i flussi di investimenti rivolti all’Europa, ma di fornire servizi e prodotti dall’Italia a quei Paesi, anche perché essi, da Paesi consumatori dei redditi da idrocarburi, si stanno rapidamente trasformando in importanti piattaforme produttivo-commerciali, sfruttando la disponibilità di capitali da investire in infrastrutture e opere di industrializzazione e la loro posizione geografica baricentrica fra Europa, Asia e Africa. Non è un caso se il Fondo Monetario Internazionale ne stima il prodotto interno lordo in crescita nei prossimi cinque anni, con tassi superiori al 4%: più della media mondiale, il doppio della media delle economie avanzate ed il quadruplo dell’area Euro. È tuttavia necessario affilare le armi a disposizione di investitori privati e istituzioni italiane, in modo che questi Paesi non si trasformino in temibili concorrenti, come ha dimostrato il caso dell’Alcoa, ma trovino in Italia un luogo di atterraggio privilegiato per i loro investimenti e dei partner rispondenti alla domanda di conoscenza tenclogicoproduttiva a cui dare corso anche nei propri Paesi. Se avremo la capacità di convincere gli investitori arabo-mediterranei, per caratteristiche e portata questa sarà senza dubbio una delle rotte che il nostro Paese potrà sfruttare per ritrovare un cammino di crescita e competitività. 174 PARTE TERZA I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI CAPITOLO VI IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR 1. Premessa Il Mediterraneo ed i suoi porti sono interessati da nuove e dinamiche opportunità di crescita determinate dai fenomeni congiunturali e dai mutamenti degli equilibri geopolitici. Scopo di questo lavoro è quello di delineare l’andamento e i possibili futuri scenari dello shipping nel Mediterraneo, che non si limita più ad essere un’area di transito per i flussi internazionali di merci che da Est sono diretti ad Ovest ma sta diventando una regione di scambio autonoma per effetto dell’aumento dei flussi intramediterranei dovuta allo sviluppo dei Paesi della Sponda Sud-Est. In questo contesto, chiare appaiono le potenzialità di sviluppo dei Paesi europei che si affacciano sul bacino e, in particolare dell’Italia, che vanta oltre ad un posizionamento geografico favorevole, anche consolidati rapporti commerciali con i Paesi dell’area Med. L’analisi si articola lungo la duplice dimensione delle rotte internazionali, quindi del transhipment da un lato e dello Short Sea, quindi della navigazione di cabotaggio dall’altro, segnalando l’impatto che i fenomeni post crisi, principalmente gigantismo navale e investimenti infrastrutturali da parte dei paesi della sponda Sud-Est, hanno avuto sulla configurazione portuale del Mediterraneo. In particolare è esaminato lo scenario competitivo dei porti con riferimento alla dimensione euro-mediterranea, evidenziando le caratteristiche e le prospettive di sviluppo degli scali nelle diverse aree in cui si suddivide il bacino. La questione è diventata di rilevo per il crescente interesse mostrato dagli operatori terminalistici internazionali verso i porti non Ue del bacino, per le facilitazioni burocratiche e amministrative di quelle aree finalizzate ad attirare investimenti esteri e per i cambiamenti delle condizioni socio-economiche che stanno interessando i Paesi del Nord Africa. Il lavoro si completa con l’analisi delle Autostrade del Mare in Italia il cui ulteriore sviluppo potrà costituire un importante strumento per l’avvicinamento tra l’Europa comunitaria e i Paesi della Sponda meridionale e quindi per il processo di integrazione euro-mediterranea nel quale il nostro Paese potrà assolvere un ruolo da protagonista. 2. La rinnovata centralità del Mediterraneo nei traffici marittimi Lo shipping ha acquisito un’importanza crescente nell’economia e nelle prospettive di sviluppo delle aree industrializzate e di quelle emergenti: oltre l’80% del commercio mondiale (pari a circa 8 miliardi di tonnellate trasportate) utilizza la modalità marittima. Il Mediterraneo, per questo articolato e complesso sistema dei flussi di traffico a scala mondiale, è diventato un mercato dalle molteplici potenzialità seppure in continua 177 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI evoluzione. In quest’area, che abbraccia 25 Stati di tre continenti diversi, transita il 19% dell’intero traffico marittimo mondiale: circa 1,4 miliardi di tonnellate di merci; il 30% del petrolio mondiale e quasi i 2/3 delle altre risorse energetiche destinate all’Italia e agli altri Paesi europei passano per il Mediterraneo, comprese quelle trasportate dai gasdotti sottomarini. È naturale che il bacino rappresenti un mercato di grande interesse per gli operatori dello shipping, collocandosi al centro delle maggiori direttrici di traffico internazionale. Il Mediterraneo - che nel 2020 rappresenterà un mercato potenziale di 525 milioni di persone - dal punto di vista politico e sociale è un laboratorio in divenire. Nei primi mesi del 2011, il mondo arabo, e particolarmente il Nord Africa, è stato investito da un’ondata di proteste e agitazioni che hanno sconvolto profondamente la regione, e che vengono ricordati come “la primavera araba”. In Tunisia, Egitto e Libia, le sollevazioni popolari si sono concluse con il rovesciamento dei rispettivi dittatori, mentre, in Algeria e in Marocco, alla ricerca di un compromesso, i regimi in carica hanno risposto con una serie di riforme politiche e misure economiche calate dall’alto. I fattori che hanno generato questa situazione nel Nord Africa sono da ricercare da una parte, in un progressivo e drammatico peggioramento del quadro socio-economico, soprattutto nell’ultimo decennio, che ha generato insofferenza nelle giovanissime popolazioni; e dall’altra, in un quadro politico diventato incerto e caratterizzato da un crescente autoritarismo, anche se con modalità ed intensità diverse da paese a paese. Questi conflitti nel breve termine, hanno contribuito ad aumentare i fattori di instabilità e ad acutizzare, in molti casi, i problemi socio-economici all’origine delle proteste. Tra i principali effetti positivi della primavera araba va sottolineato, in particolare, il riemergere della società civile, che, benché sia ancora debole, poco organizzata e, per alcuni aspetti, in una fase ancora embrionale, testimonia, in queste prime fasi, un certo dinamismo. Nonostante questo slancio comune verso governi democratici, non si può ancora parlare di “Area Mediterranea”, intesa quale organismo unito sotto il profilo giuridico: gli Stati non hanno dei sistemi comuni né sono integrati dal punto di vista economico. I conflitti che turbano la regione, inoltre, sono un limite alle potenzialità di unificazione dell’area. Difficoltà si ritrovano non solo per l’integrazione tra i Paesi della Sponda meridionale ma anche tra l’Europa e i partner del Mediterraneo. Si può affermare che tutte le politiche euro-mediterranee sono basate sull’idea che esista un comune interesse dei paesi dell’UE a sviluppare forme di cooperazione e solidarietà con i paesi della Sponda Sud ma, nonostante ciò, esse non hanno ancora sortito i risultati auspicati. Non è più avanzato il progetto di realizzazione della Zona di Libero Scambio mediterranea prevista per il 2010 dalla Dichiarazione di Barcellona sancita nel 1995 dai quindici paesi membri dell’Unione Europea e le nazioni dell’area MEDA1. Per conseguire questo obiettivo, le parti si accordarono per eliminare in modo progressivo ogni forma di protezionismo, a cominciare dai dazi doganali che tuttora presentano un forte squilibrio; per l’adozione di regole di origine e del diritto di certificazione; per il 1 I paesi che fanno parte dell’Area MEDA sono: Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia, Turchia. 178 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR conseguente sviluppo di politiche basate sui principi dell’economia di mercato, per la modernizzazione delle loro strutture economiche e sociali dando priorità alla promozione ed allo sviluppo del settore privato. Si trattava di un progetto la cui attuazione concreta aveva un valore prioritario, soprattutto per l’Italia, in quanto avrebbe consentito di incrementare il commercio e con esso i trasporti nell’area MEDA. Il Partenariato euromediterraneo è stato rilanciato nel 2008 dalla Francia attraverso la costituzione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM) con l’obiettivo dichiarato di promuovere la cooperazione tra le due sponde del mare interno. Se da un punto di vista politico e sociale ancora molti sono i passi da compiere per l’integrazione euro-mediterranea, dal punto di vista economico, in particolare per quanto riguarda il trasporto marittimo, le performance delle infrastrutture presenti sulle sponde opposte si sono molto avvicinate anche per effetto dei progetti di sviluppo marittimo portuale che i Paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente hanno già realizzato o hanno in corso d’opera. A partire dai primi anni ‘90 si assiste ad un progressivo rafforzamento del ruolo del Mediterraneo nelle principali direttrici di traffico marittimo. I fattori alla base di questo fenomeno sono riconducibili principalmente a: • il fenomeno del gigantismo delle navi, che ha reso quella Trans-mediterranea la rotta privilegiata per i traffici con il Far East in quanto, a differenza del canale di Panama, il Canale di Suez presenta caratteristiche strutturali compatibili con il transito delle grandi portacontainer; • la performance economica del Far East e dei Paesi emergenti del Nord Africa che ha determinato un incremento significativo dell’interscambio via mare sulle direttrici commerciali da/per l’Europa e fra le due sponde del Mediterraneo; • l’impulso dato dall’Unione Europea nel corso dell’ultimo decennio allo Short Sea Shipping, fortemente incentivato per ridurre la congestione sulle strade, che oggi rappresenta il 62% del totale delle merci trasportate via mare dall’Unione2. In questo contesto, l’obiettivo del rilancio dell’Italia quale asse strategico dei traffici all’interno del Mediterraneo è possibile perché vi sono i presupposti, non solo geografici ma soprattutto commerciali. L’interscambio dell’Italia con i Paesi dell’Area Med nel 2011 è stato pari a 29 miliardi di euro in export e 28,7 miliardi in import3: questi flussi avvengono quasi esclusivamente via mare e non solo lungo le rotte deep sea ma anche su quelle short sea. Il bacino mediterraneo risulta presidiato da player attivi nei vari segmenti di business (container, rinfuse e Ro-Ro), contraddistinti da dimensioni aziendali e strategie industriali molto diverse. Accanto alle grandi shipping company, che mirano a intercettare i principali flussi di traffico deep sea anche attraverso il controllo dei maggiori porti dell’area, si colloca un insieme di imprese di dimensioni minori, focalizzate su specifici 2 EUROSTAT, Maritime transport statistics - short sea shipping of goods, 2011. COEWEB, Banca dati. I Paesi con i quali è stato calcolato l’interscambio sono: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Israele, Libano, Libia, Marocco, Montenegro, Siria, Tunisia, Turchia. 3 179 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI segmenti di mercato o su particolari direttrici di traffico short sea). Nel grafico che segue sono indicate le quote di presenza delle shipping company nell’area mediterranea: Distribuzione dei servizi nel Mediterraneo per shipping line (delle 25 principali compagnie mondiali) Safmarine; 7% CSCL; 4% Maersk; 10% YML; 4% Cosco; 4% Hanjin; 4% HSD; 5% NYK; 3% OSK; 3% Hapag-Lloyd; 7% United ArabSC (SAG); 2% CSAV Norasia; 2% APL; 2% Evergreen; 9% OOCL; 2% Comp ania Sud Americana; 1% Delmas; 1% ZIM; 7% MISC; 1% HMM; 1% WHL; 0% CMA-CGM; 9% MSC; 11% PIL; 0% Graf. 1 - Fonte: C.I.E.L.I., 2011 La recessione economica internazionale ha avuto ripercussioni sui traffici via mare nel bacino mediterraneo, dove si è registrata a partire dalla seconda metà del 2008 una contrazione della domanda di servizi marittimi, in particolare con riferimento ai settori dei container e delle rinfuse secche. Sull’andamento dell’interscambio marittimo nel Mediterraneo hanno, inoltre, pesato gli episodi di pirateria a largo della Somalia, che hanno influito sull’andamento del traffico nel canale di Suez, asse strategico del commercio marittimo mondiale perché porta di ingresso privilegiata per i flussi di merci lungo la direttrice est-ovest. Molte delle principali compagnie di linea stanno prendendo in considerazione la possibilità di spostare le navi dei servizi eastbound sulla rotta del Capo di Buona Speranza, preferendo allungare i tempi di consegna pur di evitare il transito per il Canale di Suez. Nonostante ciò nel 2011 a fronte della riduzione del numero delle navi in transito, il canale egiziano ha registrato una variazione in aumento del 7,1% delle merci trasportate, a dimostrazione dell’incremento delle dimensioni delle navi che transitano sulle rotte est-ovest. 180 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR Numero navi e tonnellate di merci in transito nel canale di Suez 800 25.000 Number of ships 600 500 15.000 400 10.000 300 Tons of goods (millions of tons) 700 20.000 200 5.000 100 0 - 2001 2002 2003 Number of ships 2004 2005 2006 2007 of which: container ships 2008 2009 2010 2011 Tons of goods (millions of tons) Graf. 2 - Fonte: elaborazione SRM su dati Suez Canal Authority, 2011 Sebbene anche i traffici Ro-Ro abbiano risentito del calo della domanda mondiale e della crisi del commercio internazionale, tale tipologia di trasporto ha dimostrato, nel complesso, un’elevata capacità di reazione di fronte a cambiamenti esogeni. Il settore dei servizi Ro-Ro riesce infatti ad adeguarsi velocemente ai mutamenti del contesto di mercato, potendo far leva sull’utilizzo di navi molto flessibili in termini di mix di carico. In particolare, con l’avvento dei traghetti di ultima generazione, capaci di combinare con massima flessibilità il trasporto di diverse tipologie di merci con quello passeggeri, le compagnie di navigazione sono in grado di apportare con tempestività le correzioni, operative e gestionali, necessarie per ottimizzare il tasso di riempimento della stiva di fronte a un contingente fattore di crisi che si è manifestato in un determinato mercato e/o area geografica. 3. Il nuovo volto della competizione portuale nel Mediterraneo Il dinamismo recente del Mediterraneo è stato in larga parte determinato dalla riorganizzazione dell’industria del trasporto marittimo e dalla nuova geoeconomia mondiale. Nel contesto di integrazione e di allargamento dell’Unione Europea nonché di crescente globalizzazione che ha portato l’Asia a sostituire il Nord America come motore della crescita, il Mediterraneo è tornato a svolgere un ruolo di “magnete” rispetto alla rete mondiale degli scambi commerciali - visto che il traffico merci tra 181 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI l’Europa e il Far East predilige la rotta che passa per Suez - e si è quindi trovato al centro del network delle compagnie marittime. In risposta a questi fenomeni congiunturali la Sponda Sud del Mediterraneo sta attraversando una fase di rinnovamento: si sono registrati infatti numerosi investimenti con l’obiettivo di ridurre il gap infrastrutturale relativo ai nodi marittimi con i Paesi dell’Unione Europea. Ad oggi nel Mediterraneo sono presenti due principali tipologie di porti dedicati al traffico internazionale: • Porti di transhipment: Scali di destinazione delle grandi navi portacontainer, dai quali il traffico defluisce verso altri porti con navi più piccole (navi feeder). • Porti gateway: Collocati in posizione strategica rispetto ai grandi mercati di origine/destinazione delle merci. Si intendono di transhipment generalmente quei porti in cui più del 50% dei teu movimentati sono destinati al trasbordo (trasferimento di container dalle navi madri alle feeder) o al relay (dalle navi madri alle navi madri), secondo l’organizzazione del sistema hub and spoke, utilizzata da tutte le principali compagnie di navigazione, mentre la restante quota è principalmente destinata al mercato locale. Le due tipologie di porti non sono dunque in competizione tra loro in quanto il transhipment in parte è anche servitore funzionale degli scali di destinazione finale proprio attraverso il sistema dell’hub and spoke, che realizza collegamenti tra decine di porti, rendendo possibile l’internazionalizzazione di tante piccole imprese che diversamente avrebbero avuto notevoli difficoltà a collegarsi e relazionarsi con altri Paesi. In questa prospettiva i porti hub, per il ruolo che ricoprono e grazie alla loro posizione geografica (vicino alle “porte” del Mediterraneo verso l’Atlantico e verso l’Oceano Indiano, oppure vicini alla linea mediana Suez-Gibilterra), continueranno a svolgere un ruolo essenziale, per cui i grandi progetti di ampliamento che coinvolgono diverse realtà (e tra questi, Port Said in Egitto, Tangeri in Marocco ed Enfidha in Tunisia) appaiono del tutto giustificati. Nella tabella sottostante sono specificate le quote di transhipment dei principali hub del Mediterraneo: Quota del transhipment sul totale dei traffici nei principali porti hub del Mediterraneo Mediterranean Hub Gioia Tauro Marsaxlokk Tanger Med Port Said Algeciras Damietta Valencia % transhipment 97% 95% 90% 87% 83% 82% 58% Tabella 1 - Fonte: SRM su dati Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Autorità Portuali, 2012 I dati sopra esposti mostrano la vocazione di “puro hub” per Gioia Tauro e Malta per i quali quasi tutto il traffico è destinato al trasbordo; non è così per i porti spagnoli, in particolare per Valencia, nel quale quasi la metà dei container sbarca nel porto come 182 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR destinazione finale per essere poi indirizzata verso il mercato locale con altre modalità di trasporto. Se fino a un decennio fa i porti del versante meridionale avevano un ruolo marginale nei servizi marittimi deep-sea, lo sviluppo dei terminal di transhipment prima in Egitto e poi in Marocco ha segnato l’ingresso di questi paesi nella gestione del traffico di container. Tale cambiamento ha favorito la crescita significativa dei porti hub del Mediterraneo che tra il 2005 ed il 2011 hanno registrato un aumento del 44% nei container movimentati complessivi. Andamento del traffico di container nei principali hub del Mediterraneo (migliaia di TEU) Mediterranean hub Valencia Port Said Algeciras Marsaxlokk Gioia Tauro Tanger Med Damietta 2005 13.297 2.612 1.621 3.256 1.321 3.208 1.279 2006 13.387 2.609 2.127 3.244 1.485 2.938 984 2007 15.156 2.771 2.640 3.414 1.887 3.445 999 2008 18.043 3.593 3.202 3.324 2.300 3.467 921 1.236 2009 17.767 3.653 3.470 3.042 2.260 2.857 1.222 1.263 2010 18.917 4.206 3.450 2.800 2.200 2.851 2.058 1.352 2011 19.199 4.327 3.800 3.603 2.360 2.305 2.093 711 var. 05-11 44% 66% 134% 11% 79% -28% -44% var. 08-11 6% 20% 19% 8% 3% -34% 127% -42% Tabella 2 - Fonte: SRM su dati Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Assoporti, 2012 La crisi economica ha contribuito a modificare lo scenario del trasporto containerizzato tra l’Europa e il Far East e a disegnare un nuovo volto alla competizione portuale nel Mediterraneo. Si è determinata una flessione nella domanda di beni imponendo una riduzione nella produzione industriale e, in risposta, l’industria dello shipping ne ha risentito in ragione dello stretto rapporto che esiste tra il commercio e le attività marittime. I costi delle operazioni portuali rappresentano una quota rilevante della spesa complessiva del trasporto marittimo per cui si è registrata una maggior attenzione delle compagnie di navigazione ai costi in ogni fase del trasporto, con l’impiego di navi sempre più grandi per aumentare le economie di scala e il maggiore utilizzo dei nuovi grandi hub dell’Africa Settentrionale o del versante orientale del Mediterraneo, meno onerosi rispetto agli scali europei tradizionalmente utilizzati. Questi “nuovi” porti, che possono contare su spazi fisici ampi per la loro operatività e su caratteristiche morfologiche (in particolare la posizione geografica, baricentrica lungo le rotte eastbound e la profondità dei fondali) che li rendono ideali per lo sviluppo di traffici che utilizzino navi portacontainer, si candidano come interlocutori privilegiati per le compagnie di navigazione che attraversano il canale di Suez. Oltre agli interventi infrastrutturali, lo sviluppo dei porti del Nord Africa è stato incentivato anche dalle riforme che i Paesi dell’area hanno posto in essere per rendere più snelle le procedure amministrative legate al trasporto marittimo nonché quelle ambientali che risultano meno restrittive rispetto a quanto previsto in Europa, aumentando ulteriormente la capacità attrattiva dell’area per gli investitori. Non si possono sottovalutare gli effetti della normativa sul lavoro portuale che prevede per 183 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI queste regioni un costo medio del lavoro più basso rispetto ai Paesi europei4, nonché le agevolazioni in termini di costi di gestione (personale, concessioni, energia) e fiscali (tasse di ancoraggio e rimorchio). Le prospettive di crescita dell’area, inoltre, risultano anch’esse rilevanti per attirare i grandi operatori marittimi internazionali, richiamati anche dalle sempre più frequenti delocalizzazioni degli insediamenti di alcune tra le più importanti multinazionali. Per tali vantaggi, i porti sulla sponda africana del Mediterraneo, rappresentano quindi, un’alternativa ai competitor europei che probabilmente non è in grado di assicurare la medesima efficienza, ma è economicamente più conveniente, per le grandi compagnie di navigazione. La politica dei governi nord africani, poi, di affidare lo sviluppo degli scali a operatori internazionali ha aumentato la sicurezza del raggiungimento dei traffici previsti, grazie al mix tra terminalisti puri, già presenti nei possibili mercati complementari, e le compagnie di navigazione, che risultano così incentivate a portare i loro traffici in questi porti5. Si citano tra gli altri APM Terminals (braccio operativo portuale di Maersk, la principale compagnia al mondo) e Eurogate Tanger (consorzio partecipato dai francesi CMA CGM, dalla compagnia di stato marocchina Comanav e da una quota di minoranza dell’italosvizzera MSC, la seconda shipping line al mondo) che operano nel porto di Tanger Med; APM è presente nell’area mediterranea anche a Port Said, Hutchison Port Holding ad Alexandria e El Dekheila, DP World ad Algeri in joint venture con l’Autorità Portuale. L’ingresso di questi porti nello scenario ha determinato un cambiamento nella competizione all’interno del Mediterraneo che si è allargata determinando anche rilevanti modifiche nella classifica degli scali container. Come si rileva dal grafico 3 la situazione relativa agli hub del Mediterraneo è molto cambiata fra il 2005 ed il 2011, a sfavore soprattutto di Gioia Tauro e Algeciras, che hanno perso il 10% e il 4% della propria quota di mercato. C’è poi da segnalare la situazione di Damietta che ha perso nel periodo in esame il 5%, ma la sua performance nel 2011 (-38% rispetto al 2010) ha risentito delle agitazioni della popolazione egiziana che hanno determinato il rallentamento delle attività e, addirittura, per un periodo la chiusura del porto al traffico. Invece Port Said, Malta e Valencia nei sette anni analizzati hanno aumentato i volumi delle loro movimentazioni del 134%, del 79% e del 66%. 4 Uno studio condotto da Eurispes ha evidenziato che il costo medio orario del lavoro di un operaio rilevato nel 2009 presso i terminal di transhipment italiani, è stato di 22,1 euro contro 3,1 euro del Marocco e 1,9 euro dell’Egitto (rispettivamente 7 e oltre 11 volte superiore al dato medio italiano). Differenze analoghe si registrano nel costo medio orario del lavoro di un impiegato, pari a 22,9 euro in Italia, 10,1 euro in Egitto e 7,1 euro in Marocco (rispettivamente 2,3 e 3,2 volte inferiore al dato medio italiano). EURISPES, Cagliari, Gioia Tauro e Taranto: 60 milioni di euro in 5 anni per salvare più di 9.000 posti di lavoro a rischio, settembre 2010. 5 TEI A., FERRARI C., Evoluzione dell’industria terminalistica per i servizi di linea nel Mediterraneo. Implicazioni per la portualità nazionale, SIET 2010. 184 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR Quote di Mercato negli Hub del Mediterraneo. Confronto 2005-2011 (sulla base dei teu movimentati) Pireaeus 8% Cagliari 3% Malta 11% Pireaeus 9% Cagliari 4% Tanger Med 9% Tanger Med 0% Gioia Tauro 20% Gioia Tauro 10% Malta 8% 2005 Valencia 20% Port Said 17% Damietta 8% Damietta 3% 2011 Port Said 10% Valencia 16% Taranto 3% Taranto 4% Algeciras 20% Algeciras 16% Graf. 3 - Fonte: SRM su dati Assoporti e Autorità Portuali, 2012 In particolare i porti della sponda Sud del Mediterraneo hanno incrementato la propria quota di mercato dal 18% al 30% soprattutto a discapito dei porti italiani di transhipment che sono passati dal 28% al 16%. Questi ultimi, che dal punto di vista geografico ricoprono un vantaggio evidente, rischiano la marginalizzazione per i ritardi, rispetto ai competitor, in termini di raccordi ferroviari e servizi di logistica nelle aree retroportuali e per la presenza di un sistema costituito da porti diffusi e di piccola dimensione non adeguati ad attrarre i flussi di merci in container. Il contesto competitivo del Mediterraneo vedrà presumibilmente accrescere nel prossimo futuro il peso dei porti del versante meridionale per i quali sono previsti ulteriori investimenti infrastrutturali. Secondo quanto dichiarato dalle autorità competenti, il valore complessivo delle opere previste che dovrebbero essere ultimate entro il 2015, supera gli 8 miliardi di euro, e comporterà un incremento della capacità di movimentazione di trasbordo stimabile tra i 4,8 e i 10 milioni di teu. Nel dettaglio: • i maggiori investimenti (5 miliardi di euro) sono destinati alla realizzazione di nuovi terminal container nei porto di Tanger Med, che ne dovrebbero incrementare la capacità di trasbordo di 650.000 teu; • il nuovo terminai container del porto di Enfidha in Tunisia, che prevede un investimento complessivo di 1,4 miliardi di euro, avrà capacità di trasbordo di 1,3 milioni di teu. È, inoltre, previsto l’ampliamento del porto di Tunis-Rades, con un investimento di 198 milioni di euro; 185 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI • in Egitto, oltre all’ampliamento del terminal container del porto di Port Said (395 milioni di euro, con una capacità incrementale di trasbordo di 3,5 milioni di teu), diverrà operativo il nuovo terminal container di Alessandria, che, con un investimento di 860 milioni di euro, sarà in grado di movimentare 420.000 teu6. In tale contesto l’Europa, se vuole tentare di agganciare i propri mercati all’area economica asiatica – che registra tassi di crescita a doppia cifra e si va affermando sempre più quale mercato di export (e non più solo di import) - deve dotarsi di connessioni “da e verso” il mondo, in grado di intermediare efficientemente prodotti e merci. I porti europei sono, in tal senso, lo snodo cruciale di interscambio fra l’economia occidentale e il Far East; quindi, a maggior ragione, lo sono i porti mediterranei, che possono contare su un vantaggio competitivo legato a una posizione geografica che, in termini di transit time, garantisce un’alimentazione dei mercati europei da Suez assolutamente competitiva rispetto a quella generata dagli scali dell’Europa Settentrionale. Nonostante il potenziamento delle strutture portuali del Mediterraneo, i porti del Northern Range continuano a svolgere un ruolo preponderante nel trasporto via container tra i paesi dell’Unione Europea e quelli dell’Asia. I motivi sono ben noti e attengono all’efficienza delle operazioni portuali, in termini di attrezzature, servizi, procedure burocratiche e doganali. Non si deve inoltre sottovalutare il potenziale competitivo di rotte di connessione alternative per raggiungere quelle destinazioni che evitano il Mediterraneo. La riduzione della calotta glaciale artica che, secondo alcuni studi, nei prossimi decenni potrebbe ulteriormente diminuire fa presumere che vie marittime finora difficilmente navigabili, come il Passaggio a Nord Est, potranno rimanere aperte per diversi mesi l’anno prima della metà del secolo. La possibilità di sfruttare a livello commerciale queste nuove rotte di comunicazione tra Asia, Europa e America Settentrionale, deve essere vista come una sfida per incentivare il miglioramento in termini di efficienza e sicurezza dell’asse Mediterraneo, nonché per favorire un’offerta logistica competitiva per consentire di mantenere l’attrattività economica di questa rotta. È questo il motivo per cui la rete di trasporti del Mediterraneo deve rispondere alla logica dei flussi commerciali presenti e futuri nel modo più efficiente e sostenibile. Nella tabella che segue sono elencati i primi 10 porti del Mediterraneo e del Mar Nero che nel 2011 hanno movimentato oltre 26,7 milioni di teu. L’andamento dei flussi commerciali e le attività economiche ad essi connesse hanno investito con modalità in alcuni casi molto diverse i Paesi che si affacciano sulle coste, per cui diventa opportuna la suddivisione del Mediterraneo in più ambiti portuali in quanto consente un’analisi più puntuale delle differenti dinamiche. I principali porti del Mediterraneo e del Mar Nero che hanno registrato una movimentazione superiore ai 390 mila teu sono stati raggruppati nel grafico che segue in quattro aree: West Med, East Med, Adriatic Med e Southern Med. 6 EURISPES, Cagliari, Gioia Tauro e Taranto: 60 milioni di euro in 5 anni per salvare più di 9.000 posti di lavoro a rischio, settembre 2010. 186 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR Top ten dei porti del Mediterraneo e del Mar Nero (Teus) ES ET ES TR M IT MA ES IT GR Port Valencia Port Said Algeciras Ambarli Marsaxlokk Gioia Tauro Tanger Med Barcelona Genoa Pireaeus Total 2008 3.602.000 3.186.589 3.327.616 2.262.000 2.330.000 3.467.824 920.708 2.569.477 1.766.605 433.582 23.866.401 2009 3.654.000 3.300.951 3.043.268 1.836.000 2.260.000 2.857.440 1.222.000 1.797.156 1.533.627 664.895 22.169.337 2010 4.206.937 3.627.813 2.810.242 2.540.000 2.370.000 2.852.264 2.058.430 1.948.422 1.758.858 878.083 25.051.049 2011 4.327.000 3.800.000 3.602.631 2.686.000 2.360.000 2.305.000 2.093.408 2.033.549 1.847.102 1.680.133 26.734.823 11/10 2,9% 4,7% 28,2% 5,7% -0,4% -19,2% 1,7% 4,4% 5,0% 91,3% 6,7% 11/08 20,1% 19,2% 8,3% 18,7% 1,3% -33,5% 127,4% -20,9% 4,6% 287,5% 12,0% Tabella 3 - Fonte: SRM su dati Autorità Portuali, 2012 I principali porti per traffico container nel Mediterraneo (in TEU). Anni 2008-2011 4.500 2008 2009 2010 2011 4.000 TEU (thousand) 3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 - WEST MED EAST MED ADRIATIC SOUTHERN MED MED * Non sono disponibili i dati di traffico al 2011 del porto di Izmir. Graf. 4 - Fonte: SRM su dati Autorità Portuali, 2012 Segmentando l’analisi per area, il sistema portuale riconducibile al West Med, che si conferma il principale del Mediterraneo con oltre 21,1 milioni di teu movimentati dai primi 12 porti dell’area, nel 2011 ha segnato una ripresa. Valencia si classifica come il primo scalo per container movimentati, con 4,327 milioni di teu nel 2011 ed un incremento del 20,1% rispetto ai volumi del 2008. Spagnolo è anche il secondo porto dell’area, Algeciras, che con oltre 3,6 milioni di teu movimentati ha registrato un +28% rispetto al 2010 grazie anche al nuovo container terminal gestito dalla coreana Hanjin. Segue Malta, che tra il 2008 ed il 2011 ha saputo mantenere la propria quota di mercato, con una movimentazione pari a circa 2,36 milioni di teu. Per quanto riguarda 187 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI gli altri scali di transhipment del Sud Europa, si confermano le difficoltà di Gioia Tauro, che tra il 2008 ed il 2011 ha perso un terzo dei propri volumi. Anche Taranto ha perso quote di mercato nel quadriennio esaminato ma ha fatto segnare una ripresa del 4% nel 2011 con 604 mila teu movimentati. In Italia meglio sono andati, a livello di container movimentati, i porti regionali gateway, quelli cioè di destinazione “finale”, in cui le merci vengono sbarcate definitivamente a terra perché giunte a destino o per proseguire il viaggio via terra, ranking in cui la Liguria svetta con Genova (+5% rispetto al 2010 con 1,847 milioni di teu) al primo e La Spezia (+1,7% rispetto al 2010 con 1,307 milioni di teu) al secondo posto. Terzo scalo gateway si classifica Livorno, cresciuto dell’1,5% nell’ultimo anno con quasi 638 mila teu, seguito da Napoli con 527 mila teu che, pur avendo registrato una contrazione dei volumi nell’ultimo anno, rispetto al 2008 è cresciuto del 10%. Nell’area del Mediterraneo Occidentale si evidenzia come sia Barcellona tra i porti gateway a pagare maggiormente gli effetti della crisi che ha investito la Spagna negli ultimi anni, segnando un -21% nei teu movimentati tra il 2008 ed il 2011, anche se con 2,033 milioni di container ha recuperato un 4,4% rispetto al 2010. Passando ad un confronto con le altre aree del Mediterraneo, per quanto riguarda il versante adriatico si osserva che i suoi porti hanno registrato buone performance con una crescita complessiva del 35% rispetto al 2008 e del 25% rispetto al 2010, ma a fronte di volumi di traffico decisamente inferiori a quelli tirrenici. Da sottolineare la notevole crescita di Koper (Capodistria) che, con oltre 589 mila container ha registrato una crescita del 66,5% tra il 2008 e il 2011, derivante dal consistente incremento economico dell’Europa Orientale e dal crescente supporto da parte dell’Europa centrale. Anche i porti dell’area East Mediterranean, con oltre 10 milioni di teu, hanno registrato una crescita nella movimentazione dei container, sebbene con differenze tra le diverse realtà. Il principale sistema portuale dell’area, Ambarli, ha incrementato la propria posizione quale porta di accesso all’Europa orientale e quale hub di trasbordo per il Mar Nero, con un volume di traffico nel 2011 pari a 2,69 milioni di teu (+6% rispetto al 2010 e +19% sul 2008), che gli hanno consentito di scalare posizioni raggiungendo il 4° posto nel ranking del Mediterraneo. Sono evidenti i buoni risultati del porto greco del Pireo che nel 2011 è rientrato nel ranking dei primi 10 porti superando 1,6 milioni di teu, riconducibili anche alla messa in funzione di un secondo terminal container a partire dal 2010 gestito dalla COSCO. Va sottolineata la buona performance in Israele del porto di Ashood, che con 1,16 milioni di teu ha rilevato un incremento del 15,5% rispetto al 2010 e del 42% rispetto al 2008. Nei porti del Mar Nero la movimentazione di container sta facendo registrare buoni risultati rispetto al 2010 (+29,6% nel porto di Odessa, +26,8% nel porto di Novorossiysk e +16,5% in quello di Costanza) ma, a parte lo scalo russo, sono ancora di segno negativo per gli altri due porti i dati relativi al confronto con il 2008. Infine, uno sguardo al traffico marittimo containerizzato nei porti della Sponda Sud del Mediterraneo. In quest’area Port Said è l’approdo privilegiato dalle compagnie di navigazione perché ha il vantaggio di affacciarsi sul canale di Suez ed è il primo ad intercettare i flussi di merci provenienti dal Far East; con 3,8 milioni di teu 188 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR movimentati nel 2011 si è confermato il secondo porto del Mediterraneo. Sempre sul versante meridionale è opportuno evidenziare la rapida ascesa di Tanger Med in Marocco, che dal 2008, anno di inaugurazione del primo dei due terminal container che saranno pienamente operativi nel 2016 quando la capacità complessiva sarà portata a 8,5 milioni di container, ha continuato ad aumentare i suoi traffici superando nel 2011 i due milioni di teu. Oltre al segmento dei container Tanger Med ha registrato una buona performance anche nel traffico su traghetti che, rispetto al 2010, ha registrato un aumento del 67% dei tir trasportati. In controtendenza, si rilevano le performances dei porti egiziani di Alessandria (37% sul 2010) e Damietta (-33%) che hanno trascinato in negativo i risultati dell’intero Southern Med che con complessivi 7,5 milioni di teu ha registrato una riduzione dell’8%. Questi risultati sono riconducibili alle agitazioni politico-sociali che nel corso del 2011 si sono verificate in Egitto e che in più di un’occasione hanno determinato anche il blocco delle operazioni portuali. Una sintesi grafica di quanto esposto può essere illustrata nella figura che segue in cui sono rappresentati i primi 10 porti del Mediterraneo per incremento di traffico rispetto al 2010: Top Ten dei porti più dinamici del Mediterraneo (var.% teu movimentati 2011/2010) 100,0% 91,3% 2011 % change on 2010 90,0% 80,0% 70,0% 60,0% 50,0% 40,0% 30,0% 39,6% 29,6% 28,2% 26,8% 20,0% 10,0% 23,6% 16,5% 16,4% 15,5% 9,0% 0,0% Graf. 5 - Fonte: SRM su dati Autorità Portuali, 2012 4. Lo Short Sea Shipping nell’Area Med L’Unione Europea, nel processo di rivisitazione delle reti TEN, sta indirizzando gli Stati membri verso un sistema di trasporto intermodale ed ecosostenibile, verso la creazione di un network di porti di rilevanza strategica su cui concentrare risorse e 189 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI investimenti sia pubblici che privati e verso una maggiore coesione territoriale tra partner comunitari e Paesi terzi. In tale contesto si collocano gli sforzi compiuti per lo sviluppo dello Short Sea Shipping (SSS), inteso quale segmento del mercato del trasporto marittimo a corto raggio che, in ambito europeo, comprende i collegamenti via mare tra porti nazionali e internazionali nonché i servizi da e verso le isole dei Paesi dell’Europa geografica e degli altri Paesi che si affacciano sul Mar Baltico, sul Mar Nero e sul Mar Mediterraneo. Lo sviluppo dello SSS costituisce uno degli obiettivi prioritari della politica comunitaria in materia di trasporti, in quanto funzionale all’implementazione del piano di sostegno dell’intermodalità, finalizzato a: • una riduzione della congestione stradale, con la conseguente attenuazione delle esternalità negative ad essa connesse (quali tasso di incidentalità e inquinamento ambientale); • una concentrazione del traffico merci su direttrici logistiche marittime; • una maggiore coesione economica e sociale tra gli Stati membri. Il fulcro della strategia europea di promozione dello Short Sea Shipping è costituito dal progetto “Autostrade del Mare”(AdM), che mira, in modo diretto, allo spostamento di una quota significativa del traffico merci dal vettore stradale al trasporto marittimo a corto raggio. Una rete AdM integrata agevolerà l’obiettivo di creazione nel bacino del Mediterraneo di una grande e nuova area di “libero scambio”: un mercato unico euromediterraneo, ma anche sviluppo di mercati interni locali e orientati all’export, per la promozione degli scambi e della libertà di circolazione delle persone e delle merci. Non è un caso che “Autostrade del Mare e terrestri”7 rientri tra i 6 progetti prioritari che gli Stati membri dell’UpM hanno deciso di portare avanti con l’obiettivo di contribuire al riavvicinamento tra paesi mediterranei ed europei. Nello specifico, l’espressione “Autostrade del Mare” sta a indicare il trasporto combinato strada-mare di merci e, ove opportuno, anche passeggeri, effettuato essenzialmente mediante l’utilizzo di navi Ro-Ro, Lo-Lo, e miste Ro-pax8. L’avvio di tale iniziativa prevede: • l’attivazione di una fitta rete di collegamenti marittimi transnazionali, schedulati (ad orario pubblicato), frequenti e affidabili; • la realizzazione di infrastrutture portuali dedicate (quali impianti e piattaforme logistiche, aree di stazionamento, terminali Ro-Ro) necessarie a supportare lo sviluppo di un servizio di trasporto intermodale marittimo di grande volume e frequenza elevata. 7 Il Mar Mediterraneo è un’importante autostrada commerciale nella regione. Lo sviluppo delle Autostrade del Mare, la connessione di porti attraverso l’intero bacino mediterraneo, la creazione di autostrade costali e la modernizzazione della ferrovia del trans-Maghreb, aumenterà il flusso e la libertà del movimento di persone e di beni. 8 Con lo sviluppo del trasporto di “transhipment” lo “short sea shipping” ha anche la funzione di distribuire i container che vengono trasportati da un continente all’altro, da un porto “hub” ad un altro porto “hub”, con le navi di tipo “deep-sea”. Il trasporto di “feederaggio”, ma anche più in generale quello semplicemente di contenitori a corto raggio, tende sempre di più, se ne ha le caratteristiche, ad essere inquadrato nel termine di “Autostrade del Mare”. 190 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR La navigazione tramite navi Ro-Ro rappresenta, inoltre, una delle modalità su cui puntano la politica comunitaria per lo sviluppo dell’intermodalità. Tale tipologia di trasporto si configura, infatti, come uno dei principali antagonisti al “tutto strada”, rispetto al quale presenta numerosi vantaggi: • costi complessivi più competitivi, soprattutto nel caso di trasporto “non accompagnato” (ovvero imbarco sui traghetti dei soli rimorchi) sulle distanze medio-lunghe; • significativo abbattimento dei costi ambientali e sociali connessi alla riduzione del congestionamento del sistema autostradale; • investimenti relativamente contenuti per l’ammodernamento e/o realizzazione delle infrastrutture di supporto al traffico Ro-Ro9. Le Autostrade del Mare e lo Short Sea Shipping sono una risorsa strategica per l’Europa e in particolare per l’Italia, in quanto sistema che, quando correttamente integrato, oltre a ridurre l’impatto ambientale del trasporto delle merci, consente di raggiungere i nuovi mercati emergenti dai quali ci si attende un forte sviluppo economico. Nel corso dell’ultimo decennio il trasporto marittimo a corto raggio nell’ambito del Southern Range ha conosciuto una fase particolarmente positiva, contrassegnata dal consistente aumento dei flussi movimentati, merci e passeggeri, e da un significativo sviluppo del sistema di rotte attivate. Le statistiche disponibili confermano questa tendenza: nel 2009, lo SSS ha rappresentato il 62% (60% nel 2008) del trasporto marittimo complessivo di merci nell’UE-27; tale quota comunque, varia ampiamente da paese a paese. La predominanza dello Shortsea sulle altre modalità (“deep sea shipping”) è particolarmente predominante in Italia (78,6%) e la posizione geografica del Paese in parte spiega tale prevalenza. Se fino a qualche anno fa, la rinnovata centralità del Mediterraneo nelle strategie commerciali delle grandi shipping company era da attribuire, in via pressoché esclusiva, alla forte espansione del traffico container che aveva portato alla nascita di grandi scali hub, nell’attuale fase di downturn economico, la vitalità dell’interscambio marittimo nell’area assegna un ruolo rilevante anche al sistema dei servizi Ro-Ro. Nel 2009 il trasporto marittimo in SSS tra i porti UE e quelli mediterranei è stato di 566 milioni di tonnellate, ovvero circa il 30% del trasporto complessivo in SSS realizzato dai porti dell’UE-27 (circa 1,7 miliardi di tonnellate di merci)10. Il Mediterraneo è dunque diventata l’area in cui si registra la maggiore concentrazione di navigazione a corto raggio nell’UE-27, come indicato nel grafico che segue: 9 MCC, Bridge over troubled water, 2009. EUROSTAT, Maritime transport statistics - Short Sea Shipping of goods, Aprile 2011. 10 191 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Destinazioni dello Short Sea Shipping di merci dell’UE-27 Others 4% Atlantic Ocean 14% North Sea 26% Baltic Sea 20% Black Sea 6% Mediterranean Sea 30% Graf. 6 - Fonte: Eurostat, 2011 Esistono diverse tipologie di trasporto Short Sea, dalla movimentazione di container e di rinfuse a quella tramite general cargo e Ro-Ro. In Europa gioca un ruolo determinante il traffico di rinfuse liquide con una quota pari a circa il 50% del totale delle merci movimentate (837,1 milioni di tonnellate); con 339,1 milioni di tonnellate seguono le rinfuse solide che rappresentano la seconda più diffusa tipologia di merce trasportata nel segmento Short Sea (20%). Un contributo non trascurabile alla crescita del cabotaggio merci tra scali mediterranei è venuto: • dall’incremento del feederaggio, riflesso diretto del rilevante aumento dei volumi di traffico containerizzato nell’area. Le tendenze post crisi indicano infatti che in molti casi i sistemi di rotte delle grandi navi di transhipment sono programmati senza frammentare il viaggio con scali multipli, in corrispondenza di ciascun paese di destinazione, ma piuttosto concentrando in pochi grandi scali maggiori quantità di merci e scambiandosi tra loro i traffici di destinazione regionale (multi-hub transhipment); • dal forte sviluppo dei servizi Ro-Ro, che hanno beneficiato dei programmi comunitari di sostegno del trasporto combinato strada-mare. • dallo sviluppo economico dei paesi della Sponda Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente, che negli ultimi anni sta trainando l’interscambio commerciale all’interno dell’area euromediterranea. Si tratta di realtà economiche in forte crescita che hanno subito in misura più contenuta gli effetti della crisi 192 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR internazionale, in ragione di una rigida regolamentazione dei sistemi finanziari locali. In prospettiva, l’espansione demografica, l’aumento dei redditi e il rafforzamento dei rapporti commerciali tra questi paesi e la UE dovrebbe determinare una ulteriore crescita dei traffici di cabotaggio nel bacino; questo si rivela un vantaggio potenziale soprattutto per l’Italia, data la sua posizione geografica e gli stretti rapporti commerciali che la legano ai Paesi Med. Le navi Ro-Ro che trovano impiego principalmente su rotte a breve-medio raggio, hanno riscosso negli anni un grande successo commerciale in ragione dei vantaggi, economici ed operativi, offerti rispetto alle navi tradizionali: • elevata capacità di integrazione con altri sistemi di trasporto; • flessibilità nella capacità di trasporto, potendo imbarcare ogni tipo di carico (passeggeri, container, auto, rimorchi merci pallettizzate, etc.): ciò consente di frazionare il rischio e di raggiungere più rapidamente la sostenibilità economica; • velocità delle operazioni commerciali di carico/scarico, stivaggio e ormeggio; • possibilità di utilizzare impianti di supporto meno complessi, essendo in grado di operare, ad esempio, anche in presenza di bassi fondali o in assenza di mezzi di sollevamento. Inoltre, l’aumento della velocità di crociera delle navi traghetto (fino a 25 nodi per i Ro-Ro cargo e intorno ai 30 nodi per i Ro-Ro pax) ha ulteriormente incrementato l’efficienza di tale mezzo, che è divenuto il vettore chiave per lo sviluppo del traffico cabotiero nel Mediterraneo, soddisfacendo la crescente esigenza di trasporto intermodale door to door. Con riferimento al traffico merci internazionale, le tre principali direttrici lungo le quali si distribuiscono i flussi commerciali in ambito intra-mediterraneo presentano caratteristiche diverse: • il versante West-Med movimenta l’interscambio di merci di Italia, Spagna, Francia e Malta; rappresenta il segmento di mercato più consolidato nell’ambito delle AdM, contraddistinto da un’ampia offerta di servizi di trasporto, diversificata in termini di destinazioni, prezzi e frequenze. In quest’area è attiva un’ampia rete di rotte servite da player in concorrenza tra loro; • il versante East-Med comprende tutte le rotte internazionali di collegamento con i Balcani (Albania, Croazia, Montenegro), il Sud Est Europa (Grecia) e il Medio Oriente (Egitto, Israele, Turchia); si configura come area di business in forte espansione con riferimento sia ai volumi di traffico sia al grado di competizione. Sebbene lungo l’asse orientale siano attivi prevalentemente armatori di nazionalità greca, si registra un incremento dell’offerta da parte di operatori italiani, che intendono sfruttare le potenzialità di crescita del sistema Adriatico-Mediterraneo a seguito dell’allargamento ad Est della UE. Il corridoio adriatico-ionico rappresenta, infatti, una direttrice strategica nei traffici mercantili internazionali, in quanto rotta privilegiata per raggiungere i mercati emergenti dell’Europa centro-orientale. In particolare nell’area Est del 193 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Mediterraneo vi sono Paesi ad alta potenzialità per la crescita economica e per l’apertura internazionale ed in cui l’economia portuale è in rapido sviluppo (Port Said, come esempio, è ormai il secondo porto del Mediterraneo per movimento di container). Si tratta poi di Paesi che presentano un elevato livello di integrazione commerciale con l’Europa e l’Italia. Con riferimento alle potenzialità di sviluppo dell’asse Adriatico-Ionico, è in fase di promozione, nell’ambito del Programma Comunitario TEN-T, la realizzazione di 9 nuovi corridoi delle AdM lungo il versante East Med. • Sulla base dei dati elaborati nello studio di presentazione del progetto “Eastern Mediterranean Region Motorways of the Sea (East Med MoS)”, l’attivazione delle nuove linee di AdM dovrebbe portare ad un significativo incremento del traffico merci, stimato nell’ordine di circa 11.000 tonn.-km al 2015, equivalenti a 400.000-700.000 tir/rimorchi trasportati. • l’area del Nord Africa che gestisce le relazioni commerciali con il Marocco, la Tunisia e la Libia; costituisce un mercato emergente, che offre alle compagnie di navigazione ampi margini per l’attivazione di un elevato numero di linee di collegamento. Questa regione presenta un sistema portuale attraverso il quale transitano volumi rilevanti del commercio internazionale, oltre ai flussi merci sulla rotta Nord Africa/Medio Oriente verso Europa meridionale/centrale. In particolare, Tunisia e Marocco già dispongono di linee regolari di trasporto di merci e passeggeri/veicoli e, in prospettiva, è verosimile attendersi un incremento del numero di collegamenti attivati, in linea con l’esigenza di rafforzare l’integrazione di queste aree nell’economia europea. Dato l’alto potenziale di sviluppo, gli operatori dello shipping manifestano un forte interesse verso questa direttrice, destinata ad assorbire quote crescenti del traffico commerciale internazionale. Da quanto esposto si desume che il mercato dei servizi di trasporto intermodale tramite navi Ro-Ro in ambito intra-mediterraneo presenta notevoli potenzialità di crescita in termini di dimensione economica e grado di redditività. Sebbene i maggiori gruppi armatoriali attivi nel settore gestiscano le principali linee delle AdM, il mercato non è saturo. Resta, infatti, ampio spazio per l’attivazione di nuovi collegamenti lungo i versanti orientale e nord africano, in ragione del forte incremento atteso dei traffici, sia merci che passeggeri. Il network delle AdM in ambito mediterraneo è, ad oggi, gestito da un numero elevato di players, che evidenziano un forte dinamismo in termini di politiche commerciali e strategie di posizionamento competitivo. Il settore risulta, dunque, presidiato da competitor con caratteristiche differenti per dimensione e ambito di operatività11: 11 194 MCC, Bridge over troubled water, 2009. IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR • i grandi gruppi armatoriali, attivi sia su rotte nazionali sia internazionali, che controllano la rete delle principali direttrici del traffico Shortsea del Mediterraneo; • le imprese minori, specializzate nei traffici locali e posizionate su specifiche nicchie di mercato, che offrono servizi su un numero ridotto di linee. In merito alle compagnie di navigazione più grandi, che evidenziano un maggiore dinamismo nelle strategie industriali, le direttrici di sviluppo perseguite includono anche: • operazioni di M&A e accordi di collaborazione con partner, nazionali e internazionali, diretti alla penetrazione di mercati non presidiati, strategici/complementari a quelli tradizionalmente serviti (ad esempio il Gruppo Grimaldi controlla la Minoan Lines, leader nel settore dei traghetti passeggeri e merci in Grecia, la maltese Malta Motorways of the Sea oltre a partecipare a joint venture in Spagna); • crescita dimensionale attraverso acquisizioni di aziende operative in comparti complementari al core business aziendale, orientata al conseguimento di sinergie, miglioramento della qualità dei servizi offerti e razionalizzazione nell’impiego delle risorse produttive; • politiche di investimento in nuove navi ad alta velocità, di dimensioni maggiori e soprattutto estremamente flessibili in termini di mix di carico, al fine di ridurre l’esposizione a eventuali oscillazioni dei singoli mercati. Si registra, inoltre, la tendenza, da parte degli operatori di maggiori dimensioni, ad adottare strategie mirate alla creazione di valore, attraverso processi di concentrazione non solo orizzontale ma anche verticale, mediante l’espansione del business ai terminal portuali. La gestione di tali strutture - elemento di raccordo tra la componente marittima e quella terrestre del trasporto intermodale - costituisce un fattore strategico per la competitività e operatività delle società di navigazione, in quanto permette di: • migliorare la qualità del servizio fornito attraverso il controllo diretto delle variabili che condizionano l’offerta (tempi di attesa, servizi accessori, etc.); • recuperare margini di redditività, riducendo l’impatto che le operazioni portuali hanno sul costo complessivo del trasporto. Con riferimento all’area geografica di attività12, si riscontra un ruolo prevalente degli operatori italiani sulle rotte internazionali, con Grimaldi Group e Grandi Navi Veloci che gestiscono rispettivamente 24 e 7 collegamenti con i porti del Mediterraneo occidentale e del Nord Africa. Attraverso la controllata greca Minoan Lines, Grimaldi Group è presente nel Mediterraneo anche lungo il corridoio adriatico, con 10 linee da/per la Grecia, mercato tradizionalmente servito da player locali (quali Anek Lines, 12 Le notizie relative alle rotte sono state ottenute dalla consultazione dei siti internet delle shipping companies a marzo 2012. 195 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Agoudimos e Blue Star Ferries). Nell’offerta di trasporto sul versante croato dell’Adriatico primeggia la compagnia di navigazione Jadrolinija, operativa con 4 linee; si tratta, tuttavia, di un’attività di natura stagionale che risente fortemente dell’andamento dei flussi turistici. In generale, nei collegamenti marittimi da/per la Croazia si registra un significativo incremento della presenza da parte di imprese italiane (quali BluLines e SNAV), che mirano a penetrare un mercato ancora poco presidiato. Sulle rotte internazionali con origine/destinazione Nord Africa sono presenti Grimaldi Group (12 linee verso Tunisia, Libia e Marocco) e Grandi Navi Veloci (5 linee verso Marocco e Tunisia). Con riferimento al segmento della navigazione a corto raggio nell’ambito del bacino mediterraneo, il contesto competitivo si caratterizza per: • la forte concorrenza sulle rotte/destinazioni a maggiore valenza commerciale; • il posizionamento delle imprese minori su specifiche direttrici di traffico; • la costante attenzione al livello qualitativo del servizio offerto; • il processo di integrazione nella catena logistica; • la spinta alla formazione di accordi e joint venture finalizzati all’attivazione/ potenziamento di servizi13. Ad oggi l’assetto del mercato dei trasporti Ro-Ro è dominato da operatori impegnati in strategie di ampliamento del business all’interno del bacino mediterraneo, attraverso: • l’estensione della rete di porti serviti e il presidio dei mercati in forte espansione, con il lancio di nuove linee e il rafforzamento delle linee regolari esistenti; • l’attuazione di politiche commerciali aggressive sul fronte dei prezzi e attente allo standard qualitativo dell’offerta. Sebbene il comparto dei servizi marittimi di cabotaggio si qualifichi come attività capital intensive, i costi di investimento sono più contenuti rispetto a quelli necessari per svolgere il servizio lungo le rotte transcontinentali. L’operatività sulle tratte di medio-corto raggio, infatti, richiede, non tanto la disponibilità di un’ampia flotta o di navi di grandi dimensioni, quanto piuttosto la capacità di offrire ai clienti servizi specializzati tailor made, contraddistinti da flessibilità in termini di orari e di porti scalati. In generale, gli aspetti su cui le imprese fanno leva per rafforzare la propria posizione competitiva sono: • la qualità e affidabilità del servizio; • la competitività delle tariffe offerte; • la velocità e le caratteristiche tecnologiche della nave; • il controllo di un’ampia rete commerciale; • l’integrazione con le reti di trasporto terrestre. Nel settore si registrano, inoltre, offerte low-cost sul modello del trasporto aereo, che prevedono ampia elasticità nell’utilizzo dello strumento tariffario. Le imprese 13 196 MCC, Bridge over troubled water, 2009. IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR possono, infatti, variare il prezzo in funzione dell’orario o del periodo in cui si svolge il servizio (alta/bassa stagione), al fine di ottimizzare il fattore di carico. Le politiche di cost saving, attuate attraverso il ricorso a internet per la promozione dell’offerta e l’impiego di una struttura del personale più snella, consentono agli operatori di agire con estrema flessibilità sulla leva tariffaria, con il risultato di massimizzare il tasso di riempimento della capacità della nave14. Nel complesso, il settore dei trasporti Ro-Ro evidenzia prospettive positive. In questo contesto uno dei principali driver di sviluppo del mercato è rappresentato dal concreto decollo del progetto Autostrade del Mare, che dovrebbe portare alla creazione di una fitta rete di cabotaggio dedicata ai traffici Ro-Ro di merci, sia in ambito nazionale che nel bacino mediterraneo. L’integrazione di tali servizi di Short Sea Shipping nella catena logistica, per offrire agli operatori soluzioni competitive sotto il profilo dei costi e dei tempi, richiede certamente la promozione di efficienti collegamenti marittimi, ma non va disgiunta dalla realizzazione di connessioni adeguate, in termini di capacità e livello di servizio, con il sistema di trasporto terrestre sia stradale sia ferroviario. 5. La navigazione a corto raggio in Italia. Caratteristiche della domanda e dell’offerta Le Autostrade del Mare rappresentano un servizio di trasporto, alternativo e complementare al trasporto stradale, finalizzato a far viaggiare camion, container e automezzi sulle navi, particolarmente rilevante in Italia che vanta quasi 8.000 km di costa. Questo tipo di servizio permette di limitare la congestione delle strade e ottenere benefici effettivi in termini di riduzione dell’incidentalità e dell’inquinamento ambientale. In Italia il settore dei servizi di trasporto Ro-Ro sulle linee merci ha sperimentato, nel corso dell’ultimo decennio, un trend particolarmente positivo in termini di volumi di traffico, di collegamenti attivati (nazionali ed esteri) e di livello del servizio offerto (frequenza e orari). La posizione geografica della penisola italiana ha favorito la crescita dei servizi di trasporto a corto raggio, sia sul fronte tirrenico che su quello adriatico-ionico, con flussi in progressivo aumento sulle direttrici internazionali che collegano l’Italia alla Spagna, al Nord Africa, ai Balcani e al Sud Est Europa (Grecia e Turchia). Non è quindi un caso che il nostro Paese sia il primo nell’EU27 in termini di merci trasportate in SSS nel Mar Mediterraneo con 235,6 di milioni tonnellate nel 2009, pari al 41,6% del totale; l’Italia detiene il primato anche nel Mar Nero con 41,3 milioni di tonnellate, pari al 34% del totale.15 Alla buona performance del settore merci ha contribuito in modo significativo l’utilizzo del c.d. Ecobonus introdotto con la Legge Finanziaria 2008 (Legge 244/07) 14 15 MCC, Bridge over troubled water, 2009. EUROSTAT, Maritime transport statistics - short sea shipping of goods, 2011. 197 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI finalizzato ad agevolare la scelta del vettore marittimo da parte degli autotrasportatori in alternativa al “tutto strada”. Tale iniziativa prevede il riconoscimento di un contributo diretto alla compensazione dei costi esterni non sostenuti dal trasporto su strada, relativamente alle tratte marittime, nazionali e comunitarie, ammesse all’agevolazione. Le tratte marittime incentivabili sono specificamente individuate dal Ministero dei Trasporti sulla base di tre principali parametri: • idoneità a favorire il trasferimento di consistenti quote di traffico dalla modalità stradale a quella marittima; • idoneità alla riduzione della congestione stradale sulla rete viaria nazionale; • prevedibile miglioramento degli standard ambientali ottenibili con il ricorso al vettore marittimo rispetto al corrispondente percorso stradale. L’importo del rimborso è pari al massimo al 30% della tariffa applicata ed è assegnato alle imprese di autotrasporto che: • imbarcano su nave destinata prevalentemente al trasporto merci (Ro-Ro e Ro-Ro pax) i propri veicoli accompagnati o meno dai relativi autisti; • avranno effettuato almeno 80 viaggi in un anno su una stessa tratta marittima. L’ecobonus ha ottenuto l’autorizzazione da parte della Commissione Europea, superando le restrizioni imposte agli aiuti di Stato. Si tratta del primo caso in Europa e, ad oggi, questa particolare forma di incentivazione rappresenta una best practice a livello comunitario, in quanto va a premiare direttamente l’autotrasportatore in funzione sia della distanza che percorre via mare, sia del numero di viaggi che vengono compiuti. Questa esperienza italiana di successo costituisce, pertanto, un modello sul quale si sta lavorando per la realizzazione di un ecobonus a livello europeo. Oltre agli incentivi, si richiedono anche interventi di ordine infrastrutturale soprattutto di integrazione con interporti, piattaforme logistiche e terminal portuali per rafforzare la competitività dei servizi Ro-Ro rispetto all’offerta di trasporto merci su gomma, garantendo velocità nelle operazioni di imbarco/sbarco, flessibilità/regolarità dei carichi, certezza dei tempi di consegna. Al fine di controllare l’erogazione dei rimborsi e il reale sviluppo di queste politiche, a partire dal 2004 è stata costituita una società per azioni, RAM-Rete Autostrade Mediterranee, sotto il diretto controllo del Ministero dell’Economia, con il compito di controllare l’attribuzione dell’Ecobonus ed effettuare costanti studi sull’effettiva implementazione della rete di connessioni. Il grafico che segue mostra l’andamento del trasporto merci in Italia effettuato con navi Ro-Ro e mostra come anche questo segmento abbia risentito degli effetti della crisi, ritrovando però una ripresa significativa nel 2010. In realtà tale tipologia di traffico ha subito, secondo i dati di uno studio di Confetra16, un ulteriore rallentamento concentrato nel secondo semestre 2011 che ha fatto registrare una variazione negativa annua del 3,8%. 16 CONFETRA, Nota congiunturale sul trasporto merci. Gennaio - Dicembre 2011, pubblicata a febbraio 2012. 198 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR Con riferimento al mercato delle rotte da/per l’Italia delle AdM, il network portuale implementato dalle compagnie di navigazione per il trasporto combinato strada-mare nel bacino mediterraneo prevede un sistema di rotte molto articolato, su cui si svolgono servizi di linea Ro-Ro, ad alta velocità e frequenza. Sulle rotte da/per l’Italia (linee nazionali, internazionali e di continuità territoriale) sono operative 38 compagnie di navigazione, di diversa nazionalità, ciascuna con business prevalente nell’area geografica prossima al Paese di origine. Il 49,7% delle linee attivate fa capo ai primi cinque operatori, evidenziando una struttura del mercato duale, che vede la presenza di pochi grandi gruppi armatoriali accanto ai quali opera un numero elevato di imprese di dimensioni minori in accesa concorrenza tra loro17. Andamento del traffico Ro-Ro merci nazionale, 2007-2010 (valori in tonnellate) 86.000.000 84.000.000 82.000.000 80.000.000 78.000.000 76.000.000 74.000.000 72.000.000 70.000.000 2007 2008 2009 2010 Graf. 7 - Fonte: SRM su Assoporti L’analisi del mercato italiano evidenzia che, nonostante il protrarsi della crisi, l’offerta di servizi annuali effettuati da operatori nazionali con navi Ro-Ro in partenza dai porti italiani si mantiene su un trend positivo. In particolare, si nota come attualmente le linee nazionali siano sviluppate quasi esclusivamente tra i porti tirrenici mentre i porti adriatici, sviluppano per lo più un traffico internazionale grazie alla loro maggior vicinanza ai porti greci, albanesi, della ex-Yugoslavia e ai molti traffici instaurati con la Turchia. I dati disponibili a marzo 2011 mostrano per la Sicilia un incremento sia nel numero di partenze a/r settimanali (da 77 a 82) sia nel numero di linee (da 18 a 22); di conseguenza salgono, seppure di poco, i metri lineari offerti che si attestano a oltre 313.000 per settimana. In controtendenza la Sardegna registra un calo di circa il 20% nel numero delle partenze settimanali e conseguentemente dei metri lineari offerti che scendono a 240.000. Si tratta sicuramente di una situazione 17 MCC, Bridge over troubled water, Dicembre 2009. 199 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI transitoria legata al processo di privatizzazione della Tirrenia che va a sommarsi al difficile momento dell’economia sarda peraltro non sostenuta come per la Sicilia, dall’ecobonus. Con riferimento al traffico internazionale, gli armatori italiani offrono ormai collegamenti dall’Italia per la gran parte dei paesi del West Med (Francia, Spagna, Marocco, Tunisia, Libia, Malta) e guardano positivamente anche al Mediterraneo orientale dove operano servizi verso la Grecia, la Siria e l’Egitto. Purtroppo, i recenti fatti che stanno interessando i paesi arabi pongono almeno nell’immediato un grosso ostacolo all’operatività dei servizi di linea che in molti casi hanno subito rallentamenti se non addirittura sospensioni. Sui traffici internazionali anche se si registra una leggera diminuzione dei viaggi a/r settimanali offerti, salgono i metri lineari (198.140) grazie all’entrata in servizio di navi più capienti e si allungano le distanze medie percorse con l’ingresso della linea per la Siria e l’Egitto. Complessivamente a marzo 2011 le direttrici passano da 20 a 22. Nell’insieme sulle linee per la Sicilia e su quelle internazionali la capienza di stiva offerta annualmente dagli operatori nazionali è pari a 1,4 milioni di veicoli commerciali o a 1,7 milioni di semirimorchi18. Altra considerazione da effettuare è relativa alla tipologia di servizi offerti dalle diverse compagnie: nonostante numericamente gli operatori solo merci risultino essere approssimativamente pari ad un terzo del totale, solo una piccola parte dei servizi offerti, circa il 17%, è dedicata esclusivamente al traffico merci, mentre le restanti linee sono di norma miste, merci e passeggeri. Tale fattore, oltre a risultare una tendenza che va sempre più consolidandosi nel settore, determina effetti sia sul tipo di servizio che i vari operatori possono offrire sia sulle differenti caratteristiche dei terminal stessi. Da un lato, infatti, tale fattore determina la presenza di alcune linee esclusivamente stagionali, come quelle verso alcuni porti sardi, mentre dall’altra potrebbe rendere necessaria la presenza di alcune facility adatte all’imbarco e allo sbarco dei passeggeri nonché una possibile differenziazione di tempi e tariffe in confronto all’attività solo merci. A fronte di tali caratteristiche positive del mercato, in Italia lo sviluppo delle AdM presenta ancora alcuni elementi di criticità: l’attuale struttura dei servizi offerti si concentra essenzialmente sul cabotaggio obbligato, ovvero quello verso le Isole, e non su quello alternativo, con la sola eccezione del tratto sostitutivo alla Salerno-Reggio Calabria. La presenza dei valori più alti degli indici sui porti insulari rispetto a quelli continentali, del resto, sembra confermare questa configurazione. Tale fattore è sottolineato anche dalla minore presenza di servizi sul versante adriatico del Paese. Su questo punto sembra cruciale per il definitivo affermarsi delle Autostrade del Mare raggiungere elevati livelli di affidabilità e continuità nel tempo dei servizi e delle loro frequenze, rendendo più stabile quindi l’offerta. Restano, tuttavia, ostacoli alla valorizzazione del fattore costo: la durata del trasporto intermodale, compreso il trasporto marittimo a corto raggio principalmente a causa della non adeguatezza di infrastrutture multimodali; l’interoperabilità non fluida 18 200 CONFITARMA, Assemblea annuale, 15 giugno 2011. IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR tra i vari operatori di trasporto multimodale coinvolti e i tempi di transito ancora troppo lunghi. Il processo di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti italiani con la realizzazione di infrastrutture dedicate esclusivamente al traffico ro ro, unitamente all’operatività degli incentivi previsti a vantaggio degli autotrasportatori, costituirà un elemento necessario per l’ulteriore sviluppo delle vie marittime. Inoltre, occorre evidenziare come anche i costi portuali e terminalistici, tanto quanto le tariffe del servizio di trasporto, possono alterare in modo significativo lo sviluppo del progetto in quanto il traffico sulle rotte AdM può essere sempre svolto in alternativa lungo percorsi stradali. In questo contesto la politica tariffaria portuale gioca un ruolo importante, potendo rappresentare un concreto elemento di supporto per rendere economicamente convenienti le rotte AdM. Nel segmento delle navi traghetto, che costituiscono i vettori d’elezione per i traffici Shortsea, l’Italia occupa una posizione di leadership. Il nostro Paese, infatti, non solo rappresenta il principale costruttore mondiale di traghetti misti passeggeri-merci, ma nel corso degli ultimi anni, la consistenza della flotta nazionale di Ro-Ro ha conosciuto una marcata espansione, principalmente nel segmento merci, che ha portato l’Italia ad occupare la prima posizione al mondo in tale segmento. Il nostro Paese gestisce 188 navi (152 Ro-Ro pax e 36 Ro-Ro cargo), per 1,2 mln/dwt di capacità, pari a circa il 13% dell’offerta di stiva a livello internazionale. Principali flotte mondiali di navi traghetto (dati al 1 gennaio 2011) Countries Italy Japan Sweden Greece Finland Denmark USA Germany Turkey France China UK Norway Spain Arab Emirates TOTAL N. 36 72 29 32 34 29 35 31 32 19 14 17 14 14 31 804 Ro-ro cargo dwt 703.755 449.561 370.470 187.933 255.938 283.814 319.012 220.916 255.483 173.202 116.829 161.971 101.821 84.135 124.896 5.940.182 N. 152 111 43 110 29 36 56 43 52 40 42 42 99 62 15 1564 Ro -ro pax dwt 544.602 332.222 206.439 294.752 181.593 140.230 91.272 123.152 59.459 125.586 156.798 66.639 124.773 134.213 81.372 3.900.289 Total N. 188 183 72 142 63 65 91 74 84 59 56 59 113 76 46 2368 dwt 1.248.357 781.783 576.909 482.685 437.531 424.044 410.284 344.068 314.942 298.788 273.627 228.610 226.594 218.348 206.268 9.840.471 % share 13% 8% 6% 5% 4% 4% 4% 3% 3% 3% 3% 2% 2% 2% 2% 100% Tabella 4 - Fonte: Confitarma 2011 Pur nell’ambito di un quadro congiunturale negativo, le prospettive della flotta nazionale destinata ai servizi Ro-Ro permangono favorevoli, in quanto si registra la tendenza da parte degli armatori ad investire in mezzi capaci di offrire un’elevata versatilità in termini di trasporto misto merci e passeggeri. 201 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI BOX - LE FONTI DI FINANZIAMENTO DELLE AUTOSTRADE DEL MARE I progetti per la realizzazione delle AdM mobilitano varie fonti di finanziamento, private e pubbliche, fra cui aiuti nazionali e diversi programmi di finanziamento comunitario. In particolare, la UE partecipa al sostegno finanziario degli investimenti per le AdM attraverso due strumenti principali: • il bilancio del programma per le reti TEN-T, che assegna al progetto un budget totale di 310 milioni di euro per il periodo 2007-2013, di cui e 85 milioni di competenza del 2009, 100 milioni per il 2010 e 70 milioni per il 2011. Il contributo finanziario è riconosciuto per la copertura fino al 30% dei costi di investimento nell’arco di due anni. Delle quattro macro-direttrici individuate in sede comunitaria per la costruzione di progetti AdM di rilevanza europea, due riguardano l’area mediterranea: o Autostrada del mare dell’Europa sudorientale (Asse Sud-Est, c.d. Mediterraneo orientale), che copre l’area adriatica e ionica sino a Cipro e alla Turchia. o Autostrada del mare dell’Europa sudoccidentale (Asse Sud-Ovest, c.d. Mediterraneo occidentale), che collega Spagna, Francia, Italia, Malta e che si raccorda con l’Autostrada del Mare dell’Europa sudorientale. Per accedere all’investimento il progetto deve concernere una delle direttrici per le AdM individuate in sede comunitaria ed avere come obiettivo il cambiamento modale o la coesione finalizzata alla concentrazione dei flussi di merci su vie marittime, migliorando i collegamenti marittimi esistenti, o creando nuovi collegamenti sostenibili. • il programma Marco Polo II, di cui le AdM costituiscono una delle cinque azioni prioritarie, che prevede stanziamenti per la copertura dei costi operativi sino ad un massimo del 35% nell’arco di cinque anni, destinati essenzialmente alla componente servizi. Il finanziamento è concesso solo alle iniziative che riguardano il territorio di almeno due Stati membri o di almeno uno Stato membro e di un Paese terzo vicino. Il programma dispone di una dotazione di 450 milioni di euro per il periodo 2007-2013, di cui 59 milioni di competenza del 2009, 63,54 milioni per il 2010 e 56,87 milioni per il bando 2011. I progetti selezionati per le sovvenzioni nel periodo 2007-2010 sono stati 102. I finanziamenti a titolo delle reti TEN e del programma Marco Polo II possono essere combinati per un singolo progetto. In particolare, si può far ricorso ai fondi TEN quando gli investimenti delle AdM riguardano attrezzature e infrastrutture e i beneficiari sono gli Stati Membri, mentre i servizi e i costi operativi possono essere sostenuti dal programma Marco Polo e i beneficiari sono i privati. I progetti proposti vengono realizzati tramite partenariati pubblico-privato sulla base di gare d’appalto indette congiuntamente dagli Stati membri interessati. • il programma di cooperazione transazionale Mediterraneo, nell’ambito del quale è aperto il bando “Trasporti e accessibilità” che ha come scopo il rafforzamento 202 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR delle attività portuali del bacino e il miglioramento dell’accessibilità e dei trasporti marittimi grazie alla multimodalità e intermodalità. Il Med non è finalizzato ad attuare lo stesso tipo di attività dei Programmi Ten-T e Marco Polo perché, trattandosi di un Programma di cooperazione internazionale, la sua caratteristica principale è la dimensione territoriale e la capacità di mobilitare attori locali e regionali. In materia di trasporti, il suo obiettivo è quello di migliorare l’accessibilità dei territori, promuovere il trasporto di persone e merci sulla base di sistemi di trasporto sostenibili e integrati. Laddove i fondi comunitari disponibili per il potenziamento dei porti e delle infrastrutture, per lo start-up dei nuovi servizi marittimi e per investimenti in navi e attrezzature non siano sufficienti per portare avanti tali progetti, è possibile l’intervento finanziario degli Stati membri. A tale riguardo, la Commissione Europea è intervenuta, con la Comunicazione 2008/C 317/08 (“Orientamenti relativi ad aiuti di Stato ai trasporti marittimi integrativi del finanziamento comunitario per l’apertura delle Autostrade del Mare”), stabilendo che ciascun Paese UE può concedere finanziamenti nel settore dello Short Sea Shipping, al fine di ottimizzare la catena intermodale e decongestionare le strade. L’aiuto complementare concesso dagli Stati membri deve avere la stessa intensità e durata massime del finanziamento comunitario e non può essere cumulabile con compensazioni a titolo di servizio pubblico. Sono, inoltre, ammessi altri schemi di aiuti di Stato volti a sostenere indirettamente la navigazione a corto raggio, incoraggiando il trasferimento del traffico merci dalla modalità terrestre a quella marittima. Si fa riferimento, nello specifico, al sistema dell’Ecobonus, introdotto in Italia con la Legge Finanziaria 2008, che prevede la concessione di incentivi - sotto forma di rimborso di una parte del costo del passaggio via nave - a favore delle imprese di autotrasporto che scelgono il combinato strada-mare. Accanto agli aiuti di Stato e agli stanziamenti previsti ogni anno dal bilancio TEN-T e dal programma Marco Polo II, sono possibili altre forme di sostegno a favore delle AdM, quali: • i finanziamenti BEI, la quale concede prestiti a lungo termine, fornendo sugli stessi una garanzia (Loan Guarantee Instrument for trans-European transport network projects - LGTT) contro i rischi della fase successiva alla realizzazione del progetto nei primi 5-7 anni (connessi ad es. a riduzioni non previste negli introiti legati all’uso di una determinata infrastruttura). L’intervento finanziario della BEI può arrivare a coprire fino al 50% del costo di investimento dei progetti; • i Fondi Strutturali. Secondo il regolamento dei Fondi Strutturali europei, almeno il 60% della quota assegnata allo Stato membro deve essere utilizzata per finanziare interventi che sostengano lo sviluppo dei corridoi europei e delle AdM. In particolare, con riferimento al Fondo FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), il massimale di cofinanziamento riconosciuto ammonta al 75% della spesa pubblica per l’Obiettivo “Convergenza” e al 50% per l’Obiettivo “Competitività regionale e occupazione”, mentre per il Fondo di Coesione il tasso di cofinanziamento comunitario può raggiungere l’85% dell’investimento19. 19 (MCC, Bridge over troubled water, 2009). 203 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI 6. Conclusioni Questo lavoro, sulla base di un’analisi delle statistiche e dei dati più recenti relativi ai traffici deep sea e short sea, ha messo in luce il ruolo che il Mediterraneo ricopre nello shipping internazionale, evidenziando al contempo le opportunità e i rischi per l’Italia che, forte del suo posizionamento geografico e delle relazioni economiche e commerciali già instaurate con i Paesi che si affacciano sul bacino, può ricoprire un ruolo di primo piano a condizione di superare alcuni vincoli burocratici e di natura infrastrutturale. Dopo il rallentamento delle attività che ha avuto ripercussioni sulle performance e sulle strategie dei player del settore, il 2011 ha visto consolidare per lo shipping i segnali di ripresa già manifestati l’anno precedente. In questo contesto evolutivo il Mediterraneo ha assunto un ruolo strategico, al centro degli interessi delle compagnie armatoriali per le sue potenzialità di sviluppo sia per le rotte internazionali, trovandosi sul percorso ottimale dei flussi di merci eastbound, sia per la navigazione a corto raggio alimentata dal feederaggio e dall’incremento degli scambi nella direzione nordsud. L’analisi mette in luce il cambiamento del volto della competizione portuale nel Mediterraneo che ha visto la nascita e il rafforzamento di nuove strutture sulle Sponde Sud Est che ormai hanno scalato posizioni nel ranking del bacino confermandosi come infrastrutture di riferimento per le shipping companies a livello globale. La nuova configurazione portuale del Mediterraneo è frutto delle scelte dei Paesi della Sponda Sud Est di rafforzare i loro scali sia con investimenti nazionali sia con l’approvazione di progetti logistici che hanno attirato investimenti esteri, in particolare dell’industria terminalistica che, in autonomia o in joint venture con le shipping companies e le istituzioni locali, ha individuato nelle potenzialità di incremento dei traffici nell’area la garanzia di ritorno degli investimenti effettuati. A ciò si aggiungano le disomogeneità economiche, sociali e politiche che esistono tra le due sponde che comunque costituiscono un fattore di attrattività dei porti del Nord Africa. L’analisi ha poi evidenziato la crescita dei flussi intraregionali in direzione nord-sud come riflesso dello sviluppo economico dei Paesi della Sponda Sud Est nonché dell’integrazione euromediterranea: tali flussi, unitamente all’aumento del feederaggio strettamente connesso all’incremento del transhipment, hanno comportato la crescita nel Mediterraneo del trasporto marittimo in Short Sea Shipping: in quest’area si concentra ormai un terzo della navigazione a corto raggio dell’UE 27. Non si deve sottovalutare che le reti marittime di breve percorso per i paesi della sponda meridionale sono particolarmente importanti anche per la limitata affidabilità delle altre modalità di trasporto, a causa delle distanze ravvicinate e della scarsità in molte zone di percorsi terrestri praticabili. Nel contesto che si è venuto a creare per l’Italia si sono concretizzate nuove opportunità di sviluppo: la rete dei servizi di linea container internazionali che include i transiti per il Mediterraneo di carrier globali ed anche servizi feeder ed inframediterranei, costituisce ad oggi un network estremamente articolato e capillare. 204 IL TRASPORTO MARITTIMO NELL’AREA MED: ANALISI DEL TRAFFICO E DEI COMPETITOR In particolare la navigazione a corto raggio per il nostro Paese è un segmento di mercato che presenta ampi margini di crescita sia per l’impulso delle politiche comunitarie e nazionali per lo sviluppo dell’intermodalità sia per il processo di integrazione economica e commerciale dell’area mediterranea. L’Italia in quest’ambito gode di vantaggi strategici importanti: è leader tra i Paesi dell’UE 27 per il trasporto di merci in SSS nel Mediterraneo; sotto il profilo dell’offerta, gli armatori italiani hanno investito molto in questo segmento rendendo quella italiana la prima flotta al mondo di traghetti Ro-Ro. La rete delle Autostrade del Mare offre un numero consistente di relazioni nazionali che collegano l’Italia al centro e al nord per proseguire poi verso l’Europa continentale; a queste si stanno sempre più aggiungendo relazioni internazionali in particolare verso i Balcani e verso la sponda Nord dell’Africa nell’ottica di agevolare la politica europea di favorire il processo di integrazione euromediterranea sia economico-commerciale che politico-culturale. È chiaro che il vantaggio totale della somma delle due reti in termini di connessioni disponibili, accessibilità al mercato, europeo e mondiale è notevole e può generare ulteriori positività. Il tessuto imprenditoriale italiano è infatti costituito da piccole e medie imprese che possono cogliere con tali collegamenti importanti opportunità di internazionalizzazione e che diversamente avrebbero avuto notevoli difficoltà a collegarsi e relazionarsi con altri Paesi; in tal senso, il sistema portuale rappresenta un importante supporto allo sviluppo dell’economia territoriale. Tuttavia le opportunità di sviluppo e di intervento, pur molteplici, sono ancora condizionate da un sistema infrastrutturale non adeguato a sostenere un significativo incremento di traffici. Questo è vero per il segmento dello short sea shipping la cui integrazione nella catena logistica, richiede certamente la promozione di efficienti collegamenti marittimi, ma non va disgiunta dalla realizzazione di connessioni adeguate, in termini di capacità e livello di servizio, con il sistema di trasporto terrestre sia stradale sia ferroviario. I vincoli infrastrutturali costituiscono un freno anche per le potenzialità degli hub italiani di catturare i flussi di traffici containerizzati sempre più frequentemente attirati dai nuovi porti della Sponda Sud ed Est del Mediterraneo, nonché dai porti spagnoli che offrono infrastrutture e collegamenti intermodali che consentono di effettuare le operazioni portuali seguendo criteri di efficienza e di efficacia sempre più importanti per le esigenze delle shipping companies. In tale scenario non si possono che aprire alcuni interrogativi per la portualità italiana: da una parte la grande opportunità di sviluppare nuovi traffici con i porti delle altre sponde del Mediterraneo non può che giovare agli scali nazionali. Tale vantaggio è ancora più evidente se si considera che, oltre al traffico in origine/destinazione di questi Paesi generato dallo sviluppo economico dell’area, laddove questi nuovi porti agiscano da hub sottraendo traffico agli scali di transhipment della Sponda Nord e del Northern Range, si apriranno possibilità di crescita insperate per i porti italiani, con i quali si potranno sviluppare collegamenti di feederaggio. D’altro canto, proprio la presenza di altri hub nel bacino del Mediterraneo, con indubbi vantaggi competitivi in termini di tempi e costi, potrebbe risultare dannosa per i porti di transhipment italiani il cui traffico già negli ultimi anni risulta penalizzato. 205 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Appare chiaro che per concretizzare le opportunità di sviluppo connesse ai traffici deep sea e short sea occorrerà quanto prima superare i vincoli infrastrutturali che caratterizzano i nostri porti: rendere fluido, efficiente ed efficace il processo logistico riducendo i tempi per passaggio delle merci dai porti ai centri di consumo; snellire i vincoli burocratici e procedurali connessi alle operazioni portuali. Il vantaggio geografico, da solo, non è più sufficiente a garantire risultati di traffico; occorre stare sul mercato e, nel contesto economico pressato dalla crisi, questo significa poter offrire alle shipping companies infrastrutture adeguate, efficienza ed efficacia nei servizi forniti. 206 CAPITOLO VII LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO: STATO DI ATTUAZIONE E PROSPETTIVE 1. Premessa L’Area del Mediterraneo si prepara a giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo del settore energetico dei prossimi anni. Il sistema è caratterizzato da una domanda crescente di energia, specie nei paesi della sponda Sud, e dall’altro è mosso da una forte spinta al rinnovamento delle politiche relative. Si tratta di paesi che sono esportatori di energia convenzionale ma si distinguono anche come forti potenziali produttori di rinnovabili. Questa loro notevole capacità produttiva in tema di energia pulita può essere considerato un elemento strategico per la crescita, che in quanto tale offre molte opportunità di sviluppo economico e sociale ma anche diverse sfide. Vari paesi dell’Area hanno adottato piani di lungo termine per lo sviluppo delle energie verdi e dell’efficienza energetica, con indubbi vantaggi in termini di sostenibilità ambientale e nuovi posti di lavoro. La rendita proveniente dallo sfruttamento di queste risorse emerge, dunque, come una grande occasione di crescita a lungo termine. Questo per tutti i paesi, anche per quelli non produttori o scarsamente produttori di idrocarburi, come il Marocco e la Tunisia, in cui lo sviluppo delle fonti rinnovabili è visto molto positivamente per fronteggiare la crescita dei consumi di elettricità e ridurre la dipendenza dalle importazioni di prodotti petroliferi. In particolare, il territorio dei paesi MENA è investito da una quantità significativa di radiazioni solari, pari a più del doppio di quelle dell’intera Europa, con una enorme disponibilità di aree aride o desertiche. Questa possibilità di produrre elettricità dal sole permetterebbe di investire in progetti destinati a coprire i fabbisogni interni ma anche di attirare risorse dedicate a progetti di esportazione dell’elettricità in Europa, favorendo sviluppo economico, occupazione e trasferimento di competenze. L’espansione delle rinnovabili nel Mediterraneo ha il suo fulcro nella fonte solare, ma non prescinde dalle risorse eoliche, diffuse ed egualmente abbondanti, dallo sfruttamento della geotermia (in Turchia), dall’idroelettrico (prevalente) e dalle biomasse. Nonostante un contesto molto favorevole, diverse sono le barriere tecniche, istituzionali e finanziarie che di fatto hanno ostacolato il pieno utilizzo di questo potenziale e che quindi una volta rimosse potrebbero consentire il dispiegarsi dei numerosi vantaggi connessi allo sviluppo delle fonti pulite. In un’area in cui la percezione del rischio-paese condiziona le decisioni di investimento in maniera rilevante, solo con un quadro regolatorio adeguato e soprattutto stabile, con un sistema economico che renda possibile il trasferimento tecnologico e con una necessaria maggiore integrazione fisica tra le due sponde (mediante il potenziamento delle reti di trasmissione elettriche) sarà possibile un pieno sviluppo delle rinnovabili. Una crescita che comporterebbe una serie di benefici per tutti i paesi dell’Area. Per quelli della sponda Nord, migliorerebbe la sicurezza dell’approvvigionamento, 207 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI variando il mix delle fonti, ancora troppo sbilanciato sul fossile; contribuirebbe al raggiungimento degli obiettivi 20 20 20 e consentirebbe un nuovo sbocco industriale per le tecnologie europee. Per i paesi della sponda Sud, permetterebbe l’avvio di progetti industriali articolati; consentirebbe l’accesso all’elettricità per le popolazioni residenti nelle aree rurali e l’allungamento dei tempi di sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Nella sezione del Rapporto Med riservata alle Infrastrutture quest’anno, insieme al trasporto marittimo, è stato inserito il tema delle rinnovabili, ritenuto strategico per gli investimenti e le importanti risorse che saranno destinate a queste aree. L’attenzione alle fonti rinnovabili si è concretizzata in questo capitolo che parte dall’analisi del contesto energetico di riferimento, esamina lo stato attuale e le prospettive di sviluppo delle fonti pulite nei paesi della sponda sud del Bacino del Mediterraneo, evidenzia le criticità e le barriere che finora ne hanno impedito il pieno sfruttamento, individua alcuni tra i progetti più interessanti in fase di definizione/avvio in questi paesi, ed infine delinea le opportunità future per la crescita della Regione connesse allo sviluppo di un’economia green. 2. Il contesto energetico di riferimento I Paesi del Mediterraneo si caratterizzano per la forte crescita demografica, l’incremento del tasso di urbanizzazione, nonché il fiorire di nuovi bisogni socioeconomici. Tutto questo a livello energetico si traduce in un notevole aumento della domanda di energia, in particolare elettrica ed in un bisogno di nuove infrastrutture. Mentre nei paesi a Nord dell’Area il tasso di crescita di tale domanda, a partire dal 1990, è stato pari all’1,8% annuo, nel South Med l’incremento annuo è stato del 6,2% tra il 1990 ed il 2009 (con punte massime in Turchia, 6,6% ed Egitto, 6,3%). Oggi il 70% della domanda complessiva di energia nel Mediterraneo è concentrata al Nord, ma la quota dei paesi del Sud è destinata ad aumentare sensibilmente (fino al 42% del totale nel 2030 secondo le stime OME nel Proactive Scenario1). Le previsioni per i decenni a venire vedono una maggiore rilevanza dei paesi di questa parte del Mediterraneo; se infatti per l’intera regione le prospettive di sviluppo della domanda elettrica al 2030 prevedono un tasso di crescita medio annuo del 2,8%, nel Sud l’incremento annuo previsto è del 4,9%, per un totale di 1.385 miliardi di kWh. La maggiore quota di crescita attesa è imputabile al settore industriale ed a quello residenziale, anche in questo caso con una prevalenza del South Med. In particolare 1 Nell’ambito dell’OME’s Mediterranean Energy Model per Conservative Scenario si intende uno scenario che considera i trend passati, le policy correnti e i progetti in essere, ma adotta un approccio cautelativo relativamente all’implementazione di nuove misure programmatiche e di progetti pianificati. Per Proactive Scenario si intende uno scenario in cui viene considerata l’implementazione di forti programmi di efficientamento energetico e l’aumento della diversificazione del mix energetico, puntando maggiormente sulle fonti rinnovabili ed il nucleare in alcuni paesi del South Med. Viene assunto una simultanea diminuzione di importanza per il petrolio ed il carbone come fonti di generazione elettrica e di contro una maggiore rilevanza per le fonti energetiche e le tecnologie pulite. 208 LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO sono Turchia ed Egitto i paesi che vedono incrementare in misura più significativa la domanda di energia fino al 2030. Prospettive di crescita della domanda elettrica 120% 100% 80% 60% 54% 58% 46% 42% 2030 Conservative 2030 Proactive 70% 84% 40% 20% 30% 16% 0% 1990 2009 SOUTH MED NORTH MED Graf. 1- Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), Mediterraneas Energy Perspectives, 2011 Rispetto a quanto è stato installato (496 GW al 2009), in cui le rinnovabili escluso l’idroelettrico pesano per il 10%, secondo le previsioni sarebbero necessari oltre 380 GW per far fronte all’incremento della domanda in uno scenario “conservativo”, e meno di 320 GW in uno scenario “proattivo”. Di questi, i due terzi saranno destinati ai paesi del Sud, dove i GW installati dovrebbero triplicare passando dai 103 del 2005 ai 357 del 2030. Generazione elettrica. Capacità addizionale richiesta 878 GW 496 GW 100% 812 GW 10 90% 27 18 80% 70% 15 14 60% 37 16 10 50% 10 33 40% 35 30% 20% 28 12 10% 4 9 13 0% 2009 Coal Oil 3 6 2030 Conservative Gas Nuclear 2030 Proactive Hydro Non-hydro Renewables Graf. 2 - Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), Mediterraneas Energy Perspectives, 2011 209 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Emerge in modo definito la necessità di investimenti in nuova capacità da installare, che sarebbero pari a 715 mld di € totali in uno scenario conservativo e circa 700 mld di € in uno scenario proattivo. Nel solo Sud in media occorrerebbero 320 mld di € di cui circa la metà in fonti rinnovabili. (grafico 3). Generazione elettrica. Investimenti addizionali Billion Euros 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 CS PS CS North Med Fossil Fuels PS South Med Nuclear Renewables Graf. 3 - Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), Mediterraneas Energy Perspectives, 2011 Il cambiamento più significativo è proprio dunque il sostanziale incremento del contributo delle fonti rinnovabili. Gli investimenti in infrastrutture elettriche, e dunque la costruzione di nuove linee di trasporto e di distribuzione, come pure l’elettrificazione di gran parte delle zone rurali, diventano obiettivi prioritari in vista delle future esigenze di sviluppo economico e sociale. Dovrebbero consentire, infatti, di affrontare l’incremento della domanda, la crescente proporzione di energia generata da fonti rinnovabili, la necessità di realizzare una maggiore integrazione dei mercati nonché una maggiore sicurezza negli approvvigionamenti. Insistere sulla promozione delle energie verdi implica la costruzione di reti interconnesse; queste sono necessarie affinchè sia consentita la possibilità tecnica di ricevere e distribuire la potenza intermittente generata dalle rinnovabili sull’intera rete, un’intermittenza che invece potrebbe creare problemi alle reti isolate. La realizzazione di nuove infrastrutture e soprattutto di nuove interconnessioni è necessario non solo per i collegamenti sub-regionali tra paesi della sponda Sud del Bacino ma anche per esportare il futuro surplus di elettricità rinnovabile verso i mercati europei. È importante la creazione di una rete tra tutti i paesi del Mediterraneo, una cooperazione a livello istituzionale e regolatorio che possa favorire lo sviluppo di un network “elettrico”, allacciando i diversi corridoi. Tutti i paesi che si affacciano sul 210 LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO Mediterraneo sono coinvolti nel progetto di scambi energetici noto come Medring. L’obiettivo del progetto è di interconnettere l’insieme dei paesi del Bacino, tramite una rete di scambi elettrici e di gas naturale. Il progetto è interrotto in diversi punti, ma uno degli obiettivi prioritari dell’UE è il suo completamento nell’arco dei prossimi anni. L’interoperabilità tra reti energetiche europee e di paesi terzi è essenziale, ed è una delle principali sfide che il progetto Medring deve affrontare. Il pacchetto di misure per il potenziamento delle infrastrutture energetiche adottato nel novembre 2010 dall’UE prevede che vengano messe a disposizione notevoli risorse per la realizzazione delle reti energetiche, e ci si aspetta un’influenza forte anche sugli sviluppi delle infrastrutture della sponda sud del Mediterraneo. Anche la Direttiva 2009/28 della CE ha inteso valorizzare i meccanismi di cooperazione tra le diverse regioni del Mediterraneo. In particolare l’art. 9 offre ai paesi membri dell’UE la possibilità di attuare progetti comuni con paesi terzi per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di reti di trasmissione. L’energia prodotta in questi impianti e importata nel paese membro può essere conteggiata ai fini del raggiungimento degli obiettivi di produzione da fonti pulite così come indicati nei Piani di Azione Nazionale. 3. Le fonti rinnovabili: stato attuale e prospettive La regione del Mediterraneo è dotata di un potenziale energetico da fonti rinnovabili molto importante. Ciò nonostante, il mix attuale vede la prevalenza delle fonti fossili, quindi petrolio e gas, che insieme coprono i due terzi dell’offerta totale di energia primaria. Entro il 2050 è stimato che l’area Sud del Mediterraneo potrebbe aver bisogno di una quantità di energia quasi equivalente alle richieste attuali dell’intera Europa.2 Dal momento che le fonti di energia rinnovabile producono elettricità, e solo in misura marginale possono essere utilizzate per fornire direttamente energia e calore all’utente finale, come invece accade con il petrolio e il gas naturale, per sfruttarle al meglio le economie dei paesi dell’Area dovranno compiere grandi sforzi di riorganizzazione dei metodi industriali di produzione dell’energia elettrica, oggi ottenuta prevalentemente dalla combustione del carbone. Quella solare è la rinnovabile con il più alto potenziale di sfruttamento; nonostante ciò questa fonte resta ancora poco sviluppata, soprattutto a causa dei costi troppo alti rispetto al gas naturale, prima fonte energetica dell’intera Area. Dai dati riportati nella tabella che segue è evidente che l’idroelettrico è la prima fonte di produzione di energia elettrica tra le rinnovabili. Questa fonte viene utilizzata in tutti i paesi, ma spicca il dato della Turchia che ha prodotto nel 2009 poco meno di 36 mila GWh. Seconda dopo l’hydro, è l’eolico, concentrato in Turchia, Egitto e Marocco. Più contenuta la produzione da biomasse e da fonte geotermica, sfruttata solo in Turchia. 2 Stime tratte da Osservatorio Mediterraneo ISPI, “Le infrastrutture energetiche e di trasporto nel Mediterraneo”, 2010 211 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Come si accennava, è ancora residuale la diffusione del solare fotovoltaico, che dai dati della IEA (International Energy Agency) risulta presente come fonte per la produzione di elettricità solo in Israele. In realtà la maggiore potenza installata è proprio in questo paese, mentre negli altri gli impianti fotovoltaici installati sono principalmente di piccola taglia e raggiungono capacità produttive molto contenute. Dati OME segnalano una capacità installata pari a circa 1 MW in Giordania, Libano e Siria; 1,5 MW in Libia; 2 MW in Tunisia; 3 MW in Algeria e Turchia; 10 MW in Egitto e Marocco e oltre 20 MW in Israele. Produzione di elettricità da fonti rinnovabili (GWh) nel 2009 Country SOUTH MED Morocco Algeria Tunisia Egypt EST MED Israel Lebanon Turkey ADRIATIC MED Albania Bosnia and Herzegovina Croatia HYDRO SOLAR PHOTOVOLTAIC 2.982 342 79 12.863 WIND BIOMASS GEOTHERMAL 391 3.373 342 176 13.996 97 1.133 22 622 35.958 24 9 36 1.495 252 436 5.231 91 622 38.141 5.231 6.239 6.815 Total 71.153 TOTAL 54 24 3.179 6.239 6.895 26 314 436 75.106 Tab. 1 - Fonte: IEA (International Energy Agency), Statistics 2012 Partendo dai dati esposti è possibile fare alcune considerazioni di carattere generale su alcuni settori. Per quanto concerne l’eolico, nei paesi della sponda Sud del bacino del Mediterraneo, pur essendo questi dotati di caratteristiche interessanti non ha ancora preso avvio uno sfruttamento consistente della risorsa, e le nuove installazioni sono limitate a poche centinaia di MW. Le ragioni di un attuale mancato utilizzo della wind energy sono in buona parte attribuibili alla carenza di risorse finanziarie per l’implementazione dei progetti. Accanto a ciò si consideri anche il basso costo locale dell’energia, che di fatto scoraggia la messa in esercizio di un impianto. Per avviarlo gli investitori devono sostenere costi di investimento notevoli e farraginosità burocratiche (lungaggini procedurali) a fronte di entrate più contenute, visti i più limitati prezzi di vendita dell’energia prodotta. Il potenziale esistente è stato dunque finora poco sfruttato, ed in molte circostanze è stato possibile farlo solo attraverso finanziamenti europei e della cooperazione internazionale. La potenza eolica totale delle nazioni che si affacciano sulla sponda meridionale ed orientale del Mediterraneo alla fine del 2010 era di 2.300 MW, a fronte di poco più di 1.500 MW dell’anno precedente, con un aumento di circa il 50%. In particolare scendendo nel dettaglio dei singoli paesi in cui lo sfruttamento di questa fonte rinnovabile è maggiore, il Marocco si è distinto per una crescita del 13% nell’arco del 2010, i MW installati sono passati da 253 a 286. La Tunisia ha avuto nell’anno il maggior incremento tra i vari paesi interessati; la potenza eolica è infatti più che raddoppiata passando da 54 MW a 114 212 LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO MW, a conferma che l’opzione eolica rappresenta una grande opportunità per l’approvvigionamento locale e per l’esportazione dell’elettricità prodotta verso l’Europa. L’Egitto, tra i primi a diversificare il mix produttivo sfruttando questa fonte, a fine 2010 vantava 550 MW installati. L’incremento di potenza registrato è stato superiore al 25%, con la prospettiva di coprire al 2020 il 12% del fabbisogno nazionale di elettricità. La Turchia ha invece superato la soglia dei 1.000 MW installati, a fine 2010 erano esattamente 1.329, con un notevole aumento rispetto all’anno precedente (528 MW), e prospettive di sviluppo considerevoli. Per quanto riguarda il solare fotovoltaico, benchè caratterizzata da condizioni di irraggiamento molto favorevoli, il Med nord-africano non sta ancora sfruttando in maniera piena il proprio potenziale solare. Si pensi che in paesi come il Marocco, l’Algeria, l’Egitto e la Libia l’irradiazione diretta raggiunge livelli compresi tra i 2.600 e i 2.800 kWh per metro quadrato per anno, dato che sale a 3.000 kWh per metro quadrato per anno nelle aree desertiche, quando in Italia il livello di irradiazione è invece di circa 2.000 kWh per metro quadrato per anno. Recentemente i diversi paesi hanno adottato programmi nazionali consistenti per favorire uno sviluppo deciso di centrali solari ed eoliche; si tratta di programmi che prevedono uno sviluppo industriale locale e la creazione di nuovi posti di lavoro, ma per la cui realizzazione è richiesto un forte impegno da parte di istituzioni e settore privato al fine di attrarre investimenti. (figura 1) Obiettivi nazionali per lo sviluppo delle rinnovabili nei paesi della sponda Sud Target Time frame ALGERIA 22 GW (10 GW for export) 2030 TURKEY 20 GW Wind; 600 MW Geothermal; 600 MW Solar 2023 EGYPT About 7 GW Wind; 1 GW solar and other Res 2020 SYRIA 2500 MW Wind; 3000 MW Solar 2030 MOROCCO 2000 MW Solar; 2000 MW Wind 2020 ISRAEL 1750 MW Solar; 800 MW Wind; 210 MW biomass 2020 LIBYA 2000 MW Wind; 7000 MW CSP; 150 MW PV 2020 JORDAN 600 MW Wind; 300-600 MW Solar; 3050 MW Biomass 2020 TUNISIA 350 MW Wind; 110 MW Solar; 25 MW Biomass 2016 Fig. 1 - Fonte: OME (Observatoire Mediterraneen de l’Energie), 2012 213 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI Per quanto concerne l’eolico, l’Egitto ha in programma di installare 7 GW addizionali, nell’ambito dell’obiettivo governativo di raggiungere il 20% di generazione elettrica da rinnovabili entro il 2020. La Libia ha cominciato a costruire il primo parco eolico con una potenza di 60 MW nel 2010, e intende raggiungere i 2 GW nel 2020. Anche la Giordania ha in programma investimenti per un parco eolico da 90 MW, con ulteriori 40 MW previsti per il futuro. In Marocco sono stati già installati oltre 460 MW e 1 GW di potenza addizionale è in corso di realizzazione. L’Algeria intende installare 50 MW entro il 2015 ed ulteriori 1,7 GW entro il 2030. Mentre il piano nazionale tunisino per il periodo 2011-2016 riporta in progetto l’installazione di capacità addizionale per 280 MW. L’obiettivo del governo turco è, invece, quello di arrivare a 20 GW di eolico nel 2023. L’Albania dovrebbe ospitare un parco eolico di 500 MW, progetto che include anche la costruzione di una linea di trasmissione con l’Italia. Per quanto attiene al geotermico, la Turchia guida l’espansione del mercato di questa fonte nell’area. Il Piano Strategico 2010-2014 presentato dal Ministero dell’Energia e delle Risorse Naturali fissa l’obiettivo di raggiungere 600 MW di capacità installata entro il 2023. In merito al solare, se i piani nazionali annunciati dai vari governi saranno implementati in maniera efficace il settore dovrebbe evolvere in maniera rapida. L’Algeria ha annunciato l’intenzione di sviluppare diversi progetti solari fotovoltaici, per una potenza complessiva di 800 MW entro il 2020. Oltre 600 MW dovrebbero essere installati attraverso 27 impianti connessi alla rete, mentre ulteriori 110 MW saranno installati in impianti isolati nel sud del paese. L’obiettivo del governo algerino è di raggiungere una capacità di circa 3 GW entro il 2030. La Tunisia intende installare 15 MW in residenze ed immobili pubblici. Secondo gli scenari del Mediterranean Energy Perspectives 2011 dell’OME, le rinnovabili, nel complesso del bacino del Mediterraneo (Nord e Sud), dovrebbero coprire al 2030 il 35% della generazione elettrica complessiva, con un apporto forte dell’idroelettrico ma soprattutto grazie allo sviluppo delle altre fonti, in primis dell’eolico. Le stesse previsioni annunciano che nel solo Sud questa fonte dovrebbe coprire un terzo del totale di energia prodotta. Per quanto concerne il solare fotovoltaico ci si attende un tasso annuo di crescita del 39% nel Sud dell’Area, con un contributo pari al 5% della domanda di elettricità. 4. Criticità e barriere allo sviluppo delle rinnovabili nell’Area Med La capacità di generazione elettrica dei paesi a sud del bacino del Mediterraneo dovrà più che triplicarsi per soddisfare la crescente domanda di energia. Abbiamo visto come sono necessari imponenti investimenti per lo sviluppo del settore elettrico e come dunque sia importante l’impegno richiesto anche per lo sviluppo delle interconnessioni transfrontaliere. L’implementazione di progetti sulle fonti rinnovabili – come precedentemente illustrato – costituisce un segno tangibile delle intenzioni dei governi di puntare sulla crescita di questo comparto, e su tutte le opportunità di industrializzazione e impiego che il suo sviluppo comporta. 214 LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO La regione è dotata di un rilevante potenziale in termini di risorse rinnovabili ma nonostante questo contesto favorevole, diverse sono le barriere, di mercato, amministrative, regolatorie, finanziarie e tecniche che hanno finora impedito ai paesi dell’Area di sfruttare appieno le loro risorse e di attrarre investimenti esteri in tal senso, raccogliendo i vantaggi dei molteplici benefici derivanti dalle energie pulite. Possiamo sintetizzare al riguardo le maggiori criticità. Barriere istituzionali ed amministrative I paesi dell’Area presentano un modello istituzionale ed un quadro normativo complesso e anche molto diversificato. Considerando che la bancabilità dei progetti è legata alla percezione del rischio-paese, più questa è alta più saranno elevati i costi iniziali dell’investimento. Per impiegare capitali in questi paesi, dunque, a fronte dell’elevato costo iniziale e dei lunghi tempi di ritorno degli investimenti, la maggior parte delle società investitrici richiedono un ambiente confacente al loro business, che mitighi di fatto i rischi legati all’implementazione dei progetti. Ulteriori difficoltà sono legate alle procedure autorizzative, spesso complicate, farraginose e poco chiare. Per investire in questi paesi occorre dunque un quadro istituzionale, legale e regolatorio stabile e nitido. Se fino a pochi anni fa questi paesi erano caratterizzati dalla mancanza di politiche adeguate e da un quadro di riferimento poco chiaro, oggi i programmi sulle rinnovabili sono la testimonianza di un’inversione di rotta e di una prima decisa risposta alle esigenze di sviluppo per un futuro green. Barriere infrastrutturali Nei paesi dell’Area occorrerebbe sviluppare infrastrutture ed interconnessioni elettriche, realizzando nuove condotte e migliorando le reti esistenti. L’interdipendenza e la cooperazione in materia energetica dovrebbero essere raggiunte mediante l’attuazione di due progetti: la chiusura dell’anello elettrico intorno al Mediterraneo, con il completamento degli allacciamenti sub-regionali; l’interconnessione sud-nord attraverso cavi sottomarini in corrente continua. Le due soluzioni sono tra loro complementari e favorirebbero entrambe la creazione di mercati elettrici integrati, fattore essenziale per uno sviluppo forte ed omogeneo delle fonti rinnovabili nella regione e per consentire l’esportazione del surplus elettrico prodotto verso la UE. Barriere di mercato Pesa molto la presenza di sussidi pubblici alle energie convenzionali (che sono notevoli nei paesi a sud e ad est dell’Area) che creano distorsioni nella struttura dei prezzi legati alle rinnovabili. Al fine di assicurare un appropriato ritorno sugli investimenti e la piena sostenibilità dei progetti sarebbe necessario definire tariffe adeguate e trasparenti per la vendita dell’elettricità a livello locale e per l’export. Occorrerebbe anche la definizione di un sistema di incentivi economici che siano strutturati e prevedibili per l’intera vita dell’impianto e soprattutto stabili, in modo da rispondere alle esigenze di certezza richieste dagli investitori. Gravano sullo sviluppo delle fonti pulite anche le asimmetrie informative, per il superamento delle quali occorre rilanciare un’azione di informazione per i decisori (che rafforzi la volontà politica di puntare su questo comparto) e di formazione per i tecnici (che ampli le 215 I TRASPORTI MARITTIMI E LE ENERGIE RINNOVABILI attualmente circoscritte capacità locali). In merito a quest’ultimo punto pesa la mancanza di personale qualificato in tutte le fasi di progettazione, costruzione, messa in esercizio e manutenzione delle tecnologie rinnovabili. Infine, i paesi del sud devono fare i conti anche con una limitata disponibilità delle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, e con un ancora limitato trasferimento tecnologico. Le scarse connessioni tra i centri di R&S da un lato e l’industria e le reti commerciali dall’altro costituiscono un ulteriore ostacolo a un’adeguata attuazione di politiche efficaci. Barriere finanziarie Gli ostacoli di natura finanziaria sono innanzitutto connessi all’accesso al credito. L’instabilità economica e politica genera incertezza tra i potenziali investitori che non hanno chiaro il rendimento atteso a fronte dei costi elevati necessari per realizzare gli impianti. I sistemi basati sulle fonti rinnovabili hanno infatti un costo di investimento per kWh superiore rispetto alle fonti di energia tradizionali, per cui gli investimenti richiedono livelli di finanziamento superiori a parità di capacità d’installazione. Sarebbe da considerare come freno anche la poca disponibilità di fondi pubblici e la mancanza di adeguati strumenti finanziari innovativi. Ecco perché occorrerebbe promuovere la concomitante azione di fondi pubblici, regionali, comunitari e privati. 5. Considerazioni finali: le opportunità future per un Mediterraneo rinnovabile I paesi del South, East e Adriatic Med potranno conseguire numerosi vantaggi strategici impegnandosi nello sviluppo delle rinnovabili. Alla diffusione delle fonti verdi sono legate molteplici opportunità; esse possono contribuire a rispondere all’aumento della domanda di energia elettrica, e in un clima geopolitico sempre più incerto e mutevole possono concorrere alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici, specie per quei paesi che non sono caratterizzati dall’abbondanza di combustibili fossili, ed alla loro sempre più sentita esigenza di indipendenza energetica. Esse offrono la possibilità di diversificare il mix energetico di riferimento per la produzione di elettricità e di calore, prolungando la vita utile delle riserve di fonti fossili esistenti. Una volta soddisfatta la maggiore richiesta che le economie in espansione di questi paesi avanzano, parte dell’energia prodotta potrà essere esportata in Europa, partecipando alla copertura della domanda dei paesi più energivori. Le rinnovabili creano di fatto opportunità di crescita e sviluppo economico e industriale, aprendo la strada agli investimenti e stimolando l’aumento dell’occupazione e l’acquisizione di conoscenze e competenze. Possono, infatti, concorrere a sviluppare un’industria locale, grazie alla fabbricazione in loco di componenti e sistemi che aumentino la catena del valore a favore del paese ospitante. Possono creare nuove attività non solo connesse alla costruzione degli impianti, ma al loro esercizio e manutenzione, sviluppando opportunità di addestramento specialistico, trasferimento di conoscenze e competenze, per permettere alle realtà locali di impegnarsi anche in attività di realizzazione di componenti e di consulenza e progettazione. 216 LO SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MEDITERRANEO Con la consapevolezza delle forti potenzialità di sviluppo delle rinnovabili, sono stati avviati processi multilaterali che coinvolgono diversi paesi e dimostrano la volontà di puntare su un futuro green per l’Area. Tra di essi, l’Unione per il Mediterraneo è stata avviata nel 2008 su proposta della Francia con l’obiettivo di promuovere la cooperazione tra le due sponde del Bacino, con diversi scopi tra cui la tutela del patrimonio ambientale. In questo ultimo ambito sono stati individuati alcuni progetti prioritari tra i quali annoveriamo il PSM (Piano Solare per il Mediterraneo), il cui obiettivo è lo sviluppo entro il 2020 di 20 GW di nuova capacità installata da fonte solare ed altre rinnovabili nella sponda sud dell’Area Med. Tra i benefici principali del Piano sicuramente è da sottolineare la collaborazione economica, industriale e tecnologica in materia di rinnovabili ed efficienza energetica che genera vantaggi per entrambe le sponde del Bacino. Da un lato i paesi europei possono trovare nel Sud del Mediterraneo uno sbocco per i loro investimenti, contribuendo in tal modo anche al raggiungimento dei target comunitari in tema di generazione di energia da fonti pulite. Dall’altro, i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente trovano nell’Europa un possibile partner finanziario e tecnologico per l’implementazione dei progetti. Tra le iniziative private, una delle più ambiziose è DESERTEC, progetto sviluppato da un consorzio, nato nel 2009, che raggruppa 60 tra soci e partner in un network che coinvolge diversi paesi (Germania, Spagna, Algeria, Marocco, Francia, Tunisia e Italia). Desertec intende realizzare diverse centrali a fonti rinnovabili nella fascia desertica dall'Egitto al Marocco, puntando soprattutto sul solare a concentrazione, sul fotovoltaico ma anche sull'eolico. L'energia prodotta sarà immessa nelle reti locali, ma la parte eccedente sarà esportata in Europa, con l'obiettivo di coprire il 15% della domanda elettrica dell’Europa nel 2050. E il Marocco ospiterà la prima centrale solare del programma. La Desertec Industrial Initiative (DII) ha sottoscritto un memorandum d'intesa con la Maroccan Agency for Solar Energy (Masen), un primo passo concreto per un progetto di cooperazione finalizzato a dimostrare la fattibilità dell'esportazione in Europa di energia solare generata sul suolo africano. Il progetto rappresenta l’avvio concreto per Desertec, che finora ha ottenuto il sostegno del mondo industriale ma era ancora in attesa di ricevere un segnale forte da parte dei governi africani che potesse offrire prospettive concrete all'iniziativa. Il fatto che sia stato proprio il Marocco a dare il via trova la sua ragione di fondo nello scenario energetico del Paese e nelle nuove linee politiche che il governo marocchino ha adottato per il settore. Il Marocco è, infatti, l'unica nazione del Nord Africa a non poter fare affidamento su risorse petrolifere e ad aver abbracciato con decisione uno scenario di sviluppo energetico che fa perno sulle fonti rinnovabili. In questo contesto, lo sviluppo dell'energia solare rappresenta l'opzione più importante. La crescita delle fonti verdi nel Mediterraneo dipenderà dunque da un’efficiente implementazione di piani, progetti e misure a supporto delle rinnovabili, assicurandone certezza e soprattutto continuità, in modo da attrarre gli investitori ed i loro capitali nell’ambito di realtà economicamente solide e con un quadro normativo stabile. 217 BIBLIOGRAFIA PARTE PRIMA - L’ECONOMIA, IL COMMERCIO E LE IMPRESE AMBASCIATA D’ITALIA AD ANKARA (2012) – Cronache economiche 2012. BUREAU VAN DIJK (2012) – Database ORBIS. CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA IN TURCHIA (2012) – Contatti diretti CENTRAL BANK OF THE REPUBLIC OF TURKEY (2012) - http://www.tcmb.gov.tr/yeni/eng/ COUTINHO L. (2012), Determinants of Growth and Inflation in Southern Mediterranean Countries, MEDPRO Technical Report, n. 10, Marzo 2012. EUROSTAT (2012), Statistics by theme. ECONOMIST INTELLIGENCE UNIT (2012), Note. EUROPEAN CENTRAL BANK – http://www.ecb.int/stats/html/index.en.html FMI (2012), World Economic Outlook, Set. 2012. 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Le opinioni espresse, le fonti e i dati citati ed elaborati sono di esclusiva responsabilità dei singoli autori che hanno curato le sezioni (in ordine alfabetico): Filippo CHIESA, Project leader e ricercatore senior a Step Ricerche (Parte II, Capitolo V – Le relazioni economiche dei Fondi Sovrani mediterranei con i paesi europei e in particolare con l’Italia. Situazione e prospettive) Giancarlo FRIGOLI, Ufficio International Economics, Servizio Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo (Parte I, Capitolo II, Paragrafo 2 – Le prospettive economiche nel 2012-2013) Fiorenza LIPPARINI, Intesa Sanpaolo Eurodesk, International Regulatory and Antitrust Affairs (Parte I, Capitolo II, Paragrafo 3 – L’evoluzione dei rapporti dell’UE con l’area mediterranea) 225 NOTIZIE SUGLI AUTORI Antonio MELES, Ricercatore confermato di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope (Parte II, Capitolo IV – L'analisi dei sistemi finanziari dell'area MENA e il ruolo delle banche islamiche in Turchia). Stefano MONFERRÀ, Professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope (Parte II, Capitolo IV – L'analisi dei sistemi finanziari dell'area MENA e il ruolo delle banche islamiche in Turchia) Giuseppe RUSSO, Founding partner di Step Ricerche, ricercatore ed economista senior (Parte II, Capitolo V – Le relazioni economiche dei Fondi Sovrani mediterranei con i paesi europei e in particolare con l’Italia. Situazione e prospettive) Gianluca SALSECCI, Responsabile Ufficio International Economics del Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo (Parte I, Capitolo II – I Paesi del Sud del Mediterraneo dopo i rivolgimenti politici: sviluppi recenti e questioni aperte dell’economia) Maria Grazia STARITA, Ricercatrice confermata di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope (Parte II, Capitolo IV – L'analisi dei sistemi finanziari dell'area MENA e il ruolo delle banche islamiche in Turchia) 226 Studi e Ricerche per il Mezzogiorno Via Cervantes, 64 - 80133 Napoli - Italia Tel. +39 0814935292 - Fax +39 0814935289 [email protected] www.sr-m.it Presidente: Paolo Scudieri Direttore generale: Massimo Deandreis Consiglio Direttivo: Giuseppe Castagna, Francesco Saverio Coppola, Gregorio De Felice, Adriano Giannola, Pierluigi Monceri, Marco Morganti, Piero Prado SRM si avvale di un Comitato Scientifico composto da docenti universitari ed esperti in materia. La composizione del Comitato Scientifico è pubblicata sul sito web www.sr-m.it Collegio dei Revisori: Danilo Intreccialagli, (presidente), Giovanni Maria Dal Negro, Lucio Palopoli Organismo di Vigilanza (art.6 D.Lgs. 231/01): Gian Maria Dal Negro Comitato Etico (art.6 D.Lgs. 231/01): Lucio Palopoli SRM adotta un Sistema di Gestione per la Qualità in conformità alle Normative UNI EN ISO 9001 nei seguenti campi: Studi, Ricerche, Convegni in ambito economico finanziario meridionale: sviluppo editoriale e gestione della produzione di periodici. Soci Fondatori e Ordinari *** Finito di stampare a Napoli Presso le Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli S.p.a. Nel mese di novembre 2012