Titolo rubrica: Parliamone… La Turchia scommette su un futuro nella Ue puntando sui capitali esteri e sul Mediterraneo Adesso che la Turchia può giocarsi le sue carte per entrare nell’Unione Europea, per avere speranze concrete deve risolvere alcuni problemi interni. In primo luogo deve trovare una riposta precisa sulla difficile equazione tra la nuova economia delle piccole e medie imprese e le ampie sacche di arretratezza delle zone agricole. La Turchia, inoltre, sa benissimo che le attuali leggi in campo fiscale e la burocrazia non permettono di reggere il confronto con l’Europa. Ma la voglia di fare e di adeguarsi indubbiamente ad Istanbul non mancano. In particolare, il Paese sta funzionando da calamita per gli investimenti stranieri. Un po’ quanto è successo con l’Europa dell’Est. E’ questa è la nuova scommessa turca dopo quella, già vinta, del risanamento economico. Tanto per rendere l’idea, in Turchia già operano oggi 410 imprese italiane e il nostro Paese esporta lì 4,93 miliardi di dollari. Il Paese più rappresentato sotto questo aspetto è la Germania, che porta in Turchia 8,72 miliardi di dollari, seguita dalla Russia con 8,04 miliardi, poi c’è l’Italia, quindi la Cina con 4,11 miliardi, la Francia con 3,82, gli Stati Uniti con 3,60 e la Gran Bretagna con 3,06 miliardi di dollari. Nei primi sei mesi del 2004, 1.381 aziende straniere hanno avviato un’attività in Turchia. Nei primi otto mesi del 2005, i capitali esteri affluiti in Turchia hanno toccato la cifra record di 2,3 miliardi di dollari (dal 1954 a oggi gli investimenti sono stati pari a 30 miliardi di dollari). Si sta facendo molto per assicurare un adeguato ambiente degli affari, anche se gli ostacoli da scavalcare sono ancora molti, primo fra tutti quello di natura fiscale, con la tassa societaria che è al 33%. E poi c’è da risolvere il problema sulla tutela della proprietà intellettuale, eliminando altresì gli impedimenti burocratici all’arrivo dall’estero di persone qualificate, chiamate a lavorare nelle società straniere che hanno investito in Turchia. L’economia turca, comunque, sta vivendo un periodo particolarmente florido dopo avere passato una grave crisi finanziaria. La crescita è consistente e il traguardo di un’inflazione all’8% sembra già raggiungibile quest’anno, mentre per il 2006 viene già tracciato l’ambizioso obiettivo del 5%. L’unica cosa che preoccupa è il deficit della bilancia commerciale (4,5% del Pil). Nel breve termine questo è il pericolo più reale, con l’export che rallenta a causa del rafforzamento della lira turca. Però c’è una grande risorsa sulla quale la Turchia conta molto per l’oggi e per il domani: il Mediterraneo. Perché i turchi sanno che nel mare di casa possono trovare molte risposte. La situazione attuale vede una grande differenza tra i Paesi del Mediterraneo. Tunisia e Algeria, ad esempio, non commerciano tra di loro e in molti Paesi il 95% dell’economia è ancora in mano allo Stato. La Turchia, al contrario, ha vissuto quest’anno una grande stagione di privatizzazioni. Insomma la mentalità è cambiata decisamente e il Mediterraneo può davvero rappresentare un trampolino di lancio internazionale. Daniele Scuccato