ellenismo.doc materiale didattico di Paolo Carmignani L’ETA’ ELLENISTICA ( IV - I secolo a. C.) Il termine Ellenismo definisce i vari orientamenti culturali che caratterizzarono il periodo compreso fra la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e la conquista dell’Egitto ad opera di Ottaviano (30 a.C.). L’impero macedone aveva favorito l’esportazione della cultura greca nel bacino orientale del Mediterraneo cosicché, nei regni ellenistici di Pergamo, Siria ed Egitto, nati dallo smembramento dell’impero alessandrino, fiorirono centri filosofici e scientifici. Seppure Atene fosse rimasta il centro più importante in cui fiorì la filosofia ellenistica, è da notare come anche in altre città, Rodi, Pergamo, Alessandria, si formassero scuole platoniche sul modello dell’Accademia. La civiltà ellenistica, dal punto di vista scientifico, fu assai fertile, basti ricordare lo sviluppo della matematica ad opera di Euclide e quello della fisica con Archimede; si andava perciò configurando una specifica identità della scienza che, progressivamente, acquistava una propria autonomia dalla filosofia e, dunque, dal modello che di essa ne avevano Platone ed Aristotele. Per questo la filosofia ellenistica si sviluppò intorno a nuclei tematici che si differenziavano dalla linea platonico-aristotelica e tendeva, invece, per certi aspetti, a recuperare la dimensione socratica. Mentre in Platone ed Aristotele il problema fondamentale era la risposta alla domanda “che cos’è”, con lo scopo precipuo di definire l’eidos, ovvero la struttura immutabile della realtà, dando alla filosofia una connotazione prevalentemente speculativa e teoretica, nella filosofia ellenistica il tema centrale, prendendo spunto dalla figura di Socrate curatore di anime, diventava l’esistenza umana. Al primato dell’immutabile proprio della filosofia platonico-aristotelica, si recuperava la tematica del divenire, del mutevole, spostando, dunque l’attenzione sul piano della pratica 1 . Un’interpretazione storiografica tradizionale fa risalire questo orientamento della filosofia ellenistica al contesto storico. E’, questo, un momento in cui la civiltà e la cultura greche hanno dovuto abbandonare il modello della polis che con la sua struttura democratica favoriva la comune ricerca intorno al bene, per una nuova organizzazione politica, l’impero, in cui popolazioni e culture diverse vengono omologate sotto la medesima autorità. La perdita dell’autonomia e l’indebolimento della propria identità favorisce il diffondersi di una mentalità molto più individualistica che stimola il bisogno di nuove risposte, richieste alla filosofia, da cui si vuole una serie d’indicazioni che, in qualche modo, possano garantire una migliore qualità della vita interiore. Alcuni studiosi contemporanei, fra cui ricordiamo Cambiano e Isnardi Parente, criticano questa interpretazione, riduttiva e contraddittoria, perché utilizza un parametro, il contesto storico, per Intendi il piano del comportamento e dunque dell’esistenza. 1 pagina 1 di 2 giudicare un’orientamento filosofico che, in realtà, poco s’interessava della storia. La filosofia ellenistica sorge in Atene che ricopre ancora il ruolo di capitale della filosofia, ma non più della politica e dell’economia. Come Socrate s’interessava di curare l’animo degli ateniesi, così i filosofi di questo periodo si fecero maestri di scuola per curare le tensioni e le angosce umane. Oltre all’Accademia platonica, che protrarrà la sua azione fino a quando, nel 529, verrà chiusa da Giustiniano ed al Peripato aristotelico, vennero aperte due scuole: il Giardino di Epicuro nel 307 a.C. e la Stoa (portico) di Zenone di Cizio nel 300 a.C. La filosofia epicurea Prende il nome da Epicuro (341-271 a.C.) nato a Samo e fondatore di una scuola filosofica in Atene denominata il Giardino. Ad una concezione del mondo, che riprende la concezione materialistica e meccanicistica dell’atomismo democriteo, E. introduce alcune modifiche che ne costituiscono la peculiarità. Elemento fondamentale per comprendere la sua concezione del mondo è il clinamen ovvero la deviazione, assolutamente casuale, a cui gli atomi sono sottoposti durante il loro movimento rettilineo determinato dal loro peso. Il clinamen è la causa che determina il possibile incontro fra i vari atomi permettendo loro di aggregarsi per dar corpo alla molteplicità degli esseri. Esso rappresenta l’esclusione di qualsiasi finalismo nel mondo che preveda un qualunque condizionamento divino nel corso degli eventi terreni. Per questo E. nega il timore degli Dei da parte dell’uomo in quanto è solo la mera casualità del clinamen l’unica “responsabile” degli accadimenti umani, mentre gli Dei , che vivono negli intermundia, se ne disinteressano. Da questa concezione fisica si ricava la gnoseologia epicurea, fondata esclusivamente sulla sensibilità, l’unica in grado di percepire i corpi atomici e sulla prolessi, ovvero anticipazione, che consiste nelle sensazioni ripetute e conservate dalla memoria. Sia la teoria della conoscenza che la fisica sono orientate all’etica che per E. ha come scopo fondamentale il conseguimento della felicità. La filosofia ha lo scopo di liberare l’uomo dalle paure che ne determinano l’infelicità in quanto turbano il suo animo. Tra queste , quella della morte ed il timore degli dei . Se l’uomo è corporeo con la morte si dissolve l’aggregato atomico che lo costituisce, questo, per E. , deve far riflettere sul fatto che, con la dissoluzione, cessa la possibilità di qualsiasi sensazione e/o emozione; non dobbiamo, quindi, aver paura della morte perché “quando ci siamo noi non c’è lei e quando c’è lei non ci siamo noi”. L’uomo può aspirare ad un tipo di felicità che, proprio per la sua corporeità, è concepita in termini di piacere considerato bene, mentre l’infelicità è dolore ed è male. ellenismo.doc materiale didattico di Paolo Carmignani L’unico criterio per distinguere il bene dal male è, dunque, quello che si affida alle sensazioni di piacere e di dolore, in perfetta sintonia con la concezione materialistica dell’uomo. L’uomo, assolutamente libero di autodeterminarsi, può optare per piaceri attivi, come la gioia, che però non sono durevoli, o piaceri catastematici, ovvero in quiete, che consistono nell’assoluta atarassia, ovvero imperturbabilità dell’animo. E’ per questo che E. consiglia di “vivere nascosto” a chi gli chieda che cosa ne pensi della vita politica. Solo in un quieto e sereno stile di vita, utilizzando la misura che proviene dalla ragione, l’uomo può pensare di conseguire la felicità. La filosofia dello Stoicismo Prende il nome da Stoà Poikìle, ovvero il Portico dipinto dove si dice che Zenone di Cizio, in quanto non ateniese, di origine fenicia, insegnasse, a cavallo tra il IV e III secolo a.C. La gnoseologia stoica si conforma a quella epicurea che fa della sensazione, di cui ne ammette l’evidenza, l’unica fonte di conoscenza e, dunque, l’unico criterio riconosciuto di verità. Ad essa si aggiunge la rappresentazione “catalettica”, che implica un assenso alla sensazione e che, per questo, fornisce vera comprensione. La fisica stoica concepisce la natura come un grande organismo animato da un pneuma (lat. spiritus) infuocato che rappresenta il divino. Tutte le cose sono costituite da materia infuocata dal pneuma. La commistione del divino con la materia fa sì che gli stoici concepiscano la realtà naturale secondo una concezione pantestica ovvero di identificazione di tutte le cose con Dio. Il divenire è concepito ciclicamente, scandito da una grande conflagrazione che segnerà la fine del mondo ed il ritorno al fuoco di tutte le cose . Il Logos è, per lo stoicismo, la ragione che ordina e regola il mondo in cui tutto è stabilito e dove l’unica libertà concepibile per l’uomo, consiste soltanto nell’assecondare l’ordine divino/naturale. Di fronte a questa concezione del mondo, l’etica stoica consiste esclusivamente nel dovere di chi conforma le sue azioni al Logos. Vivere secondo ragione (logos) è l’unico ideale di virtù che lo stoicismo concepisce e che stabilisce l’azione perfetta. La felicità umana consegue dalla virtù e consiste nel perseguirla disinteressandosi di tutto il resto. Si propone, dunque, una sorta di apatia, ovvero assenza di passioni, assoluta imperturbabilità dell’animo. Lo stoico sente la vita politica come indifferente e propugna un cosmopolitismo, fondato su una sorta di fratellanza universale, ammesso in base al fatto che tutti gli uomini derivano dal medesimo Logos e ad esso devono obbedire. Questo ideale di vita è alquanto simile a quello che verrà proposto successivamente dal Cristianesimo. pagina 2 di 2 Lo Scetticismo Il termine ha un’origine greca ed indica l’atteggiamento di chi, rifiutando la possibilità di una conoscenza dogmatica, si pone nella condizione di mantenere uno stato di vigile ricerca e dubbio. Porre il dubbio come pre-condizione all’accettazione di qualunque affermazione, comporta, di fatto, la mancanza di un criterio di verità che, nella tradizione platonico-aristotelica, era fornito dall’epistème. Gli scettici non affermano perentoriamente la mancanza di una verità assoluta, un giudizio siffatto, paradossalmente, equivarrebbe esso stesso a verità, ma propongono la medesima dignità per tutte le opinioni intorno ad una questione. Ad un relativismo portato alle estreme conseguenze, il saggio, in mancanza di una risposta che superi le altre, non può far altro che attuare la sospensione del giudizio (epochè) e il silenzio (afasia) . Fu questa la posizione proposta da Pirrone di Elide (III sec. a.C.), a cui si attribuisce tale atteggiamento. Successivamente lo S. si diffuse nell’ambito dell’Accademia platonica, a partire dallo scolarca Arcesilao (III sec. a.C.) che, applicando il dubbio anche al principio socratico del “sapere di non sapere”, accentuò ancora di più l’atteggiamento sospensivo del giudizio. Successivamente con Carneade (III-II sec. a.C.) e poi con Sesto Empirico (180-214 d.C.) lo S. subì un’evoluzione e, pur elaborando con Enesidemo (II sec. a.C.) e Sesto una serie di tropi (argomenti, obiezioni) contro il dogmatismo, per dimostrare come si potessero assumere opinioni diverse relativamente ad un medesimo problema, si orientò verso posizioni meno radicali rispetto all’atteggiamento sospensivo, ammettendo la plausibilità e il probabilismo come criteri utili per aderire ad un’opinione. In età moderna i rappresentanti più significativi dello S. furono Montaigne, nel Cinquecento, e David Hume, nel Settecento. I caratteri dello S. moderno, rispetto a quello antico, furono diversi; mentre gli antichi manifestano un’incredulità verso il conseguimento di una verità sia sul piano oggettivo che soggettivo, quello moderno si propone come consapevole accettazione della limitatezza conoscitiva umana che, pur criticando la pretesa assolutezza del pensiero razionale, sostiene, di fatto, la certezza soggettiva della sensibilità.