Linee guida dello sviluppo della filosofia dall`età ellenistica alla

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I.T.I.S. “E. Mattei”
S. Donato Mi.se (Mi)
Liceo delle Scienze Applicate
Corso di Filosofia
(prof. Sergio A. Dagradi)
a. s. 2014-2015
Classe III
Materiale n. 6
Linee guida dello sviluppo della filosofia dall’età
ellenistica alla caduta dell’Impero romano.
SOMMARIO – 1. Le filosofie ellenistiche. – 2. La filosofia a Roma.
1. Le filosofie ellenistiche.
a) Contesto storico e culturale. Il periodo che va dalla morte di Alessandro Magno
(323 a.C.) alla caduta dell’ultimo regno nato dalle ceneri del suo impero, quello dei
Tolomei (battaglia di Azio 31.a.C.) è conosciuto come periodo ellenistico per il
diffondersi della cultura greca (e della lingua greca, che diviene la lingua comune
degli uomini di cultura) in un orizzonte sempre più vasto, dal bacino del
mediterraneo (e al contatto con Roma) al Medio-Oriente. Questo diffondersi è
anche un mescolarsi alle culture autoctone.
I grandi regni ellenistici si caratterizzano per le grandi burocrazie, direttamente
dipendenti dal sovrano: si perde ogni residuo di una diretta partecipazione
dell’individuo alle sorti dello stato (tramonto del modello politico della polis).
Al cittadino si sostituisce il suddito. Rispetto al cosmo della polis si assiste ad
duplice movimento che investe l’individuo: da un lato una crescente centratura su di
sé della propria vita (individualismo); dall’altro il percepire l’intero cosmo come
propria patria (cosmopolitismo).
b) I nuovi interessi della filosofia, la sua articolazione e la figura del saggio.
L’intellettuale si rivolge pertanto a tutti e a ciascuno: scrive per l’intera comunità
dei colti, ma avendo di mira la formazione del singolo alla saggezza (dimensione
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individuale dell’orizzonte di vita e del suo senso). Diviene anch’esso un funzionario,
o comunque deve contare sul mecenatismo per vivere. Nel primo caso i luoghi della
sua attività divengono le biblioteche (la più celebre quella di Alessandria d’Egitto),
legate al diffondersi del libro: la cultura ellenistica è infatti una cultura della
scrittura. Altre istituzioni sorgono come il Museo creato da Tolomeo II nella
biblioteca di Alessandria, dove gli scienziati lavorano disponendo delle strutture più
avanzate. Il Museo diverrà presto il simbolo della scienza ellenistica (permanendo
comunque la distinzione tra epistéme e téchne).
c) Caratteri generali della filosofia ellenistica. La scuola si afferma definitivamente
come il luogo della produzione della cultura filosofica. Accanto ai continuatori
dell’Accademia platonica e del Liceo aristotelico, due nuove scuole si affermano ad
Atene: quella epicurea e quella storica. Lo scetticismo non costituì viceversa una
scuola in senso stretto, pur mostrando una continuità nella propria elaborazione
dottrinale fino alle epoca romana. Il filosofo diviene una precisa figura intellettuale
che assolve principalmente una funzione pedagogica di formazione di una elite. I
gradi di questa educazione vengono codificati nelle tappe della logica (canonica
per gli epicurei), della fisica e dell’etica che assume un primato incontrastato tra le
varie discipline filosofiche, poiché è il modello del saggio il fine che ogni filosofia
deve perseguire a formare (la vita giusta e felice).
d) Caratteri generali dell’epicureismo. Scuola fondata nel 306 a.C. da Epicuro. La
scuola ebbe una lunga storia e possiamo individuarne il suo principale interprete nel
poeta romano Lucrezio (i secolo a.C.), con la sua opera De rerum natura.
Scopo della filosofia epicurea è terapeutico: la cura dell’uomo dai suoi turbamenti e
dalla paura negli dei. La cura dell’infelicità dell’uomo ed il conseguimento di una
condizione di benessere sono gli obiettivi a cui mira il suo insegnamento. La
conoscenza – da questo punto di vista – non è fine a se stessa ma deve
indicare all’uomo la via della saggezza e della felicità.
A tal fine è necessario possedere degli efficaci strumenti di ragionamento
(canonica), con i quali poter leggere adeguatamente i fenomeni fisici (fisica) e
poter così condurre una vita felice (etica).
La conoscenza si basa sull’esperienza sensibile, che registra il contatto con
atomi staccatisi dai corpi in movimento e che ne recano impronta (simulacri). Gli
organi di senso registrerebbero dunque i simulacri degli oggetti (certezza della
verità di tutte le sensazioni) che vengono conservate nella memoria,
consentendo così l’anticipazione (o prolessi) la rappresentazione di un oggetto
prima di averne una nuova esperienza. L’errore non nasce dunque dall’esperienza,
ma dall’opinione, ossia dal giudizio che io emetto precipitosamente a partire da
una sensazione: occorre quindi accortezza e prudenza nell’emettere giudizi.
La fisica epicurea è una fisica materialista. La realtà è composta da corpi
(rilevabili dall’esperienza) e vuoto (rilevabile col ragionamento: senza il vuoto non
sussisterebbe il movimento). I corpi sono divisibili in parti che, non potendo
disgregarsi all’infinito, pena il ridursi a nulla, dobbiamo ricondurre a degli elementi
primi detti appunto atomi. Questi atomi si muovono non secondo necessità, bensì
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secondo casualità, secondo la dottrina del clinamen (o declinazione), che
consente di pensare il cosmo – in particolare in relazione all’azione dell’uomo –
come pervaso di libertà e contingenza.
Obiettivo della morale è la vita felice. Per far questo occorre innanzitutto eliminare
il timore degli dei (non si occupano degli uomini) e della morte (se ci siamo noi
non c’è la morte, se c’è la morte non ci siamo più noi, in quanto l’anima –
omogenea al corpo – si dissolve alla morte, non essendo immortale). Inoltre occorre
intendere adeguatamente il concetto di felicità come piacere. Il falso desiderio
dell’immortalità nasce da una incapacità a vivere adeguatamente il presente e la
propria umana finitudine, e di giungere così ad un piacere che sia assenza di
dolore sia fisico (aponía) che spirituale (ataraxía). Occorre, in tal senso,
distinguere tre tipi di piacere:
- piaceri naturali e necessari
- piaceri naturali non necessari
- piaceri non naturali e non necessari
Solamente i primi provocano un piacere di tipo catastematico, in quanto conforme
all’uomo e alla sua natura (norma oggettiva)
e) Caratteri generali dello stoicismo. Si distingue normalmente una antica Stoà
(fondata attorno al 300 a.C da Zenone di Cizio, arriverà fino al II secolo a.C.), una
media Stoà (II-I secolo a.C.) e una nuova Stoà (corrispondente allo stoicismo
romana, I-III secolo d.C.).
a. Lo stoicismo a Roma.
i. Seneca. (3/4 – 65 d.C.). Concepisce un mondo etico di impronta
schiettamente razionale. Seneca teorizza la liberazione dell’anima dal
carcere del corpo, ma la morte non è per lui una unione mistica con
dio, quanto invece una naturale estensione del nostro pensiero
nell’Infinito, un ritorno dell’anima al principio dell’essere dal quale
sarebbe venuta. La filosofia è quindi intesa come ricerca della virtù
e pratica della libertà. Da questo punto di vista non c’è differenza tra
l’uomo libero e lo schiavo. Centrale è la dottrina della provvidenza
che governa tutte le cose, la teoria del cosmopolitismo e il precetto
dell’amore universale che deve unire tutti gli uomini. L’universo risulta
infatti compenetrato dall’azione provvidenziale di dio e gli uomini sono
da intendersi come le membra di un unico grande corpo. Da qui
deriva sia il dovere del rispetto verso tutti gli esseri viventi, sia i
temi famosi della carità verso gli umili, gli infelici, persino gli schiavi e
i malvagi (ideale dell’humanitas).
ii. Epitteto. (50 ca. – 130 ca.). Confluiscono nella sua filosofia la dottrina
cinica dell’astinenza dai beni esteriori e quella stoica del lógos divino
che governa il mondo secondo un disegno razionale. La filosofia (e la
condotta degli uomini) ha origine dal discorrere di ciò che è in nostro
potere (gli affetti) e di ciò che invece trascende la libertà della scelta e
si impone per necessità (il mondo esteriore). La felicità è
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conseguibile desiderando solo ciò che è in nostro potere: occorre
quindi un distacco dalle cose esteriori e un pieno dominio dei nostri
desideri (substine et abstine, sopporta e astieniti).
iii. Marco Aurelio. (121 – 180). La sua opera principale è il Tà eis
heautón (A se stesso noto anche come I ricordi), scritto in lingua
greca. Si sottolinea la caducità delle cose, il loro inesorabile
passare, la loro sostanziale insignificanza e nullità. La dottrina stoica
riscatta questa insignificanza:
a) da un punto di vista ontologico e cosmologico, la visione
panteistica dell’Uno-tutto riscatta le singole esistenze dal loro
non senso e dalla loro vanità.
b) Sul piano etico è il dovere morale a dare senso al vivere.
L’uomo è inoltre tripartito (a differenza della dottrina stoica antica) in
corpo (carne) – anima (come soffio o pneuma) – intelletto o mente
(Nous) che risulta superiore all’anima stessa, particella divina e
principio dirigente dell’uomo. Solamente le false opinioni che l’intelletto
ha prodotto possono affliggerlo.
2. La filosofia a Roma.
a) A partire dal II secolo a.C. è l’espansionismo di Roma a cambiare la configurazione
geopolitica del mondo antico, per lo meno nel bacino del Mediterraneo, e che
culminò con la conquista dell’Egitto nel 30 a.C. La pax romana – che si instaurò nei
primi due secoli dell’Impero – avvenne all’insegna dell’integrazione dei territori
occupati (attraverso il sistema delle province) e senza una romanizzazione forzata
dei dominati, che mantennero così la loro cultura greca. La stessa classe dirigente
di questo impero multinazionale si era in buona parte formata sui modelli greci ed
era anche portatrice di una cultura cosmopolita e, al tempo stesso, unitaria.
b) Il cosiddetto circolo degli Scipioni favorì la penetrazione e l’affermarsi della
cultura greca a Roma, in sostituzione dei mos maiorum, gli antichi valori
dell’aristocrazia rurale romana, incentrati attorno alla virtus (fermezza) e alla
gravitas (austerità).
c) Esempio di tale integrazione sono le Storie di Polibio.
d) Attraverso l’opera di Cicerone si avvia quell’opera di traduzione della cultura
filosofica greca in latino che darà anche vita a quel lessico filosofico latino che
sarà utilizzato anche durante il medioevo.
e) Ad eccezione dell’astronomo Tolomeo e del medico Galeno, la cultura e la
formazione che si svilupparono furono essenzialmente retorico-letterarie, e non
favorirono il sapere scientifico, che assunse il carattere della erudizione
enciclopedica o della divulgazione manualistica (Plinio, Naturalis historia;
Vitruvio, De architectura).
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