l`affermazione dei normanni in inghilterra e nel meridione d`italia

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“L’AFFERMAZIONE DEI NORMANNI IN
INGHILTERRA E NEL MERIDIONE
D’ITALIA”
PROF. MARCELLO PACIFICO
L’affermazione dei normanni in Inghilterra
e nel meridione d’Italia
Università Telematica Pegaso
Indice
1
DALLA NORMANDIA ALL’INGHILTERRA -------------------------------------------------------------------------- 3
2
I NORMANNI NELL’ITALIA MERIDIONALE ----------------------------------------------------------------------- 5
3
IL REGNO DI SICILIA------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Dalla Normandia all’Inghilterra
Tra l’XI e il XII secolo i rapporti feudo-vassallatici raggiunsero il massimo della loro
diffusione visto che l’ordinamento pubblico carolingio fu fatto proprio anche dai Normanni, dai
Vichinghi che nell’antico ordinamento franco trovarono un terreno fertile nel quale innestare il
proprio vigore militare e le antiche tradizioni guerresche di fedeltà.
I Vichinghi all’inizio del X secolo riuscirono sotto la guida di Canuto II il Grande a creare
un vasto impero intorno al Baltico (Danimarca, Norvegia e Inghilterra) ma questo di dissolse dopo
la sua morte. In Inghilterra allora si cercò di recuperare l’indipendenza con il re Edoardo il
Confessore (1043-1066).
Questo re era cresciuto in Normandia ed accolse alla sua corte cavalieri ed ecclesiastici
francesi ai quali vennero assegnati ruoli di comando e beni fondiari. Alla sua morte salì al trono il
cognato Arnoldo II che però non riuscì a fermare l’avanzata del duca di Normandia Guglielmo il
Conquistatore il quale legò l’Inghilterra alla Francia. Fu con lui che in Inghilterra si radicarono usi e
costumi francesi, tra cui anche i rapporti feudo-vassallatici.
Si creò la strana situazione che il re inglese, in quanto duca di Normandia, era anche
vassallo del re di Francia nonostante fosse riconosciuto da tutti il fatto che i re inglesi avessero
molto più potere e prestigio dei re francesi che avevano poteri assai limitati, esercitandosi in
maniera diretta su un territorio poco più vasto dell’attuale Regione parigina (Région parisienne), tra
la Senna e la Loira.
I re normanni , il Conquistatore e i suoi successori tra cui Enrico I (1100-1135) cercarono di
rendere accetto alla popolazione il nuovo ceto dirigente e di rafforzare il potere monarchico e a tale
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scopo: lasciarono intatta la vecchia divisione del regno in contee (shires); gli sceriffi
(amministratori delle contee) furono sottoposti al controllo regio; ai cavalieri normanni furono
assegnati feudi ma avevano anche precisi obblighi verso il re, da cui potevano sottrarsi solo
pagando un’imposta sostitutiva (scutage), che permetteva al re di reclutare un esercito da lui
direttamente dipendente; fu creata la «Camera dello scacchiere» dove si riunivano i funzionari
giudiziari e dell’amministrazione fiscale; per volere di Guglielmo fu redatto il Domesday Book, un
libro dove venivano elencati tutti i beni della corona e la distribuzione delle proprietà fondiarie del
regno. Tale libro ebbe perciò la funzione di un catasto e fu molto utile agli sceriffi per determinare
la riscossione dei tributi.
Dal 1154 al 1189 fu re Enrico II (Plantageneto): questo sovrano ebbe il merito di potenziare
ancora di più il potere regio anche nei territori francesi ai quali fu annessa la Bretagna.
Tentò anche di sottomettere la chiesa al suo controllo emanando nel 1164-1166 le
costituzioni di Clarendon, ma l'arcivescovo di Canterbury fece naufragare il progetto.
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2 I Normanni nell’Italia meridionale
L’espansione Normanna non si diresse solo verso l’Inghilterra infatti molti cavalieri
normanni scesero verso sud con l’intento di creare una salda dominazione politica al centro del
Mediterraneo.
I Normanni in Italia meridionale giunsero a piccoli gruppi con la speranza di farvi fortuna e
misero la loro abilità militare a servizio delle formazioni politiche del luogo sempre in contrasto tra
di loro.
A spingere verso sud i cadetti delle famiglie nobili furono sia il desiderio di avventura che
l’accrescimento dell’indice di natalità delle famiglie nobili con il rischio di impoverimento delle
stesse.
La situazione dell’Italia del sud era molto variegata infatti il territorio dell’attuale Campania
era suddiviso nei principati longobardi di Benevento, Salerno e Capua e nei ducati di nomina
bizantina (ma ormai autonomi) di Gaeta, Napoli, Sorrento e Amalfi. L’autorità bizantina si
esercitava ancora in Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Sicilia era in mano ai Musulmani.
I vari territori inoltre non erano molto compatti: nei territori longobardi il principe di Capua
avviò un tentativo di riaggregazione che ebbe buon fine. Pandolfo I Capodiferro infatti riunì sotto il
suo potere la Longobardia minore l’aggregazione non sopravvisse alla sua morte avvenuta nel 981.
Il predominio fu assunto successivamente da Salerno, sotto la guida di Guaimario IV che si
avvalse anche dell’aiuto militare di qualche contingente di cavalieri normanni.
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I Normanni capirono subito che l’Italia meridionale era un territorio assai ricco di risorse ma
politicamente debole e approfittarono di questa situazione per infiltrarsi nelle lotte locali.
Ogni gruppo operava in modo autonomo, tra questi il primo ad emergere fu quello
capeggiato da Rainulfo Drengot il quale, nel 1029, ottenne dal duca di Napoli come feudo, il
territorio di Aversa per aver combattuto contro il principe di Capua.
Altri gruppi di cavalieri normanni aiutarono i salernitani ad appropriarsi dei territori
bizantini di Melfi, delle Puglia e della Basilicata. I Beneventani per sottrarsi alle loro mire
preferirono mettersi sotto la protezione della Chiesa e così nel 1077 la città divenne dominio della
Chiesa.
Durante l’XI secolo il papa Leone IX si fece promotore di una coalizione contro i temibili
cavalieri; il suo interesse si basava sia sulla promessa di protezione verso Benevento sia sul fatto
intendeva ridurre l’area d’influenza bizantina in Italia.
Tale coalizione fu sconfitta nel 1053 a Civitate, in Puglia; lo stesso papa fu fatto prigioniero
e rilasciato solo dopo che riconobbe le conquiste normanne e accettò in cambio l’appoggio politico
e militare dei cavalieri.
Nel 1059 a Melfi Roberto il Guiscardo (nominato duca di Puglia, Calabria e Sicilia) e
Quarrel (nominato principe di Capua) giurarono fedeltà a Niccolò II.
Roberto il Guiscardo, nel 1061, avviò la conquista della Sicilia affidandola però al fratello
Ruggero; l’isola aveva una fiorente economia ma politicamente era in crisi a causa delle spinte
autonomistiche delle autonomie locali e questo agevolò la conquista normanna.
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Roberto, intanto, nel 1071 conquistò Bari, nel 1073 Amalfi e l’Abruzzo, nel 1076 Salerno;
nel 1081 l’insaziabile Roberto mosse contro Costantinopoli.
La prima missione non fu completata perché dovette tornare in Italia per aiutare il pontefice
Gregorio VII contro Enrico IV; nel 1085 durante la seconda missione in Oriente morì su una delle
sue navi.
I successori di Roberto il Guiscardo non furono in grado di continuare l’opera di
potenziamento di fragile costruzione politica da lui creata; una svolta si ebbe però con Ruggero II;
già padrone della Sicilia , alla morte senza eredi del nipote Guglielmo (1114-1127) rivendicò il
titolo di duca di Puglia e di Calabria.
La sua elezione fu contrastata dai baroni e dal papa Onorio II ma quando questi morì, nel
1130, si fece incoronare re di Sicilia dall’antipapa Anacleto II che egli stesso aveva fatto eleggere
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3 Il Regno di Sicilia
Il Regno di Sicilia aveva una natura molto particolare in quanto era stato fondato da
esponenti della feudalità dei normanni francesi ma era tutto proteso verso il Mediterraneo.
Del Regno di Sicilia basterà ricordare che la sua creazione fu il risultato di una duplice
operazione: prima l’azione militare dei cavalieri normanni che, muovendo dai primi domini di
Aversa e Melfi, riuscirono in tre quarti di secolo ad imporre la loro dominazione sulla totalità
dell’Italia meridionale, ivi compresa la Sicilia musulmana, poi , dopo mezzo secolo di anarchia
seguito alla morte di Roberto Guiscardo (1085), l’unificazione del mezzogiorno continentale e della
Sicilia, operata da Ruggero II che si fa incoronare Re di Sicilia nel 1130.
Fu la più giovane delle monarchie e quella che soffrì in partenza del maggiore deficit di
legittimità per ampliare il proprio potere di fronte a quello dei principi e dei signori: l’estensione e
l’utilizzazione dei rapporti feudo vassallatici in senso favorevole alla monarchia, la creazione di un
apparato amministrativo staccato dalla gerarchia feudale, l’esaltazione della figura del sovrano.
Il primo obiettivo trovò il migliore terreno di applicazione laddove il sistema feudovassallatico fu importato di sana pianta dai nuovi conquistatori: in Inghilterra quindi, dove, la
fedeltà al re ebbe precedenza su ogni altro dovere di natura feudale e gli obblighi dei signori nei
suoi confronti furono rigorosamente definiti, e più ancora in Italia meridionale dopo il sistema
feudale raggiunse il suo massimo livello di formalizzazione; il Catalogus baronum compilato nel
1150 e aggiornato nel 1167-1168, registrava per esempio feudo dopo feudo la natura precisa del
servizio militare dovuto al sovrano dai tre livelli della gerarchia feudale normanna, i conti, i baroni
e i cavalieri.
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Ruggero II e i suoi successori sul trono di Sicilia, anche se è vero che si sono largamente
ispirati alle istituzioni di origini araba o bizantina in vigore nell’Italia meridionale al momento del
loro arrivo, puntarono sulla creazione di nuove strutture di governo e sulla presenza, in tutte le zone
del loro dominio, di una rete più o meno fitta di funzionari di nomina regia per rafforzare ed
estendere il potere monarchico.
Non si può non riconoscere ai sovrani normanni il merito di aver saputo costruire, partendo
da elementi presi in prestito dai modelli preesistenti, una struttura di governo e delle istituzioni
periferiche particolarmente efficienti nel campo dell’amministrazione giudiziaria e fiscale.
Ruggero II e i suoi successori Guglielmo I (1154-1166) e Guglielmo II (1166-1189) seppero
sfruttare le efficienti strutture di governo arabe e bizantine e crearono un apparato amministrativo
con gli uffici centrali operanti a Palermo e molti uffici periferici. I sovrani normanni erano perciò al
comando di un ottimo apparato burocratico ma erano anche al vertice di una “piramide feudale”, in
cui erano inseriti a vari livelli i discendenti degli antichi conquistatori. La struttura politicoamministrativa del regno non era molto omogenea ma i sovrani ebbero il merito di realizzare un
equilibrio tra le forze locali e l’autorità regia, per cui i funzionari regi riuscirono sempre a
controllare le prerogative dei feudatari, degli enti ecclesiastici e delle comunità cittadine. La
costituzione nel regno di Sicilia di uno Stato che prevedeva l’esistenza di rapporti feudo-vassallatici
- mentre nel resto d’Italia iniziavano a nascere le autonomie cittadine dinamiche e vivaci - ebbe sì il
merito di creare un governo stabile ma in un certo senso chiuse molte possibilità di sviluppo sociale
e politico al Meridione d’Italia.
Nel Regno di Sicilia i sovrani normanni svilupparono una teoria del potere monarchico
autonomo dalla Chiesa e conferito direttamente da Dio: a tale titolo i sovrani si dicono investiti di
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un potere di natura assoluta, senza limiti, ad immagine dei sovrani orientali, bizantini in primo
luogo, dai quali derivarono tanti dei loro riti e simboli.
L’idea di una potestas universale scelta dalla potenza divina per esercitare la sovranità su
tutta la cristianità latina sopravvive certamente alla morte dell’ultimo degli imperatori di casa
Sveva, che tanto avevano fatto, soprattutto con Federico Barbarossa (1152-1181) e Federico II
(1212-1250), per ripristinare i diritti dell’impero in Italia ed affermare l’autonomia del potere
imperiale di fronte al papato.
Nel nuovo Regno di Sicilia Federico II diede, almeno sulla carta, prova di avere idee molto
chiare sulla natura delle riforme da compiere per dotare il suo regno di strutture amministrative
efficienti, centralizzate e in grado di esercitare un rigoroso controllo sui diritti e sugli obblighi dei
signori.
Alcune delle sue esigenze, come per esempio quelle che riguardano il reclutamento e la
mobilità della principale categoria di funzionari locali, i giustizieri, erano probabilmente troppo in
anticipo sui tempi per essere attuate in altri regni e si può anche dubitare del reale livello di
applicazione nel Regno di Sicilia.
In altri settori invece, non è difficile riconoscere nell’azione di Federico la prefigurazione di
soluzioni che verranno successivamente adottate dai sovrani francesi e
inglesi: cosi per
l’organizzazione del governo centrale e la creazione di reparti specializzati negli affari diplomatici,
giudiziari e finanziari, cosi per la presenza sempre più frequente di giuristi nei principali organi
della monarchia, cosi ancora in materia di fiscalità e di organizzazione militare, due settori dove
sono particolarmente visibili i cambiamenti operati dai sovrani nei due ultimi secoli del Medioevo.
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Su pochi personaggi del Medioevo i giudizi sono stati così contrastanti come su Federico II.
I suoi seguaci lo celebravano come il principe della pace e l'imperatore-messia. I suoi antagonisti,
invece, lo condannavano come un epicureo, un ateo che non credeva alla risurrezione e al giudizio
divino, come un tiranno, un "martello di Dio" simile ad Attila o Nerone, o persino come
l'incarnazione dell'Anticristo. Anche tra gli storici moderni i giudizi sul personaggio e sulla sua
politica sono contrastanti. Da una parte gli ammiratori, come Jacob Burckhardt che lo ritenne "il
primo uomo moderno sul trono"; Friedrich Nietzsche che ammirò in Federico II il grande spirito
libero, l'ateo, il genio, il "superuomo"; Franz Kampers che lo ritenne "battistrada del Rinascimento";
e ultimo, ma non ultimo, Ernst Kantorowicz, che con la sua biografia, pubblicata nel 1927, contribuì
notevolmente alla mitizzazione dell'imperatore svevo. Positivo fu anche il giudizio di Gabriele Pepe
che, nel 1938, sottolineò la "modernità" di Federico II. Ancora, nel 1964 uscì in Germania una
biografia di Federico II con il sottotitolo di "Mutator mundi". Diverso era ed è il giudizio di alcuni
storici di lingua inglese. L'americano Thomas Van Cleve che pubblicò nel 1972 una biografia di
Federico II lo ritenne un "immutator mundi", quindi uno che ha cambiato nulla, un conservatore
insomma. Simile è il giudizio di uno storico di Cambridge, David Abulafia, che anch'egli autore di
una biografia del sovrano normanno-svevo, pubblicata nel 1988 [ediz. ital. 1990] lo ritenne un
"normale" imperatore medievale. Anzi, come spiegò in un'intervista di alcuni anni fa, fu "un
conservatore incallito", un uomo che guardò più indietro che in avanti, orientando la sua politica
sostanzialmente al modello dei suoi nonni, cioè di Federico I Barbarossa e di Ruggero II di Sicilia.
Quindi, per Abulafia Federico II fu un uomo del dodicesimo secolo più che del tredicesimo.
Analizzando alcuni aspetti centrali dell'opera di Federico II, quali la legislazione, la politica
amministrativa, la politica economica, la crociata e la lotta con il papato si possono però cogliere
più elementi innovativi che conservatori. Nelle costituzioni di Melfi, promulgate nel 1231, Federico
II dichiara chiaramente di voler dare un nuovo indirizzo di sviluppo al Regno di Sicilia. Nel § 38
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del libro I dichiara infatti di voler produrre, dal grembo della natura, nuove leggi: "De naturae
grembo nova iura producimus". Infatti, a differenza dalla legislazione normanna (le "Assise di
Ariano"), ora viene abolito, almeno in teoria, tutto il diritto consuetudinario. La volontà di
rinnovamento emerge anche da singole norme come quella del divieto dell'ordalia (il "giudizio di
Dio") e dalla forte limitazione del duello giudiziario. Come ha osservato uno storico del diritto,
Hermann Conrad, Federico II rifiutò l'ordalia ed il duello giudiziario perché fondati su concezioni
irrazionali, adducendo motivazioni di carattere razionale, naturalistico e giuridico. Anche
nell'amministrazione del Regno, costruito da Ruggero II sul principio dell'assolutismo regio ma in
cui erano rimasti in vigore alcuni elementi appartenenti al sistema feudale, Federico II introdusse
alcune novità importanti. Anzitutto il principio della territorialità, dividendo tutto il regno in
province chiamate "giustizierati". Fu così spezzato il sistema feudale basato su rapporti di natura
personale. Inoltre fu creato un nuovo tipo di funzionario statale sconosciuto finora nel Medioevo
europeo. Il funzionario statale si distingueva dalla società feudale come un rappresentante dello
Stato centrale. La sua carica era a tempo determinato, egli doveva avere una specifica preparazione
professionale, e, infine, doveva rendere conto per iscritto del suo operato. In compenso egli fu
stipendiato dallo Stato che gli concedeva uno stato giuridico particolare ponendolo al di fuori del
tradizionale sistema feudale. In questo senso il regno normanno di Sicilia, così il giudizio di un suo
eminente conoscitore come Norbert Kamp, può essere considerato un modello storico per altri Stati
medievali. Un'altra novità era la fondazione dell'Università di Napoli, la prima Università statale del
Medioevo, che aveva lo scopo della formazione professionale di una "nuova classe di burocrati"
legata strettamente alla monarchia. Anche se l'Università partenopea al tempo di Federico II non
entrò mai in pieno funzionamento, l'idea sopravvisse e fu pienamente realizzata, più tardi, da Carlo
I d'Angiò. La fondazione dell'Università di Napoli deve comunque essere considerata un'opera
assolutamente innovativa, la cui realizzazione fu soltanto impedita da circostanze politiche avverse.
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Importanti novità furono introdotte da Federico II anche con la costruzione di un sistema capillare
di castelli che doveva garantire allo Stato un pieno controllo sul territorio. Si è osservato che
l'amministrazione dei castelli realizzata dall'imperatore fu "un tipo di organizzazione di
sorprendente modernità". Per quanto riguarda l'economia, sarebbe anacronistico pretendere da un
sovrano medievale una "Politica economica" nel senso moderno che presuppone delle riflessioni
teoriche sui processi economici. I re medievali non consideravano l'economia dei loro paesi un
valore per sé che doveva garantire una prosperità economica generale, ma pensarono in primo luogo
come potessero aumentare le entrate. Anche Federico II aveva continuamente bisogno di soldi per
le sue guerre e per la sua frenetica attività edilizia rivolta specialmente ai castelli. Fu comunque il
primo sovrano che introdusse interventi diretti statali nei processi economici. Così introdusse il
monopolio del sale. Mentre i re normanni si erano limitati a mettere una tassa sul trasporto del sale,
Federico II affidò la gestione delle saline direttamente alla corona creando il primo monopolio di
Stato del Medioevo. Un argomento a sostegno della tesi di Federico II "immutator mundi" potrebbe
essere considerato il fatto che egli fece una crociata. Ma la crociata dell'imperatore svevo era
profondamente diversa da quelle a cui avevano partecipato i suoi antenati tedeschi. Mancava
anzitutto una premessa indispensabile per una vera crociata, cioè la collaborazione tra potere
politico e potere ecclesiastico. Finora era stato sempre rispettato il diritto del papato di proclamare
la crociata e quindi di stabilire l'inizio di una tale azione. Federico II, invece, nel 1228, osò
procedere alla crociata senza previa consultazione con il Papa. Inoltre, e ciò era inaudito,
l'imperatore era ancora sotto la pena di scomunica per aver più volte rimandata una crociata in
collaborazione con la Chiesa, solennemente promessa. Ancora, Federico II nella sua "crociata" non
cercò di liberare Gerusalemme con una sanguinosa guerra contro gli infedeli, ma preferì accordarsi
con il sultano d'Egitto al-Kamil. Questi concesse ai cristiani libero accesso a Gerusalemme, mentre
l'imperatore, e questo suscitò ulteriore scandalo, concedette ai musulmani, oltre al possesso dei
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dintorni della città , anche un enclave in Gerusalemme stessa. Diversamente dalla crociata di
Federico Barbarossa quella di suo nipote non aveva più una prevalente motivazione religiosa ma
piuttosto politica. Federico II, dopo aver subito la scomunica, aveva bisogno di un successo che gli
restituisse prestigio agli occhi del mondo cristiano europeo. Del tutto impensabile per il secolo XII è
la radicalità con cui l'imperatore condusse la "lotta finale" con il papato, in seguito alla scomunica
rinnovata nel 1239 da Gregorio IX. Secondo Schaller, Federico II propagò nell'ultimo decennio
della sua vita una ideologia imperiale impregnata di tratti "pagano-antichi". Egli si fece
rappresentare come "dominus mundi", come il dominatore del cosmo, come la divinità del sole
("deitas solis"). Forse da interpretare come una raffigurazione della Gerusalemme celeste sarebbe,
secondo lo stesso studioso, Castel del Monte, a causa della sua forma ottagonale identica a quella
della corona imperiale. Insomma, l'ideologia imperiale federiciana fu probabilmente l'ultima e la più
estrema espressione delle idee antiche sulla divinità della maestà imperiale e sul suo dominio sul
mondo. Non si trattava di concetti "reazionari", ma, per il suo tempo, altamente "moderni". La
sacralizzazione del sovrano contribuì, insieme con la sua lotta contro il papa, alla emancipazione
della monarchia dalla Chiesa. Quindi in un certo senso Federico II preparò la strada per lo sviluppo
del concetto moderno di Stato. In conclusione mi sembra di poter affermare che, considerate le
innovazioni introdotte nella legislazione, nell'amministrazione statale, nell'economia, nella crociata
e nel rapporto con la Chiesa, Federico II fu piuttosto un innovatore e non un "conservatore
incallito". Certamente anche egli era un prodotto del suo tempo. E c'erano anche realtà come quella
dell'Italia comunale che a lui rimasero incomprensibili. Comunque sia, la lotta tra Federico II e la
Chiesa aveva scosso il mondo medievale, aveva una volta per sempre sconvolto i rapporti tra Stato
e Chiesa. Quindi, Federico II era stato un "mutator mundi", in questo senso limitato. Se poi il
mondo era cambiato in meglio, questo è un altro discorso.
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Laterza ,1989
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P. Delogu, I Normanni In Italia, Napoli, Liguori 1984

S. Tramontana, La Monarchia Normanna E Sveva, Torino, Utet, 1986
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